#Creatività giovanile
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Uzbekistan. Inaugurata la “Maqsud Shayxzoda Youth Creativity Room” presso la Tashkent State Transport University: un tributo alla cultura, alla scienza e alla creatività giovanile
Il 14 marzo 2025, presso la Tashkent State Transport University, si è tenuta con entusiasmo e partecipazione la cerimonia di inaugurazione della “Maqsud Shayxzoda Youth Creativity Room”, uno spazio dedicato ai giovani e alla loro espressione culturale e scientifica. Un’iniziativa che intende valorizzare la lettura, la scienza, la letteratura e lo spirito creativo, elementi fondamentali per la…
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Walter Albini
Il talento, lo stilista
Daniela Degl'Innocenti, Enrica Morini
Skira, Milano 2024, 288 pagine, 22x28cm
euro 45,00
Mostra Prato Museo Tessuto 23 marzo - 22 settembre 2024
Audace, geniale e rivoluzionario, Walter Albini è colui che ha creato il total look e ha intuito la forza (anche economica) dell’unire la creatività all’industria tessile. Walter Albini. Il talento, lo stilista è frutto di un intenso lavoro di studio e ricerca condotto dal Museo del Tessuto di Prato sull’intera vicenda professionale di Albini, assoluto protagonista della moda italiana tra la fine degli anni sessanta e i primi ottanta del Novecento. L’attività di ricerca che sta alla base del progetto nasce in seguito a una cospicua donazione che il Museo ha ricevuto a più riprese tra il 2014 e il 2016: un ricco fondo di bijou, bozzetti, disegni, fotografie, documenti, libri, appartenuti proprio a Walter Albini, che documentano la grande capacità creativa e progettuale di questo straordinario creatore di moda, dal periodo giovanile (1959) fino alla sua scomparsa (1983).
Questo fondo archivistico, finora del tutto inedito, testimonia puntualmente il percorso professionale di Albini: la prima attività come illustratore di riviste di moda, i lavori per Krizia, Baldini e per i brand che hanno sfilato in Sala Bianca a Firenze, fino alla creazione del proprio marchio e oltre. Alla ricognizione complessiva dei materiali confluiti nelle collezioni del Museo si è affiancata la ricerca presso altri corposi fondi e archivi, sia pubblici che privati, tra i quali spicca quello del Centro Studi e Archivio della Comunicazione di Parma e l’Archivio storico Camera Nazionale della Moda Italiana conservato presso l’Università Bocconi. Questo puntuale lavoro di studio ha portato a una rilettura complessiva dell’intero percorso professionale di Albini e ha delineato un ritratto molto più preciso e in molti casi sconosciuto dello stilista.
04/05/24
#Walter Albini#fashion exhibition catalogue#Museo Tessuto Prato 2024#Krizia#Baldini#moda fine anni 60 primi 80#italian fashion#fashion books#fashionbooksmilano
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La presentazione di Sandro Bongiani
“L’arte inquieta tra corpo, ossessione e creatività”
Presentazione di Sandro Bongiani, Salerno 10 marzo 2025
A 80 anni esatti da quando Jean Dubuffet coniò il termine “Art Brut” per descrivere le opere degli autori “outsider” e a 40 dalla scomparsa dell’artista francese (1985), viene ricordato in Italia con un progetto internazionale “Outsider Art Brut” a cura di Sandro Bongiani con la presentazione di 51 opere di altrettanti artisti internazionali invitati che hanno voluto essere presenti a questo importante appuntamento collettivo.
Art Brut è il termine coniato nel 1945 dall'artista francese Jean Dubuffet per indicare gli artisti autodidatti che indagano con le loro esperienze al di fuori dei limiti restrittivi della società, condividendo appieno i valori degli emarginati della società e con il desiderio altresì di legittimare in senso espressivo le opere d'arte create anche da pazienti psichiatrici nate spesso da fragili stati mentali e soprattutto da problemi esistenziali e sociali, frutto spontaneo di una tensione e carica espressiva non mediata dalla logica del mercato dell’arte. In tempi non recenti Dubuffet scriveva: “La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia il suo nome. L’arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla in comune con l’intelligenza né con la logica delle idee. L’Art Brut non è da considerarsi "arte brutta", ma spontanea, non ricerca il bello, ma si concentra sulla natura e sulla vita per contrapporsi agli orrori e oggi alle difficoltà dell’esistenza. Una ricerca per certi versi condivisa in parte dal mondo degli artisti dell’arte postale per quanto riguarda, soprattutto, la marginalità e l’inattualità rispetto il prodotto artistico proposto dal mondo del sistema ufficiale dell’arte. Brut significa altro e primitivo in opposizione a “culturale”, ma anche puro, autentico, incontaminato. L’Art Brut nasce da una imperiosa necessità interiore e convive duramente le più importanti tensioni della vita gettando un ponte tra il visibile e l’invisibilein cui le inaspettate convergenze sono intessute di libertà e di cammino solitario.
In tal senso, Dubuffet polemizzando con il sistema dell’arte ufficiale nel 1978 scriverà a Guglielmo Achille Cavellini una lettera in cui si rimarcherà di come viene gestita male la creatività dai “divulgatori” e dagli improvvisatori dell’arte contemporanea, scrivendo: “Caro Guglielmo Achille Cavellini, noi tutti abbiamo all’inizio dedicato la nostra fede (il nostro entusiasmo giovanile) a degli schemi che si sono rivelati ingenui. Abbiamo creduto innocentemente che la capacità producesse il merito e che dal merito venisse la gloria. Abbiamo scoperto via via nel tempo che ciò non accade. Abbiamo imparato che, nei rapporti sociali, è la gloria che crea il merito e la capacità. Ed ecco che ora scopriamo che questo concetto di capacità è scomparso divenendo un’idea ingannevole che i divulgatori introducono a loro piacimento. Ridiamo ora attraverso di lei dei nostri sbagli precedenti. Ridiamo del merito e della gloria. Ridiamo del pubblico e della società, ridiamo delle loro beffarde mitologie. Questo è il messaggio che sgorga dalla sua sferzante e singolare attività. La saluto e la elogio. Vivissimi auguri”. (Da una lettera di Jean Dubuffet a Guglielmo Achille Cavellini, del 15-10-1978 conservata nell’Archivio Guglielmo A. Cavellini di Brescia).
L’artista francese era nato a Le Havre nel 1901 ed era morto nel 1985 a Parigi. A circa vent’anni aveva iniziato a dipingere, ma è soprattutto nella seconda metà del secolo che aveva trovato, grazie alla complicità dei malati di mente, gli stimoli e la situazione adatta per dare una “sterzata vitale” a tutta la storia dell’arte. In tanti lunghi anni di lavoro, Dubuffet ha sempre lavorato per cicli, dalla “Preistoria” (1917-1942), dove si alternano momenti di abbandono e di ripresa dell’ attività, fino alla produzione continua che va dal 1942 al 1984, dalla materia e dell’informale degli anni 50 al ciclo dell’Hourloupe del 1974, tutto proteso verso un’arte totale, per poi concludere con l’ultimo ciclo di lavoro in cui cerca di riprendere le vecchie ricerche e definire strani grovigli di materia che stanno sospesi tra la figurazione e l’astrazione, tra l’essenza selvaggia e la natura. Nell'immediato dopoguerra Dubuffet scopre nella Svizzera romanda la collezione dello psichiatra Walter Morgenthaler. La raccolta di Morgenthaler comprendeva diverse migliaia di opere, eseguite da artisti schizofrenici ricoverati nella clinica psichiatrica di Waldau (BE).
A partire dal 1945, inizierà a raccogliere e collezionare opere espressamente di Art Brut, lavori spontanei, immediati, creati da persone prive di una specifica formazione artistica che vivono spesso ai margini della società o sono internate in ospedali psichiatrici, che nella stagione del 1954, appunto, proverà a definire col termine di “Art Brut”. Nel 1951 la collezione di Dubuffet, costantemente ampliata grazie all'acquisizione di opere di autori prevalentemente europei, venne trasferita provvisoriamente a East Hampton, nei pressi di New York, dove rimase fino al 1962. Nel 1971 Dubuffet preoccupato di trovarle una definitiva collocazione presso un ente pubblico, considerò l’opportunità di riportarla in Svizzera, Paese in cui era nata. La Collection de l'art brut venne inaugurata nella sua nuova sede, il castello settecentesco di Beaulieu, nel febbraio del 1976, con oltre 5000 opere realizzate da quasi 500 artisti. Oggi, la “Collection de l'Art Brut” di Losanna possiede una straordinaria raccolta di oltre 70.000 opere nate dal nucleo iniziale della donazione Dubuffet e arricchita nel corso di diversi anni. Di fatto, questo museo risulta un punto di riferimento inscindibile e prioritario se si vuole comprendere concretamente il pensiero e le opere d’impronta Art Brut. Libero da preconcetti, attento a riflettere silenziosamente su possibili “nuove situazioni” e soprattutto, a rimettersi continuamente in gioco, cambiando spesso i connotati al suo lavoro e progettando situazioni sempre più imprevedibili. Insieme ad André Breton fonderà la “Compagnie de l’art brut” supportata dalle riflessioni personali scritte nei “Cahiers de l’Art Brut. Dubuffet rimane nell’arte il personaggio più singolare del novecento, l’unico che ha saputo liberarsi dalle costrizioni della cultura ufficiale, e alla bisogna, dare fiato al flusso del pensiero spontaneo e selvaggio.
La normalità “anormale”
Di sicuro la nostra società malata di protagonismo e di solitudine, per comodo, ha sempre fatto una netta distinzione tra un’arte ingenua e quella colta, innestando un alto spartiacque che ha sempre delimitato le due esperienze, purtroppo, si è capito troppo tardi che non esiste una chiara linea di demarcazione che possa separare facilmente le due situazioni. Oggi, in un contesto assai alienato e diffuso è molto più facile trovare la cosiddetta “anormalità”; quante persone vanno a curarsi dall’analista perché soffrono di strane fobie, di nevrosi e persino di allucinazioni. Come è possibile tracciare una linea che demarchi concretamente la normalità dall’anormalità, la logica dal delirio e il gioco dall’ossessione. Tutto ciò risulta difficilmente credibile. Certamente, uno degli artisti che capì per primo questo grosso dilemma è stato Jean Dubuffet, che con”l’Art Brut” creò quel movimento capace di evidenziare l’arte dei malati di mente da quella cosiddetta ”accademica”. Il binomio “arte e follia” si era posto già nel mondo greco con la “ispirazione”, che faceva dell’artista un esecutore prediletto degli dei. Cesare Lombroso, nell’Ottocento, capì anche che l’arte era sinonimo di follia e che la follia era una esigenza prioritaria per produrre arte, infatti, nel 1882, scriveva: “La follia soventemente sviluppa l’originalità dell’invenzione parchè si lascia più libero il freno dell’immaginazione dando luogo a creazioni da cui rifuggirebbe una mente troppo calcolatrice per paura dell’illogico e dell’assurdo...”. Lo stesso Dubuffet, spesso, confessava: ”Credo che in Occidente si abbia torto a considerare la follia come valore negativo, credo che la follia sia un valore positivo molto prezioso”. Una lucida presa di coscienza verso il fascino indiscreto dell’insolito, del mistero, essendo sempre stato interessato ad indagare sul versante “non logico e razionale” della visione e quindi a dare degna dignità alla follia e all’ossessione della creazione.
Apparire e non essere
Mai come oggi l’uomo è stato relegato a una condizione di insostanziale e semplice comparsa in cui l’apparire non corrisponde a un “esserci”, un uomo omologato anche per suo stesso volere “a una dimensione” come lo intendeva Herbert Marcuse nella pubblicazione del 1964, in cui il sistema ha privato persino la possibilità di sognare. Un apparire dell’uomo contemporaneo che alla ricerca ansiosa del successo sociale rimane imbrigliato per essere soltanto l’emblema più deviante di questa falsa e inquieta società. Di certo, nessuna epoca storica, per quanto assolutistica e dittatoriale ha conosciuto come oggi un simile processo di massificazione, poiché nessun tiranno era in grado di creare un sistema di condizioni d'esistenza tali in cui l'omologazione e la solitudine fosse l'unica possibilità di vita per essere accettati.” Pertando, nella vita come nell’arte e in qualsiasi campo di rapporti sociali si procede oggi per inerzia con proposte e messaggi decisamente “deboli” prelevati momentaneamente dal presente, che non hanno la forza e il carattere di resistere al tempo e alla vita, spesso annichiliti già dall’inizio per essere facilmente assorbiti da un sistema sociale e culturale destinato all’omologazione collettiva.
La follia, lo specchio della nostra esistenza
La follia non è semplicemente una patologia da confinare negli ambiti della psichiatria. È, prima di tutto, una condizione umana che ci riguarda tutti, perché ognuno di noi si muove su un confine sottile tra razionalità e smarrimento. La follia è lo specchio della nostra esistenza, le fragilità che tentiamo di nascondere sotto la maschera della normalità, una forma di linguaggio spezzato, rotto come un giocattolo di un bambino che urla verità profonde sull’essere al mondo, perché la sola razionalità, la logica, essendo limitante non ci permette di comprendere appieno Il disordine, l’imprevisto e persino il dolore. Secondo il Filosofo, psicanalista e saggista Umberto Galimberti: “la follia originaria, “comprende i bambini, i poeti, i folli e noi stessi ogni qualvolta che sogniamo. Nel sogno collassa il principio della contraddizione e d’identità, il principio di casualità per cui invece della causa-effetto ci troviamo a vivere l’effetto-causa, il collasso del tempo e dello spazio, e non appena la coscienza si eclissa collassa tutto l’ordine della ragione. Questa è la prova inconfutabile che la follia ci appartiene. Noi siamo follia”.
È proprio ogniqualvolta si cerca di celare il dubbio vi è la tirannia e l’inutilità della logica e della ragione, per tale motivo dobbiamo smettere di relegare la follia al margine e iniziare a dialogare con essa, per ascoltare ciò che può dirci di più di quello che sappiamo e sul nostro essere al mondo. Una verità decisamente scomoda e di disagio che non intendiamo affatto ascoltare e che spesso nascondiamo per paura di essere diversi. Di certo la follia è un’esperienza dell’anima, un tentativo di comprensione che può emergere solo dentro uno sfuggente sfondo abissale che è soprattutto caos e anche sofferenza, per cui, per accedere agli abissi della follia occorre per forza di cose distanziarsi dal recinto protetto dalla ragione e abbandonare le solite certezze. Infatti, soltanto nella dimensione folle la ragione collassa e nel profondo tormento visionario la follia prende il sopravvento per scandagliare gli oscuri umori del nostro essere. -sottolinea Galimberti- ”solo nell'immersione nella follia e nella confusione dei codici, è possibile un evento creativo”. La follia è più potente di quando non sia la ragione, che di certo non crea niente di nuovo perché è solo uno strumento per costringerci a integrarci e non una verità” assoluta.
Il corpo e la follia poetica della creazione
La follia è la componente essenziale di qualsiasi uomo, non a caso, Dubuffet scriverà “Tout le monde est peintre”, “Ognuno è pittore”, -aggiungiamo- “di se stesso”. Nella vita come nell’arte non esistono campi scindibili, come la normalità, l’anormalità, l’alterità e la pazzia, tutti siamo folli dal momento che tutti noi sogniamo entrando in una dimensione non logica e irrazionale; è sufficiente che di notte ci addormentiamo e incomincia il calvario della pazzia, la follia ci abita divenendo inquietudine e espressione disarticolata dalla logica. In un abisso oscuro dove tutto diventa possibile, volare, cadere e persino intraprendere accadimenti non ancora vissuti, tutti conseguenti viaggi invisibili tra realtà immaginata e ossessione che si collocano provvisoriamente in uno spazio sospeso e ignoto in cui il confine tra reale e immaginazione si dissolve per diventare qualcos’altro di inaspettato. La vita degli uomini, al pari dell’arte abita l’incerto confine tra ragione e follia. La follia è il fondamento della nostra creatività e di ogni produzione artistica e solo gli artisti sono in grado di attingere appieno nell’abisso della follia, di certo se non entri nell’abisso non puoi creare; da ciò nasce il mondo espressivo e poetico. L’urgenza della creazione è una capacità degli dei, ovvero la capacità di catturare la follia per essere creativa e poetica. Solo l’artista può decidere di entrare o uscire da un abisso e condividere la forma inquieta, tuttavia, se non viene controllata dal viandante distratto può divenire visione subita e punizione psichiatrica. Un’opera d’arte non può nascere senza la follia creativa e poetica dell’artista.
Pertanto, ogni creazione artistica è il frutto della follia. L’opera d’arte è il prodotto della follia dell’artista, che sacrifica l’io razionale, scandaglia il profondo dell’animo e rinvia ad un’altra verità disponendosi a uno sguardo di un qualcosa di più significativo rispetto alla logica del già conosciuto. Poeti, artisti e creatori outsider sono dei sacrificanti visionari perché ogni volta che creano si devono congedare dall’’ordine razionale della logica per condividere il mistero oscuro delle cose in una dimensione che alberga tra i meandri oscuri e impervi dell’irrazionale e dell’ignoto. Da ciò si evidenzia la grande lezione e la straordinaria potenza di un atto resistente, senza freni inibitori, che deve necessariamente implicare l’alta febbre della follia e soprattutto dell’ossessione per essere credibile e autentica; tutto ciò può mai essere considerata un’espressione normale?
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Macerata capitale della musica. Tornano le audizioni live di Musicultura
MACERATA Ci sono voluti più di tre mesi per valutare le 2.352 canzoni partecipanti alla XXXVI edizione del prestigioso concorso con cui Musicultura da 36 anni scandaglia e promuove le espressioni più autentiche della creatività musicale giovanile, nel segno di un ricambio generazionale fondato sul merito artistico. Completata la prima selezione, Musicultura svela finalmente le proposte che…
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Con l'obiettivo di dare voce ai giovani
“NON GHOSTARMI!” è il laboratorio GRATUITO di improvvisazione teatrale a cura della compagnia teatrale "OPLA'": Tre incontri all'insegna del teatro e della creatività, con l'obiettivo di dare voce ai giovani, aiutandoli a connettersi con sé stessi, con gli altri e con la comunità, trasformando il “sommerso” in protagonismo.
Segna le date!
21 FEBBRAIO / ORE 21 - 23 CENTRO SOCIOCULTURALE - Via dei Patrioti 31, Solbiate Olona (VA)
14 MARZO / ORE 17 - 19 SCUOLA E.FERMI - P.zza Alfredo di Dio, Fagnano Olona (VA)
4 APRILE / ORE 17 - 22 SCUOLA E.FERMI - P.zza Alfredo di Dio, Fagnano Olona (VA)
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L’anima teatrale di “NON GHOSTARMI!” è parte del progetto ICEBERG, nato per migliorare la condizione giovanile nella Valle Olona, affrontando le sfide visibili e sommerse della vita dei giovani.

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Maud Lewis: l’Arte Folk che ha Conquistato il Mondo
Maud Lewis (South Ohio, 7 marzo 1903 – Digby, 30 luglio 1970) rimane una delle figure più amate nel panorama dell’arte folk canadese. La sua vita, segnata da difficoltà personali e povertà, è stata illuminata dalla sua straordinaria passione per l’arte, che le ha permesso di trasformare il quotidiano in opere d’arte vibranti e ricche di significato.
Una Vita Dedicata all’Arte
Maud Dowley, nata a South Ohio, Nuova Scozia, mostrò un talento precoce per l’arte grazie all’influenza della madre, che le insegnò a creare cartoline natalizie con gli acquerelli. Tuttavia, la sua infanzia fu segnata dalla sofferenza: Maud soffriva di artrite reumatoide giovanile, una condizione che limitò la sua mobilità per tutta la vita. Dopo la morte dei genitori negli anni ’30, si trasferì a vivere con la zia a Digby, dove continuò a dedicarsi all’arte nonostante le avversità.

L’arte, per Maud, non era solo una passione ma un rifugio. Iniziò vendendo cartoline natalizie fatte a mano per pochi centesimi, un’attività che le permise di entrare in contatto con il pubblico e di diffondere il suo talento unico. Questa umile attività fu il trampolino di lancio per la sua carriera artistica.
Un Matrimonio e una Casa-Studio
Nel 1938, all’età di 34 anni, Maud sposò Everett Lewis, un pescivendolo della zona. La loro casa, un piccolo monolocale a Marshalltown, divenne lo studio in cui Maud creò molte delle sue opere. Questa casa, decorata con i suoi dipinti, è oggi uno dei simboli più iconici della sua arte. L’interno e l’esterno erano coperti da motivi floreali, animali e scene di vita quotidiana, trasformando lo spazio abitativo in un’estensione della sua creatività.
Everett incoraggiò Maud a proseguire nel suo percorso artistico, acquistandole colori a olio e supporti su cui dipingere. Maud iniziò così a dipingere non solo su tela ma anche su cartone, masonite e perfino su oggetti domestici come teglie per dolci. La sua tecnica era semplice ma efficace: applicava un fondo bianco, tracciava le linee guida e dipingeva direttamente dal tubetto, senza sfumare i colori.
Lo Stile Unico di Maud Lewis
I dipinti di Maud Lewis sono caratterizzati da colori vivaci e soggetti semplici ma affascinanti. Scene di vita rurale, animali come gatti, buoi e uccelli, e paesaggi della Nuova Scozia erano al centro della sua arte. La sua capacità di catturare la bellezza e la gioia delle piccole cose l’ha resa una delle artiste folk più amate. L’arte di Maud era profondamente ispirata dai ricordi della sua infanzia e dal paesaggio circostante, che ritraeva con un tocco di innocenza e meraviglia.
La Popolarità dell’Arte di Maud Lewis
Negli anni ’40 e ’50, i turisti iniziarono a fermarsi a casa sua per acquistare i suoi dipinti, che vendeva a prezzi modesti, tra i due e i tre dollari. La sua popolarità crebbe ulteriormente quando un articolo del Toronto Star Weekly e un’apparizione sulla CBC-TV la portarono all’attenzione nazionale. Tra i suoi ammiratori figurava persino la Casa Bianca, che acquistò due dei suoi dipinti nel 1970 durante la presidenza di Richard Nixon.
Negli ultimi anni, i dipinti di Maud Lewis hanno raggiunto prezzi impressionanti nelle aste, con opere vendute fino a 45.000 dollari. Questo dimostra quanto l’arte di Maud sia stata apprezzata e riconosciuta per il suo valore culturale e artistico.
Un’Eredità che Vive
Dopo la sua morte nel 1970, la casa di Maud Lewis cadde in rovina, ma un gruppo di cittadini locali si mobilitò per salvarla. Oggi, la casa è conservata nella Art Gallery of Nova Scotia ad Halifax, dove attira visitatori da tutto il mondo. Il sito originale della casa è stato commemorato con un monumento in acciaio che ne riproduce la struttura.
Maud Lewis è anche protagonista di libri, documentari e film. Il lungometraggio Maudie (2016), con Sally Hawkins nel ruolo di Maud, ha portato la sua storia sul grande schermo, rendendola nota a un pubblico ancora più vasto.
Conclusione
L’arte di Maud Lewis non è solo un’espressione della sua creatività, ma anche un simbolo di resilienza e speranza. Nonostante le sfide della sua vita, Maud ha trovato nell’arte un mezzo per condividere la bellezza del mondo con gli altri. Oggi, è ricordata non solo come un’artista folk di talento, ma anche come una fonte d’ispirazione per chiunque sogni di superare le avversità attraverso la passione e la dedizione.
L’arte di Maud Lewis continua a vivere, affascinando generazioni di ammiratori e dimostrando che, con il cuore e la creatività, è possibile lasciare un’impronta indelebile nel mondo.
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Young Well Fare, la comunità giovanile che lancia un programma di attività ricreative e sportive gratuite nel Lazio L'Open Day di presentazione si svolgerà... #benessere #buonepratiche #ciaolab #morlupo #regionelazio #strumenti #youngwellfare https://agrpress.it/young-well-fare-la-comunita-giovanile-che-lancia-un-programma-di-attivita-ricreative-e-sportive-gratuite-nel-lazio/?feed_id=7803&_unique_id=67298de61dfe2
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Parrocchia di San Pio V Alessandria. Premiazione del concorso "Poster per la Pace" – Pace senza limiti, sponsorizzata dai Lions Club
Sabato 18 gennaio 2025, alle ore 10:00, presso la parrocchia di San Pio V in via Isonzo 33, Alessandria, si terrà la cerimonia di premiazione del concorso "Poster per la Pace", iniziativa internazionale sponsorizzata dai Lions Club da oltre tre decenni.
Sabato 18 gennaio 2025, alle ore 10:00, presso la parrocchia di San Pio V in via Isonzo 33, Alessandria, si terrà la cerimonia di premiazione del concorso “Poster per la Pace”, iniziativa internazionale sponsorizzata dai Lions Club da oltre tre decenni. L’edizione 2024/2025 porta il titolo “Pace senza limiti” e si propone di ispirare, attraverso l’arte, una riflessione sulla solidarietà e la…
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I fratelli Bulgarelli - Il nuovo cortometraggio “Quello che non ti ho detto”
Una visione intima sul tema del rimpianto e della comunicazione

La prima nazionale del cortometraggio “Quello che non ti ho detto” dei fratelli e registi Flavio e Massimo Bulgarelli viene proiettata il 7 ottobre 2024 alla 21esima edizione del Sedicicorto Festival di Forlì. “Quello che non ti ho detto” è stato prodotto da E Elle Produzioni, una società di produzione audiovisiva specializzata nell'offrire servizi di alta qualità. Grazie ad una consolidata esperienza nel settore, il team di professionisti crea prodotti originali in grado di catturare l'attenzione del pubblico e suscitare emozioni ma soprattutto capaci di veicolare in modo efficace contenuti di qualunque tipo. Preziosa la collaborazione con Duende Film che pianta le sue radici nel panorama cinematografico indipendente, dove ha consolidato collaborazioni con registi, attori e sceneggiatori di talento, arricchendo costantemente il patrimonio creativo. Ogni progetto che porta avanti è il risultato di una combinazione unica di esperienza, innovazione e dedizione che porta ad elaborare la creatività su ogni progetto. L’intero progetto è distribuito da Associak, casa di distribuzione cinematografica indipendente nata nel 2012 ed impegnata nella diffusione artistica e commerciale di lungometraggi, documentari e cortometraggi nei principali festival nazionali. Associak vuole essere un punto di riferimento per opere di elevata qualità estetica ed artistica in grado di unire il puro intrattenimento con l’originalità e l’innovazione narrativa. Il protagonista del cortometraggio è Giorgio, un anziano signore che vive solo: degli strani rumori nel suo appartamento rivelano Anna, una giovane ragazza che si muove nel cuore della notte, la più importante della sua vita. L’uomo è tormentato dai rimpianti e questa donna rappresenta l’amore perduto, che riapre le vecchie ferite e rivela le verità nascoste. Giorgio affronta nuovamente il suo passato, fra lacrime e confessioni, accettando il rimorso delle occasioni mancate. "Quello che non ti ho detto" è una disamina sul tema del rimpianto e dell’incapacità comunicativa in una coppia: la generazione di Giorgio, infatti, non ha ricevuto un’educazione affettivo-relazionale e le conseguenze di questa mancanza risultano, purtroppo, evidenti. Con uno sguardo sensibile, il cortometraggio guida attraverso i labirinti del passato, illuminando le sfumature della bellezza e della tragedia che risiedono nei ricordi del grande amore. Attraverso sequenze incantevoli e dialoghi evocativi, “Quello che non ti ho detto” trasporta il pubblico in un universo emotivo intenso e suggestivo, dove ogni gesto e ogni sguardo raccontano una vita, fatta di sogni, di perdita e poi anche di speranza. Un incontro magico, che mescola la dolcezza dell'amore giovanile con il peso della morte, creando un'atmosfera di malinconia e serenità allo stesso tempo. L’opera parla di un tema universale, in grado di arrivare alla maggior parte degli spettatori. La sua forza risiede proprio nella sua capacità di toccare corde emotive comuni a tutti, indipendentemente da background, esperienze personali o provenienza culturale.
Storia dei registi
Flavio Bulgarelli nasce a Roma il 7 settembre 1984. Si laurea in psicologia nel 2011, nel frattempo si avvicina al mondo del cinema creando uno studio horror indipendente che realizza più di dieci cortometraggi destinati al web e virali in alcuni paesi del mondo con più di 1 milione di visualizzazioni. La sua specialità è la sceneggiatura, che ha studiato negli anni con vari professionisti.
Massimo Bulgarelli nasce a Roma il 4 giugno 1996. Diplomato presso l’Istituto per cinematografia e televisione “Roberto Rossellini” come montatore, si dedica in seguito alla direzione fotografia e all’editing. Al momento lavora come assistente alla regia e come videomaker.
Cresciuti con le stesse influenze cinematografiche di commedia all’italiana e cinema internazionale, Flavio e Massimo trovano un punto di forza proprio nei 12 anni di differenza che li rendono capaci di “parlare” sia ad un pubblico adulto che ad un pubblico più giovane. Doppio Gioco, è stato il loro primo cortometraggio, una commedia all’Italiana 2.0 sul tema della ludopatia. Singolarmente, ma sempre facendo appoggio l’uno sull’altro, hanno scritto e diretto altri cortometraggi di fantascienza come Senza Parole o Lo Spazio sulla Terra.
Instagram: https://www.instagram.com/fratellibulgarelli/
Duende Film
https://www.instagram.com/duende_film
E ELLE Produzioni
https://www.instagram.com/eelleproduzioni
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College School Next Stars da SenseBall Italia Tramite Flickr: Ogni Accademia, Centro di formazione, Scuola calcio e Settore Giovanile che utilizza SenseBall, si distingue oltre che per una filosofia e una tradizione, per una metodologia di allenamento di qualità che permette di raggiungere gli obiettivi prefissati; crescere giovani calciatori ambidestri e intelligenti. In tutto il mondo, c’è una cosa che le accomuna; si praticano attività bilaterali in modo che l’allievo possa migliorare le proprie performance calcistiche diventando ambidestro (in grado di giocare con ambo i piedi). Si insegna un calcio moderno fatto di attitudini mentali, creatività, ritmo, sincronizzazione e soprattutto di abilità tecniche in modo che l’allievo possa assimilare le componenti essenziali non solo del calcio di oggi, ma anche quelle del calcio di domani: velocità di visione, velocità decisione, velocità di esecuzione SenseBall, da sempre aiuta a crescere giocatori tecnici, adatti a performare anche su palcoscenici importanti, grazie a insegnamenti, elaborati ad hoc per permettere al giovane calciatore di esprimere tutto il talento di cui è dotato con proposte di esercitazioni tecniche in cui la capacità di relazionarsi con il pallone è l’elemento essenziale e fondamentale per apprendere una tecnica in grado di migliorare anche il processo decisionale, riuscendo così a risolvere e superare le varie situazioni del gioco, utilizzando nel gesto tecnico, indifferentemente, un piede, oppure l’altro. Diamo il benvenuto al College School Next Stars, tra le Accademie, Centri di formazione, Club e Federazioni di tutto il mondo, che nella crescita e formazione dei Giovani calciatori utilizzano SenseBall. Anche i Giovani calciatori del College School Next Stars , con i preziosi consigli dei loro Allenatori, Educatori, Formatori e Istruttori avranno così la possibilità di sviluppare e migliorare le proprie abilità calcistiche grazie anche SenseBall, metodologia di assoluta eccellenza per l’insegnamento e il miglioramento della tecnica calcistica di base ⚽️ SenseBall Italia 🇮🇹
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1977...
il 16 Agosto a 42 anni, se ne andava Elvis Presly; debuttavano sulla scena musicale : Depeche Mode, Dire Straits;Peter Gabriel; Police. Al cinema, Saturday Fever con la colonna sonora dei Bee Gees, musica che ha fatto sognare un’intera generazione di giovani e di meno giovani, lancia nel mondo delle discoteche la disco music. È l'anno della Punk Music per antonomasia, un nuovo stile di vita e un nuovo modo di fare musica anticommerciale che porta ad un vero e proprio boom di etichette indipendenti.
Muore a 88 anni l’ultimo re del cinema: Charlot CHARLOT ( CHARLIE CHAPLIN )
I registi PAOLO E VITTORIO TAVIANI colgono il primo successo di pubblico e di critica presentando il film Padre padrone. E' tratto dal romanzo di Gavino Ledda, autobiografico. Un pastorello sardo è strappato dalla scuola dal padre brutale per farne un pastore di pecore. La caparbia volontà del ragazzo nel voler ad ogni costo conoscere lo porterà a sfidare il destino che lo attende, studiando, emancipandosi fino ad arrivare a diventare professore universitario. Se la lotta interiore per arrivare a questo traguardo è complessa, quella di ritornare, una volta adulto, a riappropriarsi della cultura della propria terra è ancora più sofferta. Il messaggio che porta è che l'uomo può attraverso la cultura modificare la realtà che lo circonda e abbattere pregiudizi arcaici.
TV - LA MALFA dopo aver lottato per anni per la non introduzione in Italia della televisione a colori ritenendola un incentivo alle spese voluttuarie degli italiani, é al capolinea. La televisione a colori così, prende l'avvio e, la RAI, inizia le trasmissioni regolari il 24 febbraio di quest'anno.
Insomma un’anno in divenire…(le previsioni del futuro sono le più difficili da fare – prima vengono le piccole bugie, poi quelle grandi infine viene la statistica, così si diceva in facoltà di matematica.)
il 1977 è stato forse il più burrascoso e travagliato del dopoguerra italiano. Nell'arco di pochi mesi, e in particolare tra il marzo e il maggio, decine di migliaia di giovani si sono presi la scena: hanno occupato università , fondato giornali, radio e fanzine, hanno contestato tutto ciò che era "vecchio", compresi i fratelli maggiori del 1968! sono scesi in piazza con la faccia dipinta da indiani metropolitani o con la P38 nel giubbino. Il cosiddetto movimento del '77 non è stata solo la più massiccia ondata di contestazione giovanile: E’ stato al tempo stesso un epilogo, il canto del cigno nella stagione politica inaugurata dell'autunno caldo del '69, e un prologo, la fine delle ideologie e di una vecchia Italia divisa (ancora per poco) tra Dc e Pci, impiegati e operai. Una miscela di violenza, estremismo, nichilismo, di cui faranno bottino i gruppi armati, ma anche di creatività , spontaneità , modernizzazione. Nei giorni turbolenti di quel movimento, aperto di fatto dalla contestazione alla prima della Scala del dicembre '76 e chiuso dalla grande adunata "contro la repressione" di Bologna, sono rimasti sull'asfalto giovani dimostranti e giovani poliziotti, hanno convissuto aspiranti terroristi e pubblicitari in erba, gli ultimi leninisti e i primi buddisti, "streghe" e disincantati dj, che con la creazione di slogan anti-conformisti e nuovi mezzi di comunicazione (le radio libere) hanno chiuso l'era del ciclostile e anticipato quella della tv commerciale e del marketing creativo. In due sole parole : gli anni ’80.
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RecensioneLibri: Il banco e le stelle
Recensione per Il banco e le stelle. Lettere di un prof a una ragazza in cerca di avvenire di Giancarlo Dilauro e Smilla Zicarelli
Molte statistiche evidenziano una crescente situazione di disagio giovanile; molte altre negli ultimi anni hanno individuato, tra gli studenti, deficit di vario tipo: attentivi e cognitivi. Di fronte a questa situazione quali sono gli ingredienti da cui ripartire? Secondo gli autori di questo libro la scuola ha bisogno di una rinnovata buona dose di motivazione, creatività, libertà, bellezza.…
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