#Malati di Letteratura
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Festival delle Medical Humanities: Un Viaggio tra Narrazione, Ascolto e Arti Visive Applicate alla Salute. Il Festival si svolge dal 15 al 20 ottobre con eventi online e incontri in presenza ad Alessandria
La quinta edizione del Festival delle Medical Humanities "Iconografia della Salute" ha preso il via il 15 ottobre 2024 ad Alessandria.
La quinta edizione del Festival delle Medical Humanities “Iconografia della Salute” ha preso il via il 15 ottobre 2024 ad Alessandria. Quest’anno il festival è dedicato al tema “Parola e relazione” e prevede un ricco programma di eventi tra presentazioni di libri, conferenze, tavole rotonde e mostre. La manifestazione si propone di esplorare l’interazione tra narrazione, ascolto e arti visive nel…
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francescacammisa1 · 11 months ago
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Ma questa non è colpa vostra — voi siete malati. Il nome di questa malattia è: Fantasia.
Evgenij Zamjatin - Noi
Ph Mona Kuhn
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rideretremando · 1 year ago
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«I poveri devono subire non solo una casa mal costruita, ma anche tutte le idee dell’architetto per farlo vivere meglio: tra queste, immancabile, un brutto spazio verde all’interno del complesso abitativo. Una corona di case di quattro piani dai balconi rettangolari e dall’intonaco quasi sempre scrostato chiude questo polmone verde nell’enfisema del suo grigio. “Le parti comuni!, le parti comuni!”. Perché la gente deve socializzare, perché la dimensione abitativa non può ridursi alla microcellula familiare e al cubicolo a essa destinato. E allora moltiplichiamo i luoghi d’incontro, gli spazi di creatività comune (polenta e salsicce alla griglia), creiamo un mondo di festa perenne, dove Tizio presta il basilico a Caio, e Caio va da Sempronio col trapano per fissare uno scaffale. E le mogli si parlano dai balconi. Quante fantasie, che cattiva letteratura, poveri architetti malati d’umanesimo e di socialismo che per loro non sarà mai scientifico ma sempre utopico» (Luca Doninelli, Il crollo delle aspettative, Milano, Garzanti 2005, p. 38).
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daimonclub · 1 year ago
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Un buon libro per Natale
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Albero di Natale di libri Un buon libro per Natale, in questo periodo di feste e di pandemia vi consiglio Curarsi con i libri un regalo intelligente per tutti che sfrutta i rimedi millenari della letteratura per lenire molti dei nostri disagi. Nel momento in cui ci si chiede il significato ed il valore della vita, si è malati. Sigmund Freud Qualunque sia il vostro disturbo, la nostra ricetta è semplice: un romanzo (o più d'uno) da leggere a intervalli regolari. Ella Berthoud e Susan Elderkin Non limitarti a dire che hai letto libri. Dimostra che attraverso loro hai imparato a pensare meglio. Epitteto Biblioterapia, ramo della medicina che cura certi disturbi dell'esistenza con la somministrazione di opere di narrativa. Ella Berthoud e Susan Elderkin I libri sono la cura per ogni malessere, ci mostrano le nostre emozioni, una volta, e poi ancora una, finché non riusciamo a dominarle. D.H. Lawrence La malattia è il medico al quale prestiamo più attenzione; alla gentilezza, alla conoscenza, facciamo solo promesse; al dolore obbediamo. Marcel Proust Scegliete sempre un libro che vi faccia fare bella figura se passate a miglior vita prima di averlo finito. P.J. O'Rourke In questo periodo di feste, e purtroppo di pandemia, voglio consigliare Curarsi con i libri, veramente un ottimo libro che potrebbe essere l'oggetto di un regalo intelligente un po' per tutti, proponendone sia una piccola sintesi introduttiva degli autori stessi, sia un paio di pagine relative al Natale. La letteratura si basa fondamentalmente sul linguaggio, e quest'ultimo è stato elaborato nel corso dei secoli per comunicare, vale a dire per mettere in comune quello di cui c'è bisogno, ovvero condividere informazioni, dati, notizie, storie, consigli, esempi, ammonimenti, leggi, e naturalmente gioie e dolori. Ecco, non sempre una buona e rapida comunicazione è alla base delle nostre relazioni e soprattutto dei rapporti tra medici e pazienti. Le varie problematiche sono dovute sia ad una certa disorganizzazione della nostra società, sia ad una certa ignoranza e incapacità dei vari attori della stessa. Per questo il linguaggio e la letteratura possono sempre servire, oltre che a migliorare le nostre conoscenze, anche a stimolare la comunicazione effettiva tra i vari artefici delle diverse attività umane, migliorandone così la qualità e l'efficacia. In ogni caso spero comunque che questi miei suggerimenti possano almeno aiutare tutti ad essere un po' più disponibili e ad avere più a cuore sia la cura di noi stessi, sia quella dei nostri simili e dell'ambiente in cui viviamo. Carl William Brown
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Natale nella vecchia Londra Curarsi con i libri I farmaci che prescriviamo non si trovano in farmacia quanto in libreria, in biblioteca, oppure sul proprio lettore di e-book. Siamo biblioterapiste, e i libri sono i nostri ferri del mestiere. La nostra farmacopea include balsami balzachiani, lacci emostatici tolstoiani, pomate di Saramago e purghe di Perec e Proust. Per compilarla abbiamo spulciato duemila anni di letteratura in cerca delle menti più brillanti e delle letture più ricostituenti, da Apuleio, che nel II secolo scrisse L'Asino d'oro, ai tonici contemporanei di Ali Smith e Jonathan Franzen. La biblioterapia è diffusa, sotto forma di libri di auto-aiuto, da alcuni decenni. Gli amanti della letteratura, tuttavia, utilizzano i romanzi come rimedio, più o meno consapevolmente, da secoli. La nostra fiducia nell'efficacia della narrativa come forma migliore e più pura di biblioterapia si basa sulla nostra esperienza con i pazienti ed è corroborata da una valanga di aneddoti. A volte è la storia che affascina; a volte il ritmo della prosa che lavora sulla psiche, calmandola o stimolandola. A volte un pensiero o un atteggiamento suggeriti da un personaggio che si trova invischiato in un dilemma simile. In qualsiasi caso i romanzi hanno il potere di trasportarci in un'altra esistenza, e farci guardare il mondo da un altro punto di vista... "Leggere uno scrittore, per me, non è solo avere un'idea di quello che dice, ma anche partire con lui e viaggiare in sua compagnia" disse André Gide. Nessuno torna da un simile viaggio come la stessa persona. Qualunque sia il vostro disturbo, la nostra ricetta è semplice: un romanzo (o più d'uno) da leggere a intervalli regolari. Alcuni trattamenti porteranno a una completa guarigione. Altri invece vi porteranno semplicemente conforto, dimostrandovi che non siete soli. Ma tutti, alla fine, offriranno un temporaneo sollievo dei sintomi, grazie al potere di distrarre e trasportare della letteratura... Come per ogni medicina, il trattamento deve essere sempre concluso per ottenere i migliori risultati. Ella Berthoud e Susan Elderkin
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Canto di Natale di Charles Dickens Canto di Natale di Charles Dickens e Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo Natale può essere uno di quei momenti in cui vi sembrerà di dover affrontare tutti i vostri problemi in una volta sola. Se avete una famiglia numerosa sarete in trappola sotto lo stesso tetto insieme a una notevole quantità di parenti (v. Famiglia, gestire la propria), che potrebbe includere un certo numero di bambini sovraeccitati (v. Maternità; Paternità; Intrappolati dai bambini). È probabile che in un mese spenderete tanto quanto, di norma, spendereste in tre (v. Al verde, essere al); di sicuro mangerete troppo (v. Gola; Obesità), farete molta aria (v. Flatulenza) e forse vi verrà pure la diarrea (v. Diarrea), o magari il contrario (v. Costipazione), e alla fine pagherete anche pegno per aver bevuto troppo (v. Sbornia, postumi della; oppure, se siete reduci da molti Natali punitivi, Alcolismo). Se siete sposati o fate coppia fissa, uno di voi senza dubbio litigherà con i suoceri e per questo potrete litigare tra voi (v. Sposati, essere). Se siete fidanzati, probabilmente sarete costretti a rispondere a varie domande personali su questa relazione (v. Coming out, fare; Bambini, essere sotto pressione per avere). Se siete single, infine, vorranno sapere perché (v. Single, essere) e questo potrà farvi desiderare di non esserlo e lasciarvi in preda a una terribile solitudine (v. Solitudine). Se non avete una famiglia numerosa, o se passate il Natale da soli con il vostro cane, potrete certamente sentirvi soli (di nuovo, v. Solitudine) o sentire la mancanza dei vostri famigliari. Tutto considerato, l'esperienza del Natale può condurre alla perdita della fede (v. Fede, perdere la) e al desiderio di chiudersi in un armadio, al buio, da soli (v. Misantropia). In queste pagine potrete trovare la cura per ognuno di questi disturbi. Come misura preventiva leggetele un po' per volta, nel corso dell'anno, e fatevi forza in vista del grande giorno. Quando arriverà, annunciate alla vostra famiglia, al partner, alla nonna o alla vostra pianta che, invece di guardare il solito film in TV, nel giorno di Natale leggerete a voce alta, intorno al camino acceso, con a portata di mano caldarroste e vin brulé, un libro per tutte le età: Canto di Natale di Charles Dickens. È una splendida storia di fantasmi. Ebenezer Scrooge: un uomo solo, vecchio, avaro, cattivo. Bob Cratchett, il suo impiegato: umile, sfruttato, maltrattato, eppure allegro. Tiny Tim, il figlio di Cratchett: adorabile, patetico, in punto di morte. Jacob Marley, un collega di Scrooge: ansioso, vendicativo, allarmista, morto. Tutti insieme raccontano una storia che ha il fascino e il con-forto di un classico per bambini ma è capace di rivolgersi anche a un pubblico adulto. Gustatevi quelle apparizioni spettrali. Restate sgomenti per l'inutile avarizia di Scrooge e per l'eterno rinvio del suo matrimonio. Versate calde lacrime di compassione per Tiny Tim.
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Natale a Napoli Fate festa con tutti, alla fine. «Sono leggero come una piuma, felice come un angelo, allegro come uno scolaretto. Sono stor-dito come un ubriaco», canticchia Scrooge. È colpa di Dickens se ci aspettiamo sempre un bianco Natale; è lui che per primo ci ha esortati a «onorare il Natale nel cuore», a fare festa e a dare agli altri tutto ciò che possiamo, in altre parole, è in gran parte responsabile per avere trasformato il Natale in quello che è adesso. Dunque, tocca a voi trasformare Dickens in una tradizione che si ripete ogni anno. Un gradevole senso di calore si diffonderà nel vostro cuore mentre leggete, e nel cuore dei vostri consanguinei. Anzi, forse scoprirete che l'anno dopo andrà ancora meglio. E se sarete soli a Natale, offritevi di leggerlo ai vicini. Con la vostra migliore voce dickensiana. Intervenendo nella loro dinamica famigliare potreste aiutarli più di quanto pensiate. Ma se vi piace il teatro, per superare tutto il trambusto di questo periodo di festa e trasformarlo in una sarabanda tragicomica sempre restando nel solco della tradizione, potreste affidarvi anche alle battute di un altro scrittore che conosceva bene le voci dei fantasmi di dentro e di quelli di fuori: Eduardo De Filippo. Natale in casa Cupiello fu rappresentato, nella sua prima versione come atto unico, il 25 dicembre del 1931 a Napoli. Intorno all'ignaro patriarca Luca Cupiello, che si occupa esclusivamente di costruire e salvaguardare il suo presepe, va in scena l'esplosione definitiva di ogni illusoria armonia familiare, una danza di ipocrisie, tradimenti e disinganni. Lo schema eduardiano della riunione di una famiglia per un ultimo grande Natale si riproporrà, in un'altra latitudine e nel primo anno del nostro nuovo secolo, ne Le correzioni di Jonathan Franzen, più o meno con gli stessi esiti: una condanna all'allucinazione e alla demenza per il capostipite. Rammentatelo, quindi, il giorno che vi troverete seduti a capotavola in una cena o in un pranzo di Natale: forse fareste bene a prenotarvi un viaggio alle Hawaii. Tratto dal libro Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno. Ella Berthoud e Susan Elderkin Sellerio Editore
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Curarsi con i libri Se amate il Natale, le feste e la letteratura potete anche leggere i seguenti articoli: Aforismi e citazioni sul Natale Aforismi divertenti sul Natale Barzellette sul Natale La fiaba del pupazzo di neve Aforismi di C.W. Brown sul Natale Pensieri e riflessioni sul Natale Numeri sul Natale Odio il natale (Umorismo) A Christmas Carol by Charles Dickens Other books by Charles Dickens Fairy tales and other stories by Hans Christian Andersen Best Christmas songs videos and karaoke Christmas markets in England Christmas markets in America Christmas markets in Italy and Germany Christmas quotes 60 great Christmas quotes Christmas tree origin and quotes Christmas jokes Christmas cracker jokes Funny Christmas Stories Amusing Christmas stories Christmas food Christmas thoughts Christmas story Christmas in Italy Christmas holidays Christmas songs Christmas poems An Essay on Christmas by Chesterton Read the full article
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tempi-dispari · 1 year ago
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C'è chi la musica la crea e chi la fa conoscere
C’è chi la musica la crea e chi dà spazio agli autori per farla conoscere. Ne parliamo con Evengelos Voutos, esponente dell’ARCircolo di Pomezia. Una realtà giovane ma che da subito si è impegnata per dare spazio alle realtà underground. Ciò che la caratterizza è lo spirito di accoglienze, inclusione e l’impegno sociale. Un intervista tutta da leggere.
Una immagine del collettivo. Evangelos Voutos al centro con la barba, senza occhiali e cappellino
Oggi parliamo con Evangelos Voutos, esponente di ArCircolo di Pomezia. Come è nato il gruppo operativo?
Ciao Carmine, siamo un collettivo affiliato ad Arci nato idealmente proprio durante il Covid nel marzo del 2020, e successivamente, legalmente il 24 giugno 2021. Nato dalle ceneri dell’associazione che occupava quegli spazi precedentemente, quando con Alessandro, uno dei fondatori all’inizio, e poi tutti quanti gli altri abbiamo deciso di rifondare il tutto. Era nata fortemente l’esigenza di far nascere di nuovo un’associazione che potesse dare vita a qualcosa di bello in un paese a ridosso della provincia di Roma che di suo offre veramente poco a livello culturale. Ad aprile del 2022 purtroppo abbiamo perso il nostro Alessandro ed abbiamo deciso di dare ArCircolo il suo nome, ArCircolo Alessandro Casponi appunto.
Perché la scelta di proporre musica indipendente? Non sarebbe più facile e remunerativo presentare cover band?
ArCircolo oltre alla musica propone anche altre attività quali il teatro, la letteratura, la poesia, il disegno, ma la musica è la parte a cui dedichiamo più tempo e spazio sicuramente. La musica indipendente e la libera espressione in generale è la nostra prerogativa, riteniamo fondamentale il libero circolo delle idee e quindi anche della musica, in tutte le sue sfaccettature che gravitano attorno al rock. Le cover band le lasciamo suonare altrove, nei contesti mainstream, dove la musica è considerata solo merce, preferiamo dare spazio alle band che hanno difficoltà oggi giorno a suonare la propria musica.
In un contesto come quello attuale, quanto è importante proporre manifestazioni a favore delle band indipendenti?
Per undici mesi all’anno, noi facciamo quasi un live ogni sabato. Il nostro obiettivo è quello di creare un vero e proprio circuito, dove le band stesse possono confrontarsi e fare amicizia, scambiarsi opinioni fra di loro. Vederle crescere, portare nuove canzoni, dischi nuovi, per noi è motivo di orgoglio.
Qual è la difficoltà maggiore che avete incontrato nel tempo?
La nostra associazione è composta da tutti volontari e volontarie, pertanto si evince che le spese per noi sono tante e spesso non riusciamo a dare un cachet vero e proprio alle band, ma soltanto un rimborso, oltre al bere e la cena ovviamente. Questo comporta che anche la scelta delle band di seguire la nostra politica è fondamentale, infatti quelle che restano e tornano a suonare sono quelle band con cui noi stessi poi costruiamo un vero e proprio rapporto di amicizia. Il rapporto umano è per noi fondamentale.
La soluzione?
Non abbiamo la palla di vetro per trovare alternative, o soldi per far suonare band di spicco, ma ad esempio, per lo scorso compleanno abbiamo investito dei soldi che avevamo messo da parte per far suonare band che venivano da fuori, nel caso specifico, Circus Punk da Milano, Lamecca dalla Campania e i più vicini Mutonia, nella stessa sera che abbiamo raccolto millecentoventi euro che abbiamo donato alla Onlus Peter Pan che si occupa di bambini malati di cancro.
Com’è la risposta delle persone? È come ve la sareste aspettata?
La risposta ad ogni evento è sempre un punto interrogativo. Noi non essendo un locale non pretendiamo che ogni band si porti una carovana di persone, ma sicuramente, essendo ormai un punto di riferimento, abbiamo persone che arrivano dalla provincia ed anche da Roma stessa. La vicinanza a Roma di certo non ci aiuta ma riusciamo a giocarcela lo stesso. Rispetto a questa situazione, soprattutto per come viene maltrattata la musica indipendente, a mio parere siamo sulla buona strada per prenderci ancora le nostre soddisfazioni.
Cosa manca oggi alla promozione dei gruppi indipendenti?
Oggi giorno anche con i social ed il modo anche un po’ malato di comunicare, la promozione diventa un vero e proprio lavoro per le stesse band, spesso anche un’altissima qualità non è abbastanza supportata dal resto degli addetti ai lavori. Quando noi proponiamo i live, di certo cerchiamo di lavorare ad una promozione soddisfacente insieme a loro.
Dal vostro punto di vista, cosa si dovrebbe fare di più per attirare l’attenzione delle persone verso la musica underground?
Io personalmente credo che le band indipendenti debbano fra loro darsi una mano, promuoversi a vicenda, ascoltarsi live reciprocamente, procurarsi date da dividere insieme. Il live rimane l’unico modo ancora per promuoversi al meglio, suonare bene e rimanere nella mente della gente in un modo o in un altro. Noi da questo anno ad esempio, siamo andati a cercare sul territorio le band di ragazzi giovani anche minorenni che sapevamo esserci. Stiamo creando il modo di dar loro l’opportunità di suonare da noi almeno una volta al mese. Ti assicuro che ne vedremo delle belle, di giovanissimi nemmeno ventenni. Questo è un altro dei nostri sogni, fare da apripista al nuovo che avanza anche se è pur sempre rock’n’roll, but i like it, come diceva qualcuno.
La spaccatura tra mainstream e underground pare si stia allargando. Un bene o un male?
Non so se è un bene o un male sinceramente. Se vedessi un giorno i Circus Punk aprire ad un concerto degli Artic Monkeys io sarei felicissimo, ma questo non credo sia il vero problema, anzi. Qui abbiamo gente che suona per davvero e molto bene pure, non è gente che scrive canzoni che ci sbomballano le orecchie per i tre mesi estivi e poi scompaiono, ci sono contenuti, poesie in canzone, musica nuova, arrangiamenti fighi, voci particolari. Forse il pubblico non è abituato al nuovo ecco, almeno credo in Italia.
Moltissimi eventi, specialmente in quest’ultimo periodo, sono ad ingresso gratuito, cosa ne pensate?
Sarà un incentivo a fare ascoltare la musica a più persone? Non so. Noi come circolo Arci, per motivi fiscali, non possiamo avere un ingresso a pagamento anche se c’è sempre un bussolotto apposta per sostenere la musica indipendente.
Si parla sempre di cultura underground, ma esiste davvero?
Io che sono classe 76 ti dico che è veramente dura oggi pensare che esista una cultura underground, forse perché negli anni d’oro che abbiamo vissuto forse era più evidente, esistevano le fanzine, ricordo le locandine che erano poi manifesti, attaccate alle stazioni, quando c’era la possibilità di vedere i Carcass a cinquemila lire in un centro sociale. Ora sarebbe possibile comunque, soltanto se però noi adulti riuscissimo a consegnare una volta per tutte il testimone ai giovani ventenni. Di certo di band underground ce ne sono a iosa.
Il peggior difetto che avete riscontrato negli artisti che avete ospitato?
Noi condividiamo dei principi morali ed etici molto importanti e che ci danno pure una certa responsabilità. I difetti, riscontrati per fortuna raramente sono legati alla maleducazione, alla presunzione, al sentirsi al di sopra di qualcun altro, non capendo lo spirito che fa andare avanti il nostro posticino magico (come lo definisce la nostra Mari). Quando questo accade di certo quella band non torna più da noi.
La scelta di proporre solo gruppi indipendenti, può essere definita una ‘scelta politica’?
Assolutamente sì, grazie per questa domanda. E’ esattamente così, una voce contro, un grido che va oltre e che vuole arrivare a chi la pensa così.
L’underground merita più attenzione? Perché? Prima ti parlavo di Fanzine, non ne esistono più. Non c’è gente che scrive di musica in modo sereno e serio, quando dico serio, intendo senza tifo; ci vorrebbero più Tempi Dispari. Ci vorrebbe più attenzione anche da parte delle radio locali, anche quelle stanno diventando un luogo di mercificazione della musica purtroppo.
I progetti futuri?
Ricominciamo a bomba con i live il due settembre con un evento di beneficenza per i cani meno fortunati, dove ci sarà una cena vegana a supporto, la danza del ventre e tre live, allego l’evento facebook https://fb.me/e/4Fesanakh mentre a fine mese, il 30, festeggeremo il compleanno di Ale con un festival punk dove suoneranno i Plakkaggio in chiusura.
Un saluto a chi ti legge.
Grazie per essere riusciti a leggere fin qui, vi invitiamo a seguire innanzitutto la nostra pagina Facebook ArCircolo Alessandro Casponi ed Instagram ArCircolo32 in modo da essere aggiornati sulle nostre attività e non solo i live. Scriveteci qualora vogliate proporre la vostra musica, ma soprattutto veniteci a trovare, troverete un ambiente amichevole e sereno. Una birra in compagnia ed un biliardino all’esterno dove poter giocare allegramente e gratuitamente
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livornopress · 2 years ago
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L'Alzheimer nel cinema e nella letteratura, se ne parla in un convegno
L'Alzheimer nel cinema e nella letteratura, se ne parla in un convegno
Livorno 20 aprile 2023 – L’Alzheimer nel cinema e nella letteratura, se ne parla in un convegno L’Alzehimer tra letteratura e cinema, è il tema di un convegno organizzato dall’Associazione Malati Alzheimer Livorno (AMAL) con il patrocinio del Comune di Livorno e di Cesvot che si svolgerà  venerdì 21 aprile alle ore 16.30 nell’auditorium del Cesvot (via Fagiuoli, 3). L’evento è stato presentato…
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scogito · 2 years ago
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Avv. Perillo:
SINTESI dal WEB, non è farina del mio sacco ma confermo tutto.
Ve la spiego definitivamente con questa citazione. Poi non ci sarà nulla altro da aggiungere.
Ricapitolando:
•Le case farmaceutiche cercano invano per decenni di farsi approvare una nuova tecnica, l'Mrna, giudicata troppo pericolosa e bocciata sistematicamente.
•Arriva una pandemia di un virus fuoriuscito -accidentalmente o no- da un laboratorio cinese, e vengono fornite autorizzazioni emergenziali per produrre un vax a riguardo. Nessuno al mondo sa o osa dire perché siano state scelte queste tecnologie in luogo di quelle già collaudate in passato che hanno dimostrato affidabilità ed efficacia.
•Il virus e il relativo vax vengono messi sotto segreto militare. La gestione sanitaria del fenomeno assume natura anch'essa militare.
La società assume postura marziale.
•La comunità scientifica è perfettamente al corrente che nessun vax potrà bloccare una pandemia di coronavirus ma non si pronuncia. Chi lo fa è bandito e dichiarato demente. Gli studi avversi vengono invalidati e fatti sparire dalla letteratura.
•A premessa di ciò: i fondi internazionali finanziano le case farmaceutiche. Le case farmaceutiche finanziano le riviste scientifiche autorevoli, le università di ricerca, gli enti nazionali di controllo del farmaco, e i televirologi. L'organizzazione mondiale della sanità, che de facto appartiene ad un privato, finanzia e viene finanziata dai fondi di investimento.
•A premessa di ciò: tagli alla Sanità per 37 miliardi di euro in dieci anni.
•Vengono impedite le cure precoci, sospesi, radiati e demonizzati i medici che osano somministrare farmaci che si sono sempre usati contro qualsiasi altro coronavirus.
•I protocolli sviluppati per il virus "genitore" del nostro, il Sars Cov1, vengono fatti sparire
•Vengono stipulati dei contratti segreti tra stati e case farmaceutiche per la produzione di questi farmaci emergenziali. Soltanto dopo pressioni giuridiche vengono "resi pubblici", cioè pubblicate pagine e pagine di righe annerite per "proteggere segreti aziendali".
•Le case farmaceutiche negano l'accesso ai dati delle ricerche condotte per produrli. Soltanto dopo pressioni giuridiche vengono diffusi, col contagocce, rivelando miriadi di effetti avversi già messi in conto, trial falsificati, e soprattutto la non-facoltà di bloccare le trasmissioni dell'infezione.
•Vengono impedite le autopsie per indagare sulla natura del virus.
•Vengono inibite le segnalazioni degli effetti avversi e relegate al rango di suggestioni psicologiche.
•Le strutture ospedaliere cominciano a ricevere fiumi di denaro con un conteggio giornaliero per il ricovero dei malati di covid precedentemente lasciati in vigile attesa. Pur di fare rientrare chiunque tra i malati di covid vengono dichiarati tali i malati di qualsiasi altra patologia. I dati nazionali sull'andamento del virus vengono completamente sballati.
•Vengono finanziati a peso d'oro medici e santiari vaccinatori
•Il Parlamento viene esautorato e asservito unanimamente ad un solo uomo circondato dai suoi scagnozzi.
•Vengono promulgati decreti che stabiliscono comportamenti illogici e privi di fondamento scientifico.
•Media nazionali e influencer partecipano alla grancassa e si trasformano in un megafono personale del governo.
•Vengono sospesi e radiati medici che forniscono esenzioni anche se motivate e i cittadini in questione costretti a ricevere il siero anche se contro la propria salute, il tutto facendo firmare un documento di scarico delle responsabilità da parte delle autorità sanitarie e dello Stato.
•Viene istituto un lasciapassare che fornisce gli elementari diritti civili a chi ha ricevuto il farmaco e li nega a chi non lo ha voluto ricevere.
•Viene scatenata scientemente una campagna di lavaggio del cervello collettivo con relativa persecuzione di una parte della popolazione verso l'altra. La società si squarcia, famiglie e amicizie distrutte. Chi non è manipolato è complice, chi nessuna delle due è scomunicato.
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Sì, l'hanno fatto per la tua salute.
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giornalepop · 2 years ago
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IL FALLO ENORME DEL FOLLE DI MOEBIUS E ALTRI EROI MALATI
IL FALLO ENORME DEL FOLLE DI MOEBIUS E ALTRI EROI MALATI
Nella produzione seriale a fumetti, come in tanta letteratura e fiction popolare, i protagonisti delle storie sono “eroi”, termine che richiama qualità di personaggi epici ideali (1). Nei quali si tenta di rappresentare quanto di meglio c’è nell’uomo. Anche gli “antieroi” più scanzonati e anticonformisti dei fumetti conservano spesso qualità fisiche e morali eroiche. Perfino quando il…
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paoloxl · 4 years ago
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12 gennaio 1986: Nasce Jack London
«Caro compagno, tuo per la Rivoluzione». Rileggendo Jack London
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Centoquarant’anni fa nasceva Jack London. E questo non è un saggio ma solo l’intreccio di alcune suggestioni. Nel 1905 Corto Maltese, l’antieroe di Hugo Pratt, è presente in Manciuria al tempo della guerra russo-giapponese. Qui incontra proprio il giornalista e scrittore Jack London. Fa la conoscenza anche con il personaggio che lo seguirà, volente o nolente, in molte delle sue avventure: Rasputin, allora disertore dell’esercito zarista ed assassino senza motivo. È London a presentare Rasputin a Corto Maltese, che sta per imbarcarsi per l’Africa in cerca delle miniere di Re Salomone. Nel 1908 torna inArgentina, dove incontra nuovamente l’amico London. 
In realtà, John Griffith Chaney è nato  a San Francisco, il 12 gennaio 1876, abbandonato dal padre alla nascita, prende il proprio cognome dal  padre adottivo, John London. Nel corso della sua turbolenta giovinezza, Jack London fu pirata nella Baia di San Francisco, a Oakland e a Benicia, hobo vagabondo sui treni del Nord America, cacciatore di foche nell’Artico e cercatore d’oro nel Grande Nord. Molte vicende della sua incredibile biografia sono raccontate nei suoi romanzi, capolavori come Il tallone di Ferro, Il richiamo della foresta, Zanna Bianca, Martin Eden, Il lupo di mare, John Barleycorn, Il vagabondo delle stelle, La valle della luna, L’ammutinamento della Elsinore, Burning Daylight, La crociera dello Snark.
London pubblicò cinquanta volumi e cinquecento scritti di vario genere (articoli, racconti, saggi) e  continuò a vivere esperienze romanzesche: studiò i modi per praticare l’agricoltura sostenibile nel suo ranch a Glen Ellen; viaggiò per mare; fu corrispondente di guerra, reporter, fotografo, conferenziere. Rivoluzionario socialista lucido e poi disilluso, London non abbandonò mai la speranza in un riscatto per chi veniva dagli abissi della società. Morì tragicamente il 22 novembre 1916 per suicidio o per una accidentale overdose di antidolorifici. Anche questo episodio troverà un’eco nell’ultimo, recentissimo episodio di Corto Maltese, ambientanto nel “Grande Nord” londoniano, scritto da Juan Diaz Canales e disegnato da Ruben Pellejero, vent’anni dopo la morte di Hugo Pratt.
Un rapporto dell’Fbi, datato 1927, sottolinea il contenuto sovversivo degli scritti di Jack London: «Molti dei lavori di London rimandano a contenuti radicali, magari non apertamente, ma in un modo così convincente da essere tra i migliori scritti di propaganda esistenti».
Popoff propone l’incipit di Rivoluzione, uno degli articoli che compone l’omonima raccolta, e l’articolo-racconto “Perché sono diventato socialista”. Buona lettura
Rivoluzione
Nel 1909 Jack London raccoglie alcuni dei suoi migliori scritti e pubblica Revolution and Other Essays, un libro in cui intreccia fantapolitica e teorie scientifiche e che si abbatte come un ciclone sul mercato editoriale, scatenando gli aspri attacchi dell’establishment. Riproposto nel 2007 per la prima volta in Italia,Rivoluzione rivela tutta la sua inquietante attualità in tredici profetiche riflessioni, sorrette dalla scrittura mozzafiato di Jack London, che riesce a trasformare sociologia, scienza, filosofia e politica in splendida letteratura.
L’altro giorno ho ricevuto una lettera. Veniva dall’Arizona e iniziava così: “Caro compagno.” Alla fine la persona concludeva con “Tuo per la Rivoluzione”. Per rispondere ho aperto così la mia lettera: “Caro compagno.” e ho concluso con “Tuo per la Rivoluzione”. Negli Stati Uniti ci sono quattrocentomila persone su quasi un milione, tra uomini e donne che cominciano le proprie lettere con  che “Caro compagno” e le concludono con “Tuo per la Rivoluzione”. In Germania tre milioni di persone cominciano le proprie lettere con “Caro compagno” e le concludono con “Tuo per la Rivoluzione”; in Francia sono un milione, in Austria ottocentomila; in Belgio trecentomila; in Italia duecentocinquantamila; in Inghilterra centomila; in Svizzera; centomila; cinquantacinquemila in Danimarca; trentamila in Spagna – sono tutti compagni, tutti per la Rivoluzione.
Sono numeri, questi, che fanno impallidire le grandi armate di Serse e di Napoleone. Ma non sono i numeri della conquista e del mantenimento dell’ordine costituito, bensì le cifre della conquista e della rivoluzione. Lanciato il richiamo, queste persone compongono l’esercito di sette milioni di uomini e donne che, in rapporto alle attuali condizioni, lottano con tutte le forze per portare il benessere nel mondo e rovesciare completamente l’ordine della società che conosciamo.
Non c’è mai stata una rivoluzione del genere nella storia del mondo. Non vi è alcuna analogia con la rivoluzione americana o quella francese. Questa rivoluzione è unica ed è colossale. A confronto, le altre rivoluzioni sono come asteroidi davanti al sole. E’ l’unica del proprio genere perché è l’unica rivoluzione mondiale in un mondo la cui storia abbonda di rivoluzioni. Non solo: si tratta anche del primo movimento organizzato di uomini e donne che diventa movimento mondiale, i cui confini sono i confini del pianeta stesso.
Sono tanti gli aspetti che rendono questa rivoluzione così diversa da tutte le altre rivoluzioni. Essa non è sporadica e casuale. Non è una fiammata dello scontento popolare che un giorno si leva e quello dopo svanisce. E’ una rivoluzione più vecchia della generazione che la rappresenta e una storia con le sue tradizioni, con un elenco di martiri che solo quello della cristianità supera. Ha anche una propria letteratura che è milioni di volte più scientifica, imponente e accurata della letteratura di qualsiasi rivoluzione precedente.
Queste persone si descrivono con la parola “compagno”: compagno della rivoluzione socialista. Non si pensi che sia una parola vuota, coniata giusto per fare effetto. Questa parola rinsalda i legami tra le persone affratellandole come dovrebbero, rendendole salde e unite sotto il rosso stendardo della rivolta. Non fraintendiamo: questo stendardo rosso simbolizza la fratellanza degli uomini, non l’incendiario significato che gli viene attribuito dalla spaventata mente borghese. Il legame tra i rivoluzionari è vivo e caloroso. Supera i confini geografici, trascende il pregiudizio razziale e si è dimostrato persino più potente del Quattro di Luglio, l’americanismo dell’aquila con le ali spiegate dei nostri progenitori…
*da Rivoluzione, di Jack London, Mattioli 1885, 2007, 16 euro.
Come sono diventato socialista
È BENE SPIEGARE CHE SONO DIVENTATO SOCIALISTA IN UN MODO PIUTTOSTO SIMILE A QUELLO IN CUI I PAGANI TEUTONICI DIVENNERO CRISTIANI: MI FU SCOLPITO A FORZA. Non solo al momento della mia conversione non ero un simpatizzante del socialismo, ma lo stavo combattendo. Ero molto giovane e inesperto, non sapevo molto e anche se non avevo mai sentito parlare di una scuola chiamata «individualismo» elogiavo la forza con tutto il mio cuore.
Questo perché ero forte. Per forte intendo dire che godevo di ottima salute e avevo muscoli d’acciaio, caratteristiche ben visibili. (…) Il mio ottimismo era dovuto al fatto che fossi sano e forte, non avevo debolezze né venivo mai cacciato da un padrone perché non ero in forma; avevo sempre trovato un lavoro, che fosse spalare carbone o stare sulle navi, o qualsiasi altro lavoro manuale.
Per questo motivo, soddisfatto della mia giovane vita e in grado di mantenere il mio posto di lavoro e di vincere nella lotta, ero un individualista rampante. Era piuttosto naturale perché ero un vincente. Perciò consideravo la concorrenza e la competizione una cosa da veri uomini. Essere UOMO significava scrivere questa parola a caratteri cubitali nel mio cuore. Avventurarmi e combattere come un uomo, svolgere il lavoro di un uomo (anche per una paga da ragazzo), queste erano le cose che avevo raggiunto e che si facevano parte di me come nessun’altra. E guardando avanti all’orizzonte di un futuro nebuloso e interminabile, giocando a quello che ho concepito essere il gioco dell’uomo, avrei continuato a viaggiare, godendo di ottima salute, senza incidenti e con muscoli sempre vigorosi. Come dicevo, questo futuro appariva interminabile. Mi vedevo affrontare una vita senza fine come una delle bestie bionde di Nietzsche, desiderosa e conquistatrice di superiorità e di forza pura.
Devo confessare che non pensavo ai disgraziati, ai malati e agli uomini in difficoltà, ai vecchi e ai mutilati, se non maturando che, a meno di incidenti, avrebbero potuto essere efficienti nel lavoro quanto me, se lo avessero voluto realmente. Gli incidenti rappresentavano il fato, scritto anche in maiuscole e non c’era possibilità di evitarlo. Napoleone aveva avuto un incidente a Waterloo, fatto che non ha smorzato in me il desiderio di essere un novello Napoleone.
(…) La dignità del lavoro era per me la cosa più importante. Senza aver letto Carlyle o Kipling, formulai un vangelo del lavoro che avrebbe messo i loro in ombra. Il lavoro era tutto: santificazione e salvezza. Non potreste comprendere l’orgoglio che ottenevo da una dura giornata di lavoro. Ero uno fra gli schiavi salariati più coscienziosi che un capitalista avrebbe mai potuto sfruttare. Mostrarmi inoperoso agli occhi dell’uomo che mi pagava il salario era un peccato, in primo luogo, contro me stesso e in secondo luogo, contro di lui. Lo consideravo un crimine secondo solo al tradimento ma altrettanto malvagio. In breve, il mio individualismo eroico era dominato dall’etica ortodossia borghese. Leggevo giornali borghesi, ascoltavo i predicatori borghesi e non reagivo alle banalità urlate dai politici borghesi. Non dubito che se altri eventi non avessero cambiato la mia vita, mi sarei trasformato in un crumiro professionista (uno degli eroi americani del Presidente Eliot), la mia testa e le mie capacità di guadagno sarebbero state irrimediabilmente distrutte da un manganello nelle mani di qualche sindacalista militante.
Ma un giorno, di ritorno da un viaggio in mare lungo sette mesi, appena compiuti diciotto anni, pensai di cominciare a vagabondare per il mondo. Tra i bagagli dei treni merci abbandonai l’Occidente, dove gli uomini lottavano e il lavoro non mancava e cacciava l’uomo, mi avventurai verso i centri di lavoro industriali dell’Oriente, dove gli uomini erano inetti e cercavano lavoro. In quest’ avventura mi sono trovato a guardare alla vita da un punto di vista nuovo e completamente diverso. Ero passato dal proletariato a quello che i sociologi amano chiamare il «decimo sommerso», ed ero sorpreso di scoprire il modo in cui veniva reclutato questo sommerso.
Vi trovai ogni sorta di uomini, molti dei quali un tempo erano stati in buona salute come me, come le «bestie bionde»; marinai, soldati, operai, tutti lacerati e deformati dalla fatica, dal travaglio e dagli incidenti, alla deriva come cavalli alla fine della loro carriera. Ho mendicato, rabbrividivo con loro per il freddo sui carri merci e nei parchi pubblici, ho ascoltato storie di vita iniziate sotto i migliori auspici come la mia, con forza fisica pari o migliore alla mia, che si sono concluse sotto i miei occhi con lo sfascio e il risucchio nella parte più misera della fossa
E mentre ascoltavo queste storie ho iniziato a riflettere. Ero vicino alle donne di strada e agli uomini delle fogne. Ho visto l’immagine della fossa sociale tanto vividamente come se fosse una cosa concreta e li ho visti in fondo alla fossa, io sopra di loro, non lontano, appeso alla parete scivolosa con forza e sudore per non scivolare. Confesso di aver avuto paura. Che sarebbe successo quando non avrei avuto più le forze? Quando non sarei più stato in grado di lavorare al fianco di uomini giovani e forti? In quel momento decisi e formulai un giuramento simile a questo: «Ho sempre lavorato con tutte le forze, ma sono sempre più vicino al fondo della fossa. Uscirò fuori dalla fossa, ma non grazie ai muscoli del mio corpo; e non svolgerò più il lavoro duro e che Dio mi fulmini a morte se lavorerò ancora in modo duro, più di quanto il mio corpo possa sopportare o sia assolutamente necessario fare». E da quel momento mi sono dato da fare per sfuggire al duro lavoro.
Tra l’altro, durante un viaggio di circa diecimila miglia attraverso Stati Uniti e Canada, mi trovai a vagabondare alle Cascate del Niagara e fui beccato da un poliziotto borghese; mi è stato negato il diritto di difendermi, sono stato condannato a una pena detentiva di trenta giorni perché senza fissa dimora e senza mezzi visibili di sostentamento, sono stato ammanettato e incatenato a un gruppo di uomini nelle mie stesse condizioni, sono stato portato giù al paese di Buffalo e registrato presso il penitenziario di Erie County; mi hanno rasato la testa e i baffi e mi hanno vestito a strisce da carcerato, sono stato vaccinato obbligatoriamente da uno studente di medicina praticante, mi hanno fatto marciare incatenato e ho lavorato sorvegliato da guardie armate di fucili Winchester; il tutto per amore dell’avventura, come le «bestie bionde». Non ho altro da aggiungere sebbene possa affermare che questa esperienza ha attenuato il mio entusiastico patriottismo, abbandonando la mia anima. Ho compreso che per la mia vita uomini, donne e bambini erano più importanti delle linee geografiche immaginarie.
Ritornando alla mia conversione, penso sia evidente che l’individualismo rampante mi aveva abbandonato e che adesso dentro di me nasceva qualcos’altro. Senza saperlo ero stato un individualista e adesso ero un socialista inconsapevole, di stampo non scientifico. Ero rinato senza cambiare nome e andavo in giro a scoprire cosa fossi diventato. Tornai di corsa in California e iniziai a leggere. Non mi ricordo quale fu la mia prima lettura, ma è un dettaglio irrilevante. Ero già quell’altro, qualunque fosse il mio nome; e con l’aiuto dei libri ho scoperto di essere diventato socialista. Da quel giorno ho letto parecchi libri, ma nessuno di argomento economico; nessuna dimostrazione lucida della logica e dell’inevitabilità del socialismo mi ha colpito così tanto profondamente e in modo talmente convincente quanto quel giorno in cui ho visto le pareti della fossa sociale crescere intorno a me fino a soffocarmi e io che scivolavo in fondo alla miseria più profonda.
* tratto da «Lotta di classe e altri saggi sul socialismo di inizio ’900» (collana Persistenze, prefazione di Goffredo Fofi, pagine 128, euro 14,00) pubblicato nel 2013 da Malcor D’Edizione
 
 
da Popoff
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kon-igi · 5 years ago
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COSA FARE QUANDO SI LEGGE CHE IL VACCINO PER IL COVID-19 È QUASI PRONTO
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Prima di tutto leggere l’articolo nella sua interezza, casomai a pie’ pagina l’articolista abbia avuto un rigurgito di coscienza e in font piccolo abbia scritto cosa intendesse per ‘quasi’.
Poi aprire i miracolosi e mai troppo inflazionati link allo studio oppure copiare la quasi mai citata bibliografia e incollarla sulla barra di ricerca dell’amico internet.
In assenza della possibilità di seguire i punti sopra, scegliere delle parole chiave contenute nell’articolo (nome dell’università, nome del ricercatore, nome del laboratorio, sigle farmacologiche strane) e fare una ricerca aggiungendo la parola magica PUBMED.
Pumed è ‘un motore di ricerca gratuito, basato principalmente sul database MEDLINE, di letteratura scientifica biomedica dal 1949 ad oggi; la sua prima versione online è del gennaio del 1996′ e inserito come parola chiave vi permette di escludere risultati di ricerca proveniente da Donna Moderna, laveritaèlafuori.it e varie pagine facebook di laureati all’università della strada che lavorano presso se stessi.
Per esempio, apro un articolo a caso su cui mi sono state chieste delucidazioni in privato:
https://www.ilsole24ore.com/art/vaccino-covid-19-parte-sperimentazione-sull-uomo-AD4areD
Di solito il Sole24ore è abbastanza equilibrato e senza troppi sbandamenti verso il sensazionalismo ma purtroppo nemmeno qua ci sono link o bibiografia, quindi di tutte le parole chiave interessanti (Kaiser Permanente Washington Health Research Institute of Seattle, Nih, Massachusetts, Moderna) scelgo la sigla con cui questo vaccino è al momento indicato: mRna-1273.
I risultati sono tantissimi, alcuni incidentali e non sempre riguardanti il Covid-19 (mRna infatti sta per Rna messaggero) quindi prima di tutto leggo il titolo e poi controllo LA DATA DI PUBBLICAZIONE DELLO STUDIO (cerchiata in rosso)
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Eccolo lì. Come vedete l’ultimo è il più recente - non è detto però che sia il migliore - e il titolo sembra parlare proprio di quello che ci interessa (ci sono altre discriminanti, come per esempio il ‘citato da...’ e parecchi altri dati listati nello studio ma come non addetti ai lavori non vi interessano).
Leggiamolo:
https://www.nih.gov/news-events/news-releases/nih-clinical-trial-investigational-vaccine-covid-19-begins
Due cose saltano subito all’occhio:
The investigational vaccine was developed using a genetic platform called mRNA (messenger RNA). The investigational vaccine directs the body’s cells to express a virus protein that it is hoped will elicit a robust immune response. The mRNA-1273 vaccine has shown promise in animal models, and this is the first trial to examine it in humans. 
Scientists at NIAID’s Vaccine Research Center (VRC) and Moderna were able to quickly develop mRNA-1273 because of prior studies of related coronaviruses that cause severe acute respiratory syndrome (SARS) and Middle East respiratory syndrome (MERS).
Siamo a una fase avanzata della sperimentazione (’Ma come?! Ma se il virus è arrivato da poco!’) perché sono già stati studiati i due fratellastri SARS e MERS, già in giro rispettivamente dal 2003 e dal 2012.
Però siamo alla Phase 1 trial cioè a una sperimentazione di primo livello.
COSA CAZZO SIGNIFICA?!
Seguitemi.
Come potete leggere, la sperimentazione di primo livello è quella che segue la fase preclinica di @spaam​ con piastre brodose, fragili vetrini e topi viziati (la zero viene spesso saltata) e serve, LETTERALMENTE, a scoprire se a quelle decine di poveri sfigati sani - una volta che il vaccino viene loro inoculato - scoppia il fegato, si ferma il cuore o hanno un improvviso desiderio di votare Salvini. 
Il secondo livello, invece, sarà di scovare un numero un po’ più grosso (centinaia) di volontari però MALATI (a occhio non credo che si farà molta fatica) e vedere quanti stanno un pochetto meglio e quanti votino Salvini in insufficienza epatica e un infarto del miocardio in atto.
Il terzo livello, poi, serve a vedere quanto questo vaccino sia efficace SU UN GRANDE NUMERO DI PERSONE (migliaia) continuando a tenere d’occhio cuori, fegati e schede elettorali.
Il quarto livello, infine, è quel divertentissimo momento in cui andate a comprare il vaccino e dopo esservelo iniettato dovete magari andare da farmacista e/o medico curante a riferire che avete cagato il fegato nella sede della Lega mentre cercavano di defibrillarvi.
E ora arriva la parte ‘Ma lo sai ieri m’è venuto in mente di monta’ sull’arbero a coglie du’susine!’...
‘The entire process of developing a drug from preclinical research to marketing can take approximately 12 to 18 years’
Facciamo pure che ci siamo risparmiati preventivamente qualche anno grazie all’inculata ante litteram di SARS e MERS - e abbiamo quindi saltato la fase preclinica e la fase 0 (in blu) - facciamo che i burocrati terrorizzati ci risparmiano la trafila amministrativa di bolli e mazzette (in fucsia), però rimangono ben TRE LIVELLI (verdino, rosa, giallo) che correndo col pepe al culo potrebbero avere questi tempi
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Dai quattro ai sette anni prima di avere un vaccino per il Covid-19 sicuro e disponibile per tutti.
(e no, i tempi non si possono accorciare più di così, a meno che non vogliate un esercito mondiale di cardiopatici cirrotici con magliette verdi)
Insomma, ‘quasi’ può voler significare un intervallo di tempo molto elastico e relativo (’Sono quasi in pensione’ e mancano dieci anni, ‘Sto quasi uscendo’ e sei ancora sotto la doccia) perciò ok, il vaccino per il Covid-19 è quasi pronto ma magari aspettate ad accapigliarvi per vincerne una fiala a un’asta di Ebay e magari i soldi intanto investiteli in qualcosa di meglio, tipo un Luna Park tutto vostro con blackjack e squillo di lusso.
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Nettamente in controtendenza con i suoi predecessori, Svevo ridimensiona totalmente il ruolo della letteratura e del poeta. Egli attribuisce ai letterati molti difetti: sono lenti, indecisi, persino immorali. Non hanno più certezze, valori o ideali da comunicare. Se vogliono davvero essere sinceri, l’unica cosa che conoscono e che possono raccontare è la propria vita interiore. Svevo intende la letteratura come un modo per conoscersi meglio. Così essa perde la sua “aura”, non ha più nulla a che vedere con il bello, ma può sopravvivere solo se si rende utile a chi la pratica. Svevo definisce la letteratura ridicola e dannosa cosa. In questa ottica il tema prediletto è quello del RICORDO, la parte più intima dell’autore, quella più adatta all’autoconoscenza e all’introspezione. Per i personaggi di Svevo, ricordare significa muoversi nel tempo. Il tempo che ritorna nel ricordo è sempre soggettivo. Nel ricordo non esiste il tempo puro; nel ricordo rivive un tempo misto. Altro tema caro a Svevo è quello della malattia. Questa insieme a vita e letteratura si intrecciano strettamente. La letteratura ritrae la vita, ma la essa è malata o inquinata fin dalle radici. Per vivere meglio, bisognerebbe rinunciare all’una o all’altra oppure forse usare la letteratura per vivere di meno ed essere meno malati. Con queste premesse, nell’arco dei suoi 3 romanzi, Svevo prospetta un itinerario complessivo di guarigione:  Una Vita → Alfonso Nitti si suicida perché riconosce una sproporzione troppo grande tra sogno e realtà;  Senilità → Emilio Brentani può sopravvivere, ma solo nel ricordo di Angiolina;  La coscienza di Zeno → Zeno Cosini riesce a sconfiggere la “passione” per la vita grazie allo scetticismo, impara a convivere con i limiti propri e della realtà. Pur non essendo perfettamente guarito, riesce a tenere a freno la nevrosi. Svevo sceglie lo stile del realismo come mezzo di fedeltà alla vita. L’arte deve testimoniare la realtà, perciò sceglie uno stile vivo, parlato, un linguaggio fedele alla vita. scopo tematiche stile fare chiarezza nell’io individuale MA in una dimensione privata  Il ricordo: lo scavo nell’io  La malattia: l’io è debole e inetto Fedeltà alla vita reale ↓ Scelta del realismo La letteratura non serve a conoscere il mondo, ma se stessi Lo spazio tematico si riduce a una dimensione privata Rifiuto di ogni forma di letteratura “alta
Viviana Bianco
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francescacammisa1 · 3 years ago
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“E’ un’osservazione abbastanza giusta”, rispose il dottore; “in questo senso, effettivamente, tutti noi, e molto spesso, siamo quasi uguali ai matti, ma c’è una piccola differenza: i “malati” sono un po’ più matti di noi, perciò bisogna tracciare una linea di confine. Ma di persone perfettamente equilibrate, in verità, non ce n’è quasi nessuna; su varie decine e forse anche su molte centinaia di migliaia se ne trova una, e, per di più, questi esemplari non provano gran che …”
Fëdor Dostoevskij - Delitto e Castigo
📷 Ph Arnold Newman
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pangeanews · 5 years ago
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“Esiste un varco con l’aldilà, una porta che si apre in un regno che non conosciamo affatto?”. Il Covid 19 e Madame Blavatsky. Un racconto di Alessandro Moscè, “Il vaccino viene da lontano”
Jonathan Bassoni, insegnante liceale, una volta leggeva le previsioni meteo nel telegiornale di un’emittente privata per guadagnare quattro soldi. Erano gli anni Novanta e doveva ancora finire gli studi universitari del corso di laurea in Letteratura. Si metteva una giacchina celeste che gli stava stretta sulla vita, si pettinava con la riga da una parte, si spargeva un po’ di gel e aveva i suoi tre minuti a disposizione. Gli davano in mano un foglio che proveniva dall’Aeronautica e una cartina geografica dell’Italia e delle Marche in particolare. Doveva semplicemente indicare dei punti cardinali e avvertire l’utenza dei segnali di cambiamento dalla notte all’alba: tramontana, alta pressione, precipitazioni nevose, sole, mare mosso ecc.
Si affaccia dal balcone della sua casa in collina e la città gli sembra metafisica: un quadro di Giorgio de Chirico, il maestro che dipingeva il silenzio e grandi vuoti, oltre che monumenti con un nuovo aspetto. Vecchi ruderi che non servono più, eppure affascinanti nella loro dimensione, nelle fattezze surreali. Jonathan punta il campanile della chiesa di San Domenico che svetta e non suona, abbandonato nella sua eleganza con la croce offuscata da strisce sottili di nebbiolina.
L’insegnante crede non solo nella scienza atmosferica. Ci sono altre tensioni e dinamismi che decidono l’andamento quotidiano ad alta quota, tra i cieli, e nel sottofondo marino degli oceani. Una sorta di avvio cosmico, un motore che non si aziona per caso. La terra decide di opporsi al comportamento dell’uomo. Jonathan è sorpreso soprattutto dalle ondate eccessive di calore o di freddo e dalla siccità, che vanno ad interferire con le risorse idriche e distruggono la vegetazione.
Adesso è più che mai convinto che la foresta amazzonica non possa continuare a bruciare senza che si verifichi una reazione, perché gli effetti delle politiche di deforestazione sono, di fatto, devastanti. Ha letto sul “Corriere della Sera” che la stima dei roghi nel Sud-America equivale a tre campi di calcio al minuto. Gli ambientalisti accusano gli allevatori. La foresta è situata per circa il 65% in Brasile, ma si estende anche in Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese. Tra il 19 e il 25 agosto 2019 sono scoppiati più di tremila incendi.
Ora è arrivata la pandemia di Coronavirus proveniente dalla Cina, dovuta, probabilmente, alla reticenza sui numerosissimi casi di questa Repubblica Popolare che non ha immediatamente allertato l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli ambientalisti riferiscono che l’effetto serra, la mancanza di ossigeno, il petrolio consumato, come altri combustibili, determinano un violento impatto sulla terra. I profeti tibetani che abitano i “territori degli dei e degli irati” hanno parlato di una sterminata pestilenza, di una catastrofe universale, della fine del primo ciclo umano: una tragica profezia.
I pipistrelli sono animali inquietanti, notturni. Appesi a testa in giù come topi con le ali, ci hanno sempre indotto una certa ripugnanza. Sono considerati i serbatoi del Coronavirus nell’aumento della variabilità genetica. Il passaggio di genere dal volatile all’uomo ha causato la pandemia. Jonathan reputa che la natura se ne sia servita per non soccombere dinanzi alle nefandezze umane. Che cos’è in fondo il Covid 19, se non il meccanismo di difesa del pianeta contro gli abusi umani, ormai insopportabili? L’eccesso di anidride carbonica immessa sta trasformando l’atmosfera in uno scudo impenetrabile e non lascia passare il calore. L’effetto serra e la pandemia hanno un nesso. È insita nella dissipazione del patrimonio la grande imperfezione umana: il segno di un comando e di un potere sconnesso con l’ambiente, di un sopruso pericoloso, invasivo. La natura non si può controllare, non si piega ad un accidentale fenomeno, ad una pratica sbagliata, ad una battaglia involutiva, di retroguardia. Il carico della terra rompe un equilibrio: è l’immagine di una cosa che si riequilibra per giustezza, per una spinta che guida le particelle dell’universo e il sistema solare. Le leggi della fisica conservano una tale esplosività che nessun uomo può annientarle.
Jonathan ha in testa la sua concezione mitica, arcaica, che gli studi di antropologia culturale gli hanno sollecitato. Sin da ragazzo leggeva Prometeo, il simbolo della lotta contro le ingiustizie per la libertà della natura. Era persuaso dalle previsioni dei medium, di coloro che intravedono il futuro nell’energia dell’“amor che move il sole e l’altre stelle”, per dirla con Dante e con l’ultimo verso del Paradiso della Divina Commedia. Amore, quindi, come raccordo celeste, unità, intesa, concordia.
Il Coronavirus non è una punizione divina, ma l’espressione del pianeta terra. Una risposta secca, rigida. Una prospettiva per ristabilire l’ordine violato a partire dall’inquinamento del suolo e delle acque per uno scopo produttivo che ha aumentato eccezionalmente rifiuti, scarichi, infezioni, batteri. Le stesse onde elettromagnetiche invadono il pianeta con frequenze negative sul nostro sistema immunitario.
Jonathan, il lunedì mattina, si collega con i suoi studenti tramite lo smartphone. Ha assegnato i compiti con il protrarsi della quarantena che costringe tutti a casa. I ragazzi del quinto stanno studiando il Romanticismo, sapendo che salteranno l’esame di Stato secondo il modello consueto e che probabilmente faranno una prova orale da casa. Sturm und drang: la tempesta e l’assalto del virus, non solo del movimento culturale tedesco nato con l’immissione dei sentimenti nella letteratura. Mentre interroga, il professor Jonathan Bassoni pensa ad altro, all’ondata di virus che contagia, che uccide dalla Lombardia al sud dell’Italia. La visione al microscopio del Sars-Cov-2 ricorda una corona ed è ingannevole. Una corona di spine, verrebbe da dire, proprio adesso che è passata la Pasqua e che il virus accenna la sua fase discendente. Un male che non si vede, che suscita vecchi richiami, mutamenti che non sempre aiutano e proteggono i popoli, la civiltà. Il mondo aspetta trepidante il vaccino.
Jonathan non direbbe mai ai suoi studenti che sta leggendo un libro di Helena Petrovna Blavatsky, la sorgente del pensiero occulto moderno che diede origine alla società teosofica, che si rifaceva alle scienze degli antichi popoli e alle facoltà latenti degli uomini che non compiono distinzione di razza, di sesso, di età e di religione. La fratellanza ci unirebbe e ci salverebbe da ogni insidia. Ma Jonathan reputa che l’unità tra la gente sia diventata impraticabile. Dire fratellanza è come non dire nulla, anche se il termine fosse pronunciato da un alto prelato cattolico sull’altare durante la messa della domenica. Chi mai ideerebbe una società dello spirito? E chi può sapere quale fu il cenacolo segreto che svelò il mistero ultimo dell’uomo, il suo fine e la distanza colmabile con i morti? Helena Petrovna Blavatsky morì nel 1891 a causa di un’epidemia influenzale. Ancora un’epidemia, che nel 2020 sembra qualcosa di talmente lontano e indescrivibile, da non esistere più. Eppure viviamo un’ecatombe di altri tempi.
La soluzione contro i mali del secolo, l’indifferenza e l’alienazione, e ora anche contro il Covid 19, consisterebbe in un movimento circolare di solidarietà e fiducia interraziale, oltre che in un vaccino? In un mutamento radicale delle intenzioni umane distribuite tra spazio e tempo, rinunciando ad un imperante progresso meccanicistico, ad una tecnocrazia gelida, che cerca il profitto da raggiungere prima possibile? Eppure la crisi del capitalismo e la fine dell’industria occidentale non hanno prodotto cambiamenti, né nel sistema economico, né in quello politico. Le stesse relazioni interpersonali sono sempre più frigide, impassibili. Nessuno ha imparato la lezione.
“La natura matrigna di Leopardi e il cattolicesimo di Manzoni. Quali eventi hanno influenzato i due esponenti del Romanticismo italiano? Quali opere ce lo fanno capire meglio?”, chiede Jonathan Bassoni ad una studentessa collegata.
“Ci darà il voto professore?”.
“Nessun voto, per ora. Ma dovete essere capaci di articolare un discorso, di argomentare. Forza”.
L’antivirus: potrebbe indicarcelo un medium nella sacralità del mito? Jonathan si distrae, torna ad estraniarsi mentre la ragazza risponde alla sua domanda. Il professore teme di scoprirsi astraente, fuori moda, incomprensibile, perfino folle, se avallasse lo spiritismo e il paranormale, tanto da essere deriso. Ma se la normalità fosse concentrata in ciò che sembra un trucco, un gioco per maghi, una credenza? Padre Pio non era un impostore, e neppure Gustavo Adolf Rol. Avevano compreso tutto, anche il significato dello spirito immortale che è mosso dall’amore, nient’altro che dall’amore. Gesù Cristo non fu uomo d’amore sacrificato per salvarci, morendo al posto nostro?
Dopo l’interrogazione Jonathan apre le pagine del quotidiano che ha acquistato la mattina alle sei all’edicola della stazione, dove lo aspetta Giuseppe, un anziano che cammina instancabilmente anche in questo periodo, nonostante non dovrebbe farlo, stando al decreto governativo appena riconfermato. A quasi ottant’anni non rinuncia ai suoi dieci chilometri giornalieri per dare lubrificazione alle gambe, afferma, altrimenti rischierebbe di non alzarsi più dal letto. Giuseppe non ha paura del Covid 19, perché alla sua età non si può più temere la morte. Dove andrà a finire non lo sa e non gli importa. Crede nella fatalità. Magari si ritroverà in un paradiso celestiale, o nell’abisso, nel buio dei ciechi senza saperlo. Tira a campare. Prosegue questo anomalo aprile con i suoi rituali protratti dal lunedì alla domenica: alle tre del mattino è già in piedi e ascolta la radio facendo la conta dei morti di Coronavirus, dei malati e dei guariti. Fa le parole crociate e poi esce infilando il giaccone invernale. Dopo il giro largo della piazza centrale, si inoltra nel giardino comunale e alla stazione aspetta il furgone dei giornali che arriva da Ancona a tutta velocità. A pranzo si cucina la pasta integrale e mangia i soliti pomodorini con un filo d’olio, rigorosamente senza sale. Due volte la settimana un filetto di maiale ben cotto. Giuseppe ha ottant’anni, ma un fisico asciutto. Nella sua vita non ha mai contratto un’influenza e non sa cosa sia la febbre.
I morti per l’epidemia da Coronavirus nel nostro paese hanno superato le 20.000 unità proprio il giorno successivo alla Pasqua. Mentre Donald Trump starebbe valutando la riapertura delle attività per non tenere ferma l’economia, l’epidemia avanza con un incremento dei casi e il superamento del milione di contagi in tutto il mondo. Jonathan, appena posato il quotidiano sul tavolo della sala, si lava le mani con l’alcool, pulisce le superfici della sua stanza da letto con un piumino da spolvero, passa uno straccio bagnato sul pavimento e con un panno di daino toglie i pulviscoli dal computer e dal tavolo di lavoro dove sono ammassati i libri e i quaderni degli appunti. Beve acqua minerale direttamente dalla bottiglia. Ha appena letto che il primo vaccino contro il Covid 19 sarebbe in fase di sperimentazione a Padova, prodotto da una ditta italiana. Potrebbe essere disponibile già a settembre. Il primo lotto partirà da Pomezia per l’Inghilterra dove inizieranno i test su 550 volontari. Jonathan sa che il vaccino non può essere risolutivo come le stesse medicine, come ogni soluzione scientifica adottata nei laboratori chimici, se non cambieremo stile di vita. Il senso profondo della forza spirituale che non vediamo e non tocchiamo con mano, se non arriverà all’essere umano e non costituirà un principio saldo, inviolabile come le regole di questi giorni, potrebbe decretare, viceversa, la fine della terra con un secondo Big Bang, con un’accelerazione di particelle nucleari e uno scoppio improvviso. Una nucleo-sintesi primordiale e un’espansione di dimensioni impensabili rovesceranno le sorti del mondo? In pochi resisterebbero e avrebbero il dovere di ricostruire il pianeta con modalità differenti, ricominciando dalla primitività, da un contatto diretto con la natura, rispettata e non sfruttata, da uno sviluppo crescente dell’agricoltura, da un consumo maggiore e salutare di zucca, mais e altri alimenti ricchi di carboidrati, come le patate, i fagioli e le arachidi. Quindi si coltiverebbero di più la carota, il radicchio, il ravanello, il cavolfiore. Si utilizzerebbero solo fertilizzanti naturali e antiparassitari non di origine chimica. Gli animali sarebbero allevati con i mangimi ottenuti dall’agricoltura biologica. Non esisterebbero più confini delimitati da una geografia politica, ma un’intensa comunione per un cammino lento, sostenibile, influenzato dalle buone relazioni e da governi democratici. Migliorerebbe il clima e l’effetto serra avrebbe un altro impatto. La terra guarirebbe.
Jonathan sente uno scricchiolio provenire dalla camera da letto dei suoi genitori. Suo padre è morto da poco più di un anno. Giurerebbe di aver visto un’ombra muoversi e provocare una folata di vento, appena avvicinatosi. Teme il terremoto, ma la casa è stabile e non succede nulla. Esiste un varco con l’aldilà, una manifestazione di contatto, una porta che si apre in un regno che non conosciamo affatto? Suo padre ha voluto dirgli che la terra è in pericolo, mai come questa volta? O Helena Petrovna Blavatsky ha approvato il suo sentire, la sua lettura di un’opera ormai introvabile in commercio, avuta da uno strano ex frate di Norcia? Da dove proveniva lo scricchiolio? Da un armadio, da una parete, da un quadro, dal letto? Di notte Jonathan ha l’impressione di sentire uno scampanellio e delle voci attutite. Una visionaria percezione che lo avvertirebbe di qualche indizio extrasensoriale? Il rischio è di convincersi dell’inverosimile.
Ma cosa diceva Helena Petrovna Blavatsky? “Sii perseverante come chi dura in eterno. Le tue ombre vivono e svaniscono, perché la conoscenza non è della vita fuggevole. Sei l’uomo che era, che è e che sarà, l’ora del quale non suonerà mai. Accetta i dolori della nascita”. La via fuggevole e un’altra vita. Quale? Quella che fa dell’universo una coscienza insita nell’uomo e negli spiriti della natura che non sono materia ma energia, energia allo stato puro? Jonathan si convince che il vaccino sarà un’esperienza non solo fisica, composta di leggi che ci governano nel visibile e che scompaiono improvvisamente, a nostra insaputa. C’è qualcosa di più del desiderio umano, una realtà più grande, libera dal giudizio. Il futuro oscuro e incerto si combatte con una promessa di fedeltà all’uomo, alla terra, all’ambiente. Come? Non accendendo fuochi, non recando danno alle piantagioni, non dando la caccia agli animali protetti, concedendo più spazi alla vegetazione che neutralizza lo smog, non utilizzando biossido di zolfo, ossidi di azoto, monossido di carbonio, ozono e polveri sottili.
Suona il telefono. È Gerardo, l’ex frate di Norcia che non crede più ad una sola religione, ma ad uno spiritualismo ancestrale.
Ho sentito scricchiolare nella stanza dei miei genitori.
Anch’io, nella mia soffitta.
Telepatia?
Ho visto un’ombra.
Anch’io, sembrava camminare.
Succede.
Che cosa succede?
Che qualcuno ci parli.
Lo chiamo antivirus.
Una strana sincronia, un’esperienza che ci accomuna.
È sufficiente non commettere scorrettezze, inganni, barbarie per vivere serenamente, nel tempo, nello spazio, tra i propri simili e nella natura?
La natura è sempre superiore alla storia. La storia è un’avventura, un insieme di guerre, di genocidi, di supremazie che finiscono, che si avvicendano. Un’ingorda tentazione, come quella di Adamo ed Eva.
Quando finirà la pandemia?
Quando bene e male non si mescoleranno più insensibilmente. La pandemia non è solo del Covid 19. Finirà quando non saremo più in attrito con noi stessi, con il vicino di casa, con il collega d’ufficio, con il coniuge. Un impegno in grado di far parlare la geologia e l’ecologia, l’idrologia e la glaciologia, l’economica e la sociologia, di valutare le azioni della diplomazia, dei governi internazionali. Se domani il virus cessasse di contagiare, saremmo felici? No, non lo saremmo affatto. Egoismo e divisione alimentano una frustrazione costante. Lo ha detto anche Papa Bergoglio con un tono sussurrato. Basta la forza dell’avvertimento, il soffio delle parole perché non vincano la paura e la morte. Il primo capitale è quello umano.
Ci riusciremo?
È la partita più difficile del terzo millennio.
Alessandro Moscè
*In copertina: la teosofa Helena Blavatsky (1831-1891)
L'articolo “Esiste un varco con l’aldilà, una porta che si apre in un regno che non conosciamo affatto?”. Il Covid 19 e Madame Blavatsky. Un racconto di Alessandro Moscè, “Il vaccino viene da lontano” proviene da Pangea.
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chez-mimich · 5 years ago
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IL FIUME DELLA VITA. Chi affrontasse la lettura del nuovo libro di Eugenio Borgna, "Il Fiume della vita", uscito qualche settimana fa ed edito da Feltrinelli, non avrebbe certo bisogno del sottotitolo, “Una storia interiore”, per comprendere che questo, come tutti gli altri volumi del grande psichiatra, in realtà, tratta tutti i temi professionali come facenti parte della sua vita interiore, spirituale ed intellettuale. Nel libro non si colgono nuovi spunti o suggestioni, rispetto a quanto letto in passato, ma si sente molto più forte il desiderio di ribadire quanto già scritto, e di fissarlo nuovamente nella scrittura, come se qualcosa sembrasse sfuggito al grande psichiatra novarese. Il racconto dell’infanzia, della gioventù, degli studi, della professione, col consueto riferimento al lavoro svolto presso il manicomio di Novara, che Borgna non chiama mai “ospedale psichiatrico”, oltre alla grande riforma di Franco Basaglia , sono i temi cruciali del libro. Una vita che non sarebbe corretto definire appassionante, seppur nutrita di passione e di “com-passione” verso i malati. La chiave di lettura di tutto il suo pensiero può ben riassumersi in questi due paradigmi: l’approccio al malato di tipo emozionale e compassionevole, nel senso più completo del termine, e la rispondenza dalla sofferenza psichica con grandi opere della letteratura e del pensiero. Borgna non è uno saggista di lungo corso, come lui stesso ricorda, avendo incominciato a scrivere tardi, quando i gravosi impegni presso il manicomio di Novara glielo hanno permesso. Questo suo tipo di approccio alla demenza, è certamente retaggio della grande rivoluzione basagliana degli anni Settanta, periodo in cui, contro tutto e tutti, Franco Basaglia combatteva per ribadire come il manicomio non potesse curare e che il solo approccio farmacologico e anche psichiatrico non bastasse. Ribadisce con forza Borgna: “Non è possibile fare psichiatria se non ci si educa a nutrire la nostra vita di ascolto e di gentilezza, di saggezza e di tenerezza, e anche ad abdicare ad ogni forma di noncuranza e di indifferenza...”. Borgna sembra nutrirsi dell’urgenza del ricordo, patrimonio a cui attingono le persone avanti negli anni, poiché è questa la loro grande ricchezza. E così scorrono nel libro tante citazioni dai suoi autori più amati da Hölderlin a Sylvia Plath, da Rilke a Schopenauer; ed è lo stesso autore ad ammettere che “I libri hanno cambiato il mio modo di riflettere sull’angoscia e sulla tristezza, sulle attese e sulle speranze infrante.” Ma è nel capitolo intitolato “De senectute” che sembra scorgersi la vera novità di questo ennesimo libro di Eugenio Borgna; le riflessioni sulla vecchiaia, sulla malinconia di questa età della vita, guardata con una angosciata serenità, se mi si concede l’ossimoro. Per farlo Borgna cerca conferme negli autori prediletti e maggiormente frequentati e sembra riconoscersi completamente nelle parole di Arthur Schopenhauer quando scrive: “Solo nella tarda vecchiaia l’uomo raggiunge veramente l’oraziano ‘nil admirari’, cioè la convinzione immediata, sincera e sicura della vanità di tutte le magnificenze del mondo: le chimere sono sparite. Egli non crede più che da qualche parte, in un palazzo o in una capanna, abiti una felicità particolare...”. Libro triste, per questo necessario.
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toscanoirriverente · 6 years ago
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La teoria della montagna di merda®
A grande richiesta, mi chiedono di ripostare la “Teoria della montagna di merda” dal vecchio blog. Essa risale a qualche anno fa. Eccola qui.
Alcune persone godono nel particolare hobby di fare “debunking“. Il debunking e’ l’abitudine di dimostrare, punto per punto, che le teorie cospirazioniste (UFO,HAARP, rettiliani & co) siano false.
Non ho voglia di spiegare che la cosa piu’ difficile da dimostrare al mondo sono proprio le verita’ piu’ semplici, direi quasi gli assiomi, se non fosse che non si dimostrano affatto, ci si limita a constatare che siano assiomi e che siano necessari o presenti, per chi si occupa di matematica inversa.
Quanto piu’ vicini siamo alle evidenze ed agli assiomi, quanto piu’ complesso sara’ dimostrare qualcosa, nella media. I problemi sulle qualita’ di base dei numeri sono quelli che, come la congettura di Riemann, resistono di piu’ all’assalto intellettuale dei dimostratori.
Allo stesso modo, dimostrare che nessuna industria farmaceutica ci stia irrorandogratis di anticoncezionali perche’ agli azionisti piace venderli, e’ di una complessita immensa; entrerebbero in gioco Peano e Pareto, e come scrive qualcuno tutti mi darebbero immediatamente del fascista.
Il guaio e’ un altro: cento milioni di scimmie che battano tasti a casaccio su cento milioni di macchine da scrivere per cento milioni di anni probabilmente scriveranno l’opera magna della letteratura di ogni tempo e luogo.
Il problema e’ che produrranno anche una cataclismica, spaventosa, leviatanica, galattica Montagna di Merda.
La proporzione tra le due cose, catastroficamente a favore della merda, e’ tale che normalmente si danno le macchine da scrivere in mano a persone delle quali si presume che scriveranno qualcosa di buono.
Il motivo e’ molto semplice: se anche le nostre scimmie scrivessero l’opera magna di ogni tempo e di ogni luogo, il tempo necessario a scartare tutte le altre opere sarebbe infame.
Questo e’ alla base di quella che io chiamo “La teoria della montagna di merda“. Essa dice, in sostanza, che un idiota puo’ produrre piu’ merda di quanta tu non possa spalarne.
Prendiamo per esempio il famoso motore di Schietti.
Si tratta di una bufala catastrofica; e’ vero che i palloncini saliranno in alto, ma per gonfiarli in fondo al cilindro abbiamo usato piu’ dell’energia che otterremo.
Questa cosa e’ stata fatta presente a chietti, dicendogli che un certo Boyle e un certo Mariotte hanno detto delle cose sensate qualche tempo fa.
Il risultato e’ stato che lo Schietti se n’e’ uscito con un ulteriore delirio “Schietti dimostra falsa la legge di Boyle-Mariotte“.
La cosiddetta dimostrazione consiste nell’introdurre ulteriore complessita’: una macchina fatta di due componenti e’ difficile da falsificare, una macchina composta da stantuffi, leve, ingranaggi, miliardi di circuiti logici, eccetera, e’ dialetticamente impossibile da debunkare completamente, perche’ mancano le competenze.
Prendiamo per esempio il processore del vostro PC: si potrebbe dire che possa parlare con l’aldila’. Se siamo ciarlatani, intendo. A quel punto arriverebbe un tizio che lavora in Verilog o in VHDL e ci spiegherebbe che niente in un processore parla con l’aldila’.
La risposta del cialtrone a quel punto sara’ qualcosa di relativo alla fisica del silicio. Il guaio e’ che a quel punto l’esperto di Verilog esaurisce la sua competenza, perche’ la parte al silicio gli e’ nota solo in parte (quel tanto che serve a scrivere codice eseguibile dall’hardware nei tempi previsti), ma se andiamo allo stato dell’arte ci saranno esperti di fisica della materia che passano la vita sul silicio, e chi ha visto la modellazione matematica di un singolo nucleo di idrogeno (un delirio di operatori hermitiani) sa bene che “l’atomo di Silicio” non e’ per nulla una cosa semplice.
In pratica, se facciamo affermazioni riferite allo stato dell’arte ci vorra’ un intero team di esperti per contraddirci, a patto di riferirci ad una complessita’ abbastanza grande di fenomeni fisici. Non esiste una sola persona in grado di discutere allo stato dell’arte di una CPU, ci vuole una squadra intera.
Il problema e’ che radunare la suddetta squadra ci costera’ uno sforzo immenso rispetto a quello che costa al cialtrone affermare di pingare la madonna in persona attraverso la sua VPN.
In pratica, economicamente parlando vinceranno sempre i cialtroni, perche’ la competenza costa piu’ dell’incompetenza.
Ma c’e’ un motivo di tipo umano che mi impedisce di darmi a quest’attivita’. Il fatto, cioe’, che queste persone siano arrabbiate.
Oh, non arrabbiate come mi arrabbio io con il cane se mi scava una pianta di susini per seppellirci il pane.
Sono arrabbiate come stile di vita, nel senso adleriano del termine. (1) La rabbia per loro e’ una condizione permanente, ontologica, e’ un metodo di ricerca: la tal cosa e’ vera nella misura in cui pensarla sostiene la mia rabbia.
Poiche’ molte delle verita’ che sono passate alla storia sono state inizialmente scomode (2), queste persone ritengono che ogni affermazione che suscita rabbia sia scomoda, ergo vera.
Il problema e’ che esse non suscitano una vera e propria rabbia, e non sono nella media nemmeno “scomode“: si tratta quasi esclusivamente di affermazioni fastidiose. Fastidiose perche’ il buon Schietti si ostina ad ammorbare i commenti dei blog di mezzo mondo con la sua parafilosofia.
La strategia di queste persone e’ di ammorbare la vita alla gente con la propaganda delle loro idiozie. Poiche’ ad un certo punto ricevono una reazione di fastidio, deducono che la loro “verita‘” sia “scomoda” anziche’ capire che il problema sta nella loro fastidiosa presenza, e non nella loro scomoda verita’.
Lo scopo e’ quello di arrivare ad uno scontro, appunto, rabbioso. E questo e’ dovuto molto semplicemente al fatto che, come ho gia’ scritto, la rabbia e’ la loro condizione esistenziale: rabbia perche’ si sentono impotenti di fronte a banche e multinazionali, rabbia perche’ non riescono a realizzarsi, rabbia perche’ si sentono maltrattati dalla societa’, eccetera.
La colpa di tutto questo, ovvero delle loro disgrazie ultime, sta proprio nelle leggende, nei mulini a vento che combattono; e verso i quali rivolgono la loro rabbia. Ma il fatto che la rabbia sia la loro condizione ontologica fa si che essa non sia l’effetto dei mulini a vento,ma la causa.
La loro condizione esistenziale e’ di essere arrabbiati, soprattutto, prima di ogni cosa ed a prescindere. Di fatto questi individui si sono aggirati per il mondo, digrignando bile e vomitando odio astioso, con una vocina dentro che chiedeva loro “perche’ tanto odio?”
Perche’ tanta ingiustificata rabbia?
Improvvisamente arriva il ciarlatano e gli dice: ecco qui, puoi scegliere tra “sono arrabbiato perche’ mi nascondono la verita’ sull’ 11 settembre“, “sono arrabbiato perche’ ci stanno uccidendo con le scie chimiche“, “sono arrabbiato perche’ la free energy viene nascosta al mondo“, eccetera.
In altre parole, le teorie cospirazioniste sono solo un vestito, una copertura che serve a dare una motivazione apparente per una rabbia che altrimenti non si spiega;Blondet e’ arrabbiato perche’ come giornalista e’ una sega fritta, perche’ non ha credito in alcun ambiente giornalistico serio, denunciare il grande complotto degli ebrei gli serve perche’ dire “sono arrabbiato perche’ la mia carriera di giornalista e’ una montagna di letame” suona male, mentre “sono arrabbiato perche’ gli ebrei dominano il mondo e vogliono tagliare un pezzo di pisello a tutti” suona meglio: non contiene un’ammissione di implicito fallimento esistenziale.
Ora, qual’e’ la realizzazione massima della rabbia? Contrariamente a quanto si pensa, la massima realizzazione e’ la sua stessa diffusione; perche’ ogni volta che l’arrabbiato vede che qualcuno si arrabbia con lui trae conferma del fatto che fa bene ad arrabbiarsi, e quando qualcuno si arrabbia contro di lui, ha conferma del fatto che le sue teorie sono scomode (quando invece e’ la sua presenza ad essere fastidiosa).
Come scriveva Adler in Psicologia Individuale, “il nevrotico trovera’ nella propria nevrosi le energie per sostenere la nevrosi stessa, per quante ne siano necessarie“. (3) O, tradotto in soldoni, essi produrranno sempre piu’ rabbia di quanta ne possiate sopportare; piu’ provocazioni di quanto possiate mantenere la calma, piu’ fastidio di quanto possiate tollerare: l’energia libidica a loro disposizione, la grandezza della forza che li spinge in questo processo ha la cardinalita’ del continuo.
C’e’ un solo modo di neutralizzare questa gente: stabilito che lo scopo principe di queste persone sia di perpetuare e di diffondere lo stato di rabbia “a priori” che produce il loro stato esistenziale, il solo modo di fermarli e’ di evitare i contatti con loro.
Essi sono profondamente malati, di una malattia invisibile che si chiama rabbia. Lo scopo ultimo di questa malattia e’ il contagio, e nient’altro che il contagio; non cambierebbe nulla nell’esistenza materiale di queste persone se si scoprisse che la CIA ha demolito le torri gemelle, ne’ se si scoprisse che gli USA vogliono sacrificare la quinta flotta alla guerra contro l’Iran come dice Blondet, in entrambi i casi la nostra italianissima esistenza ne sarebbe inficiata assai poco, ne sarebbero inficiati poco i nostri successi ed insuccessi personali, eccetera.
Lo scopo ultimo della rabbia e’ propagarsi.
E la sua sconfitta e’ il fatto che gli altri abbiano una vita serena, gioiosa, per nulla arrabbiata.
Quindi, caro Schietti, ti dico una cosa: il tuo motore funziona alla perfezione, la free energy e’ alla portata di tutti, la pila di Zamboni potrebbe produrre energia gratis per tutti, (4) ma io sono felice cosi’.
E siccome sono felice, non voglio nulla di quanto dici.
E sempre sia lodato iptables. Uriel
(1) Ok, ok. Ho conosciuto psicologi adleriani capaci di mettere a posto, in pochi mesi, anni di disastri di apprendisti stregoni. Siccome sono un tecnico, la prima cosa che ho fatto e’ stata di ficcare le mani nella scatola, e ho letto un sacco di cose di Adler.
(2) Nella maggior parte dei casi la verita’ e’ comodissima. Sono salito sulla metro stamattina pensando che mi avrebbe portato qui. Era vero. Sarebbe stato peggio se fosse stato falso, e io sbagliando il senso di marcia mi fossi trovato a Cascina Gobba. In questo caso, la verita’ sarebbe comoda mentre la falsita’ sarebbe un rompimento di coglioni.
(3) Adler contestava l’affermazione freudiana secondo la quale la rappresentazione della nevrosi di fronte all’analista fosse uno sfogo energetico, un calo libidico sufficiente a fermarla.
(4) Non lo penso davvero, ma si tratta di un’affermazione che Schietti non puo’ contestare, visto che gli da’ ragione. La sua rabbia non avra’ quindi espressione, e il meccanismo di tossicita’ della rabbia sara’ fermato.
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nursingpillswithgiulia · 6 years ago
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Finalmente ho finito di leggerlo e la valutazione è completamente positiva. Un gran bel libro che consiglio a tutti voi, medici, infermieri, studenti e non solo. Attraverso il racconto diretto di 3 medici che all'improvviso si trovano ad essere dalla parte del paziente riuscirete a capire ciò che si prova ad essere malati o a subire le conseguenze di un ictus. Vi lascio con una frase che mi ha colpito molto e vi auguro buona lettura. ❣️✨ Vi ricordo che il libro con lo sconto del 15% potete trovarlo sul link un bio. . . "ognuno di noi, per quanto simile ad altri, è unico e irripetibile e cosi anche il nostro tumore è unico e irripetibile. Dall'incontro di 2 irripetibili non può che uscirne una storia unica e irripetibile: la nostra. Nessuno ne può conoscere l'evoluzione e nessuno potrà dirci come andrà a finire. Dipende dal tumore si ma dipende anche e soprattutto da noi e da come lo affrontiamo." #dallaltraparte #cancro #ictus #infermieristica #nurse #unilife #infermieristica #infermiere #nursingstudent #futurinfermieri #studentinfermieristica #studinfermieristica #nursestudent #terapia #letteratura #medicina #medici #ospedale #professionistisanitari #salute https://www.instagram.com/p/BwSE0-IB5b5/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=vvvf81xcitl7
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