#tovaglie da 12
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digitalandy · 5 months ago
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Gallo, Ristorante di Pesce, Roma
La coppia che gestisce questo ristorante lavorava nel ristorante di pesce stellato Tino di Fiumicino. Da qualche mese, lei in sala e lui in cucina, hanno aperto vicino a Santa Croce in Gerusalemme questo ristorante collocato all'angolo di una via.
All'ingresso un piccolo bancone da bar, delle sedie ed un divano indicano una zona di attesa. Più avanti a destra si accede ad una più ampia sala da pranzo con tavoli abbastanza distanziati e bene apperacchiati con tovaglie bianche. L'ambiente però rivela un gusto poco raffinato con colori e arredi tra il classico e il rustico che non risultano particolarmente accoglienti.
Il menu è abbastanza compatto e con buoni piatti di pesce. Una lista del giorno propone ulteriori antipasti, piatti principali e dolci.
Molto buono il moscardino affogato con un pomodoro bello concentrato e dei crostini di pane saporiti. Il moscardino è ben cotto.
Buona la battuta di gambero mentre la frittura di paranza, di bell'aspetto con una giusta varietà di pesci, rivela purtroppo i merluzzetti non cotti e non mangiabili. Il tonni viene servito con delle buone patate arrosto ma risulta invece forse troppo cotto.
Ottima la catalana di crostacei con tre diversi tipi di gamberi molto saporiti.
Meno appetitoso il profiterole con il sale.
Lista dei vini limitata ma con qualche etichetta interessante. Ottima la presenza in sala della proprietaria che compensa qualche disattenzione da parte dell'altra persona di servizio (ad esempio un bicchiere di Malvasia delle Lipari servito senza portare la bottiglia in tavola e in un piccolo calice da distillato, situazione poi corretta dalla proprietaria che ha portato un secondo bicchiere più adatto).
https://reeserv.it/place/12-gallo-ristorante-di-pesce
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dettaglihomedecor · 1 year ago
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Tovaglie e runner per la tavola autunnale: le proposte più stilose di VallesusaCasa
Le tovaglie insieme ai runner sono un dettaglio decorativo prezioso per la tavola da pranzo. È possibile scegliere il modello che meglio si adatta al look della casa oppure cambiare di volta in volta, per trasformare la cucina o la sala da pranzo in un luogo sempre diverso. Stai cercando nuovi tessili per apparecchiare la tavola autunnale? Lasciati ispirare dalle nuove proposte di VallesusaCasa per trovare il modello che fa per te.
Convivio di VallesusaCasa
Per il mondo cucina di VallesusaCasa, brand del Gruppo Gabel, la novità principale è la nuova collezione Convivio, per celebrare ogni occasione con stile! Questa collezione è frutto di un’importante ricerca interna di nuovi disegni e cromie autunnali per poter creare una collezione a 360 gradi dedicata alla convivialità a tavola. La linea si compone di tovaglie, tovaglioli tinta unita e runner, per un’offerta ricca di prodotti. Realizzati in raffinato lino e tinti filo, i nuovi tessili si possono mixare fra loro, dando libero sfogo alla fantasia e agli accostamenti cromatici più ricercati.
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La nuova collezione si racconta attraverso due storie di stili, tessuti e cromie che si incontrano per dar vita a un momento di benessere seduti a tavola. La pura espressione di questi due mondi sono i tessuti e i filati che conferiscono un’estetica diversa per ogni disegno. Il risultato è una proposta inedita, moderna, trendy e per una clientela attenta ai dettagli e alla qualità made in Italy.
Tovaglie da tavola moderne
La “classica” tovaglia cambia aspetto e acquista un gusto originale e moderno. Realizzate in lino, misto lino e panama, sono disponibili in diverse misure: 6, 8 e 12 posti. Quattro i disegni legati dalla palette colori che crea un’armonia all’interno della collezione. Mida è la tovaglia in lino tinto in capo, Petra in misto lino tinto filo.  Laos e Telea sono le 2 proposte in panama stampato. I tovaglioli del disegno Mida sono realizzati in 100% lino tinta unita, in sei varianti colore.
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Coordinabili a tutte le tovaglie e ai runner, e abbinabili per cromie anche con i disegni stampati, i tovaglioli donano un tocco di stile alla mise en place.
Runner
Completano l’offerta di questo mondo i runner nei disegni Mida e Petra. A questi si aggiungono i runner con tovaglioli in tre disegni Zante, Delfi e Lia. Tessuti jacquard ricchi di dettagli, tinti filo, tinti in pezza e raso stampato, che esprimono un’eleganza ricercata e senza tempo. Mixati tra loro, permettono di creare giochi di colore con tovaglie e servizi tavola.
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Alle cromie leggere si uniscono colori contrastanti e di tendenza. Il rigore delle geometrie si alleggerisce con toni pastello, i fiori si vestono di tonalità decise. La raffinatezza del raso si unisce a pattern leggeri e geometrie indefinite in tonalità preziose. Trame evanescenti, geometrie sottointese e preziosi tessuti La nuova collezione è disponibile in tutti i punti vendita Gabel, nei negozi specializzati e online su www.gabel1957.com   Read the full article
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personal-reporter · 2 years ago
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Mercatino regionale francese ad Abbiategrasso
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Il Mercatino Regionale Francese, con i suoi profumi, sapori e colori d’oltralpe torna dopo alcuni anni ad Abbiategrasso in piazza Castello, nel weekend che va dal 14 al 16 aprile, proposto da un gruppo di operatori commerciali francesi che hanno maturato un’esperienza internazionale in questo settore. La tipicità del prodotto e la professionalità degli espositori ha permesso al Mercatino, in questi anni, uno sviluppo in termini di proposte e delle località che lo hanno ospitato, tanto da arrivare, nel 2022, in oltre 25 città dell’Italia centro-settentrionale. L’evento, collocato nei centri storici per vivacizzarli, da anche un impulso al commercio locale, in una mescolanza di profumi e di colori che lo rende molto particolare e caratteristico. Tutti i prodotti artigianali arrivano dalla Provenza e dalla Costa Azzurra: tovaglie, saponi, lavanda, essenze e borse in paglia, mentre da Parigi ci sono  profumi, cosmetici e un’ampia gamma di accessori moda. I prodotti legati all’enogastronomia francese sono il cuore del mercatino, sono 80 i tipi di formaggio presenti, dal Mont d’Or, con la confezione di legno, al Rocamadour del Midi Pyrénéés, dal Camembert della Normandia, al Brie della Ile de France e i vini sono in oltre 30 varianti, dallo Champagne al Bordeaux fino al Sidro. I salumi hanno dei tipi di produzione che abbinano spezie ed erbe aromatiche e l’offerta dei biscotti Bretoni può contare su oltre venti varietà di ripieno, dal cocco al sesamo, dal cioccolato al limone. Un gran numero di colori è nello stand delle spezie che provengono, nella maggior parte dei casi, dalle ex colonie francesi. Immancabile è lo spazio dedicato alle crepes e alla gastronomia, da degustare calde, oltre alla baguette, calda e appena sfornata, mentre i forni della Boulangerie preparano anche croissant e pasticceria da forno in uno stand di oltre 12 metri. Il nome di Abbiategrasso ha origini celtiche e latine, che attraverso le traslitterazioni portarono al nome attuale e potrebbe derivare dal celtico Abia, che vuol dire acqua, + atis, che è una desinenza toponomastica, per cui la traduzione sarebbe Luogo d'acqua, che corrisponde alle caratteristiche del territorio, dato che la città sorge vicino al Ticino e sulla cosiddetta Linea dei Fontanili, punto di incontro di tutti i corsi sotterranei della Pianura Padana. In epoca romana il nome celtico fu  latinizzato probabilmente in Habiate, a cui fu aggiunto il titolo di Grassus, dovuto al fatto che il borgo si trovava in quella che era denominata la valle grassa, cioè quella  fertile, poi  i due nomi vennero uniti nell'attuale Abbiategrasso. Abbiategrasso venne abitata dai Celti a partire dal VI secolo a.C., cui seguirono dal IV secolo le popolazioni galliche che provenivano da oltralpe. Lo sviluppo maggiore si ebbe solo in epoca romana, soprattutto lungo la via mercantile  della Strada Mercatorum, oggi Strada Mercadante) che scorreva parallela al fiume Ticino. Alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente il territorio della città subì le invasioni barbariche, con l'insediamento dei Longobardi, e successivamente, una serie di  razzie delle tribù ungare tra la fine del IX secolo e l'inizio del X secolo. Nel 1034 Abbiategrasso era un possedimento dell'Arcivescovo di Milano, a cui si deve la costruzione del primo avamposto di difesa, distrutto nel 1162 dalle truppe di Federico Barbarossa. Il borgo, che fino a quell'epoca si era sviluppato attorno alla Chiesa di San Pietro, fu poi esteso verso sud, dove nelle vicinanze dell'attuale Chiesa di Santa Maria Vecchia sorgeva un piccolo castello. Negli anni successivi Abbiategrasso divenne parte dei domini del contado della città di Milano, governata dai Visconti, che iniziarono una serie di opere per fortificare il borgo e nel 1381 venne costruito il Castello Visconteo, collocato nel centro della città. Con il XV secolo Abbiategrasso giocò un ruolo determinante nella presa del potere da parte di Francesco Sforza, che durante l'assedio di Milano, decise di accanirsi sulla città per attaccare indirettamente il capoluogo lombardo, deviando le acque che giungevano ai suoi mulini e privandola dei rifornimenti di grano. Dopo la caduta del domino sforzesco Abbiategrasso fu parte della resistenza e della capitolazione del contingente francese contro l'avanzata dell'imperatore Carlo V, che entrò in città nel 1533 per raggiungere il Ducato di Milano, che passò sotto l'influenza spagnola. Negli anni del Risorgimento Abbiategrasso fu luogo di incontro durante gli avvenimenti della Prima Guerra di Indipendenza Italiana, ricoprendo così un ruolo strategico per l'Unità d'Italia e in quel periodo la città cominciò la sua crescita grazie allo sviluppo industriale. Read the full article
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difensoredelfocolare · 5 years ago
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On air: "Ne N'è Colpa Mia" Chicken Production
Così Gigi Nofi, scrittore e poeta locale, descriveva Terracina:
"Si bella e ricca come a 'na regina
e tie' 'na vesta tutta pentecchiata
de vaghe d'ore, d'uva prelebata,
che se sdelonga 'fina alla marina..."
Perché è così che è Terracina: bella, arroccata su quella montagna sotto lo sguardo vigile di Giove Anxur e di San Cesareo, ma anche della Madonna del Carmine e di quello della Madonna di Monte Leano, abbracciata poi dal mare che la incornicia e la impreziosisce, con l'Arcipelago Pontino in lontananza e nelle giornate limpide compare all'orizzonte anche il profilo di Ischia.
Terracina è una città che ho imparato ad amare con il tempo, prima era solo il posto in cui abitava nonna e dove si andava ogni domenica a passeggiare sul lungomare. Non mi piaceva, non la capivo più che altro.
Poi è iniziato il Liceo e tutto è cambiato, ho iniziato a scoprirne le cose belle e le mille sfumature che essa poteva regalarmi e che vi invito a scoprire.
Una di queste sfumature arriva a Pasqua e sa di anice e rhum e profuma di forno a legna: sua maestà il Tortolo terracinese.
Una delle prime testimonianze che riporta la ricetta del Tortolo è quella di Genesio Cittarelli, che ne descrive oggi passaggio con spirito usando il dialetto della città. Questa è la ricetta da lui riportata nel suo libro "Fra vetuste mura":
La facetùra de j tortole tè cièrte regulamènte c’abbesògna arespettà.
Se scacate ve vènne screscetàte a jàjme o, oppuramènte, ve ce se fanne j vièrmene.
Dosa:
Trènta uève
Quatte bustine de vanìja
La scorcia rattata de nu chile de limone
Nu chile e mèzze de zucchere
Mièzzu chile de strutte
Nu litre de uèj
Mille lire de vaghe d’ànese
Quatte chile de farina de rane
Mièzzu litre de vuine bianche
Nu becchère de rum
Na chelàta de cresciùte
Do bagnapède scuzzate a duvère
Quatte sègge
Na ‘mpajatèlla de sudore e tutte j fije che v’aretruvuàte
(se so pòche faciètevej’amprestà da lle sòre e cunàte vòste. Più mammòcce tenéte antòrne e mèj j’è)
Si evince da tutto questo di come la preparazione di questi dolci sia una cosa seria e complicata che richiede pazienza e dedizione. Se ne fanno molti nelle varie pasticcerie in giro per la città, ma l'unico degna di nota è quello di Agnesina la Furnara, figura storica della città alta.
Ora vi racconterò però la ricetta della mia famiglia, quella che mia mamma prepara ogni anno a Pasqua (ho diminuito naturalmente le dosi, perché lei parte da 30 uova da cui escono circa 14-15 di questi dolci che cuciniamo nel forno a legna)
Ingredienti:
600 g di farina circa (400 g di Manitoba e 200 di "0")
150 g di lievito madre rinfrescato
5 uova + 1 per spennellare
250 g di zucchero semolato
100 g di strutto (o burro)
100 g di latte intero
semi di anice
scorza grattugiata di due limoni
1 bicchierino di rhum o di Strega
olio e.v.o.
Rinfrescate il lievito madre almeno quattro ore prima usando la farina che userete per la preparazione. In una ciotola abbastanza ampia per contenere l'impasto durante la lievitazione o nel contenitore della planetaria rompete le uova e sbattetele, usando la foglia, con lo zucchero per almeno 5-6 minuti.
Unite poi il lievito spezzettato, lo strutto (o il burro ammorbidito), i semi di anice, la scorza dei limoni e il rum e fate amalgamare il tutto. Aggiungete dunque la farina un po' alla volta e quando l'impasto comincerà a essere più duro continuate ad impastare almeno per un quarto d'ora usando il gancio. Terminato l'impasto coprite tutto con un foglio di pellicola per alimenti e quattro o cinque coperte o tovaglie e mettete l'impasto in un luogo riparato a lievitare per almeno 12 ore.
Ungete il piano da lavoro con dell'olio extravergine, capovolgeteci sopra l'impasto ben lievitato, dividetelo in due e formate dei filoncini che intreccerete e disporrete a lievitare in una teglia molto ben imburrata e infarinata di 20 cm di diametro e alta 12 cm.
Fate lievitare altre 5-6 ore sempre tenendo l'impasto ben coperto con tovaglie o canovacci. Infornate dunque, dopo aver spennellato la superficie con dell'uovo sbattuto, in forno preriscaldato a 180 °C posizionando la teglia nel ripiano più basso per circa 50 - 55 minuti o fin quando inserendo uno stecchino non risulterà asciutto.
Sfornatelo e fatelo raffreddare coperto da un canovaccio e poi conservatelo chiuso in un sacchetto di plastica e servitelo con della salsiccia secca o con della cioccolata fondente.
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lacameliacollezioni · 7 years ago
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Tovaglia ricamata a mano in sfilato siciliano colore bianco da 12 completa di tovaglioli  info: [email protected] Tovaglia ricamata a mano in sfilato siciliano colore bianco da 12 completa di tovaglioli  info: [email protected]
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dichiarazione · 6 years ago
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Irish chronicles
Sono atterrata a Dublino il 2 Gennaio, ore 12 circa, e sono arrivata a Cork City dopo tre lunghissime ore di corriera. Il padre della famiglia è stato così gentile da venirmi a prendere alla fermata, altrimenti non so come avrei fatto con una valigia più grande e pesante di me. La famiglia a pelle è molto simpatica e disponibile, si descrivono come una famiglia irlandese non convenzionale, anche perché la madre è nata in Sud Africa. Non vivono propriamente a Cork ma in un piccolo sobborgo chiamato Douglas, che sta in cima ad una collina, e le strade a tratti ricordano molto quelle di Frisco (n.d.r: termine colloquiale per chiamare San Francisco). Abitano in un quartiere che ricorda molto Wisteria Lane, quello delle Desperate Housewives per intenderci, con le camere al piano di sopra, una stanza con divano e poltrone per stare tutti insieme davanti al camino, una cucina spaziosa con sala annessa. La mia stanzetta è all'ultimo piano, in mansarda: ho un letto grande e un bagno tutto per me, con le due ribaltine che aprono uno spiraglio di luce in tutta la stanza. I genitori sono abbastanza severi con le due ragazzine, che sono vivaci ma non sono spocchiose fortunatamente, anche se la grande è in quella fase adolescenziale rispondo-a-monosillabi-ew-che-schifo-le-persone e ha pure problemi col cibo perché a quanto pare lo nasconde e non mangia. Le bambine fanno mille attività a testa, cosa che mi sembra alquanto esagerata, ma non credo abbiano molte alternative. Qui, a differenza dell'Italia, non hanno la benché minima concezione di cosa voglia dire stare a tavola insieme o cenare, nel vero senso della parola: non esistono tovaglie o tovaglioli, la tavola non si apparecchia, non portano i bicchieri o le bottiglie, si mangia in 15 minuti scarsi e poi si va nella stanzetta del camino. Non so se mi ci abituerò in questi 6 mesi. Ieri ho guidato per la prima volta, e in 4 giorni devo essere in grado di somatizzare una guida completamente opposta alla mia, visto che lunedì devo già essere operativa e portare le ragazzine a scuola, a danza, a football e farmela andar bene. Tutto questo mi scombussola parecchio perché mi sembra una cosa troppo affrettata e troppo presa sotto gamba, soprattutto da parte di genitori che sgridano le figlie se parlano durante la cena. Non vedo l'ora di andare in giro ad esplorare un po' l'ambiente che mi circonda e conoscere la città, i posti, le persone.
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tradizioni-barcellona · 3 years ago
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FESTA DI SANTA RITA DA CASCIA 2022
Barcellona Pozzo di Gotto (Me)
Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista
Triduo in onore di Santa Rita
19 - 21 maggio
ore 18:15 Recita del Santo Rosario
ore 19:00 Coroncina in onore di Santa Rita e Santa Messa
Domenica 22 maggio - VI° di Pasqua
ore 10:30 Santa Messa
ore 18:15 Recita del Santo Rosario
ore 19:00 Santa Messa
ore 20:00 Celebrazione del Transito di Santa Rita, a seguire benedizione delle piantine di rose e benedizione con la reliquia di Santa Rita.
Lunedì 23 maggio
FESTA DI SANTA RITA DA CASCIA
Chiesa San Giovanni Battista
ore 8:00 - 9:00 - 10:00 - 11:00 Santa Messa con benedizione delle rose in ogni celebrazione.
ore 12:00 Supplica in onore di Santa Rita
ore 17:30 Santa Messa con benedizione delle rose.
Segue Processione del Simulacro di Santa Rita per le vie della Città
( consulta il programma ufficiale per l'itinerario)
Rientro Chiesa del SS. Crocifisso con Benedizione finale sul sagrato con la Reliquia di Santa Rita.
Addobbare le strade dove passa la processione
con drappi, tovaglie, luci e fiori per onorare Santa Rita da Cascia.
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mademoisellesabi · 6 years ago
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Ho sempre amato viaggiare ma a un certo punto della mia vita viaggiare è diventato indispensabile. E quindi meno capi di abbigliamento e più biglietti aerei. Qualche giorno al mese ho la necessità di passarlo in qualche capitale europea, perché amo follemente il Vecchio Continente. Non vedo l’ora di scoprire posti nuovi ma anche di tornare in quelli che ho già visitato. Mi affeziono ai luoghi, alle atmosfere, alla gente, ai colori.
Diciamo che le fasi della vita sono molteplici e a seconda di quella che attraversiamo abbiamo interessi diversi. Nel mio caso sono andata migliorando, soprattutto in fatto di gusti e abitudini. La superficialità ha lasciato posto alla sostanza.
Dai 25 ai 30 la priorità era la moda (con una pesante ricaduta in seguito, quando ho finito di arredare casa). Non vedevo l’ora di spendere cifre inenarrabili per comprare una borsa costosa, trovandomi poi costretta a uscire di casa, anche quando non ne avevo molta voglia, al solo fine di esibirla. Del resto non puoi comprare:  l’iconica Chanel, l’irraggiungibile Birkin, ma anche una Fendi, una Gucci,  per lasciarle chiuse in casa. Non avrebbe senso. Diciamolo pure: se compriamo cose costose non è solo perché ci piacciono le cose belle ma perché ci piace essere guardate e un po’ invidiate. Un po’ vanesie lo siamo quasi tutte, ma un po’ sadiche, tutte!
In quella fase adoravo avere armadi pienissimi e sempre nuovi capi da indossare e una scarpiera (90 per 170) occupata in ogni ordine di posto da tacchi 12 in abbondanza, troppi! E, appunto, borse griffatissime perché l’accessorio è l’elemento iconografico per esprimere l’identità individuale. Sono arrivata a contare nel mio armadio novanta paia di scarpe, quando ne portavo una decina. La maggior parte acquistate in saldo o all’outlet, ma comunque 90 che sono nulla al confronto di Imelda Marcos o Chiara Ferragni, ma io le pagavo perché a me non le regalavano. Quindi in spreco di soldi che avrei potuto investire altrove… Poi cresci, maturi e spendi i soldi in maniera più sensata. Forse.
Attorno ai 30 la priorità è stata la casa e con l’acquisto dell’appartamento, alla moda è prevalso l’arredamento, il primo anno credo di non aver comprato nulla per me, tutto per la mia confortevole dimora. Perché sì avevo una casa da arredare e io alla casa ci ho sempre tenuto molto, quindi le mie trasferte erano alla ricerca del tappeto giusto, del mobile adatto, del quadro e poi della sua cornice e di oggetti, tanti oggetti: vasi, candele, lampade e via, sempre a scovare qualcosa da portare a casa anche quando non era così necessario. In seguito, forse nauseata dalla troppa dedizione avuta per la casa, la fashion addicted che c’è in me ha ripreso il sopravvento e per un buon periodo sono tornata al primo amore.
A un certo punto la mia taglia è cambiata, pertanto acquistare abiti non era più così divertente, inoltre ero arrivata ad avere otto cassettiere e tre metri di armadio e nonostante questo non trovavo lo spazio per nuovi capi, indi si rendeva necessario fare una cernita – riempire qualche sacco e portare tutto al mercatino dell’usato, prima, o vendere attraverso i vari siti come: Depop, Vestiere Collective, Rebelle, ecc, poi, con l’avvento di queste piattaforme -,  per tentare di recuperare qualche spicciolo, pochissimo al confronto di quanto speso ma, soprattutto un po’ di posto nell’armadio. Quella selezione obbligata per fare posto ai nuovi capi è sempre dolorosa, perché pur liberandoci di indumenti che non indossiamo da tempo o, addirittura, che non abbiamo mai nemmeno infilato, ci affezioniamo, e sappiamo benissimo che appena li buttiamo torneranno di moda e ci verrà voglia di indossarli.
Avvicinarsi ai quaranta ha avuto i suoi lati positivi. La progressione mentale cresce di pari passo con la decadenza fisica e quindi anche se il punto vita si espande, i glutei perdono la sfida con la forza di gravità e puntano inesorabilmente verso il basso e la pelle dei piedi si ispessisce, acquisisci razionalità e capisci che l’importante è godersela non accumulare. Ti rendi conto, tra l’altro, dell’importanza del denaro, capisci che lavorare un mese per acquistare una borsa non è una cosa poi tanto sensata, dato che, nel mese. paghi la rata del mutuo e le bollette e il carburante e fai la spesa per nutrirti e ti concedi svariati aperitivi (parecchi nel mio caso). Se a trent’anni mi dava gioia spendere mezzo stipendio per una borsa a trentotto godevo nell’entrare da Zara in tempo di saldi e spendere poco più di un decimo dello stipendio per 5 paia di scarpe, 5 giacche, 5 pantaloni, qualche blusa e l’ennesimo trench. Ovvio, pur sapendo che non tutto verrà usato, qualche capo finirà in vendita ancora munito di cartellino, ma vuoi mettere il risparmio rispetto all’acquisto a prezzo pieno… Da Zara Home più o meno la stessa avventura: vasi, cornici porta foto, tovaglie, asciugamani, cesti, cesti e cesti a un terzo del prezzo originale. Poi oltre all’età anche il mio lavoro è cambiato. Aver avuto per vent’anni un lavoro fisso e alquanto sedentario ti porta a desiderare il contrario e la precarietà assume un certo fascino anche perché oramai siamo tutti precari. Il cambio ha fatto si che non dovessi più in ufficio dove la solita gente mi vedeva tutti i giorni e il rapporto con un pubblico di un certo tipo imponeva outfit adeguati, lavoravo da casa e per stare al computer erano sufficienti qualche sottoveste e comodi e caldi – nella stagione fredda – cardigan con cui coprirmi. E i tacchi 12 per stare in casa non li metti, almeno non per scrivere… Gironzolo per casa rigorosamente a piedi scalzi, che sia estate o inverno pieno. Il tacco 12 comunque non l’ho abbandonato del tutto, ne acquisto ancora ma a un ritmo molto meno sostenuto.
E la casa era diventata piena, accogliente, c’era tutto e anche molto più di tutto, o, almeno, molto più di quello che serve. E diciamolo andare all’Ikea non è come andare in Svezia e nemmeno andare da Zara Home è come andare in Spagna e neppure andare da Maisons du Monde è come viaggiare in giro per il mondo. Certo ci sono cose bellissime che rendono la tua casa più bella e le conferiscono un fascino provenzale o nordico o etnico (preferisco i primi due) ma andare a Stoccolma o Barcellona è un’altra cosa, respirare il profumo di lavanda e vedere chilometriche distese lilla è decisamente un’altra cosa.
E quindi, ora, scavallati i quaranta da un po’, stare su internet a cercare nuove mete da raggiungere e navigare Ryanair, Skycanner e Booking a cercare voli low cost e alberghi dove alloggiare è piacevole quanto, un tempo, lo era passare interi pomeriggi da Zara & Co. alla ricerca dell’outfit perfetto.
Insomma meglio accumulare miglia piuttosto che vasi o tacchi, perché il viaggio è cultura, è conoscenza, è emozione, è scambio, è incontro, è sogno, è vita. E molto altro ancora!
Confessioni... Ho sempre amato viaggiare ma a un certo punto della mia vita viaggiare è diventato indispensabile. …
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guanellafilippine · 6 years ago
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News from Manila #37 - 7 luglio 2018
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Carissimi Amici buona estate a tutti voi. Vi spero bene  e desidero condividere con voi il numero 37 delle “News from Manila” che raccontano tre esperienze che coinvolgono  persone bisognose  che serviamo nel nostro ministero di Carità.
Progetto Handlooms – Telai terapeutici
Lo scorso anno tra Agosto e Settembre il Dipartimento di Scienza e Tecnologia (DOST) che fornisce telai terapeutici per disabili e anziani  ci ha chiamato al telefono per fissare un incontro. Quale lo scopo: poter dotare il nostro centro di una nuova attività terapeutica che coinvolga i nostri disabili, le persone anziane e le madri che fanno parte del nostro programma di sostegno alle famiglie con bambini disabili.
Il progetto dopo svariati incontri e riunioni finalmente ha preso inizio il giorno 11 Giugno presso il Guanella Center di Quezon City in Manila.  In un articolo diffuso dal dipartimento si scrive: “Il giorno 11 Giugno 2018 disabili, anziani e madri membri del Centro Guanella, Servi della Carità, un'organizzazione religiosa con sede in Quezon City, ha ricevuto 10 unità di telai manuali terapeutici a quattro cinghie modificati (telai thera) dal Dipartimento di Scienza e Tecnologia (DOST) durante la cerimonia di inaugurazione del progetto  a cui hanno partecipato il segretario DOST Fortunato T. de la Peña,  DOST - Direttore regionale regionale Jose B. Patalinjug III  e Celia B. Elumba DOST - Philippine Textile Research Direttore dell'Istituto (DOST - PTRI)”.  
Alcuni dei nostri disabili, le persone anziane e le madri hanno frequentato un corso di formazione della durata di un’intera settimana. Ate Josie, la formatrice - paziente e competente - ha fornito   assistenza tecnica offrendo  istruzione  sulla tessitura di base a mano, nonché sul funzionamento e la manutenzione del telaio. Obbiettivi del progetto sono due: il primo è migliorare la capacità e la produttività delle persone con disabilità che frequentano il “Livelihood Program” presso il Guanella Center  attraverso la fabbricazione di vari prodotti  con i telai manuali terapeutici portatili.
Il secondo è quello generare un ritorno economico attraverso il marketing degli articoli prodotti. Disabili, anziani e madri  oltre a vivere un’esperienza di condivisione di questa attività (le tre categorie di persone lavorano insieme in uno spazio predisposto per il progetto) beneficeranno di piccole somme generate dalla vendita dei prodotti.  Il progetto è un’opportunità  in grado di offrire  non solo possibilità di sostentamento, ma di favorire interventi riabilitativi e di socializzazione.  Un progetto di cui essere orgogliosi perché mantiene i membri della comunità impegnati e produttivi,  dà loro fiducia e un senso di soddisfazione.
In poco più di un mese la produzione è diventata intensa: tovaglie da tavolo,  tovagliette per la prima colazione e arredi religiosi quali tovaglie per l’altare e stole per le celebrazioni liturgiche. Nei prossimi mesi si vorranno produrre degli scialli leggeri in cotone per le signore. Ora è il momento della caccia ai benefattori e compratori.
Longganisa e Tocino …., Cooperatori e Famiglie dei disabili insieme
Qualche mese fa durante un incontro con i nostri Cooperatori Guanelliani ho lanciato l’idea di supportare le nostre famiglie che abitano nel nostro “Don Guanella Housing Project”, una residenza per famiglie bisognose che hanno nel nucleo familiare persone disabili.  Una forma di condivisone, collaborazione, supporto offerto dai nostri Cooperatori, una forma di adozione familiare, una famiglia di un Cooperatore adotta una famiglia dell’Housing. Dall’incontro  con le madri è scaturita l’idea di iniziare la produzione e la vendita di due specialità che vanno alla grande nella  tavola dei Filippini “Longganisa e Tocino” piatti normalmente serviti per la prima colazione.  
La longganisa è una salsiccia tipica filippina preparata con carne di maiale macinata, anche se si può usare il manzo o il pollo. La sua origine è associata alla linguiça portoghese e al chorizo spagnolo. Nelle Filippine si può gustare la longganisa come specialità regionale nelle sue diverse varianti, in quanto la popolazione di ogni zona del Paese usa una miscela di spezie e aromi differente. Esistono due tipi principali di longganisa: la derecado (con aglio) e hamonado (dolce).
Il tocino è una pietanza per la colazione popolare nelle Filippine. È fatto di carne di maiale, tipicamente proveniente dalla spalla del maiale, dal posteriore o dalla lonza. Per preparare il tocino, tutto quello da  fare è marinarlo in una miscela di spezie deliziose, conservarlo in frigorifero per un paio di giorni e poi friggerlo o grigliarlo fino a quando non ha raggiunto la consistenza desiderata, croccante e gustosa.
Dopo la prima esperienza di produzione e vendita, valutato che il mercato offre un buon ritorno economico la nostra Sister Gladys (assistente sociale del Guanella Center e  referente per il progetto Housing)  in condivisione con le madri hanno deciso di aumentare la produzione.  Grazie alla Divina Provvidenza che ci ha aperto la strada a questo bella esperienza.
Pangasinan, Santa Barbara nuova missione a favore delle persone anziane povere
Sì, il 16 di Luglio, festa della Madonna del Carmelo la Congregazione Guanelliana  inizierà nelle Filippine  la sua terza missione. Una missione che avrà due obbiettivi: accogliere le persone anziane povere, sole, senza nessun sostegno e  curare la formazione religiosa guanelliana dei candidati nella tappa del postulandato.  Il giorno 23 Giugno l’inaugurazione della Casa, il 16 Luglio l’invio della Comunità.  La nuova Casa si trova  nella Provincia di Pangasinan, precisamente nel comune di Santa Barbara. Voglio condividere con voi alcune delle belle riflessioni che Mons. Socrates Villegas -Vescovo della Diocesi locale di Dagupan - ha espresso in occasione dell’inaugurazione (l’omelia era in lingua locale, Ilocano, per cui mi scuso semmai ci fosse qualche errore nella traduzione).
“Tra cinquant'anni, guarderanno le foto di quello che stiamo facendo oggi pomeriggio. Guarderanno i nostri volti e diranno: questo è già morto; anche questo; e anche questo. Ma le cose buone che stiamo iniziando ora saranno ancora vivi tra cinquanta o anche cento anni da oggi. Quello che stiamo facendo è importante e ringraziamo il Signore per la benedizione che questa casa è. Questo pomeriggio questa casa ci sta dicendo che tutte le persone hanno lo stesso valore. Abbiamo lo stesso valore e non esiste una persona il cui valore sia ridotto perché ha commesso un errore, perché si è ammalato, perché ha un occhio mancante, perché il suo cervello non funziona bene, perché lui / lei non può parlare - abbiamo tutti lo stesso valore.
Questo è ciò che la nuova casa  ci sta dicendo. Questo è un faro a Pangasinan. E questo faro dice a tutti, siete uguali davanti al Signore.  Anche se abbiamo peccato, anche se ci ammaliamo. Anche se manca qualcosa nei nostri corpi - che siamo calvi o con pochi capelli, avere pochi denti o nessuno, storpiati o in grado di camminare, che può sentire o non sentire, può leggere o non può leggere. Tutti noi siamo figli di Dio. E poiché siamo figli di Dio, abbiamo lo stesso valore.
Gesù Cristo scelse i feriti invece di quelli sani. Ha scelto la povertà invece della ricchezza. Scelse la mangiatoia invece di una stanza. Ha scelto di morire sulla croce come un criminale invece di morire a causa di una malattia. Ciò significa che Gesù ha elevato il valore dei feriti, la persona che ha una disabilità, la persona in periferia, la persona che è respinta dalla società, Gesù ha aumentato il loro valore. Cristo ha prestato maggiore attenzione e ulteriore preoccupazione a coloro che non hanno qualcosa qui sulla terra. Questo è il motivo per cui siamo qui. È nostro dovere cristiano prenderci cura della nostra gente. È nostro dovere cristiano prenderci cura dei poveri perché i poveri, gli anziani, gli handicappati, gli emarginati, Dio ha scelto di stare con loro.
Mi dispiace dirtelo, accendere una candela non ti porterà in paradiso. O portare fiori non ti porterà in paradiso. Solo l’amore. L’amore per i poveri, l’amore per gli handicappati, l’amore per i dimenticati, l’amore per gli ultimi. Questo è l'unico modo sicuro. L'unica chiave che aprirà le porte del paradiso per noi. Questo pomeriggio rinnoviamo il nostro amore per i poveri. Perché non dovremmo dimenticare che siamo tutti poveri davanti a Dio. Non abbiamo nulla di cui vantarci di fronte a Dio. E sappiamo che in questo lavoro, Dio ci aiuterà. Perché questo lavoro è opera di Dio e noi continuiamo solo questo suo lavoro qui sulla terra”.
Il giorno stesso dell’inaugurazione prima di raggiungere la casa a Santa Barbara abbiamo fatto tappa al Santuario della Madonna del Rosario di Manaoag (circa 30 minuti dalla nuova missione). Alla Madonna abbiamo affidato questa nuova realtà, i poveri che accoglieremo, i Confratelli P. Charlton, P. Charles e seminaristi che vi abiteranno. Pregate per questa nostra nuova missione guanelliana.
Carissimi  una preghiera particolare ve la chiedo per la mia Comunità. Nei mesi di Luglio e Agosto ci sarà una riorganizzazione della casa.  La casa ospiterà i Confratelli per la Teologia e Filosofia (2 Filippini, 2 Indiani, 3 Vietnamiti). Inoltre uno spazio verrà riservato alla tappa del Noviziato  (14 novizi, 12 Filippini e 2 Vietnamiti).  Pregate perché questi giovani diventino buoni e santi sacerdoti e fratelli secondo lo spirito di San Luigi Guanella.
Vi ricordo tutti nella mia personale preghiera. Ciao.
Fr. Mauro
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Gli italiani amano la Costa Azzurra. Sono i maggiori frequentatori del Sud della Francia e ci vanno tutto l’anno. Ecco perché saranno molti coloro che la sceglieranno per le festività natalizie. Per chi visita la regione in questa stagione, la Costa Azzurra ha in serbo tantissimi eventi che allieteranno le loro giornate e, perché no, anche le loro serate. Giornate spesso e volentieri soleggiate, con temperature miti, perché il clima qui è sempre ideale per stare all’aria aperta. Fra le novità più importanti ce n’è una davvero suggestiva: Nizza, baia delle luci, il festival delle lanterne cinesi tradizionali che, dal 29 novembre fino al 23 febbraio, illuminerà il Parc Phoenix di Nizza di rosso, in un percorso incantevole che va dal lungomare fino ai vicoli interni della città vecchia. Anche la Costa Azzurra ha i suoi Mercatini di Natale. Ce ne sono tantissimi e in tante città affacciate sul mare e sulle vicine alture. Ce ne sarà uno grande a Cannes, dal 30 novembre al 5 gennaio 2020; a Nizza ci sarà il Villaggio di Natale dal 6 dicembre al 5 gennaio 2020; il Mercatino di Natale di Saint-Raphaël sarà accompagnato dal Giardino di Luci con bellissime proiezioni sulla Basilica dal 7 dicembre al 5 gennaio 2020, e a Mentone, oltre al Village du Père Noël, ci sarà una pista di pattinaggio sul ghiaccio al Marché des Halles, il “percorso delle renne” che attraversa la città e la “Foresta incantata” nei Jardins Biovès. Anche il delizioso borgo degli artisti di Biot, nell’entroterra di Antibes, avrà il suo Mercatino di Natale: il Mercatino della Creatività durerà solo un weekend, quello del 14 e 15 dicembre. Il Primo dicembre un gigantesco Calendario dell’Avvento sarà creato su un edificio del paese, dove ogni giorno si aprirà una delle 24 finestre con una mostra a cielo aperto. Il weekend del 21 – 22 dicembre si terrà invece il Mercatino di Natale a Golfe-Juan, tra Juan-les-Pins e Cannes. Durerà un giorno soltanto il Mercatino delle ceramiche di Natale della vicina Vallauris, che si terrà il 15 dicembre, con un laboratorio di ceramica per i bambini nella Place de l’Homme-au-Mouton. Non solo eventi al mare. Anche i villaggi dell’entroterra della Costa Azzurra avranno i loro mercatini. A partire da metà dicembre le vie centrali di Breil-sur-Roya e di Castellar, due villaggi montani sulla strada che porta al Col di Tenda, e della Turbie, alle spalle del Principato di Monaco, si riempiranno di bancarelle dei Mercatini di Natale. E non solo mercatini sulla Costa Azzurra. Dicembre è anche il mese dei presepi. Ne verranno allestiti di bellissimi a Lucéram, un tipico “village perché” a un’ora di strada da Mentone, dove si potrà fare il tour dei presepi fino a gennaio. Così come a Roquebrune-Cap-Martin, tra Mentone e Montecarlo, si potrà percorrere la suggestiva Strada dei Presepi. A Grimaud, sulla strada per Saint-Tropez, come ogni anno si svolge l’originale Salone dei Santons, le tipiche statuine dei presepi che si trovano solo nella zona della Provenza e, proprio per questo, non rappresentano solo i personaggi della Natività ma anche della vita quotidiana: non mancano infatti zingari e gitani. La capitale di questo appuntamento secolare rimane però Marsiglia. L’evento inizia il 6 dicembre, giorno di San Nicola, e dura fino all’Epifania. Natale in Costa Azzurra non è solo eventi ma anche tradizioni. Chi decide di trascorrere la Vigilia qui deve sapere alcune cose importanti: il cenone del 24 dicembre, benché debba essere “di magro”, comprende parecchie portate e non mancano mai lumache, baccalà, cefalo, cardi e sedano. Ci sono anche alcune regole da seguire per la preparazione della tavola: tre tovaglie bianche rappresentano la Santissima Trinità, alcune ciotoline devono contenere il grano di Santa Barbara e devono esserci ben 13 dessert, in riferimento a Cristo e ai suoi 12 Apostoli. Non esiste una lista fissa di dolci, ma non possono di certo mancare fichi, uva passa, mandorle e noci (chiamati “i quattro mendicanti”, in quanto evocano gli ordini religiosi che hanno fatto voto di povertà), i datteri, il torrone – blanc a base di albume montato a neve, noir a base di miele o zucchero – e il “gibassié” o “pompe à l’huile”, una sorta di focaccia dolce fatta con olio d’oliva fruttato. E poi, frutta fresca come uva, mandarini e frutta candita. In tema di riti tradizionali, invece, nelle zone più rurali, la cerimonia del “pastrage” (da “lou pastre” ovvero “pastore” in provenzale) continua ad arricchire la Messa di mezzanotte. Nel periodo in cui le pecore figliano, una processione di pastori viene a presentare l’agnello appena nato all’officiante e all’assemblea al suono del flauto e del tamburello. La giovane pecora viene trasportata in un carretto illuminato di candele. Questa celebrazione a volte è rinviata al mese di gennaio. A volte la Messa di mezzanotte è accompagnata da una pastorale, il che è sinonimo del Natale tradizionale. Si tratta di una rappresentazione teatrale della Natività, cantata e parlata in provenzale. Un po’ come se i Santon del presepe prendessero vita. Nel caso in cui a qualcuno mancasse comunque la neve, niente paura. A un’ora di strada dalla Costa Azzurra si possono raggiungere gli impianti sciistici delle Alpi del Sud, nelle località di Isola 2000, che apre a fine novembre, di Auron e di Valberg, che inaugurano la stagione invernale a dicembre. @CRT Côte d’Azur France/ Anaïs Brochiero https://ift.tt/2O86htV A Natale (e Capodanno) la Costa Azzurra diventa magica Gli italiani amano la Costa Azzurra. Sono i maggiori frequentatori del Sud della Francia e ci vanno tutto l’anno. Ecco perché saranno molti coloro che la sceglieranno per le festività natalizie. Per chi visita la regione in questa stagione, la Costa Azzurra ha in serbo tantissimi eventi che allieteranno le loro giornate e, perché no, anche le loro serate. Giornate spesso e volentieri soleggiate, con temperature miti, perché il clima qui è sempre ideale per stare all’aria aperta. Fra le novità più importanti ce n’è una davvero suggestiva: Nizza, baia delle luci, il festival delle lanterne cinesi tradizionali che, dal 29 novembre fino al 23 febbraio, illuminerà il Parc Phoenix di Nizza di rosso, in un percorso incantevole che va dal lungomare fino ai vicoli interni della città vecchia. Anche la Costa Azzurra ha i suoi Mercatini di Natale. Ce ne sono tantissimi e in tante città affacciate sul mare e sulle vicine alture. Ce ne sarà uno grande a Cannes, dal 30 novembre al 5 gennaio 2020; a Nizza ci sarà il Villaggio di Natale dal 6 dicembre al 5 gennaio 2020; il Mercatino di Natale di Saint-Raphaël sarà accompagnato dal Giardino di Luci con bellissime proiezioni sulla Basilica dal 7 dicembre al 5 gennaio 2020, e a Mentone, oltre al Village du Père Noël, ci sarà una pista di pattinaggio sul ghiaccio al Marché des Halles, il “percorso delle renne” che attraversa la città e la “Foresta incantata” nei Jardins Biovès. Anche il delizioso borgo degli artisti di Biot, nell’entroterra di Antibes, avrà il suo Mercatino di Natale: il Mercatino della Creatività durerà solo un weekend, quello del 14 e 15 dicembre. Il Primo dicembre un gigantesco Calendario dell’Avvento sarà creato su un edificio del paese, dove ogni giorno si aprirà una delle 24 finestre con una mostra a cielo aperto. Il weekend del 21 – 22 dicembre si terrà invece il Mercatino di Natale a Golfe-Juan, tra Juan-les-Pins e Cannes. Durerà un giorno soltanto il Mercatino delle ceramiche di Natale della vicina Vallauris, che si terrà il 15 dicembre, con un laboratorio di ceramica per i bambini nella Place de l’Homme-au-Mouton. Non solo eventi al mare. Anche i villaggi dell’entroterra della Costa Azzurra avranno i loro mercatini. A partire da metà dicembre le vie centrali di Breil-sur-Roya e di Castellar, due villaggi montani sulla strada che porta al Col di Tenda, e della Turbie, alle spalle del Principato di Monaco, si riempiranno di bancarelle dei Mercatini di Natale. E non solo mercatini sulla Costa Azzurra. Dicembre è anche il mese dei presepi. Ne verranno allestiti di bellissimi a Lucéram, un tipico “village perché” a un’ora di strada da Mentone, dove si potrà fare il tour dei presepi fino a gennaio. Così come a Roquebrune-Cap-Martin, tra Mentone e Montecarlo, si potrà percorrere la suggestiva Strada dei Presepi. A Grimaud, sulla strada per Saint-Tropez, come ogni anno si svolge l’originale Salone dei Santons, le tipiche statuine dei presepi che si trovano solo nella zona della Provenza e, proprio per questo, non rappresentano solo i personaggi della Natività ma anche della vita quotidiana: non mancano infatti zingari e gitani. La capitale di questo appuntamento secolare rimane però Marsiglia. L’evento inizia il 6 dicembre, giorno di San Nicola, e dura fino all’Epifania. Natale in Costa Azzurra non è solo eventi ma anche tradizioni. Chi decide di trascorrere la Vigilia qui deve sapere alcune cose importanti: il cenone del 24 dicembre, benché debba essere “di magro”, comprende parecchie portate e non mancano mai lumache, baccalà, cefalo, cardi e sedano. Ci sono anche alcune regole da seguire per la preparazione della tavola: tre tovaglie bianche rappresentano la Santissima Trinità, alcune ciotoline devono contenere il grano di Santa Barbara e devono esserci ben 13 dessert, in riferimento a Cristo e ai suoi 12 Apostoli. Non esiste una lista fissa di dolci, ma non possono di certo mancare fichi, uva passa, mandorle e noci (chiamati “i quattro mendicanti”, in quanto evocano gli ordini religiosi che hanno fatto voto di povertà), i datteri, il torrone – blanc a base di albume montato a neve, noir a base di miele o zucchero – e il “gibassié” o “pompe à l’huile”, una sorta di focaccia dolce fatta con olio d’oliva fruttato. E poi, frutta fresca come uva, mandarini e frutta candita. In tema di riti tradizionali, invece, nelle zone più rurali, la cerimonia del “pastrage” (da “lou pastre” ovvero “pastore” in provenzale) continua ad arricchire la Messa di mezzanotte. Nel periodo in cui le pecore figliano, una processione di pastori viene a presentare l’agnello appena nato all’officiante e all’assemblea al suono del flauto e del tamburello. La giovane pecora viene trasportata in un carretto illuminato di candele. Questa celebrazione a volte è rinviata al mese di gennaio. A volte la Messa di mezzanotte è accompagnata da una pastorale, il che è sinonimo del Natale tradizionale. Si tratta di una rappresentazione teatrale della Natività, cantata e parlata in provenzale. Un po’ come se i Santon del presepe prendessero vita. Nel caso in cui a qualcuno mancasse comunque la neve, niente paura. A un’ora di strada dalla Costa Azzurra si possono raggiungere gli impianti sciistici delle Alpi del Sud, nelle località di Isola 2000, che apre a fine novembre, di Auron e di Valberg, che inaugurano la stagione invernale a dicembre. @CRT Côte d’Azur France/ Anaïs Brochiero Per chi visita il Sud della Francia durante le festività natalizie, la Costa Azzurra ha in serbo tantissimi eventi.
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fondazioneterradotranto · 6 years ago
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/05/10/gli-impieghi-della-ruta-tra-medicina-popolare-e-magia/
Gli impieghi della Ruta tra medicina popolare e magia
di Gianfranco Mele
  La Ruta è pianta tipica e originaria dell’ Europa meridionale, presente sulle rupi, sui muri, nelle garighe, nelle macchie.
Il botanico ottocentesco Martino Marinosci riporta, nella sua ricerca sulla flora salentina, la presenza di due specie di Ruta nel Salento, la bracteosa (sin.: chalepensis) e la graveolens. Le proprietà sono simili; la prima fiorisce in maggio, la seconda in giugno. Lo studioso salentino accenna nella sua opera alle proprietà emmenagoghe, antiisteriche, sudorifere, abortive, vermicide della pianta. Descrive poi gli impieghi dell’aceto di Ruta bracteosa e Canfora, come farmaco utile a contrastare i deliqui (perdita dei sensi), il tifo, i mal di denti; parla inoltre delle fumigazioni a base di Ruta, come rimedio alle malattie della vista.[1]
Era ritenuta, in Salento come altrove, pianta dalle molteplici virtù medicinali e magiche, e si impiegava per svariati scopi (“La ruta ogni male stuta”: la ruta ogni male spegne).[2] Una variante di questo detto, comunissimo in Puglia, è: “la ruta sette mali stuta”.
L’ infuso di foglie era utilizzato per ottenere azione antispasmodica, antiisterica, antinervosa: la ricetta utilizzata prevedeva l’impiego di “gr. 2 di foglie macerate per 1 ora in gr. 100 d’ acqua bollente” [3]
Si utilizzava per calmare i vermi intestinali, con cataplasmi posti sull’addome; inoltre si curava l’otite con un infuso mescolato nel latte.[4] Dalla macerazione delle foglie in olio di oliva si otteneva un unguento atto ad alleviare i dolori reumatici; con lo stesso unguento, e l’aggiunta di un pizzico di zolfo e bucce di limone, veniva curata la scabbia.[5]. Dalla pianta essiccata si otteneva una polvere utilizzata per disinfestare i giacigli degli animali. [6] Il decotto, assunto in piccole dosi era utilizzato per facilitare la digestione e il flusso mestruale; ad alte dosi era utilizzato a scopi abortivi (in quanto ha l’effetto di provocare contrazioni uterine) o anche veleniferi (infiammazione dell’apparato gastroenterico e genitale). [7]
Anche a causa della forma a croce del fiore aperto, si credeva che avesse la capacità di tenere lontani i demoni e il malocchio.[8] Questa credenza ha, in ogni caso, radici antichissime, difatti già Aristotele ne raccomanda l’uso contro gli spiriti e contro gli incantesimi. Nel Medioevo era pratica usuale depositare corone di ruta sulle tombe per allontanare gli spiriti maligni. Nel Rinascimento, questa pianta veniva chiamata Herba de fuga demonis.[9] Una usanza tipicamente abruzzese della ruta come erba “anti-streghe” era quella di cucire le foglie di ruta in un borsellino da portare nascosto nel seno: erano ritenute ancor più efficaci, le foglie su cui una farfalla avesse depositato le uova.[10]
Sempre in riferimento alla capacità della ruta di tenere lontani gli spiriti maligni, nell’ Iconologia del Ripa la Bontà è raffigurata come una
“donna vestita d’oro, con ghirlanda di ruta in capo, e con gli occhi rivolti al Cielo, in braccio tenga un Pelicano con li figliuolini, e a canto vi sia un verde Arboscello alla riva d’un fiume”.[11]
 Il Ripa spiega il significato della ruta in questa raffigurazione:
“stà con gl’occhi rivolti al Cielo per esser intenta alla contemplatione Divina, e per scacciare i pensieri cattivi, che di continuo fanno guerra. Per questo ancora si pone la ghirlanda di ruta, havendo detta herba proprietà di esser fuggita da gli spiriti maligni, e ne habbiamo autentici testimonij. Ha ancora proprietà di sminuir l’amor venereo, il che ci manifesta che la vera bontà lascia da banda tutti gli interessi e l’amor proprio il quale solo sconcerta e guasta tutta l’armonia di quest’organo che suona con l’armonia di tutte le virtù”.[12]
  In ambito magico-medicinale, era raccomandata contro l’epilessia e contro la vertigine: si usava appenderla al collo pronunciando una formula con la quale si rinunciava al diavolo e si invocava Gesù (secondo il Cattabiani questa usanza ha radici pagane e il rito qui descritto è un esempio di cristianizzazione del rituale più antico).[13]
La Ruta era utilizzata anche come deterrente per tener lontani i topi, in quanto si riteneva che non ne sopportassero l’odore.[14]
Era molto utilizzata come antidoto per il veleno dei serpenti e di altri animali. Anche questo tipo di impiego risale a tradizione molto antica, e Plinio la cita come rimedio sia al veleno dei serpenti che a punture di scorpione, di ragno, di ape, di calabrone e di vespa; inoltre, contro la cantaride e la salamandra, e contro il morso dei cani rabbiosi. A questo scopo, fornisce indicazioni di utilizzo del succo di ruta bevuto con vino “in dose di un acetabolo” (recipiente per l’aceto, e unità di misura pari a lt. 0,068); applicazioni di foglie tritate, oppure masticate, in impacco di miele e sale, oppure bollite con aceto e pepe. Plinio suggerisce l’impiego della ruta anche a livello preventivo rispetto alle aggressioni di animali velenosi:
“si dice che coloro che si siano cosparsi di succo e anche coloro che portano su di sé la ruta non vengano aggrediti da questi animali dannosi, e che i serpenti, se si brucia la ruta, ne fuggono le esalazioni”. [15]
  Pare in effetti, da osservazioni condotte anche recentemente, che le vipere fuggano davvero questa pianta, forse per l’odore a loro particolarmente sgradevole.[16]
Nel capitolo dedicato alla “Difesa contra nimici malefici et venefici”, Cesare Ripa, nella sua Iconologia, riporta la figura di una
“Donna che porti in testa un ornamento di pietre preziose […] in mano una pianta che abbia la cipolla bianca detta Scilla […] e al piede vi sia una donnola che tenga in bocca un ramo di ruta”.[17]
  Più avanti, nella descrizione della figura, il Ripa specifica, in riferimento alla donnola con ramoscello di ruta in bocca (in basso a destra nel disegno), che:
“della donnola che porta la ruta in bocca scrivono tutti li naturali, che se ne provvede per sua difesa contro il Basilisco, e ogni velenoso serpente”.[18]
  Si comprende anche da qui, l’impiego della ruta contro il malocchio: il Basilisco era considerato l’animale per eccellenza portatore di fascinazione con il suo sguardo.
Una raffigurazione della Ruta dai testi del Mattioli
  Forse proprio a causa di questa sua “capacità” di tener lontani gli animali considerati velenosi e di fungere da antidoto ai veleni, era utilizzata anche nei rituali del tarantismo. La Caggiano nel 1931 descrive un rituale nel tarantino, in cui è presente questa pianta:
tutte le comari offrono – in prestito s’intende – fazzoletti, scialli, sciarpe, sottane, tovaglie d’ogni colore, vasi di basilico, di cedrina, di menta, di ruta, specchi e gingilli ed infine un gran tino pieno d’acqua. L’ambiente viene così addobbato e quando tutto è pronto la morsicata, vestita di colori vistosi, sceglie a suo gusto nastri, fazzoletti, sciarpe, che le ricordano i colori della tarantola, e se ne adorna in attesa dei suonatori” [19]
  Teriaca e Mitridazio[20], antichi farmaci contenenti entrambi la Ruta, sono indicati dal Baglivi e dal Boccone come cure per il morso delle tarantole[21], e si ritrovano anche indicate in un manoscritto anonimo (risalente alla fine del XVII sec. O inizi XVIIII) che parla delle cure per i veleni di ragni e tarantole.[22]
Il Mattioli annovera la Ruta con l’ Aceto e la Ruta presa col vino tra i rimedi semplici indicati anche da Dioscoride per la cura dei morsi dei falangi in genere. Ruta Salvatica pesta, o bevuta nel vino, è indicata per i morsi delle scolopendre, degli scorpioni, delle vipere.[23]
La Ruta veniva utilizzata anche dagli esorcisti (decotta in acqua o tramite fumigazione) per liberare gli indemoniati; tuttavia, al pari di altre erbe magiche, risulta ambivalente negli impieghi, come vedremo nelle descrizioni a seguire.
Negli Atti del Tribunale del Santo Officio di Oria si legge di una unzione che causa la morte di una donna. In questa unzione sono presenti la Ruta ed altre erbe non specificate. Petronilla Carbone racconta agli inquisitori di una fattura di morte procurata dalla masciàra Antonella Teppi, di Torre S. Susanna, nei confronti di sua sorella Rosata Carbone (fattura confermata dall’ arciprete di Torre S. Susanna, il quale tenta invano di guarire la donna affatturata con la lettura degli Evangeli). La masciàra viene pregata di far guarire la Carbone da una fattura subita in precedenza (e forse operata, anche quella, dalla stessa Teppi), ma il risultato è un aggravamento della donna, sino alla morte:
“Un giorno io con mia sorella Rosata ce la chiamammo dicendoli per amor di Dio che   vedesse di farla guarire ed essa rispose che non poteva fare niente, e pregatala molte volte, disse che vedrà di aggiustarla, e così se ne andò, la sera notte poi verso hore due venne in casa mia e disse che io dovesse abbuscare un pignatino di oglio da nove persone, sotto pretesto che doveva allumare la lampa alla Madonna ed io per desiderio della salute della suddetta mia sorella buon anima, l’andai a trovare con patto che non dovesse parlare a niuno né all’altra mia sorella né anche a mia madre e buscato che ebbi l’oglio, essa Antonella se lo portò in sua casa e tenutolo ventiquattro hore me lo portò un terzo di quello che era con molte erbe, che vi aveva poste dentro, le quali non conosco altro che la Ruta e mi disse che ne ungesse detta mia sorella à tutte le giunture, e le spalle, e alli nudi delle mani e questo lo doveva fare per nove giorni, tre volte al giorno. […] Cominciò ad andar dal corpo quattro capelli biondi, e ristinco, e nell’altra unzione ne andò sei, à mezzogiorno poi andò un ciciro, e siccome io la ungeva così essa ancora faceva piaghe in quella parte dove toccava l’oglio”. [24]
  Dopo pochi giorni, Rosata muore in preda a dolori e piaghe procurate dall’unguento. Secondo alcune testimonianze siciliane, la Ruta era utilizzata anche per un unguento che permetteva di volare: la mistura era preparata utilizzando olio d’oliva, Ruta, e il sangue di un uomo. [25]
L’ambivalenza della Ruta è tipica di altre erbe utilizzate a scopi magici: al tempo stesso veleno e farmaco, erba funesta ed erba benefica, era inoltre considerata afrodisiaca per le donne e anafrodisiaca per gli uomini.
Negli atti del processo di una strega bresciana, Benvegnuda Pincinella, ricompare la Ruta utilizzata per una liturgia di guarigione, che si apre proprio con una invocazione a “Madonna Ruta” e con una serie di preghiere rivolte all’ erba.[26]
Nella sua opera “Ricettario delle streghe”, il tossicologo Enrico Malizia raccoglie una selezione di antiche ricette da formulari, manoscritti e testi che vanno dal 1400 agli inizi del 1800. In tale ricettario, essenza di ruta insieme a: cinnamomo, radice di eringio, radice di pastinaca agreste, mirra, essenza di prezzemolo, polvere di zafferano mescolati con sciroppo di artemisia, fanno parte di un elettuario per favorire le mestruazioni.[27] Una variante di questo elettuario comprende, oltre a essenza di ruta, cinnamomo e mirra: succo di eringio, seme di nigella, essenza di calendula, succo di salicornia, succo di puleggio, essenza di sabina.[28]
In un ricettario marchigiano del ‘500, di autore anonimo, sono descritte le varie virtù dell’ olio di ruta insieme alla sua preparazione: “recipe frondi di ruta e ponile in acqua in tamburlano, e duecento libre di frondi farà un’oncia d’olio”.[29] Successivamente sono indicati gli impieghi dell’olio così preparato: una goccia, è indicata per sanare infallibilmente “qualsivoglia puntura o morsicatura d’animali”. L’olio è poi indicato anche come rimedio contro la pleurite e contro dolori reumatici vari. “Una goccia” vale anche a sanare congiuntiviti e a tonificare la vista. Due gocce messe nell’orecchio, a sanare il ronzio e ridare vigore all’udito. Inoltre, l’olio di ruta è consigliato come rimedio alla cattiva circolazione del sangue. Ancora, nel suddetto ricettario, ritrovato dal Pezzella, l’olio di ruta va unto sul grembo della gestante per ridare al feto la giusta posizione nel grembo.[30]
Il succo ottenuto dalla spremitura di una libbra di ruta insieme a una libbra di scordio, una di capraria e una di cedro insieme a un’oncia di teriaca erano utilizzati, dopo distillazione, contro febbri, tifo e peste.[31]
L’ “erba ruta ben polverizzata” deve essere data da bere inoltre come rimedio “a chi perde l’intelletto”.[32]
Ungere i piedi “con l’ erba ruta intrisa d’olio” serve “a non stancarti camminando a piedi”.[33]
Ruta ben tritata con miele, serviva come applicazione su ginocchi infiammati.[34]
La ruta è impiegata anche in un procedimento “per conoscere se una persona è affatturata”: si dovevano impiegare aceto, salvia, ruta, savina perforata (valeriana rossa) e una palma benedetta: “falle friggere in olio comune e fallo benedire et onge il capo del patiente e vedrai l’effetto”.[35]
Contro le fatture, si riteneva che la ruta, insieme a succo d’assenzio, funzionasse anche a livello preventivo, difatti “per non essere stregato, farai benedire il sugo d’assenso e ruta e lo darai a bevere ad alcuno che non potrà mai essere ammaliato”.[36]
La Ruta è anche ingrediente dell’ Aceto dei quattro ladroni, ricetta contro-veleno della peste, che la tradizione vuole originaria della Francia (in un periodo tra il XIV e il XVIII secolo) e che si estese in tutta Europa. Era composta (in una delle sue numerose varianti) di aceto, menta, ruta, lavanda, aglio, rosmarino.[37]
Il medico e ricercatore ottocentesco Paolo Mantegazza descrive così la Ruta:
“Pianta del mezzodì dell’Europa coltivata negli orti, condimento ricercatissimo degli antichi, che le attribuivano infinite virtù e fra le altre quella di domare le passioni erotiche. Ora è piuttosto rimedio popolare contro i vermi, l’epilessia e le convulsioni che un vero alimento nervoso. Va però messo fra questi, perchè in Germania si mangia col pane come stomachico e fra noi serve ad aromatizzare l’acquavite”.[38]
  Nel medioevo, la scuola medica salernitana affermava che “Giova la ruta agli occhi, fa la vista assai acuta, e scaccia la caligine. Nell’uom Venere affredda, e nella Donna assai l’accende, e fa l’ingegno astuto. E affinchè non vi dian le pulci tedio, ella, o donne, è ottimo rimedio”.
Il Cattabiani riferisce di un antico detto “Ruta libidinem in viris extinguit, auget in foeminis” (la ruta estingue la libido negli uomini, e l’aumenta nelle donne).[39]
Nell’iconologia del Ripa la ruta è presente anche in riferimento alla castità matrimoniale:
“Una donna, vestita di bianco, in capo avrà una ghirlanda di Ruta, nella destra mano tenga un ramo di Alloro, e nella sinistra una Tortora. La ruta ha proprietà di raffrenare la libidine, per l’acutezza del suo odore, il quale essendo composto di parti sottili per la sua calidità risolve la ventosità, e spenge le fiamme di Venere, come dice il Mattiolo nel 3. lib. de’ suoi Commenti sopra Dioscoride.”[40]
  Nella antica Roma, i semi della Ruta erano impiegati per la preparazione di una bevanda soporifera a base di oppio.
La Ruta graveolens, secondo gli studiosi che si occupano di droghe, ha sospette proprietà psicoattive, allo stato della ricerca non compiutamente dimostrate.[41]
Nel mito, la Ruta è legata ad Afrodite e a Medea attraverso una storia singolare e dai risvolti cruenti: poiché le donne dell’ isola di Lemno avevano trascurato di omaggiare Afrodite, la Dea si vendicò condannandole ad emanare un odore ripugnante (simile a quello della Ruta): così, gli uomini dovettero abbandonare le loro spose, ma supplirono a tale mancanza procurandosi delle concubine straniere. Le donne tradite uccisero così tutti gli uomini. Un’altra versione del mito racconta della maga Medea protagonista del singolare incantesimo: navigando difatti al largo dell’ isola di Lemno insieme agli Argonauti, fu spinta da un desiderio di vendetta nei confronti di Issipile, una principessa di Lemno, che aveva amato il suo Giasone. Così, Medea inquinò le acque del mare di Lemno con la Ruta, che infestò di maleodore le donne che vi si bagnavano.
Secondo alcuni botanici la Ruta graveolens è la mitica erba moly descritta da Omero nell’ Odissea[42] (altri l’hanno identificata nella Mandragora, altri ancora nell’ Allium victorialis).
  Note
[1]Martino Marinosci, Flora Salentina compilata dal Dott. Martino Marinosci da Martina, Lecce, Tipografia Editrice Salentina, Vol. 1, pag. 208
[2] Giuseppe Cassano, Ràdeche vecchie Proverbi moti frasi indovinelli dialettali credenze e giochi popolari tarantini, Stab. Tipografico Ruggieri, Taranto, 1935 , pag. 21
[3]Antonio Costantini, Marosa Marcucci , Le erbe le pietre gli animali nei rimedi popolari del Salento , Congedo Editore, pag. 117
[4]Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta, Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, centro di Studi salentini, Lecce, 2012, pag. 400
[5]Ibidem
[6]Ibidem
[7]Ibidem
[8]Ibidem
[9]Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori, 1996, ried. 2016, pag. 230
[10]Alfredo cattabiani pag. 230
[11]Cesare Ripa, Iconologia di Cesare Ripa Perugino, Libro Primo, Venezia, Tomasini, 1645, pag. 72
[12]Ibidem
[13]Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 232
[14]Domenico Nardone et al. op. cit., pag. 400
[15]Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, XX, 132-133
[16]Alfredo Cattabiani, op. cit., pag. 231
[17]Cesare Ripa, op. cit., pag. 147
[18]Cesare Ripa op. cit., pag. 148
[19]Anna Caggiano, La danza dei tarantolati nei dintorni di Taranto, in Folklore italiano: archivio trimestrale per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari, VI, 1931, pag. 72
[20]Antico rimedio a base di 20 foglie di ruta, sale, 2 noci e 2 fichi
[21]Paolo Boccone, Intorno la Tarantola della Puglia, in: Museo di Fisica e di Esperienze variato, e decorato di Osservazioni Naturali, Note Medicinali e Ragionamenti secondo i Princìpi de’ Moderni, Venezia, 1697, pag. 105
[22]A.A.V.V., Sulle tracce della taranta, CRSEC – Regione Puglia, 2000, pag. 57
[23]Pietro Andrea Mattioli, Discorsi nei sei libri di Dioscoride Pedacio Anazarbeo Della materia medicinale, Venezia, Pezzana, 1744, pp. 833-837
[24]Atti Curia di Oria, Sortilegi e stregonerie ai tempi di Monsignor Labanchi, denuncia contro Antonella Teppi di Torre S. Susanna, in data 19 maggio 1723, accusata di essere masciàra, ff. 6-7
[25] Macrina Marilena Maffei, La danza delle streghe: cunti e credenze dell’arcipelago eoliano, Armando Editore, 2008, pag. 143
[26] Erika Maderna, La ruta, erba di maghe e streghe. Usi magici da Medea a Benvegnuda Pincinella, marzo 2018, Wall Street International, Website
[27]Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003, pag. 203
[28]Enrico Malizia, op. cit., pag. 204
[29] Il tamburlano è un arnese in metallo che serve alla distillazione; “duecento libre di fronde” sta per sette chili di ramoscelli di ruta; un’oncia sta per circa 30 grammi
[30] Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1°, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989 , pp. 30-31
[31] Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1 (cit.), pag. 71
[32] Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1 (cit.), pag. 65
[33]Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1 (cit.), pp. 90-91
[34] Salvatore Pezzella, Magia delle Erbe, vol. 1 (cit.), pag. 95
[35] Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 2°, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989, pp. 62-63
[36]Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 2 (cit.), pp. 66-67
[37]Enrico Malizia, op. cit., pag. 184
[38] Paolo Mantegazza, “Quadri della natura umana – Feste ed ebbrezze”, 1871, Milano, Bernardoni Edit. ,Vol. II, pag. 660
[39]Alfredo Cattabiani, op. cit, pp. 232-233
[40]Cesare Ripa, op. cit., , pag. 87
[41]Gianluca Toro, Flora psicoattiva italiana, Nautilus, 2010 pag. 117
[42]Alfredo Cattabiani, op. cit., pp. 228-229
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sounds-right · 6 years ago
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FUORISALONE 2019 - FAZZINI presenta "Timeless"
Sei colori, materici e profondi, sono protagonisti dell'art de la table, attraverso l'interpretazione dell'interior designer Andrea Castrignano
Da Le Corbusier a oggi, il colore è un elemento irrinunciabile del progetto perché genera emozioni irrazionali e straordinarie. In questa dimensione sensoriale è nato Timeless, il concept presentato in occasione del Fuorisalone 2019 da Fazzini, brand leader per la biancheria della casa made in Italy, con la collaborazione di Andrea Castrignano, l'interior designer più noto della televisione italiana.
Gli spazi dello store Fazzini di via Arco a Milano vengono completamente ripensati per diventare il palcoscenico di un'installazione ad alto contenuto emozionale che rivela una nuova esperienza della tavola in cui è protagonista una raffinata ricerca sulle tendenze del colore.
La palette gioca su nuance profonde della cartella colori di Andrea Castignano, Ametista, Ardesia, Army, Balena, Petrol, Wengèche, nell'abbinamento con il tessile di qualità, rivelano tutta la loro affascinante componente materica in un effetto degradè. Ogni colore non è mai dichiarato completamente, ma si svela nella texture della trama diventando parte integrante della bellezza del prodotto.  
Tovaglie, tovaglioli, runner e placement in cotone tinta unita giocano sulla tridimensionalità dei dettagli tono su tono, fino a rivelare un'irresistibile ricchezza compositiva nelle geometrie del pattern camouflage in edizione limitata.
Le proposte si svelano in un'ambientazione scenografica e si mescolano in un ricercato lifestyle con alcune creazioni o riedizioni firmate Andrea Castrignano. Diverse isole concettuali mettono in scena una narrazione sull'art de la table e suggeriscono un'interpretazione seducente dei trend contemporanei.
Completano l'allestimento, le collezioni tessili per la camera da letto Fazzini, le spugne per il benessere e le raffinate proposte di La Perla Home Collection.
Cornice dell'evento, le performance live della nota cantante Jazz Vhelade (produttrice, interprete e direttrice dei coloratissimi show di Piero Chiambretti) alternate con le selezioni musicali del sound designer Carlo L. Per soddisfare i palati più raffinati, gli ospiti potranno assaporare una serie di prelibatezze gastronomiche e degustare una selezione di vini pregiati dell'azienda vitivinicola ILLICA.
L'appuntamento Fazzini, Flagshipstore Milano - Via Arco, 1 Lunedì 8 aprile: 13.30 - 19.30 Da martedì 9 a giovedì 11 aprile: 10.30 - 20.00 Venerdì 12 aprile: 10.30 - 22.30
Cocktail party Venerdì 12 aprile: 17.30 - 22.30
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Diffuso da ltc per Globo communication Responsabile ufficio stampa Francesca Lovatelli Caetani [email protected]
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booksinprogressmilano · 8 years ago
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Il guardaroba di Gabriele D'Annunzio
Conformismo e trasgressione
Annamaria Andreoli
una mostra di Pitti Uomo Italia Museo Andito degli Angiolini, Palazzo Pitti Firenze Luglio - settembre 1988 a cura di Gherardo Frassa
La Nuova Italia,Firenze 1988, 159 pagine
euro 1200,00
email if you want to buy :[email protected]
“L’ anima inquieta di Gabriele D’ Annunzio può avere finalmente pace. Uno dei suoi ultimi desideri si avvera: gli abiti che ha lasciato in eredità agli italiani perchè ne stupissero e godessero sono usciti dagli armadi del Vittoriale, si sono scossi la polvere di dosso e hanno preso bellamente posto nella sale dell’ Andito degli Angiolini a Palazzo Pitti per la mostra Il guardaroba di Gabriele D’ Annunzio. Conformismo e trasgressione. Questa sera ci sarà festa grande per l’ inaugurazione riservata al popolo della moda mentre nei giardini di Boboli si proietterà Cabiria e si pranzerà su tovaglie che riproducono scritte autografe del poeta. Purché non piova, dice Luigi Settembrini che ha ideato la mostra per Pitti Uomo Italia. Scruta il cielo e ride: Era alto 1.62, D’ Annunzio, come me. Solo un po’ più stretto di spalle e più largo di sedere; un po’ più lungo di braccia, anche. Sai, quando Artale faceva le fotografie per il catalogo, la tentazione è stata irresistibile. La cosa che mi sta meglio è una divisa da ussaro della morte. Adesso te la faccio vedere. Entriamo nelle sale dell’ esposizione, dribbliamo una diplomata della Domus Academy che, inginocchiata a terra, estrae da uno scatolone dozzine di calze di seta con baguette traforate; salutiamo la signora che stira la cinquantesima camicia da notte di seta écru con collo tondo piatto, passiamo lungo una sfilata di stivaletti di vitello e scamosciati: bianchi, marroni, neri, di colori, con ghette di feltro, di capretto… di tanto in tanto Settembrini richiama la mia attenzione su un oggetto: la mantella inglese di gomma nera portata alla beffa di Bucari, i mocassini con un fallo disegnato sulla tomaia, lo spolverino di lino indossato in tante occasioni aviatorie, una camicia da notte che ha un buco sagomato all’ altezza dell’ inguine. Finché soprendiamo Gherardo Frassa, il realizzatore della mostra, che sta annodando una cravatta nera al manichino con faccia del poeta modellata da Mathias Mucchi. Frassa è spettinato, porta un fazzoletto rosso al collo e fa un bel contrasto con il vate azzimato cui dà gli ultimi tocchi. Lo riconosci? chiede è il completo che D’ Annunzio indossa nel ritratto che gli ha fatto Romainh Brooks nel ‘ 12. Se non sai chi era la Brooks fattelo spiegare dall’ Andreoli. Io ho da fare. Dobbiamo agganciare il Vate per le caviglie e il collo altrimenti cade. La pelliccia d’ orso Anna Maria Andreoli, ordinario di letteratura italiana all’ università di Roma, sta osservando la pelliccia di orso con collo di volpe. Romainh Brooks? Era una pittrice americana, una lesbica internazionale. Ha avuto una relazione importante con D’ Annunzio. Gliel’ ha presentata Robert de Montesquiou a Parigi, quando ci è arrivato per fuggire i creditori. Ma forse è meglio se ci sediamo. Negli assolati giardini di Boboli, la curatrice della mostra dà fondo alle cose che gli studiosi di D’ Annunzio sanno ma non scrivono mai. Cose scandalose, naturalmente. De Montesquiou era il dandy omosessuale che è stato preso a modello da Proust, Huysman, Oscar Wilde per i loro personaggi più famosi. Ha amato follemente D’ Annunzio che, sadico, lo attizzava. Per averne la complicità quello gli presentava donne pericolose come la danzatrice Ida Rubinstein, o Roaminh Brooks. D’ Annunzio aveva 47 anni. Prima di lasciare l’ Italia aveva scritto cose molto toccanti sull’ invecchiamento ma a Parigi, con quelle relazioni, supera la crisi di mezza età e non se ne lascia più riprendere. D’ altra parte gli erano sempre piaciuti gli amori con due donne. Anche la Duse era lesbica; questa è la verità, se vuole lo può scrivere. E’ sicuro anche che ha consumato, almeno una volta, con de Montesquiou. La professoressa Andreoli si accende una sigaretta. Se, 50 anni dopo la sua morte, si è deciso che è lecito frugare nel guardaroba del poeta e studiare di quale seta sono fatte le sue belle mutande, ce ne sono di cose da raccontare! La vera, torbida storia del suo primo matrimonio con Maria Harduin di Gallese, per esempio. In quella casa D’ Annunzio era entrato a 18 anni come compagno di studi del duchino che era un po’ svogliato. E subito divenne amante di mamma e figlia. La madre, Natalia, aveva 37 anni ed incoraggiò poi il matrimonio dell’ amante con la figlia Maria che peraltro ebbe presto una relazione con il principe Sciarra. Sono di Sciarra i tre figli di D’ Annunzio; forse Gabriellino no, ma insomma … altrimenti come si spiega l’ assunzione di D’ Annunzio alla Tribuna, che era il giornale di Sciarra? E perché si sarebbe licenziato D’ Annunzio nell’ 88, quando era pieno di debiti? Descrivere il Piacere? Figuriamoci! Lì c’ è una torbida storia: contemporaneamente al licenziamento di D’ Annunzio, sua moglie si getta dal terzo piano. Andreoli schiaccia il mozzicone col tacco. Scrivere una biografia? No è troppo difficile, ci sono ancora tanti misteri. C’ è un figlio in più che non si sa da dove venga. Per questo sono stata sorpresa, davanti al suo guardaroba: mi aspettavo stravaganze, deviazioni, che usasse combinare, trasgredire. E invece dai suoi armadi esce una gran tendenza al perbenismo: stoffe inglesi, cappelli di rito. D’ Annunzio vestiva come richiedeva la società mondana del suo tempo. Avevano ragione gli intellettuali francesi, quando dicevano che recitava sé stesso, che si comportava come un impresario in cerca di committenti. Trasgrediva solo nei piccoli particolari o nell’ eccesso. Tra moda e letteratura Annamaria Andreoli è incerta se proseguire, se mescolare fino in fondo letteratura e moda. Poi si decide: Aveva migliaia di mutande identiche, migliaia di cravatte tutte uguali. Era un maniaco, un collezionista. Si comportava con gli abiti come con le parole. Era una macchina che produce a cottimo, riusciva a scrivere anche tremila versi al mese. Riusciva a farlo perché aveva trovato un sistema. Ricorda la pioggia nel pineto piove sulle tamerici, sui mirti, sulle ginestre, sulle nostre mani, le nostre fronti, i nostri volti? Poteva andare avanti all’ infinito, con i suoi elenchi di parole, come con l’ acquisto di fazzoletti. Era bravo, era furbo: sapeva sfruttare i vocabolari. Se lei prende il Vocabolario marino e militare dell’ abate Guglielmotti alla voce Onda ci trova la poesia L’ onda di Gabriele D’ Annunzio. Gli occhi di Andreoli brillano; sta per dirci qualcos’ altro di sorprendente: Ho trovato un altro legame, tra lo stile di D’ Annunzio ed il suo gusto nel vestire. Riguarda i romanzi. Lui le donne non le descrive come il Fogazzaro, per cui una signora al massimo ha un abito scuro di lana. No! Lui aveva fatto il cronista mondano, aveva una conoscenza tecnica della moda, parla di tarlantane, di raglan, di panno carmelite, impazzisce per i primi velluti, per i primi paletot che vengono da Parigi! Le donne che si erano vestite in modo che lui potesse descriverle sulla Tribuna furono le prime appassionate lettrici dei suoi romanzi.”
Silvia Giacomoni  La Repubblica 9 luglio 1988
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carolinerecords · 8 years ago
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ALESSANDRA MARTINI
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Alessandra Martini vive a Lucca davanti a una chiesa fatta di tanti mattoncini. Compra più libri e fumetti di quanti riesca a leggerne e ha spesso le cuffie nelle orecchie, soprattutto quando disegna. Alessandra disegna più o meno da sempre: da piccola lo faceva sulle agende della banca, sul quaderno di matematica in mezzo agli esercizi, sulle tovaglie di carta gialla delle osterie di mezza Toscana. Oggi disegna quando può, tra un lavoro e l'altro, e vorrebbe farlo più spesso. 1 - Ti svegli su un’isola deserta. No panic : hai potuto portare con te tre cose, e una di queste è un album.
 - È difficilissimo! Se ci penso troppo non rispondo, quindi di getto dico: “TheVelvet Underground & Nico”. Nella mia fantasia l'isola non è ai tropici ma un po' più a nord, porterei una tenda canadese e taccuino + penna per scrivere e disegnare. Confido di farmi amico qualche animale del bosco e pescare salmoni con in sottofondo “Femme fatale”. 2 - On the road : c'è un' autoradio con dentro una musicassetta. Dentro ci sono almeno tre canzoni da cantare a finestrino aperto.
 - “Ironic” - Alanis Morissette, “Best of you” - Foo Fighters, “And she was” - Talking Heads, “500 miles” - The Proclaimers, “Insieme a te non ci sto più” - Caterina Caselli. E poi “California Dreamin'” dei The Mamas&The Papas in ricordo dei lunghi viaggi estivi in famiglia, attraversando l'entroterra sardo sulla Volvo rossa. Sono le prime che mi vengono in mente se mi penso quando canto in macchina. 3 - Hai rimandato, hai rimandato, ma oggi tocca a te. La playlist dal dentista per non sentire il trapano nelle orecchie.
 - “212” di Azealia Banks per non sentire l'odiato trapano. “Idioteque” dei Radiohead per estraniarmi e “Killing me softly” dei Fugees come dedica al dentista: dolcemente ti prego, almeno quello. E spero che la sessione di trapano non duri più di tre canzoni. 4 – Qual è il tuo memorabilia musicale a cui non potresti mai rinunciare?
 - Non ne ho. Forse i biglietti stessi dei concerti, anche se non ne sono un'assidua frequentatrice: conservo sempre tutti i biglietti con una certa cura, da quelli del cinema agli scontrini. 5 - Guilty Pleasure : quella canzone che ti fa vergognare, ma che non puoi proprio fare a meno di ascoltare.
 - Una qualunque di Sean Paul, mia colonna sonora prediletta mentre pulisco casa, ma a dire la verità non me ne vergogno. Non mi vergogno di nessuna delle canzoni che ascolto! 6 - Film o serie tv : questa volta sceglilo per la colonna sonora.
 - Posso dirne due? “Pulp Fiction” e “I Love Radio Rock”. 7 - La chiavetta nello spazio : la band o il musicista di cui la terra non ha proprio bisogno.
 - Sarà scontato ma dico Gigi D'Alessio. Non sono mai riuscita a sentire una canzone per intero, neanche alla radio per sbaglio, ed è un personaggio che mi dà proprio noia. 8 - Il 1999 per noi Caroline Records è stato l'anno in cui abbiamo cominciato a diventare quello che musicalmente siamo oggi : tu a che punto eri?
 - Io avevo 11 anni e mi veniva regalato il primo CD tutto mio dopo anni di musicassette rigorosamente doppiate da quelle delle mie amiche e con le tracklist scritte a pennarello sbavato: era “Forever” delle Spice Girls. Il primo album dopo la dipartita di Geri Halliwell, che tristezza. 9 - E invece un album degli ultimi 12 mesi che tutti dovrebbero ascoltare?
 - Non credo di aver ascoltato per intero un album uscito nell'ultimo anno, ma un sacco di musica in ordine sparso: sono molto curiosa ma poco metodica. Però negli ultimi 12 mesi ho scoperto tanti artisti che mi sono piaciuti. Il primo che mi viene in mente? Sufjan Stevens. 10 - Dal vivo : il miglior concerto che hai visto, quello che rimpiangi di aver perso e quello che non vuoi assolutamente perdere.
 - Ecco, qui mi vergogno un po': come ho scritto poco sopra ho visto davvero pochi concerti, il mio modo preferito per ascoltare musica è abbastanza intimo e solitario e sono anche una gran pigra! Non credo di poter rispondere in modo esauriente, quindi salto questa domanda con una promessa per il futuro: sconfiggere le mia pigrizia e le abitudini e vedere più concerti. Poi se ne riparla :) ▼ foto di Francesca Pucci
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lacameliacollezioni · 7 years ago
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Tovaglia ricamata a mano in sfilato siciliano colore panna da 12 completa di tovaglioli  info: [email protected] Tovaglia ricamata a mano in sfilato siciliano colore panna da 12 completa di tovaglioli  info: [email protected]
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marinagalatioto · 5 years ago
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Si possono scegliere le decorazioni della cucina anche in base ai colori dell’anno. Il Classic Blue, è il Pantone Colour of the Year 2020. Te lo mostro e ti propongo alcuni accessori.
Pantone, leader nei colori, ogni anno propone un colore che diventa, come ti dicevo il Pantone Colour of the Year. Per il prossimo 2020 tra tutti i colori è stato scelto, per rappresentare l’anno il Classic Blue. Se pensi sia un caso devi ricrederti!
Ogni colore ha un significato e rappresenta qualcosa. Il Classic Blue rappresenta la calma, la quiete, la fiducia, tutto ciò di cui, secondo Pantone, ha bisogno la nostra società odierna, sempre di corsa, sempre nervosa e tesa.
Se utilizzi il Classic Blue in cucina sarai trasportata in un mondo più sereno e se credi alla magia dei colori non puoi non pensare a dare una nuova veste ai tuoi spazi.
Classic Blue, colore Pantone dell’anno 2020
Non possiamo certo cambiare arredamento, ridipingere i muri, fare interventi sostanziali ogni volta che cambia il colore dell’anno, giusto? Troppo costoso e anche complicato.
Possiamo però giocare con gli accessori e la biancheria per dare un volto nuovo alla cucina. Ci sono tovaglie, tazze, presine, ma anche bicchieri, bottiglie e tantissimi accessori da acquistare con cui dare un volto nuovo e fashion all’appartamento.
A partire dal set di tazzine da caffè che vedi nella foto di copertina alle tovagliette all’americana per fare colazione al mattino.
Ma ci sono anche i pratici contenitori per sale e pepe, sempre in Classic Blue e l’orologio da appendere a parete per segnare il tempo con stile.
#gallery-0-4 { margin: auto; } #gallery-0-4 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 33%; } #gallery-0-4 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-0-4 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */
La mia cucina è tutta in bianco per cui accessori e decorazioni in Classic Blue starebbero benissimo, ma la versatilità di questo colore fa si che possa essere abbinato anche a molti altri stili di arredo cucina.
Tu che ne pensi? Ti piace questo colore? Come lo trovi?
photo credits
set tazzine da caffè www.topdrawer.co.uk
tovagliette  www.templesandmarkets.com
radio e orologio www.thedesigngiftshop.com
sale e pepe www.norsu.com.au
  Decorare cucina con Classic Blue, colore Pantone dell'anno 2020 . . . . #ClassicBlue #pantone #cloredellanno2020 #coloreanno2020 #colorepantone2020 #decorarecucina #tazzinecaffè #lamiacucina Si possono scegliere le decorazioni della cucina anche in base ai colori dell'anno. Il Classic Blue, è il Pantone Colour of the Year 2020.
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