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Festival delle Medical Humanities: Un Viaggio tra Narrazione, Ascolto e Arti Visive Applicate alla Salute. Il Festival si svolge dal 15 al 20 ottobre con eventi online e incontri in presenza ad Alessandria
La quinta edizione del Festival delle Medical Humanities "Iconografia della Salute" ha preso il via il 15 ottobre 2024 ad Alessandria.
La quinta edizione del Festival delle Medical Humanities “Iconografia della Salute” ha preso il via il 15 ottobre 2024 ad Alessandria. Quest’anno il festival è dedicato al tema “Parola e relazione” e prevede un ricco programma di eventi tra presentazioni di libri, conferenze, tavole rotonde e mostre. La manifestazione si propone di esplorare l’interazione tra narrazione, ascolto e arti visive nel…
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Lambert Maguire, a cura di Fabio Folgheraiter, Il lavoro sociale di rete. L'operatore sociale come mobilizzatore e coordinatore delle risorse informali della comunità, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 1989. Indice del libro
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Favara, XVI Edizione della Festa della Legalità. Ecco il programma dal 3 al 12 Maggio 2024
Dal 3 al 12 maggio 2024, si svolge a Favara la XVI Edizione della "Festa della Legalità", voluta e coordinata da Gaetano Scorsone. Ecco il programma degli appuntamenti in cartellone: Venerdì 3 maggio Ore 09.30, il Liceo Statale “M. L. King” in collaborazione con il Centro Studi “A. Russello”, presenta il Convegno: La Grande Sete di… Giustizia, Aula “C. Marrone”. Saluti: Dirigente Scolastico Prof.ssa Mirella Vella; Antonio Palumbo (Sindaco di Favara); Dott.ssa Maria Buffa (Dirigente USR Sicilia); Dott. Gaetano Scorsone (Coordinatore Festa della Legalità). Interventi: -Prof. Salvatore Ferlita (Università Kore, Presidente Centro Studi “A. Russello”); -Dott. Salvatore Cardinale (Magistrato a riposo); -Dott. Antonio Liotta (Editore, Vice Sindaco di Favara); -Prof. Calogero Sorce (Docente Liceo “M. L. King”); -Letture di Sara Chianetta (Vice Presidente Centro Studi “A. Russello”); -Interventi artistici a cura del Gruppo Teatro “I Ragazzi del King” diretto dalla Prof.ssa Arianna Vassallo. Modera la Professoressa Giada Attanasio (“Docente Liceo M.L.King”). Domenica 5 maggio Ore 08.30, l’A.I.D.O. Gruppo Comunale Favara “N. Papa–S. Urso”, il C.A.M.E. dei Templi di Favara e la Chiesa Madre presentano l’evento: Memoria, Gratitudine, Preghiere: percorsi di legalità di una comunità in cammino. Programma: - Ore 08.30-09.15: Afflusso delle auto e moto d’epoca e dei partecipanti presso il “Saracen Bar” di Via Capitano Callea n. 119; - Ore 09.30: Inizio percorso della memoria con l’omaggio a Stefano Pompeo presso il Cimitero di Piana Traversa (deposizione composizione floreale, lettura profilo, preghiera); a seguire visita alla Stele del Beato Giudice Rosario Angelo Livatino – sp3 -, fermata in Via Padre Pino Puglisi e in Corso Vittorio Veneto (scaletta) per ricordare rispettivamente il Beato Pino Puglisi, Gaetano Guarino e Stefano Pompeo; - ore 11.30: Santa Messa in Chiesa Madre, celebrata dall’Arciprete don Nino Gulli. Al termine, consegna del IV Trofeo “Gaetano Tuzzolino/Gaetano Parello” alla Tenenza dei Carabinieri di Favara da parte del C.A.M.E. dei Templi. Lunedì 6 maggio Ore 10.30, l’A.N.F.F.A.S., l’I.I.S.S. “E. Fermi” e la Pro Loco “Castello” presentano il workshop inclusivo per il rispetto dei Beni Comuni: Insieme si può, presso la sede dell’A.N.F.F.A.S. di Via E. Berlinguer n.23 di Favara. Interventi a cura di persone con disabilità dell’Associazione ospite e degli Alunni dell’I.I.S.S. “E. Fermi”. Martedì 7 maggio Ore 09.30, l’I. C. “A. Camilleri” e l’Associazione “Favara per il Futuro” presentano In classe con Livatino, plesso “Mendola-Vaccaro”. Interventi di Autorità locali ed esponenti dell’Università Kore di Enna. Ore 11.00, l’I. C. “G. Guarino” con la partecipazione degli studenti dell’I.P.S.S.E.O.A. “G.Ambrosini”, in una dimensione di continuità e orientamento, presenta lo spettacolo teatrale Voli di colombe, ali di farfalle, dedicato a bambini vittime innocenti della mafia. 0re 16.30, l’I. C. “Falcone Borsellino” presenta lo spettacolo La classe dei banchi vuoti, tratto dall’omonimo libro di Don Luigi Ciotti, con il coordinamento degli insegnanti Maria Cristina Marrella e Francesco Brutto. Mercoledì 8 maggio Ore 09.30, l’I. C. “V. Brancati” presenta il Convegno La lotta per la legalità, la giustizia e la libertà. L’ultimo discorso di Giacomo Matteotti, presso il Castello Chiaramonte di Favara. Saluti: -Prof.ssa Carmelina Broccia, Dirigente Scolastico; -Antonio Palumbo, Sindaco del Comune di Favara; -Dott.ssa Miriam Mignemi, Presidente del Consiglio Comunale; -Dott.ssa Etta Milioto, Presidente Commissione Pari Opportunità; Interventi: -Dott. Paolo Cilona, giornalista e scrittore; -Francesco Curaba, già Dirigente Scolastico; Intermezzi musicali a cura dell’orchestra dell’Istituto. Letture e approfondimenti: -Prof.ssa Giuseppina Mira, poetessa; -Alunni delle classi terze di scuola secondaria di I grado. Coordina la Prof.ssa Ombretta Canu, docente I. C. “V.Brancati”. Ore 15.00, l’Associazione Culturale Unitre visita la Casa Circondariale “P. Di Lorenzo” (Petrusa) per presentare Conciliazione e Tradizioni popolari, momento di intrattenimento con poesie, canzoni, recitazioni, letture, sketch di vita vissuta, barzellette, serenate e altro ancora al fine favorire un positivo afflato di spontanea inclusione, di umana condivisione e di pari dignità. Oltre ad una rappresentanza dell’Unitre è prevista la presenza del Presidente del Consiglio Comunale di Favara, Dott.ssa Miriam Mignemi. Ore 19.30, presso la Chiesa di San Giuseppe Artigiano, Veglia di Preghiera per la Pace e la Legalità, aperta a tutta la comunità cittadina. Giovedì 9 maggio Ore 20.30, la Compagnia Teatrale “Arcobaleno” e il Comune di Favara presentano: Anime, tratto da Anime che si chiamano di Antonella Morreale, Castello Chiaramonte. Regia di Antonella Morreale e Franco Sodano. Musiche di Franco Sodano e Gigi Finestrella. Musici: The Angels e Myriam Russello. Venerdì 10 maggio MANIFESTAZIONE FINALE Ore 09.30, inizio afflusso delle rappresentanze scolastiche e associative, degli ospiti, delle Autorità e della cittadinanza, in Piazza don Giustino per prepararsi alla Marcia della Legalità. Ore 10.00, partenza del corteo da Piazza don Giustino in direzione Piazza Cavour, attraversando Via Roma, Via Vittorio Emanuele, Via Cesare Battisti. Ore 10.30, Piazza Cavour: deposizione Corona di fiori al Monumento ai Caduti delle Guerre e alle Vittime innocenti della mafia; saluti delle Autorità; scopertura e presentazione della maxi tela dedicata all’Esercito Italiano -Istituzione Madrina della manifestazione - con l’intervento del Maestro Vincenzo Patti; consegna del 6° Trofeo “Salvatore Cucchiara” al Vigile del Fuoco Antonio Lattuca; passaggio dello Stendardo della Legalità dall’Unitre Empedocle all’Istituto Studi e Ricerca "Calogero Marrone”. La consueta iniziativa Pane, Olio e… Legalità offrirà la possibilità di gustare il buon pane favarese, donato dai Maestri Panificatori cittadini e arricchito dalla qualità dell’olio frutto della nostra terra. Il gustoso assaggio sarà accompagnato da pensieri sulla Legalità che gli studenti delle Scuole cittadine, insieme ai loro familiari, hanno appositamente preparato. A curare l’organizzazione e la distribuzione gli Allievi dell’I.P.S.S.E.O.A.“G. Ambrosini”. Saluti finali Read the full article
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In Emilia Romagna, a Modena, si scrive una nuova pagina della trapiantologia italiana e non solo
In Emilia Romagna, a Modena, si scrive una nuova pagina della trapiantologia italiana e non solo. Per la prima volta in Italia e tra i primi tre casi al mondo è stato eseguito un trapianto di fegato con tecnica robotica mini-invasiva. Dopo l'America, con la Washington University St. Louis, e il Portogallo, a Lisbona, l'esperienza di Modena si colloca dunque ai vertici internazionali: a ricevere il nuovo fegato un uomo di 66 anni, affetto da un tumore, dimesso dall'ospedale dopo quattro giorni dall'intervento e che ora sta bene. Questa mattina in Regione a Bologna in conferenza stampa sono stati illustrati i dettagli dell'intervento, avvenuto lo scorso 20 febbraio presso il reparto di Chirurgia Oncologica, Epatobiliopancreatica e Trapianti di Fegato del Policlinico diretto da Fabrizio Di Benedetto, professore ordinario dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, che lo ha eseguito con la sua équipe chirurgica. Presenti all'incontro, oltre allo stesso Di Benedetto, l'assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, il direttore generale dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, Claudio Vagnini, il rettore dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Carlo Adolfo Porro, e il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli. La tecnica utilizzata, spiegata da Di Benedetto, permette di eseguire l'epatectomia ad addome chiuso, garantendo la stessa sicurezza e il controllo vascolare; una volta completata la rimozione del fegato malato, si esegue una piccola incisione di 10 centimetri attorno all'ombelico per rimuoverlo e alloggiare il nuovo fegato donato. Una tecnica da cui è atteso il raggiungimento degli stessi standard di efficacia di quella tradizionale a cielo aperto, con un miglioramento della ripresa post-chirurgica e una diminuzione generale delle complicanze, dimostrata dalla chirurgia del fegato mini-invasiva, e una riduzione della degenza ospedaliera. Un'importante innovazione nella cura per i pazienti che hanno bisogno di un trapianto al fegato e un significativo traguardo per la comunità trapiantologica italiana. "Un risultato straordinario, che conferma l'eccellenza della rete trapiantologica e della sanità pubblica dell'Emilia-Romagna- sottolinea Donini-. Ancora una volta la nostra regione, grazie alle sue strutture e strumentazioni all'avanguardia e soprattutto grazie a professionisti di altissima competenza ed esperienza, si pone ai vertici nazionali e internazionali. Non possiamo che essere orgogliosi per il traguardo raggiunto, che apre nuove prospettive di intervento e cura per tanti malati, non solo dell'Emilia-Romagna. Grazie di cuore e complimenti al professor Di Benedetto, a tutta la sua équipe, al Policlinico di Modena e al Centro riferimento trapianti della regione, che coordina con ottimi risultati l'intera rete territoriale. Non è un caso che nel 2023 in Emilia-Romagna siano stati eseguiti complessivamente 585 trapianti, il numero più alto di sempre". "Il trapianto di fegato- spiega il professor Di Benedetto- è uno degli interventi più complessi della chirurgia addominale, poiché unisce una tecnica avanzata nel contesto della gravità clinica del paziente. Si tratta infatti spesso di pazienti affetti da malattie del fegato come la cirrosi, che ne condizionano la normale qualità di vita, con scompensi frequenti e ricoveri ospedalieri ripetuti, e a volte complicate da tumore del fegato. L'approccio mini-invasivo è maturato all'interno di un programma di attività chirurgica robotica oncologica decennale, con all'attivo oltre cinquecento interventi per patologia del fegato, vie biliari e pancreas. A differenza del trapianto di rene robotico- aggiunge il professore- per il quale esiste già un'esperienza validata a livello internazionale che dimostra un beneficio della tecnica mini-invasiva nei pazienti obesi, la pagina del trapianto di fegato mini-invasivo è ancora tutta da scrivere. Tuttavia, il consolidamento della tecnica e la sua diffusione permetteranno nel tempo di incrementarne la fattibilità e l'indicazione". "Desidero ringraziare- chiude Di Benedetto- il direttore generale dell'Azienda Ospedaliero- Universitaria di Modena, Claudio Vagnini, per il sostegno dimostrato negli anni ai progetti di innovazione in chirurgia, il magnifico rettore, Carlo Adolfo Porro, che ha promosso lo sviluppo della formazione universitaria dei giovani chirurghi, il professor Massimo Girardis, direttore dell'Anestesia e Rianimazione e tutto il gruppo anestesiologico che ha permesso l'evoluzione delle tecniche chirurgiche tramite una moderna assistenza anestesiologica. Infine, ringrazio l'équipe chirurgica con cui ho eseguito il trapianto, il professor Stefano Di Sandro e il dottor Paolo Magistri, tutta l'équipe dei medici, chirurghi ed infermieri che quotidianamente ha lavorato per realizzare questa grande innovazione e che ha permesso l'evoluzione del centro in questi anni". La Regione Emilia-Romagna ha sostenuto il sodalizio tra chirurgia dei trapianti e tecnologia robotica, finanziando i programmi dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena come il prelievo di fegato e rene da donatore vivente con tecnologia robotica e il trapianto di rene robotico. Questa importante innovazione si inserisce in un contesto di grande crescita della comunità trapiantologia regionale e italiana. Dati nazionali trapianti di fegato 2023 Secondo i dati del Centro Nazionale Trapianti, in Italia sono circa 950 i pazienti in attesa di ricevere un trapianto di fegato, con un tempo d'attesa medio di 4,6 mesi, variabile da 2 giorni in condizioni di urgenza clinica, fino a 1,7 anni. Nel 2023 sono stati eseguiti 1.696 trapianti di fegato adulto e pediatrico, di cui 39 da donatore vivente, confermando l'Italia come primo Paese europeo per questa tipologia di intervento davanti alla Spagna, che fino a qualche anno fa era leader in Europa per la donazione e il trapianto d'organo. Lo scorso anno il Centro Trapianti di Modena è stato il secondo centro italiano per numero di trapianti di fegato con 150 pazienti trapiantati, di cui nove da donatore vivente, dopo Torino Città della Salute.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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"Il 41° Congresso di Cardiologia, promuovere la salute del cuore attraverso la conoscenza, la cura e la prevenzione"
di Riccardo Rescio
Il Congresso di Cardiologia "Conoscere e Curare il Cuore" rappresenta un appuntamento imprescindibile per la comunità medica e cardiologica internazionale.
Questo importante evento, in programma dal 29 febbraio al 3 marzo 2024 nella prestigiosa location della Fortezza da Basso, celebra la sua 41ª edizione sotto l'egida del Centro per la Lotta contro l'Infarto Fondazione Onlus.
Da oltre quarant'anni, il Congresso si distingue come un faro di conoscenza nel panorama cardiologico, offrendo un'ampia panoramica sugli ultimi progressi nella diagnosi e trattamento delle malattie cardiovascolari.
Grazie alle ricerche in biologia molecolare, studi sperimentali, fisiopatologia, indagini epidemiologiche e studi clinici, gli esperti presenti potranno approfondire le tematiche più attuali e condividere le migliori pratiche per promuovere la salute del cuore.
Anche questa edizione, diviene catalizzatore di idee e innovazioni nel settore cardiologico, offrendo ai partecipanti l'opportunità unica di scambiare conoscenze, esperienze e scoperte scientifiche.
La prevenzione delle malattie cardiache riveste un ruolo centrale in questo contesto, poiché investire in stili di vita salutari, effettuare controlli regolari e sensibilizzare sull'importanza di ridurre i fattori di rischio come il fumo, l'obesità, il diabete e l'ipertensione rappresenta il fondamento per preservare la salute del cuore e ridurre l'impatto delle patologie cardiovascolari sulla popolazione mondiale.
Firenze 1° marzo 2024
Centro per la Lotta contro l'Infarto
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Per contribuire ai necessari lavori di restauro della Chiesa romana, venerdì 8 dicembre (festa dell’Immacolata Concezione), la Sala concerti della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, ospiterà, con inizio alle ore 17,00, un concerto di musica classica eseguito dal “Can Roig Ensemble di Barcellona” composto dai professori della scuola municipale di musica “Can Roig i Torres” Mario Bugliari (Viola), Maria Teresa Folqué (Chitarra), Carles Franco (Violino), Medeya Kalantàrava (Violino), Elisabetta Renzi (Violoncello) e Isabel Suoto (Flauto traverso). Il nome del gruppo “Can Roig Ensemble” proviene dall’edificio modernista in cui ha sede la scuola, ubicato nel centro storico di Santa Coloma de Gramenet municipio dell’area metropolitana di Barcellona, che, oltre all’ordinaria attività pedagogica, promuove progetti didattici di carattere sociale per dinamizzare l’ascolto e la pratica della musica nei diversi centri educativi del municipio. L’idea di organizzare dei concerti (ad ingresso gratuito) per sostenere mediante offerte i restauri della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, di cui è Rettore Mons. Marco Frisina e resi possibili dall’ospitalità della Comunità del Monastero delle Benedettine di Santa Cecilia in Urbe, di cui è Abbadessa Maria Giovanna Valenziano, è “nata” nel 2015. Anche ciò che verrà raccolto in occasione del concerto dell’8 dicembre è finalizzato ai restauri, ed in specifico ai restauri dei materiali lignei. L’edificio antichissimo, che sorge sui resti della domus romana dove visse Santa Cecilia, ha una stratificazione nei secoli, dal Paleocristiano al Romanico, dal Gotico al Liberty. Sempre minata dall’umidità, a causa della vicinanza del Tevere, la Basilica ed i suoi arredi hanno bisogno di continua sorveglianza e di continui interventi di restauro. Di qui la necessità di un aiuto concreto. La Basilica è patrimonio dello Stato Italiano, affidato alla cura delle Benedettine, da sempre vigili custodi delle memorie di arte e di fede. Anche nell’ottica di valorizzare tale patrimonio, il Monastero, negli anni, ha attivato tre scuole-laboratorio, aperte a tutti, senza limiti di età né requisiti di partenza. La scuola “Cantantibus Organis”, nata con l’intento di fare esperienza dell’ars celebrandi in ambito monastico, gode del Patrocinio dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma e dell’Aiscgre, Associazione Internazionale Studi Canto Gregoriano e si avvale della collaborazione dell’“Academia Latinitati Fovendae”. Il suo nome richiama Santa Cecilia, martire della prima comunità cristiana di Roma, di cui il Monastero conserva la memoria. Tra gli insegnanti: sr. Dolores Aguirre ccv, Luigi Pastoressa, Nico De Mico, Mons. Giuseppe Liberto. La scuola “Petali e Pennelli” per l’acquisizione delle tecniche dell’acquerello botanico. Insegnante Aurora Tazza. Il “Laboratorio per la conservazione, manutenzione e recupero dei beni - memoria delle attività del Monastero”. Insegnante Daniela Caporali Viggiani. Il programma del concerto sarà caratterizzato dalla varietà timbrica dei vari insiemi: undici valzer di Franz Schubert arrangiati per flauto e chitarra da Th. Pinschof e Jochen Schubert; il quartetto per flauto, chitarra, viola e violoncello scritto da Schubert nel 1814 sulla base del trio Notturno op.20 per flauto, viola e chitarra di Vaclav Thomas Matiegka virtuoso della chitarra e compositore di successo nei circoli amatoriali di musica di Vienna; il trio incompiuto in si minore D471 per violino, viola e violoncello di Franz Schubert, scritto negli anni 1816-17 quando ancora spensieratamente scriveva per le frequenti serate cameristiche celebrate in compagnia degli amici; il quintetto in re maggiore G448 di Luigi Boccherini per due violini, viola, violoncello e chitarra ricco di sonorità “spagnoleggianti” che l’ambiente di Madrid gli ispirava. Di fatto il compositore visse a Madrid dal 1768 fino alla morte nel 1804, prestando il suo servizio come compositore di corte all’Infante Luigi
fratello del re Carlo III di Borbone dedicandosi soprattutto alla produzione da camera con opere di tutti i generi, tra cui ben 125 quintetti. In occasione del concerto, la Reverenda Madre aprirà la Cripta della Basilica e, al termine della visita, si potrà verificare il progresso dei restauri dei materiali lignei del Monastero, eseguiti dal “Laboratorio per la conservazione, manutenzione e recupero dei beni - memoria delle attività del Monastero” con la guida della restauratrice Daniela Caporali Viggiani. Anche questa iniziativa è sostenuta dal Maestro Claudio Giuliani, dalla Coop. Sociale “Apriti Sesamo”, dall’Associazione “Ghibli” nella persona di Giulia Romano, e dall’Associazione “Palatinum”.
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La coscienza del luogo
appunti sul tragitto #3
Alberto Magnaghi è architetto, urbanista e Professore emerito di Pianificazione Territoriale presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, dove ha fondato il Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti, laboratorio di ricerca che raggruppa docenti, ricercatori, collaboratori, laureati, laureandi, dottori, dottorandi e studenti in forme mobili di discussione e di lavoro comune.[1] I suoi studi sul territorio lo hanno portato alla fondazione della Scuola Territorialista italiana, approccio contemporaneo alla pianificazione e al design urbani e regionali oggi condivisi dai cosiddetti Territorialisti, teorici e studiosi impegnati nella formulazione di nuovi modelli per affrontare il problema ecologico, che condividono una critica alla nozione tradizionale di sviluppo sostenibile e concentrano l’attenzione sulla necessità di un ritorno a una prospettiva locale. Nell’analisi storica dello sviluppo del concetto di territorio, alla ricerca delle cause e delle condizioni che hanno generato l’ odierna crisi ecologica, Magnaghi spiega come prima dell’avvento della modernità meccanizzata il territorio fosse individuabile come “l’ambiente dell’uomo”, un terzo elemento prodotto dalla co-presenza e co-evoluzione della natura insieme agli insediamenti umani.
Nel libro Il principio territoriale, il teorico analizza come la situazione di distacco degli abitanti dal proprio territorio caratteristica della modernità sia sintomo di una più generale trasformazione di questi in lavoratori, clienti e consumatori atomizzati, messa in atto e perpetuata negli anni dai sistemi socio-economici e tecno-finanziari globali.[2] La società capitalistica moderna, basata sull’avanzata tecnico-scientifica e fatta di reti globali e realtà dislocate ha strutturato una nuova concezione di territorio come sito inanimato, semplice spazio vuoto su cui adagiare i meccanismi della civiltà delle macchine. La civilizzazione moderna ha preteso di svilupparsi a prescindere dall’ambiente naturale, interrompendo il processo di co-evoluzione tra uomo e natura per instaurare una dinamica di dominio e controllo del primo sulla seconda.
Quello che è il risultato di un processo di stratificazione lungo tutta la storia, denso di saperi, conoscenze e memorie è stato quindi concettualmente svuotato e strumentalizzato ai fini produttivi. In questo modo, con l’abbandono del concetto di territorio come ambiente di cui l’uomo è parte, l’azione sulla natura è stata rivolta al dominio e al controllo e ha generato enormi danni per entrambe le parti coinvolte: l’ambiente e l’umanità. Constatato che il sistema in cui abbiamo investito e su cui pensavamo di poter fare affidamento non è sostenibile e ha inoltre fallito nella promessa di un miglioramento del lavoro e della vita per tutti, si rende evidente la necessità di nuove forme di progettazione e organizzazione, in grado di rimettere al centro i bisogni dell’ecosistema territorio ripartendo dai valori base della comunità. Risanare il rapporto tra abitanti e spazi abitati significa recuperare i saperi contestuali del vivere e riconoscere le identità dei luoghi, espresse nei loro paesaggi. In quest’ottica si rende necessaria anche una nuova narrazione degli stessi abitanti contemporanei che devono diventare costruttori dei patrimoni locali attraverso il recupero del rapporto con il territorio, in senso individuale e comunitario. Questo è possibile attraverso un cambio di prospettiva, per cui gli abitanti tornino ad avere cura del territorio e ad impegnarsi quotidianamente nel rapporto con esso, considerando il luogo come bene patrimoniale comune.
La struttura capitalistica della società e la conseguente disgregazione delle forme di solidarietà sociale e di classe hanno generato da tempo risposte oppositive, nella forma di mobilitazioni globali contro le azioni dannose e in favore di modalità più consapevoli di progresso. La globalizzazione ha fatto inevitabilmente riemergere la dimensione locale, in cui si attivano modalità di mutuo soccorso e la crescita di coscienza del luogo collettiva e individuale. Lo studioso riconosce l’esistenza in Italia di varie forme di organizzazione sociale basate sulla partecipazione, sulla valorizzazione attiva del patrimonio territoriale realizzata attraverso la collaborazione:
La produzione sociale del territorio e del paesaggio, attraverso la partecipazione collettiva alla produzione di un patrimonio vivente deve promuovere un processo che sappia sottrarre il patrimonio storico e paesaggistico alla sua funzione museale e mercantile verso una sua riappropriazione e qualificazione attiva come bene comune per l’elevazione della qualità della vita, dell’ambiente e dei paesaggi contemporanei.
A questo fine diventa fondamentale che gli abitanti dei territori riprendano consapevolezza di saperi, identità, culture accumulate nei tempi lunghi della storia e si ridefiniscano attraverso l’appropriazione di questa mole di conoscenze, costruendo una propria “coscienza del luogo”. Ed è a mio parere in questo snodo che si evidenzia la rilevanza del contributo che l’arte contemporanea può fornire all’interno di un più ampio progetto di riterritorializzazione. Attraverso le pratiche partecipative non convenzionali, le forme di residenza artistica context specific e le altre varie forme che la progettualità artistica assume oggi, si apre la possibilità di creare situazioni specifiche per gli abitanti dei singoli territori e costruire spazi di prossimità, in cui riattivare le relazioni e generare reti dal basso. Il ritorno al territorio si concretizza in un contro-esodo verso le zone marginali, rimaste escluse dai processi di agglomerazione urbana.
[1] http://www.lapei.it/
[2] Alberto Magnaghi, Il principio territoriale, Bollati Boringhieri, 2020
#arte contemporanea#pratiche territoriali#alberto magnaghi#villa d'ogna#territorio#coscienza del luogo#contemporaneo
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Armonie in Amicizia: Musica ed Emozioni al Day Hospital Onco-Ematologico di Alessandria
Il 14 novembre 2024, il Coro Unitre Alessandria si esibisce presso l’Ospedale Civile di Alessandria per regalare un momento di serenità a pazienti e famiglie.
Il 14 novembre 2024, il Coro Unitre Alessandria si esibisce presso l’Ospedale Civile di Alessandria per regalare un momento di serenità a pazienti e famiglie. Il Day Hospital Onco-Ematologico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Alessandria ospiterà, il 14 novembre 2024 alle ore 17, l’evento musicale “Armonie in Amicizia – Quattro passi tra musica ed emozioni”. Questo speciale concerto, che…
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Mario Giacomelli: Figure/Ground
da https://www.getty.edu (trad. G.Millozzi)
--- Nato in povertà, in gran parte autodidatta, Mario Giacomelli è diventato uno dei più importanti fotografi italiani. Dopo aver acquistato la sua prima macchina fotografica nel 1953, ha iniziato a creare ritratti "umanistici" di persone colte nei loro ambienti naturali e astrazioni drammatiche di paesaggi. Ha continuato a fotografare nella sua città natale, Senigallia sulla costa adriatica italiana, ma non solo, per quasi cinquant'anni. Rese in bianco e nero ad alto contrasto, le sue fotografie sono spesso grintose e crude, sempre intensamente personali.
Questa interessante mostra a Los Angeles (USA) presso il Centro della Fondazione Getty è dedicata alla memoria di Daniel Greenberg (1941-2021) ed è stata possibile grazie alla donazione da lui fatta insieme a Susan Steinhauser.
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Mario Giacomelli (1925-2000) è unanimemente considerato come uno dei più importanti fotografi italiani del XX secolo. Nato in povertà, ha vissuto tutta la sua vita a Senigallia, una città sulla costa adriatica italiana, nelle Marche. Dopo aver perso suo padre all'età di nove anni ed aver completato ad undici la scuola elementare, ha fatto l'apprendista tipografo e lo stampatore, iniziando da autodidatta a dipingere e a scrivere poesie. Con i soldi donati da un anziano dell’ospizio dove la madre lavorava, aprì una sua tipografia, attività che gli ha assicurato la stabilità finanziaria per tutta la vita. Il suo impegno con la fotografia è iniziato poco dopo, profuso la domenica, quando il negozio era chiuso.
Dopo aver acquistato la sua prima macchina fotografica nel 1953, Giacomelli ottenne rapidamente numerosi riconoscimenti per la cruda espressività delle sue immagini, che echeggiavano molte dei temi del cinema neorealista del dopoguerra e della letteratura esistenzialista, con i loro interessi sulle condizioni della vita quotidiana e della gente comune come pensiero, individuale ed affettivo. La sua preferenza per la pellicola con grana grossa e per la carta da stampa ad alto contrasto lo ha portato a creare composizioni audaci e geometriche con neri profondi e bianchi luminosi. Focalizzando più frequentemente la sua macchina fotografica sulle persone, i paesaggi e le marine delle Marche, Giacomelli ha trascorso diversi anni ad esplorare la sua personale idea fotografica, ampliandola e reinterpretandola, o riproponendo un'immagine realizzata per una serie per includerla in un'altra. Dando inoltre alle sue opere titoli derivati dalla poesia, trasformò soggetti familiari in meditazioni su temi esistenziali, il tempo, la memoria e sul senso dell'esistenza stessa.
LA FORMAZIONE DI GIACOMELLI
Da giovane Giacomelli prestò per un breve periodo servizio nell'esercito italiano durante la II Guerra Mondiale. La sua pratica fotografica mostra l'influenza di due approcci prevalenti nella fotografia europea del dopoguerra: l' "umanesimo", che è spesso associato al fotogiornalismo, e l'espressione artistica come mezzo per esplorare la psiche interiore, derivata dalla teoria della fotografia soggettiva avanzata dal tedesco Otto Steinert (1915-1978). In Italia, questi approcci hanno trovato le loro rispettive controparti nei circoli fotografici "La Gondola", fondato a Venezia nel 1948, e "La Bussola", nato a Milano nel 1947. Giacomelli, da fotografo autodidatta, ha scambiato idee e conoscenze con i membri di entrambi i club. Fu anche cofondatore del circolo "Misa", una sezione locale de "La Bussola" che prese il nome dal fiume che scorre a Senigallia.
Le persone ed i luoghi di Senigallia sono motivi ricorrenti nell'opera di Giacomelli. Oltre a rivelare il suo interesse per le diverse comunità della sua città natale - dalle fotografie di una famiglia rom ai bambini che si divertono sulla spiaggia - dimostrando la sua capacità di combinare impulsi umanistici ed espressivi. Giacomelli sin da giovane capì come la grana grossa, il movimento e l'alto contrasto potevano fare di più che fornire semplicemente una sensazione di astrazione in quanto accrescevano anche il potere emotivo delle immagini.
I PRIMI LAVORI (1956–60)
Mia madre 1956, stampato 1981, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Nel 1955 Giacomelli acquistò la fotocamera Kobell di seconda mano con obiettivo Voigtländer che avrebbe impiegato per il resto della sua carriera. In seguito la descrisse come qualcosa che era stato "rattolato", ossia tenuto insieme con del nastro adesivo e che perdeva sempre parti! Realizzata dai produttori milanesi Boniforti & Ballerio, la fotocamera utilizzava rullini 120 per produrre negativi 6 x 9 cm e dandogli la possibilità di usarla con obiettivi intercambiabili ed un flash sincronizzato. Per Giacomelli non era un dispositivo per registrare la realtà, ma un mezzo di espressione personale. La sua prima collaborazione con membri di club fotografici locali e nazionali e la sua sperimentazione con l'illuminazione naturale e artificiale, esposizioni multiple e altre tecniche con questa nuova macchina fotografica ed in camera oscura hanno presto portato a quella raffinatezza di un linguaggio visivo unico che lo contraddistingue.
Tra le prime fotografie di Giacomelli ci sono ritratti di familiari e amici: l'immagine di sua madre che tiene in mano una vanga è una delle sue più significative. Ha anche scattato fotografie di nature morte e studi di figura nella sua casa e nel giardino; i nudi esposti in mostra ritraggono il fotografo e sua moglie, Anna. Relativamente convenzionali nella composizione, queste opere illustrano come Giacomelli abbia imparato il suo mestiere, fornendo anche la misura in cui il suo soggetto è stato suggerito dalle persone e dai luoghi a lui più vicini.
OSPIZIO | VERRÀ’ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI (1954–83)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, n. 97 , 1966; stampato 1981, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
La prima opera che Giacomelli espose in serie fu Ospizio. Raffigura i residenti della casa per anziani di Senigallia, dove sua madre lavorava come lavandaia, che ha visitato per diversi anni prima di iniziare a fotografarvi. Realizzate con il flash, le immagini che ne risultano sono caratterizzate da uno studio inflessibile di individui che vivono i loro ultimi giorni. In seguito si riferirà a queste come le sue fotografie più vere e dirette perché riflettevano la sua stessa paura di invecchiare.
Giacomelli ha continuato questa serie per quasi tre decenni, ribattezzandola nel 1966 Verrà la morte e avrà i tuoi occhi come il titolo di una raccolta di poesie dello scrittore Cesare Pavese (1908-1950). Nel portfolio pubblicato nel 1981 ha intensificato le qualità inquietanti del declino e dell'isolamento mentale e fisico ingrandendo piccole porzioni dei suoi negativi e stampando su carta accartocciata anziché piatta.
"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, questa morte che ci accompagna dalla mattina alla sera, insonne".
—Tradotto da Geoffrey Brock, 2002
LOURDES (1957 e 1966)
Lourdes, 1957, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
In contrasto con Ospizio / Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, la serie Lourdes descrive persone che vivono con malattie, ferite o disabilità che sono alla ricerca di una guarigione miracolosa. Giacomelli ricevette l'incarico di fotografare in questo luogo di pellegrinaggio cattolico nel sud della Francia nel 1957. Fortemente addolorato da ciò che vide, usò solo pochi rullini, restituì la somma che gli era stata anticipata e per un po’ di tempo non mostrò a nessuno le immagini scattate. Si recò poi di nuovo a Lourdes nel 1966, con la moglie e il secondo figlio. Questa volta era alla ricerca di una cura, per il loro figlio, che aveva perso la capacità di parlare a seguito di un incidente.
Lourdes è l'unica serie realizzata da Giacomelli fuori dall'Italia, anche se gli è stato attribuito un gruppo di fotografie realizzate in Etiopia (1974) ed un altro in India (1976). Giacomelli acquistò macchine fotografiche e pellicole per due persone che stavano programmando un viaggio in questi paesi, ed entrambi hanno tratto spunti e suggerimenti da precedenti discussioni con lui quando fotografarono nelle rispettive località. Giacomelli in seguito fece delle stampe dai negativi e firmò il suo nome su alcuni di essi, riconoscendo così la sua collaborazione.
PUGLIA (1958)
Puglia , 1958; stampato 1960, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Giacomelli gestiva la sua tipografia, la Tipografia Marchigiana, nel centro di Senigallia. Un’attività di successo che divenne ben presto un luogo di ritrovo per fotografi, artisti e critici, il cui indirizzo stampato lo ritroviamo sul verso di tutte le sue fotografie. Nei suoi primi anni, l'attività occupava la maggior parte del tempo di Giacomelli, lasciandogli solo la domenica per le sue escursioni fotografiche. Così esplorava più spesso la vicina sua città, le sue spiagge e la campagna circostante nelle Marche, solo di tanto in tanto viaggiava anche più lontano.
Per questa serie, realizzata in Puglia, la provincia più a sud-est d'Italia (il “tacco dello stivale”), dovette fare un viaggio di circa 480 chilometri. Lì ha concentrato la sua attenzione sull'interazione di più generazioni di cittadini che si riuniscono tranquillamente sullo sfondo della tipica architettura semplice e imbiancata delle città collinari come Rodi Garganico, Peschici, Vico del Gargano e Monte Sant'Angelo. Queste immagini ci forniscono un'idea della capacità di Giacomelli di coinvolgere i suoi soggetti, sottolineando anche il fondamentale impulso umanistico nel suo lavoro.
SCANNO (1957-1959)
Scanno, n. 52 , 1957-1959; stampato 1981, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
A seguito della sua continua osservazione dei residenti dell'ospizio di Senigallia, le fotografie, che Giacomelli ha realizzato durante i viaggi a Scanno nel 1957 e nel 1959, dimostrano ulteriormente la sua capacità di descrivere le persone in un determinato tempo e luogo. In questo paese situato nell'Appennino dell'Italia centrale, a circa 430 chilometri a sud di Senigallia, Giacomelli incontrò uomini e donne che svolgevano le loro faccende quotidiane o si radunavano in piazza, drappeggiati in abiti o mantelli scuri, con il capo coperto di cappelli o sciarpe. Anche quando si radunano, i soggetti sembrano isolati o persi nei propri pensieri. Sia a fuoco nitido, che sfocato dal movimento, l'individuo, che accidentalmente guarda direttamente nella sua macchina fotografica, suggerisce un senso di mistero o furtività. Giacomelli ha usato, per fotografarli, una bassa velocità dell'otturatore e una ridotta profondità di campo.
GIOVANI SACERDOTI | NON HO MANI CHE MI ACCAREZZANO IL VOLTO (1961–63)
Giovani sacerdoti, n. 74, 1961–63; stampato 1981, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Tra le immagini più memorabili di Giacomelli ci sono quelle dei pretini (giovani sacerdoti) del seminario di Senigallia, che ha catturato mentre giocano nella neve o si rilassano nel cortile. Ancora una volta accoppiando le forme particolari di figure vestite di nero (questa volta, seminaristi in tonaca) su uno sfondo bianco (ambienti innevati o assolati), queste fotografie suggeriscono uno stato d'animo più spensierato di quanto non sia evidente in altre serie. Sebbene sembrino coreografie impostate, sono invece il risultato della sfrenata giovialità dei preti mentre corrono, lanciano palle di neve o giocano a girotondo, unite alla lungimiranza di Giacomelli di lasciare che le scene si svolgessero naturalmente, mentre le riprendeva dal tetto.
Dopo aver conquistato la fiducia dei seminaristi, Giacomelli iniziò ad interagire con loro, ma questa interazione si interruppe bruscamente quando propose ai giovani dei sigari in cambio di alcune fotografie che intendeva presentare a un concorso sul tema del fumo. Il rettore del seminario, scandalizzato dalla proposta, gli negò ulteriori accessi. Giacomelli in seguito diede a questa serie il titolo Non ho mani che mi accarezzano il volto, traendo le parole dai primi due versi di una poesia di padre David Maria Turoldo (1916-1992) dedicata ai giovani che abbracciano solitaria vita religiosa. Questo titolo conferisce intensità ai momenti di esuberanza e cameratismo che accompagnano le intense ore di studio in seminario.
I PRIMI PAESAGGI (1954–60)
Paesaggio: Fiamme sul campo , 1954; stampato 1980, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
La regione italiana delle Marche è caratterizzata da dolci colline, piccole fattorie e frazioni, tra i primi soggetti fotografati da Giacomelli. Come per i suoi ritratti e gli studi di figure di questo periodo, le composizioni dei suoi primi paesaggi sono abbastanza convenzionali, con elementi in primo piano al centro e sullo sfondo, altri organizzati attorno alla linea dell'orizzonte chiaramente distinguibile. Tuttavia, man mano che affinava la propria tecnica, Giacomelli si posizionava spesso in cima a una collina puntando la macchina fotografica verso il basso o alla base di essa puntandola verso l'alto, eliminando così l'orizzonte e creando un disorientante assieme di forme geometriche. Il suo particolare sviluppo del negativo, l'uso di carta da stampa ad alto contrasto e le manipolazioni in camera oscura hanno ulteriormente migliorato le qualità grafiche distintive delle sue immagini. Non era raro per lui incidere forme sui suoi negativi per aggiungere drammatici contrappunti.
Negli anni Giacomelli è tornato più volte in alcuni siti, documentandoli durante le diverse stagioni e rotazioni di colture. In seguito avrebbe incorporato fotografie realizzate per uno scopo in una serie che aveva altre ambizioni iniziali, in particolare quella di fungere da commento sulla capacità sia degli eventi naturali sia degli interventi umani di cambiare le caratteristiche della terra.
LA BUONA TERRA (1964-1966)
La buona terra, 1964-1966: stampato anni '70, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Per questa serie, Giacomelli ha seguito le vicende di una famiglia di contadini per diversi anni mentre conducevano la loro vita quotidiana nelle campagne intorno a Senigallia, seminando e raccogliendo colture e curando il bestiame. Una volta ottenuta la loro fiducia, ha iniziato a realizzare fotografie che sottolineassero la natura ciclica della loro esistenza, includendo sia l'intreccio di più generazioni sia l'intreccio di compiti e responsabilità quotidiane, con momenti di svago e riposo. La buona terra racconta una storia di resilienza, autosufficienza e continuità.
L'ultima di queste immagini è simboleggiata dal motivo ricorrente degli imponenti pagliai che fanno da sfondo al lavoro, al gioco e alla celebrazione del matrimonio di una giovane coppia.
Periodicamente Giacomelli chiedeva alla famiglia, con la quale intratteneva un'amicizia al di là di questo progetto, di utilizzare il proprio trattore per arare precise sagome nei campi incolti. Le immagini risultanti, che costituiscono la base della sua serie Consapevolezza della natura, affrontano la questione degli interventi dell'uomo sul paesaggio. Alcuni esempi sono in mostra parte finale del percorso.
METAMORFOSI DEL TERRITORIO (1958-1980)
Metamorfosi della terra, n. 5 , 1971; stampato 1981, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Le fotografie raccolte sotto il titolo Metamorfosi della Terra sono state realizzate nell'arco di circa due decenni nelle campagne senigalliesi. Senza una linea dell'orizzonte per ancorarli, sono disorientanti, richiedendo allo spettatore di fare affidamento su una casa o un albero solitario come punto focale. L'ambiguità prospettica abbonda: Giacomelli ha scattato le fotografie da un punto di vista elevato o abbassato? Ha tenuto la telecamera parallela o perpendicolare al terreno? Questa confusione è il risultato dell'intrinseca "verticalità" della regione collinare marchigiana, o Giacomelli si è affidato alla manipolazione in camera oscura (come la stampa su fogli di carta fotografica inclinati diagonalmente) per creare configurazioni ad angolo retto di forme che altrimenti dovrebbero retrocedere nella distanza ad un determinato punto, seguendo i principi della prospettiva?
Queste ambiguità sono ulteriormente intensificate dall'intenzione di Giacomelli di affrontare con questo lavoro le questioni di abbandono e perdita ecologica. Profondamente in sintonia con la geografia rurale e le pratiche agricole marchigiane, diffida delle conseguenze che hanno accompagnato il passaggio dai secolari sistemi di frazionamento e rotazione delle colture ai moderni metodi di meccanizzazione e concimazione che sovraccaricano il terreno mantenendolo in costante uso. La serie è quella del lamento.
CONSAPEVOLEZZA DELLA NATURA (1976-1980)
Consapevolezza della natura, n. 38 , 1977-1978; stampato 1981, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Le fotografie di questa serie sono tra le più iconiche di Giacomelli, notevoli per la loro astrazione grafica e grintosa, che ha ottenuto grazie ad una prospettiva aerea e utilizzando pellicole scadute per esasperare il contrasto tra bianco e nero. Trovando una poetica reciprocità nel ritrarre una terra in “triste devastazione” con una pellicola “morta”, Giacomelli ha percepito queste immagini come un mezzo per resuscitare la sua amata campagna marchigiana e dotarla di un diverso tipo di bellezza. I campi arati pulsano con un'intensità ritmica che è assente dalle immagini precedenti, in parte perché ha chiesto che alcuni di questi solchi fossero incisi appositamente nella terra (come già anticipato, dalla famiglia di contadini che ha descritto in La buona terra). Un timbro sul verso di ogni stampa descrive ulteriormente la serie come “l'opera dell'uomo e il mio intervento (i segni, la materia, la casualità, ecc.) registrati come documento prima di perdersi nelle relative pieghe del tempo”. Le immagini risuonano concettualmente con la Land Art o Earth Art, un movimento artistico attivo alla fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, in cui gli artisti usavano il paesaggio per creare sculture e forme d'arte site-specific. Come era sua abitudine, Giacomelli ha incorporato fotografie di serie precedenti, che potrebbero essere state fatte da una collina vicina o che non includevano i suoi interventi.
LAVORI SUCCESSIVI (anni '80)
Le mie Marche, anni '70-'80, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Giacomelli ha concepito molte delle sue serie come sequenze che raccontano storie di individui in un determinato tempo e luogo. Ha intervallato ritratti e paesaggi, ma ha anche unito questi generi in doppie esposizioni o sperimentando tempi di posa lunghi e muovendo la fotocamera durante l'esposizione per sfocare le linee tra la figura e lo sfondo. E ancora una volta, ha spesso riproposto un'immagine realizzata per una serie in un'altra serie, rafforzando il senso di fluidità che collega tutto il suo lavoro. Molte di queste sequenze sono state ispirate da poesie, non nel tentativo di illustrarle, ma per creare narrazioni parallele.
Sebbene le fotografie in questa sezione derivino da serie diverse, ne condividono il senso nell'impostazione, nella posizione o nell'atmosfera. Più facilmente classificabili come paesaggi, segnano un notevole passaggio dalla precedente posizione di Giacomelli di criticare il lento degrado della terra a quella che invece pone le basi per una contemplazione più metafisica dell'interconnessione tra spazio, tempo ed essere. La maggior parte è stata realizzata negli anni Ottanta, quando Giacomelli rifletteva sulla perdita della madre (morta nel 1986), sulla sua crescente reputazione internazionale come fotografo e sulla propria mortalità.
IL MARE DELLE MIE STORIE (1983-1987)
Il mare delle mie storie, 1983–87, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Giacomelli ha annotato che il mare a cui si fa riferimento nel titolo di questa serie era quello della sua infanzia, l'Adriatico, ma in realtà era anche il mare di tutta la sua vita. Ha realizzato le sue prime fotografie lungo la costa di Senigallia dopo aver acquistato una macchina fotografica nel 1953. Circa trent'anni dopo, la curiosità su come una prospettiva aerea potesse trasformare l'aspetto delle persone lo ha portato a ricorrere ad un amico che possedeva un aeroplano per farlo volare sopra le spiagge della regione. Le composizioni risultanti creano motivi astratti sulla sabbia, generati dalle forme e dalle ombre di bagnanti, di sedie a sdraio, d'ombrelloni e di barche.
VORREI RACCONTARE QUESTO RICORDO (2000)
Vorrei raccontare questo ricordo, 2000, Mario Giacomelli, stampa alla gelatina sali d'argento. Il J. Paul Getty Museum, dono di Daniel Greenberg e Susan Steinhauser. Riprodotto per gentile concessione di Mario Giacomelli Archive © Rita e Simone Giacomelli
Il titolo poetico di questa serie riflette lo stato d'animo sempre più pensieroso dell'ultimo lavoro di Giacomelli. Di tanto in tanto intravediamo il fotografo stesso mentre si occupa di uno strano assortimento di oggetti di scena, tra cui cani e uccelli di peluche, un manichino e una maschera. Il suo brusco ritaglio, la leggera sovraesposizione per invertire i valori tonali e la pittura o il graffio di aree sul negativo introducono elementi dell'assurdo o del surreale come mezzi per affrontare l'inevitabilità della propria mortalità. La serie, una delle sue ultime, è una meditazione sulla malinconia, la perdita e il passare inesorabiole del tempo.
RIFLESSIONI SU GIACOMELLI
Giacomelli muore nel novembre 2000 dopo una lunga malattia. Aveva continuato a lavorare su diverse serie fotografiche fino ai suoi ultimi giorni, con il commovente titolo Vorrei raccontare questo ricordo attestando fino alla fine il suo temperamento profondamente introspettivo. Dai suoi inizi poco promettenti come ragazzo povero e poco istruito, Giacomelli ha reindirizzato il corso della sua vita, mantenendo un'attività di stampa di successo che gli forniva sicurezza finanziaria e dedicandosi alle arti come personale mezzo di espressione. Sebbene fosse autodidatta in poesia, pittura e fotografia, è stato con quest'ultimo mezzo che ha creato un senso di continuità e fluidità per tutta la sua vita. Ha ottenuto riconoscimenti internazionali come uno dei fotografi più importanti d'Italia nonostante abbia realizzato la maggior parte delle sue fotografie nella sua città natale, Senigallia e nelle vicine Marche.
“Naturalmente [la fotografia] non può creare, né esprimere tutto ciò che vogliamo esprimere. Ma può essere una testimonianza del nostro passaggio sulla terra, come un quaderno…
...Per me ogni foto rappresenta un momento, come respirare. Chi può dire che il respiro di prima sia più importante di quello dopo? Sono continui e si susseguono finché tutto si ferma. Quante volte abbiamo respirato stanotte? Potresti dire che un respiro è più bello degli altri? Ma la loro somma costituisce un'esistenza”.
—Mario Giacomelli, 1987
LA COLLEZIONE GIACOMELLI
Tra il 2016 e il 2020, i collezionisti di Los Angeles Daniel Greenberg e Susan Steinhauser hanno donato 109 fotografie di Mario Giacomelli al J. Paul Getty Museum. La loro collezione copre ampie aree della produzione di Giacomelli, da alcune delle sue prime immagini a quelle realizzate negli ultimi anni della sua vita. Attingendo dalle loro donazioni, questa mostra è concepita non come una retrospettiva completa, ma come un'opportunità per considerare la visione dei collezionisti nell'assemblare questi fondi in un periodo di vent'anni, facendo comprendere quelle che percepivano come le preoccupazioni chiave della pratica di Giacomelli: la gente e il paesaggio, così come la gente nel paesaggio – il rapporto “figure/ground” del sottotitolo della mostra.
Il Getty Museum è riconoscente anche all'Archivio Mario Giacomelli, con sede a Senigallia, Sassoferrato e Latina, per l'assistenza nella conferma di titoli e date. Nel corso della sua carriera Giacomelli è tornato alle singole immagini, ripensandole e rielaborandole per serie successive, complicando spesso il compito di assegnare titoli o date definitivi. Grazie anche a Stephan Brigidi dei Bristol Workshops in Photography per aver fornito informazioni sui portfolio dell'artista del 1981, La gente e Paesaggio. Le stampe dei portfolio sono dislocate nei quattro percorsi della mostra e presentate in cornici più leggere ed in misura più grande.
---Tutte le immagini in mostra: link
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Mario Giacomelli: Figure / ground
29 giugno-10 ottobre 2021
Getty Center
1200 Getty Center Drive, Los Angeles, CA 90049 ' +13104407300
Orario: 10.00 – 17.00, chiuso il lunedì
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Pesaro: giovedì 29 febbraio giornata clou delle Settimane Rossiniane, apertura gratuita per l'intera giornata di Casa Rossini e del Museo Nazionale Rossini
Pesaro: giovedì 29 febbraio giornata clou delle Settimane Rossiniane, apertura gratuita per l'intera giornata di Casa Rossini e del Museo Nazionale Rossini. E proprio per questa giornata speciale, Casa Rossini e il Museo Nazionale Rossini offrono un'apertura gratuita per l'intera giornata. La casa natale del compositore si visita dalle 10 alle 13 e dalle 15.30 alle 18.30; un omaggio attende i visitatori e per i più piccoli sarà allestito un piccolo angolo laboratoriale (info 0721 387357). Il Museo di Palazzo Montani Antaldi apre le sue porte al pubblico dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 (info 0721 1922156). Sempre il Museo Nazionale Rossini - più precisamente la suggestiva Sala degli Specchi - alle 11 accoglie la conferenza stampa di presentazione dell'attività editoriale della Fondazione Rossini: edizione critica dell'opera Eduardo e Cristina a cura di Andrea Malnati e Alice Tavilla (opera andata in scena in prima moderna mondiale al ROF 2023), "Bollettino del Centro rossiniano di studi" edizione LXII, collana "Tesi Rossiniane" volume a cura di Paolo De Matteis TEMPI DI MEZZO la drammatizzazione dell'aria nell'opera seria (1770-1813). Per l'occasione verranno donati alla Fondazione dal professore Giovanni Cascio Pratilli un autografo musicale e una lettera di Gioachino Rossini. Info: 0721 33818 – 30053. Alle 21 al Teatro Rossini la Messa di Gloria di Rossini, il concerto promosso dal Conservatorio Rossini e dal Rossini Opera Festival in collaborazione con AMAT. L'esecuzione è affidata all'Orchestra e al Coro del Conservatorio Rossini, diretti da Luca Ferrara, maestro del coro Riccardo Lorenzetti; le voci soliste del ROF saranno Maria Laura Iacobellis (soprano), Andrea Niño (contralto), Pietro Adaíni (tenore), Antonio Mandrillo (tenore), Alberto Comes (basso). Formata solo da Kyrie e Gloria, la Messa fu composta da Rossini per la "Real Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori", più comunemente nota come l'Arciconfraternita di San Luigi di Napoli. Eseguita per la prima volta il 24 marzo 1820 nella chiesa di San Ferdinando della città partenopea, venne accolta con tale entusiasmo da suscitare lunghi applausi all'interno del luogo sacro e l'attribuzione a Rossini della qualifica di compositore dotto, grave, sublime. Unica composizione sacra di rilievo cui Rossini si dedicò nel periodo di attività operistica, nonostante la destinazione (la solenne celebrazione della festa dei Dolori della Vergine), non manca di citazioni di temi operistici. La Messa di Gloria è rimasta sconosciuta per più di un secolo fino a quando, a partire dalla metà degli anni Sessanta, il ritrovamento di numerosi fonti diede la possibilità a Philip Gossett di ricostruirne la genesi e, successivamente, insieme a Giovanni Acciai di approntarne l'edizione critica per la Fondazione Rossini. Biglietti (posto unico € 10) acquistabili online su vivaticket.it e presso la biglietteria del Teatro Rossini (mercoledì-sabato 17-19.30; il giorno del concerto dalle ore 17). Info: www.conservatoriorossini.it. La giornata del Compleanno di Rossini si arricchisce anche di un'inaugurazione speciale aperta alla comunità: quella dell'Auditorium Scavolini (alle 18) che restituisce alla città uno dei luoghi più strategici per lo spettacolo dal vivo e che tornerà ad essere una delle sedi del Rossini Opera Festival in un'edizione straordinaria per Pesaro 2024.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Come posso contattare le biblioteche bergamasche che non fanno parte della RBBG?
Nella provincia di Bergamo ci sono molte biblioteche non collegate alla Rete bibliotecaria bergamasca con cataloghi ricchi e utili.
Sistema bibliotecario urbano [Bergamo CITTÀ] Il Sistema Urbano di Bergamo è costituito dalle otto biblioteche di pubblica lettura della città di Bergamo e dal centro di catalogazione.
CATALOGO BIBLIOTECHE CITTA' DI BERGAMO
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ALTRE BIBLIOTECHE IN CITTA’
Biblioteca dell'Accademia Carrara via San Tomaso, 53 - 24121 Bergamo - Tel. 035/270272 - [email protected]
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Biblioteca Musicale "Gaetano Donizetti" via Arena, 9 - 24129 Bergamo - Tel 035233781 - [email protected]
Biblioteca del Museo Archeologico piazza Cittadella, 9 - 24129 Bergamo - Tel. 035242839
Biblioteca del Museo storico di Bergamo Piazza Mercato del Fieno, 6/a - 24129 Bergamo - tel.035247116 - [email protected]
Biblioteca Fondazione "Serughetti-La Porta" viale Papa Giovanni XXIII, scala d - 24121 Bergamo - tel 035-219230 - [email protected]
Biblioteca Centro Servizi Bottega del Volontariato della provincia di Bergamo via Longuelo, 83 - 24129 Bergamo Tel. 035/234723 - [email protected]
Biblioteca dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” Via Stezzano, 87 - 24126 Bergamo - Tel: 035-4213318
Biblioteca dell'Archivio di Stato di Bergamo via Fratelli Bronzetti, 24-26-30 - 24124 Bergamo - tel. 035/233131- [email protected]
Biblioteca della Fondazione "Adriano Bernareggi" via Pignolo, 76 - 24121 Bergamo - tel. 035-248772 - [email protected]
Biblioteca "Di Vittorio" - CGIL Via Garibaldi, 3/E - 24122 Bergamo - Tel. 035-3594350 - [email protected]
Biblioteca del Clero di S. Alessandro in Colonna presso Biblioteca Mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi - Istituto diocesano Preti del S. Cuore via Garibaldi, 10 - 24122 Bergamo - tel. 035/270657 - [email protected]
Biblioteca "Girolamo Zanchi" del Centro culturale protestante Bergamo via T. Tasso, 55 - 24121 Bergamo - tel. 340 16 95 685 - [email protected]
Biblioteca dell'Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea (ISREC) via T. Tasso, 4 - 24121 Bergamo - tel. 035-238849 - [email protected]
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Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII - Centro Documentazione scientifica Piazza OMS 1 -Piano: 0 - Civico: 55 - Torre 7 - 24127 Bergamo - Tel. 035.267.3701- [email protected]
Camera di Commercio Largo Belotti, 16 - 24121 Bergamo - Tel. 035.422.5243 - [email protected]
Celim Bergamo, Organizzazione del Volontariato Internazionale Cristiano - Centro Documentazione via Conventino, 8 - 24125 Bergamo - [email protected]
Fondazione Alasca Lab80 Archivi dell’audiovisivo via Pignolo, 123 - 24121 Bergamo - Tel. 035 344246 - [email protected]
Centro Studi, Osservatorio Politiche Sociali - CSD Via Fratelli Calvi 10, Palazzina B - 24122 Bergamo - Tel.035387656 - [email protected]
CISL - Biblioteca "Giuliano Zonca" via Giovanni Carnovali, 88/A - 24126 Bergamo - Tel. 035.324.759 - [email protected]
Biblioteca Seminario Vescovile "Giovanni XXIII" via Arena, 11 - 24129 Bergamo - Tel. 035.286.221/252 - [email protected]
Unione Italiana Ciechi - Biblioteca non vedenti via Torquato Tasso, 4 - 24121 Bergamo - Tel. 035.399.980 - [email protected]
Servizi bibliotecari dell'Università di Bergamo Le tre biblioteche dell'Università di Bergamo sono i punti di servizio del sistema bibliotecario di Ateneo che contempla una biblioteca umanistica, la biblioteca di Economia e Giurisprudenza e la biblioteca di Ingegneria.
Mediateca provinciale Via Angelo Goisis 96/B - 24124 Bergamo - Tel. 035 320828 - [email protected]
Brembate di Sopra Fondazione Famiglia Legler Via Legler 14 -24030 - tel 035 4371563
Camerata Cornello Biblioteca del Museo dei Tasso e della storia postale via Cornello, 22 - 24010 Camerata Cornello Tel. 0345 43479 [email protected]
Dalmine Biblioteca della Fondazione Dalmine piazza Caduti del 6 luglio 1944, 1 - 24044 Dalmine - Tel. 035 5603418 - [email protected]
Museo del Presepio Via XXV Aprile, 179 - tel 035 563383
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Beni Culturali Diocesi di Bergamo La storia e la cultura bergamasca attraverso gli oggetti prodotti nel corso dei secoli dalle comunità cristiane del territorio. L'archivio contiene i beni culturali mobili ecclesiastici di tutto il territorio della Diocesi di Bergamo ed è costituito da oltre 270.000 schede e circa 280.000 immagini digitali.
Sistema bibliotecario della Regione Lombardia Il Polo regionale lombardo vede la partecipazione di 82 biblioteche di varia titolarità e 3 sistemi bibliotecari urbani con oltre 500 postazioni di lavoro collegate e numerose postazioni a disposizione del pubblico. L’OPAC del Polo regionale lombardo SBN comprende materiale antico, moderno e musica, e, in misura per ora ancora limitata, collegamenti a risorse digitali.
Biblioteca Digitale della Lombardia La sezione consente l'accesso a un primo nucleo di documenti inerenti territorio, storia e arte della Lombardia. I documenti disponibili appartengono al patrimonio librario di cinque istituzioni: Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, Biblioteca Civica Centrale di Monza, Biblioteca Civica Ricottiana di Voghera, Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda e Ufficio Biblioteche della Provincia di Brescia.
Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale Il Catalogo SBN è la rete delle biblioteche italiane promossa dal MiBACT (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), dalle Regioni e dalle Università, e coordinata dall'ICCU. Vi aderiscono attualmente biblioteche statali, di enti locali, universitarie, di istituzioni pubbliche e private, operanti in diversi settori disciplinari (oltre 5.600 a giugno 2015). Le biblioteche che partecipano a SBN sono raggruppate in Poli locali.
Catalogo dei periodici italiani Il sito del Catalogo Italiano dei Periodici ACNP è un progetto che ha avuto origine negli anni '70 su iniziativa dell’ISRDS-CNR per realizzare un Archivio Collettivo Nazionale dei Periodici (da qui la sigla ACNP). Dal 1988 il Centro Inter-Bibliotecario (dal 2011 Area Sistemi Dipartimentali e Documentali) dell'Università di Bologna cura, in collaborazione con il CNR, le procedure gestionali on-line e l'OPAC del catalogo.
Catalogo Libro Parlato Lions Il sito del "Libro parlato Lions" è un servizio totalmente gratuito che - da oltre trent'anni - mette a disposizione di tutti i suoi utenti la propria "AUDIOBIBLIOTECA" interamente costituita da libri registrati da "viva voce"; un "service" della grande tradizione dei Lions, i "cavalieri della luce per i non vedenti", come li ha denominati la cieca Helen Keller alla Convention Internazionale dell'Associazione Lions del 1925. Possono essere utenti tutti coloro che non possono leggere autonomamente: ciechi, ipovedenti, persone anziane con difficoltà di lettura, disabili fisici e psichici, pazienti ospedalizzati, dislessici.
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Comunicato stampa del 13/09/2020
IN PROVINCIA DI ENNA RINASCE LA FIAMMA TRICOLORE
La Comunità militante di Barrafranca, che nei mesi scorsi ha dato vita al Centro Studi “Praesidium”, attivo sul territorio con varie azioni di denuncia sui molti disservizi comunali, sulla difesa e cura del verde pubblico, diffusione di locandine in ricordo del giudice Paolo Borsellino e altre iniziative, unitamente ai rappresentanti di Leonforte, Aidone, Calascibetta, Villarosa, (presto altri con cui siamo in contatto si aggiungeranno), annuncia l’adesione al Movimento Sociale – Fiamma Tricolore, già concordata con il segretario regionale Mario Settineri e con il segretario nazionale Attilio Carelli. Per molti di noi che hanno militato e provengono dalla storia gloriosa del Movimento Sociale Italiano e dalla Fiamma Tricolore fondata da Pino Rauti dopo il tradimento e l’abiura di Fiuggi, si tratta di un ritorno nella nostra casa politica di sempre. Tempo addietro fummo costretti a compiere altre scelte, sempre comunque in linea con i nostri ideali, per contrasti politici con l’allora segretario Luca Romagnoli, poi finito in Fratelli d’Italia. Per fortuna, la classe dirigente della Fiamma ha saputo mantenere salde le radici difendendo la propria identità di unico soggetto politico legittimato come erede del Movimento Sociale Italiano di Almirante e Rauti e un progetto autenticamente alternativo basato sul trinomio Identità-Sovranità-Socialità.Da oggi anche in provincia di Enna rinasce la Fiamma Tricolore: Avamposto di libertà contro la dittatura del pensiero unico e del politicamente corretto; Presidio di difesa della nostra cultura e identità nazionale; Alternativa sociale e nazionalpopolare per la rinascita della Patria.Nelle prossime settimane comunicheremo la data per l’inaugurazione della sede provinciale alla presenza dei massimi dirigenti del Movimento.
Centro Studi Praesidium – Ufficio stampa
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COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/come-promuovere-la-diffusione-della-lettura-in-eta-prescolare-partecipato-lincontro-al-mazzini-di-locri/
COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri
COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri
COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri Lente Locale
(foto e video di Enzo Lacopo)
di Francesca Cusumano
LOCRI – “Dall’esperienza di Nati per leggere alla legge regionale n. 35/2019 – Norme per la promozione e la diffusione della lettura in età prescolare”: è stato il tema portante dell’iniziativa di questo pomeriggio, scaturita da un’idea di Francesco Mammì, già direttore dell’unità operativa di Pediatria di Locri, tenutasi nella sala convegni del liceo delle Scienze Umane e Linguistico G. Mazzini, alla quale hanno preso parte docenti, esperti del settore e istituzioni.
“Nati per leggere” che quest’anno compie vent’anni, è un progetto che punta proprio alla diffusione capillare della lettura tra i bambini nella fascia di età compresa tra i 0 a 6 anni e a livello nazionale, è promosso dall’Associazione Culturale Pediatri, dall’Associazione Italiana Biblioteche e dal Centro per la Salute del Bambino. Proprio dalla lettura, si crea tra genitore e bambino una sinergia che costituisce un’esperienza fondamentale per lo sviluppo cognitivo dei più piccoli e per lo sviluppo delle capacità dei genitori di crescere con i loro figli. Studi scientifici hanno dimostrato infatti, che i primi anni di vita sono necessari per la salute e lo sviluppo intellettivo, linguistico, emotivo e relazionale del bambino, con effetti significativi per l’intero corso della sua vita.
Al progetto di “Nati per leggere” si è aggiunto recentemente, il provvedimento legislativo n. 35/2019 che disciplina le norme per la promozione e la diffusione della lettura in età prescolare e di cui primo firmatario, è stato il vicepresidente del Consiglio regionale, Nicola Irto. Si tratta di una legge che intende promuovere e valorizzare il diritto di accesso al libro, rimuovendo gli ostacoli che di fatto, limitano, l’effettivo esercizio della lettura in età prescolare nel territorio regionale.
Ad introdurre l’argomento, descrivendo il connubio venutosi a creare tra il progetto “Nati per leggere” e la legge regionale n.35/2019, è stato Francesco Mammì. «Come pediatri – ha esordito Mammì – ci siamo impegnati per questa progettualità. La legge regionale approvata recentemente, rappresenta un valido strumento per la Calabria. La nostra regione è stata la prima ad aver legiferato sulla fascia di età 0/6 anni, quella che viene considerata la fascia più idonea, atta a favorire l’amore per la lettura. La crescita del bambino in termini di sviluppo cognitivo, relazionale e sociale, è notevolmente avvantaggiata dalle pratiche della lettura applicate dai componenti della famiglia. Ciò può incidere sul cambiamento della storia di un bambino».
Sulle buone pratiche da trasmettere per il corretto sviluppo del bambino, Mammì, ha ricordato in primis, quando nel 2003 fu attivata all’interno del reparto di Pediatria del presidio ospedaliero di Locri, una biblioteca ben attrezzata (e “Nati per leggere” muoveva i suoi primi passi) a tutela del benessere del bambino «Credo – ha aggiunto – che i genitori debbano fare riferimento a questo progetto, una strategia per avvicinare i bambini alla lettura che non può essere imposta, bisogna amarla. Recentemente secondo un’indagine Ocse-Pisa preoccupano i dati allarmanti riscontrati, con una bassa tendenza alla lettura, registrata nella nostra Regione. Se si parte dai primi anni di vita del bambino, questa tendenza può essere invertita».
Domenico Capomolla, referente regionale dell’Associazione Culturale Pediatri- Nati per leggere, ha presentato le finalità, i principi portanti e le modalità attuative e organizzative del progetto. «In Nati per leggere – ha spiegato – tutta la comunità (ad esempio, politica, amministratori, scuole, famiglie, biblioteche), si prende cura dell’educazione dei bambini». Anche Capomolla, si è soffermato sulla cosiddetta “povertà educativa” e di come la recente legge elettorale, possa essere un espediente per contrastarla. Secondo la media del rapporto Istat SDGs 2019, alle scuole medie 3 ragazzi su 20 non raggiungono la sufficienza nelle competenze alfabetiche (comprensione del testo scritto e parlato) e 4 ragazzi su 10 in matematica. La percentuale aumenta fra gli adolescenti di famiglie con basso livello socio economico e culturale. «La legge n. 35/2019- ha sostenuto Capomolla – va inquadrata nella lotta alla povertà educativa, è arrivato il momento di combatterla. Il ruolo dei genitori è capillare per poter sostenere le funzioni cerebrali del bambino, soprattutto nei primi sei anni di vita. La gestione delle emozioni è fondamentale nella relazione tra genitore bambino».
Per il segretario regionale Federazione Italiana Medici Pediatri – Calabria, Antonio Gurnari, uno degli otto indicatori di salute del bambino è rappresentato dalla lettura in età precoce. Spesso però, i moderni mezzi di comunicazione, incidono negativamente non solo sullo sviluppo cognitivo del bambino (allontanandolo dal piacere della lettura), ma anche su quello fisico, creando le condizioni di sovrappeso e obesità infantile, intercettati nei primi anni di vita.
A seguire, è stata la volta della docente del Mazzini, Daniela Callea, che ha illustrato il progetto di Nati per leggere di Bova Marina “Meletàme Ismia” che ha ottenuto diversi mesi fa, nella categoria Progetti Esordienti, il Premio Nazionale Nati per Leggere, giunto alla decima edizione. Il progetto, promosso dall’oratorio salesiano e dal Comune di Bova Marina, si avvale di una rete territoriale che coinvolge volontari NpL, pediatri, educatrici, associazioni del territorio con l’obiettivo di «Consolidare – ha spiegato la docente – l’esperienza della lettura #abassavoce, riproducendola nella pratica quotidiana in famiglia”.
Le conclusioni sono state affidate al presidente del Consiglio regionale Nicola Irto. «La norma – ha commentato – vuole esaltare e dare priorità all’età prescolare (0/6anni), consentendo alle amministrazioni comunali, alle biblioteche e al sistema bibliotecario regionale, di prevedere una postazione per la lettura in età prescolare. Serve raccontare ai privati l’importanza di questo investimento sulle giovani generazioni, i cui risultati chiaramente non si otterranno dopo un anno. Siamo la prima regione in Italia ad aver legiferato in questo senso, ad aver accolto in maniera positiva quell’esperienza straordinaria che risponde al nome di “Nati per leggere”. Questa norma può essere – ha aggiunto Irto – la migliore risposta ai dati drammatici alla povertà educativa, una misura utile per sanare questo fenomeno».
SEGUIRANNO INTERVISTE A FRANCESCO MAMMI’, DOMENICO CAPOMOLLA, NICOLA IRTO E WALTER CORDOPATRI
COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri Lente Locale
COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri Lente Locale
(foto e video di Enzo Lacopo) di Francesca Cusumano LOCRI – “Dall’esperienza di Nati per leggere alla legge regionale n. 35/2019 – Norme per la promozione e la diffusione della lettura in età prescolare”: è stato il tema portante dell’iniziativa di questo pomeriggio, scaturita da un’idea di Francesco Mammì, già direttore dell’unità operativa di Pediatria […]
COME PROMUOVERE LA DIFFUSIONE DELLA LETTURA IN ETA’ PRESCOLARE Partecipato l’incontro al Mazzini di Locri Lente Locale
Francesca Cusumano
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Esistono due tipi di contenuto a sfondo razzista nelle curve del tifo organizzato. Una forma larvata di micronazionalismo, anzi una sorta di localismo aggressivo, si manifesta un po’ ovunque, negli stadi calcio, per effetto della vocazione territorialista che si annida in ogni tifoseria. Questa attitudine è riflesso di una componente originaria. Non ci sarebbero stati ultrà, senza appartenenza ai luoghi, alle città, agli spazi eletti a presidio di tali aggregati giovanili. È una vocazione che può sfociare in comportamenti e messaggi apertamente xenofobi, ma non è detto che ciò debba avvenire sempre. Al contrario, in molti stadi italiani come in altri contesti europei, dove per diverse ragioni il bagaglio simbolico delle singole tifoserie si è orientato verso l’antirazzismo militante e la componente identitaria ha interiorizzato tale scelta di campo, la rivendicazione dell’odio razziale è stata bandita. Esiste però un altro tipo di razzismo negli stadi. Ed è quello veicolato da militanti e organizzazioni di estrema destra, molto abili nel portare all’esasperazione una tendenza di per sé costitutiva di ogni aggregato ultrà: l’individuazione del nemico. Queste organizzazioni incontrano condizioni favorevoli. La maggior parte dei frequentatori di una gradinata presenta infatti un carattere verginale nella padronanza del lessico politico; soprattutto nei primi anni assorbe parole d’ordine e miti basati sulla semplicità del messaggio. D’altronde i gruppi della destra radicale autonoma trovano terreno favorevole non solo nella predisposizione delle curve a “farsi patria”, ma anche nel sistema poliziesco strutturatosi intorno al panorama del tifo organizzato negli ultimi decenni, che ha sterilizzato la componente solidaristica presente in diversi contesti curvaioli, accentuandone le pratiche paramilitari. A deviare l’immaginario verso la causa xenofoba contribuiscono i media mainstream che per semplificazione comunicativa, e spesso per esigenze di bottega, comprimono le categorie simboliche del razzismo e dell’ultrà, le appiattiscono rendendole omogenee e complementari. C’era una volta Verona “La cultura della nostra terra contro l’idiozia delle vostre menti. Verona prima solo nell’eroina”. Il compianto ultrà Ettore Covello andava orgoglioso di questo striscione esposto a suo tempo in un Cosenza-Verona in risposta alle provocazioni neonazi degli ultrà scaligeri nella gara di andata. Nella sua tesi di laurea specialistica mai discussa, perché la morte prematura ne ha troncato sogni e prospettive, Covello individua il sostrato xenofobo nei rituali del pallone e rileva il carattere multidirezionale della discriminazione razziale dentro e intorno al football: “È spesso motivo di comportamenti violenti all’interno di una medesima tifoseria, infatti vi sono casi di insulti razzisti tra gli stessi tifosi di una squadra. Sono diverse le testimonianze di tifosi neri e meticci che dichiarano di essere stati insultati sugli spalti da altri tifosi, e ciò fa sì che la loro presenza sugli spalti sia molto limitata”. Questa casistica di eventi perlopiù spontanei, in qualche modo connaturati al gioco del calcio sin dalle sue origini, è testimoniata da un’ampia letteratura. In “Compagni di stadio” Solange Cavalcante ricorda le pesanti restrizioni per il tesseramento dei giocatori neri che in Brasile e altrove furono attuate per tutta la prima metà del ‘900: “Più tardi – un più tardi che si fece attendere fino agli anni Cinquanta – dirigenti e leghe dovettero cominciare ad aprire le porte dei club ai neri, non potendoli più lasciare fuori a guardare. Nonostante ciò, per ora la porta aperta dei club sarebbe stata solo quella secondaria, quella della servitù. Accettarono i giocatori neri e meticci, ma a patto che non accedessero ai club per gli stessi percorsi dei bianchi, che usassero retine e si stirassero i capelli, schiarendosi la pelle del volto con la polvere di riso”. Dal canto suo, Ettore Covello evidenzia quanto sia labile il confine tra spontaneità e propaganda studiata a tavolino. A partire dagli anni novanta, numerose sono state le iniziative di chiara finalità politica, che i gruppi egemoni di alcune delle principali curve italiane hanno prodotto per innestare un razzismo consapevole e schierato nella messaggistica differenzialista che nei linguaggi del calcio non è mai mancata, a tutti i livelli, persino istituzionali, nel passato recente come in quello remoto. Si pensi solo alle infelici esternazioni omofobe e antisemite del presidente della FIGC, Carlo Tavecchio. “Nel 1983/84 a Verona si sentirono i primi “Buuh” razzisti nei confronti di Cerezo, – scrive Covello – e nel 1996 si tentò di comprare un giocatore di colore, l’olandese dalla pelle scura Ferrer, ma dalla curva, in occasione del derby con il Chievo, appesero un fantoccio tinto di nero con una corda al collo e addosso la scritta “Negro go away”; dietro, un paio di ultrà gialloblu, indossarono il cappuccio del Ku-Klux-Klan. Inoltre esposero uno striscione in dialetto veronese che recitava: “Il negro ve l’hanno regalato, dategli lo stadio da pulire”, e sui muri della città avevano scritto “Meglio in C che un giocatore negro”. Verona diviene così, sin dagli anni novanta, laboratorio di un neonazismo futbolisticoriproducibile, alla portata del supporter spontaneo e sprovveduto, non assimilabile al militante dell’estrema destra. Il razzismo attecchisce nell’iconografia della tifoseria gialloblu, entra a far parte del suo codice costituente, assume la portata di tratto peculiare della volontà di insubordinazione che permea una comunità ultrà e la distingue dal restante contesto della tifoseria d’appartenenza. Dick Hebdige, fondamentale studioso degli stili di vita giovanili conflittuali e delle pratiche di insorgenza spontanee non riconducibili alle forme della politica militante, spiega che “la risposta sottoculturale non è semplice affermazione né rifiuto, né sfruttamento commerciale e neppure ribellione sincera. Non è semplice resistenza a un ordine esteriore né esplicito conformismo alla cultura familiare. È, sia una dichiarazione di indipendenza, di alterità, di intenzione estranea che un rifiuto dell’anonimato, della condizione subordinata. È un’insubordinazione. Allo stesso tempo è anche una conferma della condizione di sottomissione, una dichiarazione di impotenza”. Nei suoi studi, Hebdige sottolinea la tendenza innata delle sottoculture ad assorbire i feticci della società dei consumi, plasmandoli e riadattandoli in una sorta di bricolage semiologico. Ma – per dirla con Roland Barthes – emerge anche la loro ineluttabile propensione a lasciarsi assorbire e mitizzare, a farsi comprare per essere rivendute. Significative le celebrazioni per i 40 anni del punk, che in questi giorni attraversano le accademie e le istituzioni museali deputate al consenso. Dunque nella saldatura tra insubordinazione e xenofobia è custodita la risposta alla domanda: Come prolifera il razzismo negli stadi? In un contesto come il recinto del calcio sociale, imperniato sull’istinto, sui messaggi a bassa frequenza o comunque su un’autoimposta limitazione della capacità critica, quando non trova una corrente culturale avversa che si affermi in modo conflittuale, pratichi l’uso della forza e imponga un autocontrollo nel campo della simbologia politica, la discriminazione razziale e quella di genere attecchiscono con maggiore facilità. Il luogo comune che attribuisce solo alla cultura di destra l’attitudine alla violenza e al comunitarismo, assimila l’identità ultrà al neofascismo, trascurando quanto tali componenti siano presenti anche nei movimenti sociali della sinistra antagonista. Che alla violenza non attribuiscono un primato, ma si riservano di esercitarla. Narciso ultrà Nel mito di Narciso il protagonista si innamora della propria immagine specchiata nell’acqua, al punto da caderci dentro e morire annegato. È un formidabile esempio di oggettivazione del soggetto vivente. Lo specchio liquido fotografa, immortala, restituisce il ritratto. Si tramuta esso stesso in Narciso, lo rimpiazza fino al punto che lui ci si tuffa dentro e rinuncia al proprio essere. Avviene un fenomeno analogo nei gruppi ultrà. Lo specchio infatti è costituito dai media e dall’immagine che costruiscono di ogni singola tifoseria. Gli ultrà reagiscono facendo propria la fotografia fornita dai mezzi d’informazione, rivendicando i tratti e gli aggettivi che nei loro confronti sono adoperati, spesso in senso dispregiativo. I social network amplificano questa tendenza, in quanto vettori di un’altra determinante componente del narcisismo: l’autocontemplazione. Le curve abitate dagli ultrà assorbono e capovolgono. Sono piene di stendardi che clonano le formule retoriche della vulgata mediatica: “Sparuta minoranza”, “Opposta fazione”, “Cani sciolti”. Ciò avviene non solo nella simbologia, ma anche nelle pratiche e negli slogan. Accadde a Firenze, nel periodo dei mondiali di Italia ’90. Un gruppo di commercianti del centro storico assoldò delle ronde per liberarele strade dagli ambulanti nordafricani. Ci furono delle spedizioni punitive notturne, alcuni migranti finirono in ospedale. Sui media trovò ampio risalto il caso di una città come Firenze, dalle tradizioni democratiche, turbata da tali gravi episodi. Dalla curva Fiesole, da sempre di impostazione sinistroide, si alzarono cori come “Chi non salta è marocchino”. È chiaro che il processo di assimilazione e insubordinazione aveva spinto una parte della tifoseria viola a specchiarsi nella stigmatizzazione che i media producevano nei confronti della loro città, fino a identificarsi con quelle accuse. Quale fascismo Decisivo diventa allora comprendere quale sia l’intensità della retorica fascista che può trovare spazio tra gli ultrà. Anzitutto va ribadito che ad imporsi nell’iconografia e nella prassi, in alcuni contesti curvaioli, non è il cosiddetto fascismo in livrea. Nel suo “Nazi-rock. Pop music e destra radicale”, Valerio Marchi spiega che già tra gli anni sessanta e settanta si afferma una nuova figura di giovane fascista: “Si caratterizza per una matrice sociale più variegata rispetto al ‘modello sanbabilino’ e per una dimensione culturale che tende ad appaiare alle coordinate storiche dei nazional-rivoluzionari tutta una serie di temi, di stili e di atteggiamenti, di ‘nuovi consumi’ mutuati dalla Sinistra. Alla consueta predisposizione all’atto violento, alla lugubre esaltazione della guerra e della morte, ai residui di nostalgismo inizia ad affiancarsi un senso di autocritica sulle commistioni del proprio ambiente con settori deviati dello Stato e, con essa, una messa in discussione di alcuni valori tradizionali e del proprio quotidiano modo d’essere”. È proprio questo tipo di neofascismo ad attecchire nelle curve. Ed è lo stadio Olimpico di Roma a fungere da laboratorio. Tutta una serie di messaggi confezionati con notevole acume politico e spiccata conoscenza della comunicazione di massa, hanno favorito lo slittamento delle forme ancestrali della xenofobia presente nel football verso qualcosa di più concreto. Sarebbero tanti gli episodi da esporre. Molti anni fa, nella stagione 1988/89, la fanzine degli ultrà laziali, “Mr. Enrich”, proponeva in copertina l’immagine derisoria di due giornalisti che affannosamente corrono verso la sala stampa di uno stadio di calcio. Ribaltando contro di loro uno slogan molto in voga ai danni degli ultrà, “Calmati! È solo un gioco”, li disegnava in abiti tipici e presunti tratti somatici ebraici, a saldare l’odio contro la categoria giornalistica al rancore antisemita. “I giornalisti sono insolenti e cinici come gli ebrei”, sembrava voler dire la vignetta del magazine biancoazzurro. Gli effetti semantici sulla mente di un giovane ultrà laziale, lettore abituale della fanzine e sprovvisto di strumenti culturali per decodificare il messaggio, sono immaginabili. Ai propri calciatori che sfilavano sotto la Nord con una frase inneggiante all’antirazzismo, già un paio di decenni or sono i laziali rispondevano con uno striscione eloquente: “I vostri miliardi per le nostre borgate”. Chiara l’associazione del degrado dei quartieri popolari alla denuncia urlata dell’invadenza degli stranieri. Da terreno esclusivo di un proletariato solidale e geneticamente comunista, le periferie si trasformano così in sede privilegiata di una destra sociale radicale e radicata. E lo striscione esposto, sempre in quel periodo storico, nel derby contro la Roma: “Ieri rossi, oggi bianchi, ma di nero solo Aldair” stuzzicava la Sud nell’orgoglio neofascista, poco tempo dopo la sua conversione in territorio nero, conseguente alla cacciata del CUCS. Per capire in che misura tale propaganda abbia contribuito a innervare una mentalità xenofoba persino nei luoghi meno inclini a recepirla, è prezioso un libro di Giuliano Santoro, “Al palo della morte”, che con la questione degli ultrà non ha legami diretti. Il racconto ricostruisce il contesto in cui maturò l’omicidio del pakistano Shahzad, avvenuto nel 2014 a Roma nel quartiere Tor Pignattara. “Ci diceva che non era come noi, che non era una spia come noi, che noi siamo dei comunisti di merda e delle zecche e che saremmo dovuti tornare ai Parioli”, riferiscono i testimoni del delitto a proposito delle urla minacciose lanciate contro di loro da una delle persone coinvolte nell’assassinio a sfondo razziale. Nella mentalità borgatara, i Parioli non sono più dunque la zona franca dei romani ricchissimi, ma un nido di comunisti. Quando ad ammazzare è un “ultrà” La morte di Emmanuel Chidi Namdi, il nigeriano ucciso nella scorsa estate a Fermo dal 39enne Amedeo Mancini, segna il culmine nella distorsione funzionale attuata dai media mainstream in questo Paese. Sin dal primo istante, Mancini è anzitutto un “ultrà della Fermana, dunque un fascista”. La seconda identità è conseguenza della prima e comunque diventa un particolare marginale. La maggior parte delle testate giornalistiche ha deciso che l’assassino, in quanto ultrà, è intrinsecamente razzista. Che Mancini fosse un ultrà della Fermana, è indiscutibile. Il problema sorge quando il legame tra la sua militanza in curva diventa inscindibile dalle sue convinzioni razziste. In taluni casi, il tono è addirittura indulgente. Scrive Il Resto del Carlino: “Intorno ad Amedeo Mancini, l’ultrà della Fermana Calcio che nella tragica e controversa lite di Fermo ha sferrato un cazzotto al profugo nigeriano Emmanuel (poi morto per la ferita alla testa susseguente alla caduta), ci sono la direttrice del carcere di massima sicurezza di Ascoli…”. Dunque la lite è “controversa”, e comunque è stato sferrato solo un “cazzotto”. Povero ragazzo – viene quasi da pensare leggendo le cronache di quei giorni –, in fondo la sua xenofobia è soltanto un istinto difensivo maturato in tanti anni di stadio. Ma può guarire. Sì, è vero, ha colpito Emmanuel dopo aver dato della “scimmia” alla compagna della vittima, però si sa che questi ragazzi usano la forza più per gioco che per cattiveria. Se ha sbagliato, è perché fa l’ultrà. E tutti gli ultrà sono un po’ razzisti, sebbene spesso manifestino questa “attitudine” in senso goliardico. “Fascista” e “violento” diventano due connotati accessori e inevitabili dell’identità curvaiola. E per i media “Ragazzi carichi di passione” son pure quelli che seguono la nazionale di calcio. Peccato che ogni tanto si lascino andare a saluti romani e slogan antisemiti. Del resto sono “estremisti”. Sì, va bene, sono “di destra”. Ma secondo il rapporto periodico di polizia sui gruppi ultrà, nella black list bisogna inserire anche tanti gruppi “di estrema sinistra”, come quelli che sulle gradinate hanno aderito alla campagna “Welcome Refugees”, esponendo striscioni di benvenuto ai migranti. Così il vecchio teorema degli “opposti estremismi”, sempre utile per giustificare la legislazione d’emergenza, torna in voga e appiattisce linguaggi e appartenenze. Sesto tempo La violenza xenofoba è dunque quella più riproducibile e al contempo la meno rischiosa da praticare. Basta individuare un nemico debole e aggredirlo per ottenere legittimazione e rispetto nel gruppo dei pari. Pratiche e linguaggi razzisti negli stadi hanno attecchito sul sostrato preesistente. Tuttavia, c’è una via d’uscita? La risposta forse può arrivare dal restante panorama ultrà europeo che essendo anagraficamente posteriore quindi periferico rispetto a quello italiano, può conservare dei tratti distintivi utili alla comprensione di certe dinamiche. È noto che nella maggior parte dei casi, i gruppi dell’est europeo aderiscono ai movimenti nazionalisti in ascesa nei rispettivi Paesi. L’argomento meriterebbe una trattazione specifica e adeguata. Eppure in altri contesti, come la Germania e l’Inghilterra, esistono tifoserie schierate apertamente in senso antirazzista. In Italia la risposta al quesito “Che fare?” è custodita in un possibile diverso modo di inquadrare il municipalismo conflittuale. Fino a quando l’appartenenza a un territorio sarà considerata campo esclusivo delle destre, tutto l’armamentario simbolico futbolistico slitterà verso l’identitarismo delle “patrie locali”. Ma recuperando la lezione di tanti movimenti che nella difesa dei propri luoghi e dei beni comuni, esercitano la forza fisica e la ragione contro le multinazionali e i poteri costituiti posti a tutela dei loro interessi, è possibile inoculare degli anticorpi culturali in ciò che resta delle curve degli stadi di calcio. Il solidarismo e la contaminazione con le altre etnie possono e devono diventare motivo d’orgoglio anche nei linguaggi degli ultrà. Un vecchio slogan antixenofobia dei Cosenza Supporters recitava: “Per il pallone è indifferente CHI lo calcia”. Claudio Dionesalvi “Nuova Rivista Letteraria”, Alegre, novembre 2016 da Inviato da nessuno
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Ladri di occhi: una triplice alleanza che ruba la vista a settecento milioni di occhi nel mondo – uno screening tra i parlamentari costituito gruppo interparlamentare
(di Nicola Simonetti) Killer sono tre malattie irreversibili (glaucoma, retinopatia diabetica, maculopatie) che una prevenzione basata su visite annuali specialistiche, non invasive, avrebbe potuto evitare. Così non è neanche in Italia dove, su iniziativa dell’Agenzia Internaz. Prevenzione Cecità- Italia onlus, è stato effettuato screening oculistico tra i parlamentari riscontrando “tra quelli che si sono sottoposti agli esami – ha commentato il Dott. Marco Verolino, responsabile oculistica Ospedali Riuniti Area Vesuviana – ASL Napoli 3 Sud, che dell’indagine è stato il coordinatore – che il 65 per cento non esegue una visita oculistica completa di fondo oculare con regolarità una volta l’anno e che il 35 per cento ha eseguito un esame del fondo oculare solo a seguito di disturbi visivi. Se si considera ha proseguito – che, in questo caso, si tratta di un segmento di persone che, per diverse ragioni, dovrebbe essere particolarmente avvertite, possiamo comprendere quanto ancora resti da fare in materia di prevenzione”(ItalianHealth Policy Brief (IHPB).CEIS-Università di Roma Tor Vergata). Una premessa – questa – alla costituzione dell’Intergruppo parlamentare. “Occorre agire con determinazione intervenendo anche – ha detto l’on. Paolo Russo, presidente dell’Intergruppo parlamentare ed egli stesso oculista – sul piano legislativo e la risposta può venire solo dal fatto di promuovere l’adozione di scelte di politica sanitaria che rendano possibili nuovi modelli gestionali - sistematici e strutturali - che consentano di affrontare questo specifico ambito sanitario secondo le indicazioni e i suggerimenti della comunità scientifica internazionale. Considerando che nel nostro Paese abbiamo potenzialità e competenze scientifico-tecnologiche non comuni, che vanno comunque messe a sistema in modo sinergico – ha proseguito – non intervenire sarebbe una grave colpa”. Gli ambiti nei quali l’Intergruppo opererà sono essenzialmente quattro: promozione di politiche sanitarie che pongano la tutela della vista e la prevenzione delle patologie oculari al centro dell’agenda sanitaria del Paese; varo di iniziative di carattere legislativo e politico in grado di sollecitare Governo e Regioni verso l’adozione di provvedimenti che possano garantire a tutti i cittadini e su tutto il territorio una miglior prevenzione e una miglior cura delle patologie oculari, nonché l’accesso ai servizi di riabilitazione visiva; creazione di favorevoli condizioni per una più ampia adozione delle attività di screening atte a conseguire un miglioramento dei livelli di assistenza e una riduzione dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale; dare impulso ad iniziative di standardizzazione e centralizzazione dei dati clinici che consentano di ottimizzare conoscenze e sinergie tra le diverse strutture sanitarie del Paese. Organismo di consulenza tecnica dell’Intergruppo Parlamentare sarà la stessa Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità-IAPB Italia onlus,che è già fortemente impegnata in numerose iniziative di sensibilizzazione e che, al di là di quanto già fatto presso Camera e Senato, si appresta a varare altri progetti su scala nazionale con il supporto della rivista di politica sanitaria ItalianHealth Policy Brief (IHPB). "La prevenzione – ha detto, alla conferenza tenuta a Roma - l’avv. Giuseppe Castronovo, presidente di IAPB Italia onlus – è un dovere di ogni persona: tra l’altro consente di evitare molte malattie oculari e notevoli sofferenze, oltre che un aggravio importante di spesa pubblica. Per questo i cittadini devono recarsi periodicamente dall'oculista e portarci i propri figli. Come diceva Leonardo da Vinci la vista è il signore dei sensi. Per questo non dobbiamo mai trascurarla: solo così potremo avere sempre luce nella vita". L’affermarsi di nuovi e più efficaci paradigmi gestionali per le patologie ottico-retiniche potrebbe produrre salutari contributi alla sostenibilità della spesa sanitaria. A titolo di esempio, basterà ricordare che, secondo uno studio prospettico elaborato nel 2017 dal CEIS (Centre for Economic and International Studies-Università di Roma Tor Vergata), la retinopatia diabetica, in assenza di un miglioramento del quadro assistenziale, genererà un aumento della spesa sanitaria di 4,2 miliardi di euro nel periodo 2015-2030. “La ricerca è impegnata su vari fronti e qualche risultato lo ha già dato – ha sottolineato il Prof. Filippo Cruciani, referente scientifico di IAPB Italia onlus – ma ciò su cui bisogna soprattutto puntare è la prevenzione sia primaria che secondaria. Primaria – ha proseguito – vuol dire sostanzialmente stile di vita mentre la secondaria consiste nella diagnosi precoce, quando la malattia è ancora allo stato asintomatico; purtroppo l’attitudine alla prevenzione è ancora molto bassa nel nostro Paese”. Le tre malattie sotto osservazione: Il GLAUCOMA, prima causa di cecità irreversibile al mondo: colpisce 55 milioni di persone, mentre 25 milioni hanno già perso le proprie capacità visive per causa sua (un milione sono in terapia ed altrettanti, in Italia, sono a rischio ma lo ignorano). “Si tratta di epidemia 3.0, una malattia della seconda e terza età' che, nel 2020 – è previsto - interesserà 80 milioni di persone nel mondo. Il glaucoma aggredisce il nervo ottico e può portare a cecità ed è – dice l'Associazione italiana per lo studio del glaucoma - nuova minaccia, silenziosa nei riguardi della popolazione mondiale. La cura del glaucoma è molto costosa e incide già notevolmente sulla spesa sanitaria nazionale che, in prospettiva, verrà ulteriormente gravata dai costi socio-assistenziali di sostegno a una fetta così ampia di popolazione che non sarà più auto-sufficiente perché priva della vista”. Una malattia subdola che, nella forma cronica non dà neanche sintomi mentre una pressione oculare troppo elevata sta danneggiando “silenziosamente” la visione. Primo avviso sono piccole “macchie” scure (scotomi) alla periferia del campo visivo (quello che si può vedere senza muovere il capo) che si restringe via via fino raggiungere una visione a cannocchiale (“tubulare”) e, in casi peggiori, l’oscurità completa. Se non curata in tempo, la forma porta senza scampo a perdita della funzione visiva. Obiettivo da raggiungere, quindi: individuare subito i casi di glaucoma ignorati: sono mezzo milione in Italia; quando i colpiti se ne accorgeranno almeno il 40% della propria capacità visiva sarà già perduta. La prevalenza della malattia aumenta con l'età e, molte volte, si presenta prima dei 40 anni. A questa età e, comunque, quando compaiano i primi segni di presbiopia (visione sfocata da vicino) o ci sia familiarità, è necessario sottoporsi a controllo oculistico che comprenda la misurazione della pressione oculare. Ma solo il 21% degli italiani ha eseguito un controllo della vista negli ultimi 5 anni. La RETINOPATIA DIABETICA: Sei italiani su cento soffrono di diabete ma in tre su 10 di loro la malattia ha, in qualche modo, interessato anche la retina (un’ “estensione” del cervello il cui tessuto nervoso capta e trasmette, al centro, gli stimoli visivi) e, in carenza di terapia ed adeguamento di regole si vita, in prospettiva, la danneggerà irreparabilmente quale risultato di danni accumulati nel tempo a carico dei piccoli vasi sanguigni della retina. Interessa 42 milioni e 1/2 di persone nel mondo ed è prima causa di cecità in età lavorativa e, se il diabete tipo 1 è diagnosticato dopo i 30 anni, essa è del 20%; dopo 5 anni di malattia del 40-50%, dopo 10 anni e di oltre 90% dopo 20 anni. I danni alla retina sono evitabili controllando il diabete. Verificare anche la pressione arteriosa nel diabetico tipo 2 riduce il rischio di malattia micro-vascolare del 37%, il tasso di progressione della retinopatia diabetica del 34% e il rischio di peggioramento dell’acuità visiva del 47%. Questa patologia, se non migliorerà il quadro assistenziale, farà aumentare la spesa sanitaria di 4,2 miliardi di euro nel 2015-2030 (univ. Tor Vergata Roma). MACULOPATIE: Interessano 200 milioni di persone nel mondo; un milione in Italia. Tra le acquisite, più diffusa la degenerazione maculare (AMD) legata all’età; negli over 55 è principale causa di cecità legale nel mondo occidentale. Due le forme di AMD: la secca (atrofica) ad evoluzione lenta e meno aggressiva per la quale non c’è terapia specifica, e la umida (essudativa), a volta evoluzione della prima. Pertanto, vanno seguite insorgenza ed evoluzione della patologia retinica. La umida, meno comune, ma più aggressiva, ad evoluzione più rapida, presenta nuovi vasi sanguigni retinici nella macula (centro della retina). Ogni maculopatia va diagnosticata presto (necessarie visite periodiche) onde ricorrere ad iniezioni intravitreali di anti-VEGF (contro, cioè, i fattori di crescita coinvolti nell’angiogenesi, formazione di nuovi vasi sanguigni che invadono la retina). Read the full article
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Edizione n.6 del Forum Donne motore della ripresa: Al centro dell’Europa di domani
L’8 maggio si è svolto a Roma il 6° Forum nazionale Donne motore della ripresa, evento organizzato da Terziario Donna Confcommercio, l’Organizzazione rappresentativa delle imprenditrici, lavoratrici autonome e professioniste del Commercio, dei Servizi, del Turismo, delle piccole e medie imprese associate a Confcommercio-Imprese per l’Italia.
Questo forum annuale si sta configurando sempre più come un appuntamento periodico e importante per riflettere insieme alle istituzioni e alla politica sull’economia del futuro, sui modelli di sviluppo sostenibili e sulle nuove prospettive imprenditoriali.
Il tema di quest’anno, riassunto nel titolo “Al centro dell’Europa di domani”, prende spunto dalla necessità di riflettere su un’Europa da difendere ma da cambiare. Ci ha garantito, e ci garantisce pace, democrazia, libertà, benessere, prosperità e cultura. Ma è ancora un’Europa a due, se non più, velocità: livelli di crescita diseguali, condizioni sociali troppo differenti, accesso ai diritti limitato.
Il Forum è però soprattutto l’occasione per parlare e riflettere sulle donne: il mercato in Europa è cambiato e le donne fanno sempre più la differenza nel mondo del lavoro. Le imprese femminili sono in aumento, come emerge dallo studio di Unioncamere ma la lotta per i diritti è ancora necessaria. Nella politica e nell’impresa le donne sono ancora sottorappresentate e guadagnano in media il 16% in meno degli uomini in Europa.
Le donne sono un elemento essenziale della ripresa e allo stesso tempo elemento centrale della comunità europea.
Essenziale perché le donne possono essere il motore della ripresa. Hanno mostrato di riuscire a reggere meglio i contraccolpi della crisi: le imprenditrici sono infatti riuscite in molti casi a trasformare la crisi in una vera e propria opportunità, cogliendo gli spiragli di ripresa apertisi in nuovi settori, come il turismo, e in nuovi mercati, rivoluzionando o riorganizzando la propria azienda. Hanno anche tirato fuori una capacità di messa in discussione, di ripensamento del modo stesso di fare impresa, di innovarsi.
Centrale perché i diritti dovrebbero essere una questione prioritaria della politica: nella condizione femminile c’è il grado di civiltà di un Paese. Vale per ogni Paese Europeo, vale per l’Italia. Secondo il Word Economic Forum il nostro Paese è primo al mondo per iscrizioni femminili all’Università e rimane ultimo in occidente per partecipazione femminile al mercato del lavoro. Non si tratta di un tema di genere ma di un tema di giustizia sociale.
Secondo Eurofound il costo dell’Italia per questa sottoutilizzazione è pari a 88 miliardi di euro, il 5,7% del Pil, il 23% di tutta la ricchezza persa in Europa.
Eppure i numeri mostrano la potenzialità: oltre 3 milioni di addetti trovano lavoro all’interno delle 1,3 milioni di imprese femminili.
L’aspetto su cui bisogna concentrarsi è che in futuro più equità e pari opportunità potrebbero consentire di occupare più donne, e questo potrebbe garantire maggiore benessere per tutti. La UE stima che da qui al 2050 la maggior parità di genere potrebbe determinare dieci milioni e mezzo di posti di lavoro in più, con una crescita dell’economia tra 1.950 e 3.150 miliardi di euro.
L’EU persegue tra i suoi obiettivi la parità tra uomini e donne nelle posizioni decisionali, nelle opportunità e nell’accesso al mercato del lavoro. Promuove condizioni di lavoro equo, anche nell’obiettivo concreto di realizzare l’eguaglianza nelle retribuzioni. Punta infine a far raggiungere a uomini e donne l’equilibrio tra ufficio, lavoro e vita.
Proprio su questo equilibrio, e sui temi importanti della protezione sociale e dell’inclusione, tutta l’Europa si dice favorevole però le soluzioni sono insufficienti. Il lavoro di cura e di assistenza frena ancora la partecipazione femminile al mercato del lavoro: la limitatezza o mancanza di servizi ha conseguenze significative sull’occupabilità delle donne. Nonostante gli studi avanzati, le motivazioni e il desiderio di affermazione di sé, le donne sono relegate al ruolo di “percettore di reddito secondario” e a loro ancora tocca di occuparsi dei lavori di cura della famiglia che invece dovrebbero toccare sia a donne che a uomini in misura paritetica. Così le donne spesso rinunciano a lavorare fuori casa.
Il paradosso è che il lavoro femminile, non la sua assenza, può diventare un fattore di spinta delle nascite. La realtà, in Europa ma soprattutto in Italia, è che gli interventi verso la famiglia sono scarsi e insufficienti, complessivamente incoerenti, diseguali per categoria lavorativa e rapporto di lavoro, per area territoriale (nord-sud, città-provincia).
Occorrono misure concrete per migliorare le misure per la famiglia e la conciliazione fra vita e lavoro. Purtroppo le scelte politiche in Italia non vanno spesso in questa direzione: la legge di bilancio 2019 non ha per esempio prorogato il voucher per l’acquisto servizi di baby sitting ed i contributi per i servizi per l’infanzia che, con legge di bilancio 2016, era stato esteso anche alle lavoratrici autonome ed imprenditrici per il 2017 e il 2018.
Terziario Donna ha proposto lo sgravio fiscale delle spese sostenute dalle imprenditrici per l’aiuto domestico. Il nostro Paese non offre adeguate politiche familiari e di welfare. E questa proposta non è solo fiscale ma è una “azione positiva” per favorire quell’attuazione di principi di parità e pari opportunità tra uomini e donne auspicata dall’Europa.
Bisogna fare di tutto per favorire il lavoro femminile, e questo significa anche spingerlo verso l’imprenditoria. In Italia 7 donne su 10 scelgono il settore terziario per creare impresa: sostenere lo sviluppo dell’imprenditoria femminile dà libertà, emancipazione sociale, crescita economica. L’analisi delle circa 1.380.000 aziende al femminile ne mostra le potenzialità. Nel comparto dell’imprenditoria giovanile appare evidente che quelle femminili sono più incisive di quelle maschili.
La donna al centro della nuova Europa.
L’idea stessa di popolo e di nazione è cambiata: le donne hanno dato concretezza al senso di comunità e al concetto di cittadinanza, unitario e universale.
Coraggio, tenacia, pazienza. Sono qualità che le donne possiedono e sono caratteristiche per costruire la pace. Perché la pace è un processo, ma anche un’attitudine, e dove l’impegno e la presenza delle donne è forte, diviene più agevole raggiungere obiettivi di pace.
È necessario costruire un’Europa migliore, forte, solidale, sostenibile, più equa. Quella delle donne è una questione di equità, è una questione economica. È necessaria un’Europa con una economia nuova, sostenibile e prospera, con una democrazia solida, con una politica sociale che includa i deboli e quelli che restano fuori.
Patrizia Di Dio
di Patrizia Di Dio Articolo originale http://bit.ly/31b0JmK
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