#massimo recalcati
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Noi siamo fatti anche da tutti i nostri innumerevoli morti, da tutte le perdite che hanno scavato nella nostra anima dei vuoti, da tutte le persone significative che abbiamo incontrato e poi perduto: maestri, amori che sono finiti, amici che abbiamo perso. Tutto quello che è stato e che non è più, che ha marchiato la nostra vita e si è perduto nel tempo, resta in qualche modo ancora qui perché lo portiamo dentro noi stessi.
- Massimo Recalcati
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La politica della demonizzazione morale dell’avversario ha sempre il fiato corto come dimostrano anche le recenti elezioni americane e, in un altro ordine di grandezza, il triste e fatale declino del Movimento 5 Stelle. Coloro che usano le parole come proiettili e come bastoni senza cogliere che in questo modo infrangono il fondamento più profondo della vita democratica, sono il vero terreno di coltura, politicamente trasversale, di ogni tipo di fascismo. Per questa ragione non ho mai sprecato il mio tempo per scrivere libri contro qualcuno o qualcosa, ma solo per qualcuno o per qualcosa. La destinazione ultima della parola non è mai la morte ma la vita.
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Mantieni il bacio: lezioni brevi sull’amore
-Massimo Recalcati
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Ero stato un bambino considerato idiota. Fui bocciato in seconda elementare perché giudicato incapace di apprendere. Quando parlo, cercando di insegnare qualcosa, è sempre a lui che mi rivolgo, al bambino idiota che sono stato. È per lui che riduco, sminuzzo, – mastico le cose sino all’osso. Nelle persone alle quali mi rivolgo mentre insegno, cerco sempre il volto annoiato e un po’ ebete del bambino che sono stato. Io parlo a lui che è il mio testimone. Distillo le parole, ripeto lo stesso concetto in forme leggermente differenziate, ci giro attorno, lo spremo come fosse un limone per provare a estrarne tutto il succo. Parlo a lui.
Massimo Recalcati - L' ora di lezione
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Perché la didattica autentica è sempre attraversata dal corpo, dalla pulsione, avendo come sua meta più alta la trasformazione degli oggetti del sapere in corpi erotici [...]. È solo l'amore - l'eros - col quale un insegnante investe il sapere a rendere quel sapere degno di interesse per i suoi allievi, a renderlo un oggetto capace di causare il desiderio.
Massimo Recalcati, L'ora di lezione
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"Di che cosa è fatta la vita umana? Noi siamo fatti delle parole che abbiamo incontrato, che ci hanno marchiato, ustionato, ferito, nominato. Portiamo nell’inconscio la traccia indelebile delle parole degli altri. Parole che, con Lacan, possono essere proiettili che crivellano la superficie della nostra esistenza – pensiamo a un insulto espresso da un genitore o da un insegnante - ma anche parole d’amore e di gioia.
Noi siamo fatti anche da tutti i nostri innumerevoli morti, da tutte le perdite che hanno scavato nella nostra anima dei vuoti, da tutte le persone significative che abbiamo incontrato e poi perduto: maestri, amori che sono finiti, amici che abbiamo perso. Tutto quello che è stato e che non è più, che ha marchiato la nostra vita e si è perduto nel tempo, resta in qualche modo ancora qui perché lo portiamo dentro noi stessi. Chiunque di noi è circondato da assenze presenti (...) A differenza di quanto accade per le altre forme di vita, vegetale e animale, nella forma umana della vita, la morte è sempre prematura, viene sempre troppo presto, in anticipo e innaturale, portando con sé una dimensione di atrocità e ingiustizia (...)
L’oggetto perduto, pur essendo assente, è ovunque, ingombra con la sua presenza la vita di un soggetto divenuto simile a qualcuno che frequenta una stazione ferroviaria in cui non passano più treni".
Lectio magistralis dello psicanalista e saggista Massimo Recalcati al cinema Astra di Parma in occasione del Festival "Il rumore del lutto".
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E se invece, diversamente da quello che pensa Freud, il lavoro del lutto non potesse mai compiersi definitivamente?
Se, in altre parole, ogni lavoro del lutto portasse con sè qualcosa di incompiuto, un resto, uno scarto, qualcosa che non si lascia affatto dimenticare?
Se, insomma, non esistesse alcuna possibilitá di cancellare la cicatrice melanconica che il trauma della perdita ha inciso in noi?
Esiste in noi la possibilità di una disposizione esistenziale capace di elaborare e integrare il negativo.
È il lavoro di un’opera di trasformazione, di generazione di valore, di riconfigurazione della forma del mondo.
Se il lutto resta senza lavoro, non c’è possibilità che esso giunga al suo termine.
La nostalgia cosí può aprirci sull'avvenire, a partire da una visitazione che viene dal passato.
È una nostalgia che esprime gratitudine.
È la nostalgia provocata dalla luce delle stelle morte.
Il ritorno del passato non genera in questo caso un ritorno conservativo a ciò che è stato, non genera nemmeno il desiderio del ritorno - perchè non c'è alcun luogo a cui ritornare - perchè il corpo celeste della stella è definitivamente morto - ma infonde una luce nuova, riattiva la promessa di un incontro che insiste, che non si spegne, che ci sprona a vivere con ancora piú vita.
Massimo Recalcati
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Ogni volta che c’è una separazione perdiamo anche una parte di noi stessi.
Siamo, appunto, se-partiti.
La difficoltà di digerire una separazione non è solo la difficoltà di rinunciare a chi amavamo, ma è anche quella di perdere una parte di noi stessi, quella parte che il nostro amore faceva esistere.
(Massimo Recalcati)
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"ogni volta l'amore ci salva dalla ferita del mondo"
recalcati è sempre illuminante!
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"Noi siamo fatti anche da tutti i nostri innumerevoli morti, da tutte le perdite che hanno scavato nella nostra anima dei vuoti, da tutte le persone significative che abbiamo incontrato e poi perduto: maestri, amori che sono finiti, amici che abbiamo perso.
Tutto quello che è stato e che non è più, che ha marchiato la nostra vita e si è perduto nel tempo, resta in qualche modo ancora qui perché lo portiamo dentro noi stessi."
Massimo Recalcati ha scritto questa ovvietà che condividi e sento profondamente dentro di me.
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È sempre così in fondo...
siamo sempre in ritardo
ma ancora in tempo...
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Deleuze per definire la gioia una volta propose un esempio apparentemente controintuitivo. Immaginiamo un uomo moribondo, senza più speranza di guarigione, esausto nel suo letto d’ospedale. E immaginiamo che in un certo istante un raggio di luce lo raggiunga. Ecco, commenta il filosofo, che cosa è la gioia. La gioia non è nulla più di questo incontro con un raggio di luce inatteso. Quest’uomo non è, in quel momento, compresso dal dolore, dedito alla preghiera, impegnato a fare il bilancio della propria vita. Piuttosto può vivere pienamente la semplice gioia di un raggio di luce. In quel momento egli fa tutto quello che può. Nasce ancora anche se solo per un solo istante. Ecco una lezione che potremmo trarre dal mito cristiano della nascita di Gesù. La vita umana diviene vita colma di gioia non quando raggiunge un ideale (impossibile) di felicità, ma quando fa tutto quello che può.
https://www.massimorecalcati.it/images/Documento_77.pdf
Massimo Recalcati, "La nascita di Gesù è la sfida della vita", La Repubblica, 23 dicembre 2023
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Promemoria per i docenti di ogni ordine e grado!
Massimo Recalcati, L’ora di lezione
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Generare un figlio non significa di per sé essere una madre o un padre.
Madre e padre si diventa attraverso un gesto infinitamente ripetuto di adozione simbolica della vita del figlio.
Questo significa che la cura non scaturisce dal sangue ma dal dono della cura, dalla pazienza e dal decentramento del proprio lo che fanno spazio alla vita del figlio.
Massimo Recalcati
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Staring - 5
In lasting loves, the first glance is followed by another first glance and so on. In this succession, the passage of time constantly renews the origin, the source from which the miracle of love has sprung.
(Massimo Recalcati)
Staring - masterlist
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti
TRACCE DI MONDO
Egon Schiele (1890 - 1918) è uno dei molti artisti banalmente interpretati da una critica “patografica” che riduce la libertà d’espressione a riflesso della psiche. Così, quest’originale e geniale pittore è stato inteso alla luce delle sue presunte turbe di uomo irrisolto, ossessionato dalle pulsioni, immerso in una soggettività patologica. Ha ragione Massimo Recalcati: letta in quest’ottica, l’arte diventa misera cosa. Ma qui, la sua critica a un forzato psicologismo e la sua visione dell’inconscio dell’opera, proposta d’origine lacaniana, non è sufficiente: conduce fino a una soglia e non l’attraversa. Non può varcarla. Scrive Lacan:
«Il reale è ciò che resiste al potere dell’interpretazione. Il reale non coincide con la realtà poiché la realtà tende a essere il velo che ricopre l’asperità scabrosa – «inemendabile» – del reale.»
La sensibilità, estrema, di un artista, corrisponde alla sua capacità di scorgere oltre la realtà delle cose: la sua personalità altro non è che l’espressione di un’epoca intrecciata con una storia personale, crogiolo vivente di molteplici fonti, variamente assorbite, costitutive di una dimensione culturale e sentimentale, infine stagliate su una tela. Anche se l’interpretazione artistica fosse cosciente, questo non implica l’emergere di stati profondi nei quali fonti misteriose abbiano messo radici. Scrivo nel mio “Sarà dipingere!”:
«L’urto lacaniano è un risveglio che tende ad annullare lo scenario artificioso dell’io: questo risveglio non è più una forma che riflette il soggetto ma un apparire concreto e insormontabile che in un tratto di colore o in un oggetto o in un luogo, rifondano la percezione, la svuotano per fare spazio all’imprevedibile.»
Proseguendo, nello stesso testo aggiungo:
«La parola manca. Ma non all’arte. Che possiede il fragore di un fulmine muto. Non risponde alla domanda. Ma rende “visibile” il “pensabile”. Un pensabile vagheggiato nel processo creativo e che, poi, all’improvviso, appare. Ed ecco la ragione di un inconscio dell’opera che trascende l’autore. Di qui, il motivo per il quale un’opera d’arte, un dipinto, una poesia, è un enigma che non si lascia mai spiegare fino in fondo, ma può solo essere compreso, solo interpretato. Entro un limite invalicabile. Come il punto ombelicale di un sogno che lo stesso Freud volle risarcire di una muta barriera che nessun acume può violare.»
Se tutto questo è vero, allora neanche Schiele, pur conducendo l’osservatore sul culmine della soglia, può accompagnarlo oltre. Ma lo lascia attonito al cospetto di una visione sostenibile per tracce: “Il cieco”, tela del 1913 (collezione privata) recupera una rappresentazione simbolica di straordinaria inventiva: la figura di un essere umano senza la vista intorno al quale sorge l’immaginario infinito della sua mente, la proiezione di forme create dal tatto, dall’odorato, dal gusto, dall’udito. Immagini interpretate, vissute come analogia di memorie conservate, intrise di una sensualità più acuta, di una percezione più complessa. Tracce di mondo. Di un mondo nascosto. Impetuose e tragiche per l’anelito a una visione impossibile. “Il cieco” reclina il capo. Come ciascuno di noi di fronte alla soglia che ci separa dal mistero.
- In copertina: Maria Casalanguida, “Nulla dies sine linea”, 2010, collezione privata
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