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Sfinge "La costola di Adamo", presentazione
Romanzo di Eugenia Codronchi Argeli pubblicato nel 1918 con lo pseudonimo “Sfinge” oggi edito da Fernandel nella collana “Le oblique” curata da Jessy Simonini, archivista, paleografo, studioso di letterature comparate e in particolare di letteratura delle donne, cui si deve l’interessante Introduzione al romanzo sicuramente precursore di temi moderni e ambientato nella Ravenna della Settimana…
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Gwen Verdon—Sexy AND scrungly! Just watch the Who's Got The Pain musical number- she scrungles! She really scrungles!
Fernandel (Le Schpountz, La Vache et le prisonnier)—The toothiest grin, a very silly scrungly guy who could just as well hit you in the feels unexpectedly, because Fernandel? He had *it* ! He could sing, and he could act, and he was hilarious. AND scrungly. The body language is just *chef's kiss* He died more than half a century ago, and he's still a household name; what can I say? De Gaulle said Fernandel was the only Frenchman more famous than himself in the world, which... maybe ;-)
This is round 1 of the contest. All other polls in this bracket can be found here. If you're confused on what a scrungle is, or any of the rules of the contest, click here.
[additional submitted propaganda + scrungly videos under the cut]
Gwen Verdon:
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"that's certainly an. um. a flirting technique. (i think we are all tab hunter here.)"
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Fernandel:
[editor's note: I'm monolingual so can't review what they're saying for content warnings. go forward with caution and enjoy.]
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“ Con un concerto di stoviglie e di pentole, e in sottofondo le canzoni della radio e le scoperte della piccola Nanette Vitamine nella trasmissione sponsorizzata dal cacao Banania, la mattina mi sveglio e scendo in cucina. È lui che trovo, intento a lavare i piatti della sera prima. Mi prepara la colazione. Mi accompagna a scuola. Cucinerà anche il pranzo. Nel pomeriggio spaccherà la legna in cortile o filerà in giardino con la vanga in spalla. Per me non cambia nulla, ai miei occhi è sempre lo stesso uomo, tranquillo, svagato, sia quando è impegnato a pelar patate facendosi volteggiare tra le dita le lunghe spirali delle bucce, sia quando affumica i «gendarmi» sulla brace e il fumo ci irrita gli occhi, o ancora quando mi insegna a fischiare mentre pianta i porri nell’orto. Una presenza costante, serena e affidabile. Rispetto agli operai del quartiere, ai commessi viaggiatori che trascorrevano tutta la giornata lontani da casa, avevo la sensazione che mio padre fosse sempre in vacanza, e a me stava più che bene. Quando le mie compagne si indispettivano perché era troppo freddo per giocare a campana in cortile io potevo starmene con lui dentro il bar a fare partite a domino o al gioco dei cavallini. In primavera gli faccio compagnia nell’orto, la sua passione. Lui mi insegna i nomi buffi delle verdure, la cipolla a tunica gialla di Vertus e la lattuga cappuccio bionda ballerina, io lo aiuto a tendere le corde sopra il terreno dissodato. Insieme facciamo merenda con salumi e ravanelli neri, e alla fine capovolgiamo il piatto per mangiarci una mela cotta. Di sabato lo guardo ammazzare il coniglio, svuotargli la vescica premendogli sul ventre ancora morbido, e poi scuoiarlo con il rumore secco che fa la stoffa vecchia quando si strappa. Papà-chioccia che accorre preoccupato se mi sbuccio un ginocchio, che mi va a comprare le medicine e che, per la varicella, la rosolia, la pertosse, passerà ore al mio capezzale leggendomi Piccole donne o giocando all’impiccato. Papà-bambino, «sei più scemo tu di lei», dice mia madre. Sempre pronto a portarmi alla fiera, a vedere i film di Fernandel, a fabbricarmi trampoli e a farmi sbellicare insegnandomi le espressioni popolari di prima della guerra, sacripante, culaccino, e altre che ho dimenticato. Papà indispensabile per portarmi a scuola e venirmi a prendere a pranzo e nel pomeriggio, in piedi accanto alla bici, un po’ in disparte rispetto alla folla di madri in attesa, l’orlo dei pantaloni stretto da una molletta. In pensiero al minimo ritardo. In seguito, quando sarò abbastanza grande per andare in giro da sola, lo troverò a sbirciare fuori dalla finestra aspettando il mio ritorno. Un padre già in là con gli anni, meravigliato di avere una figlia. Nella luce ocra dei ricordi, lo vedo attraversare il cortile, il capo chino per ripararsi dal sole, un cestino tra le braccia. Ho quattro anni, è lui che mi insegna a infilarmi il cappotto tenendo le maniche del maglione strette nel pugno per evitare che mi si arrotolino fino alle spalle. Sono tutte immagini di dolcezza e premura. Non ne so nulla di capifamiglia distaccati e solenni, la cui parola è legge, irascibili tiranni domestici, eroi di guerra o del lavoro: io sono la figlia di quell’uomo là. E di Edipo non so che farmene. “
Annie Ernaux, La donna gelata, traduzione di Lorenzo Flabbi, Roma, L'Orma editore (collana Kreuzville Aleph), 2021¹; pp. 17-19.
[1ª Edizione originale: La Femme gelée, Paris, Éditions Gallimard, 1981]
#Annie Ernaux#La donna gelata#letture#leggere#paternità#letteratura francese contemporanea#autobiografie#XX secolo#Annie Thérèse Blanche Ernaux#Annie Duchesne#femminismo#letteratura europea del '900#citazioni letterarie#scrittrici#libri#racconto di formazione#anticonformismo#genitori#bambini#famiglie non convenzionali#ricordi d'infanzia#Francia#lavoro#Premio Nobel per la Letteratura#famiglia#matrimonio#padri#romanzi autobiografici#monologo interiore#passato
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URU di Fabio Carbone
Una creatura misteriosa turba il sonno di Paolo. Si tratta di un essere presente in molte culture contadine, inquietante e dalle unghie ricurve. È un essere reale o la fantasia di Paolo. In URU di Fabio Carbone, l’autore ci svela una serie di misteri Folklore salentino URU di Fabio Carbone edito da Fernandel editore è una storia accattivante sui nostri timori, che intreccia la vita del protagonista alla tradizione popolare. Presente e passato avvolgono l’esistenza di Paolo in un contrasto sempre più evidente tra due mondi, quello della morente società contadina, e quello cinico in cui viviamo. Sullo sfondo di un Salento fatto di campagne abbandonate e invase dai rifiuti, incombe una strana morte, forse un omicidio, sul quale indaga la polizia, ma senza esito. La vita di Paolo è scandita da una presenza misteriosa, una creatura del folklore popolare che turba le sue notti con un angosciante ticchettio delle unghie sul pavimento per annunciare la sua presenza. Poi l’incontro sconcertante. Una notte Paolo si sente soffocare e, nella penombra della camera, gli sembra di vedere un’enorme bestia acquattata sul suo petto che lo scruta. L’incontro dura pochi istanti. La creatura balza via lasciando Paolo in preda all’angoscia e allo sgomento. E’ stata un’allucinazione? E’ una creatura vera come dicono i contadini? Fabio Carbone è nato nel 1986 e vive a Guagnano, in provincia di Lecce. Laureato in giornalismo, è un analista di contenuti radiotelevisivi. Tra il 2016 e il 2020 ha diretto la casa editrice Ofelia, da lui fondata, curando la pubblicazione di testi di narrativa di autori italiani, esordienti e non. Uru è il suo primo romanzo. URU di Fabio Carbone Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con l’autore che in questa bella intervista ci svela l’origine dell’uru, ci racconta qualcosa in più sulla trama del suo romanzo e ci parla di scrittura. La creatura misteriosa del suo romanzo è un personaggio del folklore salentino. Ci può raccontare come è nata l’idea di tormentare con questo spiritello il suo protagonista? I racconti sull'uru, che assume innumerevoli denominazioni diverse da paese a paese, sono molto presenti nella nostra tradizione popolare. Mi ha sempre incuriosito molto sentirne parlare non solo dagli anziani, ma anche da persone più giovani che riferivano dei loro incontri notturni con questa creatura. Mi affascinava, in particolare, la commistione tra realtà e fantasia che caratterizzava questi resoconti che spesso venivano riportati come fatti veri. Da lì è nata l'idea di calare questo elemento fantastico, legato al passato, in un contesto contemporaneo. Questo gioco letterario mi ha portato a ridefinire un po' l'aspetto e la natura dell'uru rispetto alla tradizione salentina, in cui questa creatura si presenta per lo più come un folletto dispettoso. Nel mio romanzo, pur mantenendo molte caratteristiche in comune con l'uru delle credenze popolari, su tutte la capacità di provocare paralisi del sonno e incubi, questa creatura assume dei tratti zoomorfi e ha un profondo legame con le sue “vittime”, rappresentando l'incarnazione delle loro inquietudini, dei loro timori e sensi di colpa. In URU c’è anche spazio per un omicidio. Possiamo considerare il suo romanzo un giallo a tutti gli effetti? Direi di no. Nel romanzo c'è un omicidio con relativa indagine da parte di un commissario, ma questo non è l'elemento centrale della trama, che è invece il percorso psicologico che il protagonista Paolo compie per mezzo dell'uru e che conduce il lettore a riannodare i fili del passato irrisolto del ragazzo. Scrivendo URU, non mi sono posto in un orizzonte di genere e farei fatica a dargli un'etichetta precisa in tal senso. Sicuramente ci sono elementi di fantastico e new weird, di noir più che di giallo e, per alcuni tratti, di grottesco. Spero di aver mescolato bene questi ingredienti. Con la sua storia lei ha deciso di raccontare due mondi in contrapposizione. Incuriosiamo un po’ in nostri lettori? Di che mondi si parla? Sullo sfondo della storia, sotterraneo e simbolico, si svolge un conflitto tra una società contadina, arcaica e morente, e la contemporanea società basata sul terziario avanzato, che ritiene di aver definitivamente superato e cancellato la cultura e le credenze del mondo che l'ha preceduta. La comparsa nella storia dell'uru, che è espressione delle credenze di quel mondo arcaico, rappresenta un cortocircuito che rimette in discussione le presunte certezze della contemporaneità, costringendola a fare i conti con un passato che si pensava archiviato e che si ripresenta invece come profondamente insoluto. Questo conflitto si riflette tanto sulle vicende personali del protagonista, quanto sulle vite degli altri personaggi, ingranaggi di un mondo che sembra essersi inceppato in un sistema economico che favorisce il cinismo e l'isolamento sociale. Lei è un giornalista e URU è il suo primo romanzo. Secondo lei l’abitudine alla scrittura giornalistica atrofizza un po’ l’impeto creativo necessario ai romanzi? Tutt'altro. Attualmente lavoro come analista di contenuti radiotelevisivi, ma all'università ho studiato scritture giornalistiche e ho avuto in passato qualche breve esperienza nella carta stampata. Il rapporto tra giornalismo e letteratura è da sempre molto stretto e proficuo, gli esempi di grandi giornalisti-scrittori (e viceversa) sarebbero innumerevoli. Credo piuttosto che dominare i diversi generi giornalistici, dall'articolo di cronaca al reportage, costituisca una ricchezza di strumenti che consentono a uno scrittore di essere maggiormente versatile e creativo. Certo, per stimolare la fantasia è comunque necessario che la pratica della scrittura sia accompagnata dalla lettura e da altre esperienze estetiche. Tirando le somme, le è piaciuta l’esperienza di scrittore di romanzi? Pensa di riprovarci con un nuovo libro? Per me è un'esperienza nuova e, almeno per il momento, molto piacevole. È la prima volta che mi trovo a condividere con un pubblico così ampio quello che scrivo e, dal confronto che ne sta scaturendo, spero di raccogliere spunti utili a perfezionare la mia scrittura. Finora la risposta dei lettori è stata positiva, non è mancato qualche appunto che mi ha stimolato a riflettere su alcune mie scelte stilistiche. Cerco sempre di accogliere le critiche quando sono ragionate e costruttive. Per il futuro, sicuramente mi piacerebbe proporre qualcosa di nuovo ma non ho fretta, mi prenderò il tempo che sarà necessario. Read the full article
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"Il libraio innamorato" di Gianluca Morozzi – Fernandel Editore
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19 apr 2021 09:45
QUALE È IL LIBRO ITALIANO PIÙ TRADOTTO AL MONDO? SE STATE PENSANDO A DANTE LA RISPOSTA È SBAGLIATA. IL PRIMATO È DI “PINOCCHIO” DI CARLO COLLODI CHE È DISPONIBILE IN ALMENO 260 LINGUE, DALL'ARMENO AL TAIWANESE, PIÙ UNA CHE IN REALTÀ È UN DIALETTO (IL MILANESE) - SUBITO DOPO C'E' IL PRIMO ROMANZO DELLA SERIE DI "DON CAMILLO" DI GIOVANNINO GUARESCHI CON 59 TRADUZIONI. TERZO GRADINO PER "IL NOME DELLA ROSA" DI UMBERTO ECO CON…
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Luigi Mascheroni per "www.ilgiornale.it"
Pinocchio's Adventures in Wonderland. Pinocchios äfventyr. Pinokkio. Pinocchiova dobrodruzstvi. Pinukyu. Thang nguòi gô. Phajonphai dek dong. Mu ou qi yun ji. L'avventuri ta' Pinokkjo... Come si dice Pinocchio in tutte le lingue del mondo? Inglese, svedese, ceco, arabo-egiziano, vietnamita, cinese, maltese...
La domanda se la sono posti in molti, molte volte. Chi è lo scrittore italiano più tradotto nel mondo? La prima risposta - Dante - è sempre sbagliata. E così, un anno fa Sergio Malavasi, il Richelieu della bibliofilia, libraio antiquario d'eccellenza e motore umano di maremagnum.com (il sito più avanzato dove cercare libri antichi, moderni, fuori catalogo e introvabili), ha provato a risolvere la questione. E grazie all'aiuto della giovane ricercatrice, Noemi Veneziani, la quale per mesi ha scandagliato la Rete, gli archivi e le Fondazioni degli scrittori, oggi ha finalmente in mano il responso, di carta ça va sans dire.
Eccolo qua: un piccolo ma eccezionale repertorio (che esce sotto la sigla MareMagnum in poche copie per collezionisti, ma scaricabile gratuitamente in pdf sul sito) dal titolo Quale è il libro italiano più tradotto al mondo? Risposta (e bisogna credere a quel bugiardo di burattino): Pinocchio. Numero totale di lingue in cui è tradotto: 260, dall'armeno al taiwanese, più una che in realtà è un dialetto. Il milanese. Fanno 261 (compresi catalano e basco, o afrikaans ed esperanto...).
Bene. Ma come si è arrivati alla classifica finale?
La prima selezione, l'ha fatta lo stesso Malavasi. Attraverso WorldCat.org, un sito che raccoglie dati dalle biblioteche nazionali di tutto il mondo e che dà l'opportunità di scegliere per titolo e autore tra le 31 lingue più diffuse sul pianeta, ha individuato gli italiani più presenti come numero di edizioni. E scordatevi i Dante-Petrarca-Boccaccio, Ariosto-Machiavelli-Tasso, Foscolo-Leopardi-Manzoni. Il risultato, ovviamente, è molto più popolare. Questo: il Pinocchio di Carlo Collodi, di cui si è detto. Subito dopo viene il primo romanzo della serie di Don Camillo di Giovannino Guareschi con 59 traduzioni. E, sul terzo gradino del podio editoriale, Il nome della rosa di Umberto Eco, romanzo di cui si contano (per ora) 51 versioni.
Nota al testo: WorldCat.org è un luogo in cui si fanno scoperte sorprendenti, tipo che Le mie prigioni di Silvio Pellico conta 31 traduzioni, anche in turco...
Comunque... Il primato quindi va a Pinocchio? Forse. Perché, come è facile immaginare, qui si contano solo le traduzioni ufficiali. Invece, come fa notare Guido Conti nella sua biografia di Guareschi uscita per Rizzoli nel 2008, è difficile quantificare le edizioni di Don Camillo in lingue particolari (si pensi ai mille dialetti africani o asiatici), eseguite normalmente da missionari in giro per il mondo su permesso a titolo gratuito dello stesso Giovannino. Senza tenere conto di un altro criterio di valutazione per quanto riguarda la popolarità di un autore. Se il libro più tradotto, dalle terre australi all'Islanda, è Pinocchio, l'autore, contando l'opera complessiva, e considerando l'intera saga di Don Camillo, è quasi sicuramente Guareschi.
Per il resto, il lavoro curato da Noemi Veneziani offre molti dati, informazioni, stravaganze. Metà delle pagine del libro sono occupate dall'elenco di tutte le edizioni straniere delle tre opere, in ordine cronologico, divise per Paese, con titolo, nome del traduttore, editore e anno di pubblicazione (tipo: Hippeltitsch's Abenteuer Geschichte eines Holzbuben, trad. G.A. Gugen Andrae, Carl Siwinna, Kattowitz, 1905; e stiamo parlando di un'edizione polacca di Pinocchio con illustrazioni di E. Chioftri...).
Ad esempio: proprio nel caso di Pinocchio occorre tenere presente che le edizioni straniere, anche perché è il testo più «antico» fra i tre, sono molto più preziose dal punto di vista bibliofilo, e quindi di maggior valore economico. Poi resta il nodo da sciogliere delle cosiddette «pinocchiate», diffusissime, ossia le versioni alternative della storia rispetto al testo classico. Vale a dire: narrazioni che hanno come protagonista il burattino, ma cambiano ambientazione, personaggi di contorno e avventure. Come Il compagno Pinocchio di Aleksej Nicolaevic Tolstoj, del 1936: è una traduzione, una riscrittura o un romanzo autonomo?
Per quanto riguarda invece l'immenso «Mondo piccolo» di Guareschi, va considerato che la popolarità di Don Camillo fu di certo amplificata dai film - intramontabili - con Fernandel e Gino Cervi (come in qualche modo Pinocchio deve parecchio al celebre cartoon della Disney del 1940). E Le petit monde de don Camillo decuplicò vendite e diffusione.
Una forma di crossmedialità ante web molto efficace. In ambito doncamillesco va poi notato che: 1) negli Stati Uniti, dove il libro uscì nel 1950 dalla casa editrice Pellegrini&Cudahy - moglie americana e marito piacentino - il successo fu tale che, grazie anche ai numerosi «Club del libro» specializzati nella vendita per corrispondenza, le vendite arrivarono in un attimo a toccare le 250mila copie; 2) durante la Guerra fredda, nella versione statunitense la figura di don Camillo fu ulteriormente santificata mentre quella del comunista Peppone resa - diciamo così - più burbera... 3) d'altro canto il libro, vietato da Mosca, conobbe innumerevoli traduzioni clandestine messe poi segretamente in circolazione in tutti i Paesi satellite dell'Urss, dove apparvero «don camilli» in estone, lituano, ungherese, ucraino... Guareschi ecumenico.
E per quanto attiene invece a Il nome della rosa, la fenomenologia editoriale è nota: da bestseller a longseller, il film-thriller di Jean-Jacques Annaud nel 1986, edizioni in una cinquantina di Paesi (il primo Paese a tradurre il libro fu la Polonia, nello stesso 1980, titolo: Imie rózy), versioni in vietnamita con in copertina i volti di Connery e Christian Slater, alla fine oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo, di cui 7 milioni in Italia, con tanto di miniserie tv Rai nel 2019 con John Turturro e Rupert Everett...
Postilla: lo stesso Umberto Eco una volta intravide una misteriosa edizione pirata in arabo del suo libro al Cairo. S'intitolava Sesso in convento. O qualcosa del genere.
PS L'editore MareMagnum invita i lettori a segnalare integrazioni e correzioni a [email protected]. Qualche traduzione è certamente sfuggita. Si vince una copia del volumetto.
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"L'abbandonatrice" di Stefano Bonazzi, Fernandel editore. A cura di Sophie Sarti
“L’abbandonatrice” di Stefano Bonazzi, Fernandel editore. A cura di Sophie Sarti
Credo che la malinconia sia un problema musicale, una dissonanza, un ritmo alterato. Mentre fuori tutto accade con un vertiginoso ritmo da cascata, dentro c’è una lentezza esausta da goccia d’acqua che cade di tanto in tanto. Ecco perché quel fuori contemplato dal dentro melanconico risulta assurdo e irreale e costituisce la farsa che tutti dobbiamo rappresentare.
Alejandra Pizarnik
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Gianluca Barbera: sono un prodigio di contraddizioni. Ma almeno non ho i debiti di Balzac…
Parla rapido, ha una stazza rapace e le scarpe da ginnastica. Zazzera bianca, viso squadrato, Gianluca Barbera pare, più che altro, un corsaro. Una specie di Melville, una creatura melvilliana, di quei vagabondi con la fuga mundi crocefissa sul braccio e Platone e i Vangeli nella sacca. Sapiente bonario fino alla scontrosità, con la stessa sincronia di un racconto di Borges – pare sempre in un altro tempo – Barbera conosce a menadito i meccanismi della comunicazione. In un paio di giorni saprebbe partorire un bestseller dal successo planetario. Ma è uno serio, lui, se ne sbatte e va per la sua via. Editore per far quattrini – la soglia giusta, che gli permetta di scrivere quel che gli pare – Barbera è stato dentro Sironi, con Giulio Mozzi, ha diretto una casa editrice con il suo nome, che faceva un mucchio di libri – dai ‘classici’ ritradotti alle biografie dei cantautori – e che l’ha fatto diventare matto. Ora fa l’eccentrico gourmet della letteratura. Una casa editrice propria, Melville – appunto – che fa pochissimi libri per palati fini (leggetevi La bellezza che resta di Francesco Coscia e Rimbaud a Giava di Jamie James), e la direzione editoriale di Theoria, dove recupera grandi libri per gusti eccelsi (chessò, L’inferno di Henri Barbusse, Piccoli borghesi di Drieu La Rochelle, i racconti di Irène Némirovsky). Eppure, per lo più, Barbera ha il tic dello scrittore, la fame, le Baccanti nel petto che lo dilaniano con morso permanente. Finita la didascalia, abbiamo contattato Barbera. Perché uno come lui, fuori dai giochi e fuori di testa, può dirci qualcosa di vero – cioè, scevro dal consueto tango dei leccaculo – sulla letteratura.
Intanto. Perché ti sei messo a fare l’editore?
“Perché era la cosa più affine a ciò che mi sentivo di essere, uno scrittore, e a ciò che mi piaceva fare: scrivere, leggere, occuparmi di libri. Dopo la laurea, la sola idea di trovarmi un lavoro qualsiasi mi appariva deprimente, addirittura insopportabile; perciò ho pensato che il modo migliore per tenermi occupato con qualcosa che non somigliasse a un lavoro fosse quello di dedicarmi alle mie uniche passioni: lettura e scrittura. Così facendo, pensavo, non avrei lavorato un solo giorno. Fare ciò che piace equivale a non lavorare, almeno secondo il concetto che comunemente si ha del lavoro. Ma non posso dire di avere mai avuto un interesse genuino per la professione di editore. Se ho incominciato a farlo è stato principalmente per guadagnarmi da vivere. Meglio quel mestiere di altri. Siccome ero bravo a scrivere, ho pensato che facendo l’editore quella capacità mi sarebbe tornata utile. E infatti negli anni ho scritto o curato diversi libri sotto pseudonimo per la mia casa editrice, per garantirle dei “prodotti” a costo zero. Poi qualcuno l’ho pubblicato con il mio nome. Il dittatore utopista, per esempio. O Come lo Stato truffa i giovani col sistema pensionistico. Ma la cosa fu possibile solo grazie a una serie coincidenze: un volo preso all’ultimo e il materializzarsi alla fiera del libro di Francoforte del 2005 di un finanziatore.
Che senso ha fare l’editore, oggi?
“Non so se io sia la persona giusta per dirlo. Una cosa è certa: non lo si fa per guadagnare. Io ci ho campato. Niente di più. Molti perdono denaro. Devo dire però che ora, con Melville Edizioni, un po’ di passione mi è venuta. Perché non sono più costretto a pubblicare libri con l’affanno di far quadrare i conti. Stampo pochi volumi l’anno e solo ciò che mi interessa. Nei panni di direttore editoriale di Theoria invece mi occupo solo del lato creativo e intellettuale del lavoro di editore. Al massimo, se i conti non tornano, mi cacciano. Non rischio di trovarmi con un mare di debiti come accadde a Balzac e a Dostoevskij, che dovettero riparare all’estero per sfuggire ai creditori. Comunque, se guardo le cose dalla prospettiva degli autori, devo dire che la situazione è desolante. Molte case editrici si concentrano solo sulle mode e scelgono libri incomprensibili, tali da scoraggiare la lettura piuttosto che favorirla (lamentava la cosa di recente anche Filippo La Porta). Robetta leggera e senza costrutto, priva di valore letterario, scritta da autori che sono sullo stesso livello dei lettori, dove ogni gerarchia è abolita, con tutto ciò che ne consegue. Queste case editrici sono convinte, così facendo, di andare incontro alle richieste del pubblico; ma si sbagliano. Tutto ciò che ottengono è di svalutare la letteratura, riducendola a una cosa di scarso interesse e avvilendo i pochi lettori rimasti. Se uno deve pubblicare robetta, alimentando la pigrizia dei lettori, è meglio che faccia altro. Se manca la qualità letteraria, che altro resta? Oggigiorno sono disponibili forme di intrattenimento assai più stimolanti dei romanzi. Leggere narrativa ha ancora senso solo se si tratta di opere potenti e di qualità altissima. Altrimenti meglio il cinema, il computer, la rete, i social, gli amici, i viaggi, il cibo, il vino, lo sport. O meglio leggere saggi. Su quel terreno c’è meno concorrenza. Un documentario non prenderà mai il posto di un saggio filosofico. Ma un film può sostituirsi facilmente a un romanzo, se questo non è di grande levatura. Spesso il tempo speso sui social risulta più stimolante di quello dedicato alla lettura di un romanzo. Certo, se uno legge Musil, Proust, Kafka, o Cèline, non c’è film o social o cena con gli amici che regga il confronto”.
Tu, comunque, hai il passo potente del narratore. Ti sei messo a fare il segugio di Gheddafi e a scrivere di Anna Frank. Scrittore mercenario?
“Per necessità. Scrivo si può dire da sempre. Ho iniziato a farlo professionalmente sul Resto del Carlino durante gli anni universitari e a pubblicare racconti su storiche riviste come Fernandel, Maltese, ‘tina, all’inizio del Duemila. È una quindicina d’anni che, bene o male, vivo di scrittura (mia o altrui). La biografia di Gheddafi, per esempio, l’ho scritta per sfida. Erano i mesi della rivolta in Libia. L’argomento era caldo. Serviva un istant-book. Mi sono detto: ora scrivo una biografia su Gheddafi (argomento riguardo al quale avevo all’attivo diverse letture e conoscenze più o meno dirette). Vuoi vedere che faccio fare un po’ di soldi alla casa editrice e ottengo degli inviti in Tv? È puntualmente accaduto. Di quel libro ho venduto quasi tremila copie e sono stato ospite di svariate trasmissioni televisive. Senza contare le numerose interviste radiofoniche. Storia di Anna Frank invece l’ho scritto su commissione. Scrivendo quel libro ho provato momenti di commozione che non mi sarei aspettato da una persona razionale come me”.
Poi tiri fuori romanzi come “Finis mundi” e “La truffa come una delle belle arti”, del tutto eccentrici dal ‘canone’. Cosa leggi? Cosa cerchi nella letteratura? Esiste ancora una letteratura italiana contemporanea, o gli scrittori sono totalmente sputtanati dal post-postmoderno?
“La stesura di Finis mundi (romanzo sulla ricerca di dio, della verità ultima) ha coinciso con il mio ritorno alla narrativa, dopo quasi dieci anni di lontananza. Nei primi anni duemila, come dicevo, pubblicavo racconti sulle migliori riviste. Ma non ne ero soddisfatto. Sentivo che avevo ancora bisogno di studiare.
Ecco a voi Gianluca Barbera
I miei modelli erano Borges, Musil, GombroWicz, Pasolini. Capirai. Non certo Carver, Fante, Bukowski, Salinger (autori che pure apprezzo). Perciò ho staccato e mi sono messo di nuovo a studiare. Poi un giorno ho detto: ora sono pronto a riprendere. E nel 2013 ho scritto Finis mundi. Perché a quel punto nella mia scrittura era entrata prepotentemente la filosofia, per non uscirne più. Lo stesso è stato con La truffa come una delle belle arti (romanzo che procede alla ricerca dell’uomo), tra i dodici finalisti al premio Neri Pozza (da inedito), finalista al Premio Chianti e al Premio Città di Como (da edito). Lì alla filosofia ho aggiunto il mito, un’affabulazione che ha pochi eguali oggi. Ma sono stimolato anche da chi segue strade diverse. Sono tutto il contrario del dogmatico. Se scrivessimo tutti le stesse cose e alla stessa maniera sarebbe la fine. Leggo molta filosofia e saggistica scientifica e storica. Pochi romanzi. Per lo più mi annoiano. Nella letteratura cerco bellezza e intelligenza. E poi idee, suggestioni, densità di pensiero, emozioni, vite alternative, qualcosa che mi faccia sentire vivo, che mi inchiodi alle pagine; non risposte: quelle si trovano solo nella filosofia, nella scienza, e nell’esperienza individuale, nel proprio rapporto col mondo. Il romanzo si situa nelle zone d’ombre, vive e si nutre di ambiguità, moltiplicando le domande, non certo fornendo risposte. Abitando la filosofia posso dire di avere risolto molti dei miei conflitti interiori. Ecco perché sono uno scrittore da conflitti esteriori. Ma attenzione: non si scambi l’interiorità con la profondità e la complessità. Il Kafka narratore fu scrittore tutto esteriore (altra cosa i Diari o Lettera al padre). Eppure che eleganza e che complessità. Spesso i fatti rivelano più delle introspezioni. Si vedano Hemingway, Carver, Salinger. E poi, per dirla con Foucault: ‘Le differenze proliferano in superficie, svaniscono in profondità’”.
Insomma, cosa resta da raccontare, oggi?
“Tutto. Ogni generazione ricomincia da capo. Per lo più si racconta il proprio tempo. Certo, oggi ci sono i social, dove le persone ostentano quotidianamente il proprio vissuto. Ma dov’è l’arte? Dove la bellezza? Dove la verità? Se mia moglie se ne stesse tutto il giorno a spiattellare le sue cose su Facebook credo che la pianterei. È una cosa talmente di pessimo gusto! Ma per tornare al mio lavoro di scrittore, ho deciso per qualche anno di tuffarmi nel passato, alla ricerca del mito, di ciò che perdura. Ho appena finito un nuovo romanzo potentissimo, un libro che credo possa fare la fortuna di un editore e che ho scritto anche per il cinema o per la Tv. Una grande storia. Una grande scrittura. Il mito al centro. È il primo di una trilogia ideale che completerò nei prossimi anni con altri due romanzi. Ancora non l’ho fatto girare, avendolo appena terminato. Lo sto rivedendo. Però è una strada mia. Non va seguita. Ognuno deve trovare il suo percorso. C’è ancora molto da raccontare e ce ne sarà sempre. Ogni autore deve parlare del suo tempo secondo forme e modi che rendano quel suo raccontare immortale o comunque duraturo. Forse esagero. Forse niente sarà più eterno. Quel sogno si è perso. Forse fra un secolo nemmeno di Dante o Shakespeare ci si ricorderà più. Ma, se qualcuno mi chiede perché scrivo, io rispondo: per restare. Quest’anno comunque ho letto anche qualche buon libro italiano: Works di Vitaliano Trevisan, Tabù di Giordano Tedoldi, un libro di Andrea Caterini, ancora inedito (l’ha appena ultimato). Diverse cose di Andrea Carraro. E sto leggendo per recensirlo Libro dei fulmini, di Matteo Trevisani, libro di stupefacente bellezza”.
Qual è il libro più bello che hai pubblicato? E quello che avresti voluto pubblicare?
“Angeli sulla punta di uno spillo, del russo Yuri Druznikov è il libro migliore che ho pubblicato. Avrei invece voluto essere l’editore di Viaggio al termine della notte di Cèline. O di Sommario di decomposizione di Cioran. O dei Vangeli; della Bibbia”.
Esiste un libro che ti ha cambiato la vita?
“Solo i libri che ti cambiano la vita vale la pena, non dico di leggere, ma di rileggere. Questi, in ordine sparso, sono alcuni dei libri che hanno inciso sulla mia formazione: oltre ai due che ho citato poc’anzi, i poemi di Omero, la Metafisica di Aristotele, i Dialoghi platonici, Delle origini di Eraclito, le Storie di Erodoto, i Commentari di Cesare, il Vangelo di Marco, il Manuale di Epitteto, Dialoghi filosofici di Seneca, le Metamorfosi di Ovidio, la Commedia di Dante, il Decamerone di Boccaccio, Il principe di Machiavelli, l’Etica di Spinoza, Don Chisciotte di Cervantes, Candido di Voltaire, Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, Fenomenologia dello spirito di Hegel, I fiori del male di Baudelaire, L’uomo senza qualità di Musil, il Tractatus di Wittgenstein, Nietzsche di Heidegger, Finzioni di Borges; e poi Conrad, Poe, Kafka, Orwell, Joyce, Svevo, Calvino, Fenoglio, Pomilio, Pasolini, Kundera. Tutti questi libri e questi autori (e altri che qui ho dimenticato) hanno giocato un ruolo decisivo nella mia vita. L’arte dell’ironia però l’ho appresa da Noam Chomsky”.
Ma… esiste ancora la ‘cultura’ in Italia o è tutto un tango con il nulla? Tu, come agisci, reagisci, mordi?
“Ogni epoca ha la sua impronta. Inutile combattere contro i mulini a vento della Storia. Ogni cosa può essere volta in opportunità. Comunque, non uso mai la parola ‘cultura’. Termine che è di recente conio e che risulta buono per tutte le stagioni. È cultura, ci vogliono far credere, pure andare alla sagra della piadina. Cultura eno-gastronomica, dicono. In Toscana, dove vivo, quando parlano di cultura si finisce sempre a tavola a mangiare e bere. A me interessano il sapere, la conoscenza, la ricerca della verità, per quanto pomposa questa parola possa apparire oggigiorno, per quanto possa far sorridere o tremare le ginocchia. Ridere di essa è solo un atteggiamento, una moda: anche questa passerà. Seneca insegna che non importa quanto si sa, ma sapere ciò che importa. Attenzione però a non tramutarsi in dogmatici. È il rischio che si corre quando si maneggia la verità. Al riguardo Cioran avvertiva: ‘In ogni uomo sonnecchia un profeta e quando si risveglia c’è un po’ più di male nel mondo (…) Chi ama indebitamente un dio costringe gli altri ad amarlo, pronto a sterminarli se si rifiutano’. Cos’è la verità? Ciò che è incontrovertibile, ciò che cambia radicalmente il tuo sguardo, la tua esistenza; è risposta ultima: significa che dopo non ce ne sarà un’altra; insomma, qualcosa di definitivo, e dunque anche di terribile. Per esempio, Dio per un cristiano. Lo scetticismo per uno scettico (‘l’unica verità è che non c’è alcuna verità’). E così via. Vedi, io dico quasi sempre quello che penso, senza curarmi troppo delle conseguenze. Non so quanto mi giovi. Credo ben poco. Ma non posso farne a meno. Deve essere scritto nel mio codice genetico. Ma anche qui: attenzione a non tramutarsi in Alceste, il celebre misantropo di Molière, che per troppa verità finisce per non riuscire più a vivere in mezzo agli altri. Molto meglio allora il buon senso del suo amico Filinte, capace di trovare il giusto compromesso tra verità e menzogna; e di lì un equilibrio. Insomma, mai preoccuparsi delle contraddizioni. Io, lo si evince anche da questa intervista, sono un prodigio di contraddizioni; che però ho saputo mettere in equilibrio. Ma tutto in fondo si regge su opposizioni, contrasti, contraddizioni. Solo così il mondo sta in piedi; è così che la storia procede, per contrasti e superamenti”.
Tu hai un taglio perennemente ‘filosofico’. Esistono ancora i filosofi in Italia?
“E come si può non averlo? Tutti i grandi scrittori ce l’hanno avuto. La filosofia ha sempre funto da propellente per i narratori. Se oggi non accade è solo per l’insipienza dilagante. Non ho mai amato la cultura di massa. Ma serve anche quella. Tutto serve. Una cosa e il suo opposto. Dal mio punto di vista, il sapere è qualcosa di elitario. Mi spiace, vorrei che non fosse così. Ma che ci possa fare? È chi sta in basso a doversi innalzare, non viceversa. Oggi accade il contrario, specie a causa della rete. Se esistono ancora i filosofi? Più che mai! A riprova di ciò, ti segnalo che a gennaio uscirà per Mimesis un mio libro intitolato: Idee viventi. Il pensiero filosofico in Italia oggi. Ancora oggi il modo migliore per inquadrare i fenomeni della contemporaneità secondo me resta sempre quello di rivolgersi a loro, far parlare i filosofi. Ma chi lo fa? Nei media (specie in Tv) imperversano gli economisti, gente che non capisce nulla, che sta mani e piedi dentro il sistema e non può avere uno sguardo critico radicale, innovativo, di rottura. I filosofi, se interpellati, sono spesso gli unici a dire cose interessanti, gli unici in grado di farti vedere le cose in modo nuovo e razionale. I narratori molto meno. I narratori lavorano con l’immaginazione. A loro la verità non interessa gran che. E del resto che cosa è un romanzo se non un mucchio di fandonie, di invenzioni spacciate per verità? Alla bellezza preferisco la verità. Secondo me le due cose di rado vanno insieme. Ma quando accade: ecco la magia suprema. Il vero attraverso il bello, per dirla con Todorov”.
Scrittore e potere. Che ruolo dovrebbe avere lo scrittore nei confronti della Storia? Narrarla, sbattersene, costruire una ‘altra Storia’?
“Oggi gli scrittori hanno zero potere, nessuna capacità di incidere sulla realtà. E la colpa è loro. Quando vanno in Tv rimediano magre figure. In pubblico di rado risultano convincenti o interessanti. Lo stesso vale per ciò che scrivono. In fondo, tutto si è ridotto a un’industria, fatta di profitti e perdite. Per dirla tutta, molti non sono all’altezza. Mancano di sapere, di onestà intellettuale, di razionalità. Non tutti, è chiaro: c’è ancora qualche genio in circolazione. Ma non faccio nomi. Quanto è ridicolo tutto questo proliferare di ispettori (in pantaloni o in gonnella) e di romanzetti gialli! Almeno prendessero a modello Chandler o Simenon! Non capisco come faccia la gente a leggerseli ancora. Comunque, non capisco nemmeno quella parte di critici e di scrittori (pur di spessore) che non fanno che sentenziare la fine di questa o quella forma di romanzo cercando di imporre la loro visione. Assurdo. Uno grida: il romanzo tradizionale è morto! Poi arrivo io con il mio nuovo romanzo e lo metto a tacere. Quando un amico fece osservare allo scrittore Samuel Johnson che la dottrina di Berkeley – secondo il quale il mondo esisteva solo nella sua mente – non poteva essere smentita, egli diede un calcio a una pietra e tenendosi il piede per il dolore disse: ‘Ecco come la confuto!’. Cioè a dire: tutto quello che proclamiamo finisce inevitabilmente per cozzare con la realtà, che sa essere piuttosto dura, quando ci si sbatte contro”.
In fondo, perché si scrive?
“Citerò le ragioni che adduceva Orwell in un saggio intitolato Perché scrivo; esse mi paiono ancora valide: 1) puro egoismo (desiderio di apparire intelligenti, di essere ammirati, di essere ricordati dopo la morte, motivi di rivalsa a causa di torti subiti durante l’infanzia o da adulti ecc.); entusiasmo estetico; impulso storico; fini politici. In me sono presenti tutte queste ragioni, ma le prime due sono preponderanti. Se vuoi le approfondirò punto per punto in un prossimo articolo per Pangea”. Pare una minaccia… e siamo fieri di coglierla.
Federico Scardanelli
L'articolo Gianluca Barbera: sono un prodigio di contraddizioni. Ma almeno non ho i debiti di Balzac… proviene da Pangea.
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“A Franco sarebbe piaciuto” – Letture d’estate, è il titolo della rassegna dedicata al giornalista Franco De Pace, scomparso nel 1998, organizzata dalla libreria “I Volatori”, con il coordinamento di Loredana Giliberto, in collaborazione con il B&B “Antica Dimora”, il bar Caffè Teatro “Il Melograno”, Musicaos Editore.
Un’estate di letture e incontri con gli autori, a Nardò, dal 14 luglio al 18 agosto 2017. “A Franco sarebbe piaciuto” (edizione 2017), è la rassegna dedicata agli autori e ai lettori. Sei incontri, sei scrittori che presenteranno i loro romanzi, tra esordi e conferme d’autore: Antonio Rocco Corvaglia, Antonella Caputo, Luigi Pisanelli, Omar Di Monopoli, Alessandro Bozzi, Livio Romano.
Gli appuntamenti, tutti con orario di inizio alle ore 21.00, si terranno a luglio presso il B&B “Antica Dimora”, e, nel mese di agosto, presso il bar “Il Melograno” – Caffè Teatro.
Primo appuntamento venerdì 14 Luglio 2017, alle ore 21.00, presso il B&B “Antica Dimora” (Nardò, Via Pellettieri 10), Loredana Giliberto dialogherà con Antonio Rocco Corvaglia, autore de “L’amore è un’altra cosa”. A seguire tutti gli altri appuntamenti, previsti fino al 18 agosto 2017. Venerdì 21 luglio alle 21.00, sarà la volta di Antonella Caputo, che con Loredana Giliberto presenterà il suo romanzo d’esordio “Senza biglietto di ritorno” (Italic Pequod). Venerdì 28 Luglio (ore 21.00), Luigi Pisanelli presenterà, con l’editore Luciano Pagano, “Tornerà la lepre a Buna”. Gli appuntamenti proseguono, in agosto, presso il bar “Il Melograno – Caffè Teatro”.
Sabato 5 Agosto 2017, alle ore 21.00, Omar Di Monopoli, autore del romanzo “Nella perfida terra di Dio” (Adelphi), dialogherà con lo scrittore Livio Romano. L’11 agosto 2017, alle ore 21.00, Alessandro Bozzi presenterà il suo romanzo giallo “La libertà danza tra gli ulivi”, dialogando con Luciano Pagano. La rassegna si concluderà venerdì 18 agosto, alle ore 21.00, con il romanzo “Per troppa luce”, di Livio Romano, edito di recente da edizioni Fernandel, l’autore ne parlerà assieme allo scrittore Giuseppe Alemanno.
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Il programma completo:
Venerdì 14 Luglio 2017 – Ore 21.00
“L’amore è un’altra cosa” (Musicaos Editore) di Antonio Rocco Corvaglia
dialoga con l’autore: Loredana Giliberto
presso B&B “Antica Dimora” (via Pellettieri 10 – Nardò)
Venerdì 21 Luglio 2017 – Ore 21.00
“Senza biglietto di ritorno” (Italic Pequod) di Antonella Caputo
dialoga con l’autrice: Loredana Giliberto presso B&B “Antica Dimora” (via Pellettieri 10 – Nardò)
Venerdì 28 Luglio 2017 – Ore 21.00
“Tornerà la lepre a Buna” (Musicaos Editore) di Luigi Pisanelli
dialoga con l’autore: Luciano Pagano presso B&B “Antica Dimora” (via Pellettieri 10 – Nardò)
Sabato 5 Agosto 2017 – Ore 21.00
“Nella perfida terra di Dio” (Adelphi) Omar Di Monopoli
dialoga con l’autore: Livio Romano
presso “Il Melograno” – Caffè Teatro (via Pellettieri 22 – Nardò)
Venerdì 11 Agosto 2017 – Ore 21.00
“La libertà danza tra gli ulivi” (Musicaos Editore) di Alessandro Bozzi
dialoga con l’autore: Luciano Pagano
presso “Il Melograno” – Caffè Teatro (via Pellettieri 22 – Nardò)
Venerdì 18 Agosto 2017 – Ore 21.00
“Per troppa luce” (Fernandel) di Livio Romano
dialoga con l’autore: Giuseppe Alemanno
presso “Il Melograno” – Caffè Teatro (via Pellettieri 22 – Nardò)
La rassegna dedicata a Franco De Pace, “A Franco sarebbe piaciuto” – Letture d’estate, a Nardò
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Gianluca Morozzi "La morte a colori", presentazione
FERNANDEL La sinossi Felice Venturi ha un dono. Lo ha ereditato dalla madre. Lo chiama: la morte a colori. Toccando un moribondo gli trasmette l’illusione di un lungo, radioso futuro, una dimensione splendida in cui tutti i suoi desideri si realizzano, mentre i pochi minuti di vita che gli restano diventano anni, decenni, come nel tempo dilatato dei sogni. Meglio una realtà breve e orribile o…
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Coi Denti e con il cuore (ma anche un po' di strizza).
Coi Denti e con il cuore (ma anche un po’ di strizza).
Stasera si esordisce. Di nuovo. Ma un po’ più in grande. Stasera vede la luce un progetto piccolo, ma bello. Molto bello. Stasera va in scena Denti, antologia di racconti curata dall’immarcescibile Gianluca Morozzi, pubblicata da Fernandel Editore, resa possibile dai ragazzi dell’associazione Canto 31. Stasera, al Fun Cool Oh (sì, si pronuncia proprio così), in centro a Bologna, undici scrittori…
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Iacopo Gardelli "L'Alsìr. Romanzo balneare", Fernandel Editore
In libreria dal 24 marzo Pagine 220, prezzo 15 euro Fernandel Editore «In spiaggia è impossibile perdersi: ci si perde in pineta, si scompare nel mare, ma in spiaggia si vede sempre tutto, la spiaggia è un posto dove ci si vede». L’Alsìr è uno stabilimento balneare della riviera romagnola. È qui che, a partire dagli anni Novanta, due famiglie di diversa estrazione sociale si ritrovano…
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Fabio Carbone "Uru", Fernandel Editore
Fernandel Editore Una creatura misteriosa turba il sonno di Paolo, gettandolo nell’angoscia. La sente muoversi lungo il perimetro della stanza, picchiettando il pavimento con le sue unghie ricurve. Finché una notte, svegliandosi con la sensazione di soffocare, nella penombra della camera distingue le sembianze di una grossa bestia accovacciata sul suo petto, intenta a scrutarlo. L’incontro dura…
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Gianluca Morozzi "Il libraio innamorato", Fernandel Editore
Gianluca Morozzi “Il libraio innamorato”, Fernandel Editore
Pagine 164, prezzo 13 euro, in libreria dal 23 settembre Fernandel Editore «I libri sanno realizzare magie. Ti fanno viaggiare nel tempo e nello spazio, ti fanno materializzare davanti agli occhi contesse russe e principesse marziane, moschettieri e criminali. Quanti amori sono nati prestando o consigliando un libro? Questa è la storia di due librerie, di un libraio che ama una libraia, di uno…
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"Il libraio innamorato" di Gianluca Morozzi – Fernandel Editore
“Il libraio innamorato” di Gianluca Morozzi – Fernandel Editore
Il libraio innamorato Gianluca Morozzi Fernadel Editore C’è un libraio che ha un segreto: è innamorato di una ragazza che fa il suo stesso mestiere. Sogna di sposarla, unire le due librerie e di far giocare i figli che verranno nel reparto libri per bambini, ma per il momento si accontenta di vederla in un’osteria di Bologna per raccontarle dei clienti più strani che incontra. Per esempio, c’è…
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