#emozione e cinema
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"Tu come vivrai?": il viaggio dantesco di Hayao Miyazaki
Appena usciti dalla visione di “Kimi-tachi wa Dō Ikiru ka” (in Italia, seguendo il titolo inglese, “Il ragazzo e l’airone”) di Hayao Miyazaki, regna un silenzio contemplativo nella sala. Come un imperativo non detto: rimanere in silenzio alla fine di un’opera creata da un “ragazzino” di ottant’anni, che ancora oggi interpreta la realtà con gli occhi di un sognatore, la rivisita con la creatività…
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#animazione giapponese#animazione tradizionale#biografie cinematografiche#cinema asiatico#cinema contemplativo#cinema d&039;arte#crescita personale#emozione e cinema#esperienze della Seconda Guerra Mondiale#esperienze di vita e cinema.#film di formazione#film di guerra#film familiari#film visivamente stimolanti#folklore giapponese#hayao miyazaki#Il ragazzo e l&039;airone#influenze culturali nei film#Joe Hisaishi#metafore cinematografiche#narrativa non lineare#recensioni di film#simbolismo culturale#storie di avventura#Studio Ghibli#tecniche di animazione
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un piccolo frammento per ricordare due fantastici attori di un cinema che non esiste più.
In questa scena due estranei si ritrovano a fare conoscenza in un momento difficile per entrambi.
Vogel, interpretato da Gian Maria Volonté è un evaso, tutti lo inseguono, poliziotti, cani, posti di blocco, è un animale braccato che ha paura e non sa se potrà ancora fidarsi di qualcuno.
Corey, il personaggio di Alain Delon è invece appena uscito di prigione per buona condotta. Ha scontato la sua pena ma si rende conto di avere ormai perso tutto della sua vita precedente, la sua donna, gli amici, tutti lo hanno abbandonato, è un uomo allo sbando che sembra non provare più nessuna emozione.
Come in molti altri ruoli di Delon c'è anche un secondo livello, Corey è un uomo bellissimo e molto elegante, questo fatto non viene esplicitato in nessun modo durante il film ma è evidente agli occhi di tutti. Corey è bello e impossibile nella cella del carcere, mentre vaga all'alba tra bar e sale da biliardo nei bassifondi di Marsiglia, in questa scena in aperta campagna in cui il fango arriva fino alle caviglie. Tutti gli altri personaggi lo notano e hanno una naturale reazione, lo invidiano, lo disprezzano, non si fidano.
Alcuni dettagli rendono questo incontro per me indimenticabile cinematograficamente. Lo zoom che trasforma il campo larghissimo in un campo americano mentre Volontè si avvicina, come a sottolineare la distanza che si assottiglia tra i due uomini, e poi il momento topico della sigaretta: Vogel stringe la pistola con la destra e il pacchetto nella sinistra, così l'accendino gli cade a terra, se vuole recuperarlo deve distogliere sguardo e arma dall'altro uomo, è un dilemma, lo vediamo esitare e infine cedere, metaforicamente sotterrare l'ascia di guerra e accettare Corey, condividere una sigaretta che sancisce una fratellanza.
Il tutto in un paio di secondi e senza dire una parola, solo con gesti e sguardi. Tornare dopo questo a guardare un film americano in cui i gangster parlano del più e del meno e si urlano insulti e parolacce senza soluzione di continuità è un vero shock culturale.
da Le Cercle rouge di Jean Pierre Melville
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Beetlejuice Beetlejuice: il ritorno del cult di Tim Burton è un sentito omaggio
Il classico di Tim Burton degli anni '80 torna con parte del cast originale, da Michael Keaton a Winona Ryder, oltre alla new entry Jenna Ortega. Presentato al Festival di Venezia 2024.
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La musica incalzante di Danny Elfman, la camera che scivola sulla cittadina di Winter River. È con un brivido che si accoglie l'apertura di Beetlejuice Beetlejuice, da fan di vecchia data del cult di Tim Burton e da amanti della filmografia del regista. Perché si capisce subito che è proprio ai fan di vecchia data che parlerà in prima battuta il film, questo ritorno che si affida a buona parte del cast originale, da Michael Keaton a Winona Ryder, con delle new entry d'eccezione come Willem Dafoe, Jenna Ortega e, ovviamente, Monica Bellucci.
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Winona Ryder torna nel sequel
Una trama (troppo?) elaborata per Beetlejuice Beetlejuice
Partiamo dallo spunto e l'intreccio, che ci hanno lasciato sensazioni contrastanti: ci è piaciuto lo spunto iniziale di tornare ai personaggi iconici di Beetlejuice a distanza di tanti anni, per ritrovare i Deetz e vedere come sono diventate le loro vite, dalla madre Delia che ancora insegue le sue pulsioni artistiche alla figlia Lydia la cui esistenza è ancora avvolta in quell'alone oscuro che avevamo amato negli anni '80, convogliato nella sua attività professionale. A loro si aggiunge una terza generazione di Deetz, rappresentata dalla figlia di Lydia, Astrid, tutte raccolta nuovamente a Winter River.
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Una sequenza di Beetlejuice Beetleuice
Lì la ragazza scopre il plastico dei Maitland ed entra in contatto con il mondo del soprannaturale in modi inaspettati, aprendo le porte al ritorno di Beetlejuice che è intanto alle prese con l'unico essere che riesce a spaventarlo: la sua ex moglie Delores. Più linee narrative che a tratti non trovano lo spazio e l'equilibrio necessario, come se la voglia di aggiungere idee e spunti avesse preso il sopravvento sulla compattezza narrativa. Un difetto che emerge soprattutto nel secondo atto, per poi sfociare con energia in un gran finale che rende giustizia alla potenza iconica dell'originale.
Un sequel tra evoluzione e omaggio
Abbiamo subito accennato a quello che ci è sembrato l'unico difetto di un film che nel complesso funziona: lo fa in quanto commedia macabra, con il gusto dark di Tim Burton che riemerge come in passato; lo fa in quanto omaggio in grado di parlare ai fan dell'originale, con richiami continui e sensati che i conoscitori sapranno identificare e amare; lo fa, ancora, come evoluzione di quei personaggi a cui ci sentiamo legati e che ritroviamo con emozione. In Beetlejuice Beetlejuice si nota, più che in altre produzioni recenti del regista, la voglia di costruire sequenze di grande impatto e nel divertimento che proviamo scorgiamo quello dello stesso Burton.
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Jenna Ortega è una delle new entry del film di Tim Burton
Parallelamente și percepisce la riflessione di un autore più maturo alle prese con personaggi che hanno abituato il suo passato e che esplora con curiosità a distanza di anni. Una riflessione che riguarda loro, ma in parallelo anche se stesso, un modo per ripensare alla sua vita e la sua carriera dal punto di vista privilegiato dell'autore più maturo.
La forza iconografica di Beetlejuice
È indubbio che il primo film abbia una forza iconografica incredibile, che abbia proposto al pubblico una sequenza da storia del cinema (la celebre, impagabile, cena/ballo) e il timore era che il sequel di Beetlejuice non riuscisse a rivaleggiare col suo predecessore su questo fronte. Seppur ovvio che qualcosa di quella potenza sia inarrivabile, non mancano i grandi momenti in questo nuovo film: una sequenza vede protagonista Monica Bellucci, un regalo di Burton all'attuale compagna, un altro è il gran finale, una cerimonia a ritmo di musica.
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Beetlejuice Beetlejuice: un'apparizione di Danny DeVito
Insomma un'operazione riuscita, un film compiuto al di là di qualche problema di gestione delle diverse linee narrative, ma soprattutto un film che i fan di Tim Burton e del primo Beetlejuice - Spiritello porcello apprezzeranno. Da estimatori non possiamo che esserne felici!
Conclusioni
In conclusione Beetlejuice Beetlejuice è un sentito omaggio di Tim Burton al suo film degli anni ’80 e a quel pubblico che l’ha seguito sin dagli esordi. Il cast originale conferma il lavoro fatto sui personaggi e ne evolve la portata, le new entry completano il quadro in termini di evoluzione della storia. Qualche incertezza di scrittura, soprattutto nella parte centrale della storia, non rovina un film che diverte ed evoca quelle sensazioni che dal sequel di Beetlejuice ci saremmo aspettati.
👍🏻
L’estetica di Tim Burton, che ritroviamo con piacere.
Quel gusto per la commedia dark, tipica dell’autore.
Michael Keaton, Winona Ryder e il cast originale.
Un paio di sequenze potenzialmente cult.
👎🏻
Alcune storyline meno sfruttate.
Qualche problema di equilibrio tra vecchi e nuovi personaggi.
#beetlejuice 2#beeltejuice#bettlejuice bettlejuice#wynona ryder#michael keaton#jenna ortega#monica bellucci#tim burton#lydia deetz#astrid deetz#delia deetz
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Il mantello del passato è fatto con il tessuto delle emozioni della nostra vita e cucito con fili enigmatici del tempo. In genere non possiamo fare altro che avvolgercelo attorno alle spalle per trarne conforto, o trascinarcelo dietro mentre ci sforziamo di proseguire il nostro cammino. Ma tutto ha una causa e un senso. Ogni vita, ogni amore, ogni azione, ogni emozione e pensiero hanno una ragione e un significato. E a volte riusciamo a vederli. A volte vediamo il passato con tale chiarezza, e le parti che lo compongono ci appaiono con tale limpidezza che ogni cucitura del tempo rivela il suo scopo, il messaggio che contiene. Nella vita ognuno di noi – poca importa che sia vissuta nell’abbondanza o nella miseria – nulla porta più conoscenza del fallimento, e più chiarezza del dolore. E nella minuscola, preziosa saggezza che otteniamo, quei nemici temuti e odiati – dolore e fallimento – hanno diritto e ragione di esistere.
Gregory David Roberts – Shantaram
Ph Koto Bolofo
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E insomma ieri mi sono trovato a parlare con un ragazzo di 15 anni.
Mi raccontava della sua scuola che fu la mia scuola ma vedevo che era particolarmente distratto da alcuni messaggi che gli arrivano sul telefono che generavano sul suo viso l’ espressione del pesce lesso tipica del maschio italiano quando chatta con una che gli piace.
- Maaaa tutto bene sti messaggi?
- Scusa. È che ho una crush.
- Cioè? Ti si sta rompendo il telefono?
- No! Una crush con una…
- Ah ok. Vuoi dire un amoretto estivo, un flirt insomma.
- Una crush!
- Si ok. E che tipa è? Come l’hai conosciuta?
- È amica di mia cugina.
- Bene, ottimo. Dove vi siete visti?
- Su Be Real
- Eh?
- Be Real.
- Ah… immagino sia un social network di voi giovani tipo Facebook…
- È che è?
- Ah già. Facebook è un sistema informatico basico che usiamo noi meno giovani poco avezzi alle tecnologie moderne. Ma quindi sta tipa non l’hai mai vista?
- Certo che l’ho vista! Perchè su BeReal ci siamo piaciuti e lei m’ha dato la sua Insta.
- A te l’ha data. Bene. Però voglio dire… Proprio dal vivo vi siete mai visti?
- Beh si. Perchè da Insta abbiamo iniziato a parlare in DM.
- Ah! Questa la so. È tipo Messanger!
- E che è?
- Ah scusa. È un vetusto sistema di messaggistica tipico della seconda metà degli anni 2000 ancora in voga tra noi figli dello scorso secolo. Vabbè ma quanto chattate?
- Tutto il giorno. Pensa che ad un certo punto siamo passati a Whatsapp!
- Oh mamma. Ma allora è una cosa seria!
- Eh si!
- Però non capisco una cosa. Come fa a piacerti se non la conosci?
- Mi piace perchè quando mi scrive sono felice. (E qui è arrossito).
- Uh! Questa mi pare una cosa bella. E lei che dice?
- Dice che i miei messaggi li legge per primi.
- Ah. Mi pare buono.
- E poi quando lei non sta bene io mi preoccupo.
- E questo è molto bello. E che fai?
- Le mando un messaggio!
- Vabbè magari su questo aspetto sarebbe da lavorarci un po’ ma le intenzioni mi sembrano buone. Ma adesso lei non ti sta scrivendo più?
- Adesso non può che è al cinema e poi va a cena con delle amiche.
- Ma pensi che vi incontrerete prima o poi?
- Si certo! Ma adesso è un po’ presto. Bisogna prima conoscersi un po’…
- Cioè. Mi stai dicendo che è necessario conoscersi prima di conoscersi?
- Certo!
- Ma fate i preliminari tipo gli agenti immobiliari?
- Che?
- Lascia stare…
E comunque in tutto questo bislacco mondo digitale nelle parole di quel ragazzo ho notato anche una forma di galanteria e di rispetto.
Di questa incomprensibile (per noi) emozione fatta di scambi di giga piuttosto che di fluidi e di questa strana felicità digitale potremmo parlare per ore accusando, maledicendo e raccontando di quanto si stesse meglio quando si stava analogici.
Ma gli occhi da pesce lesso di un giovane uomo rimangono una costante che attraversa secoli, abitudini e bizze dell’evoluzione.
Una costante bellissima…
Ps.
Dopo un po’ che abbiamo smesso di parlare il nostro eroe alza lo sguardo dal telefono e con sguardo rapito mi fa:
- Devo assolutamente andare al McDonald’s!
- Cioè! Lei è li? Ti sei deciso finalmente? Vuoi vederla? Guarda… ti ci accompagno io se vuoi!
- Ma che stai a di! Ce sta il Crispy mc Bacon in offerta!
E quetso a conferma che come sempre è accaduto nella storia…
A 15 anni l’amore si sente forte.
Ma la fame di più.
Emiliano Miliucci
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tanti recap di fila perchè non ne facevo da un po’: non lavoro più al cinema da quasi due mesi, un po’ mi deprime non avere una routine. ho troppe cose da fare e studiare mi sento overwhelmd, eppure non sto facendo nulla, quindi mi sento pure in colpa. mi dico “fai schifo! sei pigra! alzati!”, ma non va bene perché se ti dici cose cattive poi il tuo cervello ti crede, ma non é così, ti dici quelle cattiverie perché sei arrabbiata con te stessa, quando dovresti trattarti meglio e forse così troverai pure la voglia di fare.
continuo a dire che sto bene quando mi chiedono “come stai?”, ma perchè in realtà non sto male, ma non sto nemmeno bene, non sto nulla diciamo, sto “normale”, non sento nulla, non sento una spiccata felicità ma nemmeno una tristezza logorante, un po’ e un po’ e a volte assolutamente nulla, anzi quest’ultimo spesso. e dato che spiegare non mi va, perchè comunque esistono problemi più grandi, in confronto a cosa passa davvero la gente quello che sento io é insignificante e quasi mi vergogno nel dar peso a come mi sento, lo so che sbaglio, ogni emozione é valida e va considerata, eppure rispondo “bene grazie e tu?”.
ma perchè odio domande troppo personali, si parlo tanto di me, ma non arrivo mai a parlare delle cose che mi fan piangere, e se ci arrivo non termino e la chiudo lì, ne parlo scherzando, perché se ci penso molte cose son cazzate eppure io ci soffrivo.
effettivamente solo il mio vecchio migliore amico sapeva tante cose di me, lui forse era l’unico che mi conosceva, non al 100% ma abbastanza da sapere esattamente come mi sentissi nelle situazioni che lui conosceva.
tipo una volta mi ricordo eravamo tutti assieme al bar ed é uscito un discorso sul corpo, stava diventando davvero pesante per me (e non solo), ringrazio il mio vecchio migliore amico che ha fermato la discussione perchè sapeva benissimo come mi stessi sentendo (stavo anche per mettermi a piangere in realtà lol) perchè solo lui sapeva quella parte di me, nessuno oltre a lui (poi vabbe poche persone se ne sono accorte da sole) sapeva che spesso avevo periodi in cui mi facevo davvero schifo e non mangiavo, “mi son scordata di mangiare” dicevo, in realtà la mia testa mi diceva “cicciona, devi dimagrire”. ma non ero grassa, ho sempre fatto sport, quello non era grasso, erano muscoli, le cosce non erano grosse perchè ero grassa, le braccia non erano grosse perché ero grassa, ma perchè da quando sono nata ho fatto danza, nuoto, basket, pallavolo e kick boxing (non tutti in contemporanea ovvio, questi ultimi due li ho praticati per più tempo e quei muscoli in quei sport servono).
non dico che ora mi vedo meglio perchè comunque ancora non mi piace la mia pancia (non sono ancora arrivata ad accettarla, ma anche quando avevo perso tanto peso il pezzo che non mi piaceva era rimasto, non se ne andava via) e temo non mi piacerà mai, continuerò a metterci la mano davanti per coprirla perché nella mia testa se si vede significa che son grassa anche se so che non la sono, ma almeno ho iniziato ad andare al mare e in piscina con i miei amici, anche se con un ragazzo che mi piace ammetto che potrei fare fatica forse. non mi piacciono i miei fianchi, mi sento sproporzionata, infatti d’estate ancora copro la caviglia con scarpe alte tipo converse o calze alte, o sandali allacciati sulle caviglie, tutto ció perchè mi da l’impressione che mi allunghi l’immagine, solo estate scorsa ho iniziato ad usare le birkenstock, perchè ho iniziato piano piano a fregarmene di cosa mi diceva la mia testa. non mi piace il mio seno, motivo per cui ho ansia a farmi vedere nuda, quelle due volte che ho successo avevo l’istinto di coprirmi perchè mi vergognavo, me le vedevo bruttissime, avevo paura. in realtà ancora avrei paura a farmi vedere nuda, ancora trovo il mio corpo disgustoso, ancora ho paura di non piacere, ancora ho paura di venir vista come io mi vedo. infatti ancora mai nessuno mi ha vista completamente nuda, forse é anche questo il perchè ho paura e vorrei che la prima volta fosse con qualcuno che mi amasse, perchè nella mia testa son convinta che non smetterebbe di amarmi perchè poi ha visto il mio corpo nudo schifoso.
non mi vedo più grassa, ma ho ancora dei periodi in cui vorrei essere magra e smetto di mangiare. ma so che son bella, semplicemente ho ancora dei momenti in cui non mi piaccio, ma ci sto provando.
ecco questa é una delle cose che non posso dire, perchè é un mio pensiero, un mio sentirmi troppo intimo, talmente intimo che avrei paura anche a farlo uscire dalla mia bocca ad alta voce, ad esempio se arrivi a sapere questa cosa é perché tu sei la mia persona, sei abbastanza importante per me da sapere questo che sapeva solo il mio migliore amico dei tempi, che non vorrei rivelare ad alta voce, ma mi manca tantissimo, non la persona che é ora, ma la persona che era quando ancora eravamo migliori amici, la persona con cui sono cresciuta. mi manca la persona con cui son cresciuta, ma le persone cambiano e con questo cambia chi sono loro per noi, perchè cambiamo anche noi. tutto ció per dire che lui sapeva ció perchè siamo cresciuti insieme, la prossima persona che saprà ció sarà quella con cui invecchieró.
solo la persona con cui invecchieró avrà il permesso di conoscermi al 100%. ma quella persona ancora non la ho trovata, anche se mi auguro di trovare la mia metà il prima possibile, dargli tutto l’amore di cui sono capace e ricevere tutto l’amore di cui lui é capace, essere felici insieme, complici, migliori amici, amanti, sostenerci in tutto e per tutto, venerarci a vicenda e tanti altro..
per ora vorrei solo abbracciare la me di qualche anno fa e dirle che é bellissima.
bene il mio flow di pensieri interminabile é terminato, son riuscita a piangere, quindi ora sto meglio e non provo più l’attacco di tristezza che ho provato qualche ora fa.
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Marianne Faithfull
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Marianne Faithfull, icona degli anni Sessanta, è stata un’apprezzata musicista e una celebrata attrice cinematografica.
Libera e dissacrante, la sua vita sembra la trama di un romanzo. Tra picchi di gloria e abissi oscuri è stata la dimostrazione di quanto sia possibile trionfare, fallire e poi rialzarsi di nuovo. Trovando la propria dimensione e la salvezza nella musica e nella poesia.
È nata a Londra il 29 dicembre 1946, discendente diretta del Conte Leopold von Sacher-Masoch, da parte di madre, la baronessa Eva Erisso, ballerina e attrice, suo padre era invece una spia britannica della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo aver frequentato prestigiose scuole cattoliche, già nel 1964 cantava pezzi folk nei locali di Londra, dove ha incontrato due delle persone più importanti della sua vita, Andrew Loog Oldham, produttore e impresario dei Rolling Stones che, fiutandone il talento, la prese sotto la sua ala protettrice e Mick Jagger, il frontman della leggendaria band, con cui ha scritto e cantato pezzi famosissimi come As tears go by e Come and stay with me.
Nel 1965 ha sposato John Dunbar con cui ha avuto il figlio, Nicholas e da cui è scappata dopo meno di un anno a causa della sua dipendenza da eroina e della sua relazione con Mick Jagger.
Sono stati anni di retate della polizia, sinergie musicali, eccessi e successi. Finita la relazione con la rock star è iniziato un periodo estremamente buio, ha perso la custodia del figlio e tentato il suicidio mentre era abusava di droghe, alcol, soffriva di anoressia e di una laringite che ha compromesso per sempre la sua voce, è stata arrestata più volte, per un periodo si è ridotta a vivere per strada.
Nel 1979 ha visto la luce uno dei suoi successi più apprezzati da pubblico e critica, Broken English, un disco raffinato in cui si mescolano atmosfere dark e psichedeliche.
Negli Anni 80 si è trasferita a New York, ha iniziato a curarsi e iniziato una relazione con Howard Tose, affetto da disturbi mentali, morto suicida nel 1987. A lui ha dedicato l’album Strage Weather. La sua voce, fattasi più graffiante, roca e profonda, conquistava pubblico e critica.
Il 21 luglio 1990 ha partecipato al grande concerto The Wall-Live in Berlin di Roger Waters.
Nel 1997 ha collaborato con i Metallica come voce ospite nella canzone The Memory Remains.
Negli anni 2000 ha prodotto diversi album e creato sodalizi con numerosi grandi artisti.
Marianne Faithfull, oltre a essere una raffinata musicista, è stata anche una talentuosa attrice, ha debuttato nel 1966 con un piccolo ruolo in Una storia americana di Jean-Luc Godard, tra le sue interpretazioni più memorabili ci sono quelle di Ofelia in Hamlet del 1969 e di Lilith nel corto Lucifer Rising del 1972. E ancora è stata Maria Teresa d’Austria nella Marie Antoinette di Sofia Coppola, ha recitato la parte di Dio nel telefilm Absolutely Fabulous (1996-2001), ma è stato il ruolo di Irina Palm, nell’omonimo film del 2007 che l’ha portata all’olimpo delle grandi star facendole guadagnare la nomination come migliore attrice agli European Film Awards.
In occasione del Women’s World Award del 2009 a Vienna, le è stato conferito il World Lifetime Achievement Award.
Dopo aver superato un tumore al seno nel 2006, si è anche ammalata gravemente di Covid-19. Ma ha continuato imperterrita la sua battaglia per la vita.
È stata una donna che ha avuto picchi di gloria e craniate sull’asfalto, ha conosciuto le tenebre, è stata perseguitata dalla stampa durante la sua relazione con Mick Jagger, ha fronteggiato la disperazione, la dipendenza, tuguri e povertà e insieme l’adorazione del pubblico. Ha sperimentato ogni sorta di emozione e cambiamento. Con il suo stile e la sua grande bellezza ha dettato moda negli anni Sessanta. Ha recitato a teatro e al cinema, si è reinventata come cantante jazz e dream pop ribellandosi a un’industria discografica dominata dagli uomini, prodotto 26 album e avuto numerosi ruoli cinematografici. Nel 1994 è uscita la sua biografia Faithfull.
La regina della Swinging London dalle tante esistenze, si è spenta il 30 gennaio 2025 a Londra, all’età di 78 anni.
Verità e bellezza sono due cose difficili da raggiungere, ma si può fare. Vale comunque la pena tentare.
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Anticipazioni Endless LoveNeslihan sotto SHOCK : HO PERSO UNO DEI MIEI GEMELLI !!!
https://ift.tt/Xy2kUh1 https://www.youtube.com/watch?v=XpVPHrVOK2s Anticipazioni Endless Love,Neslihan sotto SHOCK : “HO PERSO UNO DEI MIEI GEMELLI !!!” Una rivelazione scioccante sconvolge il mondo di Neslihan Atagül, star amatissima del cinema turco. Durante un’intervista esclusiva, l’attrice ha confessato di aver vissuto un dramma personale straziante: la perdita di uno dei gemelli che aspettava. Una notizia che ha lasciato i fan senza parole e ha messo in luce il lato più vulnerabile della star di Endless Love. Come affronterà questo dolore? E quali saranno le ripercussioni sulla sua carriera e sulla sua vita personale? Un momento di estrema emozione che segna un nuovo capitolo nella sua storia. Scopri in anteprima le puntate delle tue serie preferite con le nostre esclusive anticipazioni che ti terranno col fiato sospeso. Saremo anche la tua finestra sul gossip, rivelando retroscena succulenti e curiosità che ruotano intorno agli attori, alle attrici e ai personaggi televisivi che tanto ami. Unisciti a noi e resta sintonizzato per ricevere le ultime novità e per vivere il dietro le quinte delle produzioni che appassionano milioni di persone. Ti aspettiamo nel nostro canale YouTube, pronto a sorprenderti, intrattenerti e soddisfare la tua sete di conoscenza nel mondo delle soap opera, serie tv, reality e talent show italiani. Iscriviti e scopri con noi il lato affascinante dell’intrattenimento televisivo! #anticipazioniendlesslove #endlesslove #endlessloveanticipazioni from Tv Trend Italia https://www.youtube.com/channel/UCHqQYJ9rtTKFYW8IYlgCqWQ via Formula 1 Live https://ift.tt/uFsd2pR January 17, 2025 at 11:20PM
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Cinema inclusivo: l’impatto e l’eredità di “Figli di un dio minore”
Il film “Figli di un dio minore” (titolo originale: Children of a Lesser God), diretto da Randa Haines nel 1986, rappresenta un punto di riferimento per il cinema inclusivo, un genere che mette in luce la diversità e l’importanza dell’accettazione. Basato sull’omonima opera teatrale del 1980 di Mark Medoff, già un successo di Broadway, il film è un esempio straordinario di narrazione che intreccia temi universali come l’amore, l’identità e la resilienza con la rappresentazione autentica della comunità dei sordi.
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La trama: un incontro tra diversità e amore
La storia si svolge in un istituto per sordomuti nel New England, dove arriva un giovane insegnante, James Leeds, interpretato da William Hurt. James porta con sé metodi educativi innovativi che inizialmente incontrano la resistenza del direttore dell’istituto. Tuttavia, il suo approccio umano conquista rapidamente i suoi studenti. Tra questi, la custode Sarah Norman, interpretata da Marlee Matlin, spicca per il suo carattere complesso e la sua bellezza. Sarah, sorda dalla nascita, si è sempre rifiutata di tentare di parlare, comunicando esclusivamente attraverso la lingua dei segni.
Il rapporto tra James e Sarah evolve in una storia d’amore intensa e complicata. Sarah, che lotta per essere accettata per il suo valore intrinseco, rifiuta ogni forma di pietà. La loro relazione esplora i limiti e le possibilità del dialogo tra mondi diversi, rendendo il film un esempio emblematico di cinema inclusivo.
L’importanza di Marlee Matlin
Marlee Matlin, sorda nella vita reale, ha interpretato Sarah con una profondità e autenticità che le hanno valso l’Oscar come miglior attrice protagonista. Con questa vittoria, Matlin è diventata la più giovane attrice a ricevere l’ambita statuetta, un riconoscimento che sottolinea l’importanza del cinema inclusivo nella celebrazione della diversità. La sua interpretazione ha aperto nuove strade per la rappresentazione delle persone sorde nell’industria cinematografica, dimostrando che l’inclusione non solo arricchisce la narrazione, ma ispira anche il pubblico.
Critica e riconoscimenti
Il successo internazionale di Figli di un dio minore si riflette nelle quattro nomination agli Oscar, inclusa quella per il miglior film, e nel Golden Globe vinto da Matlin come miglior attrice in un film drammatico. Inoltre, al Festival di Berlino, il film ha ottenuto l’Orso d’Argento per il suo tema inclusivo, un altro tributo al suo ruolo pionieristico nel cinema inclusivo.
La pellicola è stata anche inserita tra i “10 migliori film dell’anno” dalla National Board of Review Awards, dimostrando come il pubblico e la critica abbiano accolto calorosamente il messaggio universale del film.
Un esempio di cinema inclusivo
Il cinema inclusivo mira a rappresentare e celebrare le diverse realtà umane, e Figli di un dio minore è uno degli esempi più brillanti di questo approccio. La relazione tra Sarah e James esplora le sfide e le gioie del superamento delle barriere comunicative, portando lo spettatore a riflettere sul valore dell’empatia e del rispetto reciproco.
In particolare, il film si distingue per la sua capacità di non ridurre Sarah a una figura passiva o vittimizzata. Invece, la sua personalità forte e la sua determinazione a essere riconosciuta per le sue capacità e la sua individualità incarnano perfettamente i valori del cinema inclusivo.
Il messaggio universale del film
Uno degli aspetti più potenti di Figli di un dio minore è il suo messaggio universale: l’amore e la comprensione possono superare qualsiasi ostacolo, purché si rispettino le differenze e si valorizzi la dignità umana. Questo messaggio è centrale nel cinema inclusivo, che utilizza le storie per sfidare gli stereotipi e promuovere la consapevolezza.
La scena finale, in cui Sarah e James si riconciliano, rappresenta un momento di grande emozione e speranza. Il loro dialogo dimostra che, per costruire un legame autentico, è necessario accettare l’altro per quello che è, senza cercare di cambiarlo.
L’eredità del film
A distanza di quasi quattro decenni dalla sua uscita, Figli di un dio minore continua a essere un esempio di come il cinema inclusivo possa avere un impatto duraturo. Non solo ha aperto la strada a una maggiore rappresentazione delle persone sorde e con disabilità, ma ha anche ispirato altre produzioni a raccontare storie autentiche e significative.
Il successo di Matlin e l’accoglienza positiva del film dimostrano che il pubblico è pronto ad abbracciare narrazioni che celebrano la diversità e sfidano i pregiudizi. Nel panorama cinematografico odierno, dove la richiesta di inclusività è sempre più forte, Figli di un dio minore rimane una pietra miliare.
Conclusione
Figli di un dio minore non è solo un film, ma un manifesto del cinema inclusivo. La storia di Sarah e James dimostra che le barriere possono essere superate con amore, pazienza e rispetto. Rappresenta un invito a celebrare le differenze e a riconoscere il valore unico di ogni individuo.
Attraverso il suo messaggio potente e la sua esecuzione magistrale, il film ha lasciato un’impronta indelebile, ricordando a tutti che la vera forza del cinema risiede nella sua capacità di unire e ispirare.
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Elisabetta Sgarbi parla dell' Anteprima ieri del suo film in concorso alla Festa del Cinema di Roma, "L’isola degli idealisti", scritto con Eugenio Lio, dal romanzo di Giorgio Scerbanenco pubblicato da La nave di Teseo.
"Una grande emozione vederlo in una sala così piena insieme agli attori, al produttore Angelo Barbagallo, Rai Cinema, la Film Commission dell’Emilia Romagna, il distributore Fandango e le tante persone che hanno lavorato al film.
Con Tommaso Ragno, Elena Radonicich, Renato De Simone, Michela Cescon, Renato Carpentieri, Tony Laudadio, Mimmo Borrelli, Vincenzo Nemolato, Chiara Caselli, Antonio Rezza, Rossella De Martino, Hildegard De Stefano".
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DREAMS ARE CALLING ME
(ITALIAN BELOW)
Welcome to Getaway Camel!
A blog that puts together my two greatest passions: writing and traveling, vital needs for me as much as breathing.
Here you can read descriptions of landscapes carved into my memory that I’ve been trying to draw with words throughout my life —whether gazing out of a car window or at the boundless sky.
Maybe I’ll tell less practical information than classic travel blogs do, but I hope equally persuasive to convince you to visit those places.
This is my shelter where I recount my journeys, explore and unveil my purest feelings, express my view on social themes, share my hobbies (fashion, art, cinema, history, etc.). I hope it will be a safe space for you too!
I’ve kept this project in the drawer for so many years, covered in dust by now. Now that it has finally seen the light, I can’t hide my excitement while writing the very first post!
Getaway Camel is a playful combination of “getaway car” and “camel”. Getaway Car is a song from Reputation, my favorite album by Taylor Swift, my idol for 10 years; camel alludes to my love for Arab culture, as I’ve studied Arabic and hope to visit more Arab or generally Eastern countries in the future (my dream trip would be to Thailand, don’t ask me why).
In addition, a “getaway camel” embodies the desire to escape reality which I often experience.
What better way to launch the blog than by sharing photos from my visit to the Museum of Dreamers (Prati district, Rome) in early March —obviously theme dressed.
You’ll dive into a world halfway between Wonderland and Barbie’s house, and you’ll step into each room with an increasingly enchanted gaze. More than a museum, it’s the house of dreamers: a perfect place to feel like Alice for one day… and also for all adults who want to become shamelessly children again :)
As a quote on a museum wall says, dreams are calling you: my dreams have been calling me for a long time, and now I’m finally ready to answer their call!
About me: My name is Sabrina, I’m 23 and I’m studying international relations at university, but you can also call me by my nickname ‘sagitta’ :) Besides being the symbol of my beloved zodiac sign, it means ��arrow’ in Latin and that’s what I wish to be for someone with my words, an arrow that leaves a deep mark.
ITALIANO
Benvenuti su Getaway Camel!
Un blog che unisce le mie due più grandi passioni: scrivere e viaggiare, esigenze vitali per me al pari di respirare.
Qui potete leggere le descrizioni dei paesaggi rimasti scolpiti nella mia memoria che da tutta la vita cerco di disegnare con le parole, davanti al finestrino della macchina o al cielo sconfinato.
Forse vi darò informazioni meno utili rispetto ai classici blog di viaggi, ma spero altrettanto suggestive da convincervi a visitare quei luoghi.
Questo è il mio rifugio in cui racconto i miei viaggi, ma esploro anche le mie emozioni e le metto a nudo, esprimo la mia opinione su temi attuali, condivido i miei interessi (moda, arte, cinema, storia ecc.). Spero che sia un posto sicuro anche per voi!
Tenevo questo progetto nel cassetto da tanti anni, ormai era ricoperto di polvere e ora che ha visto finalmente la luce, non nascondo la mia emozione nello scrivere questo primo post!
Getaway Camel nasce dalla combinazione di “getaway car” e “camel”. Getaway Car è una canzone di Reputation, il mio album preferito di Taylor Swift, la mia idola da 10 anni; camel è un riferimento al mio amore per la cultura araba, dato che ho studiato arabo e spero di visitare più Paesi arabi in futuro o in generale orientali (il mio viaggio ideale sarebbe in Thailandia, non chiedetemi perché).
E poi, un “cammello per la fuga” rappresenta perfettamente il desiderio di evadere dalla realtà che sperimento spesso.
Quale modo migliore per inaugurare il blog se non condividendo le foto di quando ho visitato a inizio Marzo – vestita a tema ovviamente – il Museum of Dreamers (in zona Prati a Roma).
Venite catapultati in un mondo a metà tra il Paese della Meraviglie e la casa di Barbie, vi addentrate con uno sguardo incantato in una stanza dopo l’altra. Più che un museo è la casa dei sognatori, il posto perfetto per sentirvi Alice per un giorno… e anche per tutti gli adulti che vogliono tornare bambini senza vergogna :)
Come dice una scritta all’interno del museo, dreams are calling you: i miei sogni mi stanno chiamando da tempo, ma sono finalmente pronta a rispondere alla chiamata!
Qualcosa su di me. Mi chiamo Sabrina, ho 23 anni e sto studiando relazioni internazionali all’università, ma potete chiamarmi anche col mio nickname ‘sagitta’ :) Oltre a essere il simbolo del mio segno zodiacale, significa ‘freccia’ in latino ed è quello che spero di essere per qualcuno con le mie parole, una freccia che lascia un segno profondo.
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La «resa emotiva» è lirica… niente di meno lirico del «lettore da cesso»!… l’autore lirico, come sono io, se ne fotte di tutta la massa, oltre che dell’élite!… l’élite non ha il tempo per essere lirica, quella viaggia in macchina, si abboffa, mette su culo, peta, rutta… e riparte!… anche lei legge solo al cesso, l’élite, e capisce solo la patacca… insomma il romanzo lirico non rende… questo non si discute!… il lirismo uccide lo scrittore, coi nervi, con le arterie, e con l’ostilità di tutti… non parlo a vanvera professor Y!… parlo serissimo!… il romanzo a «resa emotiva» è una fatica da non crederci… l’emozione può essere captata e trascritta solo attraverso il linguaggio parlato… il ricordo del linguaggio parlato! e a prezzo di infinita pazienza! di minutissime ritrascrizioni!… ci provi lei!… il cinema non ce la fa più!… è la rivincita!… alla faccia di tutte le campagne, di tutti i miliardi di pubblicità, delle migliaia di primi piani… sempre più in primo piano… ciglia da un metro in su!… sospiri, sorrisi, singhiozzi, che di più non si può desiderare, il cinema rimane tutto fasullo, meccanico, gelido… ha solo emozione fasulla… non capta mica le onde emotive… è impotente nell’emozione… mostro impotente… e nemmeno la massa è emotiva… sicuro!… sono d’accordo con lei professor Y… le piacciono solo le pagliacciate a quella! è isterica la massa!… ma è scarsa d’emotività! molto scarsa!… Non ci sarebbero più guerre da un bel pezzo, signor professor Y, se la massa fosse emotiva!… finiti i macellamenti!… sì, campa cavallo!…
-Louis-Ferdinand Celine, Colloqui con il professor Y
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We Live in Time: provateci voi a non innamorarvi di Florence Pugh e Andrew Garfield
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L'amore, il tempo, la vita, la morte e tutto quello che sta in mezzo nel folgorante film di John Crowley. Mai lacrimoso, eppure capace di arrivare dritto al cuore.
Mica è facile saper dosare al millimetro le emozioni peculiari di un film come We Live in Time. Dietro al film c'è la bravura registica di John Crowley su sceneggiatura del drammaturgo Nick Payne.
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Florence Pugh e Andrew Garfield
A proposito di drammaturgia, il film è un meraviglioso esempio di racconto. Una sceneggiatura di marmo nella sua luminosa semplicità (e sensibilità). Piena, aperta, focale nel tempo scandito dal montaggio (Justin Wright) che alterna diversi piani temporali (e quindi le diverse tonalità), spingendoci a riflettere sul valore assoluto del tempo inteso come momento da vivere fino in fondo, andando oltre la stessa percezione di vita o di morte che, senza accavallarsi, pervade il film.
We Live in Time: la vita, l'amore e tutto quello che sta in mezzo
Sotto We Live in Time c'è una storia che potrebbe essere quella di tutti: Almut (Florence Pugh), che fa la chef, conosce (dopo averlo investito!) Tobias (Andrew Garfield), da poco divorziato. I due si innamorano, perdendosi in dieci anni di assoluta passione, complicità e uova sbattute al mattino (l'uovo è un elemento altamente simbolico nel film, che torna e, per certi versi, apre e chiude ogni blocco narrativo).
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Il sorriso di Florence Pugh
Un amore che culmina con la nascita di una splendida bambina, data alla luce in una stazione di servizio. Poi, la violenta irruzione di un cancro alle ovaie che torna a chiedere il conto. Le frequenze verranno alterate, con Almut che, intanto, non si da certamente per vinta, e anzi sceglie di vivere fino in fondo il tempo che le rimane.
L'alchimia tra Florence Pugh e Andrew Garfield
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Un momento del film
Potremmo quasi dire che We live in time - Tutto il tempo che abbiamo è un film in cui la cifra emotiva gioca un ruolo cardine, pur non inseguendo mai la faciloneria di certi sentimenti, e quindi senza essere mai lacrimoso o ricattatorio. Certo, ogni visione ha una propria personalità (la commozione è palese, ma almeno non cade nello strappalacrime), tuttavia l'umore (e l'amore) scelto da John Crowley evita l'appiattimento, nonché la semplificazione di un dramma che finisce per essere, invece, prospetto dalla forte adiacenza (e dai tanti colori), e ben legata alla strepitosa prova di Florence Pugh e Andrew Garfield. Un'alchimia, la loro, tanto tangibile che sembra uscire dallo schermo, portando lo spettatore ad innamorarsi al primo sguardo.
Ancora, nella loro performance non-lineare, si rintraccia l'analisi della drammaturgia secondo Crowley, e sulla stessa strada l'analisi del tempo che corre e non si ferma. Ma che, in qualche modo, può essere addomesticato, smussato e addolcito. E non è un caso che Almut faccia la chef: mestiere che più di ogni altro deve confrontarsi con i secondi che corrono.
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Andrew Garfield e Florence Pugh in scena
In questo senso, tra cinema classico e approccio contemporaneo, l'opera del regista irlandese lambisce ogni tipo di emozione, sorrette e sottolineate dall'utilizzo tecnico della fotografia (Stuart Bentley), dall'organizzazione dello spazio, dei dialoghi reali e mai artificiali. Quasi circolare - la sequenza d'apertura dialoga con quella di chiusura -, We Live in Time, fin dal titolo, affrontata quindi il tempo dalla prospettiva sbilenca di una intuizione banalmente romantica, superando in modo lucido i rischi di una storia giammai piagnucolosa, eppure in grado di toccare, in pieno, il cuore. Quanto dolore, e quanta bellezza.
Conclusioni
L'analisi del tempo e dell'amore secondo John Crowley. We Live in Time è un manuale di sceneggiatura, mai melensa e mai piagnucolosa, eppure potente nel dramma romantico portato in scena da Florence Pugh e Andrew Garfield. Se, senza di loro, il film non sarebbe probabilmente lo stesso, è poi la tecnica e la narrativa a rendere l'opera un esempio di linguaggio cinematografico, che calca al meglio lo spettro emotivo di una storia in cui perdersi, e ritrovarsi.
👍🏻
Florence Pugh e Andrew Garfield sono fantastici.
L'uso della luce.
Il tono, mai melenso, mai piagnucoloso.
Il montaggio.
👎🏻
Emotivamente non è mai ricattatorio, ma alcune vibrazioni personali potrebbero portare a pensarlo.
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Un giorno capiremo tutto questo La sofferenza,
I rimorsi, i baci perduti per strada
Lontani da noi Come se tutto avesse finalmente un senso
Partire, tornare Amare senza mai indietreggiare. Un giorno forse lo capiremo La bellezza di ogni piccolo gesto La vita che ci chiede un altro sforzo Il procedere inesorabile del tempo Fermarlo a più non posso. Come potrei sentire ogni mia emozione volare
Nel cielo dipinto da stelle anime nostre Volgere lo sguardo altrove Dimenticare il dolore Sentire che ogni cosa diviene una lezione: La lezione del lasciare andare Dello scorrere lento e costante Spingersi distante Dove tutto è caos Dove tutto è origine Dove tutto è nient'altro che nulla Il nulla che costruiamo giorno per giorno. Lorenzo Andrea Velardi - Verso Universo
Ph Jorge Ruiz Dueso
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Debutterà martedì 7 novembre 2023 alle ore 21.00 al Teatro Anfitrione - via San Saba, 24 (a quattrocento metri dalla metro Piramide) - Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, regia di Gianfranco Teodoro. «Se noi ombre vi siamo dispiaciuti, / immaginate come se veduti/ ci aveste in sogno…» Queste le parole con cui Puck, il folletto protagonista del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, conclude le tante vicende di uno degli spettacoli più conosciuti e belli della storia del teatro. Il Sogno è un invito a “fantasticare”, “immaginare”, “vivere andando oltre”, superando spazio e tempo, considerando il viaggio che sta per concludersi come un momento di gioia, magia, emozione, arricchimento unico. In un momento storico in cui - a causa di difficoltà mondiali politiche, sociali, economiche - sembra vietato “sognare”, proporre “Arte”, in tutte le sue declinazioni ed espressioni (Teatro, Musica, Danza, Cinema, ma anche Scultura, Pittura, Fotografia), ecco… Puck. E con lui, tutti i personaggi di un capolavoro che va oltre il tempo, l’uomo, la storia, le sue vicissitudini: Titania e Oberon, Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio, e ancora Cotogna, Bottone, Flauto e Conforto, e infine il Duca Teseo, Egeo, Ippolita. Tutti personaggi che giocano con l’arte, mostrando allo stesso tempo leggerezza e profondità, gioie e dolori, passione e disprezzo. Come in una favola. Questo Sogno non vuole esser solo un semplice spettacolo, bensì ha l’obiettivo di rappresentare un “contenitore” di molti linguaggi artistici, con coreografie e musiche eseguite dal vivo impreziosendo l’allestimento e coinvolgendo sempre più il pubblico. La Compagnia Una Compagnia di quasi venti artisti fra attori, musicisti e ballerine. La versatilità del nostro Sogno Le caratteristiche del Sogno shakespeariano fanno in modo che l’evento ben si adatti a qualunque location e possa così essere realizzato in diverse occasioni: al chiuso, all’interno di un teatro o adattandosi a qualsiasi spazio chiuso; oppure all’aperto - come detto anche in versione “itinerante” - con l’intento di valorizzare uno spazio definito (come può essere un parco, uno spazio aperto, un contesto ben preciso esaltandone importanza e caratteristiche). Lo spettacolo è l’ideale per quella che può esser l’inaugurazione di uno spazio verde, per far conoscere un parco o un luogo delimitato; o ancora per presentare nuove prospettive ai residenti di un territorio, facendo loro “vivere” - o meglio ri-vivere - uno spazio a loro vicino in modo nuovo, diverso, ricco di Arte e Creatività. O ancora presso il giardino di una villa privata; o fra i vicoli di un paese; o ancora all’interno di un quartiere cittadino. Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare - regia: Gianfranco Teodoro; aiuto regia: Loredana Luzi; interpreti e personaggi: Alice Cappella/Francesca Pierante (Puck), Veronica Toscanelli/Francesca Di Meglio (Ippolita), Diego Guerrieri (Egeo), Francesca De Marchi (Ermia), Giuseppe Acampora/Cristiano Migali (Lisandro), Alberto Ferretti (Flauto), Ivan Di Bello/G. Teodoro (Conforto), Alessandro De Filippis/Alessio Curzi (Demetrio), Manuel Ricco (Oberon), , Claudio Piano/Vasco Meddi (Cotogna), Massimiliano Ferretti/ Vasco Meddi (Bottone), Flavia Rizza/Martina Menichini (Elena), G. Teodoro/Andrea Venditti (Teseo), Giulio Schifi, Mattia Tassi, Michele Albini, Marina Benetti, Caterina Boccardi, Diego Colaiori, Damiano Di Tizio, Mario Gioè, Matteo Maria Mascetta; coreografie: Francesca Piersante, Flavia Fiorini; scene e costumi: Elena Cilenti, Patrizia Moretti, Giorgia Zafarana, Alessandra Mattioli; musiche originali: Giuseppe Di Pilla, Elmo Zaccardelli eseguite dal vivo insieme a Flavio Fortuna; coordinamento organizzativo: Claudio Piano; foto: Riccardo D’Achille; produzione: Gocce d’Arte - rimarrà in scena al Teatro Anfitrione fino a lunedì 13 novembre 2023 (orario: tutte le sere ore 21.00; sabato 11, ore 18.00); nella stessa settimana sono previste
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