#Stato Italiano patriarcale
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In Italia, la realtà patriarcale è radicata e si manifesta attraverso vari aspetti della società, inclusi i legami tra la chiesa cattolica e lo Stato: questa connessione contribuisce storicamente a mantenere norme e valori che favoriscono solo una visione maschilista della società; le donne vengono lasciate a dover proteggere se stesse da abusi e discriminazioni, in un contesto in cui le istituzioni non offrono il supporto necessario.
#Non è un Paese per donne#Italia#principe azzurro#realtà patriarcale#patriarcato#chiesa cattolica#misoginia#maschilismo#Stato Italiano patriarcale#norme costituzionali#prevenzione da abusi#istituzioni#supporto#discriminazione#donna
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In Italia, negli anni migliaia di madri, nonne, zie hanno cresciuto uomini totalmente disadattati incapaci di avere una relazione sana con se stessi, con gli altri, con le donne in particolare: a pagare le conseguenze di questa realtà fatta da una grande presenza di maschi tossici sono le donne più intelligenti, non di certo le donne "che si accontentano" di rimanere prive di dignità al lazzo di uomo che le mantiene e le opprime nel contempo.
L'Irresponsabilità di alcune è l'inferno di altre.
Io non devo fare appello a supposizioni riguardo alla profonda responsabilità materna della massiccia presenza di maschi tossici nella società italiana: è qualcosa che vivo e vedo ogni giorno nelle vite delle donne molestate; so per certo che c'è un solo tipo di madre che riesce a crescere uomini sani: quella che ha voluto quel figlio "per amore" e non per uso e costume, non perché "tutti fanno figli allora li faccio anche io"; non perché l'album di famiglia è più bello se c'è anche un figlio.
" Maschio tossico " significa anche "famiglia di origine disfunzionale": la relazione non è casuale, ma diretta; pertanto quando scrivo qui o in altri contesti online, io non mi rivolgo solo alle donne che hanno bisogno di trovare conforto, comprensione e motivi validi per uscire, subito!, e non domani!, dalle relazioni sbagliate che le fanno soffrire, ma anche e soprattutto alle donne che hanno cresciuto e stanno crescendo uomini tossici: alle DIRETTE Responsabili di questo macello sociale.
Nel nostro Paese esiste una larga presenza di madri tossiche che crescono i figli maschi non come figli ma come compagni, come ulteriori mariti, instillando fin da piccoli la "responsabilità irrinunciabile" di doverle accudire una volta diventate anziane: è in questa dinamica femminile deviante che si sviluppano i maschi tossici - uomini che "non hanno il cordone ombelicale tagliato", come si usa dire nel linguaggio comune, che pretendono una simbiosi con le compagne sulla stessa linea malata.
A qualsiasi amica o sconosciuta che mi parli del suo rapporto con un "lui" senza ancora aver conosciuto i suoi genitori, chiedo sempre la stessa cosa: "E' legato alla madre? Ti parla spesso di lei?"; quando è un "si" non ho dubbi e replico: "Taglia la corda! Non andare oltre!"; quello che sembra un uomo gentile (tattica preferita illusoria) non lo è affatto: è un uomo tossico che non è abituato causa madre tossica al fatto che una donna gli dica "no" e non va atteso mai che ce lo dimostri.
Noi non viviamo in un "Paese per donne" e i principi azzurri non esistono in Italia; qui c'è solo una realtà patriarcale che si trascina da secoli in un connubio anomalo fra Chiesa Cattolica (istituzione fortemente misogina e maschilista) e Stato Italiano patriarcale nelle norme stesse costituzionali, pertanto il maggior lavoro di tutela per se stessa, di prevenzione da abusi di ogni sorta, lo deve fare ogni donna mettendo i giusti paletti nella sua vita senza alcun indugio anche per le figlie.
Nel nostro Paese, ogni tragedia si trasforma in business, pertanto anche il problema femminicidi ha attirato gli interessi di chi vuole guadagnarci economicamente (famiglie comprese colpite da femminicidi): se siete donne in difficoltà o anche solo persone generose, non prendete in considerazione in alcun modo Onlus o associazioni di altro genere che chiedano donazioni o si rivolgano allo Stato/Regioni per ottenere fondi, perché stanno solo lucrando sui diritti delle donne e nulla di più.
La Regione Veneto che "sponsorizza" il business sul problema femminicidi in Italia messo in piedi dalla famiglia Cecchettin è la stessa Regione che ha permesso all'ex assessore all'Istruzione Elena Donazzan di molestare pubblicamente e indurre al suicidio pubblicamente un insegnante (Cloe Bianco) senza muovere un dito!; nemmeno gli esponenti del PD in Regione Veneto mossero un dito a riguardo.
State alla larga da questa TRUFFA.
#Italia#madri#nonne#zie#uomini totalmente disadattati#uomini#relazioni sane#conseguenze#Realtà#grande presenza di uomini tossici#maschi tossici#donne intelligenti#donne che si accontentano#opprimere#irresponsabilità#inferno#maternità#famiglia disfunzionale#madri tossiche
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Vi ricordate la crocifissione del padre di Turetta che, in carcere, cercava di rincuorare il figlio?
Vi ricordate la demonizzazione di quella famiglia perché non è stata capace di insegnare al figlio l’accettazione del rifiuto?
La pubblica gogna?
Ora la sorella di Moussa Sangare afferma che era un bravo ragazzo, cambiato poi per la droga, e che nessuno si è mosso per aiutarlo.
Insomma, se l’assassino è italiano, la colpa è della famiglia patriarcale mentre, se è di origini straniere, la colpa è dello Stato e va capito.
Francesca Totolo
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Noi non viviamo in un "Paese per donne" e i principi azzurri non esistono in Italia; qui c'è solo una realtà patriarcale che si trascina da secoli in un connubio anomalo fra Chiesa Cattolica (istituzione fortemente misogina e maschilista) e Stato Italiano patriarcale nelle norme stesse costituzionali, pertanto il maggior lavoro di tutela per se stessa, di prevenzione da abusi di ogni sorta, lo deve fare ogni donna mettendo i giusti paletti nella sua vita senza alcun indugio anche per le figlie.
" Non una di meno" non è solo il motto d'una associazione che vuole proteggere l'incolumità delle donne, ma un impegno sociale che devono prendersi tutte le donne: qualunque donna sia a conoscenza di un maltrattamento, deve intervenire e fare da scudo; non importa essere single, non importa essere sposate, non importa cosa ne pensi "il marito": l'incolumità di una donna è un problema di tutte noi, perché una società di uomini ancora tossici esiste anche a causa della vasta indifferenza femminile.
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Dallo stupro di gruppo di Palermo ai femminicidi successi negli ultimi giorni: tutti a invocare la pena capitale, la castrazione, il carcere a vita, i lavori forzati, ecc. Ma nessuno viene in mente di dire che lo stupro, il femminicidio, la prostituzione, la pornografia e gli abusi sono strumenti di potere dell'uomo sulla donna? Nessuno viene in mente di dire che la cultura patriarcale è profondamente radicata nella nostra società e nello Stato liberal democratico? Nessuno viene in mente di dire che bisogna distruggere e combattere questa cultura dalle sue radici più profonde? No, nessuno! E sapete perché? Perché siamo abituati, purtroppo, a identificare l'aggressore solo in base al paese di provenienza, alla religione che professa, all'etnia.
Ci indigniamo a ogni notizia del genere solo quando l'aggressore è uno straniero, ma se lo commette un italiano (che sia figlio di un noto politico, che sia un imprenditore, uno sportivo, un lavoratore e via dicendo) invece tutto tace e si passa alle solite patetiche giustificazioni, idolatrie in quanto "maschio alpha/beta/omega e chicchesia" e vittimizzazioni secondarie.
Il problema non è la giustizia, non è l'uomo in sé, il problema è sistemico, culturale, sociale e persino politico. Le leggi fanno poco o nulla per condannare questi vermi che se la cavano con pene lievi e "rieducazioni" ridicole per poi tornare a delinquere.
La cultura e il sistema patriarcale ci insegnano a vedere la donna come mero oggetto sessuale nei media, nella carta stampata, nei social e persino in giro. Ci insegnano che lei deve assolutamente dipendere dall'uomo da ogni punto di vista, soprattutto economico, sociale e morale. Ci hanno insegnato che se vuole emanciparsi e autodeterminarsi, è da ritenere una "strega", "poco di buono", "stronza", ecc. Ci hanno insegnato che per essere completa, deve avere figli. Ci hanno insegnato che il rosa è per femmine e il blu/azzurro è per maschi, che il lavoro domestico è per femmine e che i lavori pesanti è per maschi, ecc.
Le solite ipocrisie dei soliti “not all men” (non tutti gli uomini) mi hanno veramente rotto le scatole perché qui ci riduciamo solo a chiacchiere e scaricabarile più che passare ai fatti concreti. E' troppo riduttivo la solita retorica "educare i maschi a non stuprare le femmine, non le femmine ad evitare di essere stuprate" senza colpire direttamente al cuore il patriarcato.
Questi fatti efferati successi in pochissimi giorni e che sono in continuo aumento, significa che è finito di porgere l'altra guancia e che serve assolutamente OPPORRE RESISTENZA all'oppressione, alla repressione e allo sfruttamento che doppiamente le donne subiscono.
Non dobbiamo fare la guerra contro la Russia e contro la Cina, ma contro l'intero sistema e contro l'intera società.
#italia#stupro#violenza#donne#uomini#società#femminismo#sessismo#maschilismo#ipocrisia#politica#economia
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Chi è Gino Cecchettin e quali sono i progetti del padre di Giulia
Gino Cecchettin, padre di Giulia, è stato di parola.
Ha iniziato fin dai funerali della figlia a fare del suo impegno civico una questione concreta, reale, una vera missione.
E quindi come aveva promesso, ha cercato, prima di tutto, di impedire che l'enorme ondata emozionale che ha scosso tutta l'Italia dopo il ritrovamento del cadavere della figlia Giulia assassinata, si trasformasse nella solita "dimenticanza collettiva", in quella rassegnata smemoratezza, che sempre prende gli italiani, all'indomani di ogni femminicidio.
Questa volta no. Questa volta vogliamo mettere un punto e svoltare. Cambiare si può e si deve" - sembra aver pensato Gino Cecchettin.
E allora proprio in memoria di Giulia ha iniziato una nuova battaglia per cambiare le cose in questo nostro paese fermo ad una mentalità cavernicola incentrata sul "possesso" e quindi inchiodato a comportamenti tossici.
Come evidenziato poche settimane fa, da Elena Cecchettin, è tempo di abbandonare la miriade di "minuti di silenzio" che poi non portano mai a nulla.
È tempo di cominciare a lottare per un paese moderno, più aperto e avanzato, libero dai pregiudizi e dalla rassegnazione davanti alle assurde pretese di molti maschi di continuare a praticare violenza di genere sia nei comportamenti che nel linguaggio.
È in questo contesto che Gino Cecchettin ha invitato ogni italiano a riflettere sulle vere cause dei femminicidi, a mettersi in discussione e a voler cambiare tutti i comportamenti di sopraffazione all'interno delle relazioni sociali.
E allora ha scelto la strada dell'impegno quotidiano per cambiare i paradigmi ed i modelli dell'immaginario maschile. Per porsi come strumento, come agente attivo del cambiamento.
Ecco perchè ha scelto di utilizzare il proprio dolore in senso costruttivo. Come germoglio per fertilizzare la mente di ogni persona, per agevolare il cambiamento concreto e l'emergere di una nuova sensibilità verso l'arroganza di genere e il perpetuarsi della mentalita patriarcale.
Gino ha scelto, quindi, di partecipare ad un programma dai grandi ascolti, per arrivare a proporre il suo messaggio [ed il suo esempio personale], al maggior numero di persone. Per scuotere le coscienze, per continuare a mantenere in primo piano questa battaglia di civiltà.
Oltre che per annunciare che, in concreto, la famiglia Cecchettin dopo questa tragedia darà vita ad una Fondazione per combattere la piaga dei femminicidi e del maschilismo violento, ancora così diffuso nella nostra attuale società.
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“AI GENITORI DAVAMO DEL VOI”, ROMANZO PRESENTATO ALL’IC CAIATINO
Scritto dal già preside Pasquale Buonomo, scomparso due anni fa, in piena emergenza Covid
CAIAZZO - Un libro scritto in tempo di Covid per rafforzare l'identità e il senso di appartenenza, un modo per rifugiarsi nei ricordi quando tutto era fermo, e per ricomporre il mosaico di un mondo che non c’è più, fatto di rispetto, timidezza, pudore. “Ai genitori davamo del voi” di Pasquale Buonomo è stato presentato nell’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo Caiatino di Caiazzo, alla presenza di studenti e docenti di alcune classi della Secondaria di I grado, della dirigente Silvana Santagata e dei familiari dello scrittore. Un libro che rappresenta il cassetto dei ricordi di Pasquale Buonomo, già preside originario di Alvignano trasferitosi a Bergamo dopo gli studi universitari; un romanzo che si sviluppa dai primi decenni del secolo scorso fino agli anni 50, pensato e scritto quando c’era il lockdown, in piena pandemia, quando tra l’altro Bergamo fu tra le città più colpite dall’emergenza. L’autore ricorda il suo passato, la sua famiglia e scrive di Domenico, uno dei personaggi principali, che non è altro che la storia di suo padre. Una testimonianza di un tempo che, diversamente, andava perduta; un libro che preserva il ricordo di un uomo, dei. suoi studi, del suo lavoro in una fabbrica di mattoni, del suo talento musicale come autodidatta, della sua curiosità e del suo interesse per i mestieri di un tempo. Un racconto incentrato in un contesto storico tragico, (siamo tra la prima e la seconda guerra mondiale), quando si viveva un bullismo classista, quando era difficile conquistare un’amicizia.
La partenza per il fronte, il matrimonio con Maria, le lettere scritte e ricevute tramite altri, le abitudini, le tradizioni (la scartocciatura delle pannocchie e il racconto di storie davanti al focolare), la famiglia patriarcale, la laboriosità e il senso del dovere, la condizione subalterna della donna, il lavoro nella ‘puteca’, del bar (punto di ristoro e di pettegolezzi), il contatto curativo e lenitivo con la natura e il paesaggio. Flashback di un romanzo riferiti alla platea dalla curatrice della prefazione Renata Montanari de Simone che aggiunge “un testo in cui si ricavano valori universali e l’attaccamento alle radici”. Renata Montanari è di origine romagnola. Ha vissuto a San Severo, dove ha completato gli studi classici. Si è laureata in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Bologna ed in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Ateneo di Urbino.Risiede a Caserta dove è stata docente di Italiano e Latino al Liceo Classico “P. Giannone”.
Ha pubblicato saggi di carattere storico e traduzioni dal latino prima di dedicarsi alla poesia ed alla narrativa. Nel 2007 ha ottenuto il Premio speciale della critica al Concorso Nazionale “Mercedes Mundula” di Cagliari col saggio “La donna tra ragione e sentimento: testimonianze letterarie”. Collabora con varie associazioni culturali e dal 1999 ha istituito a Caiazzo un Laboratorio di cultura letteraria presso il Centro di Promozione Culturale “F. de Simone”.
“Leggete tanto e non concentratevi troppo sui cellulari – ha aggiunto Rita Buonomo, sorella dell’autore scomparso due anni fa, accompagnata dalla figlia avvocatessa e assessore del Comune di Alvignano Luisa De Matteo – io che non ho potuto studiare ho imparato tante cose dai libri di mio fratello”. “Un messaggio attuale – chiude la preside Santagata – sull’importanza della rievocazione e sulla riscoperta dei mestieri in un momento drammatico, ora come allora, se pensiamo alla guerra e alle tensioni internazionali in corso. Un libro che è una lezione di storia del nostro territorio”.
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25 novembre, oggi manifestazioni contro la violenza sulle donne
(Adnkronos) - Manifestazione oggi, 25 novembre, contro la violenza sulle donne. Due saranno le sedi: una al Circo Massimo alle 14 a Roma e l'altra a Messina. Entrambe scelte per protestare contro "la violenza patriarcale". "Torniamo in piazza contro il governo, le sue politiche e le sue retoriche - scrivono gli organizzatori -, che dietro una misera facciata di contrarietà alla violenza nei fatti ne riproduce e anzi consolida le fondamenta in tutti gli ambiti della vita: dalla scuola, alla famiglia, alle relazioni interpersonali, agli ospedali, ai tribunali, alle politiche pubbliche". Scorrendo l'appello degli organizzatori si trovano, ovviamente, tutti i punti cardine del contrasto all'"attacco sempre più feroce all'autodeterminazione di donne, persone non binarie e Lgbtqiapk con disabilità, migranti e seconde generazioni, sex workers e alle persone povere". Ma anche molto di più. A partire dal fatto che si torna in piazza "contro il governo, le sue politiche e le sue retoriche". Tra l'altro, spiegano sempre gli organizzatori, "non vediamo discontinuità vera tra questo governo di estrema destra della Meloni e i precedenti meno conservatori e nazionalisti". Tra i temi citati c'è, poi, la "cancellazione del reddito di cittadinanza e l’affossamento del – seppur pallido e del tutto insufficiente – tentativo di fissare un tetto per il salario minimo"; il ponte sullo Stretto (definito 'un grande specchio per le allodole' e 'il Mostro'); i "tentativi di moltiplicare le basi militari" e le "pratiche di controllo varie; quali ricoprire le Città di Venezia e Messina di telecamere a riconoscimento facciale (prodotte in Israele)". Ma è sulla situazione in Medio oriente che 'Non una di meno' prende le posizioni più nette. A partire dal manifesto dell'evento, in cui si legge "Palestina libera". A questo proposito, nella piattaforma si legge: "Lo stato Italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo e schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggia di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese". Sappiamo, inoltre, "che la guerra è la manifestazione più totalizzante della violenza patriarcale" e "per questo, e più che mai, siamo al fianco del popolo palestinese che affronta l’ultimo episodio della lunga storia di un genocidio portato avanti da uno degli apparati politico-militari più potenti al mondo, lo Stato di Israele. Non ci sono margini di ambiguità in questa storia di colonialismo, razzismo e violenza, tesa a cancellare il territorio palestinese e, soprattutto, il suo popolo". La piattaforma, in coerenza, chiede "un chiaro posizionamento in favore del popolo palestinese e della sua liberazione e una visione antimilitarista che ci permetta di evidenziare come i conflitti armati siano l’espressione più terribile della violenza patriarcale". Oggi alla manifestazione potrebbe essere presente anche Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, massacrata dall’ex fidanzato. Non è certa di esserci anche la numero uno del Pd Elly Schlein che, però, assicura: "Il Pd ha sempre partecipato e parteciperà anche domani". "Io sono a Perugia al mattino, se farò in tempo parteciper�� volentieri come ho sempre fatto. Ma non userei in modo strumentale questo appuntamento". Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini parteciperà alla manifestazione nazionale di Roma. Per la segreteria confederale sarà presente Lara Ghiglione. La Cgil prenderà parte a tutte le iniziative organizzate nelle città italiane. Ci saranno anche preti e suore alla manifestazione di Roma per alzare la voce contro la violenza sulle donne nella Giornata internazionale. Al Circo Massimo sarà presente il frate francescano Enzo Fortunato che denuncia: "Stiamo attraversando un'ora tragica. C’è un drammatico deficit di umanità a tutti i livelli. La logica del possesso, della conquista degli Stati, delle donne, delle cose ci sta facendo scrivere una delle pagine più buie della nostra storia. È' necessario intraprendere l'ora della luce che ci conduca alla logica del donare, del condividere e dell'empatia nelle relazioni". Anche suor Paola d'Auria, la suora da sempre in prima linea per aiutare chi è in difficoltà, sarà alla manifestazione, se non fisicamente, "con il cuore e con la mente". Osserva la suora all’Adnkronos: "Io ci vivo accanto alle vittime di violenza. Le coccolo. Cerco di fare loro dimenticare tutto il male subito”. E a proposito della morte di Giulia Cecchettin, suor Paola dice: “Provo rabbia e dolore. E penso: se solo la avessi avuta qui vicino a me. E’ una strage che va fermata". [email protected] (Web Info) Read the full article
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Noi non viviamo in un "Paese per donne" e i principi azzurri non esistono in Italia; qui c'è solo una realtà patriarcale che si trascina da secoli in un connubio anomalo fra Chiesa Cattolica (istituzione fortemente misogina e maschilista) e Stato Italiano patriarcale nelle norme stesse costituzionali, pertanto il maggior lavoro di tutela per se stessa, di prevenzione da abusi di ogni sorta, lo deve fare ogni donna mettendo i giusti paletti nella sua vita senza alcun indugio anche per le figlie.
Petizione per la Rimozione dei Medici Obiettori di Coscienza dai Consultori Familiari
Perché questa petizione è importante
Destinatari: Ministero della Salute, Regioni, Enti Locali
Oggetto: Richiesta di rimozione dei medici obiettori di coscienza dai consultori familiari
Negli ultimi anni, la presenza di medici obiettori di coscienza all'interno dei consultori familiari ha suscitato un acceso dibattito pubblico; la Legge 194/1978 che regola l'interruzione volontaria di gravidanza, prevede che i consultori debbano fornire supporto alle donne che desiderano interrompere una gravidanza e garantire l'accesso a servizi di salute riproduttiva; tuttavia, la presenza di professionisti con un approccio non favorevole all'aborto rischia di compromettere il principio di assistenza neutrale e il diritto delle donne a ricevere informazioni complete e imparziali.
Richiesta: chiediamo che venga adottata una misura che preveda la rimozione in via definitiva dei medici obiettori di coscienza dai consultori familiari, con il fine di: - Proteggere il Diritto alla Salute: garantire che tutte le donne possano accedere a servizi sanitari privi di pressioni ideologiche e che rispettino la loro libertà di scelta - Promuovere un Ambiente Neutro: creare uno spazio dove le donne possano ricevere informazioni accurate e supporto senza influenze esterne legate a posizioni ideologiche sull'aborto - Rafforzare i Servizi di Supporto all'IVG: favorire l'inserimento di professionisti specializzati in ginecologia, psicologia e assistenza sociale, capaci di offrire un supporto completo alle donne che desiderano interrompere una gravidanza in quanto non desiderata
Conclusione: la salute e il benessere delle donne devono essere al centro delle politiche sanitarie: è fondamentale garantire che i consultori familiari svolgano il loro ruolo senza conflitti d'interesse o pressioni ideologiche. Chiediamo pertanto l'adozione urgente di misure per rimuovere i medici obiettori di coscienza dai consultori familiari.
[Questa petizione può essere distribuita sia online che in formato cartaceo, raccogliendo firme da cittadini interessati a sostenere questa causa.]
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Non si aderisce alla setta cristiana secondo 'libero arbitrio', ma attraverso un rito di stregoneria (battesimo), e la conseguente iscrizione in un registro, quando si è poco più che neonati.
Si fa presto ad avere molti cattolici: vieni iscritto nel registro dei battezzati poco dopo nato. Non è una scelta andare a catechismo, ma un'imposizione - eppure, la religione, è un fatto personale, privato, su cui i terzi non devono in alcun modo interferire.
Lo Stato italiano non chiede ai cittadini se vogliono o meno finanziare la chiesa cattolica: prende i soldi da tutti (li attinge dal nostro welfare) e questo è calpestare la libera scelta delle persone su ciò che non è essenziale. Non si muore senza un'educazione religiosa.
Non serve una religione per comportarsi bene, ma una Coscienza - cioè Cultura. La religione non è cultura, ma superstizione, Ignoranza. Uno stato Civile non deve dare spazio pubblico alla religione, poiché l'ignoranza porta solo a conflitti sociali, dettati da Irrazionalità.
Essere intelligenti non ha nulla a che vedere con religiosità; Educare qualcuno, farlo comportare bene, non ha nulla a che vedere con gesti da psicopatici, identificabili in coloro che parlano (pregano) 'all'aria fritta', alle statue di coccio e fanno riti magici su altari.
La chiesa ha già il suo Stato (Vaticano) dove far valere moralità, usi e costumi cristiani; i cittadini italiani hanno il Dovere di far prevalere Civiltà e Progresso - non le retrograde posizioni e festività di stregoni.
La religione cristiana è patriarcale, maschilista, misogina, xenofoba, razzista, omofoba; tutte le volte che viene chiamata in causa per criticare qualcuno o qualcosa, si fa riferimento a disvalori, odio irrazionale: a ciò che oggettivamente è spazzatura.
Dichiararsi pubblicamente 'cristiani', manda un preciso messaggio: si dice ai terzi di essere misogini, maschilisti, xenofobi, razzisti, omofobi; si dice ai terzi di essere persone Incivili, poiché il cristianesimo fa apologia di questi disvalori.
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Quando è uscita la notizia del “tifoso” palpatore, ho subito pensato che il tizio in questione fosse il classico soggetto di una certa destra becerotta e iper-patriottica, che si esalta di fronte agli slogan fascio-leghisti e reputa “goliardici” certi gesti. Non mi pare di avere sbagliato, e provo tenerezza (si fa per dire) nei confronti di quei followers di destra che ogni volta se la prendono se gli ricordi cosa sia e come ragioni certa (troppa) destra. Andrea Serrani ha 45 anni, un bel ristorante a Chiaravalle e soprattutto ha una figlia. Ovviamente, adesso, il Serrani nelle interviste usa lo status di “padre” per dimostrare la sua natura di persona seria e matura. Anche questo è un ragionamento tipico di una certa destra: sono padre, o madre, e QUINDI sono una brava persona. E poi sono italiano. E poi sono cristiano. Eccetera. Vi ricorda qualcuno? A me sì. Il profilo Facebook di Serrani (ho salvato alcuni suoi post) è il tipico profilo del patriottico destrorso. Esaltazione (legittima, eh) dei martiri di Nassiriya. Nazionalismo un tanto al chilo. Post in cui si lascia intendere che le donne alla Tatangelo, Ferragni o Belen non sono da lui gradite, forse perché troppo indipendenti o per lui frivole. Meme in cui si esprime il proprio sdegno nei confronti di chi canta Bella ciao. Eccetera. Nulla di volgare (l’uomo non sembra affatto incivile e greve), ma semplicemente il profilo dell’elettore “medio-alto” di destra. Proprio come era naturale immaginare: chi fa certi gesti triviali come toccare il culo a una sconosciuta ha un’idea patriarcale della donna e difficilmente può essere di sinistra. È un altro mero dato di fatto. Le differenze tra destra e sinistra esistono eccome, e si vedono anche da questo. Non vuol certo dire che tutti quelli di destra toccano il culo alle donne (che cazzata!) o che a sinistra sian tutti santi (per carità!), ma vuol dire che quasi tutti (non tutti) quelli che fanno gesti così volgari sono di destra. E Serrani, ahilui. lo conferma. Voglio poi dire un’ultima cosa sul gesto dell’uomo e sulle sue parole. Si è beccato tre anni di Daspo? Benissimo. Gli stadi non hanno bisogno di curvaioli che si comportano così, e sticazzi se non potrà andare a vedere la Fiorentina per un bel po’. L’aspetto giudiziario non lo tocco: non è affar mio e non credo certo che Serrani sia il mostro di Firenze. Diamo il giusto peso alle cose: la pena, se sarà ritenuta necessaria, sia commisurata al reato. Quello che non mi convince è il pentimento del soggetto. Già il fatto che a difenderlo siano Feltri, Sgarbi e Cruciani (condoglianze) dimostra quanto quel gesto sia indifendibile (e di destra). Ma sono proprio le parole di Serrani che non convincono. Le tipiche lacrime di coccodrillo del “fenomeno” che, allo stadio, crede di poter fare qualsiasi cosa. Se non ci fosse stata la telecamera non so se avrebbe mai chiesto scusa. E asserire che “l’ho fatto perché aveva perso la Fiorentina ed ero arrabbiato” fa un po’ ridere e un po’ schifo. Quindi Serrani, ogni volta che la Viola perde (e non capita di rado), tocca il culo alle donne? Qual è il nesso logico? Davvero uno che ha 45 anni e ha il culto (giustissimo) dei “martiri di Stato” ritiene che molestare una sconosciuta perché la Fiorentina ha perso a Empoli sia “una goliardata”? Non ci siamo. Per niente. ******* (P.S. La sospensione di Giorgio Micheletti voluta da Toscana Tv è una follia allucinante. Il giornalista in studio non ha colpe, ha protetto la collega ed è stato vittima di un linciaggio indiscriminato oltremodo vomitevole. Reintegratelo subito e finitela con questo linciaggio vile e sconsiderato). Andrea Scanzi
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Oggi, come ogni anno, abbiamo il dovere di ricordare questa donna straordinaria di nome Franca Viola.
Aveva 17 anni il giorno di Santo Stefano del 1965 quando Filippo Melodia, noto malavitoso e nipote di un capoclan, fece irruzione nella sua casa di Alcamo insieme a tredici giovani armati, che devastarono l'appartamento, pestarono a sangue la madre e rapirono Franca e il fratellino Mariano.
Il fratello lo lasciarono poche ore dopo. Franca no. Franca trascorrerà i successivi sette giorni segregata a letto, a digiuno, in stato di semi-incoscienza, insultata, saccheggiata, umiliata, e infine violentata da Melodia.
Quando, il 2 gennaio, fu rintracciata e liberata dalla polizia, Melodia dava per scontato che tutte le accuse sarebbero crollate con quello che allora era considerato la norma: il "matrimonio riparatore".
Ed è qui che la storia di Franca, e con lei quella di un intero Paese, cambierà per sempre. Franca rifiuta di sposarsi, sceglie di dichiararsi "svergognata" davanti all’opinione pubblica: non era mai accaduto prima.
Franca ha contro tutto e tutti: lo Stato italiano, la mafia, una società patriarcale e arcaica che la considera un incidente di percorso. Accanto a lei solo una persona: il padre Bernardo, che, contro ogni convenzione e a rischio della vita, decide di starle accanto e costituirsi parte civile al processo.
Ed è proprio durante quello storico processo che Franca Viola pronuncia queste parole indimenticabili:
“Io non sono proprietà di nessuno” disse. “Nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto. L'onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.
Dopo mesi di fango, insulti, minacce, intimidazioni di ogni genere, Melodia e i suoi complici vengono condannati a 11 anni di carcere. Franca ha vinto, sposa un altro uomo, si riappropria della propria vita, ma dovremo attendere altri 15 anni - il 1981 - perché il matrimonio riparatore e il delitto d'onore - grazie anche e soprattutto al suo coraggio e alla sua tenacia - spariscano dal codice penale.
Ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, quando Franca incontra per strada alcuni dei suoi carnefici, chinano il capo, incapaci di sostenere lo sguardo, la dignità incrollabile di questa grande donna. A cui tutti dobbiamo dire grazie.
Lorenzo Tosa
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Poco prima di essere obbligati a imbarcarsi, la maggior parte dei giovani centroafricani che veniva deportata attraverso l’atlantico sulle navi dei mercanti di schiavi passava attraverso una cerimonia. Wole Soyinka descrive cerimonie differenti, come bere da una fontana o passare sotto un albero sacro, ma ciò che le accomunava era l’aspettativa che si generasse una perdita della memoria, di tutto ciò che aveva un significato, delle esperienze vissute fino a quel momento. Si diventava schiavi anche dimenticando tutto ciò che aveva a che vedere con la vita precedente.
Ciò che il progetto politico tardo neoliberale sta cercando di realizzare è una sorta di cerimonia dell’oblio planetaria, in cui l’enorme massa di movimenti che si stanno battendo da almeno quattro decenni per la costruzione di un mondo diverso, dimentichi la propria storia per aderire ad un modello che risponde ancora una volta all’impostazione che il capitalismo ha dato all’esistenza. Lasciare tutto, abbandonare il campo, per generare sostenibilità, energie rinnovabili, sviluppo compatibile, in uno scenario in cui la produzione e il commercio del nostro mondo siano ancora la finalità di tutta l’azione umana. Mentre ciò che è emerso con forza nella giornata del 23 marzo a Roma è che dimenticare è impossibile, anche in uno scenario come quello italiano, abituato alla rimozione della memoria. Chi sta lottando da decenni contro un numero smisurato di forme di devastazione ambientale, per difendere la propria vita, non rinuncia a tutto. Soprattutto non rinuncia a ciò che ormai emerge stabilmente dal dibattito critico, cioè che l’intero pianeta è attraversato da conflitti sociali che ormai considerano come nodo centrale del loro discorso politico la difesa della biosfera, la sopravvivenza di varie comunità, l’opposizione ai processi di accumulazione. Tutte queste esperienze stanno diventando un luogo di incontro in cui si sovrappongono i conflitti di singoli territori e la produzione di una forte critica sociale, che inizia a porsi, in modo tangibile, il problema della ricerca di alternative di grande respiro e ha iniziato finalmente a produrre i propri scenari, anticipando in diversi casi alcuni mutamenti del capitalismo globale. La stessa potenzialità si è espressa sabato 30 nella manifestazione di Verona: il movimento femminista sta assumendo a livello planetario la configurazione di un’opposizione originale al tentativo di rilanciare un grande processo di accumulazione sul corpo delle donne. I due campi si dovranno fondere necessariamente, perché l’uno non può esistere senza l’altro, non si può superare la crisi ecologica senza superare la società patriarcale, non si può ripensare la nostra vita dentro le stesse gerarchie che hanno creato il mondo attuale.
Le molteplici esperienze italiane che si sono aggregate attorno al nodo della giustizia climatica e della critica al modello estrattivista neoliberale hanno già ampiamente messo in discussione tutta l’improbabile costruzione ideologica e astratta sullo sviluppo che ha guidato i rapporti tra gli esseri umani e il resto della biosfera negli ultimi secoli. Hanno messo in discussione proprio ciò che ha più bisogno dell’oblio, cioè l’ideologia che sostiene che la conversione del mondo in spazio di produzione e di vendita sia compatibile con la vita e che esistano forme di mediazione realizzabili tra le logiche del mercato e quelle della biosfera, tra lo sfruttamento e la libertà.
Si è trattato anche di una reazione forte, perché l’impossibilità di dimenticare emerge dal carattere evidentemente concreto, palpabile, sensibilmente materiale e ‘prossimo’ delle istanze a cui fanno riferimento tutte e tutti coloro che nella loro quotidianità hanno provato sulla propria pelle, sui propri corpi, la violenza con cui si esprimono le gerarchie di potere, la crisi ecologica, la devastazione di intere aree, la diffusione delle crisi sanitarie. Tutto è stato reso non-dimenticabile.
Le rivendicazioni locali assumono un respiro molto ampio, non solo perché si trovano nello stesso campo di altre su tutto il pianeta, non solo perché, soprattutto nel caso del movimento femminista, hanno assunto una configurazione globale, ma perché si indirizzano verso la critica generale al sistema.
La maggior parte delle lotte ambientali è nata affrontando le questioni proprie dell’economia neoliberale di stampo estrattivista, ma in molti casi è giunta a scontrarsi con gli elementi fondanti del capitalismo. In questo percorso, ci si può riconoscere come soggetti di una stessa dinamica che costruisce un campo comune, che produce qualcosa di nuovo. Soprattutto se quel campo comune riguarda la difesa della vita nella sua forma più pura.
L’articolazione della vita è infatti esattamente il contrario di ciò che viene generalmente rivendicato come sua difesa dalla visione più violenta e reazionaria che abbia prodotto la cultura occidentale. Il vivente non si adatta a schemi stabili e rigidi, ma anzi prospera in tutte le alternative possibili, cerca sempre di ampliare il proprio campo e si rigenera sviluppando forme di protezione e solidarietà. Proprio questo scarto rispetto ai modelli di sviluppo dominanti è un possibile terreno comune di lotta: l’eterodossia della vita contro la trasformazione in valore economico di tutto, contro l’asservimento della biosfera alla spinta uniformante e indifferente della valorizzazione.
Ciò che comincia finalmente a delinearsi è un modo di intendere e praticare la politica completamente nuovo, che sfugge al paradigma moderno e alle nostre esperienze. Le lotte ecologiste e femministe, che abbiamo visto convergere in piazza, dicono che bisogna ricordare e che bisogna farlo a partire dalla vitale concretezza delle tante singolarità del mondo. È un lavoro di tessitura in cui le maglie di una lotta comune si allargano inanellando istanze diverse che si riconoscono come resistenze ad un’unica logica annichilente, quella del capitale e del patriarcato. L’insieme di queste rivendicazioni assume inoltre un carattere tutt’altro che astratto: sono frutto di processi contingenti in cui si sviluppano alleanze strategiche, si attribuiscono responsabilità e si domandano soluzioni o progettualità a venire.
La riuscita delle manifestazioni nazionali sottolinea alcuni passaggi politici, alcuni mutamenti dei movimenti sociali, perché le due piazze parlavano la stessa lingua, così come la parlavano le tante esperienze presenti e perché le rivendicazioni si sono già fuse tra loro, iniziando probabilmente a realizzare un quadro generale da cui nasceranno altre esperienze, altre parole d’ordine e altre prospettive. Quel linguaggio comune potrà essere una base per costruire nuovi scenari e nuove pratiche. Il conflitto politico che questi movimenti cominciano a delineare rende necessario dunque confrontarsi continuamente con tutte le realtà che vogliono costruire un mutamento sociale, ma anche con le basi materiali del vivente: la cura ecologica è già subito inclusa.
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3 mag 2021 11:27
LIKE, CONDIVIDI, INCASSA – IL REGNO SOCIAL DEI "FERRAGNEZ" E' UNA BOLLA DI CONTENUTI DI FACILE BEVA: ANCHE LE BATTAGLIE CHE SEMBRANO PIU' "IMPEGNATE" SONO BEN PONDERATE, MAGARI PERCHE' HANNO GIA' AMPIO CONSENSO TRA I LORO FOLLOWER - CONTE LI INGAGGIÒ PER LA CAMPAGNA SULLE MASCHERINE, I NEMICI LI CRITICANO, MA ANCHE QUESTA VOLTA SONO RIUSCITI A ESSERE AL CENTRO DELL’ATTENZIONE… - VIDEO
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La Rai smentisce la censura.
Ecco la telefonata intercorsa ieri sera dove la vice direttrice di Rai 3 Ilaria capitani insieme ai suoi collaboratori mi esortano ad “adeguarmi ad un SISTEMA” dicendo che sul palco non posso fare nomi e cognomi pic.twitter.com/gu14BxM3G6
Renato Franco per il "Corriere della Sera"
Comunisti col Rolex (era il titolo di un suo album con J-Ax), Che Guevara in Lamborghini: per i detrattori si possono assumere posizioni politiche solo se si è disperatamente alla canna del gas.
«Allora vendo la Lamborghini e mi compro una Panda». Fedez ieri ha rivendicato così il diritto a esprimere le proprie idee anche a bordo piscina. Al netto del conto in banca, la verità è che il Fedez «politico» - grazie anche all' unione con Chiara Ferragni - smuove più like di tanti che il politico lo fanno di professione.
Belli, ricchi, famosi, la vita diventata un reality permanente su Instagram, royal family di uno Stato (il Ferragnezland) da quasi 36 milioni di follower (una volta si chiamavano volgarmente sudditi). Andasse alle Politiche la coalizione Fedez-Ferragni avrebbe tranquillamente la maggioranza (alle ultime elezioni il centrodestra si fermò a 12 milioni e mezzo di voti).
Impegnati, ma non fino al punto di scendere davvero in campo (almeno così dicono nelle dichiarazioni pubbliche). Lui più fumantino (del resto è rapper), lei più stratega (del resto è imprenditrice).
Fedez non teme l' uno contro uno e si è scontrato con tutto l' arco parlamentare: non solo Salvini (ormai è una saga) e Gasparri (che lo definì «coso dipinto»), ma anche l' ultracattolico Giovanardi (sulle droghe leggere); durissimo con Renzi («totalmente ininfluente») ma poi poco malleabile anche con quei 5 Stelle per cui aveva scritto un inno anti-Napolitano («Di Maio parla alle persone come se fossero stupide»). Chiara Ferragni è invece più cauta (un' azienda del resto può sposare solo battaglie di tutti). Il tema del femminismo, di certo meno divisivo, lo sente suo.
«La nostra società è ancora maschilista e patriarcale, le donne vengono giudicate in maniera differente e spesso il giudizio non arriva solo dagli uomini ma anche da altre donne pronte ad accusarsi a vicenda», aveva detto denunciando contestualmente i fenomeni di victim blaming , slut shaming , revenge porn (le battaglie civili ormai passano solo per l' inglese).
A volte è la stessa politica a lusingarli, come quando l' allora presidente Conte li ingaggiò per lanciare una campagna sull' utilizzo delle mascherine.
Quindi? «Non siamo né di destra né di sinistra. Siamo avanti», aveva detto lui. Scendere in politica? «Non è una velleità». L' italiano medio? «Fa casino durante il minuto di silenzio e sta in silenzio quando deve far casino». Difficile dargli torto.
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A proposito di sesso, balle, stronzate e fobie che poi generano - o contribuiscono a giustificare, coprire o motivare - nefandezze, mostruosità e autoassoluzioni (perché "il male" sta sempre altrove).
La donna, o meglio il suo corpo "bianco" e di proprietà del maschio bianco, è un baricentro attorno al quale si produce molto del discorso razzista, xenofobo, identitario e in "difesa" del quale molto si produce in termini di chiusura e oppressione sia dei migranti sia delle donne. La recrudescenza recente - mai sopita - a proposito di violenze e stupri ha fatto schiumare dai tombini del corpo sociale un pus violento e davvero spaventoso. Alzare voci maschili dissonanti - anzi proprio ostinatamente e radicalmente aliene - e ribadire quanto meno alcuni fatti è irrinunciabile.
A quanto pare, il pericolo per le "nostre donne" - se non sono zoccole puttane demoniache pervertitrici dei "nostri ragazzi" in divisa o meno, naturalmente - sono i migranti anche perché si tratterebbe di un esercito di uomini giovani e soli preda dei loro animaleschi appetiti sessuali. Ho visto girare ragionamenti in tal senso anche da parte di persone insospettabili, sotto la veste di pacati ragionamenti "di fatto" corroborati da un certo supposto dibattito francese in tal senso. Ciò è non solo un falso fattuale, ma traina anche un ordine del discorso profondamente - e non sottilemente - razzista, sessista e misogino.
I fatti, per cominciare sono tanto semplici quanto terribili. Le "nostre donne" - intendendo con questo le donne con passaporto italiano - le mettiamo in pericolo noi, noi le violentiamo e noi le molestiamo. Il "noi" è inteso "uomini con passaporto italiano", ma come è stato ben detto chi stupra sono i maschi e non i passaporti. Il 55% delle donne sono uccise dal coniuge o dal convivente, il 18% dall'ex partner, l'8% dal partner non convivente: in totale, l' 81%. Gli abusi sessuali sono compiuti per il 95% da persone vicine, nel 5% dei casi da estranei (tra cui rientrano gli "stranieri").
Ciò detto, veniamo all'ordine del discorso per cui i migranti sono un problema sessuale per la "nostra" società perché sono nella magior parte uomini giovani.
(1) In questa affermazione ci sono, intanto, una profonda radice razzista e una profonda radice patriarcale. Si dà per ovvio che i migranti in Europa - il negro fra i bianchi, insomma - non possa intrinsecamente avere una normale vita di relazioni umane. Ovvero che non sia un "normale" uomo che possa avere relazioni amicali, amorose e sessuali con donne e uomini (cediamo al binarismo per semplificare, chiedo scusa) europei. Ovvero si dà per ovvio e assodato che le/i "bianchi" non possano provare attrazione per queste persone, a meno di non essere pervertit@. Se così non fosse, l'affermazione in sé perderebbe totalmente di senso, quindi è evidente che questo è un pilastor portante di questo ordine del discorso. Non a caso questo discorso appare ovvio ed evidente in sé soprattutto a maschi bianchi, probabilmente terrorizzati dalle conseguenze che la sua negazione potrebbe avere sull'impalcatura della propria identità "razziale" e sessuale.
Pochi mesi fa, con molta felicità, sono stato testimone del matrimonio di una ragazza greca e un ragazzo marocchino, che da poco hanno avuto un figlio. Ogni tanto na gioia
(2) Chiaramente, "gli stranieri" sono bestie incapaci di governare appetiti e desideri. Per il fatto di avere il cazzo evidentemente non possono fare altro che volerlo infilare in qualche fica bianca. A guardare i dati di fatto, e l'enorme corpus di narrazioni che tutti conosciamo benissimo dal famoso spogliatoio della palestra ai racconti delle feste, mi parrebbe che quanto meno si possa dire lo stesso di tutti al di là del passporto. Allora forse il passaporto e il colore della pelle non sono un fattore importante ma solo un mezzo per autoassolversi e per stringere la presa sul "proprio" gregge di fiche bianche con la miserabile scusa di volerle "proteggere" da un pericolo che avevano, e continueranno ad avere, soprattutto già accanto, molto spesso fra le mura di casa o nella cerchia di amici.
(3) A quanto pare non ci sono maschi europei senza compagna. Sembrerebbe che il maschio europeo nasca con il diritto a possedere una donna con cui sfogare i propri istinti sessuali. E in effetti il frame del femminicidio deriva esattamente anche da questo tacito presupposto che evidentemente il maschio assimila fin dai primi giorni di vita. Vogliamo davvero sostenere che non c'è nessun problema di sessualità nella cultura europea, machista, maschilista e patriarcale? Se il problema nasce anche da una supposta cultura distorta che i migranti avrebbero nei confronti della donna (e molto spesso ce l'hanno, come tutti i maschi, ndr), affermando questo quell'ordine del discorso sta esplicitamente negando che altrettanto si dà per la cultura europea e bianca. Lasciando anche stare l'attitudine predatoria e stupratoria dei colonizzatori europei, vogliamo ignorare ciò che tutti sappiamo e che è benissimo illustrato dai famosi commenti alle notizie che fanno splendida mostra di sé nei social? Inguardabili gruppi di fb come "cagne in calore", "sborrate sulle mie amiche", "sesso droga e pastorizia" e tanti altri sono forse il segno di una condivisibile cultura maschile nei confronti del femminile? Gli immancabili auguri di stupri etnici, il linguaggio grondante di allusioni e offese sessuali (l'onnipresente "puttana" anche per la fila alle poste, per dire), non sono un problema di distorta cultura? Va tutto bene dal punto di vista del sesso e della sessualità, sì, nelle nostre meravigliose società europee vero?
Per di più, tutto ciò si traduce immediatamente in dispositivi sociali, che fanno presto a divenire istituzionali (come ad esempio il diritto differenziale inaugurato da Minniti), di oppressione e razzismo. Come ad esempio a Trieste, per citare solo gli ultimi due casi recentissimi di questa città martoriata, con le "ronde" promosse da un consigliere comunale della Lega (protagonista di una storia di razzismo e chiusura identitaria lunga due anni) e i "controlli" pretestuosi sulla popolazione dei richiedenti asilo.
ma noi, la brava gente "non sapevamo", "non immaginavamo", cosa potevamo fare.
Luca Tornatore
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Capofamiglia codice civile: cosa dice il diritto di famiglia
Capofamiglia codice civile: con la fine dell'era patriarcale chi assume il ruolo di guida della famiglia? La riforma del diritto di famiglia degli anni Settanta ha, infatti, abolito la potestà del marito sulla moglie e attribuito ai coniugi la stessa responsabilità. Oggi capofamiglia è chiunque possa gestire e coordinare le attività di una famiglia. Cosa si intende per capofamiglia Il termine "capofamiglia" si riferisce alla persona che, all'interno di una famiglia, assume il ruolo di guida. E' responsabile principale delle decisioni e dell'organizzazione della vita familiare. Tradizionalmente, il capofamiglia è stato spesso identificato come il padre o il marito, che assumeva il ruolo di breadwinner. Era, cioè, colui che provvede al sostentamento economico della famiglia. Tuttavia, negli ultimi decenni, con il cambiamento dei modelli familiari e il crescente coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro, il concetto di capofamiglia si è evoluto e può essere assegnato a qualsiasi membro della famiglia, indipendentemente dal genere, che assume il ruolo di coordinatore e gestore delle attività quotidiane della famiglia. Com'è cambiato il ruolo del capofamiglia con la riforma del diritto di famiglia? La riforma del diritto di famiglia, introdotta in Italia con la legge n. 39 del 1975, ha modificato profondamente il concetto di capofamiglia. In particolare, la legge ha abrogato quella parte dell'articolo 143 del Codice Civile, che prevedeva che il marito fosse il capofamiglia e che la moglie dovesse obbedirgli. Con la riforma, il concetto di capofamiglia è stato sostituito con quello di "genitori esercenti la responsabilità genitoriale congiunta". Questo significa che entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e doveri nell'educazione e nella cura dei figli. In generale, la riforma del diritto di famiglia ha sancito un cambiamento culturale importante, ponendo fine alla discriminazione di genere e alla visione patriarcale della famiglia. Oggi, il capofamiglia non è più un ruolo assegnato automaticamente al padre o al marito. E' piuttosto un ruolo che può essere svolto da chiunque assuma la responsabilità di gestire e coordinare la vita della famiglia. Quali sono i diritti e i doveri dei coniugi? I diritti e doveri dei coniugi sono regolati dal Codice Civile italiano, in particolare dagli articoli 143 e seguenti. Ecco quali sono alcuni dei principali diritti e doveri dei coniugi: Diritti dei coniugi: - Diritto alla fedeltà reciproca - Diritto alla convivenza e alla collaborazione - Diritto alla protezione e alla cura reciproca della salute fisica e mentale - Diritto a partecipare alle decisioni che riguardano la famiglia e l'educazione dei figli - Diritto di proprietà condivisa sui beni acquisiti durante il matrimonio Doveri dei coniugi: - Dovere di fedeltà reciproca - Dovere di assistenza morale e materiale reciproca - Dovere di collaborazione nella gestione della vita familiare e nell'educazione dei figli - Dovere di contribuire ai bisogni della famiglia in base alle proprie possibilità economiche - Dovere di mantenere i figli e di provvedere alla loro educazione In generale, i coniugi sono tenuti a rispettare i reciproci diritti e doveri, a collaborare nella gestione della vita familiare e a mantenere un rapporto di rispetto e solidarietà reciproca. E' possibile, in caso di conflitti o di violazioni dei doveri coniugali, ricorrere alle vie legali per tutelare i propri interessi e risolvere le eventuali controversie. In copertina foto di ANURAG1112 da Pixabay Read the full article
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