#Mauro Mellini
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marcogiovenale · 9 months ago
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16 marzo: un finesettimana di mostre a bassano in teverina
Ricevo da Tommaso Cascella e volentieri diffondo: UN FINESETTIMANA DI MOSTRE A BASSANO IN TEVERINA Sabato 16 marzo si inaugurano esposizioni di pittura, scultura, fotografia Le opere di oltre 60 artisti italiani e internazionali sono protagoniste di un fine settimana nel borgo antico di Bassano in Teverina, con quattro mostre in programma. Una significativa occasione per scoprire il suggestivo…
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paoloxl · 4 years ago
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14 gennaio 1980: FPLP e l'arresto di Pifano | Palestina Rossa
Giorgio conosce bene "Fausto", con il quale aveva collaborato anni addietro in più occasioni per la raccolta di medicinali da inviare nei campi profughi palestinesi, da sempre bersaglio delle rappresaglie aeree degli israeliani. Questa volta, Giorgio deve recuperare d'urgenza una grossa cassa depositata in un punto preciso dell'autostrada Roma – Pescara e trasportarla ad Ortona, in provincia di Chieti. Per farlo decide di farsi aiutare dal altri due compagni di Via Dei Volsci, Daniele Pifano e Luciano Nieri, con i quali imbocca il casello dell'autostrada Roma – Pecara intorno alle 21,30. Giorgio, che nella fretta ha dimenticato a casa tutti i documenti, patente compresa, è alla guida di un camper piuttosto malandato insieme a Luciano, mentre Daniele guida una fiat 500.
La cassa viene recuperata in autostrada e portata nella piazza di Ortona dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio, la stessa piazza dove, pochi giorni prima, era stata rapinata una banca. E' per questo motivo che un metronotte, insospettito dalla presenza dei tre, decide di avvisare i carabinieri locali; Giorgio, Daniele e Luciano vengono così fermati poco prima dello scambio senza che la perquisizione dei due veicoli risulti positiva e portati in questura per accertamenti dal momento che Giorgio era sprovvisto di documenti. Il nome di Pifano, comunicato in centrale, fa sì che venga richiesto un controllo più accurato: a questo punto nel camper viene rinvenuta la cassa contenente due lanciamissili SA-7 Strela. Insieme ai tre militanti viene anche arrestato Saleh Abu Anzeh, militante dell'FPLP incaricato di gestire il travagliato passaggio di mani dei lanciamissili.
L'episodio fornì lo spunto per far sbizzarrire tutti gli organi di stampa e i soliti policanti, primo fra tutti il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga, soddisfatto di poter finalmente avvallare, con la complicità dei servizi segreti e del nucleo speciale del generale Dalla Chiesa, il teorema del definitivo passaggio di Autonomia Operaia alla lotta armata. Le ipotesi più bizzarre si susseguirono senza sosta nei giorni successivi agli arresti: secondo alcuni i missili sarebbero serviti per attentare alla vita del papa, secondo altri per colpire l'aereo di Kossiga, altri ancora pensavano ad un assalto ad una base Nato o ad un carcere speciale. La realtà, come sempre, è a dir poco lontana dalle ingegnose ipotesi dei media e dalle congetture fantapolitiche di chi vedeva nella diffamazione il modo più semplice per screditare la lotta politica di un intero movimento. Certo, trovarsi tra le mani tre esponenti di spicco di Via dei Volsci che trasportavano missili terra-aria faceva comodo a tutti, perché l'ipocrisia del potere può tollerare che certi traffici vengano compiuti dai partiti, dai sindacati o da chiunque altro non si professi a favore dell'internazionalismo proletario, dei movimenti rivoluzionari a favore dei popoli oppressi e soprattutto, che lo riveli apertamente con la propria militanza politica. Ancora più imbarazzanti furono le prese di posizione dell'area anarco-sindacalista romana, a metà fra il sarcasmo e la stizza, soprattutto nel momento in cui vennero pubblicamente smentiti dopo aver diffuso un volantino in cui si accusava, senza mezzi termini, il collettivo di Via dei Volsci di essere "amico di Mosca" (a causa dei due missili di fabbricazione sovietica).
Fu così che nel mezzo del processo ai quattro imputati, Giorgio Baugartner, Luciano Nieri, Daniele Pifano e Saleh Abu Anzeh, iniziato ufficialmente il 14 gennaio 1980 dopo svariati rinvii, arrivò, per mezzo dell'avvocato Mauro Mellini, la smentita ufficiale dell'FPLP alle innumerevoli ipotesi che erano state avanzate dopo il 7 novembre. Nel comunicato si assicurava che i missili erano di proprietà del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che si trattava di missili inefficienti, in quanto rotti, il cui utilizzo in territorio italiano non era mai stato contemplato; si precisava inoltre che la presenza di Pifano e Nieri non era stata richiesta dall'FPLP, il quale aveva contattato esplicitamente solo Giogio Baumgartner, e che queste informazioni furono recapitate al Governo Italiano pochi giorni dopo l'accaduto. Si chiedeva infine l'immediata liberazione dei quattro detenuti.
Al termine della sua requisitoria, il Pm Abrigati richiese 10 anni di reclusione per ogni imputato, su cui pesavano le accuse di introduzione nel territorio nazionale e detenzione e trasporto di armi, anche se dal primo reato, il più grave, gli imputati furono assolti per insufficienza di prove. La sentenza definitiva, emessa il 25 gennaio, con un'insolita efficienza della macchina giudiziaria italiana, condannò tutti e quattro gli imputati a sette anni di reclusione, provocando più di una polemica in ambienti giudiziari poiché il capo d'accusa solitamente non prevedeva più di cinque anni. Una sentenza già scritta da tempo, volta a colpire non solo l'Autonomia romana, ma tutto il movimento rivoluzionario, compresi gli stessi compagni Palestinesi, rei di non aver mai smesso di lottare per la liberazione della loro terra.
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infosannio · 8 years ago
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Politica senza ideali: disastro e corruzione
Politica senza ideali: disastro e corruzione
(di Mauro Mellini – opinione.it) – La Prima Repubblica è stata quella dei partiti e delle ideologie. Ogni partito vantava una sua ideologia, proclamandosene custode arcigno. Le ideologie sopravanzavano di idee e ideali fornendo ipoteche nella vita culturale del Paese. La caduta del sistema politico della Prima Repubblica dovuto al golpe giudiziario-mediatico ha coinciso temporalmente con la…
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theimaginariumup · 8 years ago
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© Barbara Marin fotografie Model: Maria Disegna Set Pamilla 2017 Location: Studio Mauro Saporiti - Roma. Muah: Stefania Mellini Hairs stylist : Elena Bardier PH Stylist per Pamilla: Stefania Mellini Lucilla Reali - Elena Bardier PH e Sandro Magro PH riprese Video e backstage ufficiale The Imaginarium™ Unlimited Photography www.theimaginarium.it www.facebook.com/theimaginarium.net www.instagram.com/theimaginariuminsta
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jamariyanews · 6 years ago
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ALTO TRADIMENTO – la FRANCIA contro l’ITALIA e contro lo sviluppo del nord AFRICA – la caduta del governo Berlusconi – la debacle della economia ITALIANA (pubblicato da Francesco Bongiovanni su testo e parole di Mauro Mellini )
Onorevole Avvocato Mauro Mellini prossimo Presidente Della Repubblica
Domenica ·
Questo articolo e questo video di Mauro Mellini ,tratta del grave atto di ALTO TRADIMENTO compiuto dal Presidente della Repubblica Napolitano,che acconsenti’ alla invasione della Libia,e alla uccisione di Gheddafi,da parte di Francesi e Inglesi.Tale atto criminale venne iniziato su bugie francesi e fu fondamentale per la caduta dolosa del Governo di Silvio Berlusconi e per la debacle della economia italiana. prefazione di @Francesco Bongiovanni 23.7.2018 – Segue articolo di Mauro Mellini.
ALTO TRADIMENTO di Mauro Mellini 22 marzo 2018 Alto Tradimento L’Italia, già lo sapevamo, era stata “parte lesa” nella vicenda del dissennato attacco alla Libia di sette anni fa con il quale Francia ed Inghilterra distrussero lo Stato tenuto assieme dal "grottesco dittatore Gheddafi", che tuttavia era l’unico Stato africano affidabile sotto diversi punti di vista (funzionava l’accordo con l’Italia, per limitare e filtrare l’ondata migratoria ed ottimi erano i molti rapporti in fatto di rifornimenti energetici). Parte lesa di una brutale e sciocca spoliazione soprattutto francese dei nostri beni ed interessi, o, piuttosto, dovremmo dire, vandalica distruzione, perché la Francia si ritrova ora con in mano una economia disastrata di un Paese disgregato. Ma la storia di quella sciagurata vicenda di violenta politica neocoloniale ha arrecato all’Italia, danni ancora più gravi e, se le responsabilità dei governanti francesi e britannici sono gravi ed imperdonabili e gravi è la responsabilità del Presidente americano Barack Obama, convinto a consentire l’aggressione da Hillary Clinton, Segretaria di Stato Usa, da noi le responsabilità del più clamoroso errore in fatto di politica nei Paesi ex coloniali si intreccia con un’altra vergognosa vicenda, nella quale un altro Presidente della Repubblica, quello italiano, che, diversamente da Nicolas Sarkozy non è stato messo in stato di fermo, ha avuto un ruolo non secondario, che, secondo la nostra Costituzione (che non trova riscontro nel Codice penale) è definibile sicuramente come altro tradimento. Giorgio Napolitano fu il fautore accanito e spregiudicato della riluttante adesione italiana all’assalto alla Libia (utilizzazione delle basi e “apertura” dello spazio aereo). Napolitano, ex esponente, anche se non di primissimo piano, del Partito Comunista Italiano, si era ritrovato a godere della qualifica di “democratico” senza aver dovuto cambiare appartenenza e (formalmente) opinione, semplicemente perché volentieri fu regalato al Partito Comunista, magari con un’etichetta un po’ modificata, quella qualifica di cui egli, poi, fruttuosamente si avvalse per la sua carriera politica. La sua responsabilità nella vicenda libica non è solo quella di avere sostenuto la tesi dell’aggressione al di là delle posizioni e opinioni del Governo in carica (cosa che è, almeno, una grave scorrettezza costituzionale). In questi giorni testimoni che seguirono da vicino i contatti e i contrasti tra Napolitano e Berlusconi, Presidente del Consiglio, assolutamente contrario e poi riluttante di fronte alle insistenze del capo dello Stato, attestano che Napolitano “fece valere” il suo ruolo di capo delle Forze armate. Che un Presidente della Repubblica, esponente e simbolo dell’unità nazionale, si avvalga di un ruolo particolare e di un particolare apparato dello Stato per imporre al Governo, responsabile di fronte al Parlamento, decisioni, tra l’altro, in un campo diverso da quello oggetto delle funzioni connesse a tale ruolo, è di per sé un comportamento eversivo. Ma non basta. Napolitano si avvalse, per imporre la sua volontà a Berlusconi, di mezzi e personaggi che stavano dando prova di slealtà e di disinvolte prevaricazioni. Un modo certamente ambiguo (almeno) lo ebbe Franco Frattini, ministro degli Esteri (quello che, nella “Navicella” dei Parlamentari, aveva la singolare annotazione: “ama le arrampicate”). Pare che Frattini si ripromettesse di ricavare da questo suo “remar contro” la posizione del governo di cui faceva parte, la nomina a Segretario generale della Nato. Tutti i gusti sono gusti. Frattini è un magistrato, consigliere di Stato. Si direbbe che non gli è andata bene. È tornato a fare il suo mestiere. Ma un vero e proprio concorso in un reato contro il libero esercizio delle funzioni di Presidente del Consiglio per vincerne la riluttanza a dare una mano all’aggressione anglo-francese lo ebbe la Magistratura Ordinaria. I magistrati e le magistrate delle Procure e dei Tribunali di mezza Italia, impegnati in una frenetica operazione di rottamazione e di demonizzazione di Berlusconi. Il Partito dei Magistrati aveva per suo conto già ridotto Berlusconi in una condizione tale da non potere affrontare uno scontro aperto con un capo dello Stato che dimostrava di “giuocare sporco”. Non c’è bisogno di accertare se, in quella contingenza, vi furono appositi e specifici contatti del Quirinale con esponenti della Magistratura. Né vi è bisogno di fare ricorso alla figura giuridica (si fa per dire) del “concorso esterno”. È singolare che la magistratura, che ha una particolare propensione per l’affermazione della esistenza di fumosi complotti e di malefatte di ogni genere dei poteri forti, in questo caso in cui il complotto con lo straniero è provato e se ne conoscono i responsabili, non abbia sollevato il benché minimo sospetto al riguardo. E non è un caso che di questo attentato vero alla Costituzione e di questo vero tradimento del nostro Paese, il Partito dei Magistrati, sia stato, invece, parte corresponsabile di primo piano. Che cosa si ripromettesse Napolitano, oltre alla rottamazione di Berlusconi e dal suo definitivo accantonamento, non lo sappiamo. Del resto è abbastanza naturale che egli cercasse anche sul piano internazionale, di vedere apprezzato il suo recente e fragile presagio all’Occidente (certo non al meglio di esso). Anche se l’“Alto tradimento”, cui fa riferimento l’articolo 90 della Costituzione non trova nel Codice penale una collocazione e una specificazione che sarebbero state opportune, è certo che l’atteggiamento di Giorgio Napolitano in quella vicenda, sia per il debordare dai limiti della sua pure altissima funzione, sia per quel gravissimo ricorso che egli avrebbe fatto al ruolo di capo delle Forze armate per costringere il responsabile del Governo e della politica generale del Paese a desistere da ogni riluttanza ad un atto di guerra, sia perché così operando erano favoriti interessi stranieri e danneggiati quelli economici e politici del nostro Paese, è chiaro che si è trattato di alto tradimento. Oggi 23 marzo 2018, il responsabile di quel reato presiede, come il senatore più anziano, il Senato nella sua prima seduta della nuova legislatura. È fuori del Parlamento, “in castigo”, la vittima “personale” del tradimento: Silvio Berlusconi. Che, se è colpevole, è colpevole di non aver gridato alto e forte che il crimine veniva commesso. Contro di lui, ma anzitutto contro l’Italia.
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infosannio · 8 years ago
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In virtù di nuove leggi, chi perde voti acquista seggi
In virtù di nuove leggi, chi perde voti acquista seggi
(di Mauro Mellini – opinione.it) – Evviva! Si dà mano (o, almeno, pare) alla legge elettorale. Così gli italiani potranno andare a votare. Non dirò “a scegliere i loro rappresentanti”. Perché non si devono dire le bugie. La legge elettorale prossima ventura non consentirà di scegliere nemmeno un commesso di Montecitorio. I cosiddetti “rappresentanti del Popolo” non li sceglierà, salvo…
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theimaginariumup · 8 years ago
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© Barbara Marin fotografie Model: Maria Disegna indossa PAMILLA Set Pamilla 2017 Location: Studio Mauro Saporiti - Roma. Muah: Stefania Mellini Hairs stylist: Elena Bardier PH Stylist per Pamilla: Stefania Mellini Lucilla Reali, Elena Bardier PH e Sandro Magro PH riprese Video e backstage ufficial The Imaginarium™ Unlimited Photography www.theimaginarium.it www.facebook.com/theimaginarium.net www.instagram.com/theimaginariuminsta
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theimaginariumup · 8 years ago
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theimaginariumup · 8 years ago
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theimaginariumup · 8 years ago
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theimaginariumup · 8 years ago
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infosannio · 8 years ago
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E se si facesse la legge elettorale dopo aver votato?
E se si facesse la legge elettorale dopo aver votato?
(di Mauro Mellini – opinione.it) – Sarà una provocazione. Magari pure grottesca e un po’ scema. Ma, visto come vanno le cose, visto cioè che tutti propongono complicatissimi sistemi elettorali in funzione delle previsioni circa l’entità e la provenienza dei voti che potranno accaparrarsi, con le insicurezze e le angosce che loro derivano dal fatto che le previsioni e i sondaggi saranno magari…
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infosannio · 8 years ago
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Rigopiano: la colpa è dei benedettini
Rigopiano: la colpa è dei benedettini
(di Mauro Mellini – opinione.it) – I giornali scalpitano. I magistrati pure e i giornalisti del corteggio giudiziario ancora di più. Fuori i colpevoli! Anzi, al rogo! Alla forca! Perché oramai quelli che di colpevoli in circostanze simili hanno bisogno li hanno trovati. L’inchiesta è arrivata prima degli aiuti. Se cominciamo ad arrostire ed impiccare i colpevoli si potranno attendere gli aiuti…
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infosannio · 8 years ago
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Un Presidente reo confesso
Un Presidente reo confesso
(di Mauro Mellini – opinione.it) – È consuetudine accogliere con gridolini di ammirazione e di approvazione il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica. Quando le alte lodi sono obbligatorie secondo la regola del “politicamente corretto”, non significano un bel niente. E, in genere, si sviluppa non so se una scienza o un’arte con la quale le lodi vengono analizzate per ricavarne…
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paoloxl · 5 years ago
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Il 7 Novembre 1979 Giorgio Baumgartner, militante di Autonomia Operaia nel collettivo Policlinico e medico della clinica ortopedica dell'Università di Roma, viene contattato telefonicamente da un esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), che usa il nome italiano di Fausto.
14 gennaio 1980: FPLP e l'arresto di Pifano
Giorgio conosce bene "Fausto", con il quale aveva collaborato anni addietro in più occasioni per la raccolta di medicinali da inviare nei campi profughi palestinesi, da sempre bersaglio delle rappresaglie aeree degli israeliani. Questa volta, Giorgio deve recuperare d'urgenza una grossa cassa depositata in un punto preciso dell'autostrada Roma – Pescara e trasportarla ad Ortona, in provincia di Chieti. Per farlo decide di farsi aiutare dal altri due compagni di Via Dei Volsci, Daniele Pifano e Luciano Nieri, con i quali imbocca il casello dell'autostrada Roma – Pecara intorno alle 21,30. Giorgio, che nella fretta ha dimenticato a casa tutti i documenti, patente compresa, è alla guida di un camper piuttosto malandato insieme a Luciano, mentre Daniele guida una fiat 500.
La cassa viene recuperata in autostrada e portata nella piazza di Ortona dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio, la stessa piazza dove, pochi giorni prima, era stata rapinata una banca. E' per questo motivo che un metronotte, insospettito dalla presenza dei tre, decide di avvisare i carabinieri locali; Giorgio, Daniele e Luciano vengono così fermati poco prima dello scambio senza che la perquisizione dei due veicoli risulti positiva e portati in questura per accertamenti dal momento che Giorgio era sprovvisto di documenti. Il nome di Pifano, comunicato in centrale, fa sì che venga richiesto un controllo più accurato: a questo punto nel camper viene rinvenuta la cassa contenente due lanciamissili SA-7 Strela. Insieme ai tre militanti viene anche arrestato Saleh Abu Anzeh, militante dell'FPLP incaricato di gestire il travagliato passaggio di mani dei lanciamissili.
L'episodio fornì lo spunto per far sbizzarrire tutti gli organi di stampa e i soliti policanti, primo fra tutti il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga, soddisfatto di poter finalmente avvallare, con la complicità dei servizi segreti e del nucleo speciale del generale Dalla Chiesa, il teorema del definitivo passaggio di Autonomia Operaia alla lotta armata. Le ipotesi più bizzarre si susseguirono senza sosta nei giorni successivi agli arresti: secondo alcuni i missili sarebbero serviti per attentare alla vita del papa, secondo altri per colpire l'aereo di Kossiga, altri ancora pensavano ad un assalto ad una base Nato o ad un carcere speciale. La realtà, come sempre, è a dir poco lontana dalle ingegnose ipotesi dei media e dalle congetture fantapolitiche di chi vedeva nella diffamazione il modo più semplice per screditare la lotta politica di un intero movimento. Certo, trovarsi tra le mani tre esponenti di spicco di Via dei Volsci che trasportavano missili terra-aria faceva comodo a tutti, perché l'ipocrisia del potere può tollerare che certi traffici vengano compiuti dai partiti, dai sindacati o da chiunque altro non si professi a favore dell'internazionalismo proletario, dei movimenti rivoluzionari a favore dei popoli oppressi e soprattutto, che lo riveli apertamente con la propria militanza politica. Ancora più imbarazzanti furono le prese di posizione dell'area anarco-sindacalista romana, a metà fra il sarcasmo e la stizza, soprattutto nel momento in cui vennero pubblicamente smentiti dopo aver diffuso un volantino in cui si accusava, senza mezzi termini, il collettivo di Via dei Volsci di essere "amico di Mosca" (a causa dei due missili di fabbricazione sovietica).
Fu così che nel mezzo del processo ai quattro imputati, Giorgio Baugartner, Luciano Nieri, Daniele Pifano e Saleh Abu Anzeh, iniziato ufficialmente il 14 gennaio 1980 dopo svariati rinvii, arrivò, per mezzo dell'avvocato Mauro Mellini, la smentita ufficiale dell'FPLP alle innumerevoli ipotesi che erano state avanzate dopo il 7 novembre. Nel comunicato si assicurava che i missili erano di proprietà del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che si trattava di missili inefficienti, in quanto rotti, il cui utilizzo in territorio italiano non era mai stato contemplato; si precisava inoltre che la presenza di Pifano e Nieri non era stata richiesta dall'FPLP, il quale aveva contattato esplicitamente solo Giogio Baumgartner, e che queste informazioni furono recapitate al Governo Italiano pochi giorni dopo l'accaduto. Si chiedeva infine l'immediata liberazione dei quattro detenuti.
Al termine della sua requisitoria, il Pm Abrigati richiese 10 anni di reclusione per ogni imputato, su cui pesavano le accuse di introduzione nel territorio nazionale e detenzione e trasporto di armi, anche se dal primo reato, il più grave, gli imputati furono assolti per insufficienza di prove. La sentenza definitiva, emessa il 25 gennaio, con un'insolita efficienza della macchina giudiziaria italiana, condannò tutti e quattro gli imputati a sette anni di reclusione, provocando più di una polemica in ambienti giudiziari poiché il capo d'accusa solitamente non prevedeva più di cinque anni. Una sentenza già scritta da tempo, volta a colpire non solo l'Autonomia romana, ma tutto il movimento rivoluzionario, compresi gli stessi compagni Palestinesi, rei di non aver mai smesso di lottare per la liberazione della loro terra.
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paoloxl · 6 years ago
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Il 7 Novembre 1979 Giorgio Baumgartner, militante di Autonomia Operaia nel collettivo Policlinico e medico della clinica ortopedica dell'Università di Roma, viene contattato telefonicamente da un esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), che usa il nome italiano di Fausto. Giorgio conosce bene "Fausto", con il quale aveva collaborato anni addietro in più occasioni per la raccolta di medicinali da inviare nei campi profughi palestinesi, da sempre bersaglio delle rappresaglie aeree degli israeliani. Questa volta, Giorgio deve recuperare d'urgenza una grossa cassa depositata in un punto preciso dell'autostrada Roma – Pescara e trasportarla ad Ortona, in provincia di Chieti. Per farlo decide di farsi aiutare dal altri due compagni di Via Dei Volsci, Daniele Pifano e Luciano Nieri, con i quali imbocca il casello dell'autostrada Roma – Pecara intorno alle 21,30. Giorgio, che nella fretta ha dimenticato a casa tutti i documenti, patente compresa, è alla guida di un camper piuttosto malandato insieme a Luciano, mentre Daniele guida una fiat 500.
La cassa viene recuperata in autostrada e portata nella piazza di Ortona dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio, la stessa piazza dove, pochi giorni prima, era stata rapinata una banca. E' per questo motivo che un metronotte, insospettito dalla presenza dei tre, decide di avvisare i carabinieri locali; Giorgio, Daniele e Luciano vengono così fermati poco prima dello scambio senza che la perquisizione dei due veicoli risulti positiva e portati in questura per accertamenti dal momento che Giorgio era sprovvisto di documenti. Il nome di Pifano, comunicato in centrale, fa sì che venga richiesto un controllo più accurato: a questo punto nel camper viene rinvenuta la cassa contenente due lanciamissili SA-7 Strela. Insieme ai tre militanti viene anche arrestato Saleh Abu Anzeh, militante dell'FPLP incaricato di gestire il travagliato passaggio di mani dei lanciamissili.
L'episodio fornì lo spunto per far sbizzarrire tutti gli organi di stampa e i soliti policanti, primo fra tutti il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga, soddisfatto di poter finalmente avvallare, con la complicità dei servizi segreti e del nucleo speciale del generale Dalla Chiesa, il teorema del definitivo passaggio di Autonomia Operaia alla lotta armata. Le ipotesi più bizzarre si susseguirono senza sosta nei giorni successivi agli arresti: secondo alcuni i missili sarebbero serviti per attentare alla vita del papa, secondo altri per colpire l'aereo di Kossiga, altri ancora pensavano ad un assalto ad una base Nato o ad un carcere speciale. La realtà, come sempre, è a dir poco lontana dalle ingegnose ipotesi dei media e dalle congetture fantapolitiche di chi vedeva nella diffamazione il modo più semplice per screditare la lotta politica di un intero movimento. Certo, trovarsi tra le mani tre esponenti di spicco di Via dei Volsci che trasportavano missili terra-aria faceva comodo a tutti, perché l'ipocrisia del potere può tollerare che certi traffici vengano compiuti dai partiti, dai sindacati o da chiunque altro non si professi a favore dell'internazionalismo proletario, dei movimenti rivoluzionari a favore dei popoli oppressi e soprattutto, che lo riveli apertamente con la propria militanza politica. Ancora più imbarazzanti furono le prese di posizione dell'area anarco-sindacalista romana, a metà fra il sarcasmo e la stizza, soprattutto nel momento in cui vennero pubblicamente smentiti dopo aver diffuso un volantino in cui si accusava, senza mezzi termini, il collettivo di Via dei Volsci di essere "amico di Mosca" (a causa dei due missili di fabbricazione sovietica).
Fu così che nel mezzo del processo ai quattro imputati, Giorgio Baugartner, Luciano Nieri, Daniele Pifano e Saleh Abu Anzeh, iniziato ufficialmente il 14 gennaio 1980 dopo svariati rinvii, arrivò, per mezzo dell'avvocato Mauro Mellini, la smentita ufficiale dell'FPLP alle innumerevoli ipotesi che erano state avanzate dopo il 7 novembre. Nel comunicato si assicurava che i missili erano di proprietà del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che si trattava di missili inefficienti, in quanto rotti, il cui utilizzo in territorio italiano non era mai stato contemplato; si precisava inoltre che la presenza di Pifano e Nieri non era stata richiesta dall'FPLP, il quale aveva contattato esplicitamente solo Giogio Baumgartner, e che queste informazioni furono recapitate al Governo Italiano pochi giorni dopo l'accaduto. Si chiedeva infine l'immediata liberazione dei quattro detenuti.
Al termine della sua requisitoria, il Pm Abrigati richiese 10 anni di reclusione per ogni imputato, su cui pesavano le accuse di introduzione nel territorio nazionale e detenzione e trasporto di armi, anche se dal primo reato, il più grave, gli imputati furono assolti per insufficienza di prove. La sentenza definitiva, emessa il 25 gennaio, con un'insolita efficienza della macchina giudiziaria italiana, condannò tutti e quattro gli imputati a sette anni di reclusione, provocando più di una polemica in ambienti giudiziari poiché il capo d'accusa solitamente non prevedeva più di cinque anni. Una sentenza già scritta da tempo, volta a colpire non solo l'Autonomia romana, ma tutto il movimento rivoluzionario, compresi gli stessi compagni Palestinesi, rei di non aver mai smesso di lottare per la liberazione della loro terra.
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