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[Il nostro Pasolini][Massimo Raffaeli]
Clicca qui per acquistare il libro Titolo: Il nostro Pasolini. Saggi e note 2006-2023Scritto da: Massimo RaffaeliEdito da: Rogas edizioniAnno: 2024Pagine: 192ISBN: 9791281543010 Di che cosa parla “Il nostro Pasolini. Saggi e note 2006-2023” Il titolo allude a qualcosa che, per la generazione dell’autore di questo libro, corrisponde alla fine dell’età dell’innocenza, l’assassinio di Pier Paolo…
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5 MARZO 1922 nasceva PIER PAOLO PASOLINI, il preveggente che sapeva leggere il presente.
Lui è e resta il nostro intellettuale più visionario e profetico,
ancora oggi moderno nel suo pensare e nelle sue opere.
Io sono un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere o il calare del sole sui campi. Non so quindi cosa farmene di un mondo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo. Detesto tutto di esso: la fretta, il frastuono, la volgarità, l'arrivismo. Io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù.
Pier Paolo Pasolini.
Atlantide
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Pier Paolo Pasolini on the cover of Guerin Sportivo following his death on the 2nd of November 1975.
Eulogy and interview transcribed below the cut:
Italian:
Di Pier Paolo Pasolini ricordo la straordinaria disponibilità al dialogo sportivo. Poteva sembrare un non senso in un uomo di cultura, poteva anche passare per civetteria poliedrica, ma in lui lo sport era uno dei momenti essenziali. E lo scrittore vi teneva fede non solo quando ribadiva la validità del binomio arte e gioco, ma lo faceva in prima persona. Diceva: «Lo sanno tutti che mi piace giocare al calcio, e per questo c'è sempre qualcuno che mi chiama. Io vado soltanto a giocare. Per me l'arte è gioco ed anche il gioco, in qualche modo, è arte». Così era l'uomo-Pasolini, sincero anche nel paradossale: le sue prestazioni calcistiche raramente hanno registrato una vittoria, anzi le sconfitte avevano punteggi da pallottoliere. Ma lui era tenace, martedì scorso avrebbe dovuto giocare a Palermo con altri attori, tanto per riassaporare quel gusto di libertà « che soltanto una partita tra amici - sono sempre parole sue - sapeva fargli ritrovare perchè soltanto così lo sport usciva dalla dimensione di bene di consumo ». Per questo forse trovava il «Guerin Sportivo» dissacrante nel modo giusto. Specie quando usciva dai canoni tradizionali e si lanciava in crociate senza nessun avallo all'inizio, ma che in seguito si rivelavano giuste e facevan proseliti. «Bisogna aver coraggio mi diceva qualche giorno fa, durante la sua ultima intervista sul calcio e i suoi protagonisti il coraggio di uscire dalla mercificazione e dai commenti falsamente vivaci. Non c'è dubbio che Brera sa scrivere, anche Ghirelli. Tutti gli altri, invece, sono un casuale ammasso di luoghi comuni ». Gli proponemmo di commentare per noi gli avvenimenti più importanti, meglio ancora se sconfinavano dai limiti sportivi per entrare in quelli del costume. « Aver coraggio - mi rispose - vuol dire fare cose anche come questa. Magari riuscissi a trovare il tempo per farle, chissà! Parliamone, forse riesco a farlo davvero ». Incontrarlo era un'avventura. Nella sua casa dell'Eur non c'era quasi mai. Al telefono mi rispondeva la vecchia madre oppure Graziella Chiercossi, docente di lettere al- l'Università, sua cugina di secondo grado. Era sempre in giro, ma lasciava diligentemente nota dei suoi spostamenti, magari cambiandoli cinque minuti dopo. La sua ultima intervista è nata nell'intervallo di una conferenza all'Università di Bologna. (« Meno male mi disse - parliamo di sport. Mi serve per rilassarmi prima di tornare là dentro!»), si è poi completata in un secondo incontro. Pier Paolo Pasolini, però, pur nel suo correre era di parola: « Vedi un po' se basta, che del contenuto ne rispondo io. Anzi, appena a Roma, mando qualche appunto per ampliare alcuni concetti ». É puntuale, qualche giorno fa è arrivata in redazione una sua caratteristica busta arancione. Ecco, questo è stato l'iter della sua ultima discussione sul calcio. « Peccato - disse nel salu- tarmi che tutti mi considerino solo un uomo di cultura. Vogliono da me unicamente giustificazioni culturali forse perché oggi la cultura è un ottimo alibi. Mai che mi invitino a tenere una conferenza sul calcio, eppure sono ferratissimo. Vedi, gli sportivi sono poco colti e gli uomini colti sono poco sportivi. Ma io sono un'eccezione >>. Ecco, Pier Paolo Pasolini era tutto questo. «< Lo sport, si legge nell'intervista, è diventato la religione del nostro tempo». Di sicuro, lo era del suo.
English:
I remember Pier Paolo Pasolini's extraordinary willingness to engage in sports dialogue. It might have seemed nonsensical in a man of culture, it might even have passed for multifaceted coquetry, but for him sport was one of the essential moments. And the writer remained faithful to it not only when he reaffirmed the validity of the binomial art and play, but he did it in the first person. He said: "Everyone knows that I like playing football, and for this reason there is always someone who calls me. I just go and play. For me art is play and play, in some way, is art". This was Pasolini the man, sincere even in the paradoxical: his football performances rarely recorded a victory, indeed the defeats had scores like an abacus. But he was tenacious, last Tuesday he should have played in Palermo with other actors, just to savor that taste of freedom «that only a game between friends - his words - could make him find again because only in this way did sport emerge from the dimension of a consumer good». Perhaps this is why he found «Guerin Sportivo» irreverent in the right way. Especially when it went beyond traditional canons and launched into crusades without any endorsement at the beginning, but which later turned out to be right and made converts. "You have to have courage - he told me a few days ago, during his last interview on football and its protagonists - the courage to escape from commodification and falsely lively comments. There is no doubt that Brera knows how to write, even Ghirelli. All the others, on the other hand, are a casual mass of clichés." We suggested that he comment on the most important events for us, even better if they went beyond the limits of sport to enter those of custom. "Having courage," he replied, "means doing things like this too. I wish I could find the time to do them, who knows! Let's talk about it, maybe I can actually do it." Meeting him was an adventure. He was almost never in his house in EUR. His old mother would answer the phone, or Graziella Chiercossi, a literature professor at the University, his second cousin. He was always out and about, but he diligently left notes of his movements, sometimes changing them five minutes later. His last interview was during the break in a conference at the University of Bologna. ("Luckily, he told me, 'Let's talk about sports. I need it to relax before going back in there!'") and was then completed in a second meeting. Pier Paolo Pasolini, however, even in his rush, was true to his word: "You'll see if it's enough, because I'll answer for the content. In fact, as soon as I get to Rome, I'll send a few notes to expand on some concepts." He is punctual, a few days ago his characteristic orange envelope arrived in the editorial office. Here, this was the process of his last discussion on football. "Too bad - he said when greeting me - that everyone considers me only a man of culture. They only want cultural justifications from me, perhaps because today culture is an excellent alibi. They never invite me to give a conference on football, and yet I am very knowledgeable. You see, athletes are not very cultured and cultured men are not very sporty. But I am an exception". Here, Pier Paolo Pasolini was all this. "Sport, we read in the interview, has become the religion of our time". Certainly, it was of his.
Italian:
Un documento eccezionale: l'ultima intervista di Pier Paolo Pasolini. Sono domande che vertono su argomenti sportivi o che comunque nello sport trovano la loro matrice e Pasolini ha risposto in due cartelle dattiloscritte, correggendo e ampliando il concetto (dove ve ne fosse bisogno ad una seconda lettura) con la sua scrittura minuta e fitta. Perché, ci si chiede ora, argomenti sportivi ad un poeta, ad un intellettuale come lui? Perché Pasolini, scrittore e regista, era anche uomo di sport. Amava il calcio in particolare; spesso partecipava a partite tra amici, ma sempre con il massimo impegno com'era nel suo carattere. « Per me sport e cultura non sono in antitesi aveva detto in un nostro precedente colloquio - anzi, si integrano, lo sport fa parte del bagaglio culturale di ogni uomo libero ». Per questo, ora, pubblicare la sua testimonianza sportiva ci pare per noi che di sport viviamo la maniera migliore di ricordarlo.
English:
An exceptional document: Pier Paolo Pasolini's last interview. These are questions that focus on sports topics or that in any case find their origin in sports and Pasolini answered in two typewritten pages, correcting and expanding the concept (where necessary on a second reading) with his minute and dense writing. Why, one wonders now, sports arguments to a poet, to an intellectual like him? Because Pasolini, writer and director, was also a man of sport. He loved football in particular; he often took part in matches with friends, but always with the maximum commitment as was his character. "For me, sport and culture are not in antithesis, he had said in a previous conversation - on the contrary, they complement each other, sport is part of the cultural baggage of every free man". For this reason, now, publishing his sporting testimony seems to us, for those of us who live by sport, the best way to remember him.
Italian:
Q. Si dice calciatore e si va subito al successo, al guadagno. La regola del gioco, tuttavia, può esse- re troppo dura: in fondo, il giovane che diventa un idolo si trova in un contesto innaturale in cui non sempre il dare e l'avere risultano in pareggio a fine carriera. Qualcuno ha detto che un calciatore è come un clown: spogliato dei suoi abiti sgargianti è una persona tristissima. A. Trovo un po' sentimentale questo problema. Potremmo proporlo come tema di una canzonetta. Del resto non mi pare che questi giovanotti trovino così traumatizzante il successo. Anzi sembrano trovarlo molto naturale e quasi dovuto. Direi che lo tecnicizzano subito. E ciò li rende impenetrabili. L'alato Antognoni è una sfinge. Chi si "scopre" sono di solito o i genitori o gli amici o i padroni dei bar.
English:
Q. You say you're a footballer and you immediately go to success, to earnings. The rules of the game, however, can be too harsh: after all, the young man who becomes an idol finds himself in an unnatural context in which giving and taking do not always result in a draw at the end of his career. Someone said that a footballer is like a clown: stripped of his flashy clothes he is a very sad person. A. I find this problem a bit sentimental. We could propose it as the theme of a song. Besides, it doesn't seem to me that these young men find success so traumatic. On the contrary, they seem to find it very natural and almost due. I would say that they immediately technicalize it. And this makes them impenetrable. The winged Antognoni is a sphinx. Those who "discover" themselves are usually either their parents or their friends or the owners of the bars.
Italian:
Q. Riva e Rivera: due campioni, due personaggi, due uomini profondamente differenti. Riva è taciturno e riesce quasi sempre antipatico. E per di più è innamorato di una donna sposata con un altro. Fa simpatia solamente nella sventura. Rivera, invece, viene coccolato, preso ad esempio, è il tipico self-made man italiano. Parla con l'erre francese e non bestemmia. Riva e Rivera, dunque, come le due facce del nostro calcio. A. Riva è un uomo molto simpatico. Lo capisco dalla rabbia che mi fa: che è la rabbia che fanno gli amici. Parlo della rabbia dovuta alla sua rinuncia, alla sua fuga, alla sua assenza. Io penso che ci si debba spendere fino all'ultimo, e che quindi si debba anche sbagliare. Ma Riva è un "naturale" amico: e perciò dico questo cercando di capire le sue ragioni, soprattutto quelle più inconsapevoli, con cui è inutile discutere se non per passione. Di Rivera non capisco nulla, l'ho sempre considerato un grande giocatore, ma quando ho visto a Mantova la partita Milan-Cagliari mi sono reso conto che, al contrario di Riva, ha fatto benissimo a ritirarsi. Adesso, però, vuol tornare in campo e in Consiglio. Metta in pratica la seconda ipotesi. Penso che or- mai possa fare solo il Presidente.
English:
Q. Riva and Rivera: two champions, two characters, two profoundly different men. Riva is taciturn and almost always comes across as unpleasant. And what's more, he's in love with a woman married to someone else. He's only sympathetic in misfortune. Rivera, on the other hand, is pampered, taken as an example, he's the typical Italian self-made man. He speaks with the French "r" and doesn't swear. Riva and Rivera, therefore, like the two faces of our football. A. Riva is a very nice man. I understand it from the anger he makes me feel: which is the anger that friends make [you feel]. I'm talking about the anger due to his renunciation, his escape, his absence. I think that one should give oneself up to the last, and therefore one should also make mistakes. But Riva is a "natural" friend: and that's why I say this trying to understand his reasons, especially the most unconscious ones, with whom it's useless to argue if not out of passion. I don't understand anything about Rivera, I've always considered him a great player, but when I saw the Milan-Cagliari match in Mantua I realized that, unlike Riva, he did well to retire. Now, however, he wants to return to the field and to the Council. Put the second hypothesis into practice. I think that now he can only be President.
Italian:
Q. Padre Eligio: ovvero, la Chiesa batte nuove strade. Il suo è un personaggio per molti versi inconcepibile. Di lui si dice che non esiste cosa che non abbia fatto. Adesso ha preso Rivera sotto la sua tonaca protettrice e gli cura le pubbliche relazioni. Ecco, può coesistere il binomio padre Eligio-calcio? A. Padre Eligio (almeno pubblicamente) è un uo- mo così volgare che mi riesce impossibile parlare di lui.
English:
Q. Father Eligio: that is, the Church is breaking new ground. His is a character that is in many ways inconceivable. It is said of him that there is nothing he hasn't done. Now he has taken Rivera under his protective cassock and takes care of his public relations. So, can the Father Eligio-football duo coexist? A. Father Eligio (at least publicly) is such a vulgar man that it is impossible for me to talk about him.
Italian:
Q. La Nazionale, Bernardini e Bearzot: le critiche si sono sprecate. Bernardini chiede tempo e pace, i tifosi vogliono risultati e subito. La Finlandia non fa testo, la Polonia invece ha dato il via ad una polemica feroce fatta di falso ottimismo, Facchetti (prima di Varsavia) ha detto che una Nazionale decente in questi anni la si è vista contro l'URSS. Per il resto, tutto da rifare. A. Ha ragione Facchetti: la partita contro l'URSS è stata la migliore che la Nazionle italiana abbia giocato in trasferta in questi anni. Meglio anche di Varsavia. Le mancava solo l'ultimo passaggio verti- cale verso la porta avversaria. O perlomeno le man- cava chi fosse così autorevole da farselo fare. Savol- di era la prima volta che giocava: i suoi compagni non sapevano che bisogna passargli palloni in pro- fondità a mezza altezza da girare, piegati, di testa; oppure ciabattate sempre in profondità su cui entra- re un po' pazzescamente in scivolata. Ci ha prova- to ultimamente Pulici, ma ha fatto cilecca. Non gli sono arrivati neanche dei palloni casuali che egli po- tesse raggiungere, con le spalle alla porta avversaria, da girare alla cieca, secondo il suo particolare, enig- matico opportunismo. Chinaglia in quella Nazionale era perfettamente inutile: una mezza punta goffa e delirante, che in tal ruolo non vale neanche un deci- mo di quello che vale il delizioso, lampeggiante Bettega. E per di più Chinaglia non fa altro che mettere il malumore agli altri: e tutti sanno che si gioca bene solo quando si è di buon umore. Mi vie- ne il sospetto che Bernardini facesse giocare China- glia per ragioni non sportive. Speravo molto che Chinaglia se lo prendesse il Cosmos (e magari Cosa Nostra).
(contd)
L'altro punto nero è Graziani, che, come Pulici, è bravissimo a fare dei gollacci a delle squadre di media o bassa classifica, come si dice, del campionato italiano. Ma oltre a tale bravura non va. Tuttavia una frase di Bernardini, riportata, spero fedelmente, da un giornale mi ha illuminato: "Auguro al mio successore di trovare un nuovo Riva". E' infatti proprio un nuovo Riva che manca. alla Nazionale: ossia, manca la possibilità di giocare verticalmente (perché non dico "Riva" ma un "nuovo Riva"). Non è colpa di Bernardini (o di Bearzot?) se questo "nuovo Riva" effettivamente non c'è. Per tutto il resto mi sembra che Bernardini abbia fatto un ottimo lavoro. La partita contro la Finlandia non significa nulla. E' stata una trappola, un vicolo cieco. E' riuscito a giocar male anche Rocca, che ha fatto fughe da oratorio. Si è comunque salvato (proprio per questa sua naturalezza), ma si è bruciato un altro bravissimo giocatore come Gentile. Ripropo- sto a Varsavia, ha risentito di questa mancata fiducia ed è risultato forse il peggiore degli italiani. E' difficilissimo dire perché la partita con la Finlandia non può avere rilevanza. E non mi avventuro in un' analisi retorica. Però è così. I "piedi buoni" restano "piedi buoni" malgrado la Finlandia. E Cordova contro la Polonia (a Roma ovviamente) ha avuto dei piedi deliziosi, sia ben chiaro. In conclusione devo ammettere che ci sono delle buone ragioni per non avere sfiducia in Bernardini. Egli ha dato alla Nazionale una velocità doppia a quella della Nazionale precedente (anche se non raggiunge certo neppu- re quella della Finlandia…) e, soprattutto, ci ha fatto tornare vincitori (o quasi) da una trasferta in casa di Lato, Deyna e Gadocha. E con i tempi che corrono, questo pareggio è un exploit mondiale. Questa velocità ha creato, un nuovo, grande giocatore: Capello. Quando, secondo il mito del gioco all'italiana Meazza - Rivera, Capello andava al trotto o al piccolo trotto, era un buon giocatore e basta. Adesso che è costretto a corre- re, e anche tanto, è diventato appunto un grande. Perché egli sa fare rifiniture in velocità (mentre un tempo le rifiniture erano naturaliter blande). Il segreto del gioco moderno, sul piano individuale, è l'esattezza massima alla massima velocità: correre come pazzi ed essere nello stesso tempo stilisti. Ciò e successo a Capello: e poteva succedergli solo nel contesto bernardiniano.
English:
Q. The National team, Bernardini and Bearzot: the criticisms have been wasted. Bernardini asks for time and peace, the fans want results and now. Finland is not a good example, Poland instead has started a fierce controversy made of false optimism, Facchetti (before Warsaw) said that a decent National team in recent years was seen against the USSR. For the rest, everything needs to be redone. A. Facchetti is right: the match against the USSR was the best that the Italian National team has played away in recent years. Even better than Warsaw. All that was missing was the final vertical pass towards the opponent's goal. Or at least it was missing someone authoritative enough to have it done. It was Savoldi's first time playing: his teammates didn't know that you have to pass him balls in depth at half height to turn, bent, with your head; or slips always in depth on which you can slide a bit crazy. Pulici tried recently, but he failed. He didn't even get random balls that he could reach, with his back to the opponent's goal, to pass blindly, according to his particular, enigmatic opportunism. Chinaglia was completely useless in that national team: a clumsy and delirious half-forward, who in that role isn't even worth a tenth of what the delightful, flashing Bettega is worth. And what's more, Chinaglia does nothing but put the others in a bad mood: and everyone knows that you only play well when you're in a good mood. I suspect that Bernardini played Chinaglia for non-sporting reasons. I really hoped that the Cosmos (and maybe Cosa Nostra) would take Chinaglia.
(contd)
The other black spot is Graziani, who, like Pulici, is very good at scoring goals against teams in the middle or lower ranks, as they say, of the Italian championship. But beyond that he doesn't go. However, a phrase by Bernardini, reported, I hope faithfully, by a newspaper enlightened me: "I hope my successor finds a new Riva". It is in fact a new Riva that the National team lacks: that is, it lacks the ability to play vertically (because I don't say "Riva" but a "new Riva"). It is not Bernardini's fault (or Bearzot's?) if this "new Riva" is effectively missing. For everything else it seems to me that Bernardini did an excellent job. The match against Finland means nothing. It was a trap, a dead end. Rocca also managed to play badly, making oratory-like escapes. He was saved anyway (precisely because of his naturalness), but he burned another very good player like Gentile. Re-proposed in Warsaw, he suffered from this lack of confidence and was perhaps the worst of the Italians. It is very difficult to say why the match with Finland cannot be relevant. And I will not venture into a rhetorical analysis. But it is so. The "good feet" remain "good feet" despite Finland. And Cordova against Poland (in Rome obviously) had delicious feet, let's be clear. In conclusion I must admit that there are good reasons not to have no confidence in Bernardini. He has given the national team a speed double that of the previous national team (even if he certainly does not reach that of Finland…) and, above all, he has made us return victorious (or almost) from an away game at the home of Lato, Deyna and Gadocha. And in the current times, this draw is a world-class exploit. This speed has created a new, great player: Capello. When, according to the myth of the Italian game Meazza - Rivera, Capello went at a trot or a slow trot, he was a good player and that was it. Now that he is forced to run, and a lot, he has become a great player. Because he knows how to do finishing touches at speed (whereas once the finishing touches were naturally bland). The secret of the modern game, on an individual level, is maximum precision at maximum speed: running like crazy and being a stylist at the same time. This happened to Capello: and it could only have happened to him in the Bernardine context.
Italian:
Q. Il pallone come sedativo antidolorifico: ovvero, con una partita passa tutto. Succede nell'America Latina, succede anche da noi. In fondo, al povero basta poco e un pallone è l'ideale per sognare. A. Che lo sport (i "circenses") sia "oppio del popolo", si sa. Perché ripeterlo se non c'è alternativa? D'altra parte tale oppio è anche terapeutico. Non credo ci sia psicanalista che lo sconsiglierebbe. Le due ore di tifo (aggressività e fraternità) allo, stadio, sono liberatorie: anche se rispetto a una morale politica, o a una politica moralistica, sono qualunquistiche ed evasive.
English:
Q. Football as a painkiller: that is, with a match everything goes away. It happens in Latin America, it happens here too. After all, the poor don't need much and a football is ideal for dreaming. A. That sport (the "circuses") is the "opium of the people", is known. Why repeat it if there is no alternative? On the other hand, this opium is also therapeutic. I don't think there is a psychoanalyst who would advise against it. The two hours of cheering (aggression and brotherhood) at the stadium are liberating: even if with respect to a political morality, or a moralistic politics, they are indiscriminate and evasive.
Italian:
Q. Dopo la donna-madre, la donna-amante, la donna-mille usi, adesso la donna gioca pure al pallone. E giura che non è finita. Allora? A. Che le donne giochino a pallone è uno sgradevole mimetismo un po' scimmiesco. Esse sono negate al calcio come Benvenuti o Monzon.
English:
Q. After the woman-mother, the woman-lover, the woman-a thousand uses, now the woman also plays football. And she swears that it's not over. So? A. That women play football is an unpleasant mimicry a bit ape-like. They are as unsuited to football as Benvenuti or Monzon.
(source)
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🇮🇹📟 A volte il polso della società si riesce a sentirlo meglio leggendo piccoli fatti di cronaca piuttosto che leggendo o ascoltando poderose e dottissime elucubrazioni di qualche luminare.
In un ridente comune del Polesine, Giavone, qualcuno, nottetempo, s'è rubato un dosso artificiale posto dal comune per rallentare la marcia delle automobili. Sì avete capito bene, si sono presi il dosso. Dov'è la morale? Semplice, la gente s'è rotta i coglioni. Si è rotta i co-glio-ni. Si è rotta i coglioni di continue prescrizioni, di continuo moralismo: «Rallenta l'automobile!», «Vai a 30/h!» ma «paga il debito per le infrastrutture moderne che abbiamo costruito per farti andare più veloce ed essere all'altezza delle sfide del mondo», e poi ancora «Mangia insetti, perchè le mucche scorreggiano e producono CO2». Non parliamo poi sulla sovranità sul nostro corpo che si sono presi: «Fai la punturina se non non lavori e non esci manco di casa...» Parliamo poi delle norme ambientali? Eccoci: « Metti il cappotto termico alla casa, se no, non l'affitti e non la vendi (ma continui a pagarci le tasse!). E se tu ritieni di essere vessato perchè imponi ad un sardo e a un siciliano norme finlandesi non ce ne frega nulla...è così e basta!».
E poi pensiamo agli strumenti pervasivi di controllo: Autovelox, telecamere anche dotate di strumenti di IA per il riconoscimento facciale ecc. Spesso si tratta di strumenti imposti - non si capisce a quale titoli - da semplici assessori e sindaci....
Insomma, un ginepraio di norme vessatorie, costosissime, contradditorie, spesso lesive non solo del buon senso, della stabilità economica di chi le subisce, ma proprio della dignità della persona.
Ed è proprio qui il punto: nel triveneto (come il altre parti d'Europa a partire dall'Inghilterra) stanno nascendo movimenti di protesta: rubano i dossi, abbattono i pali delle telecamere che vengono poi distrutte a martellate (qui sta il punto, se ci si limita ad abbattere il palo che costa 100 euro e si lascia la telecamera intatta che è costosissima la rimontano su un altro palo).
Ecco, io condanno fermamente questo modo di agire. No alla violenza, dobbiamo essere bravi a votare (se votiamo dei malfattori che ci vessano è perchè anche noi siamo in fondo malfattori nel nostro piccolo). Non bisogna danneggiare i beni dello Stato! Bisogna essere ligi al rispetto delle leggi anche quando sbagliate e vessatorie fino all'estremo sacrificio, quello di essere vessati come nel film Salò di Pasolini.
Mi raccomando, non rubate i dossi, non abbattete i pali delle telecamere (e soprattutto non rompete la costosa telecamera), non manomettete gli autovelox. Mi raccomando, pieno rispetto delle regole e piena fiducia nella magistratura e in "tuttecose" come dicono a Napoli ❤️
Giuseppe Masala
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ATTUALITÀ
Omicidio di Thomas a Pescara: i figli del nulla che vogliono tutto, e quando non basta... Ecco perché aveva ragione Pasolini
28 giugno 2024
Chi sono i (presunti) assassini di Thomas Luciani, il ragazzino colpito da una scarica di coltellate e lasciato morire per un presunto debito di droga di pochi euro? Sono i figli della borghesia, della “Pescara bene”, se questa ancora esiste, ma sono anche i figli del nulla. Quelli che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma vogliono tutto. E quando l’esibire le sneakers, il cellulare, le magliette e le immagini non basta, la risposta è solo una: la violenza. Aveva ragione Pier Paolo Pasolini nei suoi “Scritti corsari”: si regredisce, e…
di Ottavio Cappellani
“Facevano parte della ‘Pescara bene’”, scrivono a proposito dei due sedicenni accusati dell’omicidio di Christopher Thomas Luciani, detto Crox, diciassette anni, albanese, i cui genitori lo avevano affidato alla nonna. “Nessun disagio sociale”, scrivono. I presunti assassini (si scrive così) sono figli di un sottufficiale dei carabinieri e di un avvocato che però insegna. Una lettura da paniere Istat. Quasi che si trattasse dell’omicidio del Circeo: due di destra che uccidono un povero per una questione di rispetto. 25 coltellate contro 250 euro. Ogni dieci euro si ha diritto a infliggere una coltellata, perché io sono il padrone e tu lo schiavo. Li frequento, questi giovani. Li conosco. Ci parlo. È il mio dannato mestiere (“dannato” non è un americanismo: scrivere, studiare, cercare di vedere anziché guardare, è una dannazione, nessuna vanità o compiacimento da intellettuali da queste parti). Con gli scrittori si confidano. Lo fanno in molti. Sperano tutti di finire in una pagina di un libro, un giorno o l’altro, con il nome cambiato, certo, ma con la loro storia ben riconoscibile, in modo da confidare a qualcuno: quello sono io. Io. Io. Io…
L’identità collettiva del consumismo, che all’apparenza dell’apparire si vende come capace di distinguere un io da un altro, cancella di fatto ogni distinzione. Non è più la qualità di un bene a fare la differenza, ma la quantità di danaro che esso vale in un mercato rivolto all’immagine, che oggi non dà più nessuna identità. Sia chiaro, un’identità costruita “per immagini” non è una vera identità; l’identità della classe operaia, con le sue tute da metalmeccanico, la tovaglia cerata, la serena stanchezza della giornata di lavoro; l’identità della borghesia, una volta gli elettrodomestici, l’enciclopedia, il completo dei grandi magazzini (Rinascente, Upim, Standa), oggi la domotica, i device, i brand. Erano e sono identità appiccicaticce, ma che svolgevano e hanno svolto, fino a ieri, il loro sporco lavoro: appartenere a una classe sociale, formare un’identità che nell’epoca del nichilismo non sa dove aggrapparsi.
Ricordo il pezzo di Pier Paolo Pasolini sui capelloni (in “Scritti Corsari”): sta apparendo un nuovo tipo di uomo, lo manifestiamo senza linguaggio, solo con il nostro manifestarci, solo con la nostra immagine, solo con i capelli lunghi. Niente parole. Pasolini procedeva poi, con una lungimiranza profetica, alla critica di questa nuova (per l’epoca) ribellione, contro la generazione dei genitori: i capelloni, non avendo un dialogo con la generazione precedente, non potevano ‘superarla’. Al contrario si trattava di una regressione. Li invitava al dialogo, Pasolini. Parlatene, parlateci. I capelli lunghi, essendo un ‘segno’ senza parole, potevano essere di Sinistra come di Destra (tra gli autori del massacro del Circeo, 1975, uno era capellone).
Parlano invece. Si aprono. Certo, non con i genitori che disprezzano. Parlano con gli amici. Anche solo con i ‘segni’: ‘mostrano’ (da ‘mostro’) il brand di una sneaker, il numero dei follower, un coltello da sub – segni distintivi senza parole. Ed è come parcheggiare lo yacht a Montecarlo: non è mai abbastanza. Non ci sono soldi che bastano. Non esistono più le “Pescara” o le “Milano” o le “Voghera” “bene”. Esiste un mondo dove ci sono gli ultraricchi – italiani, americani, indiani, asiatici, russi – e poi ci sono gli altri. Che non sanno cosa dire. Esseri desideranti. Ultradesideranti. C’era un termine un tempo, e in tanti ne conoscevano il significato, era quasi di uso comune. Significava una bramosia senza oggetto il cui fine non era il possedere qualcosa, ma il possesso in sé, il possesso senza oggetto, il potere (astratto) in luogo della possibilità (concreta). Si chiamava “volontà di potenza” ed era una forma di isteria dell’identità. Oggi se ne parla sempre meno, significherebbe mettere in discussione il modello stesso entro il quale il mondo vive. La ‘volontà di potenza’ viene relegata all’epoca nazifascista, come se fosse il motore di una ideologia autoritaria e bestiale. Ma noi siamo dentro un modello di mondo ideologico e autoritario: quello del denaro, che non solo uccide – anche fisicamente – chi non ne possiede, ma al quale è affidato la creazione dell’identità. E il denaro non parla.
Loro parlano come possono a chi sa ascoltarli, anche se non è un bel sentire. Sì, è una dannazione. Non esiste – e forse non è mai esistita – una società “bene”, se non nelle speranze, nelle pie illusioni. La società è un fagocitarsi a vicenda. Pasolini ci credeva, nel modello identitario passatista: piccoli mondi antichi in cui l’identità era data dal luogo in cui si nasceva e in cui si restava, dai codici di un paese, da una fatalità della classe, di piccoli sogni realizzabili. Ma la ruralità reca con sé una bestialità violenta (di cui, è bene dirlo, Pasolini era vorace). Oggi questi mondi piccoli e violentissimi non esistono più se non nella facciata. Dietro scorre un serpente gigante che chiamiamo rete. La creazione di un’identità attraverso le immagini e le parole è impossibile. I social ci sommergono di modelli, di aspirazioni, di ‘cose’, di ragionamenti, di complotti, di interpretazioni, di lusso, di esibizionismo, di piccole e grandi follie, di tanti punti di vista quanti sono gli account. E così, parlando con loro, parlando con i giovani, parlando con questo “nuovo umano” (non è nuovo, è come sempre è stato, ma adesso lo ‘vediamo’ meglio) ci dicono che “vogliono”. Cosa vogliono? Vogliono e basta. Volontà di potenza: andiamo a comandare.
L’assenza di parole e l’eccesso di parole sono la stessa, identica cosa. La sovra informazione, l’ultra informazione del mondo contemporaneo diventa un rumore bianco. Come diceva Pasolini: si regredisce. L’espressione della propria identità diventa un suono. Non si parla, si emettono suoni. Si mostrano ‘cose’ come code di pavoni. Si torna allo stato di natura. Sopravvive il più forte. Quando l’esibizione di una sneaker, di una maglietta, di un device, di un’auto, di una opinione, non valgono più nulla nel mare magnum delle altre sneaker, delle altre magliette, degli altri device, delle altre auto, delle altre opinioni, resta solo una cosa a dare Potere: la violenza. Voglio il rispetto. Io sono io. Io. Io. Io… I commentatori restano rimminchioniti di fronte a questi episodi di violenza estrema. Tutti a sottolineare che “non c’era disagio sociale”. No? La “Pescara bene” sarebbe quella di una povera (in senso compassionevole) famiglia di impiegati statali? Sì, ragionando secondo i canoni del paniere Istat gli impiegati statali se la passerebbero bene. Se fossimo nel piccolo paese antico senza device, dove già la televisione era una fonte di disturbo e squilibro e liberava sogni deliranti di successo e famosità e volontà di potenza. Ma siamo nell’epoca dei social, dove non c’è ‘bene’ che basti.
Io ci parlo e capisco che vogliono. Non sanno cosa vogliono, ma lo vogliono. A volte, quando le birre diventano troppe, si picchiano tra i tavolini dei bar. I soldi della famiglia ‘bene’ se ne sono andati da un pezzo, nei cristalli di crack, nel fumo, nelle pere, nell’alcol che dà speranze brevi e vane e che alla fine ottunde, nei discorsi che alimentano speranze immancabilmente deluse. Se ne vanno in smartphone, nella droga offerta alle ragazzine sempre più disponibili per una sniffatina, così ci si apre un Of o si inizia a spacciare. Tutti possono fare qualunque cosa. Lo insegnano gli influencer. I social riprendono la televisione che riprende i social. I modelli non mancano. Si esibiscono ricchezze, nudità, e si esibisce anche la malavita. Studiano guardando Gomorra e Peaky Blinders. Funzionano perché vanno a toccare quelle corde lì, le corde della volontà di potenza.
Loro ‘vogliono’. E lo vogliono subito. Come gli influencer, come quelli di Of, come quelli delle serie. Denaro e sesso e violenza (volontà di potenza). Sangue, sesso e denaro: i tre punti cardine di ogni narrazione. E di ogni giornalismo a dire la verità. E vendetta: contro i genitori che non sono mai ricchi abbastanza, contro chi ha più follower, contro chi manca di rispetto. Risucchiati dagli schermi senza alcuna capacità di filtrare le immagini. Bambini che si muovono in un mondo che non sanno più interpretare se non attraverso denaro, sesso e violenza (volontà di potenza): i tre punti cardine per vendere qualcosa. Per vendere qualcosa che si spaccia per identità e che invece è lontanissima dall’esserlo. Loro parlano. Dicono di volere. Non sanno cosa vogliono ma lo vogliono. Non pensano. Appartengono a un gruppo. Vogliono primeggiare nel loro gruppo. Hanno l’identità dona loro il gruppo. Senza gruppo niente identità. A volte scatta la violenza. Non è vero che non li capite. Li capite benissimo anche se fingete sorpresa. Sapete benissimo che loro vogliono senza sapere cosa vogliono. E lo sapete perché voi siete uguali a loro. Non avete un io e disperatamente lo volete. Siete umani. E siete disperati.
P.s. Sono al contempo d’accordo e in totale disaccordo con Francesco Merlo, che oggi, a proposito di questo delitto scrive: “A Pescara è colpevole la solita gioventù bruciata e, in una gara di pensosità e di profondità, c'è chi accusa la scuola e chi biasima i telefoni cellulari, e ovviamente i genitori non sanno educare, e poi ci sono le responsabilità della musica, delle serie tv, il vuoto dei modelli che non sarebbero più quelli di una volta, la società tutta. Mi creda, il sociologismo è una malattia ideologica infettiva”. Sì, concordo, ma Merlo, per così dire, taglia il nodo di Gordio e si macchia di ignavia. Bisogna sciogliere il ragionamento per consentirsi l’ignavia senza sensi di colpa. Il mondo è questo e lo è da sempre. Ragionarci su vuol dire soltanto cercare di metterci una pezza. Che è meglio di fottersene, come suggerisce il caro Francesco. Fottersene responsabilmente è una forma di ignavia più chic. Fottersene come Francesco è solo pigro snobismo.
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#far #legionenera
Questo è un libro che parla di un tempo perduto. Il titolo spaventa solo perché reca in se parole considerate tabù. Ci fu un tempo in cui vi erano distinzioni tra destra e sinistra, tra valori e disvalori, tra azione e reazione. Bene, Salierno gli attraversa universalmente tutti e lo fa in prima persona. Vive metà della sua vita come "fascista" come commissario politico della sez. Romana di Colle Oppio, poi per omicidio, è messo in carcere, ne uscirà incredibilmente come sociologo marxista di estrema sinistra. Questa autobiografia è un’opera che ha però il ritmo di un romanzo. Una lettura coinvolgente, dura e violenta, che proietta il lettore nella Roma degli anni pesanti, quelli dalle lotte tra fascisti e comunisti. Nella sezione missina di Colle Oppio, nei bar e nelle trattorie della periferia e nei vicoli stretti del centro si muovono il protagonista e gli altri "camerati", che sognano di far rinascere la RSI. Il protagonista viene affascinato dai vecchi reduci e dalla figura severa e mistica di Julius Evola, mentre è deluso dalla debole e rinunciataria politica dei dirigenti del suo partito....
Io sono solo un lettore, non influenzeró con il mio pensiero questo splendido romanzo quasi saggio, ricordando solo che quello fu il tempo di Pier Paolo Pasolini : l'uomo sismografo, cui la quotidiana misurazione dei movimenti della società italiana aveva aperto anticipatamente gli occhi sopra la confusione dei ruoli, l'indistinzione dei profili, la dissolvenza dei colori tra destra e sinistra sopra un futuro che è il nostro presente.
#sociologia
#fuan #nar #br #credo #lottacontinua #giuliosalierno #pasolini #boiachimolla #evola
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Al príncipe
Si vuelve el sol, si desciende la tarde,
si la noche tiene un sabor de noches futuras,
si una tarde de lluvia parece volver
de tiempos tan amados y nunca del todo poseídos,
ya no soy feliz al gozarlos o sufrirlos:
no siento ya, frente a mí, toda la vida…
Para ser poetas se necesita mucho tiempo:
horas y horas de soledad son necesarias
para formar algo que es fuerza, abandono,
vicio, libertad, para darle forma al caos.
Poco tiempo me queda: por culpa de la muerte
que me viene al encuentro en mi marchita juventud.
Mas por culpa también de nuestro mundo humano
que le quita el pan a los hombres y a los poetas la paz.
- Pier Paolo Pasolini, de La religión de mi tiempo,1961 Traducción de: Delfina Muschietti
Pasolini retratado por Cecilia Mangini en 1958
Se torna il sole, se discende la sera, se la notte ha un sapore di notti future, se un pomeriggio di pioggia sembra tornare da tempi troppo amati e mai avuti del tutto, io non sono più felice, né di goderne né di soffrirne: non sento più, davanti a me, tutta la vita… Per essere poeti bisogna avere molto tempo: ore e ore di solitudine sono il solo modo perché si formi qualcosa, che è forza, abbandono, vizio, libertà, per dare stile al caos. Io tempo ormai ne ho poco: per colpa della morte che viene avanti, al tramonto della gioventù. Ma per colpa anche di questo nostro mondo umano, che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace.
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Il nostro tempo segnala la decadenza degli Ideali. Ed è il tempo, come vide benissimo Pasolini, del dominio degli oggetti. Ne parlava anche Gaber in Polli d’allevamento: gli oggetti hanno preso il potere, diceva. Siamo dei polli che beccano compulsivamente, senza sosta, senza pace.
Massimo Recalcati
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Se il sole ritorna, se la sera scende, se la notte ha un sapore di notti a venire, se un pomeriggio di pioggia sembra tornare di tempi tanto amati e mai del tutto posseduti, non sono più felice di goderne o di soffrirne: non sento più, davanti a me, tutta la vita...
Essere poeti richiede molto tempo: ore e ore di solitudine sono necessarie per formare qualcosa che sia forza, abbandono, vizio, libertà, per dare forma al caos.
Mi resta poco tempo: a causa della morte che mi viene incontro nella mia giovinezza appassita.
Ma anche a causa del nostro mondo umano che toglie il pane agli uomini e la pace ai poeti.
Pier Paolo Pasolini, da La religione del mio tempo (1961)
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"Noi siamo esseri molto “moderni”, come si dice, viviamo nella cosiddetta contemporaneità ma nel profondo siamo molto “antichi” (e non lo dico solo io…). Io vivo e lavoro con questa consapevolezza, sicchè anche il mio cinema va in questa direzione. Già nei miei primi film underground era così. In «Cronache del sentimento e del sogno» e «Dei» (1968-69)) mescolavo figure come Edipo e Clitennestra a Amleto e Ofelia, Ettore e Patroclo all’ «archetipo in parrucca» in vitale e provocatoria inventività. Si tratta per certi lati anche di archetipi del cosiddetto nostro inconscio collettivo, se così si può dire. E così di volta in volta lungo tutto il mio percorso ritrovo e rileggo le tragedie greche (e i film che ne son venuti come quelli di Pasolini o la Medea di Dreyer mai girata o anche il Macbeth di Kurosawa che non deriva da tragedia greca ma… e certi testi di teatro come quelli di Heiner Muller…). Ho fatto nell’87 «Elettra» con le parole stesse del testo di Sofocle, e nell’88 la sceneggiatura di Modi di essere, Eroine ed Eroi, da Fedra (Ippolito), Medea, Antigone, tre tragedie greche riscritte da me ai giorni nostri e in montaggio alternato (ma nessuno mi fece realizzare un film da ben tre tragedie greche). Di quest’ultimo ho ahimè solo il corto in video, trailer di 12 min. “di un film che non esiste…”."
- Tonino De Bernardi
Dèi. (Tonino De Bernardi, 1968-1969)
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Zaooooo…
Finché l’uomo sfrutterà l’uomo …finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi ..non ci sarà ne normalità ne pace ..
La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui ..
Pier Paolo Pasolini …🕊️
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C'ERA UNA VOLTA IL COTONIFICIO
Un evento che intende onorare un momento storico decisivo per l'evoluzione economico-sociale del nostro paese "...un novello stabilimento mosso dalle acque dell'Olona si vide sorgere in Solbiate, e tosto crebbe in guisa che fu il maggiore della Lombardia. E con la nuova del filare, aumentarono ancora l'avita arte del tessere, agli antichi telai a mano aggiungendone molti e molti meccanici" (Pasolini P.D., Memorie storiche della famiglia Ponti, Galeati, Imola 1876)
Il Comune di Solbiate Olona e la Commissione Biblioteca organizzano in collaborazione con il Gruppo Anziani Solbiatesi ...C'ERA UNA VOLTA IL COTONIFICIO... 23 Agosto 1823: inizia la storia di un avventura cotoniera che trasformerà la vita di un paese 21-22 ottobre 2023: Solbiate olona celebra il Bicentenario di fondazione del Cotonificio "Andrea Ponti" PROGRAMMA Sabato 21 Ottobre ore 16 presso il Centro Anziani di Solbiate Olona Inaugurazione della mostra documentaria allestita da Aldo Tronconi Presentazione del percorso narrativo "Storia di una industria e di un Paese" a cura di Ivan vaghi, Antonello Colombo, Annamaria Tomasini Domenica 22 Ottobre presso il Centro Socio-culturale di Solbiate Olona Vernissage della collettiva di pittori locali "Spazi e uomini di una industria cotoniera" Proiezione Video "Il Cotonificio di Solbiate 1823-2023" di Filippo D'Angelo con le interviste agli ex lavoratori ORARI DI APERTURA DELLA MOSTRA Domenica 22 ottobre dalle ore 10:00 alle ore 12:00 - dalle ore 15:00 alle ore 18:00 da Lunedì 23 a Venerdì 26 ottobre dalle ore 15:00 alle ore 18:00 Sabato 28 e domenica 29 ottobre dalle ore 10:00 alle ore 12:00 - dalle ore 15:00 alle ore 18:00 NOTE Il 23 agosto 1823 è una data importante per Solbiate Olona: "Si è principiato a lavorare il Cottone a Solbiate" scriveva il contabile della sede di Gallarate del Cotonificio di Solbiate. L'opificio sorse sull'area dei due mulini ad opera di Andrea Ponti, già industriale a Gallarate. La fabbrica occupò sin dall'inizio 153 operai di cui 12 donne. Ben presto la filatura si sviluppò: Cesare Cantù in "Illustrazione italiana del Lombardo-Veneto" del 1854 all'art. Solbiate Olona scrive: "Rimarchevole è la filatura della ditta Ponti, la più vasta che esista in lombardia e che occupa oltre 400 persone. Essa è illuminata a gas e contiene molti telai meccanici ed una vasta tintoria". Nel 1890 per interessamento di Andrea Ponti, la popolazione aumentata a 620 abitanti ebbe i primi servizi sociali: l'asilo e la scuola elementare fino alla terza classe. La lenta trasformazione del paese da eminentemente agricolo ad agricolo-industriale continuò. La popolazione aumentò sensibilmente tanto che nel 1913 a Solbiate gli abitanti erano 2350. Nel 2014 alla guida del Cotonificio ci furono uomini di grande valore come Federico ed Alfredo Tobler che sostituirono ettore Ponti, divenuto Senatore del regno: già da quel periodo i prodotti marca Gallo furono molto apprezzati. "In occasione del Centenario del Cotonificio fu iniziata la costruzione delle case operaie e donato al Comune il terreno per un nuovo e più grande Cimitero. Fu l'inizio di un periodo d'oro per il paese che, unico nella zona, aveva strade asfaltate, un centro sportivo ricreativo (il dopo-lavoro) con campi da tennis, gioco delle bocce, pista per corse, sala da ballo". (tratto da "Socio-Storia di Solbiate Olona", a cura delle insegnanti Sandra Sartori Colombo e Gianna Limido Bellancini delle classi 3^B e 3^C, Anno scolastico 1975/76)
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«Questo nostro mondo umano, che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace.»
Pier Paolo Pasolini, “Al principe”, da La religione del mio tempo, 1961
Ph Pier Paolo Pasolini a New York,1966
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Una domanda difficile, come possiamo fermare la guerra in corso?
Ciao,
Ti rispondo con questa citazione di Pasolini, che trovo perfetta per la Tua domanda:
“Finché l'uomo sfrutterà l'uomo, finché l'umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo … è quì.”
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nuova stagione di corsi di centroscritture.it : amelia rosselli / problemi filosofici / canoni di poesia
CENTROSCRITTURE.IT Nuova Stagione 2024-2025 Riprendiamo il nostro viaggio di esplorazione tra gli autori, le opere, le idee, le tecniche e gli stili della scrittura poetica contemporanea con 10 nuovi corsi da ottobre 2024 a giugno 2025, per un nuovo anno di poesia insieme. QUARTA STAGIONE 2024-25 Amelia Rosselli, Pier Paolo Pasolini (a cinquant’anni dalla morte), Edoardo Sanguineti, Dario…
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Il nostro tempo segnala la decadenza degli Ideali. Ed è il tempo, come vide benissimo Pasolini, del dominio degli oggetti. Ne parlava anche Gaber in Polli d’allevamento: gli oggetti hanno preso il potere, diceva. Siamo dei polli che beccano compulsivamente, senza sosta, senza pace.
Massimo Recalcati
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