#canoni del Novecento
Explore tagged Tumblr posts
marcogiovenale · 1 month ago
Text
nuova stagione di corsi di centroscritture.it : amelia rosselli / problemi filosofici / canoni di poesia
CENTROSCRITTURE.IT Nuova Stagione 2024-2025 Riprendiamo il nostro viaggio di esplorazione tra gli autori, le opere, le idee, le tecniche e gli stili della scrittura poetica contemporanea con 10 nuovi corsi da ottobre 2024 a giugno 2025, per un nuovo anno di poesia insieme. QUARTA STAGIONE 2024-25 ​Amelia Rosselli, Pier Paolo Pasolini (a cinquant’anni dalla morte), Edoardo Sanguineti, Dario…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
pikasus-artenews · 1 year ago
Text
Tumblr media
JEAN PAUL RIOPELLE Parfums d’Ateliers/Essence of studios
Jean Paul Riopelle è uno di quegli artisti che hanno traghettato la pittura dai canoni del primo Novecento al contemporaneo
3 notes · View notes
centroscritture · 1 month ago
Text
*𝐍𝐔𝐎𝐕𝐀 𝐒𝐓𝐀𝐆𝐈𝐎𝐍𝐄 𝟐𝟎𝟐𝟒-𝟐𝟎𝟐𝟓*
Riprendiamo il nostro viaggio di esplorazione tra gli autori, le opere, le idee, le tecniche e gli stili della scrittura poetica contemporanea con 10 nuovi corsi da ottobre 2024 a giugno 2025 per un nuovo anno di poesia insieme.
Amelia Rosselli, Pier Paolo Pasolini (a cinquant'anni dalla morte), Edoardo Sanguineti, Dario Bellezza: nuovo ciclo di corsi monografici su autori cardinali della poesia italiana contemporanea. I canoni del Novecento e il problema della canonizzazione attraverso le antologie classiche e recentissime. Una panoramica sui problemi e le idee filosofiche di ieri e di oggi. Laboratorio libero di editing condiviso su testi inediti con pubblicazione. Le idee di poesia e la questione della soggettività e dell'autorialità.
Tutto su www.centroscritture.it
0 notes
Text
Mattarella: l'Italia è grata a Federico Fellini per la sua infinita creatività
“Il nome di Federico Fellini evoca un’idea innovativa della cinematografia italiana, frutto del suo genio artistico che rappresenta un caposaldo del panorama culturale del Novecento. Il regista seppe coniugare realtà e immaginazione, quotidiano e inclinazioni oniriche, canoni sociali e crisi dei valori, realizzando trame uniche per singolarità di sceneggiatura, adattamento e ambientazione”. Lo…
View On WordPress
0 notes
reading-marika · 1 year ago
Text
Aspettando l'Autunno Book Tag
Tumblr media
Ciao a tutti!! Questa settimana vi propongo un nuovo book tag trovato sul Book Tube. Oggi parliamo di autunno, in particolare vi mostro libri già letti e libri che vorrei leggere con vibes autunnali. Scrivetemi pure i vostri titoli autunnali!! Buona lettura!!
Pioggia: un libro che leggeresti volentieri cullato dal ticchettio della pioggia sul tetto.
Tumblr media
"Il Sospetto" di Friedrich Durrenmatt è un romanzo breve che lessi lo scorso anno, proprio nel periodo autunnale e ricordo di averlo apprezzato moltissimo anche per le vibes tetre che pone al lettore. Perfetto da leggere in una giornata piovosa.
Foliage: un libro dalle diverse sfaccettature.
Tumblr media
Passiamo, ora, alla letteratura americana del novecento con "Giovanni's Room", o "La Stanza di Giovanni", di James Baldwin. Questo romanzo narra di una relazione alquanto complicata tra due ragazzi a Parigi, ma questo è solo il punto di partenza che l'autore usa per poter parlare di ben altro: la società dell'epoca, la libertà personale, la solitudine.
Autunno, Dove Sei?: nomina quattro libri che non vedi l’ora di leggere quando arriverà la stagione.
Tumblr media
Sono molto curiosa di proseguire il mio percorso di lettura degli autori Thomas Hardy e Victor Hugo con, rispettivamente, "Estremi Rimedi" e "Notre-dame de Paris". Parlando sempre di classici, vorrei approcciarmi ad André Gide con la sua ultima opera "I Falsari". Infine, cambiando completamente genere, vorrei proseguire con la trilogia Farseer di Robin Hobb, leggendo il secondo volume "Royal Assassin".
Tè e Tisana: un libro che scalda il cuore.
Tumblr media
"I Dolori del Giovane Werther" di Goethe può sembrare un libro triste, e lo è, ma nella sua tristezza porta molto calore. Questo è un romanzo estremamente interiore, che parla di solitudine, di amore, di morte. Non ci si sente soli, ci si sente capiti e a propria volta si capisce.
Castagne: un libro che all’inizio ci sembrava un po’ spinoso, difficile ma che poi si è rivelato coinvolgente.
Tumblr media
"Assassin's Apprentice" di Robin Hobb è il primo volume della trilogia Farseer (che apre una saga infinita); per me questa è stata una lettura alquanto impegnativa, in particolar modo per l'inglese che non ho trovato così facile come mi aspettavo. Una volta, però, abituatami allo stile, la lettura è diventata molto più scorrevole. Per quanto riguarda la trama, invece, questa mi ha catturato sin da subito, un po' intricata, ma decisamente accattivante.
Candele Profumate: un libro dalla forte atmosfera autunnale.
Tumblr media
Nonostante "Eugenie Grandet" di Balzac sia ambientato in più anni e, quindi, in più stagioni, mi ha trasmesso molte vibes autunnali. Che dire di questo romanzo, si incentra sulla figura femminile di Eugenie Grandet, personaggio che non segue perfettamente i canoni di quell'epoca e, di conseguenza, molto interessante.
Zucca: un mattone da leggere in autunno.
Tumblr media
Qui, vi cito due libri, uno letto e uno da leggere. "L'Uomo che Ride" di Victor Hugo è un romanzo gotico estremamente drammatico, ma con un messaggio potentissimo e perfetto per l'autunno. Invece, questo autunno mi piacerebbe affrontare la sfida di "Guerra e Pace" di Tolstoj, ma vedremo in seguito come va...
Halloween: un libro che vuoi leggere quest’anno per halloween.
Tumblr media
Non ho mai letto romanzi horror, ma quest'anno mi voglio buttare, perciò mi sono già preparata in libreria "Abbiamo Sempre Vissuto nel Castello" di Shirley Jackson, autrice ben conosciuta del novecento. Non so nulla di questo romanzo, come d'altronde di ogni romanzo che devo ancora leggere, e non so minimamente cosa aspettarmi.
Giacca: libro che hai da un po’ in libreria e che aspetti di leggere proprio in autunno.
Tumblr media
È da Natale 2022 che attendo il suo momento e, per me, il suo momento è l'autunno. Sto parlando di "Spiriti e Creature del Giappone" illustrato da Benjamin Lacombe. Una raccolta di racconti giapponesi su creature mistiche, cosa c'è di meglio per una lettura autunnale!!
1 note · View note
meiselgirl · 1 year ago
Text
Lo stile giapponese è l'esito di una lussuosa essenzialità. Mentre noi ci preoccupiamo di non mostrare mai abbastanza e sovraccarichiamo, il giapponese si preoccupa di non eccedere. In breve: noi abbiamo terrore del vuoto, loro orrore del pieno». Altra peculiarità è il segno grafico stilizzato, essenziale e incisivo, che caratterizza l'espressione artistica giapponese.
L'interesse degli europei per l'arte dell'Asia Orientale ebbe inizio dal tardo Barocco. L'evento clou che determinò una crescita di interesse da parte degli occidentali verso l'Estremo Oriente fu l'apertura dei porti giapponesi avvenuta il 31 marzo 1854. Un anno dopo il Giappone sottoscrisse trattati commerciali con molti paesi europei. Con le Esposizioni Universali del 1862 a Londra e del 1876, 1878 e 1889 a Parigi, la pittura, la porcellana, le lacche e i tessuti provenienti dall'Estremo Oriente si diffusero in Europa. Come due vasi comunicanti, le due parti cominciarono a scambiarsi linfa e conoscenza. I primi segni dell'influenza esercitata dall'arte e dalla cultura orientali in Europa si riscontrano nella pittura degli impressionisti. Negli anni Venti, per reazione al decorativismo opulento dell'Art Nouveau, si torna a guardare al Giappone e alle sue forme austere e geometriche, alle lacche, alle giade: è l'Art Déco. Ma fin dall'inizio del secolo è giapponismo anche nella musica e nel teatro. Giacomo Puccini compone "Madama Butterfly", ispirandosi a un personaggio realmente esistito nel Giappone di fine Ottocento: lo ha recentemente rivelato il 43esimo Festival Pucciniano, invitando una pronipote di Tsuru, moglie di un mercante scozzese, vera ispiratrice del romanzo di John Luter Long, da cui Belasco trasse poi il dramma, che a sua volta ispirò l'opera a Puccini. Il Giappone detta i suoi canoni in fatto di gusto estetico. Già nei primi anni del Novecento il kimono domina la moda femminile; la lunga linea a S viene introdotta negli abiti parigini. Ma ciò che più affascina, tanto da venire imitata tra il 1860 e il 1900, è l'allure aggraziata delle donne giapponesi, il modo di indossare i kimono uno sull'altro, con il movimento ondeggiante della stoffa che trasformava continuamente l'andatura a piccoli passi, il busto leggermente reclinato in avanti. Le sete colorate, le lavorazioni asimmetriche, le straordinarie combinazioni cromatiche che riflettono la luce: il kimono entusiasmò il milieu culturale dell'epoca. Klimt eseguì innumerevoli disegni di donne in abiti simili al kimono ed egli stesso ne indossava nel suo atelier. E Sarah Bernhardt, Isadora Duncan, fino a Tina Modotti, ebbero tutte almeno un ritratto in kimono. I tagli geometrici, la struttura delle maniche, i soggetti ispirati alla natura che dominano le stampe influenzano inevitabilmente anche le creazioni dei grandi couturiers dell'epoca, da Worth a Madeleine Vionnet. Ma è nell'architettura che si sentono gli influssi più pregnanti. Ai primi del secolo, grandi architetti come Mies van der Rohe, Gropius, Frank Lloyd Wright, Le Corbusier guardarono al Sol Levante come fonte di nuovi spunti creativi, affascinati dal minimalismo strutturale tipico di laggiù. Che divenne la loro norma di base per la realizzazione di habitat essenziali quanto funzionali. Dalla loro ricerca nacque la cosiddetta "architettura organica", ideata per essere a misura d'uomo e nel rispetto della natura. Lo scultore Isamu Noguchi, di origine giapponese ma americano a tutti gli effetti, dagli anni Trenta fino al 1963 realizzava "stage set" per Martha Graham, collaborando con Merce Cunningham e George Balanchine: scenari perfetti per i gesti stilizzati della danza moderna.
0 notes
tempi-dispari · 2 years ago
Photo
Tumblr media
New Post has been published on https://www.tempi-dispari.it/2023/04/20/imo-perche-si-sceglie-la-cultura-underground/
IMO: perché si sceglie la cultura underground?
Lo spunto di oggi arriva da una domanda che mi sono spesso posto: come si arriva ad ascoltare band underground? Perché si sceglie di sentire musica sotterranea? Credo che nessuno sia cresciuto immediatamente con la musica underground. Il percorso, che credo comune, sarà stato partire dai gruppi mainstream, che hanno introdotto ad un determinato genere, e poi giungere al sottobosco. Ma come capia? Quando io ho conosciuto questo mondo era il momento in cui era davvero nascosto. Clandestino quasi. Circolavano audiocassette di cui si veniva a conoscenza solo grazie al passaparola. Giravano fanzine stampate col ciclostile che dovevi richiedere direttamente a chi se ne occupava.
Non si trovavano in edicola. I locali in cui le band dette emergenti si esibivano erano ben circoscritti. Tuttavia manca ancora la risposta. Cosa ha portato ad andare a cercare gruppi ‘alternativi’ al circuito popolare? Curiosità? Noia? La voglia di uscire da determinati canoni, da certi schemi che hanno sempre caratterizzato le musica e non solo? Eppure le produzioni mainstream sono tantissime. Tra gli anni 80 e 90 erano moltissimi i gruppi che sfornavano dischi, di tutti i generi. Quindi perché andare a cercare qualcosa che andasse oltre? Semplice nazionalismo? La voglia di affermare che anche l’Italia era capace di produrre musica altra rispetto a Sanremo? O semplice fame di suoni precisi indipendentemente da dove potessero arrivare?
L’aspetto più incredibile è che una volta varcata la soglia, difficilmente si torna indietro. Si spalanca un mondo pazzesco. Ricco, ricchissimo di stimoli, in tutte le produzioni artistiche. Eppure, ci si sarebbe potuti dire, ‘se non sono diventati famosi ci sarà un motivo. Magari non sono artisti sufficientemente bravi, o appetibili’. E invece no. Anzi. La domanda è sempre stata: come fanno a non essere conosciuti? Sono bravissimi, altro che tizio o caio. Eppure funziona così in ogni ambito artistico. Pensiamo a Dylan Dog.
Prima che scoppiasse come fenomeno era un prodotto per pochi. Troppo violento e diretto per essere esportato. Eppure è accaduto. Molte delle persone che lo seguivano non si sono accontentate. Sono andate a cercare pubblicazioni simili, più di nicchia. Sicuramente si parla di un numero esiguo di lettori. Ma ci sono stati. E quindi via a Fangoria, Splatter e via citando. Per i film non è stato diverso. I Guerrieri della notte, che tantissimi di noi estimano come cult, non è un film da grande pubblico.
Eppure, lo si conosce a memoria. Perché? Perché si è scelto di leggere e guardare? Come mai la Troma, con tutti i suoi limiti, è diventata un culto? Le medesime domande valgono in ambito musicale. Come hanno fatto DeathSS, Necrodeath, Negazione, Peggio Punx a diventare dei riferimenti? È semplice voglia di distinguersi dalla massa, creare una propria personalità? È solo un fattore adolescenziale di ribellione al sistema? Non credo. Prova ne è che moltissimi attuali estimatori della cultura underground hanno raggiunto una certa età. Eppure ancora seguono. Di più, sono sempre in cerca di nuove realtà.
Che cosa le anima? Cosa ci anima? Ho sempre ritenuto la definizione di underground più che pertinente e calzante. Come spiega la Treccani:
‘Che si oppone intenzionalmente alla cultura tradizionale e ufficiale, utilizzando forme espressive e sistemi di diffusione e di produzione alternativi rispetto a quelli usuali, con partic. riferimento al movimento artistico e sociale affermatosi negli Stati Uniti d’America (e di qui diffusosi, in varie forme, in altre nazioni e spec. nell’Europa occidentale) negli anni ’60 del Novecento, caratterizzato da un esasperato sperimentalismo e da un atteggiamento ideologico trasgressivo e anarchico che hanno largamente influenzato la cultura giovanile anche negli anni successivi…’.
(fonte)
Queste parole mi hanno sempre colpito. Sono sempre stato dell’idea che esistano davvero più società e non una sola dominante. Non c’è la migliore possibile. Sono tutte possibilità. Certo, come concetto è un po’ cyberpunk, ma l’esistenza del nostro mondo lo conferma. E lo conferma talmente bene che tante volte siamo chiusi e autoreferinziali. Le sfaccettature del nostro universo sono talmente tante da renderlo infinito. Si pensi, sempre in campo musicale, ai cantautori. Oppure agli scrittori.
Per non parlare di visual artist. Ma perché li appoggiamo, li cerchiamo, li seguiamo? Perché riteniamo che il mondo ‘fuori’ sia troppo finto? Non Meritocratico? A ben vedere neppure il nostro lo è. Vince in ogni caso una logica di mercato. Se vendo, riesco ad essere conosciuto. Ovviamente oggi dobbiamo fare i conti con il web, con la possibilità di farsi conoscere ovunque in tempo zero. Eppure non è cambiato molto dai tempi della mia adolescenza. Non ci sono più le fanzine e le cassette.
Ci sono però youtube e i siti internet. Bandcamp e spotify. Mille e mille canali di diffusione. Tuttavia noi siamo sempre alla ricerca di qualcosa di altro. Una ricerca infinita a ben vedere. Intelligenza artificiale o meno noi cercheremo sempre persone reali che suonano. Soprattutto siamo andato oltre il concetto di underground inteso come deposito prima di venire scelti per il grande salto. Ovvio che è la speranza di molti. Ma non di tutti.
Come detto altre volte, i compromessi per arrivare nel mainstream sono tanti e non tutti li vogliono sottoscrivere. Un dettaglio, non irrilevante, è che in ogni caso rimaniamo con l’orecchio teso per vedere se il panorama fuori confine ci offre spunti interessanti. Credo che tutti si aspetti il disco nuovo della band che ci ha avviato sulla strada della nostra musica. Magari non lo si acquista, ma certo lo si ascolta. Per poi tornare ai nostri gruppi ‘nascosti’.
Quindi? Come e perché si arriva all’undergound? Resta l’asserto in apertura. Le risposte sono intime. Personalmente resto fedele alla definizione. Non in quanto tale. Perché credo abbia ragione. Ritengo che lo spirito anarchico e ‘contro’ dell’undergorund non morirà mai. Così come il rock. Sicuramente cambierà pelle, modalità espressive, ma non i suoi principi.
Ci saranno sempre persone ‘contro’, che vorranno ribellarsi ad una visione unilaterale della società, della vita. Persone che avranno voglia di urlare, scrivere, disegnare per far vedere che il mondo non è uno, che non esiste una sola via. Essere umani che vorranno evidenziare come esiste la possibilità di poter scegliere. Soprattutto, sottolineare che ciò che conta è avere la forza e la consapevolezza di accettare le conseguenze di queste scelte. Il tutto senza discriminazioni o chiusure. Di nessun genere.
0 notes
personal-reporter · 2 years ago
Text
Elliot Erwitt, Family alla Palazzina di Stupinigi
Fino all'11 giugno 2023 presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi, in provincia di Torino, Next Exhibition presenta la mostra di Elliot Erwitt, Family, dove il grande fotografo che ha fatto la storia del Novecento, con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o ironico, affronta in modo trasversale il tema della Famiglia. La curatrice della mostra, la Dottoressa Biba Giacchetti, ha chiesto a uno dei più importanti maestri della fotografia di creare un album personale e pubblico, ma anche storico e contemporaneo, serissimo e al contempo ironico. Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi ci sono le fotografie che nella lunghissima carriera di Erwitt hanno descritto e rappresentato tutte le sfaccettature del concetto così inesprimibile e totalizzante dell’essere famiglia. Niente è infatti più assoluto e relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come la famiglia, che ha a che fare con il sociale, il diritto, la sicurezza, la protezione e l’abuso, la felicità e la tristezza. Gli scatti esposti sono stati selezionati da Erwitt in persona per settant’anni di storia della famiglia e delle sue infinite sfaccettature intime e sociali, con istanti di vita dei potenti della terra, come Jackie al funerale di JFK, accanto a scene intime come la madre che osserva rapita la neonata, che è Ellen, la primogenita del fotografo. Dalla Provenza, in Francia, arriva un adulto che porta con sé un bambino, in bicicletta, su un viale alberato che pare non avere fine, dall’Irlanda due anziani, di spalle, si godono la brezza del mare, curvati dall’età, ma sempre insieme. In Cina un bimbo aiuta la sua mamma a spingere un carrellino pieno di povere cose e dagli Stati Uniti arriva la protagonista del manifesto della mostra, che è un’elegante signora, vestita con soprabito e stivali alti, mentre porta a passeggio un buffo e minuscolo cagnolino da una parte e un imponente cane dall’altra, nota come Felix, Gladys and Rover. La poetica di Erwitt si esprime in questa mostra con un ritmo esilarante eppure profondo su un tema che ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, dato i quattro matrimoni, i sei figli e il gran numero di nipoti e pronipoti. Come sempre Elliott Erwitt è voluto uscire dai canoni classici e sviluppare il concetto di famiglia in modo libero e provocatorio, dove immagini romantiche si alternano a immagini di denuncia, fino all’ironia di chi elegge a membro prediletto della famiglia l’animale più amato, che sia un cane, un maiale o un cavallo, e celebrare così con serietà e sorriso, un sentimento universale. La mostra sarà aperta dal martedì al venerdì dalle 10 alle 17.30, sabato e domenica dalle 10 alle 18.30 è il lunedì sarà chiusa. Read the full article
0 notes
fashionbooksmilano · 3 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Non solo Kimono
come il Giappone ha rivoluzionato la moda italiana
Laura Dimitrio, prefazione di Akiko Fukai
Skira, Milano 2022, 256 pagine,  200 ill. b/n e col., brossura, cm 22x28,  ISBN 9788857245683
euro 46,00
email if you want to buy :[email protected]
Quando si considera l’abbigliamento giapponese, il pensiero corre subito al kimono, che ha riscosso uno straordinario successo in Europa e in Italia fin dal tardo Ottocento. Da allora il suo taglio e i suoi motivi decorativi sono diventati fonte di ispirazione per gli stilisti desiderosi di proporre abiti con forme e decorazioni sconosciute alla tradizione sartoriale occidentale. Ma il kimono non è stato l’unico aspetto della moda nipponica a rivoluzionare lo stile italiano. A partire dagli anni Settanta, i fashion designer giapponesi d’avanguardia (Kenzo Takada, Issey Miyake, Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo) con i loro abiti informi e asimmetrici hanno sovvertito i tradizionali canoni estetici e sono diventati un punto di riferimento anche in Italia per i creatori di moda anticonformisti. Tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio si sono poi diffuse in Italia le subculture giapponesi, dalla moda kawaii ai cosplayers, alle Lolita. Il volume è corredato da un ricco apparato iconografico, con immagini tratte da riviste di moda, fotografie e bozzetti provenienti dagli archivi dei musei e delle case di moda. Con una prefazione di Akiko Fukai, direttrice e Curator Emeritus del Kyoto Costume Institute, massima esperta del giapponismo nella moda.      
20/02/22
orders to:     [email protected]
ordini a:        [email protected]
twitter:@fashionbooksmi
instagram:         fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr:                fashionbooksmilano, designbooksmilano
36 notes · View notes
andrea-12-1212 · 4 years ago
Text
"La tendenza idealizzante,  invece si basa sulla rielaborazione delle forme e delle proporzioni delle figure umane al fine di esprimere la loro concezione del mondo, piuttosto che riprodurle in modo fedele, rappresentandole schematizzate, geometrizzate per comunicare attraverso di esse dei contenuti o dei significati simbolici."
"Nella tendenza espressiva, gli artisti indagano sui gesti e sulle espressioni delle figure rappresentate,  i corpi vengono allungati, distorti, disintegrati, disarticolati, alterati nelle loro proporzioni. Questa tendenza si è sviluppata soprattutto nel corso del Novecento, quando la realtà soggettiva prese il posto dei canoni classici di bellezza. La realtà cede così il posto ai sentimenti e ai pensieri personali di chi dipinge."
2 notes · View notes
forgottenbones · 4 years ago
Text
Rebus
1. Definizione
Il rebus è un gioco enigmistico (➔ enigmistica) che propone un insieme di lettere e figure in una successione ordinata oppure nel contesto di un’illustrazione. Se sono correttamente combinate e interpretate secondo le regole di genere del gioco, lettere e figure si risolvono in un’espressione linguistica preordinata dall’autore.
2. Tecnica del rebus
Il rebus italiano contemporaneo si presenta come una vignetta in cui alcuni soggetti sono contrassegnati da una, due o tre lettere. Il solutore ha anche a disposizione (nell’intestazione del gioco) un diagramma numerico che riporta il numero delle lettere che compongono le parole della cosiddetta frase risolutiva (o seconda lettura). A volte il rebus viene corredato da un doppio diagramma, in cui è indicato il numero delle lettere che compongono le parole della chiave (o prima lettura). Dalla prima alla seconda lettura si passa con il procedimento di risegmentazione tipico delle ➔ sciarade e delle frasi doppie.
Un’illustrazione che riporti, da destra verso sinistra, un palmipede contrassegnato dalle lettere GI e un’insenatura contrassegnata dalle lettere MA (Rebus, 6, 1, 4) può essere risolta come segue:
(1) (prima lettura) GI oca, rada MA = (seconda lettura) Giocar a dama
Ogni elemento contrassegnato dalla vignetta deve comparire nella prima lettura del rebus, o per quel che è (un’oca, una rada) o per quello che fa. In un rebus che si risolvesse come segue:
(2) (prima lettura) G alle sei RL a N dà = (seconda lettura) Galles e Irlanda
è indifferente chi sia G, chi sia N e cosa sia RL: G può essere un postino che consegna alla casalinga N il plico RL; G può essere uno staffettista che passa al suo compagno N il testimone RL; G può essere Dio che consegna a Mosè N le Tavole della Legge RL. In ognuna di queste realizzazioni, o delle innumerevoli alternative possibili, il rebus è valido.
Fino agli anni Cinquanta del Novecento alcune oscillazioni terminologiche assegnavano a volte al rebus detto di relazione il nome di rebus crittografico o crittografia (ingenerando ambiguità con un’omonima famiglia di giochi enigmistici non illustrati). Oggi la tendenza dominante denomina come rebus ogni gioco enigmistico illustrato, in cui cioè una sequenza linguistica interpreta una scena rappresentata figurativamente (per denominazione, per relazione o nelle due modalità combinate).
3. Archeologia del rebus
Il gioco del rebus ha radici nelle antiche forme di scrittura pittografica e ideografica in cui la notazione di un concetto prevedeva la sua rappresentazione figurativa: forme che a volte sono state designate dagli storici della materia come scritture-rebus (cfr. Diringer 1969). Già in epoca antica era possibile che elementi linguistici privi di una propria raffigurazione univoca, come per es. i nomi propri, venissero scomposti in segmenti invece raffigurabili. Così la tavoletta che raffigura il faraone Narmer (III millennio a.C.) lo nomina attraverso i disegni di un pesce (nar) e di uno scalpello (mer).
Il passaggio alla scrittura alfabetica decretò l’abbandono dell’iconismo diretto della rappresentazione, ma d’altro lato rese ancora più evidenti le possibilità di scomposizione delle sequenze alfabetiche; quando Cicerone saluta un corrispondente in questo modo:
(3) Mitto tibi navem prora puppique carentem («Ti mando una nave priva di prua e di poppa»: n-ave-m)
costruisce una sorta di rebus tutto linguistico, in cui il lato figurativo è lasciato all’evocazione del tropo analogico (la prima e l’ultima lettera di navem come la prua e la poppa di una nave).
L’aspetto linguistico e l’aspetto figurativo si congiungono sulla scena del sogno. Il primo trattato sull’interpretazione dei sogni, l’Onirocritica di Artemidoro di Daldi (II sec.) riferisce il responso che Aristandro diede a un sogno di Alessandro Magno. Impegnato nell’assedio della città persiana di Tiro, Alessandro aveva sognato un satiro danzante sopra uno scudo. Aristandro ne aveva tratto un auspicio favorevole: Satyros = sa Tyros «Tiro è tua»: una perfetta sciarada, o frase doppia. L’Interpretazione dei sogni (1901) di Sigmund Freud riprenderà e approfondirà questo tema, distinguendo fra contenuto manifesto e contenuto latente, e definendo il sogno come un «indovinello figurato» (Freud 1899). Come ha poi dimostrato François Lyotard (1971), Freud stava facendo diretto riferimento al gioco delle rätselhafte Inschriften («iscrizioni enigmatiche»), una sorta di rebus epigrafico che all’epoca di Freud compariva sulla pubblicazione viennese «Fliegende Blätter». Un analogo raccostamento è stato poi operato da Jacques Lacan, che ha assimilato il sogno al gioco salottiero della sciarada, chiamata charade en action.
Il principio linguistico della sciarada (scomposizione di un’espressione in sillabe o altre unità che si scoprono dotate di senso proprio) e il principio verbo-visivo del rebus (rappresentazione iconica di unità linguistiche) si trovano combinati anche nell’immediato antecedente del rebus: l’impresa rinascimentale (per la quale si rinvia a Praz 1946). Del rebus l’impresa ha innanzitutto l’intento criptico: a differenza degli emblemi manieristi e barocchi, rivolti a un pubblico anche analfabeta (e per questo intento ripresi anche dalla catechesi gesuitica), le imprese realizzavano una comunicazione criptica. Il loro carattere non era universale, ma particolare: intendevano rappresentare in modo incomprensibile ai non adepti l’intenzione segreta, il movente intimo delle azioni di un cavaliere, il suo motto personale o familiare. Vicino al ritratto dell’amata, Orazio Capete Galeota conservava un’impresa in cui una tigre si specchia in una sfera di vetro, con il motto fallimur imagine «siamo ingannati dall’immagine»: l’impresa si spiega grazie a un racconto di sant’Ambrogio in cui i cacciatori ghermiscono un cucciolo di tigre e gettano una sfera di vetro alla madre, che scambierà la propria immagine riflessa e rimpicciolita con quella del figlio, consentendo ai cacciatori di allontanarsi. Solo l’erudizione e la conoscenza diretta dell’interessato consentiva di cogliere il contenuto criptico dell’impresa.
Oltre al meccanismo perfettamente concettuale dell’impresa era disponibile una rappresentazione per segmenti linguistici. Una prima forma, moderata, segmentava le sequenze conservando l’omofonia: è il caso dello stemma della famiglia Anguissola, realizzato con l’immagine di «un solo serpente» (anguis sola). Trattatisti come Paolo Giovio non consideravano questo caso diverso da quello della colonna che campeggia nello stemma della famiglia romana Colonna: la semplice scomposizione che mantiene l’omofonia veniva avvertita come una variante dell’omonimia. Diverso invece, e spesso censurato dai trattatisti, il genere dell’impresa-rebus o impresa cifrata, in cui la sequenza viene scomposta in segmenti che comprendono lettere isolate e in cui l’omofonia è perduta, o faticosa (una perla, una lettera T, una suola di cuoio o coramo: «Margherita, Te, sôla di coramo = Margherita, te sola di cor amo»). È questo il caso dei cosiddetti rebus di cui ➔ Leonardo da Vinci costellò il codice Windsor: la figura di due quaglie e quella di due ossa erano intervallate dalle lettere C, H, I, P. Soluzione: «qua gli è chi possa» (quaglie, C,H,I,P, ossa). È anche il caso dei Rébus de Picardie (fine XV - inizio XVI sec.), ove la figura di una monaca che sculaccia un abate (nonne abbé bat au cul), seguita dalla figura di un osso (os), va risegmentata e reinterpretata come motto latino: Nonne habebat oculos? «ma non aveva occhi?». È questa la prima apparizione del nome rebus, la cui etimologia viene comunemente ricondotta al plurale dell’ablativo strumentale di res «cosa», dunque «con le cose».
4. Il rebus enigmistico
Già dal Rinascimento la produzione italiana di rebus si è differenziata da quella in altre lingue, pur fiorente, per il fatto di accogliere solo esempi rigorosamente omografici. Nella tradizione anglosassone (come nella francese), il soggetto raffigurato può stare per una parola o per un segmento di parola anche solo in virtù dell’omofonia; così in una famosa lettera-rebus di Lewis Carroll il pronome I è rappresentato dal disegno di un occhio (eye).
Nel corso dell’Ottocento il genere del rebus era impreziosito ma anche limitato nelle sue possibilità di sviluppo dal costo della riproduzione tipografica. Rispetto alle sciarade, ai logogrifi, agli acrostici, agli anagrammi, agli enigmi e agli altri generi puramente linguistici dell’incipiente enigmistica, il rebus richiedeva procedimenti di stampa peculiari, che ne limitavano la presenza sulle riviste.
Il rebus enigmistico ottocentesco e del primo Novecento si rivolgeva a estese frasi di tipo proverbiale e gnomico, come sopravvivenza delle radici concettistiche ed emblematiche: «è vano ad amor ardente opporsi», «latte sopra vino è veleno», «senza danari non si àn rosari». Lo sviluppo decisivo del rebus italiano si è prodotto nella seconda metà del Novecento, sulle pagine della «Settimana enigmistica», dove si sono assestati i canoni di accettabilità della frase risolutiva, di chiarezza espositiva della vignetta, di innovazione e correttezza sintattica della prima lettura.
La frase risolutiva si è liberata dai vincoli della proverbialità, adottando come criterio la maggiore prossimità possibile alla dimensione semantica del paralessema e del modo di dire (famosi rebus hanno avuto frasi risolutive come: «bagarre tra vari spettatori»; «fare sberleffi giocosi»; «Sodoma e Gomorra»; «leghe superleggere»; «audace scenetta»; «melodia d’amore medioevale»; Bosio 1993).
L’illustrazione, la cui tecnica è stata codificata da Maria Ghezzi Brighenti, si è caratterizzata per nitore e neutralità del tratto e per l’estensione delle peculiari tecniche di composizione che sottolineano la pertinenza degli elementi utili per la risoluzione.
La prima lettura si è giovata innanzitutto dell’invenzione del «rebus stereoscopico», da parte di Gian Carlo Brighenti (1924-2001): distribuendo la rappresentazione del rebus su più di una vignetta è possibile raffigurare sequenze temporali o meramente logiche (un’aquila C che discende a più riprese dalle stesse montagne: «C a valle rialeggerà = Cavalleria leggera»).
Più recentemente il relativo esaurimento delle chiavi utili alla composizione di rebus si è combinato con l’elevato virtuosismo degli autori e degli illustratori, portando alla pubblicazione di difficili rebus in cui la prima lettura consiste in un’interpretazione particolarmente raffinata (e a volte al limite dell’aleatorio) della vignetta. Per es., un rebus in cui gli sposi G sembrano quasi tardare a scambiarsi gli anelli F si risolve tramite un congiuntivo esortativo e una postilla esplicativa: «G abbiano F: è rito! = Gabbiano ferito».
fonte: Treccani
8 notes · View notes
fondazioneterradotranto · 5 years ago
Photo
Tumblr media
Nuovo post su https://is.gd/HBsxeq
Viaggio nei colori dell'artista neritino Luciano Falangone
  di Pietro De Florio
Luciano Falangone, un artista esuberante e anticonformista, uomo libero e amico sincero. La sua arte indagava l’essenza seducente del colore, ma l’affievolimento della vista e poi la sua totale perdita, a causa di una crudele malattia, interruppe questo viaggio nel colore.
Lui diceva di immaginare il colore, di conservare la memoria degli accordi o dei contrasti, di emozionarsi ancora pensando all’arte che non poteva più fare o quella ricordata e studiata fatta dai grandi artisti del passato; il suo, oramai, diventava un dipingere mentale, con l’incalzare della malattia.
Un poderoso desiderio d’arte lo pervadeva, ma inesorabilmente frustrato dalla malattia, come un po’ nel mito di Tantalo, un personaggio della mitologia greca che assetato e affamato è appeso, per volere di Zeus, ai rami di un albero proteso su una palude, nell’impossibilità disperata di bere e mangiare, in un eterno supplizio 1.
Luciano Falangone nasce a Nardò il 26 febbraio 1956, primo di due fratelli e due sorelle, la madre Annetta e il padre Leonardo (Narduccio) contadino lo educano ai sani principi del rispetto del prossimo, all’amore per la famiglia e al valore dell’onestà. Nel 1982 sposa Ivana, la dolce e paziente compagna di tutta una vita, colei che lo ha sempre amato e, a volte, sopportato; il nostro artista, sebbene essenzialmente un uomo buono e generoso, non aveva un carattere facile, non ti mandava a dire le cose. Negli ultimi anni, con la perdita della vista (nel peggioramento generale della stato di salute), iniziava un vero patimento inenarrabile, per lui che era una persona vigorosa e atletica e, per giunta, pittore a cui il senso della vista non può mancare. Quindi gli si perdonava tutto volentieri.
Tra l’amore della moglie, l’affetto dei due amatissimi figli Leonardo e Giulio, Luciano concludeva precocemente la propria vita il 14 luglio 2019.
Già da ragazzo manifesta una chiara predisposizione al disegno, tant’è che da adolescente si iscrive all’Istituto d’Arte di Nardò, conseguendo la maturità d’Arte Applicata nel 1976. Gli anni della scuola sono particolarmente fecondi, acquisisce le competenze grafico – progettuali nel campo della composizione dal vero e, nel settore della rappresentazione geometrica, padroneggia il rigore metodologico della forma rappresentata nello spazio. Ma soprattutto dirompente sarà in lui lo studio della Storia dell’Arte, quando conosce i grandi maestri delle avanguardie storiche del Novecento, rimanendone affascinato, nel suo animo, ormai, è in atto una rivoluzione copernicana estetica. Tuttavia va detto che nell’Istituto d’Arte di quel periodo la didattica si sforzava di conciliare la ricerca artistica con l’industria, attraverso la progettualità e produzione seriale standardizzata di manufatti d’arredo o elementi decorativi.  L’artista non ci sta a questa specie di omologazione formale che esautora la creatività, già al terzo anno è in contrasto con qualche docente, riesce a prendersi una sospensione dalle lezioni, con l’esclusione dal viaggio di istruzione e contestuale perdita dell’anno scolastico.
All’abusato metodo di socialità artistica veteroBauhaus di quegli anni, preferisce l’esaltazione antifunzionalista dell’avanguardia surrealista, almeno qui si sente libero, nell’inversione di senso della rappresentazione (non astratta), comunque figurativa in cui si riconosce generalmente la pennellata sfumata e precisa 2 della tradizione figurativa occidentale ad iniziare dai quattrocentisti toscani. Adotta la scelta figurativa dell’esuberanza onirico – simbolica e al contempo “barocca” di un Salvator Dalì. L’altra avanguardia a cui guarda Luciano è la Metafisica novecentesca, almeno per quel che concerne la negazione della realtà naturale, privilegiando un altro mondo, appunto metafisico o metastorico, inclinando verso una più proficua adesione, sebbene episodica, per Carrà 3.
Dopo la Maturità frequenta l’Accademia di Belle Arti a Lecce. Anche in questo caso entra in polemica con i docenti: l’Accademia gli pareva troppo accademica, ormai lo spirito innovativo e rivoluzionario della pittura novecentesca si cristallizzava in una sorta di scolastica filosofica, una specie di grammatica dell’astratto, con le sue regole e canoni, cosa che a Luciano non andava per nulla, infatti dopo appena due anni abbandona l’Accademia leccese. Egli vuol tornare alle origini della pittura, al piano, alle superfici bidimensionali, agli elementi fondanti della rappresentazione, intuisce che l’arte nasce dall’artigianato, dal fare manuale cosciente, dal lavoro creativo soggetto a regole. Luciano, in un certo senso, segue questo percorso, prima di essere artista da ragazzo per guadagnarsi una propria indipendenza economica, era un artigiano o, meglio senza ironia, faceva l’imbianchino e da imbianchino nella preparazione delle idropitture osservava incantato come il colore si dava alla luce, quando dai bianchi riusciva, mescolando altre essenze colorate, arrivare al pastello desiderato o alla tinta forte prevista. È attento alle mescole dei colori che già aveva avuto modo di studiare in Storia dell’Arte a proposito degli impressionisti.
Luciano riesce a realizzare sulle tele superfici dalle campiture cromatiche liquide e vibranti a volte traslucide, opache, invece sulle pareti, cercando qui il tono ideale da accordare con le possibili varianti del contesto. Tinteggiare un muro significa farne una specie di ponte (come una finestra), un’apertura, la cortina cessa di essere barriera bianca (perlopiù) fisica e psicologia del non luogo, la parete diviene permeabile, un posto per la vita, uno spazio di vita aperto, sebbene chiuso da quattro pareti, dopotutto si vive tra quattro pareti. Quindi il colore assume una funzione di ponte, facendo fluire il senso tra interno ed esterno, allora l’ambiente si trasforma in luogo dell’abitare4. Si spiega allora perché Luciano prediligesse il Veronese e il Tiepolo, artisti che nei loro affreschi dipingevano spazi aperti e atmosferici. Per questo la prima pittura di Luciano assume un aspetto lucente di espansione coloristica liquida, si dice che in quadri di Luciano arredino, fanno ambiente, sono colore, aprono le superfici / barriere dei muri, ora l’artigiano / imbianchino diventa artista.
Non si può fare a meno di porre in correlazione l’arte di Luciano Falangone con una citazione de pittore Mark Rothko che rivalutava l’arte dell’imbianchino quale azione primaria e naturale: “Noi – diceva Rothko – siamo per la forma ampia, perché essa possiede l’impatto dell’inequivocabile. Noi desideriamo riaffermare la superficie del dipinto. Noi siamo per le forme piatte perché esse distruggono l’illusione e rivelano la verità” 5.
  Antefatto
Un’opera d’arte può nascere da un processo creativo libero, per certi aspetti spontaneo, con soluzioni che si presentano dinanzi all’artista prima ancora di cercarle. Spesso mi trovavo nello studio di Luciano e lo osservavo mentre dipingeva. Non rinunciava a conversare, scherzava e divagava amabilmente, quando magicamente alla fine l’opera con naturalezza e semplicità cominciava ad esistere, nonostante l’artefice pensasse, durante la realizzazione, a tuttaltro. Questo per dire che se il giudizio estetico può apparire complesso nella lettura dell’opera, l’artista invece, intuitivamente (consapevolmente o meno), spesso giunge generalmente pressappoco alle stesse conclusioni critiche, ma per altre vie che sono quelle ben superiori della libertà creatrice, un po’ come sosteneva il Croce 6.
Il suo modo di produrre ancora arte figurativa, fatta di impulsi luminosi e di fine ricerca coloristica, lo rende alternativo alle sollecitazioni neoavanguardiste degli anni settanta e ottanta che arrivano nel Salento. Non lo interessano i sofismi concettuali dell’astrattismo, egli, invece, sceglie un percorso estetico, per così dire, espressionistico neometafisico – surrealista in cui il senso della rappresentazione non viene rimosso.
  Colori e Fluidità Formali anni 80’-’90
Predominanti nella produzione artistica sono i paesaggi, ma Luciano, almeno dal 1984 – 1986, ha realizzato anche della ritrattistica e, laddove nei dipinti di vedute apparissero delle figure umane, queste connotavano perlopiù contenuti simbolici ed esoterici.
Generalmente, nei dipinti di questo periodo, la linea di terra è bassa, per dare più spazio a un cielo che transcolora dall’azzurro ai toni caldi dal giallo, al rosa e al lilla e spesso sono presenti volumi (perlopiù casette, ricoveri contadini, ecc.), plasticamente modellati e chiaroscurati, segni di sostanzialità plastica, di vaga ascendenza alla Carrà , qui e là si notano filamenti serpeggianti di vegetazione in primo piano.
Si ha la sensazione che l’artista voglia esprimere in questa prima fase un senso di pace. Altri dipinti sono impostati su linee orizzontali che ricordano l’impostazione alla Van Gogh (Mietiture del 1888), con fasce a volte monocromatiche, interrotte e puntinate dal rosso dei papaveri e da una esile linea blu di un possibile e fantastico mare posto all’orizzonte.
Lo spazio assume una disposizione fluida, non si lascia misurare, tutto è sospeso, in accordo simbolico ai spesso presenti papaveri che rimandano alla proprietà soporifera di Ipnos, il dio greco del sonno, fratello di Thanatos, per meglio dire la morte 7. Traspare una forma d’inquietudine, un senso di smarrimento, in questo spazio senza direzione e profondità, in cui si annuncia l’inconsistenza metafisica del mondo 8.
In altre opere lo sfondo linea d’orizzonte e profondità si dileguano del tutto, prende vita un sistema coloristico a spirale, in un avviluppo che inizia dai toni caldi in basso (gialli e arancio), mescolandosi con quelli freddi in alto, roteanti intorno a elementi terrestri, quali terra, spighe di grano e papaveri; il tutto dalla pregante valenza simbolico energetica (giallo: terra; rosso: potenza – azione – energia), secondo quanto teorizzava Kandinskij 9. Questa è fase di ricerca psicanalitica della pittura di Luciano: la pulsione filogenetica dell’eros (nel senso proprio, di forza vitale e libertà creativa) frustrata o frenata dall’organizzazione vincolante della strutture sociali, si trasforma in aggressività, senso di colpa e, alla fine, istinto di morte o thanatos (papavero), in una regressione psichica nel pre – biologico, al geologico, fino alla stasi finale nell’inorganico 10.
Ecco allora emergere l’aspetto surrealista dell’interiorità inconscia 11, in antitesi alla ragione cartesiana diurna dominante. È il motivo per il quale il dipinto si presenta senza alcuna separazione tra fondo e primo piano, tutto ruota intorno alle figure simboliche centrali, come nell’individuo; la psiche non è separata dal corpo e questo, per analogia, non fa da sfondo.
Fig.2
  Nel “Paesaggio blu” (fig. 2) l’autore pare risenta degli influssi della Transavanguardia, un modo di prendere le distanze dagli astrattismi concettuali informali e, come dice Achille Bonito Oliva, si tenta di trattenere “un patrimonio storico nelle scelte dell’artista”, con un ritorno alla manualità e alla figurazione espressionistica 12.
Si tratta di un paesaggio montano e contemporaneamente marino o lacustre; dai blu intensi variamente modulati, si passa alle tonalità primarie di giallo e rosso e a quelle secondarie di verde, mentre la presenza di striature spatolate evocano un senso di profondità, ma tutto, però, vien dato in superficie in una sorta di intuizione immediata. I monti in lontananza richiamano a paesaggi lontani, strani, esotici, magari alieni. Di tutt’altro registro è il cielo, un’estensione infinita, quasi cosmica dai colori magenta, rosa e gialli che si stemperano nel blu man mano che lo sguardo sale verso l’alto in uno spazio emozionate, totale continuo nato da un unico respiro che ricorda al pittura ottocentesca dell’inglese Turner; sotto l’orizzonte, invece, un’estensione discreta (anche dei monti), sintetizzata dal blu in una sorta di recupero plastico di tradizione postimpressionistica alla Cezanne. Rimane un senso pittorico – poetico, quasi magico, per certi aspetti vicino alla pittura di Nicola De Maria 13 (tela: Mare, chiudere gli occhi, o mare. Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), una sensazione di spaesamento, ma la gamma cromatica particolarmente estesa permette un recupero rassicurante e consolatorio.
In altre opere della metà degli anni ‘90, specialmente nelle tempere su cartoncino, inizia la fase delle rappresentazioni (apparentemente) caotiche: un turbinio di colori, bastano pochi punti di rosso (fiori), per ricomporre mentalmente l’immagine. Colori che debordano, accostamenti multipli, aspetto figurativo contraddetto dalla dissoluzione dell’immagine ecc.
Fare un quadro non è semplicemente un dare a percepire qualcosa; l’autore, invece, vuol rifare la realtà nella pienezza dei colori, nella densità di timbri, nel dissolvimento apparente della profondità dei piani. Siamo, in un certo senso, alla fase pre – classica del nostro artista. Il caos iniziale visto in termini negativi diventa adesso apertura, cioè un qualcosa che si dischiude. Infatti il significato originario di caos, per gli antichi Greci (presocratici), è proprio questo, e non mescolanza o confusione degli elementi primordiali. Quindi apertura originaria in cui ogni cosa nei suoi aspetti costitutivi è presente: dei, uomini, natura, per tutti i possibili mondi di là da venire. Scriveva Eraclito di Efeso nel V sec. a.c. “Quest’ordine del mondo, che è lo stesso per tutti, non lo fece né uno degli dei, né uno degli uomini, ma è sempre stato ed è sempre fuoco vivo in eterno, che al tempo dovuto si accende e al tempo dovuto si spegne” 14.
Per analogia l’arte di Luciano si mostra, consapevolmente o meno, appunto come apertura di mondi, luoghi di possibili genesi alla maniera greca. È la vecchia azione del lògos che fa sbocciare naturalmente una forma facendola venire alla luce per rendersi visibile, senza che ci sia alcun calcolo o concetto di ragione strumentale 15.
Fig. 3
  Con – formazioni (dal 2000)
In questa seconda fase la pittura di Luciano si fa più vivida ed intensa. Nel “Paesaggio con papavero” (fig. 3), il fiore è posto in primo piano alla base delle masse granarie, una quasi natura morta. Vengono in mente le esperienze astratte di Philippe Guston (1956)16 o, in ambito neofigurativo, Ennio Morlotti (1956)17.
Quando il papavero si schiude e si mostra, pur nell’ambivalenza simbolica (rosso = azione e vita; fiore papavero = sonno) diventa natura naturata, si aprono le masse fibrose del grano, attraverso la sottolineatura plastica delle strisce verticali inclinate blu rosse, verdi e magenta. Ciò è reso possibile da un orizzonte alto che permette questa successione di piani che fanno spazio, a partire dal papavero; infine la linea d’orizzonte curva e un cielo che transcolora dal rosa al bianco al blu. Una pittura che ri – fa la natura in senso originario, o meglio originale, il quadro vive, si apre, germoglia e si mostra un po’ come una nuova sostanza vivente.
Fig. 4
  Nel quadro “La grande valle” (fig. 4) il registro cromatico cambia completamente. Si passa ai toni freddi del verde che predominano sui gialli e i rossi. I colori delle varie striature parallele e nelle raggiere della vegetazione sembrano solidificarsi. Accade qui in maniera più evidente come le tinte diventano masse plastiche, dandosi in addensamenti   in sintonia a quanto sosteneva Cezanne, alla fine dell’Ottocento: “disegno e colore non sono affatto separati, dal momento che dipingi, disegni […]. Quando il colore è al più elevato grado di ricchezza, la forma è nella sua pienezza. I contrasti e i rapporti di tono, ecco i segreti del modellato”18.
Luciano, dunque, produce una sensazione visiva (partendo dal vero) elaborata dalla propria coscienza, indagando la struttura o profondità dell’immagine nell’intimità densa del colore, cioè i neri che separano i bianchi, verdi e i gialli, il verde esaltato dal giallo (in accordo) i rossi bruni puntualizzati dai bianchi e dai gialli, i cespugli o alberi (non ha importanza) resi nuclei plastici intrisi di luce, come il lago fatto da sostanza bianca, verde gialla e nera. Prevale complessivamente una grande massa definita dall’orizzonte alto, che permette queste stratificazioni materiche conformate di risaltare su un cielo neutro dalla stesura uniforme.
Per questo gruppo di dipinti il linguaggio pittorico fa risaltare un modellato più pregnante, composto da aggregazioni plastiche sensibilissime alle iridescenze luministiche, per un’atmosfera insolita, di un mondo ricreato e trasfigurato.
  Luoghi e Coscienza (dal 2002 al 2007)
A partire dal 2002 la paesaggistica di Luciano mostra una corrispondenza più intima verso i luoghi vissuti, cioè il Salento, le masserie nella campagna di Nardò, torre Uluzzo, i furnieddhi, casine di campagna, ecc.
L’artista non si ferma alla pura visione intimista o psicologica. Si fa strada l’elaborazione plastico – coloristica. Ciò si nota al di sotto della linea d’orizzonte, con note materico – cromatiche di fiori, piante e terreno che danno un senso di profondità di campo ai dipinti. Una specie di intuizione in cui la coscienza dell’artista elabora, nella propria durata, una rinnovata, irripetibile e unitaria visione istantanea del reale19. Un nuovo “slancio vitale” figurativo, un’onda che tende a salire dal basso fino comprendere i solidi geometrici delle costruzioni sulla linea dell’orizzonte.
In questo slancio creativo (per dirla ancora con Bergson) di solo colore, Luciano riesce a creare una visione intensa aperta e carica di emozione, di luoghi a prima vista familiari e allo stesso tempo forse mai visti o solo immaginati. Nascono personalissimi paesaggi interiori che l’artista trasfigura al contatto con la vibrante e calda luminosità di una terra salentina arcana orfica e dionisiaca, luogo di antichissimi miti mediterranei.
Fig. 5
  La Terra della Sera
Nei dipinti dell’ultimo periodo, prima che l’artista perdesse del tutto la vista (fig. 5), la precedente poetica dei colori accesi viene superata. Si affievolisce l’entusiasmo cromatico del luogo intuito, personalmente amato. Ora compaiono terra, mare, cielo, colore, in una specie di quadratura abitante nell’animo dell’artista.
Il linguaggio pittorico si mostra nell’imbrunimento dei toni caldi (i rossi tendono al vermiglio, i gialli assumono tonalità grasse e dense, i verdi diventano più scuri) e dalla più marcata presenza di colori freddi, azzurri e verdi chiari.
In questo nuovo periodo si nota un immalinconirsi della espressione artistica e la solidificazione del tratto pittorico, con l’ispessimento del pigmento fino a diventare materia e sabbia, in una sorta di pietrificazione del sentimento. Se prima le composizioni si disponevano nella fluidità a scalare dei piani, ora si raggrumano e il passaggio dei piani (dal primo piano all’orizzonte al cielo) si dà a strati o per sfumature.
All’affievolirsi della vista, per Luciano sempre più importanza assume la propria interiorità, con la coscienza rivolta a ciò che ha visto, amato e sentito. Ecco che l’immaginazione, nella mente dell’artista, assume un’importanza fondamentale, un qualcosa di immaginato appartiene ad un altro piano dell’esistenza, rispetto ad una cosa reale, pur non essendo è una copia della cosa. Il pensiero produce immagini del tutto autonome rispetto alla realtà, sebbene ne sia debitrice, se si adopera questo ragionamento, preso in prestito da Sartre 20, per comprendere il nuovo corso artistico di Luciano.
L’immaginazione per la sua autonomia va oltre, non rappresenta oggetti, forma qualcosa di nuovo e, al contempo, si separa dal reale, perché prima è tra le cose e poi se ne allontana nella propria facoltà di essere libera. Se fossimo solo assorbiti nell’esistenza pura sarebbe difficile poter immaginare, pertanto l’immaginazione oltrepassa l’esistente, lo trascende, per un nuovo essere in una nuova situazione esistenziale e reale 21.
Si comprende allora che i nuovi paesaggi del nostro artista sono immaginati, distanziandosi dal mondo con un senso velato di tristezza.
Nel paesaggio “Fiori e cielo rosso” (fig. 5) la tonalità predominante è il rosso, poi si passa dal marrone chiaro al verde olivastro alle sfumature del rosso scuro fino all’arancione chiaro e rosa. Sull’orizzonte l’esile e ridotta, ma squillante, striscia di mare color acquamarina. Poi due strisce dai colori dal rosso al giallo e lumeggiate di bianco individuano due piani paralleli inclinati che danno un senso di profondità al dipinto e, infine, in primo piano, in basso lo spazio scuro vivacizzato dalla presenza di fiori stilizzati. In altre parole un dipinto ad onde dal cielo alla terra, dall’unica sostanza di uno spazio tutto in sé nella mente dell’artista, simile a una specie di sostanza spinoziana senza principio e fine 22 (se mi è consentito fare questo accostamento che, forse Luciano avrebbe condiviso) da cui procedono gli attributi infiniti del pensiero e della materia. Nel dipinto si concretizza l’immaginazione dell’artista, attraverso un rincorrersi infinito (dalla quiete al moto) delle onde di colore e sfumature e dei piani. Si avverte quasi un panteistico risalire dal pluralismo all’unità della sostanza in un unico concetto di immagine e qui siamo in una dimensione che nega la realtà, in quanto ne pone un’altra per sé.
Fig. 6
  Nell’opera “Paesaggio serale” (fig. 6) le tinte sono decisamente scure: il cielo viola con sfumature di nero, grigio e giallo. La linea d’orizzonte viene individuata da alture collinari nere che si staccano dal fondo in virtù di una sfumatura intensa e degradante di arancione. Poi uno stagno o un lago, tra il blu e il viola, evidenziato con striature di bianco, è uno specchio d’acqua immobile; solo i riflessi a tocchi di bianco lo ravvivano. Tutt’intorno una vegetazione materica e corposa, sebbene sensibilizzata dalle intense luminosità dei rossi, gialli e verdi, comunque colori riassorbiti nella struttura tonale dominante. Prevalgono gli accordi di colore dei viola con i rossi, i verdi e i blu con i gialli ecc. non i contrasti (cioè tra colori composti e complementari). Tutto indica stasi, fissità, riflessione, non più “onde” strutturali, come nel dipinto precedente. Un senso di malinconia pervade l’opera, perché questo, in definitiva rimane un dipinto da terra della sera, di un tramonto imminente, la fine del giorno in una sensazione di disincanto. Tuttavia, qui e là, i rossi intensi i verdi dei vegetali illuminati di giallo denotano una gioia per il mondo, per una specie di ossimoro esistenziale.
Diversi autori qualificati e quotidiani anche nazionali hanno scritto di lui. Ha esposto un po’ dappertutto in Italia e all’estero (Parigi e Ginevra). Dal 2007 esponeva stabilmente presso la propria galleria in Corso Galliano 11 a Nardò (cfr. Brochure Salento e dintorni Luciano Falangone, Rotograf, Nardò, 2008).
  Note
1 Omero, Odissea, XI, 382 – 392, traduz. Rosa Calzecchi Oresti, Einaudi, 1963.
2 Hans Sedlmayr, La rivoluzione dell’arte moderna, traduz. Mariangela Donà, Garzanti, Milano, 1961, p. 100.
3 Giulio Carlo Argan, L’Arte Moderna, 1770 – 1970, Sansoni, Firenze, 1970, p. 592.
4 Cfr. Georg Simmel, Ponte e porta (1909) Saggi di Estetica, a cura di A. Borsari e C. Bronzino, Archeo Libri, Bologna, 2011.
5 Paola Bacuzzi, Mark Rothko, in AAVV. Arte Contemporanea anni cinquanta, vol. I, Electa Milano e Gruppo Gedi, 2018, p. 110.
6 Benedetto Croce, Che cosa possa chiamarsi propriamente “poesia popolare ”(1929), in Poesia popolare e poesia d’arte, Laterza, Bari,l 1933, pp. 1-7.
7 Karoly Kereny, Gli Dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore Cde, Milano, 1963, pp. 39, 167, 393 – 400.
8 Maurizio Calvesi, Storia dell’Arte Contemporanea, Fabbri, Milano, 1985, pp. 252, sgg.
9 Angela Serafino, Cerchio Rosso, (da una lettera di Kandinskij), in L’Arte e le Arti, a cura di Paolo Pellegrino, Argo Lecce, 1996, p. 174.
10 Herbert Marcuse, Eros e Civiltà (1955), introduzione di Giovanni Jervins, Traduz. Lorenzo Bassi, Einaudi; Torino, 1964, pp. 96 – 144, 163 – 167.
11 G.C. Argan, op. cit. p. 438.
12 Paola Bacuzzi, Transavanguardia e Nuova Pittura, in Arte Contemporanea anni Ottanta, a cura di Elena Del Drago, vol. IV, Electa / Gedi, Milano, 2018, pp. 26- 27.
13 Elena Del Drago, Op. Cit. p. 44.
14 Eraclito, in Angelo Pasquinelli, I Presocratici frammenti e testimonianze, Einaudi, Torino, 1959, DK B 30.
15 Martin Heidegger, Introduzione alla Metafisica (1935), introduz. Gianni Vattimo, traduz. Giuseppe Masi, Mursia, Milano, 1968, p. 25.
16 Paola Bacuzzi, Espressionismo astratto, in Francesco Poli, Simona Bartolena, Arte Contemporanea, Op. Cit., pp. 86 -97.
17 Marco Meneguzzo, La Storia dell’Arte, L’Arte Contemporanea, vol. XVIII, Electa /Espresso, Milano 2006, p. 144.
18 Simona Bartolena, Alle Radici dell’Arte Contemporanea, in La Storia dell’Arte, L’Età dell’Impressionismo, vol. XV, Electa /Espresso, Milano 2006, p. 687, da cit. Paul Cezanne.
19 Henry H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), traduz. Vittorio Mathieu, Paravia, Torino, 1951, pp. 100 – 115.
20 Jan Paul Sartre, L’Immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni , traduz. E. Bonomi, Bompiani, Milano, 1962, pp. 9 – 129.
21 J. P. Sartre, L’Immaginario o immagine e coscienza , traduz,. E. Botasso, Einaudi, Torino, 1948, pp. 278 – 290.
22 Cfr. Baruch Spinoza, Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico (1665), traduz. G. Durante, Sansoni Firenze, 1963, pp. 8 – 69.
1 note · View note
italiaefriends · 5 years ago
Text
Italia&friends Comunica
"Natalia Goncharova"
di Riccardo Rescio
Una sconfinata storia di Arte e Amore, quella di Natalia Goncharova, la poliedrica, anticonformista, artista russa, pittrice, costumista, scenografa e stilista, performer prim’ancora che il termine fosse inventato, con uno straordinario senso dei colori, una irrefrenabile curiosità intellettuale e una grandissima vitalità. Natalia Goncharova è a buon titolo fra gli Artisti come Gauguin, Matisse e Picasso, che agli inizi del ‘900 sovvertirono i canoni delle Arti in tutta Europa da Parigi a Mosca. Una Donna di avanguardia che, delle avanguardie del primo novecento, fu massima esponente. La sua vita, la sua Arte il suo genio si mescola e si avviluppa a quella del pittore Mikhail Larionov, suo compagno di vita e d’Arte dal 1901 fino alla fine. Mikhail Larionov fu un Artista di prim’ordine del Futurismo Russo, il sodalizio di Arte e di Amore, tra Natalia e Mikhail è durato tutto una vita, un rapporto profondo, sublime, una coppia sicuramente aperta, ma salda, incredibilmente unita, che solo nel 1955 trasformarono in matrimonio, affinché chi dei due fosse sopravvissuto potesse gestire il lascito artistico di chi per primo se ne andava. Natalia Goncharova morì nel 1962, Mikhail Larionov, se ne andò due anni dopo di lei. Una ulteriore conferma che, i grandi amori si possono dire tali solo a consultivo, quando chi sopravvive, a breve raggiunge l’altro andato via per primo. Nel 1910 Natalia Goncharova fu processata e assolta a Mosca, per pornografia avendo esposto dipinti di nudo, 1913 si dipinse viso e corpo e se ne andò in giro per le strade della capitale moscovita, in una personale performance e tutto questo accadeva un secolo fa. Natalia Goncharova e Larionov lasciata l’amata Patria Russia nel 1915, non vi tornarono più e Parigi, senza tanti conformismi, divenne la loro casa. #laforzadelledonne #comunichiamoalmondolitalia #tuttoilbelloeilbuonoce #alcentrodellabellezza
“Natalia Goncharova tra Gauguin, Matisse e Picasso”, aperta fino al 12 gennaio 2020 alla Fondazione di Palazzo Strozzi e organizzata insieme alla Tate Modern di Londra dove ha esordito.
1 note · View note
foxpapa · 6 years ago
Photo
Tumblr media
di Egon Schiele
'Klimt e Schiele. Eros e Psiche'
È il titolo del film evento diretto da Michele Mally è dedicato agli uomini, non solo pittori, ma anche scrittori, scultori e musicisti, che a inizio Novecento hanno rotto con i loro padri artistici facendosi portatori di una nuova idea di arte, lontana dai canoni classici e da quello che veniva insegnato all’Accademia di Belle Arti di Vienna. Le opere scandalose di Gustav Klimt e Egon Schiele, le composizioni perverse di Strauss, l’idea di Freud di un essere umano per la prima volta irrazionale, sconvolgono la conservativa e cattolica Vienna, capitale dell’impero austroungarico. Lorenzo Richelmy ('Marco Polo', 'Ride') fa da voce narrante nel film prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo e in collaborazione di TIMVISION Production
7 notes · View notes
Text
Trenta anni fa la morte di Fellini. Mattarella: "Icona indelebile"
AGI – “Il nome di Federico Fellini evoca un’idea innovativa della cinematografia italiana, frutto del suo genio artistico che rappresenta un caposaldo del panorama culturale del Novecento. Il regista seppe coniugare realtà e immaginazione, quotidiano e inclinazioni oniriche, canoni sociali e crisi dei valori, realizzando trame uniche per singolarità di sceneggiatura, adattamento e ambientazione”.…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
ancheoggisidormedomani · 6 years ago
Photo
Tumblr media
Cercate libri di piccoli editori nella vostra città ma le poche librerie vi offrono solo quelle brutte edizioni mondadori con la copertina menomata? A Se una notte d'inverno un libro troverete tante chicche di editori più o meno sconosciuti, che si sono fatti apprezzare, negli anni, per proposte fuori dai canoni o la riscoperta di grandi autori del Novecento. www.seunanottedinvernounlibro.it #librirari #libro #libri #libreriaonline #libreria #book #books #bookstagram #seunanottedinvernounlibro #booklover #bookshop #bookpride #marcosymarcos #edizionieo #georgesperec #pablopicasso #margueriteduras #marinacvetaeva #augustomonterroso https://www.instagram.com/p/BpUyvNjnhmy/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=6espyyxclnby
3 notes · View notes