#La Bottega della Fotografia
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16 marzo: un finesettimana di mostre a bassano in teverina
Ricevo da Tommaso Cascella e volentieri diffondo: UN FINESETTIMANA DI MOSTRE A BASSANO IN TEVERINA Sabato 16 marzo si inaugurano esposizioni di pittura, scultura, fotografia Le opere di oltre 60 artisti italiani e internazionali sono protagoniste di un fine settimana nel borgo antico di Bassano in Teverina, con quattro mostre in programma. Una significativa occasione per scoprire il suggestivo…
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#Alberto Agostini#Alessandro Agostini#Alfonso Talotta#art#arte#Bassano in Teverina#Edizioni Cervo Volante#Edizioni e Galleria Cervo Volante#Eliana Masulli#ETS#Galleria Cervo Volante#Jessica Moroni#La Bottega della Fotografia#Lucilla Catania#Marco Paolini#Mauro Mellini#Michela Petrocchi#mostre#Rachele Capocecera#Società Lunare#wunderkammer
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Barberino di Mugello: arriva la settima edizione del Mugello Comisc!
Barberino di Mugello: arriva la settima edizione del Mugello Comisc! La settima edizione del Mugello Comics è alle porte! Il 30 settembre e 1 ottobre torna a Barberino di Mugello il Festival del Fumetto, dell’Illustrazione e del Gioco, organizzato da La bottega delle arti varie in collaborazione con Pro Loco per Barberino. Tema di quest’anno è “La bestia dentro”, un viaggio nella parte più oscura del nostro mondo interiore, un’occasione per risvegliare il lato più autentico e forse più pericoloso della nostra essenza. Quindi spazio a bestie fantastiche, vampiri e soprattutto licantropi, come si intuisce dall'illustrazione in locandina firmata da Mattia Sarti. E proprio sulla figura del lupo mannaro sarà incentrata una delle quattro mostre in programma durante il festival, “Quando la luna splende” allestita allo spazio Bouturlin di Piazza Cavour. Bozze, schizzi, studi di quello che diventerà un libro/diario di un licantropo, scritto e disegnato a quattro mani dal nostro Mattia Sarti e dal fumettista livornese Alessandro Balluchi. Altre due mostre saranno visibili, sempre gratuitamente, in Teatro Corsini: “M.M. Memento Mori” di Massimo Miai, tatuatore e illustratore, e “IllustriAmo Montepiano” curata da Anita Barghigiani e ProLoco Montepiano con le illustrazioni presentate alla prima edizione dell’omonimo concorso. Anche la sala di Palazzo Pretorio sarà, come ogni anno, teatro di vari eventi durante tutto il week end. Sabato alle 11.00 si inaugurerà la mostra “Evocazioni dantesche nelle foreste sacre”, curata da Giropoggio, Scuola Internazionale di Comics e 2,8 Fotoclub Firenze che mette insieme illustrazione e fotografia per un progetto che fonde la Divina Commedia agli scenari naturali delle Foreste Casentinesi, visibile fino al 7 ottobre. Si prosegue poi nel pomeriggio con la caccia al tesoro fumettosa organizzata dalla Biblioteca Comunale e all’inaugurazione dello scaffale manga. Domenica 1 ottobre alle 11, sempre in sala di Palazzo Pretorio, la conferenza-spettacolo “Bestie leggendarie della Toscana”, con il professor Matteo Cosimo Cresti, un itinerario attraverso luoghi storici della Toscana, alla scoperta delle bestie favolose che animano le leggende e le tradizioni regionali. Cuore pulsante del Festival sarà come ogni anno la mostra mercato - ancora più ricca di stand a tema - e la Via degli Artisti che vedrà fumettisti e illustratori all’opera durante tutto il weekend. Tra questi ricordiamo la presenza di Gradimir Smudja, illustratore serbo di fama internazionale, e Wally Pain, giovane illustratrice calabrese che ha da poco pubblicato il suo primo libro “Corpi”, edito da Feltrinelli, con il quale abbatte ogni tipo di pregiudizio sull’amore e l’eros. Spazio anche alla formazione con due workshop di fumetto con Diego Bonesso, disegnatore, tra le altre cose, di DragoNero, rivolti ai ragazzi dai 16 anni in su, in programma alle 16 di sabato 30 e di domenica 1 ottobre (per info [email protected]). Grande novità di questa settima edizione, la finale del Fuori di Contest, il contest rivolto a band emergenti organizzato in collaborazione con Love Records. L’appuntamento è sul palco di Piazza Cavour sabato alle 17.30 per ascoltare le sei band finaliste in concerto! Tra gli eventi più attesi, l’ormai classica Thortellata con gli artisti al Circolo Arci Bruno Baldini per il pranzo della domenica, uno dei momenti più belli del festival che unisce ospiti, visitatori e organizzatori. (prenotazioni con messaggio whatsapp al 333 9077615). Non mancherà certamente l’animazione con i Fantasy Real Dreams e Florence Knights ed i loro combattimenti coreografici nell’arena di Piazza Cavour. Sempre in piazza, tra le novità, ’allestimento di uno skate park in collaborazione con Red Park, scuola mugellana di skateboard che farà provare evoluzioni sulla tavola sia a grandi che piccini. Tra gli appuntamenti immancabili per gli appassionati di giochi da tavolo e giochi di ruolo, ci sono quelli ai tavoli allestiti da Mugello Boardgame e Kraken aps, pronti a farvi vivere mille avventure nella Via del Dado. A conclusione dei due giorni di Festival, l’imperdibile Gara Cosplay alle 16.00 sul palco di Piazza Cavour in collaborazione con Azione Cosplay e la consegna del Premio Gigante del Mugello! “Mugello Comics nasce sette anni fa da un’idea coraggiosa, innovativa e lungimirante di alcuni giovani barberinesi, commenta l’Assessore alla cultura del Comune di Barberino Fulvio Giovannelli. Ritrovarsi oggi alle porte del via alla sua settima edizione non solo rappresenta un gran bel traguardo, ma anche il proficuo risultato del grande lavoro di sensibilizzazione e coinvolgimento che tutte le persone impegnate nel progetto hanno portato avanti in questi anni. Un plauso ed un grande ringraziamento quindi ai ragazzi ed alle ragazze del “Mugello Comics”, alla loro passione ed alla loro energia positiva che riesce ad entusiasmare ed avvicinare anche i giovani e giovanissimi di una fascia di età a cui non sempre è facile rivolgersi”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Festa di Santa Rosalia 2023 a Palermo
Il programma religioso, dal 10 al 15 luglio, del 399° Festa in onore di Santa Rosalia e l’avvio del cammino diocesano lungo l’Anno Giubilare Rosaliano sono parte delle iniziative dell’Arcidiocesi di Palermo dell’evento che, fino al 4 settembre 2024, festeggerà il quarto centenario del rinvenimento delle reliquie di Santa Rosalia. In linea con lo spirito francescano di Biagio Conte di destinare risorse e attenzione agli ultimi, per la realizzazione del Carro della santa è stato fatto uno studio di sostenibilità allo scopo di utilizzare materiale di risulta e risparmiare così denaro pubblico. Le fasi di progettazione e realizzazione dei bozzetti e del modello in scala del Carro trionfale sono iniziate a maggio nella Bottega 7 dei Cantieri Culturali alla Zisa, sede del Museo diffuso Santa Rosalia, con un progetto dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. La châssis che compone la base del Carro è lunga 10 metri e larga 5 metri, con una grande luna alta da terra 9,5 metri costituita da legno di recupero dipinto con vernice ignifuga bianca, mentre gran parte del ferro utilizzato è di recupero grazie a una dismissione del Comune di Palermo. Il sistema di sterzo e la frenatura sono di carri degli anni passati. Anche la statua della Santa che sfilerà nel Carro è stata realizzata da Franco Reina per il Festino 2017 ed è posta in basso in equilibrio su una falce di luna mentre sfila circondata dalle nuvole, lungo un Cassaro in festa. La matrice di questo Festino è anche lo spirito e accompagna la nascita del primo Museo diffuso di Santa Rosalia, un progetto dell’Accademia di Belle Arti di Palermo da un’idea di Fabrizio Lupo, scenografo e docente di Teatro della Festa, che non chiude i suoi oggetti dentro le stanze, ma li va a cercare per metterli in relazione. Alla mostra allestita al Museo Pitrè dal titolo 399 viva viva Santa Rosalia saranno esposti una selezione di statue e modelli in scala tra quelli che hanno sfilato per la città di Palermo, dal 1836 al 2019, ideata dalle allieve e dagli allievi del corso coordinato dalla professoressa Giglia: Edoardo Zumbo; Simona Tarantino; Martina Campanella; in collaborazione con Patrizia D’Amico, Silvana Arnone e Francesco Ilardi del museo etnografico e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Palermo che promuove l’evento. Invece a Palazzo Alliata, in collaborazione con l’associazione che vi ha sede, di cui è vicepresidente lo storico Filippo Sapienza, sarà allestita la Parata Kounellis, seconda parte di una mostra che è una preview di una più ampia esposizione in preparazione per i grandi festeggiamenti del quarto centenario del Festino di Santa Rosalia, per festeggiare i 400 anni dal ritrovamento delle reliquie di Santa Rosalia e ripercorrere la storia dei più importanti carri trionfali. Tutte le operazioni del Mu.Sa.R. comprese le fasi di lavorazioni sul carro sono documentate da Rossella Puccio, responsabile della comunicazione del Mu.Sa.R. e coordinatrice del gruppo di comunicazione composto da allieve e allievi dei corsi di Fotografia e di Audio Video e Multimedia dell’Accademia di Belle Arti. Read the full article
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Ieri ho trascorso la mattinata a camminare, tra sentieri, strade sterrate, parchi, verde, vigne e bosco. Siamo partiti dal centro di Bolzano, passeggiato sul Talvera proseguendo per il percorso di Sant' Osvaldo, una volta in cima la vista ed il panorama erano da togliere il fiato. Completamente immersa nella natura, tra alberi e fiori, e con un tempo assolutamente perfetto. A pranzo dal signor Italo, le ultime parole scambiate, una fotografia ed un abbraccio sincero, poi assieme al pittore abbiamo sfruttato le ultime ore a disposizione per terminare il progetto. Nel Pomeriggio inoltrato come ho scritto ieri, il tempo è stato dedicato ai festeggiamenti, ai saluti e alle partenze, con brindisi, bottiglie stappate, incontri interessanti nella bottega del suo caro amico R, altro vino versato nei calici, e parole che non scorderò. Sono tornata a casa felice, molto felice e stamattina dopo aver controllato che tutto fosse in valigia, ho dato un ultimo sguardo a quella casa così calda e bizzarra che mi ha ospitato per questi giorni, le finestrelle in legno, le montagne sempre lì, imponenti e velate dalle nuvole, la tranquillità e la serenità respirata; una lettera scritta lasciata sul tavolo della cucina, vicino al cesto di mandorle. Chiudo la porta e giro la chiave, si torna a casa, oggi il cielo è sui toni del grigio ma io sono felice come quando fuori è intensamente blu
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Bella e senz’anima una città da salvare – La mia Venezia
di Gianni Berengo Gardin (testo raccolto da Andrea Plebe) dal settimanale Specchio
Traghetto di Punta della Dogana, Venezia 1960 © Gianni Berengo Gardin/Contrasto
(Si tratta di una scena molto veneziana, un servizio di traghetto da Punta della Dogana a San Marco, che ora non esiste più. Ci sono due vogatori che frenano, che stanno fermando la gondola, e una serie di personaggi dell’epoca, in piedi e seduti, che mi affascinavano molto.)
Mi sono sempre sentito veneziano anche se purtroppo la città di oggi non appartiene più ai veneziani e, quando mi capita di tornarci, cosa che avviene comunque abbastanza spesso, sento una stretta al cuore.
A Venezia ho dedicato otto libri fotografici: il primo, “Venise des saisons” realizzato in poche settimane e pubblicato nel 1965 con testi di Giorgio Bassani e Mario Soldati, è stato molto importante per me, una tappa fondamentale nella mia carriera di fotografo. In quelle fotografie ho raccontato la Venezia di tutti i giorni, e poi Burano, Murano, Torcello: Venezia dei veneziani, con l’acqua alta, la pioggia e la neve, con le sue cerimonie e i bambini che giocano. Oggi sarebbe impensabile fotografarla così, forse soltanto durante la stagione morta, quando i turisti si diradano, oppure durante questa pandemia, quando è apparsa anche troppo deserta.
Neve in Piazza San Marco, Venezia 1960 © Gianni Berengo Gardin/Contrasto
(Questa fotografia è stata scattata dal Museo Correr, che ero andato a visitare. Era nevicato, e sul bianco della neve i colombi risaltavano di più. Volevo fotografare Piazza San Marco e la visita al Museo era in realtà una scusa per potermi affacciare dalla finestra. Poi ho avuto il colpo di fortuna della ragazza che è passata nella piazza, correndo, e ho scattato.)
Quando ero bambino, ricordo interminabili partite a calcio nella piazzetta dei Leoni, a fianco della Basilica di San Marco, che è chiusa su tre lati e quindi perfetta per il gioco: oggi non si possono più fare, occupata com’è dal turismo di massa. Non sappiamo quando l’emergenza sanitaria finirà, ma credo che dopo, gradualmente, torneremo alle abitudini che siamo stati costretti ad abbandonare nell’ultimo anno.
Dico sempre che sono nato per caso a Santa Margherita Ligure, perché è lì che mio padre Alberto, venezianissimo, incontrò mia madre Carmen, svizzera, che dirigeva l’Hotel Imperiale, un grande albergo di lusso. Lui era un vogatore della Canottieri Bucintoro ed era venuto in Liguria per partecipare a una gara: conobbe mia madre in albergo e scoccò il colpo di fulmine.
A Venezia, alla Giudecca, i miei nonni avevano una tintoria di pellame, poi hanno aperto un negozio di perle e di vetri di Murano, gestito da due delle sorelle di mio padre, Olga e Lina. I nonni abitavano dietro la bottega e la casa aveva un’altana, un terrazzino in legno, affacciato su San Marco, sul quale giocavo.
A Venezia ho passato le estati tra il 1939 e il 1941, andando a fare i bagni al Lido, e poi ci sono tornato a vivere con i miei genitori, nel Dopoguerra: lì ho frequentato il liceo scientifico Benedetti, in Fondamenta Santa Giustina a Castello, e soprattutto il Cinema Pasinetti e il Circolo Fotografico La Gondola, dove ho fatto tante conoscenze importanti.
Acqua alta a San Marco, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Contrasto
(Questa fotografia della piazza l’ho scattata dall’alto, dalla Basilica di San Marco. Mi ero sistemato in mezzo ai cavalli. Ci ero salito apposta, perché immaginavo che con l’acqua alta si sarebbero potute verificare delle situazioni interessanti. Così quando ho visto quelle due persone, da sole, camminare nella piazza, è nato quello scatto.)
Abbiamo abitato in Campo della Guerra, dietro la chiesa di San Zulian, fino a quando mi sono sposato e sono andato a vivere con Caterina al Lido, dove ho abitato fino al 1965 prima del trasferimento a Milano.
Per un certo periodo, prima di dedicarmi completamente alla fotografia, ho lavorato anch’io nel negozio di famiglia: il nome era scritto sull’insegna, a mosaico. Il mosaico è rimasto ma il nome non c’è più: al posto della bottega c’è un bar. Allora c’erano tre negozi di quel genere in tutta Venezia, mentre oggi sono migliaia; il nostro aveva goduto una certa notorietà, anche perché lo scrittore inglese Frederick Rolfe, più noto come Baron Corvo, aveva scritto in un suo libro che lì si trovavano le perline più belle di Venezia. La casa dei nonni, invece, con il tempo è diventata un albergo.
A Venezia non ho più parenti, ma per fortuna ho ancora amici e, quando mi è capitato di tornarci per realizzare il libro “La più gioconda veduta del mondo. Venezia dalla finestra” sono stato ospite di Renato Padoan, per vent’anni Sovraintendente ai Monumenti di Venezia, all’ultimo piano di Palazzo Erizzo Bollani sul Canal Grande. Lì aveva abitato nella prima metà del Cinquecento Pietro Aretino, che così aveva raccontato ciò che vedeva, la Pescheria, il Ponte di Rialto che allora era di legno, il Fondego dei Tedeschi.
Venezia, il Lido,coppia, 1959 © Gianni Berengo Gardin/Contrasto
(Era una domenica piovosa, molto brutta. Mi è capitato di incontrare questa coppia di sposi, lui in bici, lei con il bambino sul passeggino accanto. Lui e lei sono separati, ciascuno guarda il mare per proprio conto. Mi è sembrato il simbolo di un matrimonio che, con il passare del tempo, non va più bene, anche se magari non era così per quella coppia.)
Se oggi realizzassi un altro libro su Venezia, dovrei farlo sugli aspetti negativi del turismo di massa, che ha ucciso la città. Negli anni scorsi mi sono già impegnato per documentare l’invasione delle grandi navi e il loro impatto su Venezia. Oggi i negozi sono pieni di oggetti che arrivano dall’altra parte del mondo, di maschere che non sono una tradizione veneziana, di frotte di turisti, scaricati dai pullman, persone che “devono” venire a vedere Venezia, ma che non la amano. Abitavo in una città di 145 mila abitanti, ora sono ridotti a 40 mila e quando si vota difficilmente riescono a ottenere quello che vogliono, perché pesano molto di più i voti degli abitanti della terraferma. I veneziani che hanno una visione diversa non riescono purtroppo ad avere voce in capitolo sulle scelte che li riguardano.
Oggi vivo gran parte del mio tempo a Camogli, in una casa nel verde che guarda il mare e, pur amando ancora molto Venezia, so che non potrei più abitarci.
Però è indubbio il richiamo che la città continua ad esercitare: Venezia è di una bellezza unica e appunto piena di contraddizioni. Nel corso dei secoli ha affascinato scrittori, poeti e pittori, lì ho cominciato a fotografare, tra calli e campielli, spazi brulicanti di vita e angoli nascosti e silenziosi, e non posso sottrarmi al suo potere. Per questo invito chiunque voglia visitarla per prima cosa a rispettarla e a cercare di entrare in sintonia con la sua vera anima, quella che si stenta a vedere dietro la cortina del turismo mordi e fuggi. Venezia va rispettata, curata e amata per poter essere consegnata alle nuove generazioni: non possiamo sottrarre loro una simile bellezza.
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Il maestro del bianco e nero Gianni Berengo Gardin, nato a Santa Margherita Ligure il 10 ottobre 1930, è cresciuto e ha studiato a Venezia, la sua vera città d’origine. Inizia a dedicarsi alla fotografia negli anni ’50 del ‘900. Con i suoi scatti in bianco e nero ha raccontato la società italiana del dopoguerra.
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L’arte dei tableaux vivants. Luigi Ontani e il kitsch che diventa sublime.
Tenere un blog aperto in questi giorni è diventata cosa difficile. Dopo l’euforia dei primi quindici giorni, non so cosa sia successo... Probabilmente, quella che doveva essere una settimana di relax è diventato un mese di inferno. Lontani da tutto e da tutti, l’unico contatto con il mondo esterno è dato dai social network. I cari vecchi social, luogo di ingegno e di tuttologia. Tra una lite e l’altra, teorie complottiste e generi diversi di argomenti, ho notato, però una cosa molto particolare. Sono in molti quelli che si adoperano nella pratica dei tableaux vivants. Sono certo che molti si staranno chiedendo, “che diavolo fanno questi sui social? Quale pratica oscura e malsana sarà mai questa?” In realtà con il termine francese tableaux vivants si indicano i “quadri viventi”, o, in arte, descrive uno o più attori o modelli d'artista opportunamente mascherati a rappresentare una scena come in un quadro vivente.Per tutta la durata della "visione", le persone non parlano e non si muovono. L'approccio si sposa così con le forme d'arte del palcoscenico con quelli di pittura o della fotografia. Il più recente periodo di massimo splendore del tableau vivant è stato il XIX secolo. Insomma è l’arte visiva che si fa spettacolo.
Quella che oggi è diventata una sorta di moda che è esplosa sui social e che coinvolge tutti, anche solo per un momento di svago, in realtà è stata una delle massime forme espressive di uno dei più grandi artisti del ‘900, vale a dire quel mostro sacro di Luigi Ontani.
Classe 1943, Ontani è un artista assolutamente poliedrico, (viene infatti classificato come pittore, scultore e fotografo), nonché uno dei massimi esponenti della body art italiana.
Dopo aver studiato all'Accademia di belle arti di Bologna inizia la carriera artistica negli anni settanta, cominciando a farsi notare per i suoi "tableaux vivants". In pratica delle performance filmate e fotografate, in cui Ontani si presenta mascherato in vari modi: da Pinocchio a Dante, da San Sebastiano a Bacco. È una pratica di azionismo che sfiora il kitsch, e mette il narcisismo personale ad un livello superiore. Nel corso della sua lunga attività Ontani ha espresso la sua creatività e poetica attraverso l'uso di molte tecniche assai eterogenee tra loro: dagli oggetti pleonastici (1965-69) elementi in scagliola alla "stanza delle similitudini" costituita da elementi ritagliati in cartone ondulato. Ha spesso anticipato l'uso di tecniche in seguito adottate da altri artisti, i primi video super 8 in bianco e nero sono stati girati dal 1969 al 1972. Con l'opera "Ange Infidele" del 1968 Ontani inizia il suo approccio con la fotografia. Fin dall'inizio le opere fotografiche si contraddistinguono per alcuni elementi caratteristici: il soggetto è sempre l'artista che ricorre al proprio corpo e al proprio volto per impersonificare temi storici, mitologici, letterari e popolari; il formato scelto solitamente è quello della miniatura o della gigantografia, e ogni opera è considerata unica. dalla fine degli anni sessanta si susseguono "Teofania" 1969, "Fantome", "San Sebastiano nel bosco di calvenzano, d'apres Guido Reni", "Tentazione", "Meditazione, d'apres de la Tour", "Bacchino" (1970) tell il giovane, "Raffaello" "Dante" "Pinocchio" (1972), Lapsus Lupus e il dittico "EvAdamo" (1973) "Leda e il Cigno" (1974), i grilli e i tappeti volanti cui seguiranno altri apres, il primo ciclo indiano "En route vers l'Inde, d'apres Pierre Loti". Le prime opere fotografiche anticipano un fenomeno che vedrà diffusione a partire dagli anni ottanta. Contemporaneamente alle prime opere fotografiche Ontani comincia ad eseguire i primi "Tableaux vivant"; al 1969 al 1989 l'artista ha realizzato circa 30 tableaux vivant anche in questo caso anticipando le cosiddette installazioni multimediali, molto diffuse a partire dagli anni novanta, che si basano sulla commistione di varie tecnologie.
Con lo stesso atteggiamento ha realizzato opere di cartapesta, vetro, il legno (numerosissime le maschere realizzate soprattutto a Bali in legno di Pule), più raramente è ricorso al bronzo, al marmo e alla stoffa mentre molto cospicua è la sua opera in ceramica frutto del sodalizio soprattutto con la Bottega Gatti di Faenza e con Venera Finocchiaro a Roma e il laboratorio terraviva di Vietri, particolarmente rinomate le maschere pineali, le "Ermestetiche" e le ultime grandi opere quali "GaneshaMusa", "NapoleonCentaurOntano". Molto interessante la sperimentazione con la tecnica del mosaico elaborata con il mosaicista Costantino Buccolieri nell'esecuzione del grande pannello musivo presso la Stazione Materdei della Metropolitana di Napoli. In tutte queste circostanze Ontani ricorre alla tecnica non come un fine in sé, ma in quanto occasione per sperimentare nuove possibilità e formulare nuove variazioni sui temi e i soggetti che più gli interessano: il proprio viaggio "transtorico" attraverso il mito, la maschera, il simbolo e la rappresentazione iconografica. Ha esposto nei principali musei e gallerie del mondo dal Guggenheim al Centre Pompidou, dal Frankfurt Kustverein al Reina Sofia,ha partecipato ad un numero impressionante di biennali da Venezia a Sidney a Lione. Recentemente ha avuto due retrospettive al Ps1/MoMA di New York (2001) e allo SMAK di Ghent (2003-2004). Numerosissimi i libri d'artista e le monografie tra cui "Luigi Ontani. OntanElegia" Allemandi 2004 a cura di Alessandra Galasso e Giulio di Gropello. Nel 2018, la Galleria Giovanni Bonelli di Pietrasanta, in Toscana, presenta una retrospettiva di 30 opere dell’artista di Vergato.
Ontani ha prestato un volto e un corpo (i suoi) a personaggi che spesso appartengono al mito, alle favole, al folklore. Sono figure senza tempo, senza luogo e senza fisionomia e a volte anche senza sesso. Ontani ne ha indossato la maschera, ne ha ripercorso la storia, ha conferito loro sostanza e, quando è stato necessario, ha dato unità agli opposti sovrapponendoli o compenetrandoli.
Gladioli tentazioni (1972) è uno dei primi tableau vivant realizzato dall’artista, una stampa fotografica a colori a grandezza naturale. Sono gli anni in cui Ontani inizia il suo viaggio metaforico all’interno di tutte le identità possibili, confrontandosi principalmente con una serie di referenti cari alla mitologia e alla storia dell’arte, come i famosi d’après da Guido Reni (San Sebastiano, Ippomeneo, San Giovannino). Il titolo dell’opera, gioca con la simbologia legata al gladiolo, fiore il cui nome deriva dal latino gladiolum, “piccola spada”, per la morfologia delle sue foglie, sottili e allungate, somigliante all’arma utilizzata dai legionari romani: il “gladio”. È probabilmente per assonanza con l’etimologia, che regalare fiori di gladiolo equivale a dichiarare di essere stati colpiti, sebbene in maniera ambivalente: feriti oppure trafitti al cuore da un’insopprimibile infatuazione. Ed è a quest’ultima accezione che l’artista sembra voler ironicamente alludere, emergendo dall’oscurità, bloccato in una posizione di contrappunto, le pudenda occultate da un fascio di gladioli, pronto ad essere brandito, per mostrare l’artista, finalmente, in tutta la sua eroica nudità. L’opera è la prima di Ontani con cui sono entrato in contatto ed è presente nella collezione del museo MADRE di Napoli.
Altra opera che ho avuto modo di vedere più volte al MUSMA di Matera, che però non fa parte dei tableaux vivants ma di fortissimo impatto, ovvero IndiSiam OrientAle, del 2007. L’opera rientra nel ciclo degli oggetti pleonastici. Un paio di scarpette in ceramica policroma con oro zecchino tipico della produzione artistica di Luigi Ontani. Come si evince dal titolo si tratta di un paio di scarpette di foggia orientale abbondantemente dorate e con riportato il volto di Ontani sul gambetto.
Il genio di Luigi Ontani, in conclusione, si è rivelato utilissimo come passatempo per questa quarantena. Credo sia doveroso affermare, anche in questo caso, che siamo tutti un po ontani, e nello stesso tempo tutti in debito con lui.
Valerio Vitale
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Io, catapultata a San Teodoro dentro un turbinio di emozioni nuove e originali. È successo lo scorso 23 ottobre durante l’incontro a sorpresa con una ventina tra amici e sconosciuti a casa dell’artista fotografa Seb Falchi che mi ha proposto un modo diverso di incontrare gli amanti della poesia e del racconto. Persone interessate e curiose che, a suo avviso, avrebbero apprezzato il mio ultimo lavoro “Oltremare”. Il valore aggiunto è arrivato dalla libera e inattesa interazione degli ospiti con il nostro “discorso”, una sorta di innesto spontaneo sfociato nella rottura dei soliti argini che, troppo spesso, rappresentano un limite invalicabile tra la funzione dell’artista e il fruitore. La casa di Seb si è trasformata da luogo personale e intimo di chi lo abita, in platea pubblica dove ognuno di noi – sconosciuto all’altro/a - ha raccontato visioni differenti, non solo riguardo all’arte ma soprattutto al sentire del vivere quotidiano. Far esondare con delicatezza emozioni implose per paura di essere sé stessi. Tirare fuori le mie sensazioni, che magicamente sono diventate nostre, per confrontarci tutti sullo stesso piano umano. Poesia e fotografia, due linguaggi espressivi, due strade parallele per aiutarci ad affrontare momenti dolorosi. La mia poesia “Abitare un altrove” è stata associata da Seb al suo dittico fotografico “The Resurrection”: quella seduta avvolta da un lenzuolo dove il corpo è andato via per ritornare, più sentito, più presente per restare. Una sublime espressione del distacco dell’attesa e del silenzio poetico. Ringrazio Seb per avermi regalato questi momenti unici, Rosa Locci (Rosmunda) per le immagini, tutti i partecipanti e La Dolce Bottega di San Teodoro che, offrendoci i loro “ Niulèddhi a taddharíni” dolce tipico gallurese, hanno accompagnato il nostro incontro insieme ad un buon Cannonau carasau e pecorino. Un ritornare in porto per approdare in modo consapevole e creativo dentro le nostre preziose radici identitarie. L’ospitalità e la solidarietà che hanno fatto e continueranno a fare del popolo sardo, un popolo Stand-Out. Distinto. #marellagiovannelli @seb_falchi @ladol726 #oltremarefraincontriepoesie @agbookpub https://www.instagram.com/p/CkLYfjKtXZd/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Dal 21 al 23 ottobre torna Open Gallery, un evento di tre giorni dedicato all’arte contemporanea, che quest’anno diventa Digital. Attraverso l’arte digitale, infatti, Open Gallery Digital Edition punta a valorizzare spazi e gallerie conosciute e meno conosciute di Roma e del Lazio. Vi iniziamo a svelare le prime gallerie che parteciperanno al progetto ospitando nelle loro interessantissime collezioni anche le opere degli artisti scelti. Sinestetica Rossocinabro Sala 1 centro internazionale d'arte contemporanea Sacripante Giardino di Pianamola - Nature and Art Project Fornace77 Sculture in Campo - Parco di Scultura Contemporanea Galleria Cervo Volante di Tommaso Cascella Bottega della fotografia di Marco Paolini Nero Gallery Andrea Festa Fine Art La Serpara Basile Contemporary Zanon Gallery Museo di Palazzo Doebbing Pronti ad immergervi nell’arte digitale con noi? Open Gallery Digital Edition è uno dei progetti speciali della #BiennaleMArteLive, appuntamento biennale multiartistico a carattere internazionale che si svolgerà dal 15 al 23 ottobre 2022. Maggiori info sul sito https://opengallery.it Link in bio #opengallery #digital #digitalart #artecontemporanea #videoarte #artedigitale #roma #lazio #artlovers #artgallery #gallerieartecontemporanea #igersroma #igerslazio https://www.instagram.com/p/CjoY0YrN9px/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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I caffè di Firenze: fra caffè ed arte.
A Firenze: caffè, leccornie, artisti e letterati tra Otto e Novecento ovvero ma lo sai dove ti siedi? Gilli, Paszkowski, Giubbe Rosse, Rivoire, Castelmur, Gran Caffè San Marco Caffè Gilli la vetrata liberty con l’orologio Firenze tra Otto e Novecento non era nuova ai ritrovi in centro città; già dal Settecento poteva vantare diversi luoghi d’incontro dove consumare dolciumi o bevande scambiando chiacchiere e toscanacce battute, ma anche opinioni e considerazioni in un’atmosfera sospesa tra le delizie del palato e la gradevolezza dell’ambiente. Piacevolezze di un tempo e non solo: antiche osterie, ormai scomparse ma di cui resta precisa traccia nei toponimi cittadini, testimoniano che da sempre Firenze ha prediletto questi luoghi di ritrovo in cui gli intellettuali del tempo, come il Magnifico, si ritrovavano bevendo del buon vino, gustando mangiari e discorrendo amenamente o animatamente. Se dei locali settecenteschi rimane poco più che il nome, possiamo ancora sedere in piazza della Repubblica, allora Vittorio Emanuele, ai tavolini di Gilli, delle Giubbe Rosse e di Paszkowski, o gustare una dolcezza da Giacosa o da Rivoire. E il fenomeno non può essere considerato solo fiorentino ma va esteso alla Toscana, con Firenze a rappresentarla tutta nella storia particolare dei Caffè. Caffè, birrerie, cioccolaterie terre del gusto ma in cui sono state scritte anche pagine di storia letteraria e artistica o che comunque erano al centro dei movimenti che le creavano, nello scambio, nello scontro e nel confronto. E mi piace allora perdermi in quel tempo di socialità fisicamente condivisa e creativa e, come in un viaggio con la macchina del tempo (nel nostro caso cronaca e fotografia), ricostruirne la storia, le curiosità, le immagini.
Gilli in un disegno tratto dalla pagina dell’associazione Cffè storici E cominciamo con Gilli, perché è stato il più antico Caffè di Firenze: nato nel 1733 non proprio come caffè ma come bottega di “pani dolci” era allora in via de’ Calzajoli angolo via delle Oche, in quel tratto che si chiamava ancora corso Adimari. A metà Ottocento lo troviamo come caffetteria in via degli Speziali, dove offriva anche rosolio e assenzio i liquori preferiti dell’epoca, non lontana dalla nuova e definitiva sede, nel 1910, in Piazza della Repubblica, con aperture in Via Roma oltre che nell’allora Piazza Vittorio Emanuele accanto a Pazskowski. Era frequentato dall’alta società, ma anche da artisti, borghesi e benestanti affermando successivamente la sua prerogativa di caffè letterario. Oggi se all’esterno gli spazi ricavati sulla piazza hanno i caratteri di un’attività recente, l’interno è invece un salto nel tempo: l’arredamento belle epoque, l’antico orologio che sovrasta la vetrata liberty di accesso alla sala da tè, la cioccolata in tazza e non, che Gilli produce da oltre due secoli… Accanto a Gilli il Caffè Centrale, poi Paszkowski, ma che i Fiorentini chiamavano “puzzuschi”; nacque come birreria.
Un tappo che riporta il marchio della birra Karol Paszkowski, nobile polacco, dopo un soggiorno negli Stati Uniti tornò in Europa dove sposò un’austriaca imparando a Vienna la tecnica della birrificazione. Arrivato a Firenze nel 1903 fu pioniere di quest’arte in Italia rendendo famoso, soprattutto nell’Italia centrale, il prodotto con il proprio nome per ben trent’anni quando il marchio venne assorbito dalla bresciana Wührer. Aveva locali grandiosi che si affacciavano con ben tredici porte sulla piazza, su via Tosinghi e su via Brunelleschi, riccamente decorato con specchi e varie suppellettili e un’orchestrina che gli conferivano le caratteristiche di Caffè Concerto. Si affermò come Caffè letterario per la frequentazione assidua di artisti, letterati e musicisti tra cui i membri fondatori delle Riviste “La voce” e “Lacerba” rispettivamente Prezzolini e Papini e Soffici e, tra i suoi tavolini, lo stesso Dino Campana offriva i suoi “Canti Orfici” agli avventori. E nel tempo altri intellettuali noti siederanno nelle sue sale: D’Annunzio, Montale, Saba, Pratolini saranno clienti abituali. Ai Caffè di Firenze avanguardia e tradizione fanno la storia della letteratura e non solo italiana. Ma è dall’altra parte della piazza che le avanguardie la fanno da padrone: alle Giubbe Rosse.
Caffè Paszkowski in una foto d’epoca Quando i fratelli Reiminghaus, tedeschi e fabbricanti di birra, nel 1896 aprirono il loro Caffè birreria, nella piazza era stato costruito da un anno l’arco che ancora oggi possiamo vedere, chiamato dai fiorentini “Arcone”, dopo la demolizione del Mercato Vecchio e del Ghetto, cosa che dispiacque ai più, compreso Telemaco Signorini che ne fermò il tempo su varie tele disturbato dalle distruzioni e soprattutto dalle porcherie che venivano su al loro posto. Sorse nel luogo dove, quando esisteva ancora il Mercato vecchio, c’era una vineria. Era diventato il punto di riferimento della comunità tedesca a Firenze, con le sue due grandi vetrate di cui una serviva da ingresso e con i camerieri “attillati in uno smoking rosso fiamma e con un ampio grembiule bianco che li fasciava tutti come una sottana” da cui il nome dato dal nuovo gestore nel 1910.
La copertina del libro di Viviani edito nel 1933 dal titolo Giubbe Rosse Così ce lo presenta Alberto Viviani, poeta e pittore fiorentino, cronista degli avvenimenti e dei personaggi di quegli anni nel suo libro “Giubbe Rosse” edito nel 1933: Due grandi vetrate, una chiusa ed una che serviva da ingresso, sormontate da un fregio in legno massiccio con un angiolo ghiotto di birra, sotto una grande scritta: “Reinighaus”; molte lampade ad arco, di quelle che oggi si riscontrano soltanto a Parigi e che spandono una strana luce riposante, sfolgoravano all’ingresso Nella prima sala placidi e massicci tedeschi immersi nella lettura ”Le Giubbe Rosse” erano fornite dei quotidiani e delle riviste di tutto il mondo Più che un caffè le prime due sale avevano l’aspetto di un circolo di lettura ma la pace sonnacchiosa venne sconvolta quando dal 1913 la terza sala diventò la sede fissa del gruppo di “Lacerba” e quindi dei futuristi fiorentini. Fu proprio a partire da questa data che Papini e Soffici frequentatori fino a quel momento del Paszkowski e del Castelmur si stabilirono definitivamente alle Giubbe Rosse. Questo girovagare tra i Caffè non deve stupire, da sempre letterato ha fatto rima con squattrinato e i nostri artisti e innovatori non facevano eccezione: si sistemavano dove il credito era ancora disponibile!
La cioccolata a vapore in un vecchio manifesto di Rivoire che la reclamizza Piazza Signoria, Palazzo Lavison costruito su progetto dell’architetto Landi nel 1868 al posto della Loggia dei Pisani e della chiesa di Santa Cecilia: la grande ricostruzione di Firenze capitale era cominciata e, come ebbe a scrivere il Pesci, fedele cronista di quegli anni, i “buzzurri”, calati in Toscana dopo la proclamazione, si erano accaparrati i posti migliori per le loro botteghe; è lì, nei grandi fondi commerciali del palazzo che nel 1872 si insedierà la fabbrica di “cioccolata a vapore” del piemontese Rivoire. In effetti la posizione che ancora oggi occupa il locale è davvero mirabile. Il fondatore, Enrico Rivoire, era torinese e fornitore della casa reale; quando la capitale fu trasferita da Torino a Firenze, il cioccolattiere si trasferì al seguito, ma preferì restare quando la capitale nel 1870 fu spostata a Roma probabilmente incantato dallo spettacolo che la bella piazza offriva…
Caffè Castelmur in un disegno a illustrazione del romanzo di Carlo Lorenzini in arte Collodi Non lontano, su via dei Calzaioli angolo via dei Tavolini, un caffè oggi scomparso ma che ha riempito della sua storia e dei suoi trascorsi varie pagine, anche negli scritti dei protagonisti “ogni volta che ripenso alla bella compagnia del quieto e grave Castelmur” scriveva Ardengo Soffici in una lettera indirizzata all’amico Papini parlando del caffè tra i più antichi della città impiantato dagli Svizzeri nel 1700, detto pertanto anche Helvetico, dove al posto del vino si “mescevano” le nuove bevande: caffè e cioccolatte. Talmente rinomati e apprezzati, i suoi prodotti di pasticceria parteciparono alla prima Esposizione nazionale dell’appena nato Regno d’Italia, tenuta a Firenze nel 1861 presso la Stazione Leopolda, riadattata allo scopo. Se agli inizi della sua attività il locale era frequentato dagli svizzeri e dai tedeschi, nella lunga vita del Caffè Castelmur, anche i fiorentini e letterati illustri lo avevano eletto a proprio punto di ritrovo. Così come il fondatore della rivista “Il Leonardo” nei primi anni del Novecento o come Carlo Lorenzini in arte Carlo Collodi con spirito arguto nel suo “Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico umoristica”, pubblicato nel 1856, lo descriveva nella pagina dedicata ai fiorentini al Caffè “è il piede a terra di tutti gli oziosi e di tutti gli intelligenti di pasticceria e di bevande spiritose. Le sue manifatture sono accreditatissime presso i buon-gustai e meritatamente. La sua posizione topografica lo rende necessariamente il luogo di Stazione di tutti i vagabondi, che traversano dalla mattina alla sera, la popolatissima via dei Calzaioli”.
Gran Caffè San Marco in Piazza San Marco angolo via Larga in una vecchia foto. Lasciamo via de’ Calzaioli e ci dirigiamo verso Piazza San Marco dove all’angolo con via Larga, oggi Cavour, nel 1870 aprì il Gran Caffè San Marco, con il nome di “Caffè Fanti” il generale la cui statua in bronzo, opera di Pio Fedi, fu posta nel 1872 fra le aiuole del giardino al centro della Piazza. Ritrovo degli studenti della vicina Facoltà di Lettere e dei frequentatori della Biblioteca Marucelliana o dell’Accademia delle Belle Arti o della Libreria di Ferrante Gonnelli, nella vicina Via Cavour, o dal nutrito gruppo di professori e intellettuali come Luzi e Bigongiari, solo per citare i nomi di alcuni tra i maggiori esponenti toscani di quel movimento che prese il nome di Ermetismo (oltre a Bo, Parronchi, Macrì). Quel Caffè, e non le aule della vicina università, era il più frequentato dai giovani di allora, con Renato Poggioli, lo slavista, a fare da maestro, lì la sede della vera università. Read the full article
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Goodreads choice awards 2021
Come ogni anno il portale GOODREADS, dove i lettori possono creare le proprie librerie virtuali,recensire i libri che leggono e molto latro, indice una serie di sondaggi per eleggere i libri che i suoi iscritti ritengono i migliori dell’anno in corso all’interno dei vari generi letterari.
E come ogni anno, quando i vincitori vengono annunciati, io non concordo mai con le opinioni della maggioranza. Ma si sà io sono strana.
Se questi libri sono stati votati da così tante persone un motivo ci sarà no? Perciò eccomi a presentarvi i vincitori dei CHOICE AWARDS 2021.
Poichè alcuni dei premiati non sono stati pubblicati in italiano, ho sceso la classifica della categoria fino ad arrivare al nominato con più voti disponibile nella nostra lingua.
Iniziamo col vincitore della Sezione narrativa, il premio più importante, tipo chi vince come miglior film agli Oscar, poichè vince con la categoria più generale :
Il premio è andato al nuovo libro dell’autrice Sally Rooney, che però è inedito in italiano, e sono dovuta scendere al nominato al sesto posto di questa categoria per trovare un titolo pubblicato nel nostro paese e si tratta di una certezza, Nicholas Sparks:
Quando si avvera un desiderio, Nicholas Sparks (6° posto)
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Trama: Maggie ha sempre nascosto la sua storia. Chi la conosce ora non sa nulla del suo più grande amore. Lei aveva sedici anni, era lontana dalla sua famiglia ed era in attesa di un bambino che avrebbe dato in adozione: fu allora che incontrò Bryce. Lui era poco più grande di lei, non la giudicava per quel pancione che cercava di nascondere, e le insegnò tutto su quella che sarebbe diventata anche la passione di Maggie: la fotografia. Il loro primo bacio fu perfetto. Il loro amore fu unico, di quelli che capitano soltanto una volta nella vita. Adesso, a vent'anni di distanza, Maggie è un'affermata fotografa di viaggi. Ha immortalato gli angoli più diversi e singolari del mondo e ha aperto una galleria a New York, dove sono esposti i suoi scatti più belli –che Bryce, però, non ha mai visto. Ci sono ancora centinaia di luoghi che Maggie vorrebbe visitare, e che ha annotato in un diario chiuso in un cassetto, ma la vita l'ha costretta a una dolorosa battuta d'arresto. In quello strano e solitario Natale, ha accanto solo il giovane assistente della galleria, al quale riesce incredibilmente a confidare....
Vincitore della Sezione thriller:
L' ultima cosa che mi ha detto, Laura Dave (1° posto)
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Trama: È una sera come tante per Hannah Hall, quando all'improvviso sente suonare il campanello. Sulla soglia la aspetta una ragazzina sconosciuta che le porge un biglietto. E Hannah sa che, appena lo leggerà, la sua vita cambierà per sempre. Perché, in realtà, qualcosa di insolito quella sera c'è: Owen, l'uomo che ha sposato da poco più di un anno, per il quale si è trasferita da New York in una casa galleggiante nella baia di San Francisco, non è tornato dal lavoro e non risponde al telefono. Non è da lui. Su quel foglio, però, non c'è nessuna spiegazione. Solo una richiesta: Proteggila . Hannah capisce subito a chi si riferisce: all'altro grande amore di suo marito, la figlia sedicenne Bailey, che non sopporta quella donna arrivata a intromettersi tra lei e suo padre. Il muro di ostilità tra loro sembra insormontabile. E ora sono rimaste sole. Quando, il giorno dopo, si diffonde la notizia dell'arresto del capo di Owen e alla casa galleggiante si presenta l'FBI, tutto si fa ancora più confuso. Solo una cosa è certa: Owen non è chi dice di essere. Ma dov'è finito? E da cosa deve essere protetta Bailey?
Vincitore Sezione romanzo storico:
Vincitore era l’ultimo libro dell’autrice Taylor Jenkins Reid, che però è inedito in italiano, perciò vi presento il terzo classificato:
Il segreto della speziale, Sarah Penner (3° posto)
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Trama: Nascosta nei vicoli della Londra settecentesca, la piccola bottega di una speziale è frequentata da una clientela inusuale. Le donne di tutta la città sussurrano fra di loro il nome della misteriosa Nella, che vende veleni difficili da rintracciare e che possono essere usati contro gli uomini che le opprimono. Le regole sono poche ma ferree: il veleno non deve essere mai usato contro un'altra donna; il nome delle vittime e delle assassine verrà per sempre conservato nei registri della bottega. Eliza ha solo dodici anni quando entra dalla porta con l'insegna di un orso per richiedere, su ordine della sua padrona, un potente veleno. Da subito capisce che quel mondo magico, fatto di boccette di vetro, erbe odorose e ingredienti oscuri, è fatto per lei. E chiede alla speziale di poter diventare la sua assistente. Ma sarà proprio un errore di Eliza a sconvolgere il delicato equilibrio del piano di Nella e a scatenare terribili conseguenze.
Vincitore Sezione fantasy:
La corte di fiamme e argento, Sarah J. Maas (1° posto)
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Trama: Nesta Archeron non è quel che si dice un tipo facile: fiera del suo carattere spigoloso, è particolarmente facile alla rabbia e poco incline al perdono. E da quando è stata costretta a entrare nel Calderone ed è diventata una Fae contro la sua volontà, ha cercato in ogni modo di allontanarsi dalla sorella e dalla corte della Notte per trovare un posto per sé all'interno dello strano mondo in cui è costretta a vivere. Quel che è peggio è che non sembra essere ancora riuscita a superare l'orrore della guerra con Hybern. Di certo non ha dimenticato tutto ciò che ha perso per colpa sua. A rendere ancora più irritante la sua situazione, poi, ci pensa Cassian, apparentemente dotato di una naturale predisposizione a farle perdere il controllo. Ogni occasione è buona per stuzzicarla e provocarla, rendendo però allo stesso tempo evidente la natura del focoso legame che, loro malgrado, li unisce. Nel frattempo, le quattro infide regine, che durante l'ultima guerra si erano rifugiate sul Continente, hanno siglato una nuova e pericolosa alleanza, una grave minaccia alla pace stabilita tra i regni.
Vincitore Sezione romance:
Romanzo d’estate, di Emily Henry (1° posto)
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Trama: Augustus Everett è un autore amato dalla più intransigente critica letteraria. January Andrews invece scrive deliziose commedie romantiche che scalano regolarmente le classifiche. Lui è uno scrittore serio, ma non riesce a parlare di sentimenti. Lei è una sostenitrice dell'amore per sempre e del lieto fine. Non hanno niente in comune. A parte che per i prossimi tre mesi saranno vicini di casa. January ha infatti deciso di rifugiarsi nel cottage del padre sul lago Michigan e pensa di trascorrere l'estate raccogliendo le idee e scrivendo un romanzo pieno della felicità che non sa più immaginare: ha da poco scoperto un segreto sui suoi genitori e non crede più nell'amore. Nella veranda accanto alla sua c'è però un vicino di casa inaspettato: Augustus Everett, suo ex compagno di college e soprattutto autore di fama. Anche lui colpito da un paralizzante blocco dello scrittore. Da sempre i due non si sopportano, ma decidono di lanciarsi una sfida per cercare di darsi una mano, o più probabilmente di punzecchiarsi. Si scambieranno il romanzo.
Ps: non posso non commentare che era scandoloso non avere nemmeno un romance storico candidato in questa sezione.
Vincitore Sezione sci-fi:
Al primo posto c’è l’ultimo romanzo di Andy Weir che però è inedito in italiano, perciò vi presento il secondo arrivato:
Klara e il sole, di Kazuo Ishiguro (2 posto)
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Trama: Dalla vetrina del suo negozio, Klara osserva trepidante il fuori e le meraviglie che contiene: il disegno del Sole sulle cose e l'alto Palazzo RPO dietro cui ogni sera lo vede sparire, i passanti tutti diversi, Mendicante e il suo cane, i bambini che la guardano dal vetro, con le loro allegrie e le loro tristezze. Ogni cosa la affascina, tutto la sorprende. La sua voce, cosí ingenua ed empatica, schiva e curiosa quanto quella di un animale da compagnia, appartiene in realtà a un robot umanoide di generazione B2 ad alimentazione solare: Klara è un modello piuttosto sofisticato di Amico Artificiale, in attesa, come la sua amica Rosa e il suo amico Rex, e tutti gli altri AA del negozio, del piccolo umano che la sceglierà. A sceglierla è la quattordicenne Josie. E fin dalla sua prima visita al negozio, nonostante l'ammonimento di Direttrice sulla volubilità dei bambini, Klara sente di appartenerle, e per sempre. Josie è una ragazzina vivace e sensibile, ma afflitta da un male oscuro che minaccia di compromettere le sue prospettive future.
Ps: candidato in questa sezione c’era il romanzo The last watch di J. S. Dewes, che è stato una delle mie letture più amate del 2021, ma ahimè non ha vinto e si è classificato solo sedicesimo.
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Ora blu
Sono le cinque e mezzo del mattino. Casualmente – ammesso che sia così – mi sveglio, all’indomani dell’inaugurazione della mostra fotografica alla quale ho partecipato al termine del corso avanzato di fotografia che ho frequentato alla Scuola di fotografia La bottega della luce di Cagliari. Il mio progetto era dedicato all’ora blu. Non era il progetto inizialmente scelto. Il mio progetto…
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Consiglio la lettura della rivista trimestrale ERODOTO 108 edita da Bottega Errante Edizioni IL VIAGGIO è il tema principale della rivista. Scrittura poesia disegno fotografia interviste eventi e storie per conoscere luoghi culture cose persone. ... #erodoto108 #bottegaerranteedizioni #viaggiare #viaggio #inchiestegiornalistiche #fotografia #fumetti #interviste #poesia #raccontieimmagini #storiedivita #edicolaaldini #quartierenavilebologna #corticella #bolognina #bologna (presso Edicola Aldini) https://www.instagram.com/p/CTbgB36DbDL/?utm_medium=tumblr
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Siracusa, all'ex convento del Ritiro 30 opere in mostra
Siracusa, all'ex convento del Ritiro 30 opere in mostra. La Bottega dell’Arte è il titolo di una mostra che è possibile visitare tutte sere, dalle 18 alle 20, nel salone dell’ex convento del Ritiro (sede dell’assessorato alla Cultura), in via Mirabella 31, fino al 17 ottobre. L’esposizione è stata curata dal maestro Luigi Fatuzzo, che è stato anche l’artefice di un laboratorio frequentato da 27 allievi – 13 bambini, dagli 8 ai 12 anni, e 14 adulti – nel quale sono state realizzate le opere adesso in mostra con il patrocinio del Comune di Siragusa. La Bottega dell’Arte ha impegnato gli allievi in un lungo percorso durante il quale Fatuzzo ha trasmesso le tecniche fondamentali della pittura, della scultura e della ceramica. "L'obiettivo – afferma – era di far conoscere la meccanica dell’intelligenza creativa perché tutti possiamo imparare a disegnare e dipingere così come impariamo a leggere e scrivere". "Siamo davanti a un’esperienza interessante – commentano il sindaco, Francesco Italia, e l’assessore alla Cultura, Fabio Granata – perché educa a leggere le opere d’arte e ad affinare capacità creative di cui spesso siamo inconsapevoli portatori. L’idea di realizzare tutto questo in una “bottega”, come accadeva nel passato, e dunque con la possibilità di un confronto costante, accresce negli allievi il livello di consapevolezza delle proprie capacità e aiuta soprattutto i più piccoli a individuare le personali attitudini. Per questa ragione abbiamo accolto con piacere l’idea di ospitare la mostra nel salone dell’assessorato". I bambini hanno realizzato prevalentemente paesaggi, nature morte e figure studiando le opere di grandi artisti del novecento tra pittori e scultori, come Cézanne e Marino Marini, e altri siracusani e siciliani come Giovanni Migliara, Angelo Cassi, Gaetano Tranchino, Girolamo Ciulla, Davide Tito e Piero Guccione. Disegni e sculture per un totale di oltre 30 elaborati. Gli adulti hanno fatto un percorso base sul disegno, sulla pittura e hanno modellato in argilla. La tecniche utilizzate sono state disegno con grafite, quadrettatura e acquarello e pastello cretoso, studio di figura con l'ausilio della fotografia per poi realizzare nuove opere e originali. "Il tutto lavorando e dialogando e creando un clima di interscambio alla stessa maniera di chi andava in bottega nel periodo rinascimentale con obiettivo di maturare e sviluppare opere contemporanee che rappresentano la nostra società", spiega il maestro Fatuzzo. La mostra è stata presentata dalla professoressa Loredana Pitruzzello, che ha sottolineato la capacità di riuscire a comunicare non solo con le parole. "Il maestro Fatuzzo ha avuto la capacità di far scoprire ai suoi allievi una capacità nascosta – ha spiegato –: tutti sono stati pronti a cogliere la bellezza di un altro artista diventandolo a loro volta. Tramite un segno, un colore, o la manipolazione della materia. E ammirare la mostra diventa un piacere per la vista ed anche per il cuore".... Read the full article
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Altidona
ALTIDONA
Un giro virtuale in uno dei castelli più panoramici e ben conservati dell’entroterra fermano che affonda le sue radici in epoca picena e condivide le sorti dell’impero romano fino al suo disgregarsi. È nata dall’unione di più castelli dislocati nelle colline prossime alla foce dell’Aso e il primo di cui si ha notizia è quello di San Biagio in Barbolano che nel 1032 fu donato dalla badessa Raimenga ai monaci di Montecassino e poi dell’abbazia di Farfa fino al Duecento quando fu costruito un nuovo castello in cui fu trasferita la chiesa di Santa Maria e Ciriaco.
Altidona si adagia lungo il crinale della collina e presenta un piccolo centro storico, curato e ospitale, circondato da mura e intessuto da vicoli che si aprono su piazze e piccoli terrazzi panoramici. Al centro, quasi a divederlo perfettamente a metà, la robusta torre medievale d’avvistamento chiamata Belvedere e il nome dice già tutto: vista mozzafiato dagli Appennini all’Adriatico sulla spiaggia di Marina di Altidona che dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento è diventata ambita meta per il turismo balneare. Da quest'anno Marina di Altidona si fregia della Bandiera Blu ed accoglie i turisti tra i lidi e il grande Parco dei Due Ponti attrezzato con giochi per bambini e attraversato da piste ciclabili che portano fino al Lago Azzurro. Nella piazza principale, o meglio nel Largo Municipale, si entra oltrepassando una porta aperta ai piedi del campanile della chiesa dedicata ai santi Maria e Ciriaco che conserva il Polittico del veneziano Cristoforo Cortese (1390 circa) e la tela di Vincenzo Pagani (1490 circa – 1568) con la Vergine in gloria col Bambino. Oltre a queste due opere, la chiesa, ampliata nel Settecento come mostrano le forme neoclassiche, è una sorta di contenitore di opere d’arte provenienti da chiese rurali distrutte o dismesse come la tela del Seicento con la Madonna di Loreto con i Santi Nicola da Tolentino, Francesco da Paola, Filippo Neri, Antonio da Padova e il Beato Antonio Grassi, attribuita alla bottega di Natale Ricci (1677–1754), l'Annunciazione del 1720 firmata dal fratello Ubaldo Ricci (1669-1732), una croce argento sbalzato del XV secolo, e la pregevole una scultura di legno policromo della Madonna della Misericordia del Cinquecento. Nella piccola piazza Carducci vi è una singolare bottega che dal 2008 riporta sensazioni di un tempo antico: Ginevra, la bottega dei Mosaici, un laboratorio artistico di pittura, mosaici e decorazione di ceramica che declina queste arti decorative in tutte le sue forme, anche su commissione, grazie alla sapienza di Angelita Angelini detta Angie.
Altidona è sede della Fototeca Provinciale di Fermo gestita dall’Associazione Culturale Altidona Belvedere che ha lo scopo di conservare, catalogare e digitalizzare tutto il patrimonio fotografico del territorio. Ha una ricca collezione che vede 400.000 fotografie e 300.000 diapositive con 19 fondi catalografici. Grande amico di questa associazione è stato Mario Dondero uno dei più grandi fotoreporter del Novecento che proprio nel fermano ha trascorso i suoi ultimi anni di vita e ha voluto lasciare ai suoi più cari amici tutto il suo immenso archivio che racconta più di sessanta anni di storia italiana e internazionale. Riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali come un “archivio di interesse nazionale” è già stato parzialmente digitalizzato e reso fruibile con numerose mostre e pubblicazioni come quella di Roma nel 2014 alle Terme di Diocleziano e a Bergamo nel 2017 con i rispettivi cataloghi editi da Electa e Silvana editore. Le mostre e la continua ricerca sono aperte anche a giovani fotografi con i quali non ci si limita all’esposizione ma ad un costante dialogo con il pubblico fatto di incontri, corsi e concorsi che valicano i confini nazionali e rendono Altidona e Fermo tra le capitali della fotografia mondiale. Visita la mostra "Mario Dondero, Le Foto Ritrovate"Per visualizzare il virtual tour a tutto schermo cliccare qui. www.altidona.net www.altidonabelvedere.it www.prolocoaltidona.it www.fototecafermo.it mariodondero.fototecafermo.it Read the full article
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Piccoli passi in queste giornate di pioggia continua
Gli ultimi giorni sono stati bui, umido-freddi e allegramente senza un soldo. Ciò significa che non comincerò, questo mese, il quarto corso di Fotografia alla Bottega dell’Immagine. Eppure non sono fermo.
Stamane ho ricevuto la conferma, dal fotografo David Hancock, della consegna al servizio di consegna della Ciro-Flex modello E che ho vinto nel suo contest. Dovrei quindi riceverla entro questo mese, questa antica macchina a pellicola medio formato con visore a pozzetto. That is good.
Ciò implica che, quando me lo potrò permettere, il primo corso che prenoterò alla Bottega sarà quello di Camera Oscura, finito il quale potranno partire i miei Mualvaggi piani per il BN di medio formato a pellicola!
In merito a ciò, finalmente sto avendo interessamenti per le lenti Pentax che ho messo in vendita (il 18-135mm WR e il 10mm f 2,8, ottiche ottime ma di nessun utilizzo nel settore Ritratto, quindi, necessitando di fondi, messe in vendita).
In seguito al felice esito del contest fotografico di mr Hancock, mia madre s’è convinta a darmi una mano e mi ha fornito del 90% dei soldi necessari a fornirmi del secondo (e nuovo) corpo macchina: la Pentax K3 II, già pervenutami e fornita di batteria di riserva, strap pentaxiani e schede di memoria (anche in eccedenza).
Della necessità di disporre di una ridondanza di attrezzatura per chi persegue il cammino della Fotografia di Moda, ne parlerò in un post successivo. Basti dire qui che indispensabile, lo è.
Last but not Least, ho preso contatti per la prima volta con una modella e siamo in accordo per uno shooting in TF da svolgersi in marzo. Ciò è un fatto di grande importanza, il prossimo scalino della lunga scala che mi spetta di ascendere. Come sempre Per Aspera ad Astra!
Anche questo ultimo evento verrà maggiormente descritto in un post a se stante, a tempo debito.
Resta il fatto che oggi la pioggia continua a scendere, nutrendo la terra e i semi che essa reca in grembo. Presto il Bosco del Molgora partorirà nuovi sogni, e io sarò lì a dare loro il mio fotografico benvenuto!
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I FOTOGRAFI DI GUERRA E LA FOTOGRAFIA DI REPORTAGE
di Luigi Pasqualin
-- Durante la Grande Guerra, i soldati, i giornalisti e coloro che lavoravano per la mappatura dei teatri bellici ci hanno lasciato una quantità enorme di materiale fotografico. È bene ricordare che questi documenti, a differenza delle incalcolabili testimonianze orali a noi tramandate, e dell’altrettanto sterminata letteratura di guerra, hanno il pregio di essere immediatamente intellegibili dall’osservatore, e di immortalare situazioni e attimi di vita che altrimenti sarebbero stati destinati a perdersi.
Certo, per sua natura, la fotografia non può essere disgiunta dalle altre fonti storiche “dirette” e interpretative; degli scatti d’epoca vanno indagate le coordinate spaziali e temporali, e questi dati devono poi essere incrociati con le notizie che emergono dagli archivi, ma anche con i reperti e le osservazioni che possono essere state raccolte sui campi di battaglia.
Va tenuto in considerazione, inoltre, che l’uso degli apparecchi fotografici durante il primo conflitto mondiale fu massicciamente impiegato a fini divulgativi e propagandistici. Si può dire che i sacrifici che a loro tempo alcuni fotografi hanno offerto al loro soggetto – la guerra –, sono stati anche restituiti allo sviluppo della fotografia stessa. Un singolare scambio di favori.
Va anche sottolineato che durante il primo conflitto mondiale la censura incise sulla diffusione delle notizie a livelli mai raggiunti prima di allora.
I soldati
I soldati che allora utilizzavano macchine fotografiche non potevano inviare immagini giudicate sensibili, per non rivelare gli spostamenti delle truppe, o altri elementi che potessero nuocere allo svolgimento delle operazioni militari. Sappiamo che le crude scene delle trincee, con i loro caduti, non erano concesse: generalmente non era ammesso fotografare i cadaveri.
Praticamente, la stragrande maggioranza delle “concessioni” accordate al soldato in ambito fotografico erano ritratti personali e scene di vita collettiva con i commilitoni. Questi quadretti – attentamente vigilati – erano ovviamente concepiti allo scopo di rincuorare i familiari e le fidanzate, che, trepidanti, aspettavano notizie dei loro cari impegnati al fronte.
La maggior parte delle fotografie eseguite da soldati a noi pervenute, sono state scattate da individui che, oltre a possedere la disponibilità economica per l’acquisto di una macchina fotografica e della pellicola, avevano un livello di istruzione superiore alla media. Si trattava, per lo più, di graduati e ufficiali.
Alle reclute meno abbienti si rivolgevano invece dei fotografi militari professionisti, o comunque abilitati a lavorare all’interno delle singole unità, che, con il loro banco ottico, svolgevano la funzione di ritrattisti per coloro che volevano un ricordo del loro essere in divisa. Questi fotografi da trincea, per giunta, assolvevano senz’altro allo sviluppo del materiale dei fotografi dilettanti.
Va però ricordato un altro importante contributo che la fotografia ha dato alla formazione di tante persone operanti a vario titolo nel conflitto: molte di esse, infatti, continuarono a coltivare la passione dell’essere fotografi. Nasceva così il fotografo artigiano, che con la sua bottega proseguiva l’attività che aveva appreso nelle retrovie delle trincee e all’interno delle stesse. Una figura di appassionato che molti ricorderanno, ma che attualmente è stata fagocitata dalle nuove tecnologie.
Ci rimane qualche esempio di soldato che sfidò la ferrea legge della censura con dei veri e propri servizi fotografici di intensa drammaticità: la verità fu la prima vittima della Grande Guerra. Forse è una frase poco originale questa, ma che non vuole essere polemica, e che si può applicare a ogni genere di conflitto, non ultimi quelli attuali.
I giornalisti fotografi
Accanto alle figure già descritte, c’erano poi i fotografi di servizio ai giornali: coloro che con le fotografie supportavano i giornalisti di guerra.
Attualmente essi sono definiti reporter di guerra, con le solite definizioni anglosassoni che tanto piacciono oggi. Questi professionisti provvedevano a tenere informati coloro che restavano a casa. Dovevano essere per forza dei fotografi navigati: non è da tutti sintetizzare, con poche immagini, situazioni che dovevano far vivere nella fantasia di chi leggeva il giornale una cronaca succinta, un riassunto – per quanto possibile – esaustivo. I nomi di molti di essi, come vedremo, rimasero nella storia del giornalismo.
Anche loro, comunque, erano soggetti all’inflessibile censura imposta dallo Stato, comprensibilmente preoccupato da ciò che poteva essere deleterio per il morale dei cittadini e per lo svolgersi del conflitto.
Inoltre i giornalisti fotografi, come accade anche attualmente, erano sempre soggetti al modus operandi, vale a dire alla linea editoriale, che imponeva loro la testata per cui lavoravano.
I fotografi militari
Esistevano poi dei fotografi legati alle operazioni militari, essi erano inquadrati a tutti gli effetti come combattenti.
La fotografia, innegabilmente, ebbe un peso non certo secondario nel conflitto. Ricognitori si alzavano in volo ogni giorno e la mole di fotografie delle zone operative era impressionante; migliaia e migliaia di immagini che arrivavano sul tavolo dello stato maggiore per dare indicazioni sugli spostamenti del nemico sul terreno. Visioni dall’alto delle postazioni avversarie e della loro collocazione davano indicazioni di vitale importanza per lo svolgersi delle operazioni belliche. Praticamente, quelli da ricognizione erano sempre aerei biposto; nella tipologia dei ricognitori italiani, quindi, oltre al pilota, era sistemato anche un fotografo. La macchina era discretamente pesante, non dissimile ad un banco ottico, chiaramente senza treppiede e senza telo. Ci furono anche curiose applicazioni della fotografia di ricognizione: presso il nostro Museo della Terza Armata, le guide si divertono a descrivere ai visitatori un singolare utilizzo dell’apparecchio fotografico... vale la pena ricordare che durante la Grande Guerra, pure il piccione svolgeva mansioni di fotografo, l’ingegno degli strateghi, pose al petto del pennuto, un minuscolo apparecchio fotografico che scattava foto del campo di battaglia.
Infine, vorrei spendere due parole su un personaggio per niente secondario ai fini del conflitto. Esattamente l’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III (1869-1947). Nelle non rare volte in cui il monarca seguiva personalmente le operazioni dell’esercito italiano, era solito uscire in auto al mattino presto. Le cronache ci dicono che non abbandonasse mai la sua macchina fotografica, ma non ho reperito notizie sul soggetto delle sue foto, e nemmeno sulla loro esistenza. Come molti fotografi amatoriali, penso comunque che qualche volta si sia pure dimenticato di allacciare la pellicola e che molti scatti siano andati perduti.
L’apparecchio fotografico più famoso e la sua storia
Indubbiamente, molti apparecchi fotografici (professionali e non) furono usati dai vari eserciti nel primo conflitto mondiale. Per non appesantire questo breve saggio, che non vuole essere eccessivamente tecnico, ci soffermeremo solo sulla macchina fotografica più famosa in assoluto: la Kodak Pocket, talmente nota da venire apostrofata come «la macchina fotografica del soldato»; vari esemplari sono presenti in importanti musei, quali il Nicolis di Verona.
Ecco il contenuto della réclame del distributore italiano della Kodak di quel tempo (una società milanese con recapito anche a Venezia, in Piazza San Marco 52):
Nel 1915, questo genere di pubblicità apparve anche su diversi periodici, ad esempio l’Illustrazione Italiana e La Domenica del Corriere: la tipologia del messaggio era la medesima, cambiavano l’impostazione e le foto di contorno al trafiletto.
Riguardo al prodotto, si trattava di un apparecchio abbastanza robusto (dato l’uso a cui era destinato), delle cui caratteristiche – già in pubblicità – l’acquirente poteva subito rendersi conto.
La macchina fotografica pubblicizzata: Vest Pocket Kodak prodotta in U.S.A. (1912-1926)
Robert Capa
Nella prima parte di quest’articolo è stato ribadito che alcuni giornalisti-fotografi sono rimasti nella storia; gettando uno sguardo oltre la Grande Guerra, questo paragrafo sarà dedicato all’imprescindibile Robert Capa, forse il più famoso in assoluto.
Il suo vero nome era Endre Ernő Friedmann, nacque a Budapest, il 22 ottobre 1913, e morì nel Vietnam, il 25 maggio 1954.
Capa rese testimonianza di 5 diversi conflitti: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (dal 1938), la seconda guerra mondiale, la guerra arabo-israeliana del 1948 e la prima guerra di Indocina, nel 1954.
Molte delle sue fotografie sono impresse nella “memoria collettiva” di chi si interessa degli eventi storici citati; diversi suoi scatti sono stati criticati e considerati controversi – basti pensare alla foto del miliziano colpito a morte nella guerra di Spagna, che ancora fa discutere.
Memorabile è il suo racconto fotografico del D-Day, di cui si può fornire un riassunto, allo scopo di esemplificare quelli che sono i problemi del fotografo di guerra.
- 6 giugno 1944: il Nostro sbarca all’alba con le truppe alleate sulla spiaggia di Omaha Beach, la località che, in codice, indica il tratto di costa in Normandia scelto per l’operazione. Le parole di Capa1 rievocano «I soldati immersi fino alla cintola, i moschetti pronti a sparare, le difese d’acqua anti-invasione e la spiaggia avvolta dal fumo». Per sua esplicita ammissione, Capa (che non era il solo fotografo presente allo sbarco), in preda a quella che lui stesso ammette essere paura, comincia a scattare non appena la sua Contax è in grado di lavorare con quella luce.
Le foto furono pubblicate dal mensile Life il 19 giugno successivo; su sette pagine il sottotitolo recitava: «La fatidica battaglia per l’Europa è cominciata via mare ed aria». Dei 4 rullini di 36 pose originariamente scattate dal fotografo, solo 11 foto si salvarono: un maldestro uso della camera oscura da parte del personale del giornale distrusse il frutto di ansie e paure. Oggi, di quelle foto ne rimangono soltanto 8, conservate presso l’I.C.P. (International Centre of Photography).
Lo stesso Capa, parlando del suo mestiere, giudicò: «Se le foto non sono abbastanza buone, non eri abbastanza vicino».
Scomparve nel 1954 a Tay Ninh, in Vietnam, caduto vittima di una mina, mentre cercava di andare più vicino.
Nel 1947, insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert aveva fondato l’agenzia Magnum.
© Robert Capa, Sbarco in Nomandia, operazione Smoke Screen del 6 giugno 1944
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Fonti
Per la consultazione di fotografie ringrazio il Museo della Terza Armata di Padova, che è anche l’Editore della presente pubblicazione.
Il Museo dà la possibilità di visionare un immenso materiale fotografico e filmati d’epoca, il tutto è fruibile ai visitatori anche dai totem sistemati al pian terreno e al piano nobile. Ricordo che l’ente possiede anche una biblioteca non indifferente con testi a stampa e documenti relativi alla Grande Guerra e al secondo conflitto mondiale, consultabili su richiesta.
Va citato anche un volume divulgativo prodotto della Provincia di Treviso: Comune di Treviso, Assessorato della Cultura, Guida alla mostra fotografica “Fotografare la Grande Guerra”. Per una conoscenza del Patrimonio di fotografie e attrezzature dei Fondi Fotografici veneti, F.A.S.T: Foto Archivio Storico Trevigiano, 2001.
Robert Capa, Slightly Out of Focus, New York, Modern Library War, 2001
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La Redazione di Fotopadova ringrazia l’Autore nonché l’Associazione Culturale Amici del Museo Storico della Terza Armata (via Altinate 59a Padova) di averci dato la possibilità di presentare in anteprima questo saggio che apparirà poi a fine 2021 nella pubblicazione-strenna annuale destinata ai Soci dell’Associazione stessa.
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