#Progetto Corto Circuito
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pier-carlo-universe · 7 days ago
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Avviso importante: variazione di programma Teatro nelle Valli Bormida
Comunichiamo che lo spettacolo "Quello bonanima" della compagnia La Torretta, precedentemente in programma per sabato 11 gennaio 2025, è stato sostituito da una nuova proposta teatrale.
Comunichiamo che lo spettacolo “Quello bonanima” della compagnia La Torretta, precedentemente in programma per sabato 11 gennaio 2025, è stato sostituito da una nuova proposta teatrale. Una serata di risate e divertimento con il teatro di GILBERTO GOVI e la compagnia teatrale I Villezzanti di Genova! “IN PRETUA” di Giuseppe Ottolenghi e “DO ’48” di Luigi Orengo – Due atti unici del repertorio…
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tecnoandroidit · 1 year ago
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Maysun Solar MS540MB-72H: i pannelli fotovoltaici che creano la tua indipendenza energetica - Recensione
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Nell'era dell'energia rinnovabile, la scelta di un modulo solare efficiente, affidabile e di alta qualità è fondamentale per garantire un ritorno sull'investimento ottimale. Oggi, abbiamo avuto la fortuna di testare i moduli solari MS540MB-72H di Maysun Solar. Questi moduli non sono solo un altro pannello solare sul mercato; è un prodotto progettato per offrire un valore elevato al cliente, con una serie di caratteristiche che lo rendono un investimento intelligente per qualsiasi progetto di energia solare. Design e Materiali Nel mondo dei moduli solari, il design è spesso un aspetto trascurato, relegato in secondo piano rispetto a parametri come l'efficienza e la resa energetica. Il modulo solare di Maysun Solar sfida questa norma, offrendo un design che è tanto funzionale quanto esteticamente gradevole. Il modulo utilizza un doppio strato di vetro temperato per garantire sia la durabilità che l'efficienza. Questa scelta di materiali non solo aumenta la resistenza del modulo a condizioni ambientali avverse come sale, ammoniaca e alte temperature, ma contribuisce anche a una migliore trappola della luce, migliorando così la resa energetica. La cornice in argento del modulo aggiunge un tocco di eleganza senza compromettere la funzionalità. Oltre al suo aspetto gradevole, la cornice è progettata per facilitare l'installazione e fornire una struttura solida che aumenta la longevità del prodotto. Funzionalità e prestazioni Il modulo solare MS540MB-72H di Maysun Solar è un prodotto che offre una combinazione impressionante di potenza, efficienza e affidabilità, il tutto sostenuto da garanzie robuste. Iniziando con le garanzie, il modulo offre una garanzia di prodotto di 12 anni e una garanzia sulla potenza di 25 anni, con un output garantito dell'84,8%. Questo è un forte indicatore della fiducia del produttore nella durabilità e nel rendimento a lungo termine del modulo. Passando alle specifiche elettriche in condizioni standard, il modulo vanta una potenza massima di 540 Wp, una tensione alla massima potenza di 40,7 V e una corrente alla massima potenza di 13,27 A. Questi numeri sono ulteriormente supportati da una tensione a vuoto di 49,42 V e una corrente di corto circuito di 13,85 A. Con un'efficienza del modulo del 20,94% e una tolleranza sulla potenza positiva del 3%, il modulo si posiziona come uno dei più efficienti e potenti nel suo segmento. Le prestazioni del modulo in condizioni meno ideali sono altrettanto impressionanti. Con una potenza massima di 402 Wp, una tensione alla massima potenza di 38,08 V e una corrente alla massima potenza di 10,55 A in condizioni NOCT (Temperatura di Esercizio Nominale della Cella), il modulo dimostra una resilienza notevole. In termini di tolleranze di temperatura, il modulo può operare in un intervallo di temperatura che va da -40 a 85 gradi Celsius. Ha un coefficiente di temperatura di Pmax di -0,35 %/°C, un coefficiente di temperatura di Voc di -0,28 %/°C e un coefficiente di temperatura di Isc di 0,048 %/°C. Questi dati suggeriscono che il modulo è progettato per mantenere un rendimento elevato anche in condizioni climatiche estreme. Dal punto di vista costruttivo, il modulo ha dimensioni di 2279x1134x35 mm e pesa 28,9 kg. È costruito con celle monocristalline e ha un totale di 144 celle. Il vetro è rivestito anti-riflesso e temperato con uno spessore di 3,2 mm. La scatola di derivazione offre una protezione IP 68, e i connettori sono del tipo MC4 con cavi di diametro 4 mm². Specifiche tecniche Dati Elettrici in Condizioni Standard (STC) - Potenza Massima (Pmax): Con una potenza massima di 540 Wp, questo modulo si posiziona tra i più potenti disponibili sul mercato. - Tensione alla Massima Potenza (Vmpp): A 40,7 V, la tensione alla massima potenza è ottimizzata per garantire un'elevata efficienza energetica. - Corrente alla Massima Potenza (Impp): Con una corrente di 13,27 A, il modulo è progettato per massimizzare la generazione di energia. - Tensione a Vuoto (Voc): La tensione a vuoto di 49,42 V è un indicatore della stabilità e dell'efficienza del modulo. - Corrente di Corto Circuito (Isc): A 13,85 A, la corrente di corto circuito contribuisce alla sicurezza e all'affidabilità del sistema. - Efficienza del Modulo: Con un'efficienza del 20,94%, questo modulo è tra i più efficienti nel suo segmento. - Tolleranza sulla Potenza: Una tolleranza positiva del 3% indica che il modulo può effettivamente superare la sua potenza nominale, offrendo un valore aggiunto. Dati Elettrici con NOCT (Temperatura di Esercizio Nominale della Cella) - Potenza Massima (Pmax): 402 Wp - Tensione alla Massima Potenza (Vmpp): 38,08 V - Corrente alla Massima Potenza (Impp): 10,55 A - Tensione a Vuoto (Voc): 46,65 V - Corrente di Corto Circuito (Isc): 11,19 A - Temperatura: 45±2 °C Questi dati sono particolarmente utili per comprendere come il modulo si comporti in condizioni meno ideali, come temperature più elevate e irraggiamento solare più basso. Valutazioni di Temperatura e Massime - Temperatura Operativa: -40~85 °C - Coefficiente di Temperatura di Pmax: -0,35 %/°C - Coefficiente di Temperatura di Voc: -0,28 %/°C - Coefficiente di Temperatura di Isc: 0,048 %/°C - Tensione Massima di Sistema: 1500 V - Tensione Nominale del Fusibile: 25 A Materiali e Dimensioni - Dimensioni: 2279x1134x35 mm - Peso: 28,9 kg - Tipo di Cella: Monocristallino - Numero di Celle: 144 - Tipo di Vetro: Rivestimento Anti-Riflesso, Temperato - Spessore del Vetro: 3,2 mm - Tipo di Telaio: Lega di Alluminio Anodizzato - Protezione Scatola di Derivazione: IP 68 - Tipo di Connettori: MC4 - Diametro dei Cavi: 4 mm² Installazione e test: Un Gioco da Ragazzi Una delle prime cose che ho notato è stata la facilità di installazione. Grazie alla sua cornice in lega di alluminio anodizzato e ai connettori MC4, l'installazione è stata rapida e senza intoppi. Le dimensioni di 2279x1134x35 mm e il peso di 28,9 kg lo rendono maneggevole per un prodotto della sua categoria. Una volta installato, ho subito iniziato a monitorare le prestazioni. Con una potenza massima di 540 Wp e un'efficienza del modulo del 20,94%, le aspettative erano alte. Devo dire che il modulo ha superato brillantemente ogni test, mantenendo un'efficienza costante anche durante le giornate nuvolose. La tensione alla massima potenza di 40,7 V e la corrente alla massima potenza di 13,27 A hanno confermato che le specifiche tecniche non erano solo numeri su un foglio. Vivo in una zona con temperature che variano notevolmente tra le stagioni. Il modulo ha dimostrato una notevole resilienza, mantenendo prestazioni elevate sia in condizioni di caldo che di freddo. Il coefficiente di temperatura di Pmax di -0,35 %/°C e il coefficiente di temperatura di Voc di -0,28 %/°C hanno giocato un ruolo fondamentale in questo. La scatola di derivazione con protezione IP 68 e il vetro temperato anti-riflesso da 3,2 mm hanno aggiunto un ulteriore livello di sicurezza e durabilità al modulo. Maggiori informazioni sono sul sito ufficiale. Videorecensione  Read the full article
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ilgranzebru · 4 years ago
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“Ognuno di noi ha portato nel progetto la propria storia come autore o musicista. Non abbiamo deliberatamente deciso di innestare un genere sull’altro, la sintesi è avvenuta come risultato del contatto fra noi quattro, proprio come un corto circuito.“ I Gran Zebrù intervistati da System Failure -  foto di Niluka Laura Telli
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corallorosso · 5 years ago
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Il governo del motto «Aiutiamoli a casa loro» taglia i fondi per aiutarli a casa loro di ENZO BOLDI Lo hanno ripetuto talmente tante volte che il loro è diventato uno stile di vita. A parole, non nei fatti. «Aiutiamoli a casa loro», ha sempre detto Matteo Salvini convincendo anche i suoi elettori e trascinando dietro di sé anche un folto gruppo di rappresentati del Movimento 5 Stelle... Un bel progetto e anche coerente: dare una mano ai Paesi e alle popolazioni africane e del Medio-Oriente attraverso investimenti per consentire loro di rimanere e crescere nelle loro terre natie. Bell’idea. Poi, però, quando si va al governo non si fa nulla (se non chiudere i porti e far credere che il vero problema dell’Italia siano i migranti). Anzi, si tagliano proprio quei fondi per aiutarli a casa loro. Come riporta The Vision, il governo gialloverde ha inaugurato un trend di taglio dei fondi Aps. Cosa sono? Si tratta di quella parte di bilancio (che secondo le direttive internazionali dovrebbe attestarsi allo 0,30% in rapporto al reddito Nazionale lordo) destinato agli Aiuti per lo Sviluppo. Una fetta consistente, dunque, dei contributi che i Paesi più ricchi inviano a quelli più poveri e in difficoltà. Aiutiamoli a casa loro, in pratica. Ma quel motto, dall’amaro sapore elettorale, si è perso nei meandri delle scelte del governo Lega-Movimento 5 Stelle. Nel 2017, infatti, si era arrivati a quello 0,30% indicato dalle direttive internazionali. Da quando, invece, a guidare il Paese ci sono Salvini, Di Maio&Co. quella soglia è precipitato allo 0,24%. In soldoni: sono stati tagliati circa 860 milioni di euro dal fondo per gli Aiuti per lo Sviluppo. Con tanti saluti alla cooperazione e a quel motto «Aiutiamoli a casa loro» che, leggendo queste cifre, ha il sapore della presa in giro data in pasto agli elettori. E ora, con l’odio che impera sui social, si dirà che neanche quei soldi vanno versati. Insomma, il corto-circuito leghista (in primis) e del Movimento 5 Stelle (in parte) – per non parlare di Fratelli d’Italia, che però non è al governo – è servito. Insomma, «Aiutiamoli a casa loro» si è rivelato l’ennesimo bluff elettorale. Uno slogan per aizzare le folle e far credere di voler portare una soluzione nel rispetto dell’umanità. Invece Matteo Salvini, il grande profeta di questo motto, non ha alcuna intenzione di farlo e si limita ad attuare decreti che fanno aumentare il numero di illegali in Italia, senza trovare soluzione e facendo credere di risolvere il problema.
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paoloxl · 6 years ago
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Più usuale che raro, è stato annunciato dal Ministro degli Interni un nuovo decreto. Decreto di nome e di fatto, affinché si possa nuovamente utilizzare il deus ex machina dei canoni di urgenza e necessità, in barba ad ogni canone di ragionevolezza, violando qualsivoglia principio di democrazia, scavalcando, nuovamente, il potere legislativo. È la ratio del racimolare il consenso, o per lo più, per spargere la vox del populismo di destra, ormai in cima alle Greatest hit in vista delle elezioni europee del 26 maggio 2019.
Come la legge 132 del 2018, anche la bozza del Decreto Bis [1] ha una natura bicefala, da un lato l’immigrazione, per contrastare sbarchi, accoglienza e Signor Sindaci che aprono i porti, dall’altro il mantra che ogni sceriffo dall’animo del buon padre di famiglia preserva: la sicurezza. Ad aprire le danze successive ai visti normativi ci sono i Ritenuti, ove si evidenzia «la straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure volte a contrastare prassi elusive dei dispositivi che governano l’individuazione dei siti di destinazione delle persone soccorse in mare. Tenendo conto dei peculiari rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica scaturenti dall’attuale contesto internazionale, al contempo valorizzando le attribuzioni stabilite dall’ordinamento in capo al Ministro dell’interno quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza».
Fa riflettere l’utilizzo di una terminologia all’interno di questa narrazione dominante: si parla di fantomatiche “prassi elusive”, e per elusivo si intende, in italiano, la capacità di evitare, di sottrarsi a qualcosa con furbizia e abilità. Quanto è assurdo riferirsi col tenore di tali parole, alle operazioni di salvataggio e all’individuazioni dei porti sicuri in cui far approdare esseri umani?
Il decreto, in concreto, prevede che, se nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali non si rispettano gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali (riferendosi a navi gestite da Ong) le sanzioni previste saranno di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana, la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi. Potrebbe terminare qui, e invece, il Viminale, modificando il codice della Navigazione, scavalca il Ministero delle Infrastrutture, attribuendosi poteri che vanno ben oltre gli Interni, un’ultrattività indiscriminata, che dovrebbe più che far rabbuiare i pentastellati, falli insorgere, se non per una questione politica, per un atto di dignità personale.
Nel secondo Ritenuto, si ravvisa per il Ministro «la necessità e l’urgenza di rafforzare il coordinamento investigativo in materia di reati connessi all’immigrazione clandestina, implementando gli strumenti di contrasto a tale fenomeno».  Strumenti che secondo il decreto si ravvisano nel potenziamento degli agenti sotto copertura, stanziando, per tale e specifica causa, un bel milione di euro.
Spostandoci dall’altro lato del binario, la sicurezza, sovvengono delle modifiche normative di notevole importanza.
L’art. 5 effettua delle modifiche al Regio Decreto del 18 giugno 1931 n.773, che già di per sé, attraverso denominazione e data, fa comprendere il contesto sulla quale si colloca la direzione politica del "Capitano". Bello sapere che, una legge del 1931 sulla Pubblica Sicurezza oltre ad essere viva e vegeta è, ad oggi, rafforzato in peggio. A tale normativa, denominata Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (in acronimo TULPS), all’articolo 18, rubricato “delle riunioni pubbliche e degli assembramenti in luoghi pubblici”, si aggiunge che, nel caso siano commessi i reati di cui agli articoli 635 (danneggiamento) e 419 (saccheggio e devastazione) del codice penale, durante una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico, di cui non è stato dato avviso, almeno tre giorni prima, al Questore, i contravventori sono puniti con la reclusione fino a un anno.
Il commento da farsi in ordine a questa modifica è duplice: in primis, il reato di danneggiamento semplice è stato degradato in illecito civile e dunque depenalizzato con il decreto legislativo  n. 7/2016, come si interpreterà questo corto circuito? Si può ripenalizzare un fatto tipico se e solo se inserito in un determinato contesto, quale quello di una manifestazione pubblica? In secundis, non vi era alcun dubbio che prima o poi, il reato di Saccheggio e Devastazione, già caro ai protagonisti della criminalizzazione del movimento No Tav, ritornasse in auge, e questa volta nella forma più smagliante che mai.
L’art. 5 modifica anche l’art. 24 del TULPS, quest’ultimo descrive che, qualora le tre intimazioni (che devono essere precedute, attenzione, obbligatoriamente da uno squillo di tromba) i carabinieri REALI, ordinano il discioglimento della riunione. Il Decreto Bis di Salvini inserisce un comma, inasprendo, semmai pensavate fosse possibile, le pene previste nel 1931: «Nel caso di riunioni non preavvisate o autorizzate, la pena per i contravventori è della reclusione fino a un anno». La creazione giuridica de quo, travalica il legislatore autoritario del regime fascista, dimenticando che, TULPS in vigore o meno, l’interprete è chiamato, obbligatoriamente, a sottoporre determinati fossili normativi al vaglio di costituzionalità.
Veniamo ora ad un’altra modifica normativa, l’art. 6 del Decreto Bis modifica la legge 22 maggio 1975, n. 152, che se rinominata “Legge Reale” sovviene subito alla mente. Questa legge nasceva con la ratio di combattere e reprimere duramente quanto accadde negli Anni di Piombo, leggi che fior fiori di penalisti hanno denominato “dell’emergenza”. Secondo la normativa Salviniana è punibile con la reclusione fino a due anni chi fa uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. Il Decreto bis aggiunge il 5 bis alla Legge Reale specificando che «chiunque nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, per opporsi al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che richiesti gli prestano assistenza, utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti, è punito con la reclusione da uno a tre anni».
È infelice, ma bisogna specificarlo: questa legge è scritta male in italiano e a livello normativo, non riescono a comprendersi bene le portate di talune frasi, quali ad esempio il riferimento all’ausilio di “coloro che richiesti gli prestano assistenza”. Volendo dunque specificare una sorta di “legittimità” per il privato cittadino che aiuti le forze di pubblica sicurezza.
Il diritto penale interviene nuovamente per sanzionare «chi lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere» punendo tali fatti, equiparando incolumità fisiche e integrità di cose sullo stesso piano, con la reclusione da uno a addirittura 4 anni.
Il decreto sopprime la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28) in caso di reato di violenza, resistenza, minaccia e oltraggio commessi a danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Nient’altro che depotenziare un decreto legislativo che tanto sta facendo, ed ha fatto, per incrociare l’intento deflattivo del legislatore.
Ma come si è arrivati a tutto questo?
Molto sembra approdare direttamente dalla mente del Ministro degli Interni, specie se da oltre un mese è in giro per l’Italia in campagna elettorale ed è contrastato da movimenti sociali e agglomerazioni di cittadini provenienti dalla società civile.
Eppure questa creazione normativa non è nient’altro che la messa in opera, per scomodare Foucault, all’interno di questa pseudo-pace travagliata da una guerra continua, di un rapporto di forza perpetuo. Siamo di fronte ad un binomio che esula dal richiamato Immigrazione e Sicurezza, la sfida, ad oggi, è quella tra lotta e sottomissione.
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massimosirelli · 2 years ago
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Ecco come è andata qualche giorno fa con i ragazzi del Progetto Giovani Sentinelle del futuro durante il mio workshop Un Robot per Amico. È stato un vero colpo di fulmine che ha mandato in corto circuito i cuori di tutti. È stato bello conoscervi. Grazie ragazzi e grazie a Caritas Diocesana di Catanzaro - Squillace, Progetto Policoro Arcidiocesi Catanzaro-Squillace, Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile Catanzaro - Squillace • Se anche tu vuoi ospitare nel tuo evento il mio workshop “Un Robot per Amico” scrivimi per verificare date e disponibilità. ❤️🤖 • #massimosirelli #unrobotperamico #workshop #lab #sirelli #sirellolli#art #sirelliartist #sirellirobot #catanzaro #design #art #popart #contemporanyphotography #calabria #calabriaart #massimosirelliart #massimosirelliartist #robot #adottaunrobot #adottaunrobotttino (presso Roccelletta di Borgia) https://www.instagram.com/p/CgQ3_WEN79J/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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marco-poli · 3 years ago
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Venerdì 29 aprile 2022 sono stato alla presentazione della Lista Cambiare di Carlo Vivarelli e come promesso ho fatto diverse domande cattive, e ci sarà tempo per parlarne. Però penso che la cosa più imminente sia quella che ho posto sulla manifestazione sul compostore e biogassficatore di Tana Termini di domani (oggi per chi legge). Premesso che avevo già capito che era organizzata con la lista Progetto Futuro di Betti che si presenta nel confinante comune di Bagni di Lucca, il candidato Vivarelli me l'ha confermato. La domanda è stata: Ma la lista di Betti che è espressione di una parte del CDX a Bagni di Lucca, fa una manifestazione con la lista di Vivarelli che è accusa di essere contro la lista del CDX a San Marcello? Non è un corto circuito? La risposta di Vivarelli è stata sostanzialmente che ha sempre collaborato con quella parte politica a Bagni di Lucca e quindi hanno fatto una manifestazione insieme. E se è un corto circuito sono cose interne ai partiti di CDX. Io aggiungo solo che a me personalmente, la cosa pare strana, per il resto ogni pensi quel che vuole. #marcopoli https://www.instagram.com/p/Cc8463QMH3s/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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marilinamarchica · 5 years ago
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Storie di Bianco <<È un’azione forte e ragionata quella di Marilina Marchica>> scrive Antonio Sarnari per Storie di Bianco, <<Un’azione di ricostruzione, che in senso ingegneristico parte dalle macerie, come frammenti di una storia, per edificare strutture pittoriche nuove. Carta, detriti, impronte che vengono utilizzati come colori e materia, per un progetto informale di nuovo paesaggio. Così Marilina costruisce un nuovo orizzonte di qualificazione del paesaggio, non più strumentale, come i detriti delle fondamenta di un edificio ma come un luogo del pensiero, con tanto di regole prospettiche e materiale da costruzione. Una storia di Bianco come il presupposto ‘corto-circuito’ da cui parte, ovvero l’uso di materiale da costruzione vero per l’edificazione di un paesaggio concettuale. Bianco che sa di svuotamento metodico della storia di origine, che predispone al silenzio-sgomento, di poco precedente alla ‘nuova regola’, l’opera d’arte>> Storie di Bianco Quam Scicli fino al 19 luglio Ilde Barone, Valentina Biasetti, Grazia Inserillo, Marilina Marchica, a cura di Antonio Sarnari Quam Scicli via F. Mormino Penna 79 info 0932 931154 [email protected] orari da martedì a sabato 11.00-13.00 / 17.00-20.00 Domenica e festivi su appuntamento lunedì chiuso #artivisive #contemporaryitaly #paesaggifragili #landscapes #marilinamarchica #artforlove #artiststudio #artistlife #lifestyleblog #abstrac #blue #inspiration #deepblue #white #remembrance #mediterranean #mediterraneanarchitecture #groupexhibition #scicli #sicilianartists #signs #paperLandscape #contemporaryart #lifestories #painting #2020 (presso Quam) https://www.instagram.com/p/CCiNwpcj9_-/?igshid=pmo3lhcev3bz
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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“Unprinted, quello che non ti dicono” della Compagnia Caterpillar al Teatro Civico di Gavi
Il 29 novembre, una serata speciale per celebrare il Black Friday con teatro d’eccezione
Il 29 novembre, una serata speciale per celebrare il Black Friday con teatro d’eccezione La stagione teatrale “Non è Pirandello” del Teatro della Juta di Arquata Scrivia e del Teatro Civico di Gavi prosegue venerdì 29 novembre alle ore 21 al Teatro Civico di Gavi con lo spettacolo “Unprinted, quello che non ti dicono”. La pièce, prodotta dalla Compagnia Caterpillar, rappresenta una riflessione…
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out-o-matic · 5 years ago
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Un patto a Lampedusa
11 SETTEMBRE 2019
Di fronte allo stallo sui migranti la Ue deve abbandonare la via dell’unanimità. Va trovato il coraggio di uscire dai Trattati
DI ENRICO LETTA
Caro direttore, rimediare al fallimento sulle migrazioni deve essere la priorità di questo inizio di legislatura europea, la missione fondamentale dell'Italia. Negli ultimi anni, infatti, l'assenza di un'efficace politica migratoria europea ha provocato cesure profonde ed effetti drammatici. Ha fatto del Mediterraneo un cimitero, onta che rimarrà nella storia tra le pagine più disonorevoli di sempre. Ha provocato terremoti impensabili, dalla Brexit alla emersione delle destre xenofobe e populiste un po' ovunque, Italia di Salvini in testa.
Ma perché non si è avviata una politica migratoria europea in grado di conciliare rispetto dei diritti umani e gestione controllata dei flussi alle frontiere? Perché, quattro anni dopo i picchi del 2015, siamo ancora al bivio tra "porti chiusi" e "facciamo entrare tutti"? Se non si risponde a questi interrogativi, il dibattito rimarrà caotico e inconcludente. E in assenza di soluzioni avranno la meglio populisti e xenofobi, che speculano sulle paure e si alimentano di semplificazioni. Che il corto circuito sia stato tale lo dimostra la proposta, inaccettabile, di usare per la Commissaria europea la denominazione di "protezione del nostro stile di vita" legata alla questione.
Lancio qui una proposta in grado, a mio avviso, di dotare l'Ue di una vera politica migratoria. Con un fenomeno di simile intensità e durata, soluzioni solo nazionali si rivelano inefficaci alla prova dei fatti. Solo al livello europeo possono arrivare determinazioni dirimenti, con la massa critica necessaria a un radicale cambiamento.
Ma cosa non ha funzionato e come cambiare? L'Ue si è mossa sulla crisi con strumenti vecchi e non ha trovato la forza di modificarli, per egoismi diffusi e per il veto brandito da Ungheria e altri Stati membri. Il Trattato di Dublino - quello per cui il Paese di primo ingresso sopporta tutto il peso degli arrivi - è un congegno creato decenni fa in funzione di altri scenari, precedenti alla instabilità e alla mobilità determinatesi dopo le primavere arabe.
Per cambiarlo serviva l'unanimità e nonostante i nostri tanti sforzi italiani non si è mai riusciti a convincere i più riottosi. Paradossale, per inciso, che proprio i più riottosi, Ungheria in primis, siano poi diventati alleati dell'Italia salviniana.
Di fronte allo stallo è evidente che la via dell'unanimità va abbandonata. Con i veti ungheresi si rimane nel guado, i migranti continuano a morire in mare e le pubbliche opinioni se la prendono con l'Europa di Bruxelles e non, appunto, con chi pone veti. Il punto è trovare il coraggio sulla questione di uscire, temporaneamente, dai Trattati Ue. Scelta radicale, ma necessaria. Scelta, tuttavia, non inedita, visto che la si è fatta in almeno due casi emblematici: per Schengen e per la creazione di quel Fondo salva Stati, al quale UK e Repubblica Ceca non parteciparono, e che ebbe un ruolo chiave nell'uscita dalla crisi finanziaria.
Occorre un nuovo Trattato tra i paesi europei che ci stanno. Purché, però, chi ci sta accetti la regola della maggioranza e si assuma la propria parte di responsabilità. Questo nuovo Trattato - firmarlo a Lampedusa sarebbe un atto politico e simbolico fortissimo - dovrebbe sostituire quello di Dublino, sopprimendo anzitutto la norma sulla responsabilità tutta in carico al Paese di primo accesso.
Il Trattato di Lampedusa dovrebbe contenere strumenti nuovi coi quali organizzare l'accoglienza e suddividerne equamente il peso tra i Paesi firmatari, creando automatismi per scongiurare le penose aste al ribasso cui abbiamo assistito in questi anni a ogni arrivo di una nave. La Francia ne prende venti, la Spagna quindici, la Polonia zero e giù con insopportabili dosi di cinismo e ipocrisia. No, questi agghiaccianti tira e molla sono stati l'immagine peggiore dell'Europa! Devono cessare e far posto a meccanismi automatici di ricollocazione gestiti da un'autorità centrale europea, dotata di poteri idonei e autorizzata ad applicare criteri di umanità, come i ricongiungimenti parentali.
Con la centralizzazione si renderà possibile una gestione diversa dei flussi dei richiedenti asilo e dei migranti economici; allo stesso tempo, si dovranno promuovere i doveri, a partire dall'imparare la lingua locale. Tra gli altri capitoli il controllo della frontiera esterna Ue, il rapporto coi Paesi terzi e il coordinamento con le norme sulle attività di salvataggio in mare.
Sul punto l'esperienza insegna che deve essere un compito prioritariamente in mano a dispositivi statuali o intrastatuali, come fu per Mare Nostrum, la missione militare umanitaria italiana che salvò vite umane e al contempo portò all'arresto di tanti trafficanti. La intollerabile criminalizzazione delle Ong del Mediterraneo, denunciata con forza anche da Zingaretti, è oltremodo contraddittoria. Le si attaccano perché compiono, come possono, compiti che dovrebbero essere svolti da quello Stato che decide di astenersi dal compierli.
E l'Ungheria? Coloro che mettono il veto non sono a questo modo i grandi vincenti? Non si finisce così, paradossalmente, per fare un favore a Orbán? Rispondo con un richiamo al principio di realismo. L'Ungheria, se anche accettasse di accogliere i migranti, per le sue dimensioni ridotte, se ne vedrebbe assegnate quote simboliche. Non sarebbe decisiva. Decisiva, invece, lo è stata eccome in questi anni, nel bloccare qualunque avanzamento collettivo. Un po' come la Gran Bretagna fece sui temi economici e monetari, con la differenza che Londra consentì agli altri di andare avanti con il Fondo salva Stati del 2012.
Ora serve coraggio. L'Italia deve essere in prima fila: chi meglio di noi e della Germania? Il più grande Paese di primo ingresso e il più grande di destinazione finale. Conte e Merkel dovrebbero preparare una proposta da far condividere anzitutto a Francia e Spagna e poi agli altri. La Commissione dovrebbe essere coinvolta nell'iniziativa soprattutto perché gli strumenti centrali che ne deriverebbero dovrebbero essere ad essa collegati.
Una simile iniziativa ha però bisogno del sostegno della società civile e in particolare dei giovani. Per questo lanceremo il progetto del Trattato di Lampedusa a Cesenatico dove oggi si apre l'anno accademico, il quinto, della Scuola di Politiche. Una iniziativa fondata proprio per dare ai ragazzi italiani borse di studio che li aiutino ad amare la buona politica e conoscere le istituzioni.
Con il nuovo governo in Italia questa proposta non è più una piccola utopia. Può diventare la svolta europea sulle migrazioni. L'onta del Mediterraneo come mare di morte rimarrà indelebile. Il futuro, però, può essere diverso.
Enrico Letta, Pd, ex premier
Fonte: Repubblica.it
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foodmissionblog · 6 years ago
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Il Progetto che già si sta realizzando, in via sperimentale, con la collaborazione di Associazioni di categoria ed esperti del settore food valorizzando in questo modo il lavoro del coltivatore e un disciplinare che fornisce le garanzie più ampie al consumatore si tratta di un circuito corto e virtuoso che mette in linea diretta agricoltori, ristoranti e qualificati certificatori. L’agricoltore coltiva in qualità, il ristoratore-cuoco acquista e trasforma a regola d’arte e tutti i processi vengono minuziosamente analizzati e certificati, per portare in tavola una pietanza che ha una carta d’identità certa. Quindi, generalità nel dettaglio e segni particolari. Il massimo della garanzia, dunque, per chi produce e soprattutto per chi consuma.
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lospeakerscorner · 4 years ago
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MONO ROAD e BUS T: due Corto Circuiti Teatrali itineranti in bus e monopattino con Daniele Coscarella e la compagnia Monolocale
ROMA – Nuove forme di aggregazione e d’intrattenimento per il pubblico: il periodo storico, il rispetto dell’ambiente e il protocollo sanitario, conseguenza del Covid19, hanno spinto Daniele Coscarella e il gruppo lavoro di Monolocale produzioni formato da Emanuela Panatta, Dario Tacconelli, Pascal La Delfa e Paolo Di Pirro ad esplorare nuovi scenari.
Nascono così due progetti che accompagneranno il pubblico per il mese di settembre: MONO ROAD – Corto Circuito Teatrale e BUS T – Corto Circuito Teatrale. Due imperdibili appuntamenti teatrali a bordo di un bus o in monopattino, frutto dell’esperienza ventennale nella creazione di format d’intrattenimento.
MONO ROAD e BUS T sono performance teatrali itineranti e in movimento, volte a scoprire una nuova Roma con nuovi occhi e nuove emozioni grazie agli itinerari tra Rioni, vicoli, fino alle piazze più suggestive … Storie di attori, poeti e musicanti.
In scena gli attori “viaggianti” Daniele Coscarella, Dario Tacconelli, Emanuela Panatta, Shara Guandalini, Giorgia Ciotola, Alessandra Merico, Alessandro Tato Cecchini e Filippo Macchiusi, David Marzi, Matteo Cirillo, Micol Pavoncello, Cristina Chinaglia, Emanuela Bisanti, Andrea Zanacchi, Sara Baccarini. Fabrizio Mazzeo, Lara Balbo, Massimo Ceccovecchi. Testi di Monolocale, regia a cura di Daniele Coscarella.
MONO ROAD: 17 e 19 settembre partenza Isola Tiberina ore 19.45 e 20.45.
24 e 26 settembre partenza Villa Borghese alle ore 19,45 e 20.45.
BUS T: 6 – 11 – 18 – 25 settembre. Partenza Largo di Villa Peretti ore 19.15.
 BUS T – Corto Circuito Teatrale, è un percorso culturale itinerante a bordo di uno dei caratteristici Bus Hop On Hop Off, per riscoprire la storia di Roma: dai quartieri storici, agli angoli più nascosti, fino alle piazze più suggestive, arrivando a toccare con mano i tramonti più belli dalle terrazze più esclusive! A rendere l’esperienza unica e divertente, per il pubblico di Roma e per i turisti che torneranno a visitare la città eterna, saranno le performances teatrali degli attori di Monolocale. Il format è pensato sia per un pubblico “young” sia per un pubblico “family” e/o “senior”, insomma per tutti coloro che vogliono godersi lo spettacolo comodamente a bordo del bus. Il mix ideale per coinvolgere un pubblico nuovo in un tour esclusivo che abbina cultura e intrattenimento per tutte le età. Partner del progetto è Roma Open Bus, azienda leader nel settore romano. Uno spettacolo “in movimento” volto a scoprire una nuova Roma con nuovi occhi e nuove emozioni grazie agli itinerari tra Rioni, vicoli, fino alle piazze più suggestive … Storie di attori, poeti e musicanti …
I giorni di programmazione per il mese di settembre sono: 6 – 11 – 18 – 25 Settembre. Appuntamento in Largo di Villa Peretti alle ore 19.15. La Formula prevede aperitivo con presentazione (moduli AntiCovid e rilevazione della Temperatura) e partenza alle 20. Prezzo 20 Euro. Prenotazioni [email protected].
MONO ROAD – Corto CircuitoTeatrale, coinvolge sei aree tematiche: mobilità, ambiente, cultura, turismo, teatro, divertimento. Un percorso itinerante eco sostenibile a tappe per muoversi in piena libertà con monopattini elettrici e vivere Roma da un punto di vista nuovo e diverso in compagnia delle performances teatrali degli attori di Monolocale. Il coinvolgimento è assicurato! L’appuntamento è al MONO ROAD, dove ci sarà la presentazione dell’itinerario, per poi dare il via alla partenza del tour. Il gruppo sarà formato da un massimo di 10 spettatori e ogni monopattino avrà il nome di un artista che ha reso grande Roma: Gian Lorenzo Bernini, Michelangelo Buonarroti, Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, Alberto Sordi, Renato Ruscel, Virna Lisi, Anna Magnani… Durante il percorso a tappe, oltre al divertimento nel guidare il monopattino, i Ryders saranno coinvolti dall’ambiente circostante e non mancheranno alcune sorprese: gli artisti, posizionati negli angoli più suggestivi della Capitale, si esibiranno e lasceranno un indizio come traccia narrativa per la tappa successiva. Un vero e proprio spettacolo itinerante! All’arrivo, sorrisi ed un finale con aperitivo insieme agli amici oppure una merenda a seconda dell’orario. Il Format è pensato per un pubblico “Young”, studenti e single, più adatti al monopattino. Considerando la stagione estiva e gli itinerari e il target audience affascina facilmente profili più adulti con motivazioni e interessi differenti. Il gruppo avrà a disposizione circa 10 monopattini con modelli diversi, di proprietà della compagnia Monolocale. Partner del progetto sarà Energeko, azienda romana da 20 anni nel campo dei veicoli elettrici.
I giorni di programmazione sono 17 e 19 Settembre Isola Tiberina con doppio appuntamento alle ore 19.45 e 20.45 e poi 24 e 26 settembre appuntamento a Villa Borghese alle ore 19.45 e 20.45.
La durata del circuito sarà di 40 minuti al prezzo di 13 euro. Prenotazioni a [email protected].
BIO MONOLOCALE – Lo spettacolo nasce nel 2015, è una Home Comedy di performance teatrale ambientato in un Monolocale. Il pubblico si ritrova immerso in una casa spettacolo coinvolgente piena di storie, parole, musica e colpi di scena. Mattatori della serata sono gli attori Inquilini, con i loro monologhi che nascono da un vissuto quotidiano. Il risultato è un’esperienza tragicomica collettiva, dove il pubblico si sente parte integrante della serata e protagonista dei temi scelti. Improvvisazione, ritmo e divertimento, saranno gli ingredienti di un evento da ricordare. Non c’è palco o quarta parete ma solo un’ipotetico salone di casa!
Per maggiori informazioni: https://www.monolocalespettacolo.com/
 https://www.facebook.com/monolocalespettacolo/
  https://www.instagram.com/monolocale_spettacolo/?hl=it
 Monolocale Tv Staff
https://www.youtube.com/watch?v=MTTSf7zVeeM&t=4s
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sulpana · 5 years ago
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Segnaliamo i prossimi appuntamenti del week end a Mirandola
Sabato 07 dicembre 2019 ore 09.30 e ore 10.45: Mirandola: Biblioteca “Eugenio Garin” via 29 Maggio: LEGGIAMO NOTE, SUONIAMO PAROLE. Laboratorio Nati per Leggere e Nati per la musica. Per genitori e bambini da 24 a 36 mesi – Prenotazione obbligatoria 0535/29783 – 29778. A cura di Sara Setti – Fondazione Scuola di Musica C. e G. Andreoli.
Sabato 07 dicembre 2019 ore 11.00: Mirandola: Atrio del Municipio Via Giolitti 22: INAUGURAZIONE E BENEDIZIONE PRESEPE DEL VOLONTARIATO realizzato dal gruppo San Giacomo Roncole. A seguire aperitivo per tutti. A cura della Consulta del Volontariato.
Sabato 07 dicembre 2019 dalle ore 14.00 alle ore 15.30: San Biagio: Giardino Botanico La Pica-Via Imperiale n. 650: YOUNG IN ACTION – DACCI 1 TAGLIO: Corso introduttivo alla potatura di alberi e arbusti. A cura dell’Associazione Giardino Botanico La Pica in collaborazione con Augusto Garutti e con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.
Sabato 07 dicembre 2019 ore 21.00: Mirandola: Palafeste Cherubino Comini (ex Nuovo Centro Anziani – CIRIPO’) – Via Dorando Pietri 13: IL SABATO SERA TUTTI AL BALLO: con ROBERTO MORSELLI. Sorprese durante la serata e spuntino offerto dalla direzione.
Domenica 08 dicembre 2019 dalle ore 08.00: Mirandola: Piazza Costituente e vie del Centro: Mirandolantiquaria – FIERA ESPOSITIVA DELL’ANTIQUARIATO E DEL RIUSO.
Domenica 08 dicembre 2019: OPERAZIONE REGALO ORIGINALE (ORO) vendita Presepi e manufatti a favore dei missionari della Diocesi, la vendita è al termine delle S. Messe: – Parrocchia di Mirandola (Duomo – P.zza Conciliazione) ore 09.00 – ore 10.30 – ore 12.00 – ore 18.30; Parrocchia di Cividale: ore 10.00 e Parrocchia Quarantoli: ore 11.15. A cura dei Volontari per le Missioni.
Domenica 08 dicembre 2019 ore 10.00: Confine di Mortizzuolo: Stazione Ornitologica Modenese “Il Pettazzurro”  Via Montirone 3: Riconoscimenti, Foto e Viaggi: per riconoscere e identificare le specie ritratte, al termine verrà proiettato un bellissimo audiovisivo sul viaggio in Estonia organizzato dai nostri volontari a maggio 2018. Evento aperto a tutti. A cura degli Ornitologi della SOM.
Domenica 08 dicembre 2019 dalle ore 10.30 alle ore 17.00: San Martino Spino: PalaEventi via Zanzur: AL PORC IN PIÀSA CON DEGUSTAZIONE DI SPECIALITÀ GASTRONOMICHE: – ore 10.00: apertura pesca per grandi e piccoli. Esposizione e bancarella lavoretti Natalizia dei bambini della scuola elementare “G. Pascoli”; – ore 11.30-12-30 bancarella aperitivo con prosecco e stuzzicherie; –  ore 14.30 – Laboratorio creativo gratuito. Prenotazione al 3481255785; – ore 16.00: Cioccolata calda per tutti; – ore 16.30 – Arriva di Babbo Natale con tanti doni per tutti i bimbi. A cura del Circolo Politeama e del Comitato Genitori San Martino Spino.
Domenica 08 dicembre 2019  ore 15.30: Mirandola: C.R.A. C.I.S.A. via Dante Alighieri: POMERIGGIO DI FESTA AL CISA. A cura dello S.P.I di Mirandola.
Domenica 08 dicembre 2019 ore 16.30: Mirandola: Aula Magna Rita Levi Montalcini – via 29 maggio: LA BOHEME di Giacomo Puccini – selezione in forma di concerto con immagini e costumi. Prevendita con posti numerati.
Domenica 08 dicembre 2019 ore 17.00: Mirandola: Sala mostre – via Luosi 49: inaugurazione  6° edizione “MOSTRA DEI PRESEPI”- nuovi diorami e scene presepiali. Allestimento mostra di Bruini Giancarlo. Aperta sabato e festivi fino al 12.01.20. A cura della Consulta del Volontariato..
Lunedì 09 dicembre 2019 ore 09.30: Mirandola: C.R.A. C.I.S.A. via Dante Alighieri: FESTA “NATALE A COLORI” -Scambio di auguri e canti di Natale con i bambini delle scuole dell’infanzia di Mirandola.
Lunedì 09 dicembre 2019 dalle ore 18.30 alle ore 20.00: Mirandola: Hangar SL via Brunatti n. 1: YOUNG IN ACTION – SUPER READING: Corso di potenziamento della capacità di lettura e comprensione. A cura dell’Associazione Sostegno DSA ODV in collaborazione con Progetto Crescere RE / Università IULM e con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.
Lunedì 09 dicembre 2019 ore 20.30: Mirandola: Palafeste Cherubino Comini (ex Nuovo Centro Anziani – CIRIPO’) – Via Dorando Pietri 13: LO ZAMPINO THE END – STORIE DI MAFIE IN EMILIA ROMAGNA  con Gaetano Alessi. A cura ANPI Mirandola.
Martedì 10 dicembre 2019 dalle ore 08.30 alle ore 14.00: Mirandola: Portineria Ospedale “Santa Maria Bianca”: VENDITA DI STELLE DI NATALE E OGGETTISTICA CREATA DELLE VOLONTARIE. A cura dell’Amo Nove Comuni Modenesi Area Nord.
Martedì 10 dicembre 2019 dalle ore 09.30 alle ore 13.00: Mirandola: Aula Magna Rita Levi Montalcini – via 29 maggio: Cittadinanza attiva con Corto Circuito. Special guests: Associazioni di volontariato del territorio e Associazione Cortocircuito. A cura del Circolo Culturale Aquaragia.
Martedì 10 dicembre 2019 ore 20.30: Quarantoli: Sala della Comunità via della Pieve: CATECHESI DELL’AVVENTO. Guidata dall’ Arcivescovo emerito di Ravenna Mons. Giuseppe Verucchi (per le Parrocchie di Cividale, Quarantoli, Gavello e San Martino Spino).
Mercoledì 11 dicembre 2019 ore 16.00: Mirandola: Auditorium Scuola secondaria di 1° grado “F. Montanari” via Tazio Nuvolari n. 4: VIAGGIO ALL’INTERNO DELLA CRIMINALITÀ DIFFUSA CHE OPERA NELL’AREA NORD. Autotutela del cittadino nei confronti dei reati predatori, l’importanza dei rapporti con le forze dell’ordine per sfidare l’immobilismo. Docente: Andrea Campagnoli – Ispettore superiore della Polizia di Stato in congedo. A cura dell’Università della Libera Età “Bruno Andreolli”.
Giovedì 12 dicembre 2019 dalle ore 16.00 alle ore 18.00: Mirandola: PalaFeste “Cherubino Comini” via Dorando Pietri n. 13: YOUNG IN ACTION – MANI IN PASTA. Laboratorio di preparazione della pasta all’uovo. A cura dell’Associazione Volontari Aquaragia in collaborazione con CAES La Raganella e con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.
Giovedì 12 dicembre 2019 ore 18.00: Mirandola: Foyer del Teatro Nuovo Piazza Costituente 76: conferenza con MARCO GUIDI: Erdogan, da moderato a tiranno, da amico dei popoli a massacratore dei Curdi. A cura Politeia.
Venerdì 13 dicembre 2019 ore 09.30 e ore 10.45: Mirandola: Biblioteca “Eugenio Garin” via 29 maggio: LIBRI ALL’ANGOLO: Sul ring diversi generi letterari e musicali ad affrontarsi in un incontro senza esclusione di colpi. Classici e novità del panorama letterario per ragazzi, accompagnati da colonne sonore originali, guideranno l’ascoltatore in un avvincente percorso narrativo – musicale. Alfonso Cuccurullo, voce – Federico Squassabia, musica. Per ragazzi dai 14 ai 18 anni. A cura di Il Mosaico Società Cooperativa Sociale.
Venerdì 13 dicembre 2019 dalle ore 09.45: Mirandola: sede di Penso Positivo ODV – Casetta Associazioni – stazione FS – Viale Gramsci 322: MERCATINI SOLIDALI – raccolta fondi di autofinanziamento Penso Positivo ODV: vendita abiti usati, bijoux, libri ed altro. Raccolta fondi da destinare alle iniziativedi laboratorio ricreativo. Orario: dalle ore 09.45 alle 11.30 dalle 15.00 alle 18.00.
Venerdì 13 dicembre 2019 ore 21.00: Mirandola: Aula Magna Rita Levi Montalcini – via 29 maggio: Stagione Teatrale 2019-2020: circo contemporaneo: THE BLACK BLUES BROTHERS – UNO SPETTACOLO ACROBATICO COMICO MUSICALE.
Sabato 14 dicembre 2019: Mirandola: Sala mostre via Luosi 49: MOSTRA DEI PRESEPI – diorami e scene presepiali: Orari: 10.00 – 12.30 / 16.00 – 18.30. A cura della Consulta del Volontariato.
Sabato 14 dicembre 2019 dalle ore 10.00 alle ore 19.00: Mirandola: via Cavallotti e piazza Mazzini: MERCATINO DI NATALE DEL VOLONTARIATO CON SPECIALITÀ GASTRONOMICHE.
Sabato 14 dicembre 2019 ore 10.30: Mirandola: Via 29 Maggio – biblioteca Eugenio Garin: Piccole storie per piccole orecchie, con i volontari Nati per Leggere: STORIE DI NATALE. Letture per bambini da 3 a 6 anni. Prenotazione obbligatoria allo 0535/29778 e 29783.
Sabato 14 dicembre 2019 dalle ore 10.30: San Martino Spino: NOI MORIAM PER UN’ITALIA LIBERA E GRANDE – cerimonia a ricordo dei caduti partigiani: Mario Borghi – Oles Pecorari – Cesarino Calanca. A cura ANPI.
Sabato 14 dicembre 2019 ore 20.15: Mirandola: Palazzetto dello Sport “Marco Simoncelli” – via Dorando Pietri n. 11: ROLLER CHRISTMAS CIRCUS – Spettacolo gratuito del settore pattinaggio della polisportiva G. Pico. A cura del Settore Pattinaggio della Polisportiva “G. Pico”.
Sabato 14 dicembre 2019 ore 20.30: San Martino Spino: teatro Politeama: SOTA A CHI TOCA. Prevendita biglietti.
Sabato 14 dicembre 2019 ore 21.00: Mirandola: Palafeste Cherubino Comini (ex Nuovo Centro Anziani – CIRIPO’) – Via Dorando Pietri 13: IL SABATO SERA TUTTI AL BALLO: con CLAUDIA BAND. Sorprese durante la serata e spuntino offerto dalla direzione.
Domenica 15 dicembre 2019 dalle ore 08.00: Confine di Mortizzuolo: Stazione Ornitologica Modenese “Il Pettazzurro”  Via Montirone 3: SOM – Censimenti mensili degli uccelli acquatici. A cura della Stazione Ornitologica Modenese.
Domenica 15 dicembre 2019: Mirandola: Sala mostre – via Luosi 49: MOSTRA DEI PRESEPI – diorami e scene presepiali: Orari: 10.00 – 12.30 / 16.00 – 18.30. A cura della Consulta del Volontariato.
Domenica 15 dicembre 2019 dalle ore 10.00 alle ore 19.00:  Mirandola: via Cavallotti e piazza Mazzini: MERCATINO DI NATALE DEL VOLONTARIATO CON SPECIALITÀ GASTRONOMICHE.
Domenica 15 dicembre 2019 ore 15.30: Mirandola: C.R.A. C.I.S.A. via Dante Alighieri: POMERIGGIO DI INTRATTENIMENTO. A cura del Coro del Duomo di Mirandola.
Domenica 15 dicembre 2019 ore 17.00: Mirandola: aula magna Rita Levi Montalcini – Via 29 Maggio 4: MONTALCINEMA 2019 – IL CINEMA AL MONTALCINI: film DUMBO. Apertura biglietteria 30 minuti prima dell’inizio proiezione, non si effettuano prenotazioni.
Domenica 15 dicembre 2019 ore 20.30: Mirandola: ristorante LA MARCHESA – Via per Concordia 46: CENA DI NATALE a favore del Canile Intercomunale di Mirandola. Menù tradizionale e vegetariano. Per info e prenotazioni mandare un messaggio a Tiziana 388/8074680 oppure Roberta 347/6587373 specificando il numero di persone e il menu scelto. A cura L’isola del Vagabondo.
MOSTRE IN CORSO: – Mirandola: aula magna Rita Levi Montalcini – Via 29 Maggio 4: mostra fotografica “1969-2019 50 ANNI DI TEATRO” realizzata in collaborazione con l’associazione  fotografica “Il Monocolo” di Mirandola. La mostra sarà visitabile nei momenti di apertura dell’Aula Magna fino al 06 gennaio 2020. A cura Filarmonica “G. Andreoli”.
GIOSTRA: Mirandola: Piazza Costituente fianco Teatro Nuovo: GIOSTRA BAMBINI VIDEO BABY DI BORGONOVI. Fino al 06 gennaio 2020
Si ringrazia la Consulta per il Volontariato
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Gli appuntamenti del week end a Mirandola Segnaliamo i prossimi appuntamenti del week end a Mirandola Sabato 07 dicembre 2019 ore 09.30 e ore 10.45: Mirandola: Biblioteca “Eugenio Garin” via 29 Maggio: LEGGIAMO NOTE, SUONIAMO PAROLE.
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tmnotizie · 6 years ago
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SAN BENEDETTO – La Giunta comunale ha approvato la delibera che dà il via libera alla stipula della convenzione con la Regione Marche propedeutica all’assegnazione di 120.000 euro che serviranno a rifare l’impianto dell’illuminazione lungo la passeggiata del molo sud, a servizio anche della darsena turistica.
Si tratta della quota assegnata al comune di San Benedetto dei 4 milioni affidati alla Regione Marche dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica – CIPE nell’ambito della linea d’azione “Miglioramento sicurezza infrastrutture” del Piano Operativo del Fondo per Sviluppo e la Coesione 2014/2020 (l’ex fondo FAS).,
La somma coprirà interamente i costi dell’opera, resasi indispensabile dopo che l’attuale impianto di illuminazione, che parzialmente fungeva anche da segnalazione notturna della scogliera, fu seriamente danneggiato da un incendio scaturito da un corto circuito nell’ottobre 2018.
Il guasto fu riparato ma l’impianto ha sempre presentato malfunzionamenti non garantendo più l’illuminamento della passeggiata con tutti i rischi che ne conseguono per chi passeggia in ore notturne lungo il molo, un’area, lo ricordiamo, affidata in concessione al Comune dall’autorità marittima.
ll progetto è già pronto e prevede la rimozione dell’attuale impianto con 77 corpi illuminanti a 3 led della potenza di 15 watt ciascuno. Ovviamente prima dovranno essere eseguiti gli scavi per la posa dei cavi e realizzati i relativi quadri elettrici.
Subito partiranno le richieste di nulla osta alla Capitaneria di Porto, al Genio Civile Opere Marittime  e all’Autorità di sistema portuale, necessari per dare il via ai lavori che si punta ad iniziare dopo l’estate.
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pangeanews · 7 years ago
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“Se papà tornasse vivo lo ucciderebbero ancora”. Ho visto gli occhi di Maria Fida Moro, una donna libera e che incute timore. Indagine sul ‘caso Moro’ (parte terza)
Nel reportage si reperta, non si ricorda a spezzoni. Si entra in un corto circuito mentale e sembra che la vicenda accolga una selezione più che un’interpretazione, una ripresa di ambienti e stanze, di luoghi eletti, di persone da individuare e narrare standole accanto. Questa è la forza e la lucidità di chi si muove a tentoni nel caso Moro: smarcarsi dalla situazione dolorosa per accedere in uno spazio di concretezze, di descrizioni non camuffate. Si deve essere segugi che fanno emergere l’accaduto. Moro si è solo assentato e continua a far parlare gli altri di sé muovendosi indisturbato, senza farsi accorgere. Prevale una sequenza molecolare di narrazioni, blocchi di scrittura autonomi in brandelli di verità. Presenze e assenze sono in continua transizione. Il filtro non è solo nel ricordo, ma anche in una corrispondenza ben oltre la fisicità. Dopo tanti anni la vita e la morte dello statista si toccano, combaciano.
*
Per capire il delitto Moro bisogna partire dal quadro storico dell’epoca, dalle tensioni sociali e dalla recessione economica, nonché da una crisi endemica dei partiti che si andava progressivamente registrando. Quindi necessita un’analisi tutt’altro che immediata. Erano molte le distorsioni degli anni Settanta: tra tutte la mancanza di una classe politica capace di inglobare la spinta propulsiva della piazza e di capire realmente cosa spingesse i movimenti extraparlamentari alla strategia della tensione, durata più di un decennio. La gestione della cosa pubblica scontentava, come gli atteggiamenti dei dirigenti che non elaboravano un progetto politico riformatore, convincente, profondamente critico a partire dalle strutture interne. Si arrivò a toccare il culmine che sfociava in sollevazioni popolari organizzate prevalentemente dai giovani. Erano lontani gli anni del boom economico, della grande espansione economica determinata dal piano Marshall e dallo sfruttamento delle opportunità date dalla favorevole congiuntura internazionale. Sembrava essersi arrestata l’intraprendenza degli industriali italiani e la potenzialità del made in Italy, la forza dello scambio di manufatti con l’estero, l’apertura dei mercati al fine di farsi apprezzare e di trovare uno sbocco che garantisse ancora produzione e vendite, guadagno. Anche la fine del tradizionale protezionismo aveva garantito linfa al sistema, a cominciare da una fase di ammodernamento che toccò gli stessi usi e costumi degli italiani.
L’insensibilità dei partiti comportava un’opposizione dura nei loro confronti, dislocata nei fulcri nevralgici delle fabbriche e delle università dove era maggiore il malcontento contro la classe borghese. Il Sessantotto non conquistò il potere politico ma ne condizionò le coscienze provocando una vera e propria rivoluzione culturale. Combinandosi con diversi fattori e dando importanti contributi a tutte le battaglie civili, consentì la conquista dello Statuto dei lavoratori, la battaglia sul divorzio, sull’aborto, la riforma della scuola e dell’università. Il Sessantotto è stato dei giovani, come la strategia della tensione e gli anni di piombo, che condussero alla morte violenta, all’orrore, alla destabilizzazione, a ciò che Vittorio Notarnicola nel Corriere d’Informazione, definì “la belva umana”. Ferite su ferite, dunque, con la bombe di piazza Fontana a Milano e la discussione e l’incertezza sulla paternità dell’attentato che costò diciassette morti. Aldo Moro avvertì che non si poteva restare con le mani in mano. Stava mutando l’orizzonte culturale attraverso l’eversione, l’abuso, l’intemperanza e soprattutto l’uso delle armi. Questi eccessi paralizzavano le istituzioni, mentre erano molto attive le prefetture a difesa dell’ordine repubblicano. Tra aggressioni e attentati, gli atti di violenza si moltiplicavano con una rapidità incessante. Il modo di intraprendere la lotta era cambiato completamente, come la protesta rivolta al mondo politico parlamentare, avulso dai problemi reali del paese, ingessato nella burocrazia e nel mantenimento di posizioni di rendita.
Appare significativo un articolo di Giampaolo Pansa su la Repubblica, nel 1977, alla ripresa degli scontri e sulla lotta al terrorismo, nell’indicazione del cammino per il raggiungimento del potere, nell’utopia dell’instaurazione della dittatura del proletariato e della costruzione del comunismo. L’obiettivo doveva realizzarsi attraverso azioni politico-militari e fasi di analisi politica che centrassero gli obiettivi primari mediante un progetto insurrezionale. Scrive Pansa: “Già, i giornali ci parlano di difesa dello Stato dalle Brigate Rosse. Quale Stato? Quello dei processi che non si concludono, dei ministri bugiardi e impuniti, delle liste di uomini d’oro che spariscono dalle casseforti delle banche, dei segreti che coprono chi comanda? E la rabbia giovanile propone domande ancora più semplici e brutali: perché devo prendermela con i terroristi e non con chi mi lascia senza lavoro?”.
Gli anni di piombo tra il 1970 e il 1974 provocarono un’azione organizzata con gruppi che operavano quasi esclusivamente nelle fabbriche e in modo spesso clandestino. Inizialmente agirono nel milanese, successivamente estesero il proprio operato in Piemonte e in Emilia-Romagna. Le Brigate Rosse si strutturarono in gruppi parasindacali che avevano il compito di fare propaganda nelle aziende soggette a piani di ristrutturazione dove la tensione degli operai con il datore di lavoro fosse molto alta. Colpirne uno per educarne cento, dicevano gli estremisti. Si tendeva a creare un vuoto che potesse riempirsi con la partecipazione eversiva, facendo violenza, provocando disordine, alzando gli scudi per far sentire la propria voce mai graduale. La minaccia stessa all’integrità fisica della persone prese campo, come l’esercizio della libertà con gli strumenti che si ritenevano necessari. Ai primi sequestri seguirono i cosiddetti processi del popolo. Il 10 marzo 1978 i brigatisti colpirono mortalmente Rosario Berardi, maresciallo della Polizia, sezione antiterrorismo. Un nucleo armato della colonna torinese delle Brigate Rosse, tre uomini e una donna, uccise l’uomo mentre sostava nei pressi della sua abitazione, alla fermata dell’autobus, in attesa di recarsi al lavoro in commissariato. Berardi era stato impegnato nel contrasto al terrorismo prestando servizio con successo nei nuclei della questura torinese.
*
Ho conosciuto di persona la primogenita di casa Moro, Maria Fida: decisa, intraprendente, esigente, invulnerabile. Una donna che ha raccolto l’eredità del padre senza retorica. Una donna libera che non ha mai accettato i compromessi, che non si è arresa alle complicità e alle reticenze. Una donna che incute timore: il volto è segnato dai medesimi tratti del padre, ma i suoi sono più appuntiti, come lo sguardo che fiuta, che non dà scampo. Ho sempre pensato che non riuscirei a sostenerlo, quello sguardo. C’è tutto nei suoi occhi: rabbia e pietà, rancore e bisogno di giustizia. C’è racchiuso il sunto della pretesa, vale a dire la coniugazione della responsabilità giuridica e della responsabilità politica. Un’esigenza imperitura che non è stata mai appagata. Maria Fida Moro ha i capelli cortissimi ed è inglobata in una forma espressiva vibrante, che non si può non notare, anche se non la si conoscesse. Se la incontrassi per strada mi fermerei ad osservare il passo di questa donna che assume le sembianze della persona spigliata come una giovanissima. Il taglio dei capelli è il risvolto visibile della rimostranza, della ribellione. Maria Fida ha la fisionomia di chi ha deciso di darci un taglio, di rompere con il passato, di non adeguarsi. L’eccentricità che nasce dalla parte del bene. Ha avuto sempre ragione, del resto, non solo perché le hanno sottratto barbaramente il padre, ma perché oltre a scandagliare nel giudizio per arrivare a conclusioni certe e disagevoli per l’Italia, è andata oltre. Ha raccontato l’uomo che non conoscevamo, lo ha preso a modello, ne ha tratto l’insegnamento e l’eredità mantenendo vivo il padre di famiglia e il politico. In fondo lo vede con romanticismo, papà Aldo, il “servo di Dio”, per chi potrebbe farlo salire agli onori del culto, della beatificazione. Il tribunale diocesano di Roma, infatti, ha ricevuto il libello che ne attesta la fama di santità, le virtù, riscontrando attraverso una serie di testimonianze, che la sua vita è stata un esempio per i fedeli. Decisiva per l’attestazione canonica sarà la constatazione di un segno prodigioso ascrivibile alla sua intercessione. Il nullaosta è arrivato dal cardinale Agostini Vallini, vicario del Papa. Si vuole verificare l’eroicità di martire laico.
Maria Fida Moro sarà la madrina di suo padre, immagino, perché questo riconoscimento varrebbe più di ogni celebrazione. Nella voce sicura e sbrigativa di questa donna, emerge il carattere di pacificatore attribuito al padre. Ho riflettuto a lungo sull’antinomia che legherebbe la morte di Aldo Moro con la sua vocazione. Una morte violenta bilancia una fermezza pacifica.
Fu equidistante dagli Stati Uniti e dalla Russia come nessun altro. Nessuna sudditanza e asservimento, ma la ricerca della verità illuminante di un popolo e di una nazione, perché si formasse la coscienza comune, condivisibile, educatrice specie per i giovani. Questo, anche secondo Maria Fida, è il motivo intrinseco dell’uccisione. Non il compromesso storico, non le convergenze parallele, non l’ingresso dei comunisti nel governo, ma l’indipendenza serenamente professata dallo statista italiano che sottintende una visione universale. Un’eccezione che avrebbe dovuto essere invece la regola. E se ciò che succede oggi non può più ferire Aldo Moro, certamente il disarmo del terzo millennio è lo specchio di una realtà deformata, violata. Togliere di mezzo il presidente della Democrazia Cristiana, nel 1978, ha voluto dire sabotare un messaggio evangelico, cristiano.
C’è uno scritto straordinario che credo possa essere controfirmato, idealmente, dai figli. È stato pubblicato dal padre sul quotidiano Il Giorno il 6 settembre 1972 e si riferisce alla portata di un’opinione pubblica che scavalca i confini geografici, autocratici: “Eppure, in una fase avanzata nel processo di unificazione del mondo, qualche breccia è stata aperta in questo modo, diciamolo pure, deludente dei rapporti umani. Sono i limiti di un fenomeno che non può comunque essere sottovalutato. Ma sappiamo che c’è ben altro da fare, che siamo solo ai primi passi di un’evoluzione destinata a riconoscere che la condizione umana dei cittadini del mondo non può essere disciplinata in modo esclusivo secondo criteri interpretativi ed interessi dei singoli stati. Almeno per quanto riguarda i fondamentali diritti umani, gli stati non sono sovrani ed hanno un superiore da riconoscere anche nella più gelosa sfera della propria esistenza interna. È un cammino lungo e difficile. Ebbene non può essere contestato che si vada formando, che anzi in qualche modo esista già oggi, un’opinione pubblica mondiale, una coscienza umana con la sua voce. Essa esiste e pesa. Questo è un fatto nuovo nella politica internazionale, ma è soprattutto l’inizio di una nuova civiltà. Bisogna capire e prepararsi”.
Cos’è questo preludio se non un dialogo preparatorio ad una costituzionale extraterritoriale? Non è forse un giuramento di fedeltà per dei tempi nuovi che tardavano a venire e che con la morte di Moro sono definitivamente tramontati? La coscienza umana non è altro che una voce mondiale, uguale per tutti, priva di sesso e di razza, di religione e di lingua.
Il 29 giugno 1969, al congresso della Democrazia Cristiana, Aldo Moro il pacificatore e l’innovatore, diceva: “I giovani chiedono un vero ordine nuovo, una vita sociale che non soffochi, ma offra liberi spazi, una prospettiva politica non conservatrice o meramente stabilizzatrice, la lievitazione di valori umani. Una tale società non può essere creata senza l’attiva presenza, in una posizione veramente influente, di coloro per i quali il passato è passato e che sono completamente aperti verso l’avvenire. La richiesta d’innovazione comporta naturalmente la richiesta di partecipazione. Essa è rivolta agli altri, ma anche e soprattutto a se stessi. Non è solo una rivendicazione, ma anche un dovere ed un’assunzione di responsabilità. L’immissione della linfa vitale dell’entusiasmo, dell’impegno, del rifiuto dell’esistente proprio dei giovani nella società, nei partiti, nello Stato è una necessità vitale, condizione dell’equilibrio e della pace sociale nei termini nuovi ed aperti nei quali in una fase evolutiva essi possono essere concepiti. I lavoratori, e naturalmente innanzitutto i giovani lavoratori, escono finalmente dalle zone d’ombra, dai settori marginali nei quali, senza adeguato potere, erano o si sentivano ingiustamente ricacciati. Al di là della tecnica del sistema economico adottato, essi chiedono che le scelte decisive siano fatte in sede responsabile e nell’interesse generale a che essi vi partecipino, in condizione di dignità e sicurezza, nella fabbrica, nel sindacato, nella programmazione, nei partiti e nello Stato. Non accettano di essere solo parte di un meccanismo, anello di una catena, ma vogliono erigersi a consapevoli protagonisti del processo che crea la ricchezza, la distribuisce, la finalizza verso obiettivi umani. Ed essi, pur nella loro operosità, si sentono non il mezzo, ma il fine. Una società così viva non può che essere una società in sviluppo. Essa non è certo paga della sua opulenza ed ha quindi tutti aperti i problemi della degna condizione umana, della partecipazione al potere, dell’appagamento dello spirito, del primato della persona sull’efficienza del sistema e sui lucidi e ben rodati meccanismi sociali. Essa non è rassegnata certo alle troppe sperequazioni, all’interno ed all’esterno del suo sistema, le quali rendono, perciò solo, la ricchezza intollerabile ed offensiva. Ma è certo una società nella quale l’iniziativa economica deve svilupparsi adeguatamente come premessa di progresso civile ed occasione per porre e risolvere grandi problemi umani. Nella nostra epoca, in presenza di questi stati d’animo e movimenti d’opinione, l’iniziativa economica deve essere rigorosamente inquadrata nella programmazione per ragioni anche tecniche, ma soprattutto sociali e politiche. Ciò comporta la previsione e promozione dello sviluppo, l’indicazione delle politiche da adottare e dei comportamenti da tenere, la mobilitazione di tutte le energie del paese per precise finalità economiche e civili, una generale assunzione di responsabilità, la giusta subordinazione degli interessi di parte al generale interesse della collettività nazionale, una vasta partecipazione delle forze sociali alla formulazione del piano, la verifica della sua validità a livello locale e soprattutto della regione”.
La naturale varietà della vita sociale e le ragioni non solo politiche sembrano, nel 2018, essere state spazzate via, così come sembrano lontane le premesse di Aldo Moro, quando il 14 maggio 1965 si svolge alla Camera dei Deputati un dibattito su interpellanze e interrogazioni riguardo la politica estera italiana, soprattutto a seguito del viaggio di Moro e Fanfani negli Stati Uniti. Moro interviene: “Con la nostra visita all’Onu abbiamo voluto rendere, sì, omaggio ad uomini altamente benemeriti per la salvaguardia della pace nel mondo, ma anche esprimere l’adesione, mai smentita, dell’Italia a questo modo nuovo e più alto di organizzare la comunità internazionale e di garantire la pace. Per quanto lento sia lo sviluppo verso una universale, libera e pacifica comunità internazionale, tuttavia questo sviluppo è in corso ed è dovere e responsabilità nostra di accelerarlo e di condurlo al suo compimento. Se guardiamo i tanti punti di tensione che ancora sono nel mondo, le incomprensioni e le distanze tra le nazioni, le necessità, che ancora sussistono, di presenza, di difesa, di particolari operanti solidarietà, abbiamo certo la sensazione di un lunghissimo cammino da fare. E tuttavia la strada è aperta e tocca a noi, consapevoli dei valori profondi della democrazia che fanno tutt’uno con quelli della pace tra gli uomini ed i popoli, di percorrerla tutta intera. Certo, intanto abbiamo doveri di assistenza e di solidarietà da adempiere e ad essi intendiamo restare pienamente fedeli. Ma non vogliamo perdere di vista la meta verso la quale del resto ci sospinge un’opinione pubblica sempre più vasta, autorevole ed esigente. Muoviamo verso il Parlamento mondiale, verso una sede angusta di giustizia e di libertà per tutti i popoli del mondo. Ogni tappa su questa strada è importante ed apprezzabile. Per questa ragione, nel richiamare con vigore le nostre alleanze e le nostre particolari responsabilità, intendiamo promuovere sulla base della sicurezza ogni utile contatto di comprensione e di pace, ravvivando quelle umane speranze che noi non accettiamo siano affievolite e che vogliamo invece riaccendere con una forte iniziativa fondata sulla fiducia, nella capacità e volontà d’incontro degli uomini e dei popoli”.
Il 22 ottobre 1969 Moro, Ministro degli Esteri, afferma alla Camera dei Deputati: “C’è una realtà politica che deve evolvere ed in qualche misura evolve. Ciò consente una nuova politica degli schieramenti ed al limite, quando venga meno la politica di potenza, la loro dissoluzione. Ebbene, è attraverso una politica di avvicinamento dei blocchi che la guerra è stata evitata ed in qualche modo si è cominciato a costruire un sistema di pace. Rompere l’equilibrio è utile a patto che quello nuovo cui si dà vita sia migliore del precedente, più valido e più umano. Potrebbe però anche accadere che la rottura dell’assetto esistente dia luogo a pericolose incognite. Allora la pace non sarebbe più sicura, né il mondo sarebbe più umano. Ecco perché non posso accettare la prospettiva di immediato superamento dei blocchi e di recesso unilaterale dell’Italia dalla Nato. Posso invece fervidamente auspicare che il processo distensivo continui, che si intensifichino i rapporti tra l’est e l’ovest, che si guardi all’assetto complessivo del mondo avendo presente che esiste un grande popolo non ancora completamente inserito nella comunità internazionale, che si sviluppino iniziative di disarmo a cominciare dall’atteso negoziato per la limitazione degli armamenti strategici fra le massime potenze”.
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Agnese Moro, sociopsicologa, ricercatrice di Scienze della cittadinanza e socia di Asdo, l’assemblea delle donne per lo sviluppo e la lotta all’esclusione sociale, ha dato alle stampe il libro Un uomo così (Rizzoli 2003), con un aggiornamento datato 2008. La figlia di Moro, terzogenita, a proposito della non convenzionalità del padre e della percezione che hanno ancora gli italiani dello statista, scrive: “Queste pagine sono nate dal desiderio di far conoscere ai miei figli qualcosa del loro nonno, che non hanno potuto incontrare in questa vita e che sono abituati a vedere riproposto alla televisione nella terribile fotografia da prigioniero delle Brigate Rosse o cadavere nel portabagagli di una macchina circondata da persone agitate. Volevo farglielo vedere, invece, così come lo avevo visto io e come mi è rimasto nel cuore. Ho raccolto e selezionato dei ricordi che potessero dare almeno un’impressione di lui”.
E ancora: “Non siamo solo produttori di immondizia non raccolta, di criminalità organizzata, di debolezza politica, di prepotenza. Siamo anche un grande paese, che è stato in grado di produrre nel passato, ma ancora oggi, come ho cercato di comunicare presentando la ricchezza umana e sociale che ho incontrato nei miei viaggi, persone piene di capacità e abnegazione”.
Inoltre: “Papà fa parte di questa radice, inattaccabile, che ci portiamo dentro, che ci lega ad una storia di democrazia e di impegno civile, che ci fa lasciare le nostre sicurezze, e costruire e sperare anche quando tutto, intorno a noi, ci scoraggerebbe dal farlo”.
Agnese Moro ribadisce il punto focale della scelta per il bene. Non un bene astratto, ma il bene così come si produce nella storia, nella società, che va sostenuto perché giusto. Aldo Moro, rivela la figlia, teneva molto all’idea che non si perdesse la capacità di guardare il bene. Era un uomo che combatteva la mediocrità, l’apatia, l’essere restii al cambiamento, l’indifferenza nei confronti dei giovani, di una società con una tendenza involutiva. Ma Aldo Moro è anche il padre nella poltrona di casa, col cappello floscio, mentre raccoglie i fichi e sbuccia le arance, mentre si fa la barba. Moro che canta filastrocche alla figlia, che gioca a scacchi con il nipotino, che va al cinema con la famiglia a vedere i film western. E che piange, disperato, alla morte del padre. Nell’album di famiglia di Agnese Moro compaiono i viaggi, i giornali, le preoccupazioni del partito. Il Moro stratega, l’uomo pubblico contornato dal mito del martirio, è assente. Si capisce come la cura degli affetti, l’attenzione per i figli, la sensibilità per gli accadimenti privati pongano in risalto l’uomo alternativo. Agnese Moro pone l’accento sull’intelligenza e sull’amore del padre. Aspetti riversati ovunque, in ogni circostanza, senza lesinare nulla del bene, qualunque occasione potesse essere utile per profonderlo.
Ma c’è di più. L’11 luglio 2011 la terzogenita ha incontrato pubblicamente il terrorista Franco Bonisoli, che aveva già perdonato. C’erano stati, precedentemente, anche incontri privati, ma mai un confronto in una sala gremita di persone. La serata dal titolo “Cercando la giustizia più in là”, inserita nella Settimana internazionale dei diritti, è stata curata da Nando dalla Chiesa per il Comune di Genova. Bonisoli ha ammesso che i brigatisti si sentivano, nel modo sbagliato, missionari che impegnavano completamente loro stessi. Pensavano di risolvere, di affermare il bene attraverso la violenza. Agnese Moro ha dichiarato di essere rimasta colpita dal dolore di Franco Bonisoli. Ha ricordato la grande tragedia italiana e la necessità di capire l’umanità che c’è dietro quelli che si pensavano mostri. Perché la condanna non restituisce giustizia. Entrambi gli invitati hanno parlato di rivoluzione dell’umanità, della loro rivoluzione. L’ammissione di colpa e il perdono sono già gesti eloquenti. Un secondo incontro è avvenuto ad Oristano il 15 giugno 2013. Le domande di Anna Chiara Valle, di “Famiglia Cristiana”, hanno risvegliato di nuovo le coscienze. “Il perdono non è un sentimento, è una decisione”, ha ammesso Agnese Moro.
In un’intervista apparsa sul sito www.memoriacondivisa.it, Lina Pasca intervista la terzogenita dello statista sull’attualità odierna: “La dimensione della politica è una parte indispensabile della vita sociale. E’ la capacità di avere un progetto, di conoscere la realtà, di individuare gli strumenti per cambiarla, e di farlo con il dialogo, il coinvolgimento e il rispetto. Penso che i partiti siano lo strumento che andrebbe profondamente ripensato”.
Su www.romasette.it, l’informazione online della diocesi di Roma, Agnese Moro, intervistata da Angelo Zema, riferisce sulla lezione del padre: “Io credo che, tra le tante cose significative, rimarrà sempre di un’attualità estrema la sua scelta radicale per il bene. Non un bene astratto, ma il bene così come si produce nella storia, nella società, che va sostenuto, aiutato. Lui teneva molto all’idea che non si perdesse la capacità di guardare il bene. Sono certa che ci sia molto più bene che male, ma il bene non lo facciamo vedere e il male strilla forte. Lui si affiderebbe con quell’impegno così semplice e pacato, ma così incisivo, a incoraggiarci verso il bene che c’è dentro di noi, a sostenerlo e a farlo valere”.
Insomma, emerge la lezione dell’uomo e del politico più vivo che mai. Pacificare e innovare per la comunità del bene: la morale di Aldo Moro era profondamente segnata dal valore dei principi evangelici che appaiono, una volta di più, straordinariamente applicati di persona per cambiare lo scenario italiano a partire dagli atteggiamenti comuni, in famiglia, con gli studenti, con gli amici. Non sono posizione ovvie, ma rappresentano uno scossone senza irriverenza, nella consapevolezza della drammaticità della situazione italiana. La prospettiva catastrofica individuata dai brigatisti non fa chiudere gli occhi ad Aldo Moro, che continua a porre al centro dell’attenzione la questione democratica e il prezzo da pagare perché si fronteggino gli anni di piombo con una coscienza ferma e con un’attività che non opprima i più deboli, che sia partecipativa, che tenti di dare un nuovo volto alla politica, che mobiliti le coscienze del bene contro la violenza dilagante. Ma l’azione doveva essere robusta, diffusa perché la speranza del cambiamento convincesse che la rivoluzione sociale, pacificatrice, andasse prospettata e al più presto dagli stessi dirigenti democristiani e da tutti gli altri partiti governativi e non. C’era bisogno di parlare al paese con i fatti. Era il tempo delle riforme, di una correzione del centralismo, delle competenze e dei compiti dello Stato, della mediazione con il mondo sociale e culturale, della formazione e della gestione del ceto marginale. Tutto questo cadeva miseramente nel vuoto, nonostante Aldo Moro spingesse fortemente per la condivisione della novità dall’interno. La sua rivoluzione era nella battaglia contro l’arroganza, l’intolleranza e l’insolenza. L’esame di coscienza doveva essere avviato dalla corporazione dei partiti evitando di farsi ricattare. Evitando i cedimenti, ma accettando un dialogo reale in una libera dialettica e in una trasformazione dell’Italia al passo con i tempi, in una lettura convincente della stagione dei conflitti. Andavano discussi i rapporti internazionali, le riforme, gli investimenti, l’organizzazione del lavoro, la ristrutturazione delle fabbriche, il sistema sanitario con interlocutori che fossero controparti, che non provenissero solo dalla burocrazia statale, non tralasciando il mondo giovanile più responsabile. Aldo Moro non fu seguito.
Giovanni Moro, quartogenito dello statista, rimarca che per gli italiani gli anni Settanta hanno comportato un passaggio epocale all’incrocio di molte speranze e di molte tempeste. Mentre emergevano nuove forme di cittadinanza e si manifestavano soggettività politiche autonome e originali, il paese tentava di affermare la democrazia dell’alternanza. Dinamiche di partecipazione e visioni di riforma parzialmente sconfitte, per un decennio che si chiudeva nella restaurazione e nella violenza. Giovanni Moro ci riporta a quegli anni oltre la dietrologia e il revisionismo, forme gemelle di arroganza del pensiero, come sono state definite, distinguendo tra storia, politica e vicenda giudiziaria. Sociologo, svolge attività di ricerca, formazione, dialogo culturale e consulenza sulla cittadinanza e sui temi ad essa connessi, quali l’attivismo civico nelle politiche pubbliche, le nuove forme di governance e la responsabilità d’impresa. Giovanni Moro è presidente di Fondaca dalla sua istituzione, nel 2001. Insegna Sociologia politica alla facoltà di Scienze della formazione dell’università di Roma Tre e dall’anno accademico 2011-12 è visiting professor alla facoltà di Scienze sociali dell’università Gregoriana di Roma.
Sul padre annota spesso che i fantasmi sono morti che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi, perché continuano a manifestarsi chiedendo loro di onorare un debito o di liberarli dalla maledizione che consiste proprio nel dover ritornare. Il più ovvio e ingombrante di questi fantasmi è quello di Aldo Moro, la cui presenza nella vita pubblica è una costante da allora.
In un’intervista pubblicata da la Repubblica il 14 marzo 1998, Giovanni Moro risponde a Silvana Mazzocchi che lo interpella sulla morte del padre: “La verità è un fenomeno complesso. È a strati. Abbiamo detto che si volle sventare un progetto politico, ma non basta essere d’accordo in tre o quattro, deve diventare la verità di tutti. Molti dicono che Moro era un simbolo. No, era il catalizzatore, per non dire il demiurgo di un’operazione politica. E l’hanno fermato per questo, altro che simbolo. Poi c’è una verità politica che riguarda il comportamento dei partiti. In particolare della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, d’accordo nella decisione di darlo morto fin dal primo giorno. Ed è la questione principale, ancora tutta aperta. Se non si riconosce questo, se non si riflette su questo, non arriveremo mai veramente alla seconda Repubblica. Non c’è stata alcuna autocritica all’interno della Democrazia Cristiana sui comportamenti di allora, né c’è stata riflessione all’interno del mondo che all’epoca era il Partito Comunista”.
A quanto pare il presupposto di Giovanni Moro non ha trovato una soluzione. A distanza di tanti anni da quell’intervista si può dire che il fenomeno dell’autocritica non si è ancora impossessato dei partiti e non ha portato ad una riflessione sui comportamenti del passato, né tantomeno del presente. L’impegno di Giovanni Moro è attualmente volto al recupero delle energie civiche e all’applicazione del principio di sussidiarietà. L’esempio del padre viene ripreso perché possa essere soppesata una partecipazione attiva nel sistema pubblico, affinché si passi da una partecipazione rappresentativa, mediata dai partiti, ad una diretta, in cui i cittadini possano partecipare liberamente. Nella lettura specifica della società civile italiana, traspare la possibilità effettiva di avere un impatto sulla realtà perché le organizzazioni, specialmente associative, godono di fiducia maggiore rispetto all’apparato partitico. Maggiore è la fiducia pubblica, maggiore è la capacità di intervenire concretamente, minore l’incisività nella definizione delle politiche pubbliche, sostiene Giovanni Moro. Più che un problema con l’amministrazione questo è quindi un problema con la politica, che sancisce una bassa capacità di incidere sugli orientamenti generali. La democrazia partecipata è uno dei capisaldi del pensiero del quartogenito della famiglia Moro e della sua Fondaca. La partecipazione civile racchiude senz’altro una grande energia, oggi come negli anni Settanta, ma non ha trovato una corrispondenza nella realtà operativa del sistema partitico.
Fondaca è un think-tank europeo costituito nel 2001. La sua mission è incentrata sulla cittadinanza intesa come fenomeno plurale e multiforme, in cui hanno luogo e sono osservabili cruciali mutamenti dei sistemi democratici nelle società contemporanee, mutamenti caratterizzati da nuovi luoghi e modalità di costruzione delle identità collettive, da nuovi contenuti di diritti e doveri, da nuovi ruoli dei cittadini nella sfera pubblica. Di tutto ciò, il caso più emblematico è quello, appunto, dell’attivismo civico, ossia la presenza nella scena pubblica di una pluralità di organizzazioni che svolgono un ruolo di attori nel ciclo del policy making e che sono irriducibili alle forme tradizionali dell’associazionismo politico, di quello connesso al mondo della produzione e del lavoro e di quello tradizionale, a fini privati, della società civile.
Sul sito www.fondaca.org è riportato: “Connesso a questo cambiamento di ruolo è in atto un profondo mutamento dei rapporti tra i soggetti dell’arena pubblica e il proprio ambiente operativo, nel quale sono soprattutto i cittadini intesi come stakeholder a influire sulla definizione di priorità, a creare nuovi vincoli, a imporre modelli operativi che comportano una radicale ridefinizione della mission e delle operazioni di pubbliche amministrazioni, imprese private e organizzazioni di cittadinanza attiva. Un’altra focalizzazione riguarda i mutamenti in corso nei sistemi democratici, nei quali attori, sistemi di rappresentanza, luoghi e procedure di decisione e di messa in opera delle politiche, riflettono sempre meno gli standard delle democrazie basate sugli stati nazionali, dando luogo a nuovi rischi ma anche a opportunità inedite di innovazione e di sviluppo”.
Entra in ballo il principio di sussidiarietà che era stato auspicato da Aldo Moro come luogo di ricerca, formazione e divulgazione intorno ai temi culturali, sociali ed economici. Ciò che muoveva lo statista era l’interesse verso chiunque desiderasse cercare la verità e affermare la libertà in un’attivazione di collaborazioni multidisciplinari a livello nazionale e internazionale, che includesse la pubblica amministrazione, i diritti umani, la multiculturalità, l’educazione, l’istruzione, l’impresa sociale, l’economia, il lavoro, la cooperazione allo sviluppo. Ma Aldo Moro sapeva anche, da cattolico praticante, che ogni singola persona è irripetibile e la sua dignità è più grande di qualunque struttura pubblica e istituzionale. Le esigenze di verità e di giustizia non potevano essere sacrificate in ragione di un progetto politico, specie quando l’azione riguardava il mondo dei giovani e i loro fermenti, le loro inquietudini. Quei giovani che Moro conosceva, che trovava intelligenti, sensibili, quindi da ascoltare con attenzione per quel rinnovamento interiore che sapevano trasmettere. Questa coscienza di verità e di giustizia, di bene comune, era per lui un fattore di pace e di sviluppo. Era e rimane ancora il principio che consegue alla centralità della persona di agire criticamente seguendo le esperienze in atto. Ecco che la cultura si connetteva al principio di sussidiarietà perché muoveva dal confronto e non da costruzioni ideologiche precostituite, inamovibili. Moro riconosceva l’importanza del dialogo e del pluralismo.
Tolleranza, dedizione, solidarietà per bilanciare ogni spinta distruttiva, ogni ingiusta contestazione e ogni velleità portata avanti con l’uso della violenza. Aldo Moro malgrado tutto, tesseva la file per unire la nostra storia con quella di altri paesi, per un intento di pace al riparo da ogni minaccia alla sicurezza, tanto che parlò spesso del bisogno di cooperazione e di una via della distensione in campo mondiale. Ricordava che l’Italia doveva farsi promotrice di questa distensione, di un contenuto nuovo e più sostanzioso, per i giovani e con i giovani. Perché non c’è mai un popolo che fa la storia e un altro che la subisce, per cui tutti erano chiamati alla cooperazione per la risoluzione dei gravi problemi del mondo. Guardava oltre i confini nazionali in un clima di fiducia, di impegno e di benessere comunitario, dall’Europa all’America, scavalcando il comunismo stesso, il grande nemico della civiltà occidentale, per una volontà protesa ad includere innanzitutto le coscienze comuni. Bisognava colmare le distanze tra i paesi più sviluppati e quello rimasti più indietro, in vista di un benessere legittimo e razionale, così come doveva accadere in Italia tra il settentrione e il Mezzogiorno.
Moro disse a Udine, durante un incontro pubblico preparatorio al Congresso della Democrazia Cristiana, il 13 aprile 1969: “Il crescere rigoglioso, e sempre più rapido negli ultimi tempi, della società civile, la più larga rivendicazione di diritti e poteri di decisione, l’affermarsi della persona umana con tutta la sua dignità, la più ampia sfera di autonomia riservata alla società la quale condiziona incisivamente il potere politico, sono tutti fenomeni caratterizzanti della nostra epoca. Essi toccano da vicino il modo di fare politica, interpretando e soddisfacendo i bisogni della società. Oggi la radice delle opportune soluzioni si trova piuttosto alla base che non al vertice del potere e dal basso sale non soltanto l’esigenza, ma anche un’articolata ed autorevole proposta di assetto sociale, benché essa debba essere collocata in un quadro generale di rapporti e di equilibri. È una forza enorme dunque che si sprigiona da una società, non solo capace di premere sul potere, ma in un certo senso, e realmente, di parteciparvi. E’ una più vigorosa iniziativa ed un serio, effettivo controllo. È un ricorso più stringato e condizionato alla delega per i compiti di governo. È insieme una più alta responsabilità, anche se non del tutto avvertita, che ricade su tutti e non su alcuni soltanto. Chi vorrebbe, chi potrebbe rinunciare al significato profondo di questo risveglio della coscienza, di questo allargarsi degli orizzonti della democrazia che si fa, se non esclusivamente, più largamente diretta e perciò universale e vera? Questo processo, che è proprio del nostro tempo, è dunque irreversibile nella logica della storia. E parimenti l’immissione di una carica giovanile, ormai determinante, nella vita sociale e politica non può essere né ritardata né sterilizzata”.
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Torno all’omicidio Moro, perché è evidente che il presente nella memoria costituisce il fondamento del caso irrisolto all’ombra del processo innovativo e pacificatore dello statista. Mario Moretti è una nube che si sposta come l’aria. Lo stesso mi dicono di Balzerani, Braghetti, Bonisoli, Faranda, Fiore, Maccari, Morucci e Seghetti. L’Italia è questa: le fonti di informazione vengono spesso precluse. Anche i delinquenti non parlano, eppure scrivono libri. Anche un archivio può essere inaccessibile, eppure qualcuno ci lavora. Tutto può essere bloccato o frainteso, anche quando è lapalissiano. Ma del resto la verità, se è cruda e tremenda, diventa perfino invisibile.
“Se papà tornasse vivo lo ucciderebbero ancora”: è tremenda la considerazione di Maria Fida Moro letta più volte, per la quale, però, c’è una legge del cielo che azzera l’impunità. Il mio tavolo di lavoro è intonso di volumi e carte. Maria Fida difende il padre, quando la chiamo al telefono. Lucida e razionale, affila le armi contro la giustizia conclamata. La spada contro la ragione di stato. I piccoli occhi mortali sono i suoi, adesso. Luminosi, fermi. Occhi che vedono tutto, anche dietro di sé. Occhi che non si spengono, che accendono una luce di speranza, di fiducia. Nessuna illusione, ma una presa di coscienza inflessibile. Non si tratta di una morte definitiva, ma di qualcosa che si muove ancora nel suo insieme, nell’indicibile. Maria Fida apre un ciclo di risonanze per una persona cara: non per l’incombente padre che non c’è più, ma per la solennità. La fedeltà al pensiero è un presentimento, un invito. Ecco quindi che le immagini di Aldo Moro possono riprodurre il sangue, il corpo, il sapore gradevole dell’immedesimazione. Il trasferimento di sé proiettato sul padre è un elemento consapevole, razionale. Siamo di fronte ad una realtà-pensiero incisiva, raffinata, che risucchia la fine e consente la riproduzione ideale della vita. L’affermazione di Maria Fida è un coniugare il tempo del ricordo, mai in un’estraneità dolorosa del passato, mai in una compartecipazione come tormento. Il senso della perdita è uno dei tanti riferimenti: il tempo dissipa le cose e sembra interessare sempre di meno. Proprio perché non figura alcun sentimento nostalgico, alcuna malinconia, ma una coscienza nitida. In definitiva ogni ricostruzione è quella di un’identità in metamorfosi. Il contro bilanciamento si consolida nel travaso da un’esperienza all’altra, da un particolare ad un generale. Nessuna esigenza confessionale fa parte dell’intenzione di Maria Fida Moro: nella sua centrifuga ha messo al centro un acume percettivo privo di intellettualismi.
Moro diceva ai giovani che se gli avessero dato un milione di voti e tolto un atomo di verità, sarebbe stato sempre perdente. Nel nostro tempo c’è come una specie di abitudine maledetta per la quale l’apparire conta più di qualunque parola, di qualunque libro, di qualunque qualifica, di qualunque storia. L’Italia soffre di una male incorreggibile: la dissipazione consuetudinaria. Disperdiamo e dilapidiamo, volontariamente, colpevolmente. Dobbiamo evitarlo, specie ora che i giovani lo chiedono con la protesta, in una situazione politica, economica e occupazionale estremamente difficile. Solo il secondo dopoguerra ha messo di fronte alla necessità di ricostruire in tempi di recessione, di stallo, di fame. Questo, invece, è il tempo del disagio e dello smarrimento. L’insegnamento di Aldo Moro è contro ogni iniquità e ingiustizia sociale. Contro ogni prevaricazione e malversazione.
Domenica 4 agosto 2013, nell’editoriale sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia scrive: “Ci mancano energie, idee, donne e uomini nuovi. Non per nulla, nell’assenza di qualunque soluzione audacemente imprevedibile, di una qualsivoglia inedita, valida vocazione collettiva e personale, e stante l’incapacità sempre più clamorosa dei partiti di essere qualcosa di diverso dal passato, non ci è restato altro, per fare comunque qualcosa di fronte all’emergenza, che ricorrere all’union sacrée di tutto il vecchio. A una versione aggiornata delle convergenze parallele. La verità è che siamo un paese politicamente stanco, sfibrato, il quale troppo a lungo invece di guardare avanti si è perso nei reciproci risentimenti e nella recriminazione universale”.
La scossa del cuore consente di sviluppare un credo che non sarà mai sconfessato, ma anzi setacciato e rastremato di input perché il passato sia presente, un vaso comunicante. Si guarda al mondo travalicando la propria immaginazione a difesa della fatalità che prende corpo dal male della cronaca, dalla degenerazione. La storia è sdegno, è la condizione comune delle colpe e dei rancori, la tragicità nei ritmi sincopati di un uomo, scomposta nella sua angosciosa fine. Il rituale evocativo corrisponde ad un ennesimo annuncio, ad un’ennesima alba. Rimane la necessità di comunicare, di conversare, di ritagliare una conoscenza consapevole.
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È come se vedessi un’immagine sempre in movimento, che non si ferma mai. Aldo Moro cammina, cammina. È pacato, ben vestito. Nel sogno di molti italiani diventa il Presidente delle Repubblica. È il mese di giugno 1978. È un trionfo. Il governo delle larghe convergenze, di solidarietà nazionale è stato attuato. I comunisti sono seduti sugli scranni più alti dell’esecutivo. Moro resterà il capo dello Stato fino alla caduta del Muro di Berlino e oltre.
Scrisse Leonardo Sciascia nella prefazione al libro La casa dei cento natali di Maria Fida Moro (Rizzoli 1982): “Sarebbe bastata un po’ di attenzione alle lettere che venivano dalla prigione del popolo e ai comunicati delle Brigate Rosse per accorgersi che Moro continuava ad essere se stesso; un’attenzione che muovesse però dalla buona fede e che, con una certa sensibilità ed acutezza (non una grande sensibilità, non una grande acutezza), separasse il grano dal loglio: le parole essenziali dalle superflue, nelle lettere di Moro; le spavalde menzogne dalla verità che nascondevano, nei comunicati delle Brigate Rosse. Ma appunto mancando la buona fede quest’attenzione è mancata. Una lettura delle lettere di Moro sotto il segno della coerenza, della dignità e del coraggio che i suoi carcerieri gli riconobbero, è ancora da farsi; così come è da spiegarsi la ragione per cui le Brigate Rosse, che dicevano di volere la trattativa, lo scambio, si siano scagliate contro il solo partito che sosteneva la necessità di trattare e di accedere allo scambio e abbiano stroncato questa possibilità, con l’assassinio dell’ostaggio, proprio nel momento in cui l’opinione di trattare dal Partito Socialista si allargava a una parte della Democrazia Cristiana. Ma è un discorso che abbiamo già tentato di fare, che rifaremo, che sarà fatto e rifatto nella storia di questi travagliati anni del nostro paese. Qui ed ora, di fronte al ricordo del Moro familiare scritto dalla figlia Maria Fida, possiamo dire che non ci sono scarti tra il Moro della vita di ogni giorno in famiglia, tra il Moro docente di diritto, tra il Moro uomo politico e il Moro prigioniero delle Brigate Rosse”.
Leonardo Sciascia accenna alla trattativa mancata, o meglio declinata. Prende in esame il linguaggio di Moro, le parole definite essenziali. Ma soprattutto anticipa il rischio di quando scrisse il libro: la dimenticanza della persona, dell’uomo fuori da quei 55 giorni. La linfa vitale, quella che non può restare fuori dalla società.
Si può parlare di pacificazione in Italia, quando imperversa lo scontro tra la politica famelica e la magistratura censurata, quando i poteri dello Stato non sono solo affrontati con toni fuori luogo, ma addirittura vilipesi? Si può parlare di pacificazione, quando avanza una sorta di referendum sulla possibilità di applicare una legge ad personam a chi è stato condannato dopo tre gradi di giudizio? E cosa dire, nel 2018, di un governo di larghe intese, diviso tutti i giorni tra falchi e colombe, appeso ad un filo anche d’estate, alla libertà e alla salvezza dei diritti politici di uno dei suoi leader?
Gli italiani non credono più alla politica e ai partiti, quindi dimostrano impassibilità, sterilità. Sono stanchi. Votano, ma senza più convinzione. Sale la protesta verso un sistema vecchio, logoro, non rassicurante. Come cambiare, come dare una svolta drastica per ripristinare almeno l’autorità dello Stato e di chi dovrebbe salvaguardare le sue manifestazioni più alte? Non si può essere statisti ed attaccare il potere. Non si può essere parlamentari e accanirsi contro la magistratura. Non serve neppure chiedersi cosa avrebbe detto oggi Aldo Moro, perché siamo arrivati ad un punto di non ritorno, stando allo spirito di pace, di conquista di una nuova civiltà alle quali alludeva l’ex leader democristiano. L’annuncio evangelico rasserenava, equilibrava, pacificava per la straordinaria necessità, nella condizione umana, di conquistare il bene, in quel progetto equilibratore. I personalismi sono sempre contro questo bene comune, come lo sono le fazioni sempre più astiose e sempre più legate ad interessi di parte. Moro sosteneva che eravamo lontani dalla pace per mancanza di intelligenza, senza se e senza ma. Non è forse vero che l’Italia politica di oggi soffre tremendamente la decrescita umana della sua classe dirigente, prima ancora che la mancanza di professionalità e competenze? Non è forse vero che i colonnelli di questo o di quel partito, nella società videocratica e dell’apparenza hanno perso di vista le richieste, le necessità improrogabili dell’uomo, del cittadino?
Moro parlava già da martire, quando era ragazzo. Per fare qualcosa di grande e di buono, e perciò di duraturo, occorreva saper pagare di persona, divenendo attori e partecipi del dramma. Chi fa più riferimento al dramma umano, nel 2018, per un disegno politico superiore? Chi sa coniugare la partecipazione al dolore? La partecipazione politica sembra essere partecipazione ad uno pseudo spettacolo, quindi ai tornaconti esibiti, ai ruoli assegnati in una commedia. La politica dell’io ha sostituito il bisogno stringente della comunità. Moro citava la redenzione dell’uomo. Chi usa più questa parola nell’agire del governo italiano, da trent’anni a questa parte? La storia è deludente e scoraggiante perché non vi è alcun annuncio, direbbe il martire della Repubblica. Forse, nient’altro che questo. E reciterebbe un atto di dolore per il popolo italiano, per tutti.
Dov’è andato a finire il compimento della democrazia, della convivenza civile di tutti i soggetti sociali e di tutte le culture? La prospettiva sostanzialista di Moro prevedeva un progetto di convergenza sociale, non solo politica, dell’Italia. Il fallimento è totale ed ha travolto anche le coscienze, i valori supremi. Manca proprio una formula di coesistenza delle masse, prima ancora che dei partiti politici. Ad una legge elettorale da modificare, fa da sponda una legge morale evanescente, soppiantata dalla disonestà intellettuale. Sono cambiati i costumi e le usanze. Di male in peggio. L’Italia non ha più un contegno, non ha più una reazione, un sussulto, perché è venuta a mancare l’etica pubblica. Non c’è vigore, non c’è anima, ma il diffondersi di un progressivo disincanto e di una rassegnazione indifferente. L’Italia è morta nella sua costruzione, nella sua modernizzazione, nella sua sopravvivenza. Quale futuro?
Scrisse Moro il 13 marzo 1969 in Frammento della memoria per un dialogo sull’Italia e gli italiani, testo pubblicato nel sito www.accademiaaldomoro.org: “Lo Stato democratico, lo Stato del valore umano, lo Stato fondato sul prestigio di ogni uomo e che garantisce il prestigio di ogni uomo, è uno Stato nel quale ogni azione è sottratta all’arbitrio e alla prepotenza, in cui ogni sfera di interesse e di potere obbedisce ad una rigida delimitazione di giustizia, ad un criterio obiettivo e per sua natura liberatore; è uno Stato in cui lo stesso potere pubblico ha la forma, la misura e il limite della legge, e la legge, come disposizione generale, è un atto di chiarezza, è assunzione di responsabilità, è un impegno generale ed uguale. Nelle leggi perciò è sempre in qualche modo un principio di riconoscimento delle esigenza generali, ed in esse dei diritti dell’uomo e del suo posto nella vita sociale. Ma nella legge di uno Stato democratico c’è in più il processo di libertà che l’ha generata, per il dibattito da cui nasce, per la mediata e conquistata prevalenza di opinioni che la caratterizza, per la rispondenza a finalità umane, per la rispettosa adesione alla causa progressiva ed inesauribile della liberazione dell’uomo. Essa ha in sé in sommo grado il diritto di tutti, il valore di tutti, un principio obiettivo, una funzione liberatrice ed assicuratrice. E’ il regno del diritto come sottrazione all’arbitrio e al casuale, del diritto giusto che costituisce il valore, realizza la libertà. Libertà di pensare, di muoversi, di fare, di progettare; libertà d’iniziativa in ogni ordine; potere di assumere la propria responsabilità nella vita sociale in un ordine obiettivo”.
Aldo Moro credeva in una società in movimento, critica, capace di analizzare i problemi con scrupolo. Rivendicava la capacità di trovare in se stessa, il più largamente possibile, la sua guida. Si augurava la nascita di centri di proposta, di decisione e di controllo. Esigeva di partecipare, non una volta tanto, ma dal principio alla fine, ad ogni deliberazione. Invocava l’applicazione di una legge morale tale da esaltare la libertà e la dignità e da rendere possibile, inevitabile una svolta storica verso una società di eguali, una autentica e universale democrazia. Sapeva che l’Italia era un paese disarmonico ma non si arrendeva, perché il progresso istituzionale l’avrebbe portata fuori dalle secche, se seguito da un impegno civile e morale dei rappresentanti politici. Parlava, non a caso, di progresso istituzionale al fianco della capacità realizzatrice della gente comune.
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Manca la visita ai punti cardinali del caso durante i 55 giorni di prigionia, le vie, le strade, gli appartamenti. Il desiderio di Maria Fida è che il ricordo del padre, cristallino, non si dissolva in una nebulosa nello spazio, affinché la gente continui a volergli bene, semplicemente. È il minimo che si possa chiedere, da parte di una figlia. Per un politico, per qualunque osservatore, è basilare sapere che Aldo Moro riconosceva la democrazia non soltanto nella regia della maggioranza, ma nel regime del rapporto necessario, della garanzia permanente di esistenza e funzionalità, ciascuna nel proprio ambito, di una maggioranza e di una minoranza. Bisognava che la maggioranza potesse orientare, dirigere, prendere iniziative e decisioni e che la minoranza potesse con forza e sicurezza operare, secondo la sua funzione di controllo, proporre alternative, permettere eventuali mutamenti nell’orientamento del paese.
Conta l’immaterialità delle cose: la parola si può salvare, solo la parola, nella memoria e quindi nel presente. Questa parola, per dirla con Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia, è “adorabile”. A cominciare dalla scuola. Il problema della scuola, per Moro, era più di uomini che di ordinamenti. La scuola andava umanizzata, rendendone il rapporto di insegnamento, ufficiale e non ufficiale, umano, di amicizia nel senso più alto e nobile della parola, nel quale riuscisse, fecondo, per la formazione della personalità, anche il più particolare apprendimento e venisse messa in luce la profonda umanità della scienza. Così lo studio stesso sarebbe apparso caldo di vita, fatto che riguarda il profondo io del giovane. Se il giovane non studiava, per Moro, era perché non sentiva lo studio come cosa sua, centrale, appassionante. Andava dunque aiutato dal maestro per cogliere il senso umano, se il maestro era capace di scendere spiritualmente, e qualche volta materialmente, dalla sua cattedra, per farsi vicino al giovane. Aldo Moro sembra rivolgersi proprio ai giovani, come ogni effetto del dialogo per una società migliore, per un domani più eterogeneo nella proposta e nella condivisione. Farlo uscire da quella Renault 4, come dice Maria Fida, significa devolvergli intelligenza, fedeltà, meditazione e studio.
Aveva ragione Leonardo Sciascia, quando nel suo L’affaire Moro (Sellerio 1978) constatava: “Nella prigione del popolo Moro ha visto la libertà in pericolo e ha capito da dove il pericolo viene e da chi e come è portato. Forse se ne è riconosciuto anche lui portatore: come di certi contagi che alcuni portano senza ammalarsene. Da ciò la sua ansietà di uscire dalla prigione del popolo: per comunicare quello che ha capito, quello che ormai sa”.
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Ho detto a Maria Fida Moro che andrò vedere i posti dei 55 giorni. Non mi ha risposto, perché si acuisce il suo dolore, quando si parla del sequestro.
E se suo padre fosse stato detenuto anche in altre prigioni del popolo e non solo in una? Che certezza abbiamo che lo abbiano condotto immediatamente in via Moltalcini e che ce lo abbiano tenuto per tutti quei giorni? E se Moro fosse stato anche in via Gradoli, dove adesso sembra che i covi siano risultati due se non tre, all’interno di una palazzina in dotazione quasi esclusivamente ai servizi segreti e della quale era fiduciario Domenico Catracchia del Sisde, peraltro amministratore unico e a capo di un’immobiliare? E se ci fosse stata un’altra prigione del popolo tenuta nascosta anche dopo i rilevamenti delle forze dell’ordine in una via di Roma mai setacciata dagli inquirenti e ancora sconosciuta, dopo decenni, anche se visibile, scandagliabile da chiunque volesse farlo?
In via Gradoli si nascondeva il capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, e questa via è tornata alla ribalta con il caso Piero Marrazzo nel 2009, con una vicenda di estorsione a danno dell’allora Governatore del Lazio da parte di quattro appartenenti all’arma dei Carabinieri. Due persone legate alla vicenda sono morte in circostanze non ancora del tutto chiarite e il Governatore è stato costretto a rassegnare le dimissioni. Da un covo di brigatisti, di esponenti dei servizi segreti, perfino di latitanti, a quanto pare, ad un alveare di transessuali. La Roma che non ti aspetti, la Roma degli intrighi e dei misteri.
So che l’asfalto è rimasto lo stesso del 1978, pieno di buche e malmesso in più punti. Per il resto, via Gradoli, simbolo cupo degli anni di Moro, è ormai una via di conflitti tra seminterrati ceduti in nero non si sa bene a chi, e cubature gravate dall’Ici in un’area residenziale. La procura ha aperto un’inchiesta. La strada, a quanto risulta, è tra le più trafficate dai fornitori di bombole a gas. E nel 2009, come se non bastasse, vi fu proprio un’esplosione di gas. Maria Fida mi ha detto che tutti gli alberi, dopo la strage di via Fani e dopo la scoperta del covo di via Gradoli, si sono seccati. Ci è voluto del tempo prima che la vegetazione ricrescesse. Via Fani e via Gradoli dimostrano che anche le cose hanno un’anima.
La storia di Aldo Moro è anche una storia di anima, di anime. Una storia che travalica dalla politica non solo perché si conclude con la morte, ma perché la verità interiore dello statista risulta il punto più alto del suo messaggio politico. Moro sa ancora parlare al cuore della gente, e il suo presente nella memoria indica che la persona è il fulcro di una struttura, mai il contrario. La stessa legge è per la persona, come detto da Papa Francesco.
 Alessandro Moscè
(continua)
L'articolo “Se papà tornasse vivo lo ucciderebbero ancora”. Ho visto gli occhi di Maria Fida Moro, una donna libera e che incute timore. Indagine sul ‘caso Moro’ (parte terza) proviene da Pangea.
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Il teatro della Juta in azione a Valenza ed Arquata
Si terrà SABATO 24 MARZO, alle ore 21, presso il Teatro Sociale di Valenza, l’ultima data in provincia di Alessandria dello spettacolo “Quando la moglie è in vacanza”, adattamento teatrale del celebre film con Marylin Monroe e la regia di Billy Wilder. La commedia è portata in scena dalla Compagnia del Teatro della Juta (Ass. Culturale Commedia Community). La monotona estate di Richard Sherman, rimasto solo in città dopo la partenza della moglie per le vacanze, viene sconvolta dall'arrivo di una "frizzante" annunciatrice televisiva, che abita provvisoriamente al piano di sopra. Tutta la commedia gioca sul contrasto tra la volontà di essere fedele alla moglie e la tentazione di sedurre la bella e disinibita vicina. Tra sogni e realtà, Richard immagina di conquistare la ragazza, ma anche di essere ripagato con la stessa moneta dalla moglie che, al mare, se la spassa con il bel Tom, amico di famiglia. Tra portieri ficcanaso, psichiatri-scrittori studiosi di pulsioni omicide e incursioni della bellissima vicina, Richard dovrà decidere infine la strada da intraprendere. Questo adattamento teatrale fa un uso narrativo delle immagini, che vivacizzano il tradizionale svolgimento delle "commedie da appartamento", modificando la narrazione classica in un racconto dinamico e multimediale. Protagonisti in scena Mattia Silvani, Nora Garavello, Erica Gigli, Christian Primavera, Giancarlo Adorno e Simone Guarino. Regia Enzo Ventriglia, aiuto regia Michele Puleio, organizzazione Cristina Storaro. INIZIO SPETTACOLO ORE 21. Prevendita dei biglietti da mercoledì a venerdì dalle 16 alle 19, sabato dalle 10 alle 12. La Biglietteria del Teatro Sociale di Valenza permette la prenotazione telefonica oppure via E-mail ai seguenti recapiti: Teatro Sociale di Valenza, via Garibaldi 58 Tel. 0131.942276 - 324.0838829 E-mail: [email protected] . L'Associazione Culturale Commedia Community esordirà Sabato 21 aprile al Teatro della Juta di Arquata Scrivia con la sua nuova produzione, “La bisbetica domata” con la regia di Luca Zilovich, in replica il 28 aprile al Teatro Ambra di Alessandria. Info: Associazione Commedia Community, Enzo Ventriglia 345 0604219. Nuovo appuntamento al Teatro della Juta di Arquata Scrivia (AL): questa sera venerdì 23 marzo, alle ore 21, sarà ospite l’attore di cinema, teatro e televisione Bebo Storti, con lo spettacolo “Mai morti”, regia di Renato Sarti. Mai Morti è una “affabulazione nera” che fa arrabbiare, divide, emoziona e commuove. Con una scrittura evocativa, Renato Sarti ripercorre la nostra storia recente attraverso i racconti di un fascista mai pentito. È affidato a Bebo Storti il difficile compito di dare voce a questo nostalgico delle “belle imprese” del Ventennio fascista, oggi impegnato in prima persona a difesa dell’ordine pubblico contro viados, extracomunitari, zingari e drogati. Mai Morti era il nome di uno dei più terribili battaglioni della Decima Mas. A questa formazione, che operò a fianco dei nazisti nella repressione anti-partigiana, e al magma inquietante del pianeta fascista il personaggio guarda con delirante nostalgia. Durante una notte milanese dei nostri giorni, il protagonista si abbandona a ricordi sacri, lontani, cari. Evoca le “gloriose” azioni della Ettore Muti, come le torture praticate nelle stanze di quello che diventerà il Piccolo Teatro di Milano. Ricorda le stragi compiute dall’Esercito Italiano in Africa e l’uso indiscriminato e massiccio dei gas contro le popolazioni civili. Ad animare i suoi sogni a occhi aperti sono anche alcune vicende del passato più prossimo e del nostro presente: dalla strage di piazza Fontana nella Milano incandescente del 1969, fino al G8 di Genova. Un monologo che cerca di rammentare, a chi se lo fosse dimenticato o non l’avesse mai appreso che la parola antifascismo ha ancora un fondamentale e profondo motivo di esistere, e per riflettere su quanto, in Italia, il razzismo, il nazionalismo e la xenofobia siano difficili da estirpare. Bebo Storti è un attore di cinema, teatro, televisione. È conosciuto al grande pubblico grazie al programma televisivo Mai dire Gol!, dove interpreta personaggi comici come il Conte Uguccione, Alfio Muschio, Thomas Prostata e Adelmo Stecchetti. Al cinema lavora per molti registi, tra cui Gabriele Salvatores, Francesca Comencini, Neri Parenti, Marco Risi, Paolo Virzì, Fausto Brizzi e Marco Tullio Giordana. Recita inoltre per molte fiction televisive, tra cui “Le mani dentro la città”, regia di Alessandro Angelini, “1992” e “Non uccidere” , regia di Giuseppe Gagliardi. Nel 2002 inizia al Teatro dell'Elfo la tournée del monologo drammatico "Mai Morti", regia di Renato Sarti. Il Teatro della Juta fa parte del progetto della Fondazione Piemonte dal Vivo chiamato “Corto Circuito”, nato per favorire l’attività di giovani artisti in Piemonte e creare un’occasione, per le varie compagnie, di contribuire allo sviluppo culturale e sociale del proprio territorio. La stagione ha il patrocinio del Comune di Arquata, il sostegno di Acos Energia e della Fondazione CRT. Il Teatro della Juta collabora inoltre con il Consorzio Le Botteghe di Arquata e con il Distretto del Novese. INIZIO SPETTACOLO ORE 21. Posto unico € 12. Apertura biglietteria ore 20. tel. 345 0604219. Il prossimo appuntamento con il Teatro della Juta sarà sabato 7 aprile con la Compagnia Teatrale Fubinese, che metterà in scena lo spettacolo “I canonici”. http://dlvr.it/QM6ClV
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