#Metafore della vita
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Sulla pelle di Laura Cusenza: Versi che Graffiano l’Anima e Celebrano la Rinascita Femminile
La silloge poetica di Laura Cusenza, “Sulla pelle,” esplora la profondità dell’animo femminile attraverso emozioni vive e intense, con il coraggio di rinascere ogni giorno.
La silloge poetica di Laura Cusenza, “Sulla pelle,” esplora la profondità dell’animo femminile attraverso emozioni vive e intense, con il coraggio di rinascere ogni giorno. “Sulla pelle” è la silloge poetica di Laura Cusenza, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” di Aletti editore, e rappresenta una raccolta di emozioni che lasciano un’impronta indelebile. In queste poesie, la…
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"Tu come vivrai?": il viaggio dantesco di Hayao Miyazaki
Appena usciti dalla visione di “Kimi-tachi wa Dō Ikiru ka” (in Italia, seguendo il titolo inglese, “Il ragazzo e l’airone”) di Hayao Miyazaki, regna un silenzio contemplativo nella sala. Come un imperativo non detto: rimanere in silenzio alla fine di un’opera creata da un “ragazzino” di ottant’anni, che ancora oggi interpreta la realtà con gli occhi di un sognatore, la rivisita con la creatività…
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“A Caccia dell’ALBERO della VITA”
di M. T. De Donato & A. Sinkko ǀ Recensione di Giancarlo Dell’Angelo
#A caccia dell'Albero della Vita#maria teresa de donato#anneli sinkko#spiritualita'#religione#bibbia#testi sacri#metafore#simbolismi#vangeli#recensione#giancarlo dell'angelo
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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Una delle migliori metafore della vita-nel-mondo progressista è “la rotaroria” come espressione di “moto caotico perpetuo”: devi essere il più veloce ed il più arrogante, ogni forma di educazione (precedenza, freccia, rispetto corsia, velocità moderata) comporta soccombenza.
Adriel Diabole
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“Sei un pervertito come tutti gli altri”. No.
Bisogna chiarire alcune cose: in questo blog scrivo quello che voglio, quando voglio, come voglio, e per i motivi che voglio. Se voglio parlare del mio pene, lo faccio. Se voglio parlare della psiche femminile, lo faccio. Se voglio parlare della mia vena poetica, lo faccio. E così via. Questa mia libertà è sufficiente per associarmi a un pervertito? Lo trovo un ragionamento immaturo, se non addirittura infantile, puerile, fallace. Sono un pervertito? No, per i canoni odierni e per come viene immaginato e descritto un pervertito oggigiorno. Ho una spiccata fantasia, un erotismo innato che spesso mi accompagna, una passionalità intrinseca e introversa come il mio carattere. Pertanto da qualche parte, e nello specifico prevalentemente qui, in qualche modo viene fuori. L’utilizzo di certi vocaboli, di certe metafore/similitudini/allegorie, m’appassiona. Quindi, quando ne ho voglia, mi abbandono a questa pratica. Tutto ciò per dire che non ho bisogno di sotterfugi e mezzucci vari, per parlare del mio pene. Se la ruota gira, la lascio girare a prescindere. E con “ruota” non mi riferisco al mio pisello che fa l’elicottero. È un modo di dire. La libertà espressiva m’eccita mentalmente perché viviamo in una prigione dorata. Io parlo liberamente di tante cose, mica solo della mia sessualità. Siamo solo all’inizio, è un po’ presto per fare bilanci. Onestamente parlando, trovo molta (ma molta) più perversione in quasi tutti i prodotti di Hollywood (film e serie tv), piuttosto che nei miei testi. Comprendo che ognuno abbia un metro di giudizio diverso, ma stride che mi vengano dirette accuse palesemente prive di fondamento. Vuoi che scenda nei dettagli della mia vita privata? Be’, una cosa che non puoi sapere è che sono sessualmente vergine. Una scelta fatta anni addietro e a cui ho sempre mantenuto fede, per il semplice fatto che non ho trovato la ragazza che mi convincesse che il suo corpo valesse più della mia purezza. O meglio: che il nostro amore valesse più di quello per il mio tempio immacolato. Sarò molto esplicito: non me ne faccio nulla di una ragazza che apre le gambe pronta ad accogliermi, se poi non ci vado d’accordo. Se poi non è la persona che vorrei che fosse. Se poi non corrisponde ai miei desideri e alle mie richieste. Preferisco, piuttosto, eclissarmi. Tutelarmi, preservarmi, proteggermi. La vita non è il sesso, ragazze. E so che molte di voi non lo capiscono, ma il sesso molto spesso altro non è se non il mezzo più veloce per dimenticare. Per arrivare al culmine del piacere fisico senza fatica. Per sbrigarsi a godere. Tumblr è principalmente questo proprio per tali motivi. E io ne approfitto, ne cavalco certamente l’onda. Ma a modo mio, sempre, e mettendo i puntini sulle i. Perché si ritiene necessario. Perché è ovvio che amo le ragazze giovani (che belle), ma se m’imbatto in una quarantenne con un cervello sopraffino, mi dimentico di tutto il resto. Sono umano, ma la perversione in senso stretto la lascio agli altri. Io sogno, fantastico.
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falloro/falloforia
fallòforo s. m. [dal gr. ϕαλλοϕόρος, comp. di ϕαλλός «fallo» e -ϕόρος «-foro»]. – Portatore del fallo nelle cerimonie orgiastiche della Grecia antica; anche, attore delle antiche farse popolari, che portava, oltre alla maschera, un fallo. (Treccani)
Quale sorpresa sarebbe per il greco antico venire a scoprire che duemicinquecento anni dopo il falloforo si manifesta all'intelligentissimo uomo del presente sotto le sembianze di un ignaro e frettoloso corriere della SDA.
Plutarco ci descrive le falloforie:
«in testa venivano portati un'anfora piena di vino misto a miele e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio, seguito da uno con un cesto di fichi e infine le vergini portavano un fallo con cui venivano irrigati i campi.»
(De cupiditate divitiarum, VIII, 527 D)
Nelle falloforie propiziatorie del raccolto, molto diffuse nel mondo agricolo dell'antica Grecia e poi in Italia e nei territori dominati dai Romani, le processioni con il fallo terminavano con una pioggia di acqua mista a miele e succo d'uva, indirizzata verso i campi, che rappresentava l'eiaculazione del seme origine della vita e quindi propiziava l'abbondanza del raccolto.
Così, senza troppi giri di metafore, senza la scimmia della morale illuminista a pesargli sul groppone.
Naturalia non sunt turpia.
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Ogni giorno della tua vita leggi poesie. La poesia è buona perchè esercita muscoli che non usi abbastanza spesso. La poesia espande i sensi e li riporta a condizioni primordiali. Fai sì che tu ti renda conto del tuo naso, del tuo occhio, del tuo orecchio, della tua lingua, della tua mano. E, dopo tutto, la poesia è metafora compatta e similitudine. Tali metafore, come i fiori di carta giapponesi possono espandersi all’esterno in forme gigantesche.
Ray Bradbury, da Lo zen nell’arte della scrittura
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Io ho 80 anni, ma vi assicuro – a voi che ne avete molti meno – che quando arriverete alla mia età non sentirete differenze. La differenza arriva e si sente solo quando non si vive, quando non si ama la vita, quando non si vuol più fare qualcosa di nuovo. Ma se si rimane ancorati e aggrappati alla bellezza dell’amicizia, dell’amore, della musica, del mare e della poesia, la vita regala sempre delle sorprese.
Alla mia età si sentono gli acciacchi, certo, ma nello spirito non c’è differenza. L’amore non cambia mai. Quando uno si innamora, non importa l’età. Cambiano il riflesso fisico e la potenza sessuale, ma dal punto di vista emotivo forse l’amore è ancora più forte a cinquanta o sessant’anni. Io ho visto e conosciuto persone che si sono innamorate a settant’anni, ma innamorate davvero. Di quell’amore che quando l’altro manca si sta malissimo. (…)
Credo anche che la mentalità di un cinquantenne è più attrezzata per cogliere i sottintesi, le metafore e la verità delle emozioni di chi canta. Anzianità non è sinonimo di saggezza. Però è più facile che i cinquantenni siano allenati culturalmente, più equipaggiati. A me piace moltissimo cantare davanti a persone che hanno più di quaranta o cinquant’anni perché hanno la predisposizione a immergersi in quello che sentono e si crea una forte empatia.
Roberto Vecchioni
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dopo 24 ore circa di riflessione: il vecchio e il mare.
props to hemingway perché con quelle spiegazioni così tecniche (troppo. la scrittura certo scorre, ma è così semplice, scarna, clinica quasi, quando l'enfasi sta per decollare subito si ritrae. è più una scrittura d'immagini, è da lì che deve scaturire l'empatia) le pagine quasi sapevano di mare e pesce, il fatto che siano odori e sapori che mi disgustano è molto ironico e da ignorare quanto più possibile. ma almeno 90 pagine il protagonista le passa a pesca, cosa dovrei fare? la mia amica l'ha amato e mi ha detto che mi sono focalizzata troppo sul pesce, che in realtà è solo funzionale alla metafora: nella vita serve perseveranza perché un giorno pescherai qualcosa, ci devi solo credere, che tu voglia prendere un pesce o altro.
va bene, parliamone. i temi della natura, del mare, della pesca ci sono, è inutile ignorarlo. la pesca è un'attività lenta, di pazienza e attesa, stessi requisiti che richiede la tenacia. ha perfettamente senso che hemingway abbia scelto un pescatore. ma il messaggio è semplice, praticamente non ci sono metafore: il pescatore sta facendo il pescatore e lo squalo sta facendo lo squalo, la tenacia dell'uomo ha la stessa dignità della tenacia della natura. ha vinto la natura. è un meccanismo applicabile in qualsiasi altro contesto. la tenacia dell'uomo, tra l'altro, è resa nulla da ciò che rimane di una lotta in mezzo al mare: uno scheletro enorme. che speranza trasmette uno scheletro enorme? nessuna. il pesce è morto invano e il pescatore non ha ottenuto niente. la tenacia speranzosa finale l'ho trovata un'illusione, un autoinganno, perché da inguaribile pessimista mi sono immaginata che la volta dopo sarebbe successa la stessa cosa. santiago è un vecchio che con onore e orgoglio non si arrende, ma che sa quasi di morte. a un certo punto credevo proprio morisse. io non avrò capito nulla, l'avrò letto col mio disfattismo, ma l'ho trovato tristissimo, altro che "lotterai e l'otterrai!!!!". per quanto erroneo e senza senso ed ingenuo inevitabilmente mi dico anche che la vita di hemingway è terminata con la canna di un fucile in bocca.
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Comunque, sono tutti capaci a parlare di amore disinteressato, in teoria. Ma in pratica, come sarebbe?
Facile. Devi immaginare di essere al piano terra di un palazzo di cento piani.
Uffa. Sempre con queste metafore. Ok, ok... L'amore è un palazzo alto, che devi scalare a mani nude, bla bla bla..
No. Tanto per cominciare in mano hai un innaffiatoio.
Ah. E che cosa te ne fai?
Sali le scale.
Con l'innaffiatoio?
Eh
Perché?
Per arrivare al tetto.
Lo vedi? L'amore è il tetto in cima a un alto palazzo, che custodisce e protegge l'interno, bla bla bla...
No. Il palazzo non è altro che un palazzo. Il tetto non è altro che un tetto. Quel che conta è la pianta.
Quale pianta?
Quella che speri ci sia sul tetto. Quella per cui hai fatto tutte le scale a piedi.
Aaaah. Ecco cos'è l'amore. La pianta, il frutto che ha bisogno di cure per crescere, bla bla bla.
Niente affatto. L'amore vero è tutt'altro.
Che altro ci può essere?
Che quando arrivi all'ultimo piano, e poi alla scala stretta e ripida fino al tetto, col fiatone e stringendo forte un innaffiatoio pesante e pieno d'acqua...
Ah!Non ci avevo pensato: l'amore è che con l'innaffiatoio hai portato l'acqua, la vita, il futuro della pianta, bla bla bla...
No. Perché piove.
E quindi?
Quindi niente. L'amore è che ti sei accorto che cominciava a piovere quando eri ancora al portone, al piano terra.
E sono salito lo stesso, con l'innaffiatoio, le scale, il fiatone...?
Già.
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"L'ultimo battito di cuore": Una poesia di amore e perdita di Rita Frasca Odorizzi. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nel dolore e nella memoria, in cui l’amore e la natura si fondono nel silenzio dell’assenza.
Un viaggio nel dolore e nella memoria, in cui l’amore e la natura si fondono nel silenzio dell’assenza. “L’ultimo battito di cuore” è una poesia struggente e toccante di Rita Frasca Odorizzi. L’autrice esplora il tema della perdita attraverso immagini potenti che collegano l’amore umano alla natura. La poesia si apre con un fermarsi, un congelamento del mondo naturale: la farfalla si posa sul…
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Buongiorno...
Ogni giorno della tua vita leggi poesie.
La poesia è buona perchè esercita muscoli che non usi abbastanza spesso.
La poesia espande i sensi e li riporta a condizioni primordiali. Fai sì che tu ti renda conto del tuo naso, del tuo occhio, del tuo orecchio, della tua lingua, della tua mano.
E, dopo tutto, la poesia è metafora compatta e similitudine.
Tali metafore, come i fiori di carta giapponesi possono espandersi all’esterno in forme gigantesche.
Ray Bradbury
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A Caccia dell'ALBERO della VITA
Un GRAZIE di cuore a Claudio Spinosa per questa intervista che mi ha fatto su questa mia pubblicazione intitolata A Caccia dell'ALBERO della VITA scritta a quattro mani con l’amica e collega autrice e Ministro di culto Anneli Sinkko.
youtube
#a caccia dell'albero della vita#claudio spinosa#maria teresa de donato#anneli sinkko#intervista#bibbia#testi sacri#spiritualita'#religione#storia#simbolismi#metafore#senso della vita#Youtube
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Sto leggendo i racconti di Feria d'agosto: per evitare di dimenticarli una volta letti, ne sto facendo degli stringati riassunti man mano che li vado leggendo. Se mi avessero assegnato questo compito quando andavo a scuola, lo avrei svolto con insofferenza. Adesso, invece, lo faccio con l'entusiasmo con cui si notano i segni particolari di una persona interessante, quelli che sembra ce ne facciano innamorare. Eccoli:
LA SERPE
Magia simbolico-ancestrale della parola.
FINE D'AGOSTO
La donna, volenterosa ma insufficiente oggettivazione dell'inesplicabile mondo che l'uomo si porta dentro.
VECCHIO MESTIERE
Nostalgia per la vita semplice, più naturalmente disciplinata e costruttiva, di una volta, desiderio che la vita scorra su binari predestinati di dovere, per aver diritto al piacere dell'entusiasmo per la vita stessa.
L'EREMITA
Un vedovo con un figlio preadolescente: quest'ultimo resta affascinato da un vagabondo e ne fa un momentaneo sostituto della figura paterna.
LA GIACCHETTA DI CUOIO
Un ragazzo vuole imparare il mestiere e la vita da un maturo barcaiolo, il quale però soffre per una donna che lo tradisce e si rovina definitivamente strozzandola e gettandola nel Po. Fine di un modello di vita. Anche i migliori si rovinano per le donne.
PRIMO AMORE
Un ragazzino fa a botte per difendere l'onore della sorella di un suo amico, che però amoreggia con uno molto più adulto di lui. Il primo amore, mai espresso nemmeno a sé stesso, gli fa venire il desiderio di mostrarsi coraggioso e adulto.
IL MARE
Il viaggio di un ragazzo, abitante di collina, verso il mare che non ha mai visto; ma non lo vedrà, perché dopo due giorni di vita selvaggia sulla strada, incontra un amico più grande con il quale gli sembra naturale riavviarsi verso casa, dove lo aspettano.
IL PRATO DEI MORTI
In uno spiazzo fuori mano, vengono le persone a due a due: un assassino e la vittima. Parlano stancamente, come compiendo un rito; poi, avviene il delitto, come un evento in fondo risaputo. Il cadavere rimane solo sotto la luna. Ma una notte i morti sono due, vittime di due delitti: e allora, finché c'è la luce della luna, parlano tra loro, dicendo ciò che direbbero se fossero vivi. Racconto sospeso, surreale, magico pur nell'efferarezza dei gesti narrati.
SOGNI AL CAMPO
Descrizione dello stato d'animo di detenuti in un campo di lavoro, la cui vita vera si concentra nei sogni della notte, fino a mantenerli anche di giorno in uno stato di irrealtà. Un pezzo di bravura dove si cerca di esprimere sensazioni psico-fisiche familiari, ma intraducibili, come spesso accade in Pavese, con accostamenti e metafore letterariamente eleganti. Nulla dell'orrore è narrato, ma solo suggerito dallo stato di straniamento in cui vivono i prigionieri.
UNA CERTEZZA
Confessione virtuosistica dell'angolo (dell'abisso, dell'infinito) che Pavese ha dentro di sé, sicuro e assoluto, più importante di tutti gli avvenimenti che decide di vivere. Dice che è il sé stesso ragazzo, con cui andava d'accordo: è l'armonia dell'essere, l'integrazione delle sue varie componenti, che risulta invece frantumata nella vita successiva.
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- Oggi ti spiegherò perché devi essere fragile come un cristallo.-
- Non rischierò così di andare in mille pezzi?-
- Sì. Ma tutto è un rischio. Anche incominciare a vivere.-
- Capisco. La alternativa sarebbe di rinunciarvi.-
- Sì. Chi non vive non rischia niente. Però è morto.-
- Ma perché proprio hai nominato il cristallo?-
- Perché è trasparente, lascia passare la luce, ne distilla i riflessi.-
- La trattiene pure, no?-
- Sì, la fa sua. Ed è bellissimo.-
- Non avviene lo stesso anche con il vetro più spesso, con il plexiglas infrangibile?-
- Sì, ma non è la stessa cosa. L'effetto della luce sul cristallo è unico.-
- Sembrerebbe proprio che tu mi imponga di diventare vulnerabile.-
- No. La vulnerabilità non è uno scopo, ma soltanto un effetto collaterale. Io ti impongo di diventare cristallo. Di filtrare la luce come un cristallo.-
- Si deve proprio diventare deboli?-
- No. Non ho detto questo. Confondi, come fanno molti, la fragilità con la debolezza, la vulnerabilità con l'inevitabile ferita. La delicatezza con uno stato di costante pericolo.-
- Potrebbe diventare un pericolo reale, però.-
- Torniamo al discorso iniziale: per paura di un possibile pericolo, si rinuncia a vivere. Cosa c'è di tanto terribile? Cosa può accaderti nella peggiore delle situazioni?-
- Morire.-
- Dunque, vorresti essere già morto per non rischiare di morire. Dobbiamo parlare un momento di questo. Io sono la tua morte. Come scrisse Pavese, verrà la morte e avrà i miei occhi. Ne parli sempre.-
- I tuoi occhi. Sì, screziati d'oro. È vero: ci sono annegato dentro.-
- Volevo dire una cosa diversa. Non intendevo far uso di metafore, di immagini figurate.-
- Vuoi dire che sei realmente la mia morte? La mia assassina?-
- Sì. Sono la tua assassina. Uccido quello di te che deve morire per lasciare spazio a una altra vita, a una diversa dimensione.-
- Non è quello che Accade ogni giorno? Muore sempre qualcosa perché si possa cambiare.-
- Sì. Baciami i piedi perché sono come quelli di Shiva: piedi delicatamente tinti di blu come la notte, che calpestano i fiori danzando, in modo da consentire alla nuova fioritura di crescere e maturare. Sempre si uccide qualcosa.-
- Per questo si dice: morire d' amore?-
- Sì. Chi ama perde ciò che era prima, diventa un altro. Chi appartiene non possiede. Chi si arrende vince. Chi muore può rinascere.-
- Ma un cristallo infranto non si può rimettere insieme.-
- No. Diventa migliaia di frammenti di luce. Moltiplica la luce tante volte quanti pezzi è diventato. Non svanisce nel nulla. Diventa semplicemente un tutto maggiore.-
Franco Coletti
Cit. e prima immagine (opera di Kevin Carden) da Poeti Viandanti
"A-mors" significa senza morte.
E anche se qualche volta ci si sente così vulnerabili amando, e fragili nell' incertezza in cui alcune prove, da affrontare per stare insieme, ma da soli, ci "catapultano"...
dobbiamo lasciare che alcune parti di noi, in cui non ci riconosciamo più, muoiano, solo così potremo rinascere insieme in una nuova luce. Con colori e riflessi completamente nuovi e sconosciuti anche per noi.
Senza paura.
Perché come diceva "Yogiji" "Dove c'è amore non c'è paura e dove c'è paura non c'è amore"
Buon venerdì anime, a volte anche fragili e vulnerabili, ma insieme, nell' energia del cuore, fortissime.
🙏💚💚🔥❤️🔥💚💚
... Gurpreet
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