#la vergogna delle scarpe nuove
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Quando ti separi da un libro che hai scritto è come quando cambi casa (Paolo Nori, La vergogna delle scarpe nuove).
#narrativa#narrativa italiana#letteratura italiana#scrittura#paolo nori#la vergogna delle scarpe nuove
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Paolo Nori - La vergogna delle scarpe nuove (lettura integrale) 2008
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𝗧𝗵𝗼𝘀𝗲 𝟮𝟰 𝗵𝗼𝘂𝗿𝘀___________________𝟭𝟴/𝟬𝟱/𝟮𝟬𝟭𝟳.
Un odore ferroso insieme assieme ad acre puzza di sudore si poteva sentire nell'aria di quello sventurato capanno di un cantiere. La notte era passata, probabilmente anche la mattina, non riusciva a comprendere esattamente che ora fosse sentiva solo un gran sete, aveva la gola secca così come la labbra il cui lato era marchiato da un ecchimosi che andava dalle sfumature di rosso al viola accesso. Halina in quel momento era come se fosse in una bolla, sulla sua pelle bianca come il latte spiccavano piccole bruciature rossastre, tagli rossi come sangue sulla neve. I capelli mossi e secchi ricadevano sul viso dagli occhi vuoti che non riusciva più a tener dritto, scendendo sul suo corpo si poteva notare il suo braccio sinistro dal polso completamente storto, le piccole dita esili affusolate passate da parte a parte con un strumento simile a un cavatappi. Nelle prime ore di quella dolorosa notte aveva urlato molto come solo da bambina sotto le continue percosse della signorina Inze era solita fare, ma alla fine anche la voce l’aveva abbandonata. Non percepiva più neanche le sigarette che quello Shingdoo le spegneva sul palmo della mano destra, che ormai era divenuta il suo posacenere. Lei detestava lo sporco, la puzza di sudore le ricordava il luogo dove era cresciuta che avrebbe voluto dimenticare. Da piccola a volte per punirla le immergevano la testa in acqua putrida dove erano stati lavati gli indumenti sporchi di tutto l’orfanotrofio, in quella stanza vuota le sembro di udire ancora la risata della signora Inze e le parole che era solita dirle.
“Halina, sei una bambina davvero cattiva. Per questo i tuoi genitori non ti amano e ti hanno lasciato qui, chi amerebbe mai una come te ? Sei un scempio della natura con quegli occhi quasi inumani. Se fossi stata tua madre ti avrei affogata nella culla per la vergogna.”
Era sempre stato come se quella donna la volesse morta, ma lei era ancora viva, aveva lottato in tutti i modi per restare attaccata a quella vita. Ne era sempre stata felice perché anche se per poco tempo aveva potuto restare accanto di suo padre e dello zio Nikolaji, ma aveva finito per perdere irrimediabilmente anche loro, il suo cuore si era spezzato così tante volte che non era più sicura di averne ancora. Il capannone dagli ampi soffitti si aprì una fioca luce aranciata l’abbagliò e una figura entrò a passo veloce, si udirono i suoi passi rimbombare sul pavimento.
«AHHH, Shingdoo ti sei parecchio trattenuto. Però tutto questo sangue, ti avevo detto di non rovinarla troppo. Beh, non importa va fuori voglio parlare da solo con lei.»
«Non credo che le risponderà, signore. »
«Va.»
Il suo carnefice lasciò quel capanno con le mani sporche del suo sangue, mani che Minhyun nella sua codardia non si sarebbe mai osato sporcare. La toccò, le fece una carezza in volte che le diede i brividi di disgusto, non voleva che lui la toccasse, non voleva essere toccata.
«Guarda che mi hai fatto fare. Rovinarti in questo modo è uno scempio. Anche se finalmente riesco a vederti docile.»
Le alzò il voltò che a quel tocco le sembrò bruciare di dolore per quanto fosse martoriato. Le accarezzò con le dita le labbra secche e piene di spaccature a forza di morsi per trattenere il dolore.
«Le tue labbra sono sempre state così belle. Dimmi la tua decisone.»
Averlo così vicino fu come un risveglio d’ira, aprì la bocca di scatto e gli morse le dita così forte da farlo ritratte con la mano sanguinante e un urlo acuto. Lo guardò con gli occhi pregne d’odio, le narici dilatate il respirano ansiamene da cui uscì una flebile voce sussurro.
«Vaffanculo. »
Le pupille di Minhyun si dilatarono e scoppiò nuovamente in una delirante risata, portandosi la mano sul viso. Si avvicinò nuovamente e batté le mani in applauso teatrale mentre sorrideva guardandola compiaciuto.
«E’ incredibile eppure credevo che avresti ceduto. Evidentemente quello che ha fatto Shingdoo non ti è bastato ? Ma non preoccuparti finalmente mi hai dato la possibilità di fare qualcosa che desidero da tanto. Sta buona e potrebbe essere persino piacevole.»
Si raddrizzò con la schiena irrigidendosi, deglutì in modo rumoroso mentre Minhyun si apprestava a slegarle le caviglie afferrandola per i polpacci, cominciò a dimenarsi nonostante ogni movimento le caviglie strette tra le mani di Minhyun le dolevano avvertendo il muscolo stirarsi. Una ventina di uomini erano stati mobilitati alla ricerca della russa scomparsa ormai da diverse ore. Quindici solo per le strade di Seoul, quindici che rispondevano all'ordine superiore di scandagliare ogni piazza della città, quindici che una volta scovati i pusher di Minhyun ebbero il compito di puntare una fottuta arma alla testa di quei pesci piccoli per strappar loro una qualsiasi informazione che portasse al luogo dove Halina era stata segregata, perchè ormai era a quella conclusione ch'era arrivato. Quella notte s'era rivelata poco produttiva pur ribaltando gli angoli più sconosciuti di quell'enorme metropoli. Nessuno sapeva, nessuno se non un unico uomo che professò di aver udito il 'grande capo' parlare di una donna che sarebbe dovuta esser prelevata presso l'università di medicina. Bingo. E al tempo stesso un informazione che confermava la sua tesi ma che non l'avrebbe portato sulle esatte tracce di Halina. Ognuno di quegli uomini fu giustiziato con un colpo di proiettile alla calotta cranica e i cadaveri fatti sparire come se quelle persone non fossero mai esistite. Nessuna pietà, quella notte. Minhyun aveva oltrepassato ogni limite e la punizione doveva essere esemplare. Dominic dovette agire diversamente, dovette spingersi oltre. Osare e osare duramente esponendosi. Si recò alla stazione di polizia del quartiere ove era sita l'università, studiò dapprima ogni agente e individuato ' il suo uomo ' allora con la scusa di parlargli privatamente si fece portare all'interno della sala controllo ove venivano monitorate le strade del quartiere e le registrazioni immortalate sugli appositi nastri. « Sono molti soldi, non credi? » Disse all'agente, dopo aver deposto sulla superficie lignea del tavolo due mazzette che abbondavano di banconote, abbastanza da poter vivere agiatamente per tre, forse anche quattro mesi senza farsi mancare alcun tipo di vizio. « Potresti intascarli facilmente, nessuno lo verrebbe a sapere. Rimarrebbe un piccolo segreto, uno scambio di favori tra due uomini di parola. Non lo trovi equo? Dovresti solamente mostrarmi alcuni nastri e poi mantenere chiusa la bocca. » E la sua voce parve così ferma, sicura e pregna di tentazione, che l'agente non potè resistere dal venir sedotto dal profumo dei soldi e cedette, chiuse un occhio e si fece da parte lasciando la postazione libera al demonio che l'aveva comprato. Quattro maledette ore. Quattro. I capillari dei suoi occhi sembravano sul punto di scoppiare tanto intensamente aveva guardato quelle riprese. Ma la pazienza venne ripagata dal fatto che nell'ultimo nastro in rapida visione, Dominic, fu in grado di assistere a ciò che esattamente era successo il pomeriggio precedente. Le immagini mostravano Halina in procinto di venire intossicata da un piccolo panno e poi portata via a bordo di un auto. Seguì quell'auto per ogni incrocio, collegava un fotogramma all'altro facendo mente locale per ricordare ogni particolare della strada che l'auto percorreva così da poterla localizzare nelle nuove immagini. Quando l'auto fermò innanzi ad un cantiere in disuso ebbe finalmente la risposta che da ore stava attendendo, adesso conosceva il luogo ove Halina era detenuta e con la consapevolezza che l'inferno stava per bruciargli sotto alle suole delle scarpe, come fosse una catastrofe naturale ambulante uscì dal commissariato a passi furiosi e pesanti, poi premette sul telefono il tasto per la chiamata rapida; fu Sangmin a rispondere. « Voglio te e altri sei uomini pronti in dieci minuti. Prendi i ferri. Ci muoviamo in due macchine. » In un'altra situazione, Dominic non avrebbe preso parte a tutto ciò. In un'altra situazione avrebbe inviato i suoi sicarios a risolvere la questione ma stavolta era diverso. Si trattava di Halina. Si trattava di salvarla non tanto perchè lei lo aveva fatto in precedenza per lui, si trattava di quella briciola di lucido buonsenso che gli mosse gli arti senza porsi domande di natura prettamente inutile. Era sua moglie, anche se soltanto sulla carta quella donna era sua moglie e avrebbe ribaltato ogni edificio e tutti coloro che v'erano dentro pur di riprenderla con sè, pur di riappropriarsene sebbene non la considerasse certamente un oggetto di sua proprietà. D'altra parte, invece, v'era il forte desiderio di porre fine alla vita dell'uomo che stava causando tutto quel recente malcontento, anche se non era certo di trovarlo sul posto quel pomeriggio. Il suo sguardo era folle, nelle iridi il petrolio ribolliva denso, la sclera era arrossata come fosse iniettata di sangue e l'espressione dipinta sul volto era una maschera di glaciale freddezza e pazzia palpabile ad un occhio attento. Il loro ingresso nell'edificio fu seguito da fuochi d'artificio. I proiettili calibro quarantacinque traboccarono violentemente dalle volate delle semiautomatiche atterrando e in alcuni casi annientando e privando della vita uomini il cui compito era quello di sorvegliare il perimetro. Presto quel primo piano mutò in un tappeto di cadaveri e corpi agonizzanti nelle loro stesse pozze di piscio e sangue. « Ognuno di voi prenda uno di quei ratti ancora vivi, voglio che siano trascinati al piano inferiore. » Intanto, gli spari avevano inevitabilmente attirato l'attenzione di un Minhyun a pantaloni calati pronto ad immergere il suo schifoso cazzo in una donna che lo ripudiava da capo a piedi. Dovette rivestirsi il disgraziato, privato perfino del piacere di possedere finalmente la donna che per molto tempo aveva desiderato sottomettere. Quattro dei sopravvissuti vennero trascinati giù per una rampa di scale, striature di sangue denso stabilirono un sentiero color cremisi per tutti gli scalini di pietra grezza che ebbe la funzione di grattuggiare i loro crani poichè trascinati per i piedi. Altri quattro uomini furono eliminati, un proiettile penetrò nell'occhio destro di uno e sputò fuori insieme alle cervella, altri due trivellati nella pancia, nel quarto, Dominic, scaricò un'intero caricatore proprio là in basso, tra le gambe, dritto nell'orgoglio maschile. Poi una pedata violenta spalancò le porte di quello stanzone spoglio, solo un tavolo metallico e una sedia sulla quale Halina era stata immobilizzata e torturata fino allo sfinimento a giudicare da com'era ridotto il suo esile corpo e dall'espressione sgombra di vita; i suoi occhi s'erano assentati insieme ad ogni frammento di emozione. Era solo un corpo. Un corpo martoriato e pesto. « Prendetelo. Lo voglio in ginocchio. » L'ira funesta del colombiano si manifestò in quel ringhio spaventoso seguito da un rumoroso digrignare di denti. Il suo corpo incanalava aria e la pompava all'esterno con soffi d'aria udibili e in uscita dalle narici. Aveva l'aria di un toro istigato dal drappo di tessuto rosso che è solito imbestialirlo. Pericoloso e fuori di sè, ma soprattutto capace di qualunque atrocità. Uno stato di collera così importante da non lasciare spazio a momenti di lucidità vera e propria, se non alla necessità di constatare quali fossero le effettive condizioni di Halina. Due dei suoi uomini lasciarono i corpi - comunque impossibilitati a muoversi - dei due ratti agonizzanti e si avventarono come belve sanguinose e affamate su Minhyun. Gli stortarono le braccia incrociandogliele dietro la schiena come si fa alle ali dei polli per immobilizzarli ed impedir loro di scorrazzare in giro, poi un coltellaccio da macellaio puntò alla sua gola quasi a farlo soffocare con la sua stessa saliva a causa della posizione innaturale del capo, quasi adagiato sulla nuca. Dominic si precipitò verso la donna, si buttò ai suoi piedi nonostante l'impatto gli scorticò le ginocchia sotto al tessuto del pantalone classico scuro e tastandole gli arti con mani tremanti ed esitanti, volle parlarle, tentare di rassicurarla, farle capire che tutto era finito adesso, che non aveva più motivo di soffrire. « Halina ... Halina. Sono qui. E' tutto finito adesso. Riesci a sentirmi? E' finito. » Dominic voleva uccidere quell'uomo. Lo voleva morto e l'occhiata truce che gli dedicò rappresentò dei veri e propri lampi d'odio a cui Minhyun non potè rispondere. Rideva, però. Rideva isterico, completamente fuori di sè mentre la saliva gli scendeva in gola causandogli talvolta dei colpi di tosse che rischiavano di fargli tagliare spontaneamente la gola poichè il coltellaccio premeva proprio contro la sua carne. Halina era però la priorità, andava medicata, assistita. Bisognava che le stesse vicino nonostante egoisticamente volesse occuparsi di Minhyun e subito anche. Semplicemente tirò fuori un coltellino svizzero e tranciò le fascette che le legavano gli arti, poi facendo attenzione la prese tra le braccia e la issò tra le suddette, avvicinandosi a suoi uomini per poter comunicare loro i suoi ordini. « Voglio che lo portiate dove la luce non può arrivare. Un posto sicuro, chiuso. Un posto da cui non possa fuggire e voglio tre uomini a sorvegliare l'esterno e due all'interno. Assicuratevi, peraltro, che nessuno vi stia seguendo e fate sparire i cadaveri, è tutto per il momento, domani ne riparleremo. » E' così che abbandonò l'edificio, Dominic. Sua moglie tra le braccia e parole soltanto sussurrate a lei rivolte. « Andrà tutto bene. Non sei più sola. Mi prenderò cura di te, adesso. »
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La mia anima immortale si occupa di grandi cazzate, stamattina.
Paolo Nori, La vergogna delle scarpe nuove
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Ti serve qualcosa? le ho chiesto, Un pacchetto di Scottex, mi ha detto lei (Paolo Nori, La vergogna delle scarpe nuove, Milano, Bompiani, 2007).
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