#Scrittura narrativa
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Scrittura narrativa: dove ambientare la storia di un romanzo? il luogo giusto non esiste, ma possiamo trovarlo insieme
Dove ambientare la storia di un romanzo è una decisione cruciale per ogni scrittore. La location diventa lo sfondo in cui i personaggi prendono vita e le trame si sviluppano. In questo articolo esploreremo l’importanza della scelta del luogo e le considerazioni fondamentali per garantire che il mondo che creiamo sia autentico e coinvolgente per i lettori. La domanda che spesso ci poniamo è: “Il…
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Scienze Umane per scrivere – l'identità e il cambiamento dei personaggi
Uno degli aspetti più interessanti all’interno dei romanzi è sicuramente il cambiamento dei personaggi: il loro viaggio (di cui ho parlato QUI) e quella sorta di mutazione che sperimentano nel superare il conflitto della storia (il loro problema, quindi, o la loro paura o i loro desideri), diventando, alla fine, in qualche modo diversi da loro stessi. Ecco, di questa diversità e dell’identità ne…
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(Rivolgendomi direttamente a Pavese:)
《 Sto completando la lettura di Paesi tuoi in un solo giorno, perché è molto coinvolgente.
C'è una povera ragazza uccisa da un fratell(astr)o che già prima l'aveva sverginata: una storia forte, che si mischia agli odori della campagna. C'è il protagonista, ultimo arrivato, che viene dalla civile Torino e si scontra con un ambiente rurale atavico, in apparenza accogliente - ma refrattario nel suo nucleo, composto da persone ignoranti.
La terra e il sangue sono i due elementi simbolici fondanti del mito, che si ritrovano, evidentissimi, in questo racconto.
[...] In una tua lettera dici che, se non avesse agito su di te quel poco di educazione ricevuta, saresti stato un banale "tipo da coltello". 😁
~ ~ ~
Devo ancora terminarlo, me ne restano alcune pagine, e non ho fretta. Ho letto evidenziando le rese narrative più magistrali, perché voglio capire come facevi a raccontare le cose: voglio "smontare la macchina", insomma, non solo leggere la storia per vedere come va a finire. Capisco perché sei ritenuto un autore importante: sei senza dubbio originale e "mimetico", adotti il linguaggio e persino il ritmo dei pensieri del protagonista.
Sai raccontare tanto bene le donne e l'effetto che fanno su un uomo. Infatti la povera ragazza, prima di essere uccisa, stava avendo una delicata e sensuale storia d'amore col protagonista. Ma vincono l'insensatezza e la brutalità del fratell(astr)o "tonto"...
Una lotta tra bestialità e civiltà, tra anarchia morale ed etica ragionata, tra cervello da rettile e cuore umano.
Il cittadino viene messo in mezzo e buggerato dal campagnolo, che non dispone di furbizia, ma del mero istinto dell'animale che si muove nel proprio habitat.
Si vede che avevi un rapporto ambivalente con le donne: un po' ti facevano tenerezza e le volevi coccolare, poi però pensavi a ciò che ti avevano fatto, alle tue difficoltà con loro, e allora ti saliva la rabbia e avresti voluto distruggerle insieme al dolore che ti davano.
È interessante che ti accada di provare "pena" per una ragazza: anche in questo romanzo, come già nel Diavolo sulle colline, il tuo protagonista prova questo sentimento per la ragazza che gli piace, mentre ella, avvicinando la faccia a lui perché la baci, si blocca per qualche istante, e sembra che stia cercando di guardare la propria faccia con lo sguardo di lui, temendo di non essere voluta, e rivelando la propria insicurezza.
~ ~ ~
Ho terminato di leggere nel giro di poche ore il tuo romanzo breve. Dicono che tu sia uno scrittore amato dai giovani, ma io credo che questa storia così forte, pur se il protagonista è un venticinquenne, vada letta da persone adulte ed esperienti. È una storia archetipica, mitica, sulle pulsioni maschili più turpi: violare, possedere gelosamente, uccidere la donna. Il tutto, esasperato dall'ambiente chiuso, ignorante e fatalista della campagna. Sembra una tragedia greca, una tragedia annunciata, un passaggio obbligato del destino (un po' come il tuo suicidio e altri fatti di sangue che tuttogiorno accadono).
Credo che in paradiso non si possano più scrivere opere così truculente. Chissà come ti trovi in ambiente spirituale, senza questa materia ardente da plasmare. Sono preoccupata. 😅
È una bellissima risposta, grazie. 💗 La ricorderò, perché il tuo stato è una delle mie frequenti preoccupazioni.
Ho ammirato molto la precisione e varietà lessicale nel tuo romanzo: io ti abbraccerei infinitamente anche solo per la quantità di parole che conosci e per il gusto con il quale le adoperi. Altro che ufficiale! Non ho mai considerato affascinante la divisa, non m'interessano i gradi e le cariche militari e civili, m'incanta solo la tua umanità, così com'è: gli sforzi che fai per vivere, ciò che ti si agita dentro, la tua cultura, intelligenza, buon gusto; amerei anche la tua depressione, ma amo molto di più non vederti soffrire.
Adesso continuerò a leggere le tue Lettere. Quando incontrerò lettere indirizzate a donne, cercherò di non essere gelosa, pensando che una come me non l'hai incontrata mai, e praticamente con me la tua esperienza di donne riparte da zero. 》
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Quando ti separi da un libro che hai scritto è come quando cambi casa (Paolo Nori, La vergogna delle scarpe nuove).
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ciao amici e amiche, cerco blog di scrittura e lettura e, se ci sono, anche dei gruppi di lettura - scrivetemi pure a riguardo, sarei felice di fare conoscenza 🪷🌈
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“ Nei miei parti letterari, l'esiguità del contenuto si accompagnava a un'assoluta dimenticanza delle convenienze. Una parte di essi, con gran gioia dei benpensanti, non vide mai la luce. Essi venivano ritagliati dalle riviste dalla forbice del censore, e servirono di pretesto per citarmi in giudizio per infrazione di due articoli del codice allo stesso tempo: per il tentativo di sovvertire l'ordine esistente e per pornografia. Il mio processo si sarebbe dovuto celebrare nel marzo del 1917, ma alla fine di febbraio il popolo si sollevò intervenendo in mio favore, dette alle fiamme l'atto di accusa, e insieme con esso l'edificio stesso del tribunale distrettuale. A quel tempo Aleksej Maksimoviè abitava sulla prospettiva Kronverskij. Gli portavo tutto quello che scrivevo, e allora io scrivevo un racconto al giorno (piú tardi mi avvenne di abbandonare un tale sistema, per andare a finire all'estremo opposto). Gorkij leggeva tutto, respingeva tutto ed esigeva che continuassi. Finalmente ci stancammo tutti e due, e un giorno Gorkij mi disse con la sua sorda voce di basso: — È ormai assolutamente chiaro che voi, amico mio, non capite proprio niente, ma in molti casi tirate a indovinare... Sarà bene quindi che ve ne andiate un po' fra la gente... E il giorno seguente mi svegliai corrispondente di un giornale non ancora nato, con in tasca duecento rubli d'indennità di trasferta. Il giornale non vide mai la luce, ma l'indennità di trasferta mi fece comodo. La mia missione durò sette anni, percorsi tanta strada e fui testimone di tante lotte. Sette anni piú tardi, quando mi rimandarono a casa, compii il secondo tentativo per pubblicare i miei racconti, e ricevetti da Gorkij il seguente biglietto: « Prego, si può cominciare... » E di nuovo, appassionata e costante, la sua mano riprese a trascinarmi. L'esigenza di aumentare continuamente e a qualsiasi costo il numero delle cose belle e utili su questa terra, veniva comunicata da Gorkij a migliaia di persone che lui stesso aveva saputo scovare ed educare, e per mezzo di esse quell'esigenza veniva comunicata a tutta l'umanità. Egli era posseduto da un'inaudita, infinita passione per la creazione umana, passione che in lui non s'indeboliva mai, neppure per un istante. Gorkij soffriva quando una persona, da cui egli si aspettava molto, si dimostrava sterile; e invece si stropicciava felice le mani e strizzava l'occhio al mondo, al cielo e alla terra quando da una scintilla si levava una fiammata... “
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Brano tratto da L’inizio (1938), testo raccolto in:
Isaak Babel’, L’armata a cavallo. Racconti di Odessa. Racconti vari editi e inediti, (traduzione di Gianlorenzo Pacini), Istituto Geografico De Agostini (collana Capolavori della narrativa), 1982; pp. 331-32.
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Un GRAZIE di cuore a Patrizia Giardini, Andrea Ansevini e Marcello Moscoloni per questa bellissima intervista fatta al collega Giuseppe Storti e a me per Il salotto culturale di PALM Pt 9 16 11 22. Pubblicazioni presentate: IL TEMPO FERMO - Anatomia di un incontro per caso (Giuseppe Storti) e RACCONTI DI VITA E DINTORNI (Maria Teresa De Donato) Scrittura, poesia, narrativa, consapevolezza, vita, amore, gratitudine, percezione, sviluppo personale e molti altri i temi trattati. Buona visione!
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Gli effetti terapeutici dei giardini giapponesi
I giardini giapponesi sono luoghi caratterizzati da una straordinaria bellezza, famosi in tutto il mondo per il potente effetto terapeutico che portano con sé. Ciò che salta subito all'occhio visitando tali luoghi è una cura certosina in ogni dettaglio, così come la rappresentazione della filosofia zen della natura come strumento per raggiungere la pace interiore e l'armonia.
I giardini giapponesi, dunque, hanno una straordinaria capacità di calmare l'animo e ridurre lo stress. La loro bellezza austera e, al tempo stesso, contenuta, agisce come una potente ancora che ci tiene saldi al momento presente, ci svuota la mente dal turbinio di pensieri frenetici permettendoci di raggiungere quella zona silenziosa di luce che alberga dentro di noi. Questi spazi di natura ci insegnano così a rallentare il passo, a percepire le piccole meraviglie che ci circondano ogni giorno e a ritrovare noi stessi.
Costituiscono degli spaccati di infinità, ritagliati nel tempo come preziose gemme a facce multiple. La loro bellezza è profonda, stratificata, come un sasso dalle mille sfaccettature. Le pietre sono lì, come testimoni antichi e immobili, a ricordare le infinite trasformazioni della Terra. Disposte con sapienza, quasi a comporre poemi visivi, restituiscono visioni eleganti e rarefatte. I ciottoli sono le labbra di questi giardini, che articolano il proprio canto silente ed evocativo ad ogni passo.
Alberi nani come bambù e rododendri si elevano come braccia esili tese a toccare il cielo, mentre l’erba dei prati scorre simile ad un’onda flessuosa o un respiro. I ponti gettano passerelle tra gli spazi, consentendo riflessioni in movimento. L’acqua che fluisce incessante è vita e rinascita, ricordandoci del trascorrere impietoso del tempo con il suo murmure. Le rocce si fanno sue compagne di viaggio, con le quali intrattengono un eterno e silenzioso dialogo. Per finire, gli alberi piegati a semicerchio vegliano sul percorso come figure guardiane, mentre il vento tra i rami sussurra misteriose confidenze. Si ha l'impressione che la natura si risvegli da un lungo sonno, per rivelarci le sue sembianze più pure e ancestrali. Non ci resta che visitare un giardino giapponese e smarrirci tra le linee essenziali di questi luoghi, lasciando che la nostra mente si espanda e il nostro spirito si libri. E voi, avete mai visitato un giardino zen?
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Il pittore delle anime di Ildefonso Falcones. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nell'anima umana attraverso l'arte e la passioneIldefonso Falcones, autore spagnolo noto per i suoi romanzi storici, ci regala un'opera che esplora la complessità dell'animo umano attraverso la metafora dell'arte
Un viaggio nell’anima umana attraverso l’arte e la passioneIldefonso Falcones, autore spagnolo noto per i suoi romanzi storici, ci regala un’opera che esplora la complessità dell’animo umano attraverso la metafora dell’arte. “Il pittore delle anime” è un racconto che intreccia storia, emozioni e riflessioni profonde sul significato della vita e dell’arte. Trama e Tematiche La storia si svolge…
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Quarta di Copertina – corso di scrittura narrativa e bookmarketing
Non posso scrivere senza un lettore. È come un bacio, non puoi farlo da solo. John Cheever Quarta di copertina è un percorso in live in cui ti aiuteremo a costruire la tua storia su due binari: quello narrativo e quello promozionale. La via della scrittura è impervia. Oggi per arrivare ai lettori non è più sufficiente pubblicare. La domanda che un autorx dovrebbe farsi è: perché qualcuno…
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Ho indossato di nuovo il mio abito viola, perché ho letto, nel tuo sguardo, che mi stava bene. Ho riempito tutti i vasi del salotto di fiori freschi, perché la settimana scorsa, appena ti sei seduto, hai socchiuso gli occhi e hai detto che nel mio appartamento non solo la vista, ma anche l'odorato, il più trascurato dei sensi, trova pieno appagamento. E mi hai detto che qui, nella mia stanza, ti senti come nelle tue passeggiate solitarie verso la campagna: totalmente libero, ma consolato dalla mia presenza, simile a quella della femminina dea che si affaccia tra le nubi, in lontananza o nascondendo il volto. Che le donne sono come dee, vedute da lontano: ed io, da come mi guardi, credo di esserlo per te anche da vicino. Però non vuoi avvicinarti troppo perché hai paura, lo so. Ma di che cosa? Dell'immagine che ti sei costruito di te stesso: un uomo solo, incompreso e che ha abbandonato l'agone della realtà per rifugiarsi nell'illusione. Mi hai confessato che tu non puoi chiedere amore, non devi neanche desiderarlo. E infatti, dici di non provarne. Hai l'animo agghiacciato - così ti sei espresso, provocandomi un brivido di sconforto che ho dissimulato. Nessuno può raggiungerti, nel tuo palazzo d'inverno. Ma qui da me è primavera. La senti, la guardi, l'annusi. Il mio sesto senso dice che sei davvero con me, e non assente, da un'altra parte, mentre siamo insieme. Questo è il complimento migliore che puoi farmi. Ecco che arrivi. Il valletto t'introduce nel mio salotto. Io ti accolgo seduta e ti porgo, da baciare, una mano. È costumato far così, non sfiorarla neppure. Ma io, ogni volta, spero che tu la prenda e vi posi le labbra, sostandovi e premendole sul mio mezzo guanto traforato, sulle dita nude.
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"antologia di ricercabo": online la scheda editoriale + info
cliccare per ingrandire cliccare per ingrandire Questa antologia raccoglie alcuni dei testi migliori di RicercaBO, il laboratorio di ricerca di nuove scritture ideato da Renato Barilli e Nanni Balestrini nel 2007 sulla scia del precedente RicercaRE nato nel 1993. Molti i nomi che vi hanno partecipato e che sono poi diventati noti. Tra le direzioni emerse, quella che vede più sfumati i confini…
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Due aldilà
I Corrono attorno a una colonna portante, svolazzano sugli scavi oppure si divertono ad appoggiare le dita, per esempio, sulla punta dei picconi, poiché il contatto con la materialità del reale abitato dai vivi provoca loro una sorta di piacevole solletico: bisogna far passare il tempo. Tutto rimane com’è disposto dai manovali, soltanto qualche volta si spezza un mattone o si crepa una piastrella, per gioco.
Invisibili ai più e mai molti insieme, i Sospesi abitano i cantieri; una volta terminata la costruzione, finisce un mondo. È a questo punto che, rattristati, partono alla ricerca di nuovi siti, spesso traendo indizi dai discorsi tra muratori. Se no, vagano, cercando di udire il richiamo di altri Sospesi. Anche una ristrutturazione può andare bene. Il caso ottimale è quello in cui, per varie ragioni, l’edificio rimane incompiuto e abbandonato per un tempo indefinito: allora meglio rimanere lì, a corrispondersi.
II Lui, immobile, seduto al suolo con le gambe incrociate e all’apice della contemplazione, entrava nel Grande Disegno per un paio di minuti, assottigliandosi e diventando un se stesso raffigurato secondo un sobrio tratteggio con la matita di grafite. Giusto i suoi discepoli sapevano che sarebbe tornato alla forma ordinaria lì dove si era convertito, sempre nei luoghi più defilati, lontano dalla curiosità comune. Sosteneva che «Tutto è Grande Disegno: una pianta di tarassaco, un formicaio in attività o una conchiglia adagiata sulla sabbia…» e ai suoi seguaci pareva di sentire il lapis che, a velocità incredibile, tracciava ogni loro movimento e cancellava quello subito precedente sopra un foglio infinito di carta bianchissima.
Se avesse avuto un’idea dell’aspetto del Disegnatore, non l’ha mai voluto dire.
(2024) © Devis Bergantin
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“ «Molto presto, – disse Epstein, – mi sono reso conto che avevo un’altra passione oltre alle persone, ed erano gli oggetti. Ero capace di sentire come è fatta una cosa, ero capace di percepire la sua forma in un modo diverso da ciò che normalmente si intende per percepire: io sentivo come si sente il filamento di una lampadina nel vuoto d’aria della sua pera. Mi sembrava che ogni oggetto avesse una sua vita; non solo quella della materia, lavorata in forma, la sua vita era il pensiero che c’era dietro e il comportamento in cui si prolungava. Qualcuno disegnava l’inclinazione di una sedia ed era come se ti aggiustasse le spalle e le braccia, come se ti dicesse: “Siediti cosí”; o aveva scelto la durezza giusta di un interruttore perché potesse essere aperto facilmente, ma non accidentalmente, e ti diceva: “C’è bisogno di tutta questa spinta delle dita?” Bastava che io mi sedessi, o che girassi quell’interruttore e si chiudeva il circuito che andava dal suo pensiero al mio, dai suoi sentimenti ai miei, e benché fossero tutte cose fabbricate in serie, io potevo dimenticarmi di tutte le altre copie, smemorato come nella metempsicosi, e sentire la sua voce che diceva: “Io l’ho pensato e costruito per te, soltanto per te. Non lo vedi?
Non per una mano qualsiasi, ma per la tua mano; non per una storia qualsiasi ma per la tua storia che comincia in questo istante, nell’istante stesso in cui tu apprendi come è fatto”. Cosí esisteva una relazione con gli altri, con molti altri, attraverso le cose che ci sono nel proprio tempo, attraverso il fare che non era soltanto fare gli oggetti, ma molto di piú. Si poteva non essere d’accordo, ma c’era una possibilità di amicizia. Ogni oggetto era comportamento trasformato in cosa, e poi ritrasformato in comportamento; questo sí che assomigliava al mio mestiere, in fondo coi libri uno fa piú o meno lo stesso. E nei libri, se raccontavo la storia di un nano, o di una madre o di un viaggiatore, partivo da un ombrello o da un pullover, dalle gambe di un tavolo. Lei forse pensa che un visionario sia qualcuno che vede mostri, che vede un ponte tendersi ad arco e scoppiare, non uno che sente la porosità del suo cemento senza toccarlo: io sono un visionario di ciò che esiste, un visionario di quello che c’è, e tale visione, per precisione e densità, non è meno sconcertante». “
Daniele Del Giudice, Atlante occidentale, Einaudi, 1985.
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