#ultimo angolo di mondo finito
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+ CRYSTAL CASTLES +
I Crystal Castels sono uno dei gruppi più influenti della nostra epoca. Il gruppo è formato da due persone Alice Glass e Etah Kath, canadesi di Toronto. Anzi, in realtà ora il gruppo è formato da Ethan Kath (Claudio Palmieri all’anagrafe) e dalla cantante Edith Frances. Aspetta, proviamo a fare un pò di chiarezza.
Nel freddo inverno del 2003 Ethan, ex batterista di una band anarcopunk chiamata Jakarta e poi frontman della band garage metal Kïll Cheerleadër. Ha ventiquattro anni e sembra aver trovato la strada del successo col suo ultimo gruppo, un duo folk con un suo amico, il quale però muore, lasciandolo solo. Ethan diventa un personaggio oscuro, schivo, a cui piace andare a far serata nei postacci, nei locali punk e nei centri sociali occupati di Toronto; ha ventiquattro anni e le sottoculture lo intrigano, in qualche modo ne fa parte.
In aprile del 2005, Ethan finisce in un centro sociale occupato e nota un gruppo di sole donne, assurdo, chiamato Fetus Fatale. La cantante, una 15 enne bellissima e fuori di testa lo ipnotizza. Si muove come una pazza scatenata, ha un viso angelico, la sua bellezza è irrequieta. Ethan probabilmente è una persona orribile, ma è anche un tizio sveglio, molto sveglio; connette i puntini nel suo cervello e finito il concerto va a parlare con questa ragazza, si chiama Alice Glass.
Alice è scappata di casa e vive nel centro sociale squottato dove è appena avvenuto il concerto. Ethan chiede alla ragazza se ha voglia di ascoltare il cd con le sue cinque tracce e perchè no, provare a cantarci sopra. Alice canta e riconsegna il cd a Ethan, il quale scompare per un pò.
Ethan, non sapremo mai se senza pensarci su troppo o pensandoci in modo maniacale, prende uno dei pezzi e lo pubblica sul suo Myspace; dopo qualche giorno nella casella di posta elettronica ci sono delle case discografiche pronte a pubblicare i pezzi del duo.
Ci sarà anche una sesta canzone, chiamata Alice Practice, una traccia caotica e scomposta, disordinata, con la sua voce in loop, qualcosa di assurdo e innovativo. Alice stessa non sa nulla di questa traccia, viene registrata a sua insaputa mentre provava il suo microfono in sala di registrazione
Alice Pratictice sarà il primo singolo ufficiale, pubblicato da Merok Records.
I Crystal Castles sono ufficialmente nati. Vengono pubblicati due singoli di lancio nel 2007, Crimewave e Air War. Si tratta di due pezzi molto più lineari del precedente e che, pur rappresentando ancora una novità nel mondo della musica, sono decisamente più orecchiabili. Tutto il loro album di debutto (dal nome ononimo Crystal Castles) lo sarà, seppur alternando pezzi con sonorità più punk ad alcune più elettroniche.
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L’atmosfera dei Crystal Castles di allora è a lati giocosa a lati oscura. Il gruppo è ancora acerbo, ma il loro potenziale è esagerato. Il duo anche dal vivo è pazzesco, per via di Alice. Lei beve, fuma, salta, si droga, fa casino, si lancia sulle persone, sgomita, canta e impazzisce; lui è praticamente immobile e con il cappuccio dietro la sua tastiera, in un angolo. Lo stesso sarà nelle interviste, Ethan risponderà sempre a monosillabi, mentre sarà l’esagerazione di Alice a prevadere sul resto.
Nemmeno a dirlo Alice Glass diventerà un’icona di bellezza e di stile per molte persone delle sottoculture, nonchè verrà imitata e emulata (in modo più o meno riuscito) dai mondi del fashion, della moda e del pop (come sempre avviene, chi ha i soldi ed è rincoglionito acquista un giubbotto con 2 borchie per 1000 euro e pensa di essere proprio punk). Quello che non va dimenticato però è che, a prescindere da Alice come ragazza, i Crystal Castel sono stati i precursoni di molti sottogeneri musicali della musica elettronica, delineati da atmosfere cupe, testi oscui e canoniche di suono, oltre a sonorità punk e influenze dal mondo delle sottoculture più che dalla pop music: pensiamo al witch house, allo shoegaze, all’elettropunk e al deep electro, 8-bit terror, minkwave, chipcore, punk-death-glitch ad esempio. Senza di loro, molte band forse non sarebbero mai esistite.
Il secondo lavoro del gruppo, sempre omonimo, contiene delle vere e proprie perle. I testi iniziarono a essere un pò più cupi, e, anche se sempre un pò criptici, iniziarono a prendere linee marcate. In questo album tra l’altro la canzone Not in Love sarà cantata da Robert Smith dei The Cure. I Crystal Castles riuscivano a parlare di tematiche molto pesanti mantenendo la parvenza di gruppo orecchiabile, da grande festival per le masse. Chissà quanta gente ha ascoltato le loro canzoni senza capire che cazzo volevano dire, o quantomeno senza aver mai provato a leggere i testi. Servirebbero pagine e pagine solo per raccontare bene tutto ciò che si prova ascoltando l’intero album, ma non ho assolutamente voglia di farlo ora. Una canzone però è arrivato il momento di leggerla (e sentirla). è una delle mie preferite e vi consiglio di ascoltarla a volume alto.
Will you ever preserve will you ever exhume Will you watch petals she'd from flowers in bloom Nothing can live up to promise Nothing can stop it's…
Crystal Castels - Transgender
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La stessa Alice iniziò a risultare sempre più cupa, sempre più oscura. Era cresciuta in fretta, come artista e come donna. Da un’intervista fatta da Niall O'Keeffe nel 2008, capo di una rivista inglese di musica si parla di Alice come di una ragazza timida e sottomessa a Ethan, che parla di rado se non è lui a parlare per lei, che esegue i comandi di Ethan. Insomma, Alice non è anche nella vita del backstage la stessa ragazza che salta, fa casino, urla e si esalta lanciandosi sulla gente che è sul palco.
La loro musica è calda e intima, seppure cupa e triste, nonostante rimanga ballabile e dance ad un ascolto superficiale. La semplificazione di suoni e la ripetitività fanno da sfondo alla voce di Alice. Lo stile dark fa parte di Alice, emulata da molte ragazze che ne colgono il fascino, e il tutto sembra autentico. Siamo abituati a pensare che anche chi si atteggia in un certo modo lo fa per fare il personaggio o la rockstar. Siamo così abituati a crearci dei personaggi e a recitarli che pensiamo che questa sia la normalità.
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A marzo 2012 il gruppo lancia il primo singolo del terzo album, anche questo omonimo (Crystal Castles III). Si intitola “pleague” ovvero “peste”.
Il loro terzo album è assolutamente cupo, reale, e distopico. Non vengono utilizzati computer, tutto è registrato direttamente su nastro. Parla di orrori, di problemi reali che affliggono il mondo, della oppressione religiosa e della violenza sulle donne. L’oppressione è il tema principale del lavoro, nelle stessa parole della cantante, allora ventiquattrenne.
Alcuni pezzi sono da pelle d’oca. L’intero lavoro è allucinante. A prescindere dal genere che ognuno di noi ascolta, alcune delle loro canzoni andrebbero ascoltate. Tipo, checazzoneso, Sad Eyes
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Immagino che nessuno sia arrivato a leggere fino qui. Lo so, è venuto troppo lungo, ma così è andata. Fatto sta che la svolta più assurda di tutto avviene proprio ora. Nel 2014 Alice decide di lasciare la band. Silenzio per 3 anni.
Nel 2017 Alice dichiara al mondo una notizia shock. Accusa Ethan di averla violentata e di aver avuto sesso non consensuale con lei.
Come qualcuno di voi saprà, mi sono aperta riguardo le mie esperienze con l’abuso in passato. Sono stata molto cauta sulle informazioni che ho dato e non ho reso pubblico nessun nome perché avevo paura. sono stata minacciata e molestata e come risultato, per paura, sono stata zitta. Il movimento che è stato creato recentemente da molte donne coraggiose che si sono aperte riguardo le loro storiemi hanno ispirata ad essere finalmente più diretta, costi quel che costi. Questo per la mia ripresa, per le altre donne che sono state, sono, o potranno essere in una situazione simile con l’uomo che ha abusato di me per anni, e per quelle che si trovano in relazioni violente e stanno provando ad alzarsi in piedi e parlare. Ho conosciuto “Ethan Kath” (Claudio Palmieri) quando ero al liceo. La prima volta che si è approfittato di me avevo circa 15 anni. Lui ne aveva 10 di più. Sono salita nel retro della sua macchina molto ubriaca (per i drink che mi aveva dato lui quella sera). Non abbiamo parlato per mesi dopo quella notte. Ha fatto di tutto per ritrovarmi, mi ha stalkerato e cercato davanti alla scuola. Mi seguiva e andava nei posti che frequentavo e alla fine siamo tornati in contatto. Ero molto giovane e ingenua e in una posizione compromessa. Lo percepivo come una rockstar locale perché avevo visto la sua band, i Kill Cheerleader, in tv. A molte mie amiche della scena punk era successa la stessa cosa con uomini molto più grandi, era una situazione che era diventata normale. Claudio mi ha manipolata. Ha capito le mie insicurezze e le ha sfruttate: ha usato le cose che sapeva su di me contro di me. Per molti mesi, mi ha dato droghe e alcol e ha fatto sesso con me in una stanza abbandonata in un appartamento di cui si occupava. Non ero sempre consenziente e lui rimaneva sobrio ogni volta che eravamo insieme. Quando avevo 16 o 17 anni mi ha dato un cd con delle canzoni e mi ha chiesto di scrivere e cantarci sopra. Ho portato a casa le canzoni e ho scritto testi e melodie e abbiamo registrato le tracce che mi piacevano. Ma perfino con la musica, ha creato un ambiente tossico a cui sentivo di dover acconsentire. mentre registravamo il nostro primo EP, il tecnico del suono mi ha molestata sessualmente quando eravamo in studio. Claudio ha riso di me e mi ha spinto a starci. Chiamava il nostro primo singolo “L’esercizio di Alice” e diceva che il mio cantato era una prova-microfono. Ha costruito quella storia e detto alla stampa che era una registrazione “accidentale”, sminuendo intenzionalmente il mio ruolo nella creazione. Era un altro modo per buttarmi giù e prendermi di mira per le mie insicurezze. Subito dopo, siamo stati invitati a fare un tour in Inghilterra. Ero sopraffatta da quanto stesse succedendo tutto velocemente, e Claudio mi ha convinta a mollare la scuola quando mi mancavano solo due crediti per il diploma. Quando abbiamo cominciato a guadagnarci dell’attenzione, ha cominciato a mirare offensivamente e sistematicamente alle mie insicurezze e a controllare i miei comportamenti: le mie abitudini alimentari, con chi potevo parlare, dove potevo andare, cosa potevo dire in pubblico, cosa potevo indossare. Non potevo fare interviste o foto se c’era lui a controllare. La nostra fama cresceva ma lui sentiva di non avere il riconoscimento che si meritava. È diventato fisicamente violento. Mi ha tenuto su una scala minacciando di buttarmi giù. Mi ha preso in spalla e lanciato sul cemento. Ha fatto foto dei miei lividi e li ha postati online. Ho provato ad andarmene, e lui ha giurato che non sarebbe successo più, che non mi avrebbe più fatto del male fisico. In compenso si sono inasprite le violenze psicologiche ed emotive. Controllava tutto quello che facevo. Non potevo avere il mio telefono o la mia carta di credito, decideva che erano i miei amici, leggeva le mie email, metteva restrizioni ai miei account social, controllava quello che mangiavo. Mi rimproverava e gridava, mi diceva che ero una barzelletta, che tutti quelli che venivano ai nostri concerti erano interessati solo a quello che suonava lui e che stavo rovinando la band. Ha spaccato lo sportello della doccia per spaventarmi, mi chiudeva nelle stanze. Mi diceva che il mio femminismo faceva di me un bersaglio per gli stupratori e che solo lui poteva proteggermi. Mi costringeva a fare sesso con lui altrimenti, diceva, non mi avrebbe più permesso di far parte della band. Ero infelice e i miei testi parlavano indirettamente del dolore e dell’oppressione che stavo sopportando. Ma come succede talvolta nelle relazioni violente, la sua crudeltà era spesso seguita dalla gentilezza. Era molto bravo a tenere nel privato il trattamento terribile che mi riservava. Era affascinante qualche volta, era iperprotettivo e soprattutto io amavo la band. Ma lui spesso mi diceva quanto fossi sostituibile. Mi ha detto perfino che stava attivamente cercando qualcuno per prendere il mio posto. Mi manteneva nell’insicurezza e in bilico, e poi mi diceva che lui era l’unica persona al mondo a credere in me. Mi diceva che eravamo noi contro tutti, perché tutti gli altri erano pensavano che io fossi una sfigata, una barzelletta, un pagliaccio che ballava senza talento. Io gli credevo. Sono stata sull’orlo del suicidio per anni. Lasciare i Crystal Castles è stata la decisione più difficile che io abbia mai preso – la band era tutto per me. La mia musica, le mie performance e i miei fan erano tutto quello che avevo al mondo. Ho mollato e ricominciato daccapo non perché lo volessi ma perché dovevo farlo. Per quanto fosse difficile, sapevo che andarmene era la decisione migliore che avessi mai preso. Mi ci sono voluti anni per riprendermi da quasi un decennio di abusi, manipolazione e controllo psicologico. Mi sto ancora riprendendo.
Fine della storia? No. Il gruppo Crystal Castles è ancora attivo. Ethan ha rimpiazzato Alice con Edith Frances, la nuova cantante. Hanno tirato fuori delle canzoni molto fighe, ma, a tutti gli effetti, la nuova cantante è il fantoccio di Alice, sia da un punto sonoro che estetico. Il lavoro però, ripeto, spacca. Probabilmente Ethan è un cazzo di mostro orribile, ma che sia un genio della musica è assolutamente un dato certo.
Riguardo Alice ha iniziato una carriera da solista. Se mi chiedete come è il suo lavoro da solista, a me, personalmente, fa schifo. Altro da dire? Ci sarebbero un mucchio di cose, ma è notte fonda. Io mi ascolto la loro canzone preferita e me ne vado a dormire.
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"L’ultimo angolo di mondo finito" di Giovanni Agnoloni ci avverte: "Lasciate ogni speranza voi ch’entrate in Rete!"
“L’ultimo angolo di mondo finito” di Giovanni Agnoloni ci avverte: “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate in Rete!”
L’ultimo angolo di mondo finito Lasciate ogni speranza voi ch’entrate in Rete! GIOVANNI AGNOLONI
Iannozzi Giuseppe
Per chi più, per chi meno, la vita è anche in Rete, su Internet: affari commerciali, comunicazioni e informazioni, arte e cultura, lavoro, relazioni personali, trovano nello spazio virtuale una loro precisa collocazione e fruizione. Checché se ne dica, la società moderna è, almeno…
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Banana fish - Ep 24 - Fine
Io non ci credo che sto piangendo davanti al computer come una scema. Il mio cinismo è andato a nascondersi in un angolo e piange a dirotto tutte le sue lacrime. Sono stati 30 minuti di emozione, e non c'è stato un solo secondo in cui il mio cuore non abbia battuto per qualcosa, che fosse paura, gioia, terrore, rabbia, sollievo, tenerezza, amore. Ed anzi avevo letto che i minuti sarebbero stati 40, credo che da una cosa del genere ne sarei uscita con una crisi isterica. Ma procediamo col commentone della puntata, adesso mi ricompongo un attimo...o almeno ci provo. Quel bastardo di Fox ha sparato a Golzine, io lo davo per spacciato ma a quanto pare è ancora vivo e vigile a quello che gli accade attorno. Subito dopo i colpi di pistola le saracinesche vengono chiuse ed Ash resta privo di supporto da parte dei compari che erano rimasti fuori un momento a fumarsi una sigaretta ed avevano fatto entrare Ash da solo, perchè, dai, cosa può succedere di storto, restiamocene tutti e 120 quanto la briscola qua fuori, così diamo ad Ash i suoi spazi...boh. Ma i compari rimasti fuori vengono attaccati da una truppa ai comandi di Fox, che a quanto pare era già appostata lì ed aspettava solo la chiusura delle saracinesche per svuotare sui compari i loro proiettili. Fox se la ride all'interno della struttura, con Ash sotto il suo scarpone (devi morire malissimo) e Golzine che non può fare niente, mentre arriva il dottor Mannerheim che aveva tutti i dati sulla droga e resta di sasso alla vista di Golzine per terra ferito. Adesso il capo è ufficiosamente Fox, ed ufficialmente Ash, che sarà sostanzialmente il burattino nonchè prostituta di Fox (che deve morire malissimo). Ash viene quindi portato all'elicottero, ed in teoria è narcotizzato, ma figuriamoci se si fa fregare da una cosa del genere il nostro biondo, ed appena resta solo col soldato di guardia lo tramortisce e si nasconde. Nel frattempo Blanca lì fuori ha preso in mano la situazione, ed ha detto a tutti di pensare ai prigionieri e poi scappare, lui penserà ad Ash. Sing affida i suoi uomini a Cain e segue Blanca, aiutandolo a sgominare le varie bande di soldati che si trovano davanti. La scena del condotto di aerazione è una piccola perla, in effetti pure io vedendo quella cosetta mi ero chiesta in che modo Blanca ci sarebbe passato senza tagliarsi metà corpo, le dimensioni sono importanti ma non sempre, ricordiamolo. Il piano di Fox (quello che deve morire malissimo), e cioè quello di portarsi valigetta coi dati, Ash e dottore via elicottero e dare fuoco a tutta la struttura non sta funzionando, perchè il codice di accesso al sistema è stato manomesso e non risponde più ai comandi. E' opera di Golzine, che seriamente nessuno ha pensato di sorvegliare dato che era ancora vivo, e con due bei buchi sul petto non avendo niente da fare se ne va a zonzo per il centro a manomettere codici, che vuoi che sia. Nel frattempo i compari sono arrivati nell'area in cui sono tenuti i prigionieri, e stanno facendo una bella sparatoria contro il battaglione che era appostato lì. Jessica, in quanto donna, sa bene quando una causa è persa e lascia stare le armi, semplicemente lancia una bomba contro i soldati e prende a colpi di proiettile il pannello che teneva chiuse le porte, perchè noi donne siamo così, tenere e delicate. Segue rimpatriata nel corridoio come se fossimo ad un happy hour e Max che chiede a Jessica di sposarlo di nuovo...teneri questi due. Blanca e Sing sono sbucati fuori dal condotto di aerazione, o per meglio dire Sing è uscito, Blanca sta incontrando dei problemi tecnici, la programmazione riprenderà tra poco. Il dottore che ha ancora la valigetta viene intercettato da Ash, che lo porta con se lungo una struttura in costruzione, penso verso l'uscita, ma viene bloccato da Fox (che deve morire malissimo) che spara al dottore e da un elicottero con all'interno un mitra che fa fuoco. Blanca e Sing sono arrivati anche loro all'interno del complesso in costruzione, e Blanca sfodera le sue doti da cecchino usando Sing come sostegno per il fucile, alla Bard l'arciere style, colpendo il pilota dell'elicottero. Blanca sei tutti noi. Segue combattimento contro Fox (devi morire malissimo) con la prima opening di sottofondo e Sing che ha trovato la valigetta ma viene sbalzato via dall'esplosione dell'elicottero che si schianta contro l'edificio. I due continuano a combattere e quell'infame di Fox infilza la spalla di Ash con un coltello, ma il biondo si trova a portata di mano un avvitatore, pensa se era scarico, e lo infila nel fianco a quello stronzo fino a fargli perdere i sensi. Ash si rialza quindi e va ad aiutare Sing che sta per cadere dalla soletta, e gli dice di lasciare andare la valigetta con un'espressione che mi ha letteralmente sciolto il cuore. Ma quel gran figlio di sua madre di Fox non ne ha avute abbastanza e punta la pistola ad Ash, ma viene colpito alla testa da niente popò di meno che da Golzine, che con quei soliti buchi al petto è riuscito a salire non so quanti piani di scale di un edificio in costruzione. Ma non fa niente Golzine, ti perdoniamo per questo nonsense dato che hai fatto fuori quella carogna di Fox (che non è morto proprio malissimo ma è comunque morto, accontentiamoci). E Golzine, dopo un ultimo sguardo ad Ash, uno sguardo colmo di orgoglio, affetto, per non dire amore, certo un amore malato ma pur sempre amore, verso quella creatura che guardava da sempre con ammirazione e smania di controllo ma che non riusciva a domare e che l'affascinava per questo, si lascia andare e cade di sotto tra le fiamme. Blanca interrompe la conversazione tra Ash e Sing, che come abbiamo già capito, non ha mai voluto affrontare seriamente Ash, l'ha sempre ammirato anzi, così come ha sempre ammirato Shorter, e la scena cambia. E venuta fuori la storia degli scandali sessuali nella quale erano invischiati funzionari del governo, e questo sta facendo alzare un gran polverone, ma di banana fish non si dice niente, anche perchè non è rimasto niente, quindi sarebbe una denuncia vana. Andiamo da Eiji in ospedale, triste come non mai perchè Ash non si è fatto vedere e lui parte l'indomani, ma sa benissimo che è perchè non vuole più coinvolgerlo nel suo mondo di faide tra bande e morti ammazzati, sa che è per la sua sicurezza che Ash non sta cercando in qualche modo di mettersi in contatto con lui ma di certo non può prenderla con filosofia dopo tutto quello che hanno passato insieme. Un'ultima visita a Yut Lung, che dopo quello che è successo ad Eiji non ha più agito, forse perchè Blanca l'ha fatto ragionare, forse perchè non gli importava più niente, sta di fatto che ora sta lì tutto il tempo a "morire di noia e a bere". Arriva Sing a parlare con lui, ed a metterlo davanti all'evidenza, cioè al semplice fatto che era geloso di quello che aveva trovato Ash con Eiji, ma anche che Sing non detesta Yut Lung, non potrà perdonarlo per aver convinto alcuni suoi uomini ad attaccare Eiji, ma è disponibile a collaborare con lui perchè è di questo che Yut Lung ha bisogno, qualcuno che lo aiuti e che sia sincero con lui, e Sing è disposto a dargli tutto questo, anche perchè Chinatown con tutto quello che è successo adesso è troppo pericolosa, e solo l'autorità dei Lee, la famiglia di Yut Lung, può sistemare questo problema. Sing si dimostra ancora una volta più maturo dei suoi 14 anni, ma ci torneremo. Blanca è al parco che legge Hemingway, al solito, e vede sedersi accanto a lui Ash, che gli da i soldi che avevano stabilito per contratto, una promessa è pur sempre una promessa. Ash ammette che Blanca aveva ragione, non doveva permettere ad Eiji di stargli accanto, ma Ash non ha potuto farne a meno, quella purezza e quella tenerezza, quell'onestà e supporto avevano avvolto Ash e lo avevano fatto sentire completo, per usare le sue parole, ma così facendo lo aveva esposto a troppi rischi, quindi è meglio così. Tutto sembra essere finito, e bene anche, ma mancano ancora 10 minuti alla fine e io ho paura. Eiji è pronto per uscire dall'ospedale e riceve la visita di Sing, stupito che Ash non si sia fatto vedere, ma onestamente nessuno sa dove sia finito quel birbantello. Eiji ha un flash, Ash deve essere in biblioteca, è quel posto che raggiunge ogni volta che vuole rasserenarsi, e da a Sing una lettera da consegnare ad Ash. Sing quindi assume il ruolo di piccione viaggiatore e trova Ash in biblioteca, e lo copre di insulti per non essere andato da Eiji, ma Ash ha ragione, vuole che Eiji se ne vada da questo mondo e che torni alla sua serena vita dove non devi girare con la pistola al fianco per essere tranquillo. La lettera di Eiji, piena di affetto, tenerezza, nostalgia e comprensione, fa però cambiare idea ad Ash, che corre via per andare all'aeroporto, ma un tizio incappucciato gli sbarra la strada e prima che se ne possa accorgere lo ferisce al fianco in modo grave. Parte un colpo di pistola, e l'aggressore cade a terra, rivelandoci di essere Lao, che non aveva accettato l'atteggiamento di Sing nei confronti di Ash, per lui il biondo la doveva pagare per Shorter e non era altri che un mostro che si ergeva sopra tutti con la sua intelligenza. Ed a questo punto continuo a chiedermi perchè Ash non abbia fatto dire la verità a Sing su Shorter, molte cose sarebbero andate diversamente. Eiji è all'aeroporto, ed i ragazzi della banda tra cui Sing sono venuti a salutarlo con tanto di peluche. "Ash dice che vi rivedrete!" urla Sing, e noi cominciamo a piangere perchè potranno rivedersi solo nell'altra vita, perchè Ash, ferito gravemente, è tornato nella biblioteca trascinando i piedi e sedendosi continua a leggere la lettera di Eiji. Cazzo vai in ospedale, avverti qualcuno, è una ferita curabile e tu te ne stai lì a morire come uno scemo. La fine arriva così, leggera, morbida, delicata, per Eiji che ha la certezza di rivedere Ash prima o poi, e per Ash che muore sui sentimenti che Eiji ha convertito in parole per lui, regalandoci insieme gioia e dolore, perchè Ash è finalmente in pace dopo il mondo di violenza e crudeltà nel quale aveva vissuto fin da piccolo ed il dolore che aveva sperimentato a causa di chi voleva dominarlo. Ha smesso di combattere, di stare costantemente in guardia, di chiudere il proprio cuore a chiunque gli si avvicinava, come un gatto randagio che davanti ad un piatto di latte rigeneratore scappa via perchè non conosce la gentilezza. Vuole morire così, dopo essere stato amato e considerato da una persona che ha sfondato la sua armatura costruita in anni ed anni di sofferenza, e che l'ha affatto sentire, come già detto, completo. Io sono provata, quest'ultimo episodio non è stato da meno di tutti gli altri, è stata una serie che non ha mai deluso le aspettative, non c'è mai stato un momento in cui ho storto il naso in modo serio se non per piccole cose e la caratterizzazione dei personaggi è stata abbastanza soddisfacente. Ho letto di trame che nel manga ci sono ma che qui non sono state trattate, ma naturalmente nella trasposizione animata qualcosa deve per forza essere tagliata, e nonostante questo, parlando da persona che non ha letto il manga, non ho mai avuto la sensazione di non capire gli intrecci e le dinamiche, il tempo è stato gestito bene così come l'alternanza tra scene d'azione e di dialoghi, e quei momenti in cui Ash ed Eiji erano soli, anche ad insultarsi l'un l'altro, regalavano il batticuore. Forse il concept di Ash che viene catturato-poi si libera-poi viene ricatturato-poi si libera di nuovo e via dicendo, nel complesso può risultare ridondante, ma è una sensazione minima che non rovina la visione nel suo complesso ed in ogni situazione c'è sempre una serie di elementi che le rendono una diversa dall'altra. Mi è piaciuta anche l'evoluzione di certi personaggi, in particolar modo quella di Sing, che ammette i suoi errori e se ne assume la responsabilità, capisce di non essere all'altezza di Ash ma non lo ostacola come farebbe un Arthur qualunque, bensì gli fa da supporto e si unisce a lui perchè sa distinguere un mostro da chi non lo è, ed arriva perfino ad offrire la sua collaborazione a Yut Lung pur di riportare la pace a Chinatown; ed anche il rapporto tra Ash e Golzine, nonostante la sua percentuale molto alta di amore malato e non corrisposto, ha portato alla fine alla realizzazione per Ash dell'attaccamento che quest'uomo aveva per lui, tanto che il suo ultimo gesto è stato quello di salvargli la vita. Sono tutti elementi questi che non possono essere catalogati come buoni o malvagi, parlano di tematiche complesse, esplorano per quello che possono l'animo umano e ti fanno rimanere in contraddizione con te stessa. Sono molto soddisfatta di quest'anime, i disegni, i colori, le atmosfere sono stati un altro elemento che mi hanno guidato in questi 24 episodi e che non mi hanno mai deluso. Confido un giorno di poter leggere il manga, è una storia che mi ha emozionato tanto e merita di essere comprata e letta da tutti. Chiudo qui che il papiro è lunghissimo, al prossimo anime! -sand-
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Notte prima degli esami ..
Sarà che forse ieri sera ho mangiato pesante, sarà forse che la mia di notte prima degli esami è passata da un bel po, eppure la ricordo ancora bene.
Ricordo le ore a studiare fino all'esaurimento, ricordo quella professoressa che disprezzavo, ricordo ancora la tesina, ricordo la notte insonne a guardare le stelle, l ansia e l immensa soddisfazione quando tutto è finito.
Ricordo l ultima domanda dell' ultimo giorno di esami: e adesso? Adesso cosa farai?
Ero così convinta, determinata, come non lo ero mai stata nella mia vita, era l unica domanda a cui avevo deciso di rispondere: non lo so.
E invece lo sapevo, lo dissi ai miei professori, dissi che volevo conoscere gente, vedere il mondo, lavorare ed essere autonoma. Dissi che volevo sentirmi libera.
È passato così tanto tempo, quasi cinque anni, il mondo l ho visto, almeno un pezzetto, in compenso ho conosciuto persone che venivano da ogni angolo del mondo, persone a cui ho imparato a volere bene. E poi ho capito che alla fine sono sempre stata libera, non avevo bisogno di andare da nessuna parte per sentirmi così.
Eppure stanotte come tanti diplomandi sono sveglia a pensare a cosa mi riserva il futuro, come se entro domani dovessi avere per forza una risposta. Il mio è un esame un po' più difficile rispetto alla maturità, ora lo so.
Ho paura di quello che mi riserva il futuro, ho paura di non farcela, ho paura di perdere la obbiettivo principale, ho paura di perdere me stessa, ma spero anche di trovare la stessa forza che trovai quella notte di qualche anno fa, la mia notte prima degli esami.
Buongiorno diplomandi 2018 e in bocca a lupo, non per mettervi l ansia, ma tra qualche ora inizierà il momento più intenso, spaventoso ma anche bello della vostra vita. Capirete chi siete e me lo auguro 😉
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Tutti i modi più semplici per prendere gli attrezzi per i tuoi lavori in casa di fai da te
Tutti conoscono gli utensili principali per la elaborazione del legno: smerigliatrice, levigatrice, seghetto diverso, trapano e così via. Ma oltre a questi ci sono altri utensili secondari ma nella stessa quantità importanti che ti aiutano a fare dei magnifici lavori fai da te in casa. Ecco alcuni strumenti che dovresti comprare prima di intavolare il tuo primo proposta.
raccolta della nulla della troncatrice
La sega rotondo fa un casino immane nei confronti di ad altri strumenti, e può persona complesso mantenere la terra contenuta. Quel breve involucro sul retro della sega non fa quasi nulla! questa lista di idee per la insieme della pulviscolo della troncatrice ti aiuterà a accertare la troncamento e a tenerla fuori dai tuoi polmoni. Un appoggio per sega circolare è un brillante primo concezione di lavorazione del legno, ed è fattibile da adattare per adattarlo al tuo margine. Ho anche connesso questa cappa per la polvere di sega fai da te al mio per accalappiare tutta quella recisione!
aspiranulla da faccenda
La trasformazione del legno è un hobby sconvolto e un giusto aspirasporcizia casalingo non basta! Ho preso l'costume di inalare tutta la polvere di legno nel mio laboratorio dopo aver finito ogni proposito, così non si accumula. collegando l'aspiracenere alla levigatrice si evita che tutte quelle particelle di polvere fine entrino nei polmoni. Per i miei utensili elettrici più grandi, ho un portadocumenti di cenere a muro per inalare tutta la recisione direttamente dalla fonte.
Metro a decorazione
non andrai molto lontano nel tuo primo proposito di procedimento del legno senza un metro a striscia! cercatene uno con numeri facili da interpretare e un pista poderoso che non si accartocci sulle lunghezze. Il mio metro preferito ha le frazioni elencate sopra ogni riga. Se hai mai equilibrato alcune cose e detto che era un tick oltre il segno di 1/2", hai desiderio di uno di questi!
squadra
se i tuoi progetti sembrano un po' strani, è probabile che tu non abbia controllato la riquadratura! questo esperto dispositivo non solo aiuta a rispettare tutto ad un angolo di 90 gradi, ma è utile anche per registrare le linee di lacerazione.
kreg jig
kreg Jig ha modificato per intero le mie capacità di operare il legno in meglio. I fori a tasca sono un modo così evidente e mondo per montare giunti forti. Ho commisurato la Kreg Jig R3 vs K5 per aiutarvi a deliberare quale è legittimo per voi!
confronto Kreg Jig eutropiafestival.it - casa R3 o K5
aggiungi alcuni accessori, come il morsetto Kreg Face Clamp, e completerai i progetti più di corsa che mai!
morsetti
un ebanista non ha mai sufficientemente morsetti! Sono come una terza mano, che tiene simultaneamente le tavole quando si trapana o si guidano le viti. Ho preso un paio di questi set da 6" e 12" di morsetti stile F, e quelli più lunghi per progetti più grandi. Se ti ritrovi a innalzare molti mobili, alcuni morsetti angolari rendono le cose molto più facili! Non avrei potuto infilare unitamente il mio spostabile dispensa senza questi morsetti che agiscono come un successivo paio di mani!
occhiali di perizia
mai e poi mai usare qualsivoglia strumento di facoltà senza lenti di salvezza! Sono poco costosi e potrebbero salvarti la vista. Ne tengo diverse paia in giro per l'laboratorio, così ne ho senza eccezione una a stazza di mano.
tutela dell'udito
ultimo, ma non meno eminente, è la rifugio dell'udito! Ci sono alcuni stili diversi tra cui selezionare, dai semplici tappi per le orecchie ai fantasiosi auricolari bluetooth. Puoi rintracciare la mia lista delle migliori protezioni per le orecchie per i falegnami qui. Come gli occhiali di destrezza, ne ho senza interruzione alcune paia sparse per il affare! Spero che questa lista risponda alla richiesta "Di quali strumenti ha opportunità un praticante che lavora il legno?
elenchi simili includono cose come scalpelli, pialle e altri strumenti manuali. Ma questi non faranno altro che scoraggiare un edificatore di mobili in erba che vuole solo agire con il tavole del rilevante fondaco. Io non sono quello che chiamereste un "fine falegname", in seguito molti degli strumenti su queste liste siedono a rubare sporcizia nel mio gabinetto scientifico!
È molto più adatto acquisire strumenti aggiuntivi solo in quale momento ne hai esigenza, anzi di sbattere giù un catasta di soldi su cose che potresti non usare. Ho trascorso ANNI prima di corrispondere i soldi per una sega da banco top di gamma, a che fine le mie attitudine non erano al momento lì. in quale momento mi sono stancato di rilassarsi continuamente la segatura, ho preso un regime di collezione della polvere. Ma non avrei mai comprato queste cose quando avevo a fatica instaurato!
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Note di lettura: “L’ultimo angolo di mondo finito” di Giovanni Agnoloni. Con L’ultimo angolo di mondo finito (Galaad edizioni, 2017, € 13,00), Giovanni Agnoloni conclude una trilogia composta dai precedenti…
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Nell’antica dimora della Grande Madre. Tre domande a Maria Rosa Cutrufelli. “La malattia del nostro mondo è la sterilità”
Partiamo dal titolo del romanzo, molto suggestivo, a cosa vorrebbe alludere il titolo che mette “le madri” su un’isola?
Le isole sono luoghi che proteggono e al tempo stesso ‘espongono’. Sono approdi e insieme luoghi da cui si parte per cercare un altrove. Forse proprio per questa loro natura ambigua, sono spesso culla di storie arcaiche e primigenie: in sostanza, luoghi del mito. E infatti l’isola del romanzo è l’antica dimora della Grande Madre, di Demetra, dea della vita che sempre si rinnova. E nel romanzo è proprio questo che cercano le quattro protagoniste: un luogo dove la vita possa di nuovo trionfare.
Il romanzo è ambientato in un mondo (non troppo lontano da noi) nel quale a causa di cambiamenti climatici si è diffusa la “malattia del vuoto”. Che genere di malattia è?
È una malattia che il nostro mondo purtroppo conosce molto bene: la sterilità. Ogni anno l’ISTAT ci ricorda che l’Italia è in pieno calo demografico, e così tutto il ricco mondo occidentale. Una malattia che ha molte cause: una di queste, come hanno riconosciuto i medici, è sicuramente l’inquinamento, che ha effetti a lungo termine sulle cellule riproduttive. Dunque la ‘malattia del vuoto’, di cui parlo nel romanzo, non è propriamente un’invenzione: è qualcosa che esiste già e a cui dovremmo mettere riparo, evitando di riversare nel ventre della terra fiumi di veleni chimici.
Livia, Mariama, Kateryna, Sara: donne che provengono da luoghi molto diversi e che si ritrovano nel medesimo posto, La casa della maternità, a far fronte allo stesso problema, se pur in maniera diversa. Sembri attribuire alle donne, nella catastrofe che imperversa, un ruolo salvifico. Come?
È vero, le donne nel romanzo hanno un ruolo salvifico. Non per una presunta ‘bontà’ innata, ma perché sono capaci di intessere fra loro relazioni di mutuo aiuto e di solidarietà. In sostanza, perché sono capaci di prendersi cura l’una dell’altra. E anche questa non è una capacità ‘innata’, ma il frutto dell’esperienza, della volontà di cambiare le cose e di rendere il mondo più vivibile e felice (se possibile).
*
La lettura. Ho letto il romanzo di Maria Rosa Cutrufelli L’isola delle madri con molto interesse. Un libro importante, non soltanto per il tema trattato, ma anche per il modo con cui è condotta la narrazione, delicata ma incisiva. Racconta una realtà apparentemente lontana, un mondo futuro, ma non così tanto: cammina con fatti che sono già tra noi, dei quali si parla, si scrive e si studia, tuttavia non abbastanza, o quanto meno non in modo incisivo da invertire la rotta. I romanzi servono anche a questo: le storie possono essere un pungolo, spingerci a riflettere ed agire, a prendere posizioni. Una storia di quattro donne dei nostri tempi, Livia docente universitaria che combatte con il desiderio di un figlio; Mariama, che parte dal continente povero e cammina, ha solo i suoi piedi per camminare verso una vita migliore; Kateryna, che dall’est approda sull’isola e insieme a Sara lavora presso La Casa della maternità, la prima come infermiera l’altra come direttrice. Tutte e quattro combattono la nuova malattia “la malattia del vuoto” e insieme procedono per sconfiggerla. Alla fine sarà Nina, la donna nuova, nata dall’incontro delle quattro protagoniste, che a proposito della vita delle tartarughe marine dirà: “«Vuoi dire le tartarughe adulte? Le madri? Eeh… Quelle se ne sono andate da un pezzo. Di sicuro non sono madri ansiose! Scavano il nido, lo coprono con grande cura, questo sì, almeno un metro di sabbia, ma non appena hanno finito se ne vanno per i fatti loro. Il mare le attende». Con la loro storia”. I piccoli delle tartarughe alla nascita, goffi, correranno “corrono come possono per immergersi e sparire, finalmente, dentro gli abissi marini: vanno a cercare le loro madri. La loro storia”.
La citazione. “Se ne stanno raggruppate in un angolo. Una fruga dentro un cestello di plastica, un’altra strofina le mani sopra un grembiule allacciato in cintura, come per pulirsi o asciugarsi, un’altra ancora butta indietro la testa mostrando l’arco della gola. Sara le fissa una per una, le scruta con attenzione crescente, le studia, le esamina. E all’improvviso sa cosa manca e qual è la natura di quel silenzio irreale che preme contro le sue tempie: i bambini! dove diavolo sono finiti tutti i bambini?”.
Maria Rosa Cutrufelli è nata a Messina, ha studiato a Bologna e attualmente vive a Roma. Ha pubblicato otto romanzi, tre libri di viaggio, un libro per ragazzi e numerosi saggi. Fra i romanzi ricordiamo: La donna che visse per un sogno (finalista al premio Strega nel 2004), Complice il dubbio (da cui è stato tratto il film Le complici) e Il giudice delle donne (tutti pubblicati da Frassinelli). Il suo ultimo saggio è Scrivere con l’inchiostro bianco (Iacobelli). Ha curato antologie di racconti, scritto radiodrammi, collaborato a riviste e quotidiani nazionali. Ha fatto parte della redazione di “Noi Donne”, fondato e diretto la rivista “Tuttestorie” e insegnato Scrittura creativa all’Università La Sapienza di Roma. I suoi libri hanno vinto diversi premi e sono stati tradotti in una ventina di lingue.
a cura di Daniela Grandinetti
*In copertina: Frank Bernard Dicksee, “The Mirror”, 1896
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Uno sguardo dal ponte: attualità di Adorno
“Solo la profonda diffidenza inconscia, ultimo residuo che lo spirito conserva della separazione tra arte e realtà empirica, spiega come tutti non abbiano ormai finito per accettare il mondo quale viene loro ammanito dall’industria culturale.” Se prendiamo quello dell’arte a paradigma della società attuale, queste parole di Adorno, scritte mezzo secolo fa, purtroppo non sono più valide: quella diffidenza, è definitivamente tramontata o meglio tutto è diventato spettacolo, kermesse, esibizione. Se le gallerie vanno completamente deserte, a giudicare però dalle folle che frequentano le Fiere, siano esse composte da curiosi gitanti della domenica, colti curatori o interessati collezionisti, l’industria culturale ha definitivamente sconfitto l’Arte. Parlo di quella con la A maiuscola, “quella che non cancella totalmente la memoria del suo esser-per-gli-altri…, che mira a un individuo libero ed emancipato, possibile solo in una società trasformata” (estraggo questi frammenti da un discorso molto più complesso e articolato, a cui rimando perché impossibile riassumerlo qui). L’allargamento del consumo , vero scopo dell’industria culturale, trova in quei luoghi dell’effimero, del posticcio, dell’esibizione dello status simbol, il suo tempio ed è lontano il Cristo con la frusta. “Dietro le sue trovate (e l’invenzione della Fiere d’Arte, da trent’anni moltiplicate in ogni angolo del modo e divenute ovunque luoghi di frequentazione obbligata per chi produce la “merce”, chi la veicola e chi la consuma) non ci sono regole per una vita felice, né una nuova arte che si addossi responsabilità morali, bensì sollecitazioni a schierarsi con ciò che torna a vantaggio di più potenti interessi. Il consenso che essa propaganda rafforza una cieca, irrazionale autorità”. Eh già, colleghi che facciamo carte false per essere presenti nei vari suk sparsi in tutto il mondo e più genericamente di immergerci nella Geenna mercantile (secondo le parole di Murphy), ce n’è anche per noi: partecipare è automaticamente creare consenso verso quegli interessi, dimenticare che la nostra posizione, il nostro ruolo nella società ha la sua valenza nell’etica, per lo meno in quella professionale. Al contrario delle precedenti, rese obsolete dalla realtà odierna, queste parole di Adorno sono sempre valide: anche noi contribuiamo “all’incremento e sfruttamento della debolezza dell’Io, a cui la società attuale, con la sua concentrazione del potere, condanna comunque i suoi membri che ne sono privi.” E non è una giustificazione, aggiungo io, che gli artisti, per lo meno la stragrande maggioranza di loro, siano fra questi ultimi. “Dipendenza e asservimento come obiettivo ultimo dell’industria culturale non potrebbero essere riassunti più fedelmente di quanto lo sono nella risposta a un sondaggio di quell’americano, secondo il quale le difficoltà della nostra epoca cesserebbero se la gente si decidesse semplicemente a fare ciò che personalità eminenti suggeriscono”. Faccio notare che il sondaggio è della stessa epoca dei saggi sui quali sto gettando uno sguardo (Ricapitolazione sull’industria culturale e Funzionalismo oggi, in Parva aesthetica, Feltrinelli). Ho l’impressione che nel 2018 sarebbe inutile farlo: l’industria culturale ormai ha centrato il suo obiettivo: tutti proni e asserviti e non c’è più alcun alibi valido per chi si sottrae al suo compito di resistenza a questo stato di fatto, non ci sono giustificazioni professionali; la posizione della rinuncia a qualsiasi impegno intellettuale di critica a quel potere e di contestazione impegnata al ricatto che esercita in nome della sacralità e specificità del linguaggio specifico che abbiamo scelto per esprimerci e aiutare il mondo a una speranza di liberazione, se pur è stato sufficiente fino a cinquant’anni fa, oggi non lo è più. Se le parole di Adorno sembrano aver dimostrato la propria inutilità, perché la situazione è addirittura peggiorata rispetto al tempo in cui lui le ha formulate, il suo allarme oggi è diventato quanto meno assordante.
Finisco qui. Agli sparuti e volonterosi lettori del mio blog, fra quei pochi che ancora nel mondo dell’arte continuano ad annoverare la lettura tra le proprie fonti di orientamento, consiglio quella di tutto il libro citato: è complesso ma, sforzandosi di superare le imperfezioni di una traduzione non proprio convincente, ne vale la pena.
FDL
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C’era una volta la principessa
«Oggi il fantastico si popola di eroine forti, indipendenti»: la scrittrice di fantasy italiana più letta al mondo spiega perché le rivoluzioni iniziano sempre con un sogno. Per esempio, l’autoaffermazione delle donne.
Ho passato buona parte della mia infanzia a sperare di essere da qualche altra parte. La mia famiglia era tutta campana, e io non sentivo alcun senso di appartenenza nei confronti di Roma, la mia città di cui neppure parlavo il dialetto. Non amavo il quartiere periferico in cui vivevo, e non mi sentivo a mio agio a scuola, dove nessuno sembrava assomigliarmi, tranne poche, fidatissime amiche. Le cose sono lentamente cambiate quando ho iniziato le superiori, e Roma pian piano mi ha fatta sua, ma, a conti fatti, ci ho messo trentacinque anni a trovare un posto che riuscissi davvero a chiamare casa, nel quale costruire la mia tana. È stato quando ho trovato questo angolo dei Castelli Romani, stretto tra il cono mozzo di Monte Cavo e i declivi dolci del Tuscolo, che d’improvviso ho capito che anch’io potevo appartenere a un luogo. La dialettica tra il bisogno di avere delle radici e quello di spostarsi in cerca di una vita migliore sembra qualcosa di molto contemporaneo. Mai come in questi tempi si fronteggiano da un lato quelli che sono per la chiusura e la strenua difesa di una non meglio specificata patria, la cui essenza è sempre più sfuggente, e coloro che invece si muovono, spinti da necessità irresistibili, in un mondo in cui, almeno dal punto di vista economico, i confini non hanno più alcuna ragione di essere. Ma, a ben guardare, la ricerca di un altrove è stata il segno sotto il quale si è svolta tutta la vicenda umana. Qualche tempo fa lessi un articolo in cui si spiegava una cosa sorprendente: il gene della pelle bianca, di cui tanto andiamo fieri, non è proprio dei Sapiens, ma con ogni probabilità proviene dall’uomo di Neanderthal. I primi Sapiens, comparsi in Africa circa 200.000 anni fa, avevano la pelle scura. Da qui, i nostri antenati iniziarono a colonizzare l’intero pianeta, arrivando fino in Europa, dove in parte soppiantarono e in parte si fusero coi Neanderthal. Dunque anche il colore della nostra pelle è il frutto di una storia di migrazioni. Da allora, il bisogno di muoversi, esplorare, andare altrove, non si è mai spento nell’uomo. Quasi ogni storia che ci raccontiamo è la storia di un viaggio: che sia interiore, alla ricerca di se stessi e di un senso, o di uno spostamento fisico, la dialettica di ogni racconto è quella di un passaggio da uno stato all’altro, da un luogo a un altro. E questo bisogno è così forte che, quando abbiamo finito di esplorare la nostra Terra, abbiamo deciso di volgere lo sguardo verso le stelle. Abbiamo raggiunto fisicamente la Luna, e poi, per mezzo di sonde e robot vari, buona parte dei corpi del Sistema Solare. Nel 2016 Stephen Hawking, Mark Zuckerberg e il miliardario russo Yuri Milner hanno presentato un progetto per spedire una serie di microsonde verso Alpha Centauri, la stella a noi più vicina, così distante che la luce che emette – e che, lo ricordiamo, viaggia a 300.000 km/s – impiega più di quattro anni a raggiungerci. Le sonde sarebbero spinte da vele che catturano il vento solare, e viaggerebbero a una velocità tale da coprire la distanza in venti anni. Ma qualcosa di noi ha già varcato i confini del Sistema Solare: è la sonda Voyager 1, lanciata nel 1977, e oggi distante dal Sole 19 ore luce. Non basta. L’altrove spesso non è solo un luogo fisico, ma uno spazio metafisico, vivo solo nelle nostre menti. Abbiamo immaginato il futuro, in centinaia di libri, film e telefilm di fantascienza. L’abbiamo alternativamente visto come un luogo in cui l’utopia di un’umanità in pace si è finalmente realizzata – basti pensare a “Star Trek” – o dove i nostri peggiori incubi sono diventati realtà – la Repubblica di Galaad di Atwood, per citarne solo una. E abbiamo reinventato anche il passato, nelle mille declinazioni fantastiche del Medioevo che hanno ospitato le gesta di innumerevoli eroi fantasy. Anche il presente ha sacche d’ombra, nelle quali è facilissimo inserire un altrove accessibile solo a chi ha certi poteri. Io stessa mi sono divertita spesso a popolare i luoghi che amo di labirinti segreti, rifugi di sette esoteriche antichissime, città perdute: un lago vulcanico può diventare ciò che resta di una città che si è staccata dalla terra e ha iniziato a vagare in cielo, i resti di un’antica villa romana la dimora perduta di una malvagia viverna. L’altrove è stato spesso anche un luogo prezioso per le donne – la “stanza tutta per sé”, soprattutto fisica, ma anche mentale di Virginia Woolf –, ove reinventarsi, trovare una propria libertà, e al tempo stesso affermarsi. Il fantastico, soprattutto in anni recenti – ma non mancano esempi anche nei decenni scorsi – si è popolato di eroine femminili forti e indipendenti, modelli diversi da quello imperante di madre o donna di malaffare, nelle cui trame a lungo siamo rimaste imprigionate. Per me, in quanto scrittrice di personaggi principalmente femminili, è stata soprattutto l’occasione per presentare un modello di femminilità diverso, più aderente agli esempi che ho avuto la fortuna di vedere intorno a me, e al tipo di donna che volevo essere. Da cosa deriva questa costante insoddisfazione che ci muove? Questo desiderio di andare oltre, al di là dei nostri limiti, dei luoghi in cui ci sentiamo sicuri, “là dove nessuno si è mai spinto prima”? C’è chi si muove sulla scorta di terribili necessità: sfuggire alla guerra, alla povertà, o soltanto sognare un futuro migliore, per sé e per i propri figli. Ma non è solo questo. È forse l’acuta percezione dei nostri limiti fisici, cui non corrispondono uguali limiti mentali. I nostri corpi sono vincolati qui, a questa Terra, splendida eppure troppo piccola per contenere tutti i nostri sogni, la nostra carne è limitata dalla morte: ma non così il nostro cervello, che immagina, progetta, e oltre questi confini si spinge di continuo. Sogniamo l’altrove perché è l’ultima fuga, quella dal tempo e dall’inevitabile concludersi della nostra vicenda terrena. Immaginiamo luoghi in cui la nostra sete d’infinito possa essere soddisfatta, ed è lì, nello spazio senza tempo e dimensione, che creiamo con le nostre menti, che infine siamo davvero liberi.
Licia Troisi, Vogue Italia, settembre 2018, n.817, pag.518
*Licia Troisi, 37 anni, astrofisica, è l’autrice fantasy italiana più letta nel mondo. Romana, ha raggiunto il successo a soli 24 anni con il primo libro della saga del Mondo Emerso, nel 2004. Ha pubblicato poi, sempre con Mondadori, le serie La ragazza drago, I regni di Nashira, Pandora, e La Saga del Dominio, di cui il terzo e ultimo libro uscirà il prossimo autunno. È tradotta in diciotto paesi e ha venduto complessivamente tre milioni e mezzo di libri.
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Nessun cielo oltre questo soffitto.
Il telefono, un fisso degli anni ’90 che un tempo doveva essere bianco perla, era ormai scaraventato per terra da giorni. Funzionava ancora, purtroppo. A volte squillava, e in casi particolari qualcuno lasciava un messaggio nella segreteria telefonica. Il minuscolo schermo LED dell’apparecchio era l’unica fonte di luce nella stanza, oltre la flebile aura rossa del tramonto che filtrava dalla tapparella bloccata a metà della finestra chiusa. Il lampadario era sul pavimento in frantumi, le abat-jour rotte avevano lasciato il segno dell’urto sulle pareti. La stanza era così in disordine che, complice il buio, era impossibile camminare senza urtare qualcosa. Uno scaffale era caduto, spargendo studi, storia, narrativa e poesia in ogni angolo della stanza, la scrivania era stata trascinata di fronte alla porta d’ingresso lasciando graffi sul parquet e lungo la parete. Del letto era rimasta solo la rete d’acciaio, dato che il materasso era stato sventrato e svuotato del suo interno, che ora giaceva ammassato sul legno del pavimento.
L’aria era incandescente, asfissiante, puzzava di vomito, sudore e merda. Ma Lui non ci faceva caso. Lui contemplava, immerso nel caos frutto della sua psicosi, l’ordine e la perfezione dello spettacolo che gli si parava davanti ormai da tre giorni. Al centro della stanza vi era una bacinella d’acqua, ormai torbida e infestata dalle zanzare, e al di sopra di essa i cavi elettrici del lampadario, opportunamente spogliati del rivestimento isolante. Non erano lì per caso. Non lo erano davvero, era questo che gli piaceva così tanto. La loro posizione e funzione erano prodotto della sua volontà e di nient’altro. Il fatto stesso che fossero lì, in quell’ordine, in quel momento, era la prova della Sua esistenza, della sua capacità di ragionare e modificare il mondo a suo piacimento.
Il telefono squillò. Erano le 19:26. Non rispose. Cinque minuti dopo, la segreteria telefonica entrò in funzione.
Hey. Una voce femminile. Ascoltami, so cos’hai passato negli ultimi due anni… Posso solo immaginare come tu possa sentirti. Per tutto questo tempo non ho fatto altro che sentirmi in colpa, ho sofferto per la mia incapacità nell’aiutarti. Ma ora ho l’impressione che sia tu a non voler essere aiutato. Sono giorni che cerco di parlarti, ci chiediamo tutti che fine tu abbia fatto. Vogliamo tutti che tu stia meglio, perché fuggi da noi? Domenica prossima è il compleanno di Leon, festeggeremo sulla spiaggia. Ti farà bene vedere il cielo stellato, forse ti darà anche l’ispirazione per scrivere un nuovo libro. Chiamami appena te la senti, per favore.
Il silenzio tornò padrone appena finito il messaggio. Lui stava ancora lì seduto ad osservare la sua opera. Il sudore scorreva a fiumi sulla sua pelle nuda e incrostata dalla polvere. Quando si alzò, le sue ossa scricchiolarono così forte che il rumore sembrava provenire da tutt’intorno invece che da lui. Le gambe bruciavano, così esili e deboli da non riuscire a sostenere il resto del corpo. Immerse un piede nell’acqua della bacinella, gli sembrò di camminare nella melma. Immerse anche l’altro piede. Non c’era più alcun suono nella sua camera. Nessun rumore, nessuna voce da fuori la finestra. Adesso non esisteva più nulla fuori da lì, c’era davvero solo ciò che riusciva a intravedere appena nella penombra. Posò gli occhi sui libri, trascinando le iridi lungo lo scaffale vuoto. Sorvolò la parete, sempre più scura mentre il sole tramontava, e assaporò la finzione che, accompagnata dalla luce morente, abbandonava i suoi occhi. Poi vide una penna. Era ai piedi della scrivania, ancora ricoperta dai suoi scritti e dai fogli bianchi. Fece per alzare la mano destra verso il cavo della corrente, ma non riusciva a smettere di guardare la penna. Era una comoda stilografica, donatagli dal padre il giorno della sua laurea. Non aveva mai usato nessun’altra penna per scrivere. E ora stava lì per terra, indignata dalla poca cura con cui l’aveva trattata negli ultimi giorni. Decise di farle un ultimo dono, un ringraziamento per averlo accompagnato fedelmente lungo il suo cammino per l’illuminazione. Decise di scrivere una lettera. Uscì dalla bacinella, bagnando il pavimento su cui presero a dimenarsi le larve di zanzara. Afferrò la penna, prese un foglio di carta e si sedette vicino al telefono, per far luce con lo schermo. Scrisse.
La vostra esistenza è dominata dall’illusione, dunque anche voi siete illusioni. Ogni vostro proposito è vano poiché basato su concetti astratti che voi date per scontato rappresentino la realtà, e non una vostra interpretazione di segnali esterni che tutto può essere meno che oggettiva. Non riuscireste mai ad accettare il fatto che non siamo altro che informi masse di materia organica instabile e decadente, la cui unica funzione è illudersi di avere uno scopo, di provare sensazioni che in realtà non sono altro che sintesi chimiche al solo fine di produrre serotonina. Se ve lo dicessi mi dareste del pazzo, direste che sono uno psicopatico, un rude che non sa vedere il bello della vita, non ci vorreste nemmeno pensare ad una verità così fredda e vuota e ignorereste ogni vostro nuovo pensiero, tornereste a uscire con gli amici, a ridere e parlare di cazzate come se la vostra esistenza dipendesse da questo. Io però ho trovato una via di fuga, e adesso non riesco più ad ignorare quest’opportunità. Conosco il modo per trascendere questo mondo fatto di luci che riflettono sulla materia e inutili sovrastrutture sociali, e il primo passo è compiere una decisione. L’unica decisione vera, l’unica che possa cambiare veramente qualcosa di concreto e non un’idea. Non ho più alcun interesse nel vostro mondo fittizio, perché tutto ciò di cui ho realmente bisogno è qui, in questa stanza, e mi sta aspettando da fin troppo tempo. Non esistono più le strade di questa città, né le campagne o il mare. Ci sono le pareti della mia camera che lemmi svaniscono dalla mia cornea, dall’essere, mostrandomi il vuoto immenso e maestoso che riposa al di fuori del mio spazio vitale. Non c’è più nessun cielo oltre questo soffitto.
Firmò la lettera, e una goccia di sudore cadde sul suo nome. L’inchiostro sbavò fino a diventare illeggibile. Lasciò il foglio accanto al telefono. Rimise i piedi nella bacinella, e fissò di fronte a sé. Il buio ormai rendeva irriconoscibili le sagome della mobilia in disordine, dandogli l’impressione di essere cieco.
Finalmente, la realtà.
Alzò il braccio.
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Water Stars capitolo 1
Capitolo 1
Recitare i breviari era cosa da ricchi. Leggere e scrivere era per ricchi. Il sapere era dei ricchi.
Arare e coltivare la terra era affare dei poveri. Pentirsi dei propri peccati era per i poveri. Ecco cosa gli ripeteva il suo caro padre ogni volta che si soffermava a guardare i figli e i nipoti del prelato.
Oppure ogni volta che andavano a curare il giardino del Palazzo.
Per questo si costrinse a distogliere lo sguardo da quella visione e seguire il padre che stava uscendo dal mercato. E così non si accorse della pallonata che gli arrivò dritto in testa da uno degli amichetti. Protestò e si girò verso il bambino, che gli sorrise, mentre gli altri ridevano e gli fece la linguaccia. Agostino sorrise a sua volta. In fondo non si era fatto niente. E si lanciò addosso al ragazzino che lo schivò. E, tra le risa, il gioco si trasformò in chiapparello.
Ma proprio allora: ‹‹Vieni Agostino. Finirai di giocare con i tuoi amici un altro giorno››.
‹‹Ma, ma papà!›› Balbettò il bambino tutto sudato e arrossato, fermandosi.
Anche gli altri ragazzini mugolarono, scontenti.
Il genitore lo squadrò e poi disse: ‹‹Niente ma. Ho finito tutte le compere da un po’ e si sta facendo tardi››.
‹‹Dai. Un ultimo tiro.›› Lo supplicò. Proprio ora che si stava divertendo. Di solito con la mamma funzionava. Ma il genitore non si lasciò intenerire. Quando era suo padre a scendere in città per portare le merci al mercato e comprare qualcosa, non c’era tempo per bighellonare. ‹‹Hai detto la stessa cosa tre tiri fa. Adesso basta. Saluta i tuoi amici e andiamo››.
Il bambino sbuffò ma obbedì. Si volse verso i ragazzini che erano lì. Uno di loro cingeva la palla con le braccia. Si salutarono e poi Agostino trotterellò dietro al genitore, che stava già caricando la spesa sul carretto. L’asinella che lo trainava mosse la coda per scacciare le mosche che le ronzavano attorno.
Poi montò a cassetta e aiutò il bambino a salire prendendolo da sotto le ascelle. Poi, mentre il figlioletto sgattaiolava dietro assieme ai sacchi, prese le redini e partirono.
Il padre di Agostino, Guido, era un umile contadino.
Un tempo era un ex giardiniere. Ora passava la maggior parte del tempo nei campi ma se il giardiniere del nobile locale stava male, allora chiamavano lui. Aveva vinto quel posto grazie a un concorso indetto dal nobile sopraccitato. Era ovvio che il posto andasse a lui: in gioventù aveva servito presso abbazie e monasteri. Aveva curato serre, horti e hortus conclusus presso la Scuola Medica salernitana e il Re di Napoli, cui era giunta la sua fama. Gli hortus conclusus erano orti chiusi, circondati da mura che offrivano la riproduzione di un’immagine idilliaca. Un terreno pianeggiante di forma regolare cinto da alte mura, che racchiudeva al suo interno prati verdi, fiori, erbe e frutteti che facevano da cornice a una fontana d’acqua purissima sempre centrale. Che nei monasteri e le abbazie erano simboli di fertilità e omaggio della Madonna.
Suo padre gli aveva raccontato che cominciò a lavorare la terra in gioventù. Allora lui viveva vicino una rinomata abbazia della Lingua D’oca e i suoi famigliari avevano rapporti stretti con l’abbazia. Così un giorno si era ritrovato col proprio padre a dare una mano ai monaci. Con gli horti e il chiostro. Quest’ultimo non dissimile da quello romano o tardo-romano a pianta rettangolare. Racchiuso in uno spettacolare colonnato a portici desunto dai parchi persiani, per questo chiamato paradiso. In questo spazio gli uomini del convento coltivavano piante per uso medicinale ed erboristico. Mentre i quattro angoli ai lati erano separati tramite divisioni curve e vi si coltivavano i fiori per l’altare, soprattutto i gigli tanto cari al padre di Agostino. Imparò pure che ogni cosa aveva il suo simbolo e il suo studio. Per esempio nei chiostri c’erano elementi simbolici ricorrenti: come l’acqua, il ginepro, i già citati gigli, ma anche le rose e gli iris. Spesso i monaci avevano dei giardini privati. Che Agostino era riuscito a vedere grazie all’immensa fama di suo padre.
Molto spesso l’intero giardino era perimetrato da basse siepi di bosso. E il giardino era diviso in quattro quadranti da due assi perpendicolari. Ma - sottolineava sempre - l’amore per quest’arte non era venuto da sé, si era sviluppato col tempo. Non era stato facile per lui lavorare quando voleva solo andare a giocare con gli amici. Fu grazie al monaco erborista che si appassionò. Costui gli insegnò, con molta pazienza, attingendo dalla ricca biblioteca del monastero ad apprezzarli e averne cura. Era abituato a insegnare ai monaci come aiuto maestro di botanica, a coltivare e curare le piante, ma non a creare un giardino. Ma poi, perfezionando metodi, conoscenze e approfondendo l’amicizia con il botanico, aveva potuto girare altre abbazie e monasteri della regione scoprendo che i giardini erano tutti uguali.
Mentre invece quelli nobili erano diversi ma avevano in comune con quelli conventuali una qual certa ricorrenza. Cioè il giardino era recinto e diviso da graticci, alberi da frutto e la presenza di un ruscello o una fontana. Il giardino cortese, inoltre, era ripartito in stanze differenti dove ci si riuniva o amoreggiare. V’erano muri e archi, graticci, tonneau, fontane a volte molto elaborate
I più belli di questi giardini finivano addirittura nelle miniature o, meglio ancora, in quadri e arazzi. Sedili ricavati da un basso terrapieno ricoperti di prato e circondati da un basso muretto che faceva da schienale. I fiori erano disposti sul perimetro delle mura, dispersi nei prati o coltivati in parcelle rettangoli o quadrate allineate, spesso sopraelevate e circondate da un graticcio di legno morbido intrecciato di solito di salice. Quelli erano i veri locus amoenus ma nella loro zona era quasi mistico.
Tutte le volte che Agostino lo sentiva parlare così non poteva fare a meno di percepire la sua nostalgia per l’amata Francia. L’uomo era sceso per lavorare per le corti italiane e da allora non se ne era più andato. Aveva girato l’Italia e imparato la lingua e qualche dialetto. E anche se ora parlava fluentemente l’italiano, si poteva sentire l’inflessione del suo accento francese. Aveva avuto anche lui il suo momento di gloria, ma poi era passato e lui si era ritrovato messo da parte dai nuovi giardinieri e le nuove innovazioni di questa neonata corrente denominata Umanesimo. Così in breve aveva perso la fama e si era ritrovato a coltivare la terra nella famiglia di quella che poi divenne sua moglie e la madre di suo figlio. Ogni volta che arrivava a questo punto, Agostino, che finora se ne era stato buono sulle ginocchia del padre, si metteva a saltellare e lo supplicava di raccontargli come aveva incontrato la mamma. E il padre lo accontentava con un sorriso.
Aveva trentadue anni quando era stato preso a lavorare lì dai futuri suoceri. Costoro erano dei proprietari terrieri da generazioni. Avevano un giardino privato, che avevano creato per la figlia, ma nessuno riusciva a farlo fiorire. E così chiese il permesso di occuparsene lui. I nonni non pensavano che ne fosse capace e ormai si erano rassegnati. Addirittura progettavano di distruggerlo definitivamente per ampliare la loro casa. Tempo tre mesi lui riuscì dove molti avevano fallito e la figlia di questi proprietari terrieri, incuriosita, volle imparare l’arte di prendersi cura delle piante.
‹‹Dimmi come era la mamma. Dimmi come era la mamma.›› Pigolò il piccolo tutto eccitato. Amava sentirgliela descrivere.
Il padre sorrise e lo accontentò: ‹‹Oh, era bella. Allora il sole batteva solo su di lei quando sorrideva o si recava in visita da delle amiche. Soprattutto quando metteva i suoi abiti di velluto e si tirava su i capelli e li infilava nella reticella. I colori che le donavano di più erano il verde chiaro come l’erba appena nata e il rosso come il vino appena versato. E le perle, oh, le perle, quando se le metteva le risaltavano i denti››.
Poi tutto era cambiato. Si erano innamorati, non riuscivano più a stare separati. E lei era già promesso al cugino di un signorotto locale. E non l’aveva presa bene la loro tresca. Affatto.
Nonostante tutte le minacce ricevute, la mamma non smise mai di amare Guido. Così, i genitori, esasperati e umiliati, la ripudiarono. Pensavano forse che sarebbero finiti a mendicare per la strada, ma si sbagliavano. Mentre viaggiavano vennero accolti da una famiglia che possedeva una villa e vennero presi per occuparsi di un piccolo appezzamento di terra, riconoscendo le abilità con le piante di Guido e le capacità intellettive della sua signora. Cosa molto rara per il periodo.
E quando uno dei loro fattori morì la loro terra fu affidata a loro.
Poco tempo dopo la coppia stava già aspettando Agostino ed era convolata a nozze col giardiniere, nonostante il secco rifiuto dei nonni. La vita per loro non era stata facile ma erano riusciti a continuare a lavorare per loro e a tirare avanti con le loro forze. Anche se dopo di lui non avevano avuto altri figli. A volte, gli parve di capire, sembrava dispiacergli di aver trascinato sua moglie nella povertà e nella precarietà di quella vita che conducevano. Anche se al pensiero di non poter condurre la sua vita senza di lei, si sentiva morire. ‹‹Perché?›› Gli domandava il bambino, battendo le palpebre senza capire, nell’udire quelle parole aliene. Poi il padre sprofondava un istante nei suoi pensieri. E, rapidamente come ci era sprofondato, si risollevava e riprendeva il racconto. Animato da una nuova luce. Disse che non gli voleva mai dare retta perché: «Per me siete voi due la mia felicità e finché avrò voi sarò la donna più ricca del mondo».
Poi a racconto finito, suo padre gli faceva un bel sorriso, se lo caricava in spalla facendolo ridere e poi tornavano al lavoro.
La fattoria, occupante qualche ettaro, si trovava nei pressi di una foresta e spesso Agostino ci si recava per portare qualcosa sulla tavola nei periodi di magra. Grazie a suo padre, infatti, conosceva bene ogni pianta e ogni angolo del bosco e non aveva paura di addentrarcisi da solo.
Finora Agostino non aveva mai preso una zappa in mano. Prima suo padre aveva voluto educarlo ad apprezzare le piante e curare il giardino.
Agostino si sentiva molto emozionato all’idea che poi avrebbe succeduto il padre nella cura delle piante e dei campi. Ormai era abbastanza grande per aiutarlo. Ma non quel giorno, pensò distrattamente mentre saliva sul carretto accanto al genitore e tornavano a casa.
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Giovanni Agnoloni e Giuseppe Iannozzi – Sabato 20 maggio alle ore 18,00 presentano i loro libri al Salone Internazionale del Libro di Torino – padiglione CARTACANTA PAD 3 – spazi S51 – R52 Sabato 20 maggio alle ore 18,00 Giovanni Agnoloni & Giuseppe Iannozzi presentano i loro libri al…
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A Castiglioncello L’ultimo angolo di mondo finito Presentazione connettivista per Giovanni “Kosmos” Agnoloni, che il 31 agosto a Castiglioncello, Livorno, illustrerà il suo ultimo romanzo L’ultimo angolo di mondo finito.
#castiglioncello#Connettivismo#Edoardo Volpi Kellerman#giovanni agnoloni#Lietta Manganlli#Lukha B. Kremo
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Unbound series
Una serie urban fantasy che invece la collana Bluenocturne di Harlequin non ha concluso è la serie Legami o Unbound serie, di Rachel Vincent. Autrice molto famosa in America e anche qui da noi, per l'altra sua serie sui mutaforma felini.
La serie Unbound partiva da un concetto molto nuovo e carino.
In primis una ambientazione piuttosto nuova, come idea. Piuttosto, non del tutto. L’atmosfera è molto Sin City, come tipo, una città preda della malavita. Da un lato del fiume comanda un boss a capo dell’organizzazione chiamata The Tower. Dall’altro lato, comanda un boss, più cattivo ancora, spagnolo-americano, come tipo. Poi c’è una zona neutra, molto piccola, e riservata ai ricchi….. tutti gli altri per sopravvivere o vivere devono per forza essere implicati lievemente o lavorare per uno dei due boss. Polizia e forze dell’ordine comprese, per quel che contano. Il tocco soprannaturale sta nel fatto che al mondo esistono degli Skilled, cioè dei Talenti. Persone con capacità quasi magiche potremmo dire, o proprio magiche. Capacità di diverso tipo. Abbiamo i bloodhound, che annusando una traccia di sangue possono trovare la persona a cui appartiene ovunque sia. I name hound che hanno la stessa capacità, ma invece del sangue usano il potere del vero nome di una persona. Poi c’è chi ha visioni del futuro, chi può annusare una bugia…..ma i più potenti sono i Binder, cioè i Leganti potremmo dire. Coloro che possono legare con la magia e con la loro volontà una persona o ad un patto, o addirittura ad un'altra persona. Inutile dire che i boss sfruttano questi Talenti e cercano di accaparrarsene il maggior numero possibile, proprio attraverso i Leganti. Tutto il mondo in cui è ambientato il libro è soggetto al potere dei legami magici. I boss possono legare alla propria volontà, assoggettare, individui e questo legame costringe le persone a fare qualsiasi cosa per loro. Un legame forte può annullare ogni tua volontà. E spesso ogni persona è soggetta a tanti legami. Non so se riesco a rendere l’idea della complicatezza dei rapporti sociali di questo mondo, spero di sì. Se si cerca di opporsi ad un legame si può anche morire. Capirete bene che in un mondo del genere la libertà personale di scelta può essere molto ma molto ristretta.
Ecco i libri che compongono la serie, solo i primi due sono disponibili in italiano però:
1. Blood bound - Legame di sangue
disponibile in italiano
Liv Warren ha un talento speciale: è in grado di rintracciare una persona seguendo l'odore del sangue. E quando una vecchia amica si appella al patto di sangue che le lega fin dall'infanzia e le chiede di aiutarla a ritrovare la figlia scomparsa, non può fare altro che accettare. Ma a causa di quello stesso giuramento si ritrova costretta suo malgrado a collaborare con Cam Caballero, l'unico uomo che abbia mai amato, l'unico che non può avere. La loro è una folle corsa contro il tempo e contro il desiderio che minaccia di travolgerli, attraverso una città ostaggio di oscuri criminali dove insidie e pericoli si annidano oltre ogni angolo, ogni carezza, ogni bacio. E prima che la caccia finisca, altro sangue sarà versato...
La mia opinione:
Avrei tanto voluto amare questo libro, ma la protagonista Olivia, me l'ha impedito. Lei è una bloodhound, un talento, perciò molto ricercata. A causa delle cattive decisioni dei suoi genitori e di quelli delle sue tre amiche di infanzia che le avevano tenute all’oscuro sui loro poteri, Olivia e le sue tre amiche da piccole avevano fatto un potente giuramento di legame col sangue in segno d’amicizia. Creando un legame magico permanente tra loro che le obbliga a fare qualunque cosa una di loro chieda all’altra. Qualunque cosa sia posta come una richiesta. Capirete bene come ciò abbia rovinato non poco la loro amicizia nel tempo…..ma nonostante ciò Olivia aveva una vita decente fino a pochi anni prima dell’inizio del libro, vedeva ancora le sue amiche e aveva un ragazzo che amava e la amava a sua volta. Poi aveva rovinato tutto. L’aveva cacciato via senza dire perché, aveva lasciato la sua vita e d era diventata una cacciatrice di taglie, poi addirittura si era assoggetta ad un boss era diventata quasi sua schiava…..perché? Perché, a suo avviso, il suo prostituirsi moralmente e fisicamente e il suo vivere nella più infima miseria e persino uccidere su commissione credeva avrebbe salvato la vita del suo ragazzo…..Ora io so che dovrei essere di buon cuore e credere che tutto ciò la renda estremamente generosa, ma non ci riesco. La trovo terribilmente egoista. Lei ha scelto di ridursi così, lei ha scelto di fare le cose che ha fatto, di cacciare ogni amico ed il suo unico fino ad abbassarsi ad infimi livelli, a volte sembra quasi che goda nel farsi assoggettare dal boss, nel prendere a male parole tutti, che si crogioli nella commiserazione di se stessa. Non sapeva per certo che se fosse rimasta con Cam, il suo amore, questi sarebbe finito in mano al boss, sulla base di una visione possibile e forse inevitabile, lei aveva distrutto due vite. Per niente poi si vedrà alla fine. Non so, l’ho trovata terribilmente antipatica, ciò che lei ha fatto non è stato frutto di generosità, ma frutto di paura e basta. E poi…poi bé non voglio rivelare nulla nel caso vogliate leggerlo, ma infine non ne è certo valsa la pena o forse lei in fondo ci ha goduto. Chissà. Io l’ho odiata per ciò che ha fatto a tante persone ma in special modo a Cam. Ma forse sono strana io. Forse a molti piacerà leggere le sue avventure. Io non ho sopportato il suo egoismo. E sì insisto che di egoismo si trattava. Era in un rapporto d'amore paritario con Cam, come ha osato arrogarsi di decidere anche per lui cosa era meglio fare? Specialmente visto il mondo in cui vivono, dove la libertà di scelta è così rara,e così preziosa! Come ha osato calpestare la libertà di scelta dell'uomo che diceva di amare! E poi non fa che lamentarsi di quanto gli altri intacchino la sua di libertà! Mentre lei è la prima ad intaccare la libertà di quelli che dice di amare, poichè la poca libertà di scelta che ha nella sua attuale situazione è frutto delle sue pessime scelte, e del fatto che calpesta altre persone costantemente. Lotta e si dibatte ma sono solo coloro che la amano che le donano libertà di scelta a caro prezzo. Ed invece lei è cieca a tutto questo, cieca al suo egoismo, fino ala fine del libro, quando si lamenta ancora del fatto che tutto ciò che ha patito, lei si intende, è stato inutile per colpa della scelta finale fatta da Cam. Neanche un pensiero per tutta la sofferenza passata di Cam causata da lei, almeno la sua sofferenza futura l'ha scelta lui stesso, e questo fa tutta la differenza a mio avviso. Ma questo Olivia non lo vede e non lo capisce nemmeno alla fine! Troppo egoista. Non leggerò certamente il seguito o potrei rompere lo schermo del mio lettore ebook per odio verso quel personaggio, che non merita certo di essere amata da uno come Cam. Concludo dicendo che al suo confronto Anita è super simpatica, l'ho seriamente rivalutata! Scusate lo sfogo, ma mi ci voleva proprio.
2. Legami d'ombra
disponibile in italiano
Kori Daniels è un'ombronauta, capace di spostarsi in un istante da un posto all'altro nell'oscurità. Imprigionata per aver tradito Jake Tower, il crudele leader dell'organizzazione criminale che controlla parte della città, per tornare libera deve accettare un ultimo, importante incarico: reclutare Ian Holt, il più potente oscuratore in circolazione, o eliminarlo. Ma anche lui ha una missione da compiere. Per salvare il fratello gemello deve uccidere Kenley, la sorella minore di Kori. Così, al termine di una settimana da incubo che cambierà le loro vite per sempre, i due giovani si ritrovano costretti a prendere la decisione più dura: scegliere tra amore e libertà... o rischiare il tutto per tutto per ottenerli entrambi.
3. Oath bound
Non disponibile in italiano.
Figlia segreta del capo della famiglia criminale a capo dell'organizzazione TOWER, Sera Brandt ha sempre nascosto il suo passato e soprattutto i suoi poteri. Ma una tragedia la spingerà a cercare vendetta e per reclamare dalle sporche mani di sua zia il ruolo di boss dell'organizzazione dovrà rivelare il suo rarissimo talento e liberarlo dalla briglie che gli aveva sempre posto. E dovrà anche accettare l'aiuto di Kristopher Daniels, un uomo che ha sempre combattuto la Tower, se entrambi vogliono sopravvivere...
Delusa dal primo libro, non mi sono azzardata a leggere il secondo , né il terzo, ma visto che le protagoniste non sono Olivia, potrebbero essere carini. L'idea di base, ripeto, è il mondo creato dall'autrice hanno molto fascino.
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L’ultimo angolo di mondo finito - Giovanni Agnoloni - Galaad edizioni
L’ultimo angolo di mondo finito – Giovanni Agnoloni – Galaad edizioni
L’ultimo angolo di mondo finito GIOVANNI AGNOLONI Galaad edizioni 2029. Internet è crollato da quasi quattro anni in Europa, e la crisi della comunicazione si è ormai estesa alla telefonia, mentre le principali città sono state gradualmente invase da ologrammi intelligenti, “cloni” immateriali in grado di orientare il comportamento delle persone. Negli Stati Uniti il sabotaggio della Rete ordito…
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Iannozzi Giuseppe e Giovanni Agnoloni al Salone Internazionale del Libro di Torino, edizione 2017 – video e galleria fotografica per “Donne e parole” e “L’ultimo angolo di mondo finito” Iannozzi Giuseppe e Giovanni Agnoloni al Salone Internazionale del Libro di Torino, edizione 2017 Iannozzi Giuseppe…
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