La pedagogia al sevizio della persona; valorizziamo insieme persone, situazioni, opportunità, diamo spazio di crescita e tiriamo fuori il meglio.
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“Quel che resta della parola educazione"
articolo scritto da Massimo Recalcati per il ciclo "Le 52 parole" e comparso su La Repubblica 27/03/2016
È sempre esistita una corrente della pedagogia che, a diverso titolo, ha preteso di liberarsi dell'educazione considerata come un vero e proprio tabù: le vite dei figli traggono più danno che benefici dall'educazione, la quale non sarebbe altro che una museruola messa da genitori paranoici sulla legittima voglia di libertà dei loro figli. Tra tutti i riferimenti possibili possiamo pensare al recente lavoro di Peter Gray dal titolo, che è già, come si può intendere facilmente, tutto un programma: Lasciateli giocare (Einaudi). La tesi di questo libro è quella che bisogna restituire ai nostri figli la loro autonomia che una concezione aridamente disciplinare della scuola gli ha sottratto. Quella che l'autore definisce "istruzione forzata" appare come una macchina repressiva tale da spegnere la creatività nel nome di una esigenza di controllo e di disciplinamento coatto che proviene dal mondo degli adulti.
Questa rappresentazione della problematica dell'educazione risente di una ideologia libertaria che misconosce la funzione della differenza simbolica tra le generazioni e il ruolo essenziale degli adulti giocato nel processo di formazione. Si tratta di una vera e propria "mutazione antropologica" che è stata descritta con efficacia da Marcel Gauchet in un bel libro titolato Il figlio del desiderio (Vita e pensiero). Riassumo sinteticamente il suo ragionamento: se c'è stato un tempo dove l'educazione aveva il compito di liberare il soggetto dalla sua infanzia, oggi si tende invece a concepire l'infanzia come un tempo al quale si vorrebbe essere eternamente fedeli, come una sorta di "ideale del sé" puro e incontaminato da tutti quei condizionamenti culturali e sociali che rischiano di corrompere la sua affermazione. Non si tratta più di educare il bambino alla vita adulta ma di liberare il bambino dalla vita degli adulti perché la vita adulta non è una vita, ma solo la sua falsificazione morale. Nessun tempo come il nostro ha mai esaltato così la centralità del bambino nella vita della famiglia. Tutto pare capovolgersi: non sono più i bambini che si piegano alle leggi della famiglia, ma sono le famiglie che devono piegarsi alle leggi (capricciose) dei bambini. Nanni Moretti ne fornì un esempio esilarante in Caro diario: in una piccola isola delle Eolie i bambini diventano i padroni anarchici della famiglia obbligando tutti gli adulti al telefono a prodigarsi in improbabili imitazioni di animali per poter ottenere il permesso di parlare coi loro genitori. Il compito dell'educazione viene aggirato nel nome della felicità del bambino che solitamente corrisponde a fargli fare tutto quello che vuole: il soddisfacimento immediato non è solo un comandamento del discorso sociale, ma attraversa anche le famiglie sempre più in difficoltà a fare esistere il senso del limite e del differimento della soddisfazione. Non è forse questa la nuova Legge che governa le nostre vite? Lo spirito del mercato non esige forse la realizzazione del massimo profitto in tempi sempre più brevi?
Gli esiti di questo processo si possono riassumere con una difficoltà crescente dei nostri figli di accedere alla dimensione generativa del desiderio poiché la condizione di questo accesso è data dall'incontro con il trauma virtuoso del limite. Solo se la vita riconosce che non tutto è possibile può fare esistere il desiderio come una possibilità autenticamente generativa. Altrimenti il desiderio si eclissa soffocato dalla marea montante della soddisfazione immediata dei bisogni. È un problema cruciale del nostro tempo. L'elevazione del bambino a nuovo idolo di fronte al quale, al fine di ottenere la sua benevolenza, i genitori si genuflettono, è un effetto di questa erosione più diffusa del discorso educativo. Nella pedagogia falsamente libertaria che oscura il trauma benefico del limite come condizione per il potenziamento del desiderio, l'educazione stessa è diventata un tabù arcaico dal quale liberarsi, una parola insopportabile che nasconde e giustifica subdolamente il sadismo gratuito degli adulti verso l'innocenza dei figli. In realtà, questa dismissione del concetto di educazione è un modo con il quale gli adulti – che, come ricorda Lacan, sono i veri bambini – tendono a disfarsi del peso della loro responsabilità di contribuire a formare la vita del figlio. Ne è una prova il sospetto coi quali molti genitori osservano gli insegnanti che si permettono di giudicare negativamente i loro figli o di sottoporli a provvedimenti disciplinari. Dando per scontato il fatto che non esistono genitori ideali, o, che, come sentenziava Freud, il mestiere del genitore è impossibile, cioè è impossibile per un genitore non sbagliare, questo non significa affatto disertare la responsabilità di assumere delle decisioni, di non farsi dettare la Legge dai propri figli. Non si tratta per i genitori di proporsi come modelli educativi infallibili – niente di peggio per un figlio che avere un padre o una madre che si offrono come misura ideale della vita – ma di fare sentire che esiste sempre un mondo al di là di quello incarnato dell'esistenza del figlio, che l'esistenza di un figlio non può esaurire l'esistenza del mondo. In un recente colloquio clinico con una famiglia in difficoltà di fronte ad un bambino che ha progressivamente cannibalizzato le loro vite mostrando di non aver alcun rispetto per il senso del limite, il padre, per definirlo, ha usato questa espressione eloquente: «Lui pensa di essere il centro del mondo». Aggiungendo però subito dopo, senza riuscire a trattenere una certa soddisfazione: «Lui non sa quanto per noi questo sia assolutamente vero».
Gli esiti di questo processo si possono riassumere con una difficoltà crescente dei nostri ragazzi di accedere alla dimensione generativa del desiderio.
Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/03/27/quel-che-resta-della-parola-educazione54.html?ref=search
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Questo video dimostrativo è realizzato da Anastasis, cooperativa specializzata nella produzione di software compensativi per la dislessia. L'intento è far capire allo spettatore come si possa sentire una persona dislessica quando affronta la lettura di un testo scritto. E quanto gli possa essere utile avere il supporto della sintesi vocale
fonte: http://video.d.repubblica.it/lifestyle/ecco-come-legge-una-persona-dislessica/2074/2094?ref=fbpr
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Bambini disabili dal “cuore grande”??
Ma sta storia che se il bambino è disabile ha comunque un cuore grande quindi va bene, chi se l'è inventata? Chiunque tu sia, sei un pirla. 1. Non tutti i bambini disabili hanno il "cuore grande" 2. Viva la sagra dello stereotipo 3. avere il cuore grande si chiama cardiomegalia e porta a scompensi, non ad essere dolce carino e coccoloso 4. iniziamo a trattare i bambini per quello che sono, dei bambini, a volte terribili, altre fantastici, ma pur sempre bambini con bisogni, doveri, e desideri. 5. Lasciate perdere ste frasi-stereotipo e ascoltateli sti piccoli, che ne sanno più di tanti giornalisti. 6. Ascoltate i genitori, e state con loro nelle difficoltà, non solo nelle gioie; state nelle situazioni, negli errori, nelle critiche, nei consigli e assorbite più che potete. 7. siate sinceri, verso voi stessi e verso di loro, non vi chiedono altro.
#bambini#disabilità#cuore grande#cardiomegalia#desiderio#educazione#ascolto#stereotipo#genitori#errori#critiche#sincerità#educability
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2 aprile - Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo
La Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo si celebra la prima volta il 2 aprile 2007, istituita dalle Nazioni Unite.L’obiettivo della giornata è quello di far luce su questa disabilità, promuovendo la ricerca e il miglioramento dei servizi e contrastando la discriminazione e l’isolamento di cui ancora sono vittime le persone autistiche e i loro familiari, contribuendo a migliorare la qualità della vita delle persone affette da autismo, in modo che possano condurre un’esistenza soddisfacente.
L’autismo è una particolare forma di disabilità, e le conoscenze a riguardo sono ancora carenti e l’impegno delle istituzioni insufficiente nonostante il fenomeno sia più comune di quanto si pensi, e in crescita. Nel 1985 si registravano dai tre ai quattro bambini autistici ogni 10mila nascite; oggi, secondo le ultime statistiche dei Centers for disease control and prevention Usa (Cdc), il dato è schizzato a un caso ogni 68. La crescita è dovuta probabilmente a molteplici fattori, come, in primo luogo, il concepimento sempre più in là negli anni e la possibile esposizione, durante il periodo prenatale, a fattori ambientali come infezioni virali, e in secondo luogo, l’affinamento delle tecniche di diagnosi, che permette di riconoscere oggi come autismo quello che in passato era catalogato come generico ritardo mentale.
Secondo una ricerca condotta dal Censis, l’Italia è tra i paesi europei che destinano meno risorse alla protezione sociale delle persone con disabilità. La carenza di preparazione riguarda spesso scuole e terzo settore, troppe volte incapaci di prendersi carico delle persone autistiche, impedendo loro di avere pari opportunità educative e di sviluppo professionale.
Proprio sull’occupazione è focalizzata l’edizione del 2015, si stima che oltre l’80 per cento degli adulti affetti da autismo sia disoccupato.
Eppure le persone autistiche hanno un grande potenziale che può essere speso in ambito lavorativo. Per superare gli ostacoli sarebbe necessario sopperire alla carenza di formazione professionale, offrire un adeguato sostegno di inserimento lavorativo e, non ultimo, debellare una volta per tutte la discriminazione.In occasione della giornata vengono organizzati in tutto il mondo eventi, letture, incontri, convegni e mostre per sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica sull’autismo. Il colore dominante della giornata è il blu, si rinnova infatti la campagna mondiale “Light it up blue”, ideata dall’organizzazione internazionale Autism Speaks, che prevede di illuminare di blu i principali edifici delle città di tutto il mondo, come testimonianza della sensibilità nei confronti delle problematiche legate ai disturbi autistici.Nel corso delle scorse edizioni sono stati illuminati di blu, tra gli altri, l’Empire State Building di New York, il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, la grande piramide di Giza in Egitto e l’Arco di Costantino a Roma.
Anche l’arte può essere uno straordinario veicolo di integrazione sociale, culturale e di sostentamento, nonché fonte di autostima per i ragazzi autistici. Proprio su questo presupposto si basa la Fondazione ARCA, onlus che è riuscita a coniugare arte e autismo riuscendo ad avvicinare i ragazzi autistici alla musica, al disegno e alla lettura.
In occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo, Erickson presenta in anteprima il libro di Ellen Notbohm 10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi che dà voce ai bambini con disturbi dello spettro autistico. L’autrice, scrittrice e madre di un bambino con autismo, si mette nei panni e nella testa dei bambini che soffrono di questo disturbo, immaginando che siano loro stessi adire agli adulti le «10 cose» essenziali da tenere a mente. La promozione è interessante, oltre ad offrire lo sconto sul libro, da l’opportunità di acquistarne un secondo tra quelli in lista gratuitamente. A voi il link:
http://www.erickson.it/News/Pagine/Giornata-mondiale-per-la-consapevolezza-dell'autismo.aspx
Fonti:
http://www.lifegate.it/persone/news/il-2-aprile-e-la-giornata-mondiale-della-consapevolezza-dellautismo
http://www.censis.it/
http://www.erickson.it/News/Pagine/Giornata-mondiale-per-la-consapevolezza-dell'autismo.aspx
https://www.autismspeaks.org/liub
http://www.fondazionearca.org/wp/
#autismo#autism#2aprile#disabilità#censis#nazioni unite#integrazione#cultura#erickson#arte#educatore#pedagogia#educability#blog#occupazione#giornata mondiale sull'autismo
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autism problem #72
when a sound is driving you crazy and other people can’t even hear it
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La sessualità nella persona disabile
Quella che presenterò è una parte introduttiva della mia tesi di laurea, intitolata “AFFETTIVITÀ, SESSUALITÀ ED HANDICAP:la sfera affettiva come potenzialità della persona su cui lavorare.”
L’obiettivo era presentare un argomento poco trattato, ma secondo me molto attuale, sostenendo come lavorare anche sulla sfera sessuale ed affettiva della persona disabile contribuisse a migliorare la sua relazione con se stessa, con gli altri, e con il mondo esterno. Ovviamente non pretendo assolutamente di essere totalmente esaustivo, ma spero almeno di stimolare la curiosità di qualcuno nell’informarsi, che sia un professionista, o meno.
Le ricerche fatte sono state aiutate in gran parte dalla possibilità data durante il tirocinio di partecipare ad un convegno organizzato dalla “Cooperativa Solidarietà[1]” di Treviso riguardante il tema della sessualità. L’esperta convocata come relatrice è stata la dottoressa Teresa Rando, psicologa e psicoterapeuta, con formazione in sessuologia, operante attualmente al consultorio familiare di Treviso. Ci tengo a ringraziarla perché oltre ad essere stata un riferimento importante nello scrivere questa tesi, in seguito alla sua lectio magistralis, è stata molto disponibile nel consigliarmi letture risultate fondamentali per svolgere il tema che mi ero prefissato, un tema delicato, causa di disagio e sofferenza per alcune famiglie ma causa anche di nuove possibilità di conoscenza, di emozioni, di relazione, di libertà.
Parlando di sessualità nella disabilità, André Dupras, professore e ricercatore presso il dipartimento di sessuologia dell’università del Québec a Montréal, ha evidenziato due modelli che orientano le pratiche: «il modello naturale induce alla desessualizzazione […]: tramite regole e restrizioni severe, si riducono il più possibile le espressioni della vita sessuale e si postula che essa non abbia né senso né futuro. Si pensa che valga la pena dimenticarla. Il modello culturale contesta qualsiasi forma di oppressione della vita sessuale. Tramite l’educazione, favorisce la sua realizzazione come componente positiva della vita di ciascuno e ciò significa che fa nascere, rende possibile, sviluppa e mantiene una sessualità di qualità[2].»
Lavorare sulla sessualità della persona acquista un’importanza rilevante, nonostante sia un argomento temuto e taciuto dalle famiglie, a volte addirittura negato, perché di difficile gestione, potendo provocare vergogna, entrando nell’intimo della sfera familiare. Riferendosi a Veglia[3] possiamo dire che è il tempo di «dare voce al loro desiderio e restituire carezze alle loro mani[4]», uscire dalla clandestinità per raccontarsi, permettendo loro la maggior autonomia possibile e quindi la possibilità di determinare la propria vita, di orientare le proprie scelte ed eventualmente di condividere con qualcuno, anche nell'intimità, sentimenti, storie, significati. Abbiamo la possibilità di svolgere un lavoro che favorisca percorsi di crescita del sapere, delle competenze, del saper fare ma soprattutto del saper essere, garantendo la piena espressione della persona con handicap, che altrimenti non avrebbe altro modo per farlo. Affrontando il tema della sessualità, è naturale imbattersi in due realtà differenti, quella della sessualità, che suggerisce una prima rappresentazione che implica espansione, piacere, comunicazione, evoluzione, contro quella che ci induce ad attribuire al deficit il significato di finitezza, di malattia, di dolore, di incomprensione, di diversità, di ferita, dunque di limite. Da un lato l’uscita, dall’altro il limite. Sembrano due realtà inconciliabili, due parole difficili da mettere insieme. Dobbiamo porci nella condizione di riconoscere al disabile gli stessi diritti riservati ai normodotati coinvolgendoci come educatori a farci carico della miglior realizzazione possibile di un atto normalizzante. Attraverso tutte le facilitazioni previste di superamento di difficoltà di apprendimento, possiamo realmente insegnare ciò di cui spesso non osiamo neppure parlare, tenendo conto dei profondi e diffusi cambiamenti culturali e alcuni ripensamenti in ambito etico e giuridico, il tema della morale, il tema della legge.
La sessualità è stata per molto tempo la sola dimensione sistematicamente esclusa dai progetti educativi rivolti ai portatori di disabilità, come se l’attenzione che si pone nel linguaggio quando ci si riferisce a persone diversamente abili comprendesse anche l’aspetto della sessualità. La disabilità fisica e mentale invece non comportano alcun tipo di inibizione del desiderio, che anzi proprio a causa della sua continua negazione diventa un bisogno esasperante.
Ora che l’atteggiamento pedagogico-culturale sembra essere maturato, portando in primo piano l’integrazione e la ricerca dell’autonomia, possiamo pensare di maturare anche la visione dell’aspetto relazionale, superando i preconcetti che vedono il disabile eterno bambino, un angelo asessuato, incapace di amare.
«Da sempre la persona con disabilità viene considerata asessuata. Non siamo né uomini né donne, non cresciamo, non abbiamo età, non abbiamo sesso. Siamo solamente 'i ragazzi'. La disabilità è uno status di vita, non è soltanto una malattia come invece vogliono considerarla in molti». [5] Risulta più facile contenere, sopprimere un comportamento che ci mette a disagio, piuttosto che provare a comprenderlo per dare la possibilità di incrementare la loro autonomia.
«Le azioni educative si fondano su una concezione negativa della vita sessuale. Le pratiche che vengono messe in atto negli istituti specializzati che accolgono gli adulti con ritardo mentale dimostrano che la sessualità è praticamente vietata. La loro vita affettiva non viene realmente considerata. Le istituzioni sembrano ancora impermeabili alle evoluzioni sociali e in esse né il movimento di liberazione sessuale né l’introduzione del principio della mescolanza tra i sessi hanno modificato lo statuto della sessualità.[6]»
Come per tutti gli altri comportamenti dell'essere umano, anche quello sessuale è in gran parte appreso e oggetto di educazione. Il comportamento sessuale del disabile può essere ostacolato nella sua realizzazione, ma l'attività biologica che lo innesta e lo orienta è nella maggior parte dei casi tra le più sane di tutto l'organismo, l'area che non è magari toccata dall'handicap. È concreta quindi la possibilità di agire un lavoro educativo su una sfera della persona meno attaccata dalla disabilità e più rilevante nelle esperienze assistenziali delle persone. Nell'handicap la sessualità esiste, e la persona può viverla, esprimerla, usarla, governarla se seguita ed educata. Per sessualità, non si intende la sola componente genitale, ma piuttosto si segue la definizione data nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che definisce la buona qualità della vita sessuale come un «processo continuo di benessere fisico, psicologico e socioculturale legato alla sessualità. Esso si manifesta tramite la capacità di esprimere la propria sessualità in modo responsabile e favorire il benessere sul piano personale e sociale, arricchendo la vita del singolo e della comunità, senza limitarsi all’essenza di disfunzioni, malattie o infermità. Per essere in grado di godere della salute sessuale, è necessario che i diritti di tutti siano riconosciuti e rispettati».
Tale nozione non rinvia a una condizione statica, ma si traduce in un processo dinamico, in quanto il benessere sessuale non è legato indissolubilmente a valori e pratiche immutabili. Essa riflette la natura complessa della sessualità, poiché favorisce l’equilibrio personale se viene goduta armoniosamente, e al contrario, se viene soffocata, ne provoca la decadenza. Questa nozione tende altresì alla normalizzazione, iscrivendosi in una prospettiva di autonomia che invita ad appropriarsi della propria sessualità e a conferirle un senso. È il prodotto di una stimolazione e non di una repressione e ha come obiettivo reale il riconoscimento per tutti, senza esclusioni, del diritto all’amore e al piacere dello spirito e del corpo.
Rappresenta pertanto la modalità globale di essere della persona nella rete delle sue relazioni con gli altri e con il mondo e pertanto come tale inizia con la vita stessa e si modella ed evolve lungo il percorso. La sessualità è anche un patrimonio personale che si intreccia nel corso della vita con lo sviluppo della conoscenza individuale reso possibile dall’esperienza, l’apprendimento, gli accadimenti, i molteplici significati attribuiti alla realtà. Attraverso i sensi e il corpo complessivamente inteso, la persona sviluppa potenzialità, espressioni, relazioni.
Il corpo è stato per molto tempo abbandonato a favore dell’intelletto, cercando di aumentare le capacità cognitive mentali attraverso una molteplicità di programmi educativi, come se fosse il lavoro sulla mente l’unica strada possibile da intraprendere; si può valorizzare invece la dimensione corporea perché la persona è certamente intelletto, ma anche corpo, sentimento, cuore, ma spesso nel caso del disabile ce ne dimentichiamo. Le esperienze date dal vivere l’amore, il piacere, non possono provenire solo dalla parola, dal linguaggio verbale, ma anche per il disabile come per il normodotato è possibile vivere la sessualità nell’amore in qualsiasi forma tacita, emozionale o imperscrutabile. Per arrivare a questo sono necessarie delle tappe di sviluppo, che si compiono normalmente nella vita di una persona, fin dall’età infantile, attraverso esperienze, errori, autocorrezioni. Per il disabile, la situazione è diversa, il suo sviluppo è svantaggiato dalle difficoltà di apprendimento del comprendere piuttosto che difficoltà fisiche, inoltre, molte esperienze significative gli sono precluse, certamente nell’intenzione di proteggere un figlio visto meno forte degli altri, ma comunque ciò causa una mancanza, che si fa sentire nello sviluppo successivo.
Questa situazione non è però scontata o inevitabile, con giusti accorgimenti nell’educazione durante il percorso di vita della persona disabile possiamo fare la differenza.
[1] http://solidarietatv.altervista.org/
[2] A. DUPRAS, La promotion de la qualité de vie sexuelle des personnes handicapées mentales vivant en istitution: une cadre de référence pour un projet éducatif, «Handicap, Revue de sciences humaines et sociales», n. 83, 1999, pp. 64-65
[3]Fabio Veglia, psicologo e psicoterapeuta, insegna Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale presso la facoltà di psicologia dell'Università di Torino.
[4]F. VEGLIA, Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza. Dal riconoscimento di un diritto al primo centro comunale di ascolto e consulenza, Franco Angeli, Milano, 2000
[5] Ileana Argentin, deputata Pd e attivista per la battaglia dei diritti dei disabili.
Fonte: G. FOSCHI, A. GUSSONI, La rivoluzione sessuale dei disabili, in «La Repubblica» (21.08.2014), «http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/08/21/news/assistenti_sessuali-94202789/»
[6] C. GARDOU, Diversità, vulnerabilità e handicap, per una nuova cultura della disabilità, Erickson, 2006, pag 73
#sessualità#educazione#educatori#Veglia#Rando#Dupras#pratiche#educazione sessuale#disabilità#handicap#potenzialità#limite#mancanza#amore#apprendimento#diritto#comportamento#riconoscimento#pedagogia#università#tesi#laurea#piacere#corpo#spirito#età#stimolazione#donne#uomini#ragazzi
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Amore, amicizia ed educazione: legati o no?
Quando pensiamo al rapporto educativo tra educatore ed educando, che idea ci facciamo?
Quante volte, all'educatore viene posta la domanda, "mi vuoi bene?"
Ecco, credo che a riguardo ci sia molto di cui parlare, ma al momento introduciamo l'argomento che magari approfondirò in seguito.
Amore ed amicizia, implicano un rapporto PARITARIO, in cui la relazione tra due persone è sullo stesso livello. Di conseguenza, anche il rapporto tra essi, sarà un interscambio di ugual valore, nel senso che premessa una capacità cognitiva e dialogica simile, uno non sarà superiore o inferiore all'altro, ma le decisioni e gli scambi avverranno "tra pari".
Prendiamo ora la situazione educatore-educando. Non possiamo negare che, come in un rapporto d'amicizia, ci sia uno scambio, che porta aspetti positivi a entrambe le parti. Possiamo riflettere forse, se quanto questo scambio, nell'amicizia, sia gratuito o interessato, e in questo secondo caso, quanto si possa parlare di amicizia. Notiamo però, come il rapporto non sia paritario, è ASIMMETRICO; ciò non significa che l'educatore detenga le chiavi della conoscenza e l'educando sia qualcuno che senza una guida non possa farcela da solo, facciamo attenzione a non cadere nella sindrome del super eroe. Significa che l'educatore, in base alle competenze acquisite ha un ruolo specifico nei confronti dell'educando. E no, non è quello di essergli amico, ne soprattutto di dimostrargli amore; è piuttosto quello di prendersi cura di lui.
La cura, questa parola, derivante dall'inglese "cure", ha un doppio significato, da non confondere: il primo, deriva dalla cura medica, il secondo, quello che mi interessa, è la cura educativa, empatica, che ascolta e guida, sorregge e tira fuori il meglio dalla persona.
Tornando alla domanda, amore, amicizia ed educazione sono legati? No, sono parole differenti attinenti ad aspetti relativamente importanti della vita di una persona, ma non sento di poter dare loro un legame.
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Un anno di vita in meno di due minuti,
un anno in cui la vita di una bambina è cambiata completamente a causa della guerra.
"Solo perché non succede a voi, non significa che non stia accadendo ad altri nel mondo."
La fonte è Save The Chilndren, ve lo consiglio.
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ANEDDOTI alla Peterson
"Avevo 23 anni, avevo appena preso la mia seconda laurea a Michigan. Era Maggio/Giugno, i campionati erano finiti, mandai cento, mille curriculum in giro per gli Stati Uniti. Mi sentivo presuntuoso, avevo l'idea fissa che chi mi avesse contattato avrebbe avuto a che fare col migliore del mondo. Ma per mesi non mi ha mai chiamato nessuno. Poi, finalmente: "Peterson? Vorremmo offrirle il posto da allenatore della nostra High School." La verità? Me la stavo facendo addosso. Ero senza esperienza, pensavo che avremmo sofferto la zona, il pressing e che non avrei saputo cosa fare. Stavo impazzendo. Mando una lettera al Coach del mio liceo. "Coach, sono leggermente preoccupato... vorrei qualche consiglio, ecco."
Ho passato quei giorni a immaginarmi la sua risposta, mi arriva. "Caro Dan, il primo consiglio che ti voglio dare è quello di fare amicizia col custode della palestra. Chiedigli se fuma sigari, o sigarette. Non esiste un'ultima ruota del carro, nel basket fanno tutti parte della stessa squadra."
Sono rimasto fermo, senza parole. Niente zona, niente pressing: da lì ho capito che le questioni umane sono le più importanti, e quelle tecniche sono secondarie, anche per un allenatore. Ecco... peccato che lui fumasse i sigari. Costano tre volte tanto..."
- Dan Peterson -
Fonte: pagina Facebook "L'umiltà di chiamarsi Minors"
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JP Gibson, 5 anni. Grande tifoso dei Jazz, sta lottando per battere la leucemia. Intanto, mostra come lo sport possa essere veramente una bella cosa se fatta per gli altri. Si tratta di realizzare sogni, cambiare vite, con semplici gesti di bontà gratuita. Chapeau!
fonte: http://www.nba.com/jazz/news/jazz-sign-five-year-old-jp-gibson-scrimmage
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Come promesso eccoci qua!
Finalmente ho trovato un pò di tempo per fare il cambio di direzione da #basketismyway a #educability che avevo annunciato! Di nuovo operativi, se il lavoro non si trova, almeno impegnamoci a fare informazione!
S.
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Cambio Direzione
Buongiorno a tutti,
avviso che Basket is my way a breve cambierà nome e direzione. Questo non per mancanza di contenuti o cambio di interessi, ma per dare un nuovo senso al blog, che verterà sempre su temi sociali ed educativi, a cui proverò ad aggiungere qualche feedback sul tema dell'inclusione e della disabilità, parlando meno però dell'aspetto sportivo, a meno che non riguardi appunto metodi inclusivi.
A presto!
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La lotta alla discrimanzione passa dal web
USA- La campagna per la diversità e a favore dell’inclusione, va online e usa le “armi” più conosciute e utilizzate dai giovani, i social network. Nel quadro della campagna 2013, “Fai qualcosa per la Diversità e l’Inclusione”, la United Nations Alliance of Civilisations (UNAOC), in partenariato con l’UNESCO, ha lanciato un concorso video sul tema della della diversità e dell’inclusione. I partecipanti,provenienti da tutto il mondo, dovranno presentare video originali, postarli sulla proprio profilo facebook e taggare la pagina di “Do One Thing For Diversity and Inclusion”. I video potranno essere in tutte le lingue, naturalmente con i sottotitoli in inglese. I vincitori del concorso riceveranno un premio in denaro, ma soprattutto parteciperanno a una campagna che si propone di “aggredire” il web per combattere le discriminazioni di ogni genere.
Fonte: http://www.comunicareilsociale.com/2013/09/18/la-lotta-alla-discrimanzione-passa-dal-web/#sthash.ILYjFuyi.dpuf
#web#inclusione#diversità#social#network#concorso#diversity#Do One Thing For Diversity and Inclusion#campagna#UNAOC#UNESCO#basket in my way#comunicareilsociale#discriminazione
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Lettera da allenatori ad allievi
Treviso 28maggio 2013
Cari ragazzi ,
nel congedarci per la fine di questa stagione, noi allenatori volevamo salutarvi e ringraziarvi per quanto fatto durante l’anno agonistico , molto avaro di partite , ma comunque intenso negli allenamenti .
Per noi allenatori è stata un’esperienza molto gratificante e costruttiva, sia dal punto di vista agonistico che da quello umano .
Vi volevamo ringraziare per la vostra costanza nelle presenze agli allenamenti e , nonostante le poche partite , avervi quasi sempre tutti presenti; per noi allenatori , è stato un grande successo .
La nostra speranza è di avervi insegnato un po’ di basket , che vi potrà essere utile nei prossimi anni se continuerete a giocare, lo spirito di gruppo e il rispetto che è giusto dare ai compagni, agli avversari e all'allenatore (soprattutto) . Abbiamo creduto in voi, e voi in noi, e continueremo a farlo anche al di fuori della palestra. Il desiderio maggiore penso sia quello di avervi dato la possibilità di comprendere che potete diventare quello che volete, se solo ci credete e vi impegnate con costanza. Alcuni di voi sono partiti goffi, con la paura di tenere la palla troppo a lungo, senza la forza di arrivare al ferro nemmeno da tiro libero. Ammettiamolo, vi abbiamo fatto lavorare parecchio con tutta quella corsa, i suicidi, per non parlare di addominali e flessioni. E poi gli esercizi, e a questo punto ci tengo a ringraziare M. e M., che nonostante fossero più grandi si sono prestati ad allenarsi con noi, a giocare, fino quasi a seguirvi nella crescita che avete avuto quest’anno. Ora guardatevi dopo un anno: ve la giocate senza paura, accennate anche tiri da 3 punti, avete creato un legame che non termina usciti dal campo, ma continua in spogliatoio e spero anche fuori dalla palestra, ma cosa più importante, vi ho visti credere in voi stessi, arrabbiarvi se le cose non venivano come desideravate, spronare i compagni a fare di più. Siamo fieri di avervi allenati, di aver condiviso con voi il nostro tempo.
Un GRAZIE sentito a tutti voi .
I vostri allenatori 2012-13
Samuele e Claudio
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Tutti i ragazzi hanno bisogno di un piccolo aiuto, di una piccola speranza e di qualcuno che creda in loro. - Earvin "Magic" Johnson
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I momenti più esilaranti dell'NBA, non solo per rallegrare la giornata a chi lo guarderà, ma per ricordare a tutti che i grandi campioni son quelli che scherzano con se stessi e con gli altri, che investono parte del loro tempo per gli altri. Buona visione :)
Fonte: www.sportando.net
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