#tecnicas narrativas
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gregor-samsung · 8 months ago
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“ Scoprii che i pasti caldi mi avevano cambiato la vita: adesso, infatti, per mangiare ci voleva molto meno tempo, e ciò mi dava agio di mettere ordine nei miei pensieri. Oswald usava il tempo così risparmiato per andare a caccia, papà per fare i suoi esperimenti; io lo dedicavo in buona parte all'introspezione. E mi resi conto, con un certo sbigottimento, che sopra le mascelle e dietro gli occhi avvenivano tantissime cose, indipendentemente da ciò che poteva avvenire al di fuori. Così indipendentemente, in verità, che gli eventi interiori continuavano anche mentre dormivo, e ancor più vividi: ma allora perdevo ogni controllo su di essi, che diventavano una specie di immagine riflessa, come su uno specchio o sull'acqua, del mondo spaziale in cui si muovevano le membra esterne. Ma anche in quell'altro mondo avevo un corpo: un corpo ombra, che talvolta sfrecciava da un punto all'altro a cento chilometri all'ora, e altre volte sembrava radicato al terreno, quando volevo disperatamente scappare per salvarmi da un leone. Non era sufficiente liquidare tutto ciò come sogno, perché faceva parte della realtà con altrettanta concretezza della mia ascia di selce. Una cosa che succedeva. Imprevedibile e spaventoso era il mondo esterno; ancora di più lo era quello interiore.
Una notte, ad esempio, nella terra dei sogni, un leone mi inseguì per ore e ore, e alla fine riuscì a mettermi con le spalle al muro. Disperato, gli scagliai contro la lancia… ed eccola diventata una leggerissima canna! Pure, vola rapida nell'aria e trafigge il leone come se fosse il gibbone che avevo mangiato arrosto la sera. In qualche modo assurdo, inoltre, il leone era il gibbone. E proprio in quella il leone disse allegramente: «Finalmente, Ernest, hai fatto qualcosa per la specie! Hai sconfitto il re degli animali. Ora le possibilità sono magnifiche: ben sfruttate, condurranno la subumanità ai vertici dell'evoluzione.» «Gloria, gloria, alleluia! I miei occhi vedono la fine del Pleistocene!». Mi svegliai tutto sudato e tremante, sotto le stelle, con la voce di papà che mi risuonava nelle orecchie. “
Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, traduzione di Carlo Brera, Adelphi (collana Gli Adelphi n° 185), 2003⁴, pp. 129-130.
[Edizione originale: The Evolution Man, 1960]
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colonna-durruti · 17 days ago
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Alessandro Portelli
La sera del 23 marzo 1944, l’Obersturmbannführer Herbert Kappler va in ufficio. Va in archivio, prende i registri, torna alla scrivania, si siede, e fa un elenco di nomi. Sono gesti normali che generazioni di burocrati e pubblici impiegati hanno ripetuto uguali. Con questi gesti ordinari comincia strage delle Fosse Ardeatine.
Non facciamoci ingannare quando nella lapidi affisse sui nostri muri leggiamo «la barbarie nazista». I barbari fanno cose barbare, ma per fare le Fosse Ardeatine c’è voluto lo stato moderno, la burocrazia, gli uffici, la scrittura; per fare la Shoah ci sono voluti i treni, l’industria chimica, persino i primi computer. C’è voluto il paese più civile d’Europa, il paese di Bach, Beethoven e Kant. Sono stragi civili, europee e occidentali fino al midollo.
In questi giorni, il ministero per l’istruzione e il merito richiede di insegnare agli studenti di tutte le scuole della Repubblica che «Solo l’Occidente conosce la storia». Come ha detto un professore dal palco di una grande manifestazione a piazza del Popolo, «In Europa abbiamo Socrate, Spinoza, Hegel e Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?» (certo che sì. Qualche filosofo ci sarà pure stato in Cina; il Sundiata è un grande poema epico del Mali; e qualche anno fa un prezioso libro di Francesco Gabrieli si intitolava Storici arabi delle Crociate. Ma non è nemmeno questo il punto). Manipolando una frase di Marc Bloch (e, sospetto, con qualche mal digerito residuo di Morte e pianto rituale di Ernesto de Martino), le linee guida redatte dalla commissione presieduta da Ernesto Galli della Loggia spiegano questa eccezionalità della nostra cultura col fatto che «Il cristianesimo è una religione di storici. È nella durata, dunque nella storia, che si svolge il gran dramma del Peccato e della Redenzione». Solo noi pensiamo alla storia come un progresso verso un fine, dalle tenebre alla salvezza.
Proviamo a cambiare il punto di vista. Proprio di questo infatti parla l’ultimo libro di Amitav Ghosh, scrittore indiano che la cultura dell’Occidente la conosce bene. Si chiama Fumo e ceneri, risale al 2023, quindi prima delle linee guida di Valditara e della Loggia, e spiega in modo assai convincente come la prosperità dell’Occidente si sia basata in larga misura sul commercio dell’oppio. A pagina 47 (non ho ancora la traduzione italiana, ritraduco dall’originale) leggiamo: «Un altro concetto dell’Illuminismo che ha svolto un ruolo importante nel dare forma all’immagine che l’Occidente ha di sé, la Storia come una narrativa di progresso che si evolve verso certi fini trascendenti fondata su una concezione del tempo, e della storia, come una narrativa di ininterrotto Progresso ascensionale». Grazie a questa concezione, continua Ghosh, l’Occidente ha potuto raccontare la propria storia come un percorso progressivo di liberazione ed emancipazione, in cui «le storie intrecciate di genocidio e schiavitù erano oscurate o presentate come deplorevoli deviazioni da questa narrazione», e ha potuto legittimare il suo dominio con la superiorità della propria cultura tralasciando quanto fosse fondato su schiavitù, colonialismo, commercio della droga (dalla coltivazione dell’oppio imposta dalla Gran Bretagna ai contadini indiani alla sua importazione imposta alla Cina con le ottocentesche guerre dell’oppio). Queste cose sono «relegate nell’irrilevanza semplicemente perché non rientrano nella narrazione del Progresso».
In realtà, abbiamo sviluppato anche un’altra tecnica della narrazione storica. Anziché dimenticare le Fosse Ardeatine e la Shoah, per esempio, le ricordiamo ossessivamente e ritualmente, ma oscuriamo la tecnologia, l’organizzazione, le procedure, il quadro mentale che le hanno rese possibili, e ci scarichiamo di questi orrori relegandoli nell’inumanità della «barbarie» o della «belva nazista». Siamo sempre vittime, mai perpetratori.
Grazie a questa concezione della storia, l’Occidente illuminato ha potuto spiegare il fatto che gran parte del genere umano non avesse la stessa storia progressiva collocandolo fuori dell’umanità stessa. Dopo tutto, quando parliamo di Occidente non parliamo di geografia (Dakar è molto più a occidente di Roma) ma di razza: l’Occidente di cui parliamo coincide sostanzialmente con la razza bianca.
Come ci ricorda il critico afroamericano Henry Louis Gates, secondo Hume gli africani non erano umani alla stessa stregua di come lo siamo noi; secondo Kant esisteva una diretta relazione fra «stupidità» e «nerità» («uno dei tanti esempi», commenta Gates, «dell’innata capacità dei filosofi europei di concepire l’umanità in termini ideali (bianchi, maschi) e disprezzare, aborrire, colonizzare o sfruttare esseri umani non ’ideali’».) e ancora nel 1813 Hegel ribadiva l’innata inferiorità degli africani. Più tardi, i nazisti ribadivano l’innata inferiorità dei latini e noi latini ribadivamo l’innata inferiorità degli slavi.
Ora, io so benissimo che anche «gli altri» hanno i loro orrori e i loro crimini (per capirsi: il 7 ottobre è un atto barbarico; Gaza è un massacro moderno, tecnologico e civilizzato), e non mi vergogno affatto di appartenere a questo benedetto Occidente in cui sono casualmente nato. Ma vorrei che questa identità che mi appartiene non venisse declinata in termini di etnocentrismo e suprematismo; vorrei che, quando ci illuminiamo di Imperativo Categorico, di Mozart e di Beatles, non ci scordassimo del Congo belga, degli Herero e di Debra Libanòs (e di Gaza).
Va bene ricordarci di Hegel come gloria dell’Europa e dell’Occidente, ma forse potremmo ricordarci anche che la cultura che ha generato Hegel (e che Hegel ha contribuito a formare) ha prodotto anche Auschwitz . Sì, «solo l’Occidente» è stato capace di immaginare la Shoah e di realizzarla. Insegniamo anche questo, ai ragazzi delle scuole della Repubblica, quando celebriamo gli anniversari.
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multiverseofseries · 2 months ago
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We Live in Time: provateci voi a non innamorarvi di Florence Pugh e Andrew Garfield
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L'amore, il tempo, la vita, la morte e tutto quello che sta in mezzo nel folgorante film di John Crowley. Mai lacrimoso, eppure capace di arrivare dritto al cuore.
Mica è facile saper dosare al millimetro le emozioni peculiari di un film come We Live in Time. Dietro al film c'è la bravura registica di John Crowley su sceneggiatura del drammaturgo Nick Payne.
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Florence Pugh e Andrew Garfield
A proposito di drammaturgia, il film è un meraviglioso esempio di racconto. Una sceneggiatura di marmo nella sua luminosa semplicità (e sensibilità). Piena, aperta, focale nel tempo scandito dal montaggio (Justin Wright) che alterna diversi piani temporali (e quindi le diverse tonalità), spingendoci a riflettere sul valore assoluto del tempo inteso come momento da vivere fino in fondo, andando oltre la stessa percezione di vita o di morte che, senza accavallarsi, pervade il film.
We Live in Time: la vita, l'amore e tutto quello che sta in mezzo
Sotto We Live in Time c'è una storia che potrebbe essere quella di tutti: Almut (Florence Pugh), che fa la chef, conosce (dopo averlo investito!) Tobias (Andrew Garfield), da poco divorziato. I due si innamorano, perdendosi in dieci anni di assoluta passione, complicità e uova sbattute al mattino (l'uovo è un elemento altamente simbolico nel film, che torna e, per certi versi, apre e chiude ogni blocco narrativo).
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Il sorriso di Florence Pugh
Un amore che culmina con la nascita di una splendida bambina, data alla luce in una stazione di servizio. Poi, la violenta irruzione di un cancro alle ovaie che torna a chiedere il conto. Le frequenze verranno alterate, con Almut che, intanto, non si da certamente per vinta, e anzi sceglie di vivere fino in fondo il tempo che le rimane.
L'alchimia tra Florence Pugh e Andrew Garfield
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Un momento del film
Potremmo quasi dire che We live in time - Tutto il tempo che abbiamo è un film in cui la cifra emotiva gioca un ruolo cardine, pur non inseguendo mai la faciloneria di certi sentimenti, e quindi senza essere mai lacrimoso o ricattatorio. Certo, ogni visione ha una propria personalità (la commozione è palese, ma almeno non cade nello strappalacrime), tuttavia l'umore (e l'amore) scelto da John Crowley evita l'appiattimento, nonché la semplificazione di un dramma che finisce per essere, invece, prospetto dalla forte adiacenza (e dai tanti colori), e ben legata alla strepitosa prova di Florence Pugh e Andrew Garfield. Un'alchimia, la loro, tanto tangibile che sembra uscire dallo schermo, portando lo spettatore ad innamorarsi al primo sguardo.
Ancora, nella loro performance non-lineare, si rintraccia l'analisi della drammaturgia secondo Crowley, e sulla stessa strada l'analisi del tempo che corre e non si ferma. Ma che, in qualche modo, può essere addomesticato, smussato e addolcito. E non è un caso che Almut faccia la chef: mestiere che più di ogni altro deve confrontarsi con i secondi che corrono.
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Andrew Garfield e Florence Pugh in scena
In questo senso, tra cinema classico e approccio contemporaneo, l'opera del regista irlandese lambisce ogni tipo di emozione, sorrette e sottolineate dall'utilizzo tecnico della fotografia (Stuart Bentley), dall'organizzazione dello spazio, dei dialoghi reali e mai artificiali. Quasi circolare - la sequenza d'apertura dialoga con quella di chiusura -, We Live in Time, fin dal titolo, affrontata quindi il tempo dalla prospettiva sbilenca di una intuizione banalmente romantica, superando in modo lucido i rischi di una storia giammai piagnucolosa, eppure in grado di toccare, in pieno, il cuore. Quanto dolore, e quanta bellezza.
Conclusioni
L'analisi del tempo e dell'amore secondo John Crowley. We Live in Time è un manuale di sceneggiatura, mai melensa e mai piagnucolosa, eppure potente nel dramma romantico portato in scena da Florence Pugh e Andrew Garfield. Se, senza di loro, il film non sarebbe probabilmente lo stesso, è poi la tecnica e la narrativa a rendere l'opera un esempio di linguaggio cinematografico, che calca al meglio lo spettro emotivo di una storia in cui perdersi, e ritrovarsi.
👍🏻
Florence Pugh e Andrew Garfield sono fantastici.
L'uso della luce.
Il tono, mai melenso, mai piagnucoloso.
Il montaggio.
👎🏻
Emotivamente non è mai ricattatorio, ma alcune vibrazioni personali potrebbero portare a pensarlo.
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chez-mimich · 2 years ago
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MANODOPERA
Intitolare un film “Manodopera”, quando il titolo in lingua originale è “Interdit aux chiens et aux Italiens” è una scelta molto discutibile, ma si sa che a decidere è la distribuzione, secondo le regole del mercato e non certo il regista. Passiamo allora a parlare del film di Alain Ughetto, francese di origine italiane, che ha debuttato con questo gioiellino al Festival internazionale del film d’animazione di Annecy del 2022. Si tratta di un film scarno che non concede quasi nulla allo spettacolo (anzi alla spettacolarizzazione), un film poetico come capita, sempre più spesso, per i film di animazione che per capacità narrativa non sono certo meno efficaci del cinema tradizionale. Il film, se non strettamente autobiografico, è comunque un film sugli antenati del regista originari di Ughettera, una frazione di Giaveno, paese ai piedi del Monviso. Ed è proprio tra questa montagne che conduce la propria misera esistenza la famiglia Ughetto, i cui componenti sono costretti a migrare oltre confine nella vicina Francia per lavorare come muratori, manovali, spazzacamini. Una Patria, quella italiana, che si è sempre o molto spesso, dimenticata dei proprio figli, quando erano economicamente bisognosi, ma poi se ne è sempre ricordata al momento di inviarli in guerra. Non è una storia nuova, si sa, ma è una storia di chi non vuol vedere un certo “patriottismo” di maniera, vivo e vegeto, anche ai nostri giorni. Alain Ughetto escogita un dolcissimo, ma altrettanto geniale dialogo a distanza con la nonna che sembra essere il tramite tra gli avi e la contemporaneità. Non era certo impresa facile rendere con la plastilina e le tecnica dello stop-motion, una gamma di emozioni così intense e sentimenti così amari come quelli dei protagonisti di questa storia, ma Ughetto è riuscito a ricostruire questa saga famigliare fatta di sofferenza e umiliazione, una saga di quel “mondo dei vinti” come lo chiamò il grande scrittore piemontese Nuto Revelli, a cui il film è idealmente dedicato. “Interdit aux chiens et aux italiens” è come voler dire “sono troppi” o magari “ci vuole il blocco navale” oppure “portateli a casa vostra” e tutto l’armamentario di espressioni para-razziste che riempie tutti i giorni le pagine dei social, le pagine di alcuni giornali e che purtroppo, viene sbraitato da troppi italiani. Fortunatamente il mondo del cinema sembra aver “preso coscienza” (uso del tutto volontariamente un’espressione da anni Settanta) del problema che non è quello dei migranti, ma quello del razzismo e della incapacità di gestire un esodo causato dall’ingiustizia sociale. Prossima puntata “Io capitano” di Matteo Garrone…
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
ANTICHE TECNICHE, ANTICHE SENSIBILITA'
La ceramica antica non è appassionante poichè appare ornamento di un oggetto che riveste ben altre utilità. Eppure possiede una notevole importanza per l'archeologia e la conoscenza del passato: la ceramica è il più delle volte "databile" e grazie a questa caratteristica diviene uno strumento "datante". Eccone un esempio. Sul cratere, datato al 515 a.C., conservato nel museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma, Euphronios narra l’epilogo della vicenda terrena di Sarpedonte, re licio figlio di Zeus e di Laodamia, caduto durante la guerra di Troia come avversario del fronte acheo, il cui cadavere, riverso e possente, viene trasportato, al cospetto di due guerrieri situati alle due estremità della scena, da Thanatos (la morte) e Hypnos (il sonno, personificazione di un concetto di origine presocratica).  Ermes, riconoscibile dal caduceo che porta in mano, assiste all'atto pietoso: la caratterizzazione dei personaggi è un’altra dote della ceramografia narrativa rivelata attraverso le “figure rosse”.  Ma i limiti dell’espressività delle figure nere sono superati anche attraverso dettagli che acquisiscono consistenza materiale, imprimendo alle rappresentazioni la consistenza di “apparizioni”, luce in rilievo dal fondo acronico di un tempo mitico.  Perché, a ben vedere, la coniugazione tra il nero del fondo e le figure che su di esso si stagliano, produce un effetto visivo di forte impatto, l'emergere dal “nulla” della vita che s'impone allo spettatore come espressione di un monito, di un messaggio filtrato attraverso la sintesi delle immagini, di un atto di comunicazione che diviene testo retorico e convenzionale dei valori ideali della polis. Il tema è originalissimo e quindi di raro uso.  Ed è conciliatorio: il cratere porta impressa la rappresentazione dell’omaggio funebre che supera la consueta distinzione tra alleato e nemico per raccogliersi intorno alla condizione ineluttabile dell’abbandono dell’esistenza terrena di un combattente valoroso.  Con il dio Ermes, invisibile - lo è, nell'espressione simbolica, grazie all’elmo che indossa - che solleva la mano ad indicare l’ascesa del guerriero verso la trascendenza. Il cratere a calice è attribuito ad Euphronios in qualità di ceramografo (agì tra il 520 ed il 500) e ad Euxitheos come vasaio. La produzione di ceramiche a figure rosse rappresenta il punto d’arrivo di un lungo ed intenso processo di raffigurazione narrativa sorto nel c.d. periodo protoattico dell’età orientalizzante allocabile nel VII sec. a.C. (700-625 a.C.) e giunto fino agli anni 530-525 a.C. ai quali si fa risalire convenzionalmente l’invenzione della nuova tecnica che prevede superfici vive risparmiate stagliate su un fondo trattato con vernice nera brillante.  Su questi spazi la raffigurazione interamente pittorica scopre la luce delle immagini prima campite, al contrario, con vernice nera ed incisioni necessarie a fornire i dettagli anatomici dei corpi.  La tecnica a figure nere, più antica e diffusa, risalente alle opere del pittore di Nesso, continuò a convivere a lungo con il nuovo “stile” a figure rosse (così definite poiché le superfici dell’argilla lasciate libere dalla campitura nera del fondo assumono, a seguito della cottura, un caratteristico colore rossastro) che s’impose definitivamente solo nel primo quarto del V sec. a.C.. Fino ad allora, si assiste a produzioni che rivelano la parallela persistenza (specie fuori dall’Attica) del vecchio modo e pensino la creazione di vasi “bilingui”.
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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cameronarchive · 2 years ago
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La colaboracion entre Spy x Family y Mision Imposible es simplemente perfecta, pero como un fanatico de ambas franquicias, tengo un par de quejas. Son solo ñoñeces tecnicas y narrativas en las representacion de los personajes.
Vienen algunos spoilers sobre la ultima pelicula de Mision Imposible. Si no la vieron, abstenerse.
Me gusta que Anya ocupe el lugar de Ilsa porque para Tom (Loid) ella es mas importante que Grace (Yor). Esperemos que no la quede como ese otro personaje.
Franklin como Benji y Fiona com Paris son decisiones totalmente acertadas. Tanto por su forma de ser como por su rol dentro de la trama. Si, Fiona esta mas del lado de Loid que Paris de Ethan. Lo interesante aca es que Fiona funciona tambien como un personaje no muy facil de encasillar, porque tiene interese propios que van en discordancia a veces con la mision. Saben a que me refiero.
Yuri no debe ser Luther. Se que los pusieron porque ambos son hombres, pero Luther debio ser Shylvia, la jefa de Loid. Ella es el personaje que aconseja a Loid cuando necesita ayuda y la que mas lo guiara en su camino. Es como un consejero para nuestro prota, como Luther lo es con Ethan.
Yuri debio ser Alanna o la viuda blanca. Es un personaje con intereses externos a los de nuestro protagonista. Ambas tienen una relacion particular que siempre es de mutua convivencia, pero en cualquier momento se puede romper. Aunque no creo que Yuri se quiere tirar a Loid. Todavia.
Bond como Gabriel no tiene sentido. Bond es bueno. El otro, es la representacion del mal en su totalidad. No tiene nada de bueno. El personaje mas ideal creo que seria el de Donovan, pero bueno supongo que no es popular.
Anya, no debe correr sobre el tren. Ese es Tom Cruise, asique debe ser Loid. Aunque Anya corre mas cute.
Si llegaste hasta aca te agradezco que hayas leido este barbaridad de quejas sin sentido. Gracias.
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godimente · 5 days ago
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Non sono "strani" gli "Ateo, MA": è una tecnica di narrativa distorta ordinaria, fortemente usata dai credenti ortodossi, messa in campo ovunque.
Non sono atei, non invidiano i credenti da atei, ma sono credenti zeloti in assetto di proselitismo 😊
Sintesi: sono dei bugiardi, che sanno di mentire e lo fanno di proposito, gli "Sono ateo, MA" 📌
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gamingpark · 6 days ago
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"Questa sarà sempre la nostra risposta. Alcuni giocatori sono arrabbiati per l'assenza di notizie su Marvel's Wolverine, e i suoi creatori rispondono
Insomniac Games si è guadagnata il rispetto dell’industria e si è affermata come uno studio di grande talento. È stata in grado di alzare il livello di franchise iconici come Marvel’s Spider-Man 2 e Ratchet & Clank. Il team ha dimostrato una padronanza tecnica e narrativa che lo colloca nell’élite dello sviluppo, visto che è stato in grado di pubblicare diversi giochi negli ultimi anni. Il loro…
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oltrearcobaleno · 1 month ago
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Christy Brown: Genio Irlandese dell’Arte e della Letteratura
Christy Brown è stato un artista straordinario, la cui vita e carriera hanno rappresentato un esempio di determinazione, talento e passione per l’arte. Nato il 5 giugno 1932 a Dublino, Brown ha sfidato le difficoltà imposte dalla paralisi cerebrale, dimostrando al mondo intero che l’arte e la letteratura non conoscono limiti fisici.
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Gli Inizi di un Talento Unico
Christy Brown nacque in una famiglia numerosa della classe operaia irlandese. Nonostante le sfide legate alla sua condizione fisica, i suoi genitori rifiutarono l’idea di ricoverarlo in un ospedale e decisero di crescerlo a casa. Fu durante l’infanzia che Brown scoprì la sua inclinazione per l’arte, imparando a scrivere e disegnare con il piede sinistro, l’unico arto che riusciva a controllare pienamente.
Durante l’adolescenza, un assistente sociale gli fornì materiali artistici e letterari, stimolando la sua creatività. Questo fu il primo passo verso una carriera che avrebbe ridefinito il concetto di arte e letteratura inclusiva.
L’Ascesa nell’Arte e nella Letteratura
Il talento di Brown non passò inosservato. Grazie all’aiuto dello scrittore Robert Collis, riuscì a pubblicare la sua autobiografia “My Left Foot” nel 1954. Quest’opera, che racconta la sua lotta contro le avversità e la sua passione per l’arte, divenne rapidamente un successo internazionale e fu successivamente adattata in un film del 1989 con Daniel Day-Lewis nel ruolo di Brown.
Oltre alla letteratura, Brown si dedicò con fervore alla pittura. La sua arte, caratterizzata da un’espressione vibrante e colori intensi, rifletteva la sua visione unica del mondo. Ogni pennellata rappresentava una sfida superata, un’emozione vissuta intensamente, una vittoria sulla sua condizione fisica.
Un Capolavoro Letterario: “Down All the Days”
Dopo il successo di “My Left Foot”, Brown lavorò per anni al suo romanzo più ambizioso, “Down All the Days”, pubblicato nel 1970. Questo libro, ispirato alla tecnica del flusso di coscienza di James Joyce, venne tradotto in 14 lingue e fu definito “il romanzo irlandese più importante dopo Ulysses”.
L’arte narrativa di Brown si distingue per la capacità di catturare la vita quotidiana di Dublino con umorismo, dialetti autentici e descrizioni vivide. La sua scrittura, come la sua arte pittorica, è un tributo alla bellezza della vita nonostante le difficoltà.
Amore, Successo e Difficoltà
Durante il periodo di scrittura di “Down All the Days”, Brown conobbe Beth Moore, una donna americana che ebbe un ruolo fondamentale nel completamento del libro. Tuttavia, la loro relazione terminò quando Brown incontrò Mary Carr, con la quale si sposò nel 1972. Questo matrimonio, purtroppo, segnò l’inizio di un periodo oscuro per l’artista. La sua salute peggiorò e la sua vita divenne sempre più isolata, alimentando sospetti su maltrattamenti subiti.
L’Ultimo Periodo e l’Eredita dell’Arte di Brown
Negli ultimi anni, Brown continuò a scrivere e dipingere, lasciando un’eredità artistica indelebile. I suoi successivi romanzi, come “A Shadow on Summer” (1972) e “Wild Grow the Lilies” (1976), confermarono la sua straordinaria capacità di narrazione. Inoltre, pubblicò diverse raccolte di poesie, tra cui “The Collected Poems of Christy Brown”, che testimoniano il suo profondo amore per l’arte e la scrittura.
L’Influenza di Brown nella Cultura Popolare
L’arte e la letteratura di Christy Brown continuarono a ispirare generazioni. Il film “My Left Foot” ricevette grande riconoscimento, con Daniel Day-Lewis che vinse l’Oscar per la sua magistrale interpretazione.
Anche la musica rese omaggio a Brown: la band The Pogues e gli U2 scrissero canzoni dedicate a lui, sottolineando l’impatto che la sua arte ha avuto nel panorama culturale.
Conclusione
Christy Brown è stato un artista eccezionale, la cui vita dimostra che l’arte non conosce barriere. Con il solo uso del piede sinistro, ha scritto libri acclamati e dipinto opere straordinarie, lasciando un segno indelebile nel mondo della cultura. La sua storia continua a ispirare coloro che credono nella forza dell’arte come mezzo di espressione e di superamento delle difficoltà.
La vita e l’arte di Brown sono una testimonianza del potere della determinazione e della creatività, dimostrando che il talento può emergere e brillare anche nelle condizioni più avverse. Oggi, il suo contributo alla letteratura e alla pittura rimane una fonte di ispirazione per artisti di tutto il mondo.
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maskedframepictures · 3 months ago
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Gli Effetti Visivi (VFX) di 'NAPOLI - NEW YORK" from Masked Frame Pictures on Vimeo.
Candidatura per i David di Donatello – Migliori Effetti Visivi (VFX)
'Napoli - New York', diretto da Gabriele Salvatores e basato su un trattamento originale di Federico Fellini e Tullio Pinelli, è un’opera cinematografica che combina la potenza narrativa del cinema con l’innovazione tecnologica degli effetti visivi. Ambientato nel 1949, il film presenta un viaggio straordinario tra Napoli e New York, dove gli effetti visivi sublimano la realtà, amplificando l’emozione e la forza della storia.
Il lavoro del supervisore VFX Victor Perez e del suo team composto da 167 professionisti ha dato vita a 534 inquadrature di VFX, per un totale di 63.560 fotogrammi (oltre 44 minuti del film), che hanno trasformato visivamente il film in un capolavoro tecnico e artistico. Ogni effetto visivo è stato concepito per servire la narrazione, rispettando il concetto di Fellini: "Napoli la conosciamo, New York ce la siamo inventata," offrendo una visione riflessa e poetica di questa città.
Ricostruzione storica e artistica: New York del 1949 è stata ricreata con accuratezza storica e con una forte influenza estetica derivata dallo stile di Fellini. Le architetture della città emergono come "riflessi" di un immaginario cinematografico, influenzato dai film della Golden Age di Hollywood. Tecniche miste per l'autenticità visiva: Le sequenze della nave, girate in un vero porto a Rijeka, sono state integrate con esterni digitali fotorealistici, realizzati con simulazioni fisiche plausibili di mare e vento. Crowd replication, CGI e bluescreen sono stati utilizzati per popolare la città e il viaggio transatlantico. Innovazione e machine learning: L’integrazione dell’intelligenza artificiale ha potenziato il lavoro creativo, permettendo un uso etico e innovativo della tecnologia per ottenere risultati eccezionali. Omaggio all’arte e alla storia: La sequenza iniziale del film, ispirata al chiaroscuro di Caravaggio e ai tragici ricordi del terremoto de L'Aquila, è un esempio di come il fotorealismo sia stato unito a un’estetica poetica e drammatica. Anche la polvere della scena rimanda visivamente al simbolismo dell’11 settembre, evocando una forte connessione emotiva. Economia narrativa degli effetti visivi: Ogni decisione tecnica è stata guidata dall’idea di "effetti visivi cost-effective", dove le limitazioni di budget non hanno mai compromesso la qualità artistica. Il team ha raggiunto un equilibrio perfetto tra tecnologia e creatività.
La capacità degli effetti visivi di fondersi armoniosamente con la fotografia, mantenendo un'estetica visiva che replica le lenti Technovision utilizzate per le riprese, è la prova della collaborazione straordinaria tra reparto cinematografico e VFX.
Con questa candidatura, 'Napoli - New York' celebra l’arte degli effetti visivi come parte essenziale del cinema italiano, dimostrando come l'innovazione tecnologica possa elevare il racconto cinematografico senza mai sopraffarlo.
Supervisione VFX: Victor Perez
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teacblanc · 9 months ago
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“Terra ancestrale – La memoria del sangue” è un romanzo di fantascienza, di Alberto Brandi. Argomento e tecnica narrativa presentano una certa anomalia. Qualche mia considerazione dopo averlo letto.
#albertobrandi #terraancestrale #lamemoriadelsangue #romanzo #fantascienza #nuovevie #teacblanc
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cinquecolonnemagazine · 9 months ago
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“Crisalide”: la violenza sulle donne nell’analisi di Augello e Messina 
“Crisalide” di Francesco Augello e Teresa Messina edito da Armando Editore è un’interessantissima indagine a 360° su un tema molto triste, preoccupante e di grande attualità: il femminicidio. “Crisalide” è frutto di un prezioso lavoro a quattro mani, un approccio multidisciplinare che ha l’obiettivo di scavare nelle nostre radici culturali per svelare le dinamiche che sono alla base di tanta violenza. Gli autori hanno unito le loro competenze per realizzare un libro completo che affronta la tematica dal punto di vista giuridico, sociologico, psicologico e storico.  “Crisalide”, affrontando anche il fenomeno della realtà virtuale, dello stalking e degli effetti del lockdown, è un testo che offre numerosi spunti di riflessione, specialmente per quanto riguarda il fenomeno del femminicidio commesso da giovanissimi. Come di consueto, ringrazio gli autori per la disponibilità e per il grande contributo che con il loro lavoro hanno dato a un fenomeno sempre più sconcertante. Crisalide” di Francesco Augello e Teresa Messina Salve professore Augello, ci racconta brevemente di cosa si occupa nella vita e qual è la sua specializzazione professionale? Da anni mi occupo di formazione. Ho iniziato con la formazione degli adulti quando avevo 24 anni. Ho sempre avuto una platea diversificata e amplia di formanti, giovani, giovanissimi e adulti. Spesso ho anticipato, nei tempi, tematiche cogenti, affrontando argomenti come il disagio giovanile, il fenomeno delle droghe virtuali e la genitorialità a rischio, coniugando la tecnica, la tecnologia, il suo impiego in senso stretto, con le scienze umane e informatiche, quando tali accostamenti, sembravano incomprensibili. Inoltre, mi sono dedicato alle tecnologie informatiche, come analista/programmatore, combinandole con la pedagogia speciale e sperimentale, insieme al multimedia, a favore delle buone prassi pedagogiche ed educative.  Collaboro da anni con testate giornalistiche e riviste educative e accademiche, affrontando tematiche tiflologiche, andragogiche (una branca della pedagogia) e psicosociali. Nel corso del tempo, ho dato spazio alla saggistica, alla poesia, alla narrativa e all’aforistica. Attualmente, sono impegnato anche nel campo della psicologia clinica e del lavoro, con un maturato interesse per i disturbi della nutrizione e del comportamento alimentare. Crisalide è uno splendido e dettagliato lavoro a quattro mani. Ci svela quando e perché ha scelto di scrivere con la dottoressa Teresa Messina? All’inizio del 2022 abbiamo avviato una disquisizione sul crescendo della violenza di genere, dei femminicidi, alla potente influenza del COVID-19, oltre che ai suoi postumi, per nulla silente. L’isolamento forzato ha messo a nudo l’impensabile, coinvolgendo giovani coppie o presunte tali, coppie adulte, ininfluente se consolidate o meno dalla colla del tempo e dall’età. Questo, nonostante il 2018, con le sue 94 vittime di femminicidio, fosse già stato un anno di brutalità e quantità impressionanti. Ho avvertito la necessità di offrire una prospettiva meno nota sulle dinamiche dei femminicidi, aprendola a tutti e includendovi anche un dizionario sul fenomeno, perché “l’assenza della parole, del dare un nome ai gesti, alle cose, persino all’amaro della violenza, svuota di senso la promozione stessa il cambiamento.   Nel narrato, abbiamo pensato e desiderato anche il contributo, per nulla semplice, di donne, non estranee alla violenza percepita o subita, che hanno preferito rimanere anonime. Teresa Messina, donna, amica e professionista sensibile, è stata la persona più adatta per dare voce a cifre e aspetti giuridici di cui la stessa ha piena conoscenza. Nel libro affrontate la violenza sulle donne a 360°. Qual è, secondo lei, l’aspetto più complicato da gestire e da arginare? Affrontare la violenza sulle donne in modo esaustivo è un compito complesso e delicato. Ma abbiamo voluto perseguire tale intento, ponendoci nella direzione di una lettrice e di un lettore curioso,  fornendo una prospettiva di lettura altra. Non è possibile ragionare sul fenomeno per singoli compartimenti o sommandoli per giungere al tutto. Per tale ragione, il volume, pur presentandosi con diversi contenitori e contenuti, non sacrifica quel filo conduttore che, partendo dalla storia, ne ripercorre la complessità di un fenomeno via via trasformatosi, ahinoi, insieme a quelle coordinate di un progresso tecnologico e globalizzante, giungendo ai nostri giorni sempre più mediato e mediatizzato anche dal ludico, dai social e dalla TV, anch’essa sempre più Soap. La società, dal preadolescente all’adulto e all’anziano, appare, dinanzi a tale piaga sociale, fortemente disattenta e resa sempre più tale dal futile mediaticamente indotto. Il silenzio, quello della vittima, a qualunque età, rimane probabilmente uno degli aspetti più difficili, ancora oggi, da gestire. Salve dottoressa Messina, si vuole presentare anche lei, brevemente, al nostro pubblico di Cinquecolonne Magazine? Sono una dipendente pubblica con una formazione giuridica amministrativa e con un background giuridico sociale sull’immigrazione. Fotografa per passione e da sempre amante dei viaggi. La società ci rimanda continuamente al termine “patriarcato” per ricercare l’origine atavica della violenza sulle donne. È corretto?  Si è corretto, esiste correlazione tra femminicidio e patriarcato. Bisogna però notare che l’uso di tale termine è stato ampliamente adottato, oltre che nel contesto familiare e domestico, anche in altri contesti, per descrivere le dinamiche di genere nella società. La violenza sulle donne deriva da un problema strutturale della società che nonostante le conquiste ottenute dalle lotte femministe, resta di stampo patriarcale in tutto il mondo. Il patriarcato purtroppo esiste ancora, gli ultimi casi di donne uccise perché si sono opposte a un uomo, ingabbiato in un modello di mascolinità tossica ne è una testimonianza. Che idea si è fatta in merito al crescente numero di femminicidi che coinvolgono giovani uomini? Perché un ragazzo di 20 anni uccide la sua fidanzatina che ha deciso di lasciarlo? Ai miei tempi, 20 anni fa, ci si fidanzava subito con un’altra, si faceva chiodo schiaccia chiodo, si soffriva, ma si voltava pagina senza conclusioni estreme come quello dell’omicidio.  Gli ultimi casi efferati di femminicidio in Italia sono stati compiuti da uomini relativamente giovani, ben inseriti nella società, che si potrebbero definire tranquillamente “perbene”, giovani uomini incapaci di inibire un comportamento lesivo, che fanno fatica a controllarsi e che non sanno gestire il confronto, il dialogo. Un aspetto di particolare rilievo è, senza dubbio, la tematica dei contributi ludici, socio virtuali e mediatici. Con dovizia di particolari, abbiamo volute esporre nel volume l’influenza che potenzialmente questi elementi e strumenti hanno sui giovani fruitori, fornendo loro l’occasione di esercitare il proprio potere contro le donne, trattate come oggetti manipolabili e da manipolare a proprio compiacimento, fino a Giungere, in taluni casi, alla “tortura” e al “piacere omicida”. Read the full article
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multiverseofseries · 3 months ago
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Le piccole cose della vita: Kathryn Hahn supera se stessa
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Esiste forse un unico lato positivo della sofferenza, di qualsiasi forma essa sia: "Un giorno tutto quel dolore ci sarà utile", forse anche solo per poter dire a chi soffre che non è solo, che in quel posto buio della mente e dell'anima, ci siamo stati anche noi, in maniera diversissima ma maledettamente uguale. Questo approccio è la filosofia dietro il successo di una rubrica di consigli, Dear Sugar, portata avanti dalla scrittrice Cheryl Strayed in forma anonima per anni sulla rivista americana online The Rumpus fino al 2012, anno in cui ha dichiarato di esserne l'autrice. Diventata un libro che raccoglieva le lettere più significative, è stato prima adattato come opera teatrale dalla candidata all'oscar Nia Vardalos ed ora, nelle mani della Hello Sunshine di Reese Witherspoon e prodotta da quest'ultima e Laura Dern è diventata una miniserie sbarcata su Disney+ nel 2023. Di Le piccole cose della vita, questo il titolo del libro e della serie in 8 episodi di 30' creata da Liz Tigelaar, la stessa di Little Fires Everywhere, con Kathryn Hahn nel ruolo della protagonista scrittrice Clare Pierce, non si può non elogiare l'intensità e la profondità con cui le parole e l'esperienza di Strayed dalla carta hanno preso vita sul piccolo schermo.
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Le piccole cose della vita: un'immagine della serie
Cheryl Strayed è la stessa autrice di un successo letterario e poi cinematografico, Wild (2015) interpretato da Reese Witherspoon. A giudicare dalla resa di questi otto episodi, è già evidente che sia Witherspoon che Laura Dern abbiano, da produttrici esecutive, un occhio abile e allenato ad individuare i temi che colpiscono al cuore e come toccarli, soprattutto quando a parlare sono le donne. La serie si apre su Clare nel punto forse più caotico e fuori controllo della sua vita: è in crisi con il marito Danny (Quentin Plair) con cui fanno terapia di coppia; sua figlia Rae (Tanzyn Crawford) la incolpa e le scarica addosso, neanche troppo subdolamente, tutte le frustrazioni dell'adolescenza; lavora in una casa di riposo, quando invece era una promettente scrittrice.
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Le piccole cose della vita: una foto di scena
Mentre si crogiola sul fondo, un vecchio amico scrittore, ricordando la sua bravura con le parole, le chiede di sostituirlo in una rubrica di consigli, anonima, Dear Sugar. Nonostante non si senta in diritto e in grado di dare consigli a nessuno, man mano che la sua vita va avanti, Clare torna indietro con la memoria alla sé ventenne, al ricordo della madre che ha perso per un cancro e trova, magicamente, la forza e la saggezza di rispondere. Diventa Sugar e la serie acquista la cadenza narrativa di una lettera ad episodio. Kathryn Hahn si consacra la magnifica e umile attrice che è, sostenuta da un cast che trova il suo più grande pilastro in Sarah Pidgeon, interprete della protagonista da giovane. Solo chi non ama gli show che ti chiamano in causa emotivamente, troverà qualcosa da ridire, perchè Le piccole cose della vita è un po' come andare in terapia, devi voler veramente e fortemente lavorare su se stesso, per entrare nello stato d'animo giusto, altrimenti, chiamando in causa il nostro commento iniziale, tutto questo dolore sarà inutile.
Il voice over come una carezza
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Le piccole cose della vita: un momento della serie
Diciamocelo chiaramente, la tecnica del voice over, al cinema come nella serialità, è spesso abusata. Escamotage facile e veloce per semplificare sceneggiatura e produzione, è il famoso "lo dimo" (ve lo diciamo invece di farvelo vedere) alla Boris. La voce di Kathryn Hahn nel ruolo di Clare che risponde alla lettera di turno, accompagnandoci dentro il suo passato senza raccontarlo ma riflettendoci solamente su, è invece l'eccezione, il sussurro riflessivo e la carezza che volevamo e vogliamo sentire per elaborare quella storia, quelle storie, così lontane da noi ma così tanto vicine. Come ha detto la stessa Hahn in un'intervista, il suo passato per Clare è il pozzo dove va ad attingere per poter entrare in empatia con chi le scrive, comprenderne dubbi e sofferenze. Il guardarsi indietro diventa così fluido e mai forzato, i fantasmi della donna sono davanti a lei, la circondano, le fanno compagnia, la tormentano ma la più presente è la lei da giovane, Sarah Pidgeon, con il viso tra i più sereni, disperati, entusiasti e ansiosi che la serialità abbia mai visto.
Kathryn Hahn
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Le piccole cose della vita: una scena
Del potenziale infinito di Kathryn Hahn ce ne siamo sfortunatamente accorti tardi, solo, veramente, negli ultimi 10 anni, avendola relegata, nel fior fiore degli anni cinematografici, a spalla ironico-comica di più avviate star, vedi Kate Hudson in Come farsi lasciare in 10 giorni. Dal mancato successo della serie Mrs. Fletcher passando per le Bad Moms al cinema, possiamo sicuramente ringraziare il personaggio di Agatha Harkness in WandaVision, pur essendo uno dei ruoli più fantastici e lontani dalla realtà (essendo Marvel) interpretati dall'attrice, le ha permesso di mostrare i suoi lati più drammatici, oscuri, profondi, pur riuscendo a farli coesistere con lo spirito della commedia che mai ha abbandonato Hahn, che ha portato poi ad uno spin-off tutto suo Agatha All Along. Il risultato, e le sapienti produttrici Witherspoon e Dern lo sapevano, è una Clare a tutto tondo, bellissima perché costantemente fallace e umana.
Clare ha 49 anni e non uno di più, non si pettina mai e non si lega mai i capelli, si agita spesso e suda, la notte rielabora i traumi del giorno e di sempre e li trasforma in incubi astrusi e contorti. Ha un conto in sospeso con il padre e non è mai venuta a patti con il fatto che l'uomo non ha mai veramente voluto lei e suo fratello. Ha il terrore dell'abbandono e non pensa mai troppo prima di sparare a zero o rispondere a tono. La bravura di Hahn è esaltata ancora di più dai suoi compagni di serie e di squadra, dalla sua controparte giovane Sarah Pidgeon alla figlia di Clare, interpretata da Tanzyn Crawford ed a sua madre, una Merritt Wever che farebbe e farà venire la nostalgia per la propria mamma a chiunque, ad ogni età.
Ama
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Le piccole cose della vita: una scena della serie
Non c'è sigla di apertura in Le piccole cose della vita e la musica arriva veramente solo a fine episodio per aiutarci a metabolizzare ed elaborare quanto appena visto, come se fossimo a fine seduta dopo la terapia. È come se la lettera a Sugar/Clare in effetti gliel'avessimo scritta anche noi per esorcizzare le paure, per capire cosa fare del nostro essere troppo figli o troppo genitori, non esserlo e volerlo essere, non volerlo essere, non poterlo essere. Ci sentiremo nostalgici e malinconici dell'amore che abbiamo ricevuto o nuovamente rancorosi verso chi non ci ha amato come doveva. Le piccole cose della vita è una pacca sulla spalla e uno schiaffo in faccia, di quelli a cui segue uno scossone, uno "svegliati e goditi le piccole cose".
"La cosa migliore che tu possa fare nella tua vita è amare": questa la lezione impartita a Clare da sua madre, questo il miglior consiglio che la scrittrice proverà ad impartire ai suoi lettori ed a se stessa, anche quando significherà forse lasciare andare le persone che ama, farle scegliere con la propria testa e la propria voce interiore. Le piccole cose della vita chiude il suo percorso di otto episodi trovandoci un po' più consapevoli che la nostra esistenza è esattamente uno "shitshow" una schifezza, come quella degli altri, tanto vale abbracciare il caos e le nottate stesi sull'erba ad aspettare di incontrare dei bellissimi e surreali cavalli bianchi.
Conclusioni
Concludo questa recensione de Le piccole cose della vita con Kathryn Hahn con ancora un po’ di commozione, malinconia e nostalgia addosso, quella di chi ha intrapreso un percorso con la protagonista nel guardare al passato e rielaborarne ricordi e traumi. Questa miniserie tratta dall’omonimo libro (e rubrica) di Cheryl Strayed, autrice del pluripremiato Wild, trasforma in immagini in movimento gli stessi sentimenti provati attraverso le pagine del libro. Kathryn Hahn si conferma l’ottima e intensa attrice che è, mentre Reese Witherspoon e Laura Dern rinnovano il loro essere produttrici illuminate.
👍🏻
Kathryn Hahn è vera, umana, perfetta.
La serie funge da seduta psicoanalitica per lo spettatore.
Fa venire voglia di abbracciare il proprio caos e i propri fallimenti con amore.
👎🏻
Premette una predisposizione dello spettatore a volersi emotivamente mettersi in gioco.
Sfortunatamente è una miniserie e non ci saranno altre stagioni.
A volte tende alla positività tossica.
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marisolceceda · 11 months ago
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Diario PA2: narración, gamificación y digitalización del paisaje de aprendizaje.
·   ¿Qué ideas nuevas te ha suscitado el bloque?
En este bloque del curso, si que me han surgido muchas ideas nuevas como por ejemplo que con la  creación de un paisaje de aprendizaje con elementos de narración y gamificación y digitalización implica innovar en la forma en que se presenta el contenido educativo y se motiva a los estudiantes a desarrollar un mejor aprendizaje.
Es verdad que al principio del curso me sentí muy confundida y bastante perdida y porque no decirlo incluso con deseos de dejarlo, pero poco a poco y despacito he ido adquiriendo soltura y familiarizarme con las herramientas como Canva, Geniality que aunque las  conocía, nunca antes la había usado. Sin embargo, me he dado cuenta de que Geniality es una herramienta muy intuitiva a la vez que visual, que permite crear juegos y dinámicas muy interesantes y atractivas para los alumnos y alumnas de educación primaria.
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·  ¿Habías usado antes técnicas de narración (storytelling)
Nunca antes había usado ni  sabia en que consistía la tecnica del Storytelling pero bueno poco a poco como lo he dicho anteriormente vamos aprendiendo. Me ha parecido super interesante crear la narración haciendo uso de esta herramienta.
¿Se te ha ocurrido la historia que dará sentido a tu paisaje?
Me ha costado mucho, pero creo que lo tengo decidido.
La Gran Fiesta de la Selva
Narrativa:
En lo más profundo de la selva, donde el sol se oculta entre las hojas verdes, vivía una familia de animales que compartían la selva como su hogar. En ese lugar mágico, reinaba un oso grande y amigable llamado Bruno. Bruno no era como los osos que asustan en las historias, ¡no! Era un oso muy bueno y cariñoso que siempre estaba dispuesto a ayudar a sus amigos animales.
A su lado, vivía una familia de monos traviesos que pasaban el día saltando de árbol en árbol y haciendo travesuras. También estaban las jirafas elegantes, con sus largos cuellos que alcanzaban las hojas más altas, y los elefantes amigables, con sus grandes orejas y trompas fuertes. En la selva también vivían los loros coloridos que llenaban el cielo con sus vuelos y sus canciones alegres, y los tigres rayados que se escondían entre la maleza pero que eran tan amigos como cualquier otro animal.
Cada día, los animales de la selva se despertaban con el sol y comenzaban sus aventuras. Los monos jugaban a las escondidas entre las ramas, las jirafas caminaban elegantes buscando las mejores hojas para comer, y los loros volaban de un lado a otro contando chistes y riendo.
Un día, mientras los animales se preparaban para su gran fiesta anual de la selva, donde todos se reunían para celebrar y compartir historias, surgió un problema inesperado. Los loros, encargados de decorar la fiesta con sus plumas coloridas, comenzaron a discutir con los monos, que querían usar las mismas ramas para sus juegos. La discusión creció tanto que los loros se negaron a decorar y los monos se escondieron, molestos.
Bruno, al ver la disputa, decidió intervenir. Reunió a todos los animales y les recordó la importancia de la amistad y la colaboración. “Esta selva es nuestro hogar y cada uno de nosotros tiene un papel importante en ella. Si trabajamos juntos, nuestra fiesta será la más hermosa de todas,” dijo Bruno con una sonrisa.
Los animales, reflexionando sobre las palabras de Bruno, decidieron colaborar. Los monos ayudaron a los loros a recoger las plumas más bonitas y a colocarlas en los lugares perfectos. Las jirafas, con sus largos cuellos, ayudaron a colocar las decoraciones en lo alto de los árboles, mientras los elefantes con sus trompas fuertes, llevaron los frutos más deliciosos para la fiesta. Hasta los tigres, normalmente reservados, se unieron para vigilar que todo estuviera en orden.
Finalmente, llegó el día de la gran fiesta. La selva estaba decorada con los colores más brillantes y todos los animales estaban felices y emocionados. La fiesta fue un éxito rotundo, llena de risas, cantos y bailes. Los animales aprendieron que trabajando juntos y respetándose mutuamente, podían superar cualquier problema y disfrutar de momentos maravillosos.
Y así, la selva vibraba con la alegría de la gran fiesta, unida por la amistad y la colaboración de todos sus habitantes.
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·  ¿Cómo lo vas a gamificar?
Los niños deben ayudar a los animales de la selva a organizar la Gran Fiesta de la Selva superando diferentes misiones. Cada actividad completada les otorga puntos y recompensas que los acercan a la fiesta final.
Elementos de Gamificación:
MONEDAS: Los niños ganan MONEDAS por cada actividad completada.
RECOMPENSAS: Insignias de OSITOS por logros específicos.
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Niveles: Cada área representa un nivel que los niños deben superar.
¿Conoces alguna otra herramienta, además de las aquí propuestas, en las que puedas diseñar un paisaje?
La verdad que no, he visto herramientas para gamificar, pero lo de herramientas especificas para la creación de paisajes de aprendizaje no.
Geniality está muy bien.
·  ¿Qué dificultades has encontrado en el uso de la herramienta?
La principal dificultad es que no conocía su uso y aplicación de GENIALITY, pero bueno me he informado viendo  videos tutoriales  que me han ayudado a manejarlo, también he usado el soporte de ayuda de a Geniality y claro la profe me ha ayudado a resolver todas las dudas y darme tic a fin de a hacer mejor el trabajo.
·  ¿Qué ventajas le has visto?
Usar Genially en la creación de paisajes de aprendizaje no solo hace el contenido más atractivo y accesible, sino que también enriquece la experiencia educativa al incorporar interactividad, multimedia, y elementos de gamificación que pueden transformar la forma en que los niños aprenden y participan.
·  Incluye tu paisaje en el diario final usando el código HTML
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biancheriaecotone · 1 year ago
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Un albero di Natale tessile: il simbolo di unità e solidarietà nel cuore di Chiusa Pesio
Un albero di Natale tessile: il simbolo di unità e solidarietà nel cuore di Chiusa Pesio.
Nel comune di Chiusa Pesio in provincia di Cuneo, le donne locali sono impegnate in un'attività creativa e solidale che sta portando nuova vita e colore alle strade e agli spazi pubblici. Il loro talento e la loro passione per l'artigianato tessile si manifestano attraverso un progetto unico e coinvolgente: l'allestimento dell'albero di Natale del paese.
Donne Creative e Solidali
Le donne del villaggio hanno trovato un modo originale per celebrare il Natale, mettendo in mostra il proprio ingegno e la propria abilità nel lavoro a maglia e all'uncinetto. Il risultato è sorprendente: un albero di Natale alto 4 metri e largo quasi 3, composto da 392 "granny square" o "quadrati della nonna", ciascuno realizzato con cura e dedizione.
Granny Square
Ma cosa sono esattamente questi "granny square"? Si tratta di piccoli quadrati di lana lavorati all'uncinetto, una tecnica tradizionale che ricorda le coperte fatte dalle nonne. Le donne del paese hanno impiegato diversi mesi per completare tutti i quadrati, sfruttando il loro tempo libero per creare qualcosa di davvero speciale per la comunità.
Storie Intrecciate
L'aspetto più affascinante di questo progetto è che ciascun "granny square" porta con sé una storia unica. Ogni donna ha scelto i colori e i motivi che meglio rappresentano la propria personalità e la propria esperienza di vita, conferendo all'albero una dimensione emotiva e narrativa.
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Uniti per la Magia del Natale
Ma l'albero di "Natale tessile" non è solo una questione di estetica; è anche un simbolo di collaborazione e solidarietà nella comunità. Tutti, dall'amministrazione locale alla Pro Loco, dalle associazioni ai volontari e agli esercenti, si sono uniti per rendere possibile questo progetto, dimostrando che quando le persone lavorano insieme, possono creare qualcosa di veramente straordinario.
Unione e Gioia
L'inaugurazione dell'albero di "Natale tessile" , all'inizio di dicembre, è un momento di gioia e festa per tutta la comunità. I residenti si riuniscono per ammirare l'opera d'arte tessile che hanno contribuito a creare e per condividere insieme lo spirito del Natale. In definitiva, l'albero di Natale del paese non è solo una decorazione, ma un simbolo di unità e di orgoglio comunitario. È il risultato del lavoro di tante mani e del cuore di molte donne che hanno reso il loro paese un posto più bello e accogliente da vivere durante le festività natalizie.
ragncampagnin
Esempi di Prodotto Tessile Italiano
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londranotizie24 · 1 year ago
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