Tumgik
#Le Velò
divulgatoriseriali · 1 year
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Parigi-Roubaix: viaggio nell'inferno del nord
La Parigi-Roubaix è una gara in linea di ciclismo su strada che ogni anno viene disputata la seconda domenica d’aprile. Nota come la “regina delle classiche” per la sua importanza, la corsa di Pasqua, meglio nota come “Pascale” o l’inferno del Nord per le avversità a cui sono sottoposti i corridori. La prima edizione risale al 1896 ed è tutt’ora una delle più longeve classiche in attività.…
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ethanacquarius · 3 months
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· · ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀         ⤹         𝐞𝐭𝐡𝐚𝐧 𝐡𝐮𝐠𝐡𝐞𝐬 ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ‧‧‧‧  ғʟᴀsʜʙᴀᴄᴋ › ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀eccleston, uk ‧‧‧ 27.03.2016               ─── ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Dal movimento dei passi, perfino dal respiro che una persona emette, si può capire lo stato d'animo, se è felice, se è triste, se è scossa o semplicemente indifferente. Vi era un mondo dietro al linguaggio non verbale, un mondo che spesso il britannico si ferma a studiare ancora e ancora, nonostante i lunghi anni di apprendimento, eppure a volte era lui stesso a non riuscire a nascondere quelle emozioni. Dalla rabbia allo sconforto, l'anima dell'uomo era in un turbinio di emozioni che, per una volta, aveva deciso di lasciare a briglia sciolta, libere di potersi esprimere. Stava sbagliando forse? E che cosa era lo sbaglio? Una decisione presa in un momento di sconforto? O il semplice agire d'istinto. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ   ʜɪs ғᴀᴛʜᴇʀ  « Vediamo, passo infuriato, movimenti quasi a scatto e sei entrato qui dentro quasi come se stessi marciando. Immagino che ci sia qualcosa che non vada. »   ᴇᴛʜᴀɴ ʀᴀʟᴇɪɢʜ  « Ora ho capito da chi deriva la mia capacità di osservazione. » ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ Un sorriso sardonico velò il volto stanco dell'uomo più anziano che, seduto nel suo studio sembrava ancora l'uomo di un tempo. L'aspetto regale ed elegante non era altro che la prima facciata di quell'uomo che ancora si dannava per ciò che era successo al figlio molti anni prima. Eppure tutti quei discorsi, sembravano essere una presenza che erano diventati abilissimi ad ignorare. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ   ʜɪs ғᴀᴛʜᴇʀ  « Dovrò può averti trasmesso qualcosa, no? E a quanto pare anche il bisogno di bere quando le cose non vanno. A dire il vero, nemmeno sapevo che saresti tornato. »   ᴇᴛʜᴀɴ ʀᴀʟᴇɪɢʜ  « Non era infatti in previsione, ma ho preso il primo volo e sono tornato a casa. »   ʜɪs ғᴀᴛʜᴇʀ  « E' strano che tu chiami ancora questo posto casa. Sei sempre il benvenuto Ethan, ma sono trascorsi anni e so che ormai la tua vita è in America. »   ᴇᴛʜᴀɴ ʀᴀʟᴇɪɢʜ  « Considererò sempre il Regno Unito come la mia casa, e anche questo luogo sebbene non tutti i ricordi sono felici. »   ʜɪs ғᴀᴛʜᴇʀ  « Ethan… »   ᴇᴛʜᴀɴ ʀᴀʟᴇɪɢʜ  « Ti prego, non sono venuto qui per rivangare il passato. » ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ[ ... ]
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lovesickshanties · 2 years
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OFMD ficlet - III
Togliere gli abiti fradici di dosso a Ed non era un affare da poco.
Per la verità, era stata un'impresa complicata anche soltanto arrivare al riparo di una porta chiusa.
Adesso, però, in quella minuscola stanza con un letto e una finestrella piena di sole, Stede era alle prese con un tipo di difficoltà del tutto nuovo.
Per il suo primo naufragio, trovava di non essersela cavata poi male; era vivo, ed era vivo anche Ed.
Aveva ancora sotto la pelle gli istanti terribili in cui l'aveva perso di vista fra le onde, il tuffo al cuore nello scorgerlo fluttuante sotto braccia e braccia d'acqua verde, il terrore che i polmoni cedessero prima di riuscire a raggiungere il pelo dell'acqua.
Stede batté le palpebre per tornare al momento presente, a Edward ancora incosciente e riverso sul piccolo letto inondato di sole.
Era più magro e affilato di quanto l'avesse mai visto; la barba, ricresciuta a metà, nascondeva a malapena le guance incavate; e se l'acqua del mare aveva sbiadito il colore nero dal viso, non aveva potuto cancellare l'ombra scura di profonde occhiaie.
Stede gli posò una mano esitante sulla fronte; scottava.
Chissà, forse Edward era febbricitante già da prima di cadere in acqua.
Stede si riscosse, prese il coraggio a quattro mani e affrontò l'impresa.
Sembrava una cosa sacrilega toccare Edward mentre dormiva, privarlo della giacca, degli stivali, dei guanti; decisamente più strati di quanto fosse ragionevole indossare sotto il sole tropicale.
Stede si trovò a sorridere fra sé; era probabile che l'equipaggio avesse pensato lo stesso di lui, in passato.
Quando Edward lo aveva raccolto - letteralmente raccolto - era anche lui pallido e inerme, implume e sperduto come un pulcino caduto dal nido.
Non esattamente una prima impressione brillante.
Ma Edward, Edward era fatto della stoffa degli eroi; anche sofferente, anche vulnerabile, rimaneva magnifico: i riccioli della barba e i lunghi capelli sparsi sul cuscino facevano pensare Stede alle incisioni nei suoi libri di lettere antiche.
Quando fu il momento di sfilare la maglia sottile che Ed portava a contatto con la pelle, quindi, Stede dovette mettere a tacere a forza il subbuglio del cuore.
La linea delle spalle di Ed, il disegno dei tatuaggi che si allungavano dal petto fin dietro la schiena, il rilievo delle cicatrici - quante cicatrici - l'avvallamento dolce dell'ombelico; Stede si costrinse a non soffermarsi e ad andare oltre, finché non arrivò con mani tremanti ad affrontare la cintura.
Fu esattamente a quel punto che, con un flebile lamento, Ed decise di risvegliarsi.
Stede si ritrovò di colpo sotto i suoi occhi spalancati, con le mani sulla fibbia dei suoi calzoni e un'espressione fatalmente colpevole dipinta in volto.
Il momento di silenzio che seguì sembrò dilatarsi come un pallone d'aria calda.
"...Merda." soffiò a bassa voce Ed dentro la barba.
"Uhm." elaborò eloquentemente Stede, senza togliere le mani dai suoi pantaloni.
Stava quasi per riuscire a radunare le parole necessarie a spiegare che aveva eccellenti ragioni per spogliarlo nel sonno, quando lo sguardo di Ed si velò in un'espressione dolorosamente sperduta. "...sei vero?" bisbigliò a voce quasi inudibile, gli occhi lucidi di febbre.
Preoccupato, Stede allungò d'istinto una mano per toccargli la fronte, ma Edward si ritrasse di scatto.
"No." mormorò scrollando la testa, preso da un brivido che gli faceva battere i denti. Fissò su Stede occhi che faticavano a mettere a fuoco. "Vattene." digrignò, sforzandosi di sollevarsi sui gomiti.
Stede sentì il cuore sprofondare in acque gelide; ma strinse le labbra e tacque. Qualsiasi cosa Ed avesse da dirgli, pensò, la meritava.
"Ti voglio fuori dai piedi, Stede," rincarò Ed con voce spezzata. "Ti voglio - morto." Il suo sguardo cercava qualcosa a cui aggrapparsi per non dover guardare Stede in faccia - "Ti voglio - ti voglio -" e una smorfia di dolore gli chiuse gli occhi, mentre crollava di nuovo sul cuscino, e a quel punto la mano di Stede volò da sola fino a toccargli la guancia.
Con un singulto che gli tagliò il fiato, Edward premette il viso sul suo palmo e rimase così.
Fu uno sforzo terribile trattenere il singhiozzo che gli chiudeva la gola; ma Stede si morse le labbra e rimase immobile, mentre sulle sue dita scorrevano lacrime silenziose.
Ed scottava come una fornace e allo stesso tempo aveva la pelle d'oca. Non ci volle molto perché la febbre avesse ragione di lui. Ricadde presto addormentato, scosso da violenti brividi.
A quel punto, in silenzio e senza altre esitazioni, Stede finì di spogliarlo, si sfilò a propria volta gli abiti ancora bagnati e scivolò al suo fianco nel minuscolo letto.
Stese alla meglio la coperta logora su entrambi, e poi strinse Ed a sé, la sua schiena contro il proprio petto.
Il cuore gli batteva in tonfi violenti.
L'odore della pelle di Edward.
La curva del suo orecchio fra le chiome scarmigliate, la spalla abbronzata, istoriata di tatuaggi.
Sembrava ancora impossibile averlo così vicino.
Stede era una brocca colma fino all'orlo, e al tracimare dei sentimenti i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Pianse per un poco in silenzio, premendo la fronte fra le scapole roventi di Ed; ma alla fine la stanchezza ebbe la meglio anche su di lui.
Dopo qualche minuto, dormivano entrambi.
°°°
Ed si era svegliato nel mezzo della notte con la vaga consapevolezza di avere sete; ma non gli andava affatto di alzarsi.
Era raggomitolato in un dormiveglia di favoloso tepore, un meraviglioso conforto da cui non aveva nessuna voglia di uscire.
Cercò di tornare a rifugiarsi nel sonno, accoccolandosi più strettamente su se stesso; quando di colpo fu consapevole della calda pressione di braccia intorno al proprio petto.
Ed spalancò gli occhi con un tuffo al cuore, ma la confusione durò una frazione di secondo.
I ricordi del giorno precedente gli piovvero disordinatamente attorno, uno dopo l'altro.
La ragione del confortante calore in cui si stava crogiolando era Stede.
Da un momento all'altro Ed divenne quasi dolorosamente cosciente del petto ampio di Stede premuto sulla propria schiena, del suo braccio gettato intorno alle spalle, del suo respiro a meno di un pollice dalla sua nuca.
Il cuore iniziò a battergli con tale forza che era questione di istanti prima che il rimbombo svegliasse Stede, tutta la casa, tutti i Caraibi - mentre Ed era talmente certo che al minimo rumore, al minimo movimento l'incantesimo si sarebbe spezzato, e -
...E poi Stede si mosse nel sonno, attirandolo ancora più vicino a sé con un mormorio indistinto, e Ed si lasciò sfuggire qualcosa che assolutamente non era un piagnucolio.
Il respiro regolare di Stede si interruppe.
Seguì un istante di immobilità completa.
"...Ed?"
Dentro il cranio di Ed suonò l'allerta massima.
Si chiese quanto avrebbe potuto essere convincente se si fosse finto morto. Si chiese se Stede gli avrebbe permesso di rimanere così finché non fosse morto sul serio.
Si disse che non ci avrebbe impiegato molto.
Si disse che tanto valeva iniziare immediatamente, che sarebbe rimasto pietrificato in quella posizione finché morte non fosse sopravvenuta, che -
"...Va tutto bene?" ...e la voce di Stede era talmente piccola e piena di ansia da provocare a Ed una fitta di dolore fisico.
Annuì freneticamente, ancora incapace di spiccicare parola.
Ma anche al buio, Stede dovette cogliere il gesto perché si rilassò impercettibilmente, con un piccolo sospiro che Ed avvertì sulla pelle nuda delle spalle, dolce come miele e bruciante come uno scudiscio. Ed desiderò intensamente di trasformarsi in schiuma marina.
"Bene." raspò, cercando di placare il cuore al galoppo.
La mano destra di Stede riposava sul letto a meno di un pollice dalle sue labbra.
Ed lottò ferocemente con il desiderio di baciarla.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Stede si fece più indietro, ritirando la mano e il confortante calore del proprio corpo.
Ed dovette trattenere fra i denti quello che, d'accordo, era decisamente un piagnucolio.
"Ed." disse la voce di Stede da dietro di lui, di nuovo così piccola e desolata da stare nel palmo della mano. "Edward, so che non potrai perdonarmi."
Ed si strinse nelle spalle più che poté. Il desiderio di svanire, di dissolversi nell'acqua del mare si fece prepotente.
"...e forse è ancora egoista da parte mia, volere a tutti i costi incontrarti e parlare."
Ed rimase immobile, quasi senza respirare, teso in ascolto con tutto il corpo; nello stesso tempo avrebbe voluto essere da qualsiasi altra parte e bere avidamente ogni parola.
"Ma non posso continuare a vivere se prima non ti dico questo, Ed"
Il battito del cuore, un fuoco incrociato di cannoni spianati.
"Ho sbagliato. Porterò con me il rammarico per tutta la vita. E, Ed..."
Tum.
Tum.
Tum.
"Sono innamorato di te, Ed."
-
Parte I e II
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elsjeuniverse · 2 years
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ           ғʟᴀsʜʙᴀᴄᴋ  ❚  copenhagen, dk        new update  ﹫  elsje & her father         h. 15.54, september 09th, 2002             ❪      🌙      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Una sensazione di timore animava il corpicino della giovane danese che continuava ad osservare quell'imponente struttura che svettava davanti ai suoi occhi. Era così grande che nemmeno facendo un passo indietro avrebbe potuto abbracciare completamente l'edificio in mattoni ove s'era fermata. Si sentiva intimorita da quelle linee così rigide, dall'aria tetra che sembrava incutere con quel cancello in ferro battuto. Aveva chiesto, supplicato perfino, di poter vedere la nuova scuola che l'avrebbe ospitata da lì a qualche giorno. Era così entusiasta di poter vedere ciò di cui tutti i bambini parlavano, l'idea che presto avrebbe potuto imparare così tante cose nuove, eppure quando si ritrovò davanti all'imponenza architettonica della scuola, Elsje fu costretta a fare un passo indietro, sbattendo contro le gambe del suo papà.   ᴇʟsᴊᴇ ғʀᴇᴊᴀ  « Non mi piace... Fa paura. »   ʜᴇʀ ғᴀᴛʜᴇʀ  « Le cose nuove a volte fanno paura, ma non sempre sono un male, sai? »   ᴇʟsᴊᴇ ғʀᴇᴊᴀ  « Ma... E' tetra, fa venire i brividi, scommetto che di notte ci sono i fantasmi lì dentro e quel cancello... No, non ci voglio andare. »   ʜᴇʀ ғᴀᴛʜᴇʀ  « Mmh vediamo, qualcuno ha guardato di nuovo qualcosa che non doveva vedere alla televisione? »   ᴇʟsᴊᴇ ғʀᴇᴊᴀ  « Io... » Come avrebbe potuto mentire all'unica persona che sembrava comprenderla più di chiunque altro? Come avrebbe potuto dire una bugia a quegli occhi che ora la guardavano con un sopracciglio alzato come se fosse in attesa di una sola sua parola? Ancora una volta era stata beccata, e le gote della piccola si imporporarono di un tenue rosa che sembrò accarezzare il di lei volto di porcellana. Così giovane eppure così matura, con quella fame di conoscenza che sembrava essere la sua più innata virtù. Un sorriso imbarazzato velò le di lei labbra prima di rispondere con una rapida scrollata di spalle senza negare quella semplice illazione. Eppure, si lasciò andare contro le gambe del genitore prima di scostarsi i lunghi capelli biondi dal volto. Rimase in silenzio il padre prima di sfiorare con affetto i crini biondi della bambina, mentre assorto osservava lo stesso edificio che l'aveva ospitato anni addietro. Lui stesso aveva frequentato quella scuola elementare, lui stesso s'era divertito a creare storie su quell'edificio che tuttavia aveva ancora la sua storia.   ʜᴇʀ ғᴀᴛʜᴇʀ  « Anche io ho frequentato questa scuola e anche io avevo paura quando tuo nonno mi ha portato per la prima volta qui. Ero... intimorito, spaventato. Mi ero creato una storia nella mia testa, un qualcosa che potesse aiutarmi a superare le mie paure, e quelle storie? Indovina. Furono leggende per molto tempo. »   ᴇʟsᴊᴇ ғʀᴇᴊᴀ  « Dici davvero? »   ʜᴇʀ ғᴀᴛʜᴇʀ  « Dico davvero. Ognuno di noi ha i propri meccanismi per poter affrontare le paure, ognuno di voi deve far ciò che deve fare per star bene, ma le paure sono i nostri ostacoli, Elsje, sono ciò che ci fanno crescere e dove dimenticarlo mai. » Istintivamente la giovane si aggrappò alle gambe dell'uomo stringendolo come se ne andasse della sua vita, l'uomo le rispose con un sorriso comprensivo e le accarezzò il capo, ben sapendo che presto la piccola di casa avrebbe dovuto affrontare la paura più grande, quella di rimanere da sola.
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winteralease · 4 years
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     🔥🌊     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐰𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫 𝐚𝐥𝐞𝐚𝐬𝐞 & 𝐣𝐨𝐬𝐞𝐩𝐡 𝐧𝐢𝐤𝐥𝐚𝐮𝐬      ❪    ↷↷     mini role ❫      le     poisson     rouge      14.10.2020  —  #ravenfirerpg
Ormai l'estate era terminata e le giornate s'erano già incredibilmente accorciate, portando con sé un fresco con cui la fata aveva un rapporto di amore e odio. Le foglie avevano cominciato a mostrare i primi color più caldi, le tonalità del giallo erano sempre più visibili e Winter doveva fare i conti con il fatto che, volente o nolente, era tempo di tornare a studiare. La pausa estiva era servita per svagarsi, per liberare la mente, ma soprattutto per porre fine, una volta per tutte, a quella sensazione che sembrava essersi annidata dentro di sé. Non sempre la situazione con i suoi genitori lo permetteva, lo doveva ammettere, ma uscire era il modo migliore per non riflettere sul fatto che fosse bloccata a Ravenfire. Certo, ormai avrebbe dovuto accettarlo, e in parte era perfino così, ma non quando osservava quel cielo coperto dalle nubi che presagivano un bell'acquazzone. Giunta al locale dove avrebbe trascorso il suo mercoledì sera, Winter osservò la pista gremita di persone, mentre con un passo accattivante raggiunse il bancone. Ordinò il suo drink e solo quando sentì una presenza alle sue spalle si voltò con un sorriso.
« Dovremmo smetterla di incontrarci così, Mr Borrison. »
Joseph Borrison
* Come ogni Dooddrear che si rispettasse, Joseph aveva sofferto quel caldo estenuante estivo e appena aveva percepito il flebile cambio di stagione, o forse meglio soltanto l'accorciarsi delle giornate, il suo animo era diventato più ''positivamente'' cupo. Il sole, infatti, era sempre stato odiato dal giovane in quanto esso permetteva alla luce di espandersi sempre di più. Nonostante ciò, però, il nostro caro Borrison aveva usufruito della luce e, soprattutto, della notte calda per dipingere all'aria aperta. Non che adorasse l'aria aperta, Joseph era infatti più il tipo da claustrofobia in teatro, ma doveva ammettere che si era divertito alla stessa maniera in cui adesso non aspettava che il gelo, simile a quel gelo che caratterizzava la sua vita.Quella sera aveva deciso di cambiare locale e di non recarsi più da Richard, aveva bisogno di vedere facce nuove e di nutrirsi un po' di qualche paura recondita altrove dal solito locale.Era appena entrato nel Le Poisson Rouge, quando il suo sguardo non riconobbe la donna che sembrava perseguitare la sua anima data la sua mortal bellezza. Si avvicinò, ne sentì quasi il bisogno primordiale. *
« È il destino che decide per noi. Non è divertente? »
Winter Alease N. Lindholm
Un sorriso accattivante velò le labbra della fata la quale non poté non ammirare la bellezza dannata dell'uomo. Ne era attratta e questo era un dato certo, ma sapeva anche che era quell'oscurità latente ad avere così tanto effetto sulla Lindholm. Non era strano vedere Winter all'interno di locali, piena di una vitalità che difficilmente riusciva a tenere a freno e che la portava più e più volte a combinare non pochi guai. Era il pericolo ad affascinarla, lo stesso che sembrava impregnare ogni cellula dell'uomo che ora le stava di fronte.
« Il destino sa essere parecchio beffardo... O divertente, dipende dai punti di vista. »
Commentò con fare civettuolo la fata la quale si voltò in direzione del bancone e nascose le labbra dietro al proprio drink. Il gusto dolce del Cosmopolita che aveva ordinato bagnò le di lei labbra prendendosi il tempo necessario per sentire sempre di più la presenza dell'uomo.
« Pensavo che fosse in giro per teatri, e non di incontrarla in un pub. A quanto pare mi sorprende... »
Joseph Borrison
* Lo sguardo del dooddrear si posò sulle labbra della giovane che stava sorridendo alla sua presenza. Fu per questo che il suo accennare un sorriso divenne, a suo modo, un sorriso anche sul suo volto. Non sapeva bene cosa aspettarsi dalla giovane donna dalla bellezza estenuante, eppure sentiva dentro sé che doveva fare qualcosa, che doveva stare /attento/ in una certa misura. Nonostante quella sensazione strana, la figura femminile che si trovava vicino a lui era un’attrazione. Probabilmente era questione di pericolo, perché poteva davvero essere un gioco pericoloso quello. Peccato che il famigerato Joseph Borrison non se n’era accorto. * « È sempre divertente per lui, siamo noi a dargli sfaccettature diverse. » * Commentò a sua volta mentre nel suo sguardo si intravedeva un leggero interesse per quei suoi modi da adulatrice seriale. * « I teatri di giorno e i pub di notte, Miss. Le mie storie e i miei ‘tentativi teatrali’ devono pur avere un non so che di realistico. È la realtà che ispira gli artisti. »
Winter Alease N. Lindholm
Impossibile fu per la fata non reagire a quelle semplici battute e mostrare un sorriso debole piuttosto di una smorfia. E poi perché avrebbe dovuto farlo? Ne era attratta, sentiva la voce profonda scuotere qualcosa dentro di lei, eppure come quando ci si trovava di fronte alle fiamme, si sapeva dentro di sé che si sarebbero dovuti fare alcuni passi indietro. Passò lentamente la punta della lingua sulle carnose labbra prima di distogliere lo sguardo e mostrarsi ancora fredda e distante. « E ora che tipo di sfaccettatura sta dando al destino? Sono curiosa... » Essere curiosa era un tratto distintivo della fata, ma ciò che davvero la contraddistingueva era il fatto che non importava quando potesse essere una cosa pericolosa, Winter era determinata a farla sua se le interessava. « Mi sta dicendo, dunque, che potrei rivedermi nelle sue opere? Interessante... Ma sono rimasta colpita dal fatto che un uomo come lei possa essere così eclettico. E' come il giorno e la notte, due realtà che si alternano. Le stesse sensazioni che mi spinge ad avvicinarmi a lei, Mister Borrison, fiducia e al contempo pericolo... Dunque qual è la realtà? »
Joseph Borrison
* Semplici battute eppure all'interno di esse vi si contorcevano, come serpi, pensieri pericolosi, anime infuocate dall'odio o forse dall'adorazione. Era su quel confine molto sottile che il Borrison camminava in punta di piedi senza saperlo. Il fuoco che corrodeva la mente del giovane Dooddrear, ma anche il proprio cuore, caratterizzato da un'impulsività feroce, sembravano placarsi mentre il suo sguardo si rivolgeva verso una bellezza che non avrebbe mai potuto avere confronto con nessuno. La giovinezza della donna, ma anche il suo sorriso, ora come ora, parlavano a quella mente violenta. Ma cosa sussurravano a quel dooddrear? Probabilmente suggerivano alle orecchie audaci dell'uomo che ogni bellezza aveva i propri segreti e che l'opera teatrale a cui stava partecipando era soltanto il preludio di una distruzione, d'altra parte non vi era bellezza senza distruzione e non vi era distruzione senza il sorriso del nemico. Lo sguardo di Joseph si perdette per qualche secondo mentre seguiva le mutazioni dell'espressione della dea che in quel momento si presentava ancora fredda e distaccata. Quel modo di fare lo faceva divertire, avrebbe dovuto ammetterlo. I pensieri di Joseph, a quel punto, furono ben più chiari: la sfaccettatura personale sul destino coincideva in quel caso con il beffeggiare del destino stesso. Pura poesia, pensò. * « La stessa del destino stesso. Cerco di non distaccarmi molto dai significati più puri che esso ci comunica. Non vede la mia tranquillità e il suo parer disgraziatamente distaccata? Non sente l'ironia corrodergli la pelle, la gola, la mente? » * Disse, rigirandosi probabilmente le sue stesse parole. Joseph era un artista e questa era una dote che aveva da sempre allenato e che lo divertiva quando l'applicava fuori dai teatri. L'intervento della sua interlocutrice non potette che incuriosirlo. Lo vedeva davvero eclettico? Un re poteva essere anche eclettico? Ora, quella domanda l'avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni. * « Tutto può filtrare nelle mie opere. L'opera è il teatro del mondo e il mondo è il teatro dell'opera, ma questo penso che lei lo sappia già. Forse. Sono il giorno e la notte perché sono tutto. Il principio e la fine di ogni opera, di ogni vita, di ogni città esistente nell'anima altrui. Miss Lindholm, le svelo un segreto: la realtà è quella che la nostra mente vuole perseguire e nella mia mente io sono un re. » * Finì con l'inclinare un po' il capo ed incantarsi alla sua presenza. *
Winter Alease N. Lindholm
Sensazioni contrastanti sembravano dibattersi all'interno dell'animo della fata in quel momento, la stessa sensazione della paura, del pericolo, eppure anche del bisogno di proseguire lungo quella strada. Provava attrazione, fascino perfino, nei confronti di quell'uomo che gridava pericolo, ma il bisogno della fata di mettersi nei guai era ormai famoso. In fondo che senso avrebbe avuto in quel momento tirarsi indietro? Il sorriso che era comparso sulle di lei labbra era ancora lì, pronto ad ampliarsi e ugualmente in attesa di quella replica che non tardò ad arrivare. « Un re... » Ripeté tra sé e sé la fata la quale non riuscì a non soffermarsi su quelle stesse parole. Era questa la visione che l'uomo aveva di sé, Ravenfire era il suo dominio eppure in cuor suo lo sapeva, come sapeva che ogni re doveva avere la propria regina. E che cosa avrebbe dato per riuscire a vedere una sua opera? Tutto, ecco che cosa avrebbe dato. Era incuriosita dall'uomo che ora stuzzicava non solo il suo aspetto esteriore ma soprattutto quell'arte che Joseph non sembrava condividere con tutti. « Giorno e notte, è tutto, ma attenzione tutto è anche il nulla... E lei non può essere nulla. E ora le svelo io un segreto... » S'avvicinò di un passo costringendosi perfino a mettere una mano sul suo petto con la paura che potesse ustionarsi con quel semplice contatto. Aveva bisogno di una minor distanza in quel momento, un bisogno primordiale che avrebbe potuto costarle caro, ma erano parole che doveva in quel momento pronunciare. « Non dovrebbe essere un re solamente nella sua mente... C'è un mondo che l'aspetta, che ci aspetta, sta solamente a noi prendercelo. » Un angolo delle labbra si alzò prima di ritrovarsi a mordicchiare quello inferiore. Fu un sguardo lungo quello che si scambiarono. Parole non dette furono sussurrate attraverso i loro occhi, ma fu la fata a compiere il primo passo indietro ed allontanarsi.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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daphneadamantine · 4 years
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     ✨💥     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐝𝐚𝐩𝐡𝐧𝐞 𝐚𝐝𝐚𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢𝐧𝐞  &  𝐞𝐦𝐦𝐚      ❪    ↷↷      mini role ❫      raven's            cafè      08.06.2020   —   #ravenfirerpg
Troppe erano le giornate che portavano la giovane veggente a chiedersi se non poteva essere tutto diverso, la vita, il suo modo di essere. Quante volte, perfino, s'era chiesta come sarebbe stato essere una giovane ragazza umana, senza i poteri che la madre le aveva trasmesso. Un poco invidiava la sorella, più piccola di appena qualche anno, eppure Daphne non avrebbe mai cambiato la sua vita con quella della sorella. Abbracciava completamente il suo lato sovrannaturale, eppure il pensiero di come sarebbe stata la sua vita al di fuori di Ravenfire sfiorava qualche volta la di lei mente. Quel lunedì mattina, tuttavia, prima di dirigervi al college per una delle ultime lezioni, Daphne s'era fermata in uno dei luoghi simbolo della cittadina della Virginia, il Raven's Cafè. Ordinò un caffè, lungo con una leggera spruzzata di latte e rigorosamente con una bustina di zucchero, prima di voltarsi e osservare il volto di una delle persone a cui era più legata, Emma. Un sorriso sincero velò le di lei labbra prima di alzare una mano e indicarle dove si trovasse. Entrambe le giovani ragazze avevano il loro bel da fare con il loro passato, eppure erano riuscite a trovare il loro punto di contatto.
« Allora non ti sei persa... Caffè? »
Emma Corinne Seidel
* Era davvero difficile per Emma alzarsi la mattina presto per andare al College, era una grande dormigliona, complice il fatto che spesso stesse sveglia fino a tardi la notte e di conseguenza alzarsi risultava poi molto più difficile del normale, ma con un po' di buona volontà ed una decina di sveglie puntate, riusciva a frequentare le lezioni con una certa regolarità. Quella mattina, però, prima di dirigersi al College, aveva un appuntamento con un sua cara amica alla caffetteria principale della città, così dopo essersi preparata ed aver assimilato per qualche decina di minuti un po' di raggi solari, era uscita di casa, raggiungendo il luogo stabilito. Cercò con lo sguardo Daphne, fino ad individuarla seduta ad un tavolo, raggiungendola con ampie falcate ed un sorriso cordiale, lo stesso che stava riscoprendo giorno dopo giorno, adesso che la vita sembrava essere tornata a volerle bene un po' di più. * « La nona sveglia è sempre quella vincente. » * Rispose, facendole capire che il suo ritardo era stato dettato dal suo sonno che non voleva abbandonarla per alcun motivo. Si sedette al tavolo con lei, dandole la sua attenzione. * « Sì, ne ho decisamente bisogno, ne ordino uno o saluterò il professore dal fondo dell'aula prima di nascondermi a dormire. »
Daphne Adamantine G. Shape
Era difficile individuare un solo motivo per cui le due giovani fossero amiche, ma la Shape sapeva che poteva fidarsi della fata, soprattutto conoscendo tutto ciò che entrambe avevano affrontato tempo prima. Le conseguenze di azioni così importanti si ripercuotevano sulla loro vita di tutti i giorni, ma passo dopo passo, Daphne aveva ripreso la vita di tutti i giorni, dividendosi tra lo studio fotografico e il college, scenario principale della sua vita a Ravenfire. Non dovette attendere più di qualche istante prima di intravedere la giovane amica avvicinarsi e farle così cenno di accomodarsi. Era ormai una tradizione la loro, come lo era il fatto che fosse la veggente ad aspettare la fata, soprattutto quando il loro appuntamento era per la Seidel ad un orario che era simile all'alba. « Fatto tardi ieri sera, eh? » Domandò sorseggiando il suo caffè ancora caldo. Era ormai dipendente dal caffè, ma per quella bevanda scura, non avrebbe fatto alcunché a riguardo. L'aroma e il gusto scivolò lungo la sua gola prima di ridacchiare alle parole dell'amica. « Te lo concedo solamente se mi racconti ogni cosa... Dimmi che c'è qualche ragazzo di mezzo e illumina la giornata a questa povera veggente che ormai sta vivendo una vita piatta... »
Emma Corinne Seidel
* Fermò una cameriera di quella caffetteria che prese la sua ordinazione, così che la sua bevanda potesse giungere presto mentre stavano a conversare, senza rischiare di fare tardi a lezione. Era ancora un po' assonnata, anche se si era tirata in faccia dell'acqua fresca mentre correva a prepararsi per uscire, ma ormai era abituata a quella situazione ed ai risvegli traumatici, da grande dormigliona che era. * « Diciamo che tra una cosa e l'altra mi sarò addormentata passate le quattro. » * In effetti quando si era accorta di che ore fossero si era meravigliata anche lei, era vero che il tempo passava velocemente quando una persona si divertiva o semplicemente stava bene con qualcuno, era proprio quello che era accaduto alla fata la sera precedente. * « Potrebbe esserci un ragazzo, ma prima che tu ti metta a gridare, non è nulla di quello che ti stai immaginando. Sono alcuni giorni che mi scrivo fino a tardi con un ragazzo che ho conosciuto su instagram per puro caso. E' anche venuto a trovarmi a lavoro e quindi non è un cinquantenne depravato. E' molto simpatico e carino. » * Damien era il suo nome, un ragazzo apparso dal nulla nella vita di Emma, di cui ancora sapeva poche cose, ma che a carattere si prendevano molto e la faceva stare bene, senza sentirsi giudicata, ma piuttosto invece capita. *
Daphne Adamantine G. Shape
Il tono usato dalla veggente era davvero giovale ma soprattutto privo di alcuna invidia nei confronti dell'amica. L'invidia, il rosicare per situazioni altrui erano sentimenti del tutto estranei alla Shape, la quale preferiva di gran lunga sostenere chi aveva accanto. Certo, il più delle volte avrebbe voluto vivere una vita diversa, ma mai avrebbe fatto cambio con quella di qualcun altro. Attese il tempo necessario che Emma si sistemasse ed ordinasse il suo caffè prima di sentire quella replica che la mise decisamente in agitazione. Dovette, infatti, trattenersi nell'udire la sua replica, respirò a lungo ma solo quando picchiettò le sue stesse dita le une con le altre, Daphne si volse in direzione della fata.
« Uhh allora la faccenda è seria... E non fare quella faccia, sai perfettamente che sono curiosa di natura. »
Le strizzò l'occhiolino prima di bere un sorso di caffè e tenersi così impegnata. Conosceva la storia della Seidel, erano amiche ormai da diverso tempo, sapeva anche che la sua titubanza era più che comprensibile, ma Daphne era certa del fatto che quando sarebbe stato necessario lei sarebbe stata al suo fianco per sostenerla.
« E' sexy, almeno? »
Emma Corinne Seidel
* Sapeva che chiedere a Daphne di non urlare all'udire quella notizia era uno degli sforzi più grandi che potesse fare e quasi Emma si stava mettendo a riderle nel vederla sulle spine, mentre si mordeva letteralmente la lingua pur di non dire una parola, almeno fino a quando il cameriere non se ne sarebbe andato. Infatti fu subito pronta a farle le domande che si aspettava, domande di routine, che però le facevano piacere. Era da tanto che Emma non aveva una conversazione di questo tipo su un ragazzo, nella sua vita non era più entrato nessuno, anche per sua scelta, perchè non era assolutamente pronta ad una conoscenza di quel tipo, ancora adesso aveva dei dubbi, ma si era prefissata di andarci con i piedi di piombo. * « Sexy, sì lo è. E' particolare come ragazzo, ma devo ammettere che ha un fascino che non mi aspettavo. Mi ha colpito in positivo. Inoltre si è subito mostrato con me gentile, rispettoso, ma anche divertente. Ha saputo tenere in piedi lunghe conversazioni senza mai cadere nel banale e mettendoci quel pizzico di pepe che non guasta mai. Sa il fatto suo. » * Decisamente la fata ne era rimasta colpita, fin dal loro primo scambio di messaggi, nati per caso, un po' per noia, ma che subito li avevano portati ad incontrarsi il giorno dopo e a vedersi quelli successivi. * « E' anche un po' più grande, se non ricordo male ha detto di avere tipo venticinque anni. »
Daphne Adamantine G. Shape
Tenere a freno una persona come Daphne era un qualcosa che assomiglia spesso come una delle sette fatiche di Ercole, e il fatto che il cameriere avesse impiegato più tempo del dovuto a servirle, stava facendo fremere la veggente. Era curiosa di sapere chi avesse occupato la mente della fata, in primis perché ogni volta che l'argomento fosse un ragazzo, parlarne era d'obbligo, e successivamente perché aveva visto in lei in luccichio negli occhi che la diceva lunga. Ascoltò con attenzione ciò che Emma le sta dicendo e un sorriso sempre più ampio fece la sua comparsa. « Sembrerebbe allora che questo ragazzo abbia delle potenzialità, eh? » Domandò quasi retoricamente ma con quello sguardo che la diceva lunga. Le storie della fata e della veggente si intrecciavano l'una all'altra, e la Shape sapeva benissimo quanto potesse essere difficile rimettersi in gioco, eppure apprezzava ed era orgogliosa di ciò che Emma stava facendo. « Prima o poi devo conoscerlo... Assolutamente! »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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cirifletto · 4 years
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La Bicicletta In Arte: 15 Opere Per Un Ritratto Sui Pedali
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La bicicletta e l'arte. Cambiano periodi, colori, società e tecniche ma per molti artisti la bici rimane sempre protagonista. La bicicletta, a tutti gli effetti, per valore, per qualità e per prestazioni, può essere considerata come una vera e propria opera d'arte. In alcuni casi venerata. Ma anche il mondo dell'arte e degli artisti ha, da sempre, conservato un posto importante per il ciclismo e la bicicletta. Infatti, il binomio tra bici e arte, negli anni, ha sempre generato opere di un certo livello. Sono molti gli artisti (scultori, creativi, designer, soprattutto pittori) che hanno messo le due ruote al centro della loro vena creativa. Il futurismo la fa senza dubbio da padrone, con le due ruote che scesero in pista su tele, tavole e cartoni degli artisti ispirati dalle idee "dinamiche" di Filippo Tommaso Marinetti. Perciò ecco rappresentata la bici, e il ciclismo, con le opere di 15 artisti che hanno raccontato questo mezzo in epoche diverse. Colori, tratti e tecniche a disegnare una società che cambia, ma con la bicicletta sempre protagonista.
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Jean Metzinger, "Al velodromo", olio e collage su tela, 1912
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Natalija Goncharova, 'Il Ciclista', olio su tela, 1913 Durante il Futurismo.... Anche la pittura esalta la bicicletta, con numerosi dipinti all’insegna della velocità, in una "sensazione dinamica eternata come tale". Secondo iI Manifesto della Pittura Futurista, infatti, "tutto si muove, tutto volge rapito; una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono."
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Umberto Boccioni, "Dinamismo di un ciclista", olio su tela, 1913
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Gerardo Dottori, "Ciclista", pastello su carta, 1914
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Mario Sironi, "Il ciclista", olio su tela, 1916
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Fortunato Depero, "Ciclisti", olio su tela, 1922
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Alberto Savinio, "Passeggiatrice in riva al mare", tempera su masonite, 1947
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Aligi Sassu, "Ciclisti in salita", olio su tela, 1951 La bici incarna il mito dell’uomo liberoAligi Sassu
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Mario Schifano, "Solo", olio su tela, 1984
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Fernandez Arman, 'Velò', bicicletta sezionata e smalto su tela, 1998
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Antonio Tamburro, "Ciclisti", olio e acrilico su tela, 2008
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Marco Lodola, "Maglia rosa", neon perspex e smalti, 2011
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Chris Gilmour, "Bicicletta a motore", colla e cartone, 2011
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David Gerstein, 'Peloton Waves', scultura da parete in acciaio ritagliato a mano e verniciato a laser, 2018
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Miguel Soro, "Alberto Contador", olio su tela, 2019 La bicicletta è l’immagine visibile del ventoCesare Angelini Ciao da Tommaso! Vieni a visitarci sulla nostra pagina Facebook e Metti il tuo MiPiace! Condividi il nostro articolo sui tuoi social >> Read the full article
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blog-melacque-role · 5 years
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 Hᴏɢᴡᴀʀᴛs's Qᴜɪᴅᴅɪᴛᴄʜ Pɪᴛᴄʜ 𝑀𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 1977 #ArestoMomentumRpg                      Pandora «I Grifondoro si allenano, vuoi venire con noi?»
Laurel le sfiorò il viso con la punta delle dita, in un gesto che doveva essere confortante ma che invece la fece sussultare, i pungi stretti sul tavolo. I Corvonero si scambiarono furtivamente sguardi preoccupati. Pandora sembrava…sciupata, spenta. I capelli spettinati, occhiaie scure come lividi contro il candore di una pelle bianchissima, le ossa sporgenti, …e poi c’erano gli incubi. La prima notte aveva svegliato la sua camerata, le grida angosciate a malapena soffocate dalle tende del letto a baldacchino. Dopo la terza le ragazze le avevano lasciato la stanza, intrufolandosi nei letti di amiche e conoscenti.
«Mi farebbe molto piacere Laurel.»
Sorrise cordialmente alla giovanissima amica, stringendosi ancor più nel leggero maglione di lana della sorella. Forse non sarebbe mai più tornata a ridere con la stessa leggerezza di un tempo, ma avrebbe almeno fatto in modo di migliorarsi, cercando aiuto lì dove sapeva avrebbe potuto trovarlo.
(…)
Lo aveva atteso al di fuori degli spogliatoi, rigirandosi tra le dita i ciondoli della collana, la luna e la fiamma, che alla morte della sorella si era coperta di un velo opaco. Sirius Black si era però attardato e dopo aver salutato con un cenno del capo i suoi compagni di squadra Dora si era avventurata in quel mondo a cui, ne era certa, non sarebbe mai appartenuta. Il vago sentore di sudore misto a cera e qualcosa che non riuscì a identificare la assalì non appena varcò la soglia sacra ai giocatori di Quidditch. Si avventurò tra armadietti e panche nervosamente, sperando sinceramente di non intrudere in un momento privato, o di trovarlo nudo con una ragazza (o nudo e basta). Lo trovò (vestito) seduto su una panca, chino su una scopa.
«Sirius Black?»
Le sue labbra si inclinarono verso l’alto, in un sorriso gentile ma che non aveva nulla del calore di un tempo.
«Mi dispiace disturbarti…»
Tentennò, spostando il peso da un piede all’altro. Forse non sarebbe dovuta venire, forse avrebbe potuto trovare quello che cercava in biblioteca, eppure…eppure Artemisia era morta, brutalmente, e il nervosismo che una volta l’aveva pervasa sembrava aver perso ogni ragione di esistere. Fissò il suo sguardo in quello del ragazzo.
«Ho bisogno di aiuto»
                    Sirius Pandora era come una sorella minore per Sirius. Piccola, fragile e innocente. Quando i suoi pensieri si soffermavano sulla giovane, sorrideva; divertito e, al tempo stesso, intenerito dall’immagine della piccola amica. Tuttavia, il giorno in cui, malauguratamente, sulla Gazzetta del Profeta, lesse quanto accaduto alla sorella di lei, il suo modo di vederla cambiò. Pandora, mutò. Il suo volto si velò di un’oscurità, di un grigiore, che a percepirla, lui avrebbe solo voluto strappare via con forza. Liberandola. La medesima foschia velenosa, intrinseca di morte, da cui suo fratello Regulus era tanto affascinato, l’aveva spenta. Gli si stringeva il cuore. Naturalmente, la vita del Grifondoro era proseguita. Quel pomeriggio di maggio ad esempio, l’aveva dedicato interamente al Quidditch. Lo aiutava a ritrovare un equilibrio, a sfogare tutto l’odio che covava verso il ragazzo ingrato e privo di principi morali che credeva ancora di essere. Perché lo scorso anno aveva quasi ucciso Severus; era fuggito di casa, lasciando solo suo fratello; aveva fatto della violenza la sua valvola di sfogo, e - peggio ancora - la giusta moneta con cui ripagare studenti come Mulciber o Avery. Dunque aveva passato l’intero pomeriggio a giocare. L’amaro al petto… ma ridente e spensierato. Finito l’allenamento, si era diretto agli spogliatoi con i suoi compagni. Nel caos di chi si faceva una doccia e di chi invece parlava concitato a proposito della strategia appena appresa, Sirius era rimasto seduto sulla panca a ridere e per il sedere pallido di James e per gli insulti rivolti alla squadra di Serpeverde che non potevano non essere lanciati. La scopa adagiata sulle gambe, intento a sistemare i crini della coda, si accorse della ragazza solo quando questa pronunciò il suo nome. Sollevò il capo ed accantonò di lato il manico di scopa. Stupito e preoccupato che fosse successo qualcosa, quasi involontariamente si alzò, lanciando prima uno sguardo a James; come a dirgli “se non torno pensaci tu alle mie cose”. Le avrebbe circondato le spalle, parlandole poi con il capo chino, ma la vide animata da una fermezza particolare e il tono con cui parlò glielo confermò. « Andiamo da un’altra parte, vieni. »
                    Pandora Seguì Sirius a capo chino, la mente pervasa dal dubbio e da quella tristezza sconfinata che sembrava non abbandonarla mai. Giunsero infine in una parte dello spogliatoio abbandonata, armadietti dalle porte divelte facevano da cornice a scope spezzate abbandonate a mucchi in ogni angolo della stanza; vecchi poster ingialliti mostravano immagini sorridenti di giocatori di cui nessuno conosceva più i nomi (o, almeno, di cui lei non sarebbe mai stata in grado di riconoscere i volti). Prese posto su una panchina, lo sguardo ancora rivolto a terra, le mani intrecciate nel maglione di lana, un sospiro sulle labbra. «Mi dispiace averti disturbato, ma non saprei a chi altro chiedere aiuto.» Per la prima volta in vita sua Pandora Moore aveva prestato piena attenzione alle voci di corridoio, aveva cercato di comprendere chi, nel corpo studentesco, sarebbe stato in grado di insegnarle quanto le sarebbe servito. Si sussurrava che Sirius Black fosse uno dei migliori duellanti della scuola e, nonostante alcune voci narrassero di imprese alquanto improbabili, Dora aveva deciso di fidarsi. Fresco nella sua memoria era ancora il ricordo di come aveva accettato di rispondere alle lettere delle sue ammiratrici; la giovane Corvonero non si sarebbe mai potuta dimenticare del sorriso sornione di Laurel quando le aveva mostrato la lettera. Poteva soltanto sperare che si rivelasse altrettanto gentile con lei. «Hai sentito parlare di quanto accaduto la notte di Pasqua?» Gli rivolse uno sguardo fugace, attendendo per alcuni istanti la sua risposta. Riprese a parlare solamente quando egli confermò di conoscere, almeno in parte, quanto accaduto quella notte. «Mia m-madre…» La voce si spezzò e Dora non poté fare altro che abbassare lo sguardo, le lacrime agli occhi. Da quando aveva seppellito la sorella non aveva versato una sola lacrima per quella morte precoce e ingiustificata, ma le parole della madre, il veleno che l’aveva assalita non appena varcata la soglia di casa, sembravano aprirle una voragine in petto ogni volta che la sua mente vi si soffermava. Ricominciò. «Mia madre sostiene che è colpa mia. Che sarebbe stato meglio che nascessi senza poteri per quanto io sia in grado di usarli.» Penelope Moore non si era risparmiata, aveva rivolto parole talmente dure alla figlia da far trasalire anche il padre. E quando alla fine si era scaraventata contro Pandora, con unghie, calci e pugni di cui la giovane avrebbe per sempre portato i segni, aveva pronunciato la verità assoluta ed innegabile: sarebbe stato meglio che fosse stata lei a morire e non Artemisia. «In parte era rabbia, ma mia madre non pronuncia mai parole a vuoto. So che non potrò mai raggiungere il livello di un Auror, ma mi chiedevo se potessi almeno insegnarmi a duellare.» Incrociò nuovamente il suo sguardo, un’espressione seria e determinata in volto. «So che hai molto da fare, se non hai tempo, non devi esitare a rifiutare la mia richiesta.»
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ginnyoceane · 5 years
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     ✨💄     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄       𝐠𝐢𝐧𝐧𝐲 𝐫. 𝐨𝐜𝐞́𝐚𝐧𝐞 &  𝐝𝐫𝐚𝐲𝐜𝐞 𝐢𝐰𝐚𝐧       ❪    ↷↷     mini role ❫       long            night       12.05.2019  —  #ravenfirerpg
Era domenica sera e vi era un solo posto in cui la veggente era diretta in quel momento: il Long Night. Ormai erano giorni che non vedeva Drayce, e tra i vari turni al The Wolf Hole, le serate al Long Night e i vari impegni della veggente con il college e lo studio fotografico diventava sempre più difficile per i due amici potersi incontrare. V'erano stati alcuni messaggi eppure la veggente sentiva in qualche modo che non tutto era stato detto, soprattutto dopo gli eventi di alcuni mesi prima in cui aveva visto Ginny finire in ospedale. Ormai le ferite erano guarite, la sua dipendenza da antidolorifici s'era affievolita notevolmente, e tenersi occupata era stata la strada migliore per poter recuperare la sua routine. Giunse al locale all'imbrunire della sera, osservando tutte le persone che popolavano quel locale ormai divenuto uno dei più famosi in città. Vestita di tutto punto, con un paio di jeans attillati, stivaletti e una t-shirt nera, Ginny non ci aveva pensato due volte a uscire e dirigersi nell'unico luogo in cui era certa di trovare l'amico. Diede un'occhiata veloce alle persone presenti ma solo quando vide i capelli biondi svettare intento a prepararsi probabilmente per la serata, un sorriso velò le labbra della Lagarce.
« Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto... Per cui eccomi qui! »
Drayce Iwan Reynolds
* Il luogo sicuro in cui tutti potevano trovare Drayce almeno una volta al giorno era sicuramente il Long Night, una una seconda casa per il dooddrear, dove metteva cuore e anima per assicurarsi ogni volta che il locale fosse nella sua forma più smagliante. Teneva al suo lavoro, teneva alla sua passione e quel locale gli dava modo di far combaciare entrambe le cose. Era un dipendente modello ed anche uno di quelli che lavorava lì da maggior tempo, era soltanto un ragazzino quando aveva risposto all'annuncio in cui cercavano nuovo personale e lui, alle prime armi, aveva deciso di buttarsi e cogliere così la grande occasione che gli si era presentata. E fu in una sera come tante altre, che ebbe la piacevole visita di Ginny, sua fidata e amica di vecchia data, che regalava ogni volta un caloroso sorriso quando la vedeva. Era da un po' che non aveva il piacere di trascorrere il tempo in sua compagnia, troppi impegni e vite differenti avevano messo degli ostacoli sul loro percorso, ma l'affetto che li univa non si era affievolito di certo. * « Io sarei Maometto e tu la montagna? »
Ginny R. Océane Lagarce
La Lagarce non ci aveva pensato due volte a presentarsi al Long Night per vedere uno dei suoi migliori amici. Ciò che era accaduto durante le ore della maratona cinematografica era ancora piuttosto scolpito nella sua mente, ma ciò che le serviva in quel momento era parlare con Drayce. Quella spensieratezza che entrambi avevano e che li legava era come una sferzata d'aria fresca in una giornata afosa. Il sorriso dipinto sulle labbra della veggente divenne più ampio non appena lo sentì replicare. « Mh, potrebbe anche essere il contrario... Tu assomigli più alla montagna, non credi? Ad ogni modo... » Scosse appena i capo e diede una rapida occhiata su ciò che stava combinando in quel momento. Il locale si sarebbe riempito da lì a breve ma sperava di avere a disposizione un po' di tempo. « Come stai? Sono giorni che non ti fai più sentire... Ti prego non dirmi che sei stato tu ad essere arrestato ma qualche anima pia ti ha pagato la cauzione mentre io ero immersa nei libri... »
Drayce Iwan Reynolds
« Stai per caso dicendo che sono grasso? » * Disse corrugando la fronte, anche se era palese che stesse scherzando, loro due erano così, scherzavano, si divertivano ed erano sempre leggeri l'uno con l'altro, rivelandosi la loro una delle amicizie più belle che il biondo potesse avere e desiderare. Erano molto simili e questo lo potevano vedere chiunque, perfino chi non li conosceva ancora. * « Che tu ci creda o no, non vengo arrestato da tanto tempo, mi sono comportato bene, ma questo perchè non ho avuto tanto tempo libero da dedicare a qualche sana e divertente marachella. Ho lavorato molto ultimamente, ho dovuto coprire anche dei turni altrui. Quindi sì sto bene, anche se un po' stanco, solo poco poco. Tu, invece? » * Era sempre un vulcano di energie, sentir dire da Drayce che era stano era un evento più unico che raro, significava davvero che aveva dovuto faticare molto in quegli ultimi giorni. *
Ginny R. Océane Lagarce
La Lagarce aveva perlustrato il locale con lo sguardo, persone che mano a mano entravano accomodandosi e ordinando da bere, e quella sensazione di pace che il Long Night poteva dare. Quante serate aveva trascorso lì la veggente ad ascoltare l'amico che ora aveva un'espressione assolutamente corrucciata. La veggente alzò gli occhi al cielo dapprima, e successivamente scoppiò a ridere come erano soliti fare. « In verità era un complimento, non grasso ma grande e grosso... » A stento riuscì a trattenersi, e solo quando smise ed ascoltò le successive parole dell'amico. Era difficile conoscere qualcuno con cui avere un legame così stretto, soprattutto un vulcano di energie che comprendeva perfettamente anche tutte quelle stranezze della Lagarce che aveva quando era più piccola. Senza nemmeno chiedere il permesso, Ginny con un leggero salto si sedette su un altoparlante, piegò un ginocchio e appoggiò con il piede sulla stessa superficie su cui era seduta. « Tu che ti comporti da bravo ragazzo?! Okay, c'è decisamente qualcosa che non va, ergo perché non vuoti il sacco? Non si tratta solamente di stanchezza... Ad ogni modo, io sto bene. Ho decisamente affrontato momenti migliori, soprattutto dopo l'aggressione della Maffei, ma non posso lamentarmi. Sai ho incontrato anche Leander... »
Drayce Iwan Reynolds
« Grande e grosso come una montagna? Non troppo dai, ancora non sono a quei libelli, anche se ho discreti muscoli, ma non punto a quelli per stupire le persone. » * Era allegro, quella sera come era solito essere, anche nei momenti peggiori cercava di mostrare il lato migliore, o meglio positivo di se stesso, perchè non voleva che gli altri si preoccupassero per lui, non troppo. Era bravo a mascherare tutto, anche se quella sera era sincero, non aveva particolari pensieri che lo attanagliavano, voleva soltanto divertirsi mentre lavorava e passare una piacevole serata al locale senza badare troppo alla stanchezza che a lungo andare perfino per un vulcano di energie come lui si faceva sentire. * « Difficile da crederlo, ma sì, forse mi sto avvicinando troppo ai trent'anni e questo mi influenza. Dio non voglio pensare per tra meno di cinque anni inizieranno a cadere i primi capelli. No no no. » * Rise sedendosi insieme a lei su un altro degli altoparlanti posti ai lati del palco su cui lui era solito esibirsi insieme al resto della band. Corrugò la fronte, alla ricerca di un volto da collegare al nome di Leander, non trovando nessun corrispettivo. * « Chi sarebbe questo Leander? E' la prima volta che ne sento parlare. »
Ginny R. Océane Lagarce
Il fare di Drayce così allegro e spensierato era una di quelle caratteristiche che la veggente non avrebbe mai potuto fare a meno, soprattutto perché il dooddrear era il compagno di marachelle, il fedele compagno che non si tirava indietro davanti a nulla. Eppure c'era una cosa che entrambi condividevano, il fatto che entrami indossassero delle maschere ogni volta che si mostravano in pubblico. Nessuno sapeva esattamente che cosa pensasse e dietro a quegli occhi cerulei potevano nascondersi segreti inimmaginabili, sia nel caso della veggente sia in quello del dooddrear. Il sorriso appena accennato della veggente si trasformò in un vero e proprio riso. « Tu non hai bisogno di puntare sui muscoli per fare colpo sulle persone... Basta solo guardarti, ma soprattutto ascoltarti cantare. » Gli strizzò l'occhiolino nel mentre replicava con quel complimento sincero. La sua allegria era contagiosa e non appena la veggente udì il suo commento riguardante il trascorrere degli anni, non poté fare a meno di dargli un leggero colpo, spalla contro spalla. « Oh andiamo, non dirmi che ti preoccupi di come sarai... Da quando sei diventato così narcisista? Pensavo che mi lasciassi il posto d'onore davanti allo specchio... » Ridacchiò divertita, il sorriso furbo sulle labbra prima di stringersi nelle spalle. « E' il fratello di Chelsea, fratellastro... Quando ero bambina non ricordi che lui girava sempre per casa? Siamo usciti un paio di volte ed indovina, mi ha perfino portato alla maratona di Star Wars. E' stata una piacevole distrazione che mi ha permesso senz'altro di fare passi avanti. Ma non è di questo che volevo parlare, sai che cosa succede tra qualche settimana? Okay più di qualche settimana... »
Drayce Iwan Reynolds
« Vorrai dire suonare, perchè se cantassi farei fuggire chiunque a gambe levate, meglio evitare. » * Rise alla sua battuta. Infatti aveva fatto colpo su molte persone con le sue abilità nel campo della musica, essa era una delle cose che più accomunava le persone, perchè tutti, bene o male, ascoltavano le canzoni, le melodie e riuscivano ad emozionarsi là dove le semplici parole non riuscivano a trasmettere le emozioni desiderate. Probabilmente per questo, fin da piccolo, si era rifugiato in un modo fatto di note e spartiti, per riuscire a capire come trasmettere determinate emozioni visto che non era mai stato un granché bravo con le parole, tanto che perfino si sbagliava nel pronunciarle alcune a causa del leggero grado di dislessia che aveva sviluppato durante la prima infanzia. * « Sono sempre stato un amante delle specchio, specie dopo un'adolescenza abbastanza disastrosa, ma tranquilla, non batterò mai il tuo livello di narcisismo, nessuno è come te. » * Non la stava offendendo, ma prendendo solamente un po' in giro, come facevano sempre tra loro, era così il loro rapporto. * « Sì ho presente Chelsea, è la sorella di un mio amico o una parentela di questo tipo, famiglia complicata, quindi immagino anche lui se ha a che fare. Comunque cosa c'entra? Cosa è successo con questo Leander? »
Ginny R. Océane Lagarce
C'era una sola cosa che si poteva accomunare a Drayce e quella era la musica. Non si trattava solamente delle meravigliose canzoni che suonava, ma anche quel senso del ritmo che di certo Ginny non possedeva. Scosse distrattamente il capo ma con quel sorriso velato sulle labbra mentre quel movimento ondulatorio dei suoi piedi aumentò leggermente. Si strinse successivamente nelle spalle quando sentì il nome di Leander e con un lungo sospiro si decise a parlare. « Famiglia decisamente complicata... In realtà non è successo nulla, abbiamo trascorso una bella giornata insieme. E' quasi riuscito a farmi diventare una fan di Star Wars, ma a parte questo è parecchio tempo che non mi sentivo davvero bene. Ma ormai è passato. Detto questo, non mi hai risposto... Sai che cosa c'è tra qualche settimana? » La Lagarce, ancora una volta, cercò di sviare il discorso e portarlo su un terreno più neutro. Sperava che l'amico capisse, ma soprattutto comprendesse come volesse pensare a qualcosa di più frivolo e lasciarsi purtroppo tutto alle spalle. Le persone andavano e venivano continuamente, e la veggente era molto più forte di quanto non volesse ammettere.
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isabelamethyst · 5 years
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Hope&Isabel at Hospital
#RavenfireRpg
*di nuovo, davvero? Perché quei medici erano così stupidi? Parlavano tranquillamente di quello che facevano davanti a lei! Ah già Hope era un fantasma e in quel momento non potevano vederla. Comunque bell’affare. Hope riuscì a sentire i medici parlare di una ragazza. Isabel. Portata da poco in ospedale, volevano fare degli esperimenti su di lei. Non sapeva che ci fosse qualcuno che facesse esperimenti sui pazienti... e se fosse successo anche a James? Voleva vederci chiaro.  Si mise in mezzo si due dottori guardando dove la ragazza era ricoverata. Hope con una velocità mai vista corse per le scale raggiungendo la stanza della ragazza. Voleva vederci chiaro e poi, non voleva lasciarla sola. Purtroppo era impotente. Cosa poteva fare lei da sola contro tutti loro? Entrò nella stanza avvicinandosi al letto prendendo la sua forma umana*
Isabel Amethyst M. Hughes
Ormai Isabel contava i giorni che la dividevano dalla libertà, dal ritornare finalmente alla vita di tutti i giorni. Si sentiva alla grande, in forza, eppure i medici continuavano a ripeterle che fosse un miracolo il fatto che potesse camminare e parlare come se nulla fosse. S'era ripresa in tempi record e ancora non riusciva a credere che dovesse tutto alla sua migliore amica, Ashley. L'aveva trovata nel bosco con ferite non esattamente superficiali, eppure ora sembrava essere sana come un pesce. Le giornate trascorrevano il più delle volte con lunghe passeggiate nei corridoi o più spesso ancora a leggere un libro nel silenzio della sua stanza quando non arrivava qualche suo amico a trovarla. Quel giorno, seduta vicino alla finestra leggeva l'ennesimo romanzo quando sentì una presenza alle sue spalle. Si volse nella sua direzione osservando una giovane che non aveva mai visto prima d'ora, eppure aveva un'aria allo stesso tempo famigliare. « Cercavi qualcuno? »
Hope Laurant
*Hope vide la ragazza voltarsi, le sorrise amichevolmente* Ciao... in realtà no. Ho sentito che c’era una nuova persona ricoverata e... da brava veterana sono venuta a trovarti. Io sono Hope *Entrò nella stanza della ragazza. Le dispiaceva sempre vedere persone ricoverate. Aveva questa strana sindrome da Supergirl dentro di lei*
Isabel Amethyst M. Hughes
Dentro di sé Isabel sentiva qualcosa, ma ogni sensazione che provasse ultimamente veniva messa in dubbio dalla sua razionalità. Che cosa le era successo esattamente? E anche in quell'occasione, non appena la giovane fece la sua apparizione in quella stanza che ormai era diventata la sua casa fino a nuovo ordine, provava una sensazione differente. Ella aggrottò appena la fronte prima di distendere quella semplice V che le si era formata in mezzo alle sopracciglia. Un sorriso appena accennato comparve sulle di lei labbra prima di voltarsi maggiormente e chiudere così il libro che stava leggendo. « In realtà sono qui da parecchio... Ad ogni modo, sono Isabel. » Alzò una mano per farle un cenno per salutarla e allo stesso invitarla così ad entrare. « Però ti ringrazio del pensiero. Se non sono indiscreta, come mai sei qui? »
Hope Laurant
*Hope guardò ogni espressione facciale della ragazza per capire cosa provasse verso di lei. Appena la vide rilassarsi si avvicinò di più entrando nella stanza e allargando il suo sorriso* Ah, allora le voci come al solito ci mettono tempo ad arrivare ai piani bassi *rise per poi giocherellare con le dita delle mani un po’ in imbarazzo* Mi sto curando il cancro... cioè, spero me lo curino. Tu invece?
Isabel Amethyst M. Hughes
V'era qualcosa in quella giovane che spingeva Isabel a rimanere con la guardia alzata, eppure non sapeva dire che cosa fosse. Erano sensazioni assolutamente sconosciute alla Hughes, ma nonostante ciò invitò Hope ad entrare e non avere paura. Posò in grembo il libro che stava leggendo e si voltò in modo da rivolgerle completamente l'attenzione. Un'espressione assolutamente dispiaciuta velò il volto della mora nel sentire il motivo della sua presenza in ospedale. « Mi dispiace... » Disse immediatamente nell'apprendere quella triste ragione. Alzò un angolo delle labbra formando una linea con esse. « Spero davvero che possano fare qualcosa... Nel mio caso, spero solo che mi facciano uscire il più presto possibile, mi sembra di essere in gabbia qui dentro. »
Hope Laurant
*Hope guardò curiosa il libro che la mora aveva poggiato in grembo. Era un suo vizio* Oh, non è un problema. Ci spero, altrimenti che mi chiamo a fare Hope? *non si avvicinò di più alla ragazza, per non darle fastidio. Sembrava quasi squadrarla. Ma lei non aveva fatto niente di male. No?* Ti capisco... ma almeno se aspetti che ti dimettano vuol dire che non hai niente di grave no?
Isabel Amethyst M. Hughes
Isabel non era mai stata troppo brava nell'affrontare quel tipo di problemi, in quanto mai seriamente s'era trovata di fronte ad una situazione tale. Poteva apparire superficiale il più delle volte, eppure sapere che una ragazza così giovane dovesse affrontare un tale male, la metteva in qualche modo a disagio. Allo stesso tempo, tuttavia, doveva ammettere che ammirava non poco l'atteggiamento di Hope. Un sorriso comprensivo velò le labbra della Hughes, la quale si ritrovò ad annuire facendo un leggero cenno del capo. Solo quando vide Hope non avvicinarsi maggiormente, aggrottò appena la fronte? Che fosse lei a tenerla a distanza? « In realtà io mi sento alla grande, fisicamente parlando, ma sembra che i medici vogliano vederci chiaro, e non si aspettavano tempi di ripresa così rapidi... Ecco uno dei principali motivi per cui sono qui. Quindi... Non sai ancora quando ti dimetteranno. »
Hope Laurant
*Hope non riuscì a trattenersi e si avvicinò di più. La sua empatia decideva sempre per lei. In quel momento sapeva quanto potesse essere frustrante per la ragazza rimanere lì dentro con mille domande alla quale i medici tendono molto a darti risposta* Fanno spesso così, certe volte sembra si divertano a tenerci qui e a farci impazzire con “perché non posso andare a casa?” Però sono contenta che tu ti senta bene. È questo l’importante.
Isabel Amethyst M. Hughes
Era distratta la newyorchese che stava cominciando a far vagare altrove la mente come se non fosse realmente lì a parlare con Hope. Qualcosa non andava dentro di lei, qualcosa era cambiato dal rapimento, e la sua mente le stava mostrando immagini mostruose che rappresentavano torture ed esperimenti che mai sarebbero dovuti essere reali. Stava forse impazzendo? Si rese immediatamente conto, nel momento in cui la giovane fece un passo in avanti, che la distanza stesse diminuendo, ma senza attendere oltre alzò una mano come se potesse fermarla. « Io... » Si ritrovò ad inspirare e tutte quelle sensazioni negative avvolsero la mente della Hughes. Sentiva il bisogno di scappare, di andare chissà dove, ma quel timore che proveniva da Hope sembrava sale su una ferita. « Credo di aver bisogno di riposare. »
Hope Laurant
*Hope guardò il volto della ragazza, sembrava spaventata. Fece un passo indietro. Forse era per colpa sua. Non voleva turbarla in quel modo* C-certo... sicura sia solo questo? Se hai bisogno chiamo qualcuno *si stava davvero preoccupando. Il suo umore era cambiato dal giorno alla notte in poco tempo*
Isabel Amethyst M. Hughes
Qualcosa non andava in Isabel, qualcosa di ben più grave delle semplici ferite che aveva riportato dopo che Ashley l'aveva ritrovata nel bosco. La sua mente sembrava essere stata trasportata dove predominavano solamente immagini di dolore e paura, e quell'odore acre di paura sembrava provenire anche dalla sua ospite. Il vero problema era il fatto che quella sensazione che stava provando Isabel era come una droga, incapace di sottrarsi al gusto della paura. Ma che cosa le stava succedendo? « No, io... Credo che sia meglio che rimanga sola. » Il tono di voce divenne più duro, quasi irriconoscibile alle orecchie della Hughes che ora aveva abbassato lo sguardo. Strinse i pugni affondando le sue stesse unghie nei palmi delle mani, cercando di mantenere in qualche modo la calma. « Scusami, io... Non so cosa mi sta succedendo. » Scrollò un paio di volte il capo e solo quando alzò gli occhi sperò che la giovane capisse che non era affatto un buon momento e la sua richiesta era solamente per il suo bene.
Hope Laurant
*Hope piano piano si ritrovò alla porta della stanza. La mora sembrava essere un’altra persona. La cosa la spaventava, sentiva di non potersi fidare. O che qualcosa comunque non andasse* Forse è colpa mia, sono stata troppo invadente e avevi bisogno di riposare *le sorrise debolmente* Allora buon riposo. Se poi vorrai compagnia sono sempre qui che gironzolo.
Isabel Amethyst M. Hughes
Era come se qualcosa spingesse Isabel a comportarsi in modo strano, scostante eppure dentro di lei sapeva che tutto era riferibile al motivo per cui si trovava in quell'ospedale. Che cosa le stava succedendo? Chiuse gli occhi e smorzò un lieve sorriso all'ospite che aveva avuto fino a quel momento fa, sperando che capisse che lo stava facendo per proteggerla. « No... C'è qualcosa che non va. » Ripeté più a se stessa che non a Hope. Si ritrovò così ad annuire con un semplice cenno del capo. « Grazie e scusami... » Non seppe nemmeno il motivo per cui si stava scusando, ma la sua anima era come spezzata a metà, istinto e ragione. Abbandonò il libro sul davanzale della finestra e si rannicchiò maggiormente mentre le mani posate sulla testa, tiravano quei capelli che ricordavano il colore dell'onice. Avrebbe trovato pace prima o poi?
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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lecorrezioni · 4 years
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Morbida, mansueta, la primavera con le sue api ronzanti e i moscerini che le danzavano intorno, si avvolse nel mantello, si velò gli occhi, volse altrove la testa, e tra ombre fugaci e scrosci di pioggia sembrò accogliere in sé la conoscenza del dolore degli uomini.
Virginia Woolf, To The Lighthouse
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sakrum1 · 6 years
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Domenica 24 Marzo 2019 : Libro dell’Esodo 3,1-8a.13-15.
Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". Poi disse: "Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi". Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.
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okmugello · 7 years
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La 21° edizione de Le Velò un grande successo
Sono venti anni, ininterrottamente, che seguiamo il Premio Internazionale Le Velò, da quando cioè un gruppo di amici e sportivi con in testa Riccardo Nencini – all’epoca Deputato al Parlamento Europeo – con accanto il fidato Leonardo Manzani, titolare della Fattoria Il Palagio (ricordiamo fra gli altri Valcareggi, Martini, Baroni, Soldani etc, etc), lunedi  22  dicembre del 1997 organizzarono per…
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eleanordahlia · 4 years
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     👑     —    𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚   &   𝐭𝐫𝐢𝐬𝐡𝐚 𝐢𝐫𝐢𝐬      ❪    ↷↷     mini role ❫      raven's            cafè      22.08.2020  —  #ravenfirerpg
Crescere a New York non era cosa da tutti, ma soprattutto dava la possibilità di avere livelli piuttosto alti su come il caffè doveva essere. La cultura del caffè, infatti, non era cosa da poco, e la scelta indicava il più delle volte il tipo di persona, rivelando molto più di quanto non avessero potuto fare le parole. Ciò che era anche uno dei motivi per cui Eleanor si deliziava il sabato mattina ad osservare il via vai di persone che affollavano la caffetteria per eccellenza di Ravenfire. Osservava, scrutava, rifletteva, ogni sua singola azione era accompagnata da un sorso della bevanda calda che quella mattina era assolutamente priva di zucchero. Attenta ad ogni minimo movimento, non passò inosservato agli occhi della Janssen il movimento di una testa bionda che sembrava essere indecisa su cosa prendere. Ella s'avvicinò lentamente, un sorriso sornione sulle labbra e un atteggiamento che non poteva che essere elegante.
« A volte la scelta del caffè si dimostra ardua, ma dice più di quanto non lo facciano le parole... Macchiato? »
Trisha Iris Davis
Quella mattina Trisha si era alzata presto, dato che restare a letto voleva dire solamente rigirarsi fra le lenzuola senza riuscire a cadere fra le braccia di Morfeo, dunque decise, mentre si vestiva e cercava di coprire le occhiaie di quella notte passata insonne, che si sarebbe concessa una buona colazione fuori casa, per cercare di ritrovare una sorta di buon umore e serenità. Uscì di casa, una volta che si fu sistemata, camminando per le strade della città, cercando di cacciare via dalla sua testa i cattivi pensieri, entrando al Raven's Café e guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa di buono da prendere, essendo indecisa fra le mille tipologie di caffé che avevano inserito nel menù.
« Forse, non saprei. Se volessi latte e caffé prenderei un cappuccino, avrebbe più senso. »
Rispose ad Eleanor quando la donna si avvicinò a lei per fare due chiacchiere. Fra loro non era difficile succedesse ciò, anche se lei non aveva un rapporto stretto con tutti gli esperimenti, ma poteva capire si scambiassero due parole ogni tanto.
« Forse prenderò espresso con un goccio di cioccolato. Ma spiegami, che significa che riesci a capire la personalità di qualcuno dal tipo di caffé che prende? »
Eleanor Dahlia H. Janssen
Era una teoria quella della Davis che poteva essere più che fondata, eppure mai una volta aveva pensato di optare per un cappuccio rispetto al solito caffè macchiato. In fondo la miscela era la stessa, gli ingredienti anche, eppure il gusto risultava essere differente. Un sorriso velò le di lei labbra prima di vedere negli occhi dell'esperimento una stanchezza che traspariva anche dal suo aspetto. Era sempre stata in forma smagliante Trisha, un fisico atletico e occhi azzurri che risaltavano perfettamente sulla pelle d'alabastro, ma in quel momento la newyorchese vide una nota stanca in lei. 
« Espresso con un goccio di cioccolato... Interessante. »
Da sempre incuriosita dai comportamenti umani, Eleanor ridacchiò nel sentire quelle parole. 
« Un po' di rappresenta la nostra scelta, non credi? Ad esempio, hai preso un espresso che di per sé è un caffè corto, da bere in non più di un paio di sorsi, eppure hai optato anche per un goccio di cioccolato, che inevitabilmente ricorda qualcosa di dolce. Insomma vuoi tutto e subito, ma allo stesso tempo sai prenderti il tuo tempo per goderti le cose buone della vita... O almeno questa è la mia teoria. »
Si strinse nelle spalle prima di fare un cenno al barista dietro il bancone e farsi portare così il suo caffè lungo.
Trisha Iris Davis
Osservò la giovane quando mostrò interesse per quello che aveva ordinato, chiedendosi cosa ciò rappresentasse. Non attese molto dato che Eleanor le diede subito la spiegazione che secondo lei rappresentava la sua scelta di un espresso con del cioccolato. Godersi le cose buone della vita? Certo, le sarebbe piaciuto, ma ultimamente la vita cosa le aveva dato di buono? Poteva suonare una frase estremamente vittimista e magari lo era anche, ma Trisha non riusciva davvero a trovare degli appigli positivi ai quali aggrapparsi. « Perdonami, non metto in dubbio tu sia una persona intelligente, ma alle volte i gusti dipendono solamente dai gusti e nient'altro. » Bevve in pochi sorsi, proprio come la dooddrear aveva detto, il suo caffé espresso quando le venne servito. Era molto diretta la Davis, ma in questo si trovava anche d'accordo con la persona che aveva davanti, dall'indole forte, dunque nessuno se la sarebbe presa per quella sua esclamazione, ne era certa.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Ciò che aveva poco prima menzionato la newyorchese era semplicemente il proprio pensiero, che potesse piacere o meno. Altre persone potevano interpretarlo come una baggianata, ma non era né più né meno che la sua opinione. Vide immediatamente l'espressione di Trisha diventare quasi turbata da quel suo pensiero, e in qualche modo ad Eleanor venne in mente l'espressione di Camille. Si strinse nelle spalle l'esperimento, la quale, una volta arrivato il suo caffè si affrettò a berne un sorso. « Non credo che dipenda da intelligenza o meno. Sicuramente sarà anche così... E non nego che tu possa avere ragione, ma non hai nemmeno negato la mia teoria. » Godette di quel sorso caldo che scivolò velocemente e ne assarò l'aroma intenso. Mai avrebbe potuto farne a meno. Sapeva che entrambe avevano in comune più di quanto non ammettessero ad alta voce, ma parlarne apertamente sarebbe stato sempre e solo un rischio. « E indipendentemente dal gusto del caffè, posso dirti che vedere il bicchiere mezzo pieno può aiutare ad andare avanti, per quanto tutti dicano il contrario. »
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foxbikersteam-blog · 7 years
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#Repost @pattylo70 (@get_repost) ・・・ Le prime luci del mattino...sono sempre.le migliori ...🖒😚 ...the first morning lights ...are always..the best ..❤ #svitzerland🇨🇭 #women_on_bikes #passionvelo #mtblife #lifestyle #sportlifestyle #healtysports #movieyourbody #motivation #freemind #freelife #outroad#velò #velotoutterrain #cyclinglife
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isiwebagency-blog · 7 years
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Levelobike negozio di bici alla portata di tutti
Levelobike negozio di bici alla portata di tutti
Essere in rete nel modo giusto Il negozio di bici Le Velò di Chiaravalle, in provincia di Ancona è on line solo da poche ore e già sono numerosi gli utenti che sono andati a visitarlo. I motori di ricerca stanno ancora facendo la loro indicizzazione ma, con i post di Facebook e il buon vecchio passaparola le cose iniziano già ad andare bene. Levelobike.it è un classico esempio di come anche una…
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