#teatro popolare
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alsim71 · 7 months ago
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Il Bruscello
Montepulciano 2022.Il Bruscello.Il Decamerone. —
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Serata Goldoniana ad Alessandria: Cena Veneta e Commedia con "Innamorati" di Carlo Goldoni. Un evento imperdibile il 26 ottobre alla Ristorazione Sociale di Alessandria, con cena e spettacolo teatrale diretto da Simona Barbero
Il 26 ottobre 2024, la Ristorazione Sociale di Alessandria ospiterà una serata all'insegna del teatro e della tradizione culinaria veneta, con la "Serata Goldoniana".
Alessandria. Il 26 ottobre 2024, la Ristorazione Sociale di Alessandria ospiterà una serata all’insegna del teatro e della tradizione culinaria veneta, con la “Serata Goldoniana”. L’evento inizierà alle 20:00 con una cena tipica veneta, seguita alle 21:30 dalla messa in scena della commedia “Innamorati”, diretta da Simona Barbero. Il costo della serata, che include sia la cena che lo spettacolo,…
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lorenzospurio · 8 months ago
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Pubblicato il "Vocabolario del dialetto di Matelica" a cura di Ennio Donati
La nuova corposa opera di Ennio Donati (600 pagine che contengono circa 16.000 vocaboli) è relativa alla costruzione di un vocabolario del dialetto di Matelica, comune del Maceratese dove è nato nel 1946. Dal 1980 l’Autore, pur indissolubile alla sua città natale, vive nella rivierasca Senigallia. Laureato in Ingegneria Chimica all’Università “Alma Mater” di Bologna nel 1970, è iscritto…
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vintagebiker43 · 3 months ago
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Il più grande errore di Togliatti
Ogni anno la premier Meloni ricorda la morte di Giorgio Almirante, celebrandolo come eroe della patria, uomo retto e suo riferimento politico.
Almirante in realtà è stato un razzista convinto, un criminale di guerra e un istigatore di stragi e rappresaglie.
Nella primavera del 1944 firmò il "manifesto della morte" come capo di gabinetto del ministro della Cultura Popolare dell'RSI. Il manifesto annunciava la fucilazione per "sbandati ed appartenenti a bande" che non si fossero consegnati ai "posti militari e di polizia italiani e tedeschi".
Le zone della Toscana in cui fu affisso il bando divennero teatro di stragi e rappresaglie, in particolare a Niccioleta, dopo la diffusione di quel bando, furono assassinati dai nazifascisti 83 minatori accusati di collaborazione con i “banditi partigiani”. Il manifesto della morte venne ritrovato nell'estate del 1971 e pubblicato il 27 giugno dai quotidiani "l'Unità" e "il Manifesto". Giorgio Almirante li denunciò per diffamazione.
Nel corso del procedimento furono rinvenute negli Archivi di Stato e prodotte in giudizio inequivocabili prove documentali attestanti la veridicità del manifesto di fucilazione. La Cassazione nel 1978 decretò la vittoria totale de L’Unità, che rifiutò il risarcimento economico. La stampa comunista aveva dimostrato che Almirante era un criminale di guerra. Questa è solo una delle tante criminali vicende legate alla storia di Giorgio Almirante.
Chi lo ritiene il proprio riferimento politico si qualifica da solo/a.
Cronache Ribelli
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angelap3 · 2 months ago
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"Mi chiamo Caryn Elaine Johnson, ma tutti mi conoscono come Whoopi Goldberg. Sono un’artista Egot (ossia il poker dei massimi riconoscimenti americani dello spettacolo: Emmy, Grammy, Oscar e Tony) a significare un’attrice che si è misurata con tutto: televisione, musica, cinema e teatro. Dicono abbia una simpatia travolgente e una carica di energia capace di andare in Vaticano e chiedere a papa Francesco di recitare in Sister Act 3 e di rilanciare nel mio show americano l’omaggio fattomi da Fiorello in tv.
Ho vinto l'Oscar come miglior attrice non protagonista per Ghost - Fantasma nel 1990 (seconda donna afroamericana dopo Hattie McDaniel, la Mami di Via col vento) e sono stata candidata come miglior attrice protagonista per Il colore viola di Steven Spielberg. Ho anche vinto due Golden Globe, due Emmy, un Saturn Award, quattro People's Choice Award, cinque Kids' Choice Award, sette Image Award, due Drama Desk Award e un Bafta. Nel 2002 mi è stata assegnata una stella nella Hollywood Walk of Fame.
Ho diretto e prodotto documentari, musical e film acclamati da pubblico e critica. Sono attivista per i diritti umani, il sostegno della ricerca contro l'Aids e i diritti dell'infanzia. Sono apparsa in innumerevoli trasmissioni e serie tv americane e, tra le altre, ho condotto insieme a Billy Cristal e Robin Williams nove stagioni di Comic Relief, uno speciale televisivo benefico a favore dei più svantaggiati. Dal 2007 sono una delle conduttrici della popolare trasmissione e progressista della Abc, The View."
A 68 anni ho scritto la mia autobiografia dal titolo "Frammenti di memoria".
Nel memoir, che ho scritto anche per superare il lutto di mia mamma Emma, mi racconto a partire dalla mia infanzia (nelle case popolari di New York, le gite a Coney Island, gli spettacoli di pattinaggio artistico sul ghiaccio e le visite ai musei) alla mia carriera, successi e fallimenti. Il libro è un omaggio alle figure cardine della mia vita, mia madre e mio fratello Clyde, entrambi venuti a mancare negli ultimi anni. Mia madre, orgogliosa, pratica e indomabile, ha trasmesso a noi figli l’amore e la saggezza necessari per riuscire nella vita, incoraggiandoci sempre a essere onesti almeno verso noi stessi."
Whoopi Goldberg
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figlidiroma · 3 months ago
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Conte Giuseppe Primoli 1890, neve sullo sterrato della zona dove sarebbe sorto il Tempio Maggiore di Roma (1904) e la zona dei cosiddetti "quattro villini" tra piazza delle Cinque Scole, via del Portico d'Ottavia, Lungotevere Cenci.
Sotto questa terra smossa su cui bruca il cavallo dovevano stendersi resti di magazzini romani, della zona indicata nella Forma Urbis Severiana come Navalia e, forse, del Tempio di Castore e Polluce, collocato sotto l'area di Monte Cenci dove furono rinvenute, tra Quattro e Cinquecento, le statue dei Dioscuri, già allora traslate al Campidoglio.
In lontananza nella foto, il campanile di San Giovanni Calibita sull'isola Tiberina e, di fronte, la Torre della Pulzella.
Risalente al 1200, essa era parte delle torri medievali di Roma, legate a famiglie della nobilità e del ceto mercantile cittadino di cui erano insieme strumento e concreta traccia sul territorio.
Questa torre, collocata sull'isola, guado fluviale tanto essenziale alla vita cittadina da aver facilitato e forse cagionato la nascita dei primi insiediamenti destinati ad evolversi nella Roma romulea, apparteneva alla famiglia dei Pierleoni.
Probabilmente ebrei e opportunamente convertiti per poter sfruttare al meglio le proprie ricchezze in una Roma medievale pur non ancora dotata di Ghetto, e forse meno ostile alla Comunità di quanto non si sarebbe più tardi dimostrata, i Pierleoni controllavano anche il tratto alla base del Campidoglio.
L'edificio medievale presso il vico Jugario è a loro intitolato, e anche loro era la torre che si nota a destra, addossata al corpo della Basilica di San Nicola in Carcere, riusata come torre campanariae contenente un'antica campana di fine Duecento, commissionata dai Savelli.
Ma, soprattutto, oltre a case medievali al vicino Velabro, ai Pierleoni apparteneva il forte costruito sulle rovine del Teatro di Marcello, e di cui ancora si vede l'affollarsi di strutture alte e strette su via del Foro Olitorio.
Passato ai Savelli e, tramite loro, agli Orsini, quel forte oggi lo conosciamo come palazzo Savelli Orsini, opera di Baldassarre Peruzzi, la malinconica e splendida residenza costruita nella cavea del Teatro.
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La torre della Pulzella, dall'enigmatica testolina che vi appare inquadrata da una finestrella cieca e che guarda intenta dalla parte del Portico d'Ottavia, passò come tutto il resto dei Pierleoni nelle mani dei Savelli, incastellati così tra l'isola e l'omonimo Monte, e i cui domini si estendevano già verso Campo de' Fiori e all'Aventino, come attestato dagli odonimi vicolo de' Savelli e Clivo di Rocca Sabella.
La pulzella, comunque, è una testa romana, ma la leggenda popolare la vuole l'impietrirsi di una bella giovane aristocratica che, murata per vincere la sua resistenza a un matrimonio di convenienza, morì lassù spiando all'orizzonte il ritorno del suo vero amore dalla guerra.
Fonti: studi di F. Coarelli e P. L. Tucci sulla topografia del Circo Flaminio e dell'area dei Calderari.
A. Carandini, Roma. Il primo giorno, Laterza 2007.
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anchesetuttinoino · 6 months ago
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"Vota quella stronza della Meloni", il meme ironico che circola nelle chat. L'effetto Giorgia non si ferma - Secolo d'Italia (secoloditalia.it)
’effetto Meloni prosegue senza sosta. Il dopo-Caivano registra un ennesimo “colpo di scena” di questa campagna elettorale. Un’ ennesima conferma di quanto quella frase -“Presidente De Luca, sono quella stro*** della Meloni. Come sta?”- abbia bucato i social e fatto parlare e straparlare molti opinionisti. Tanto che oggi -il giorno dopo quell’incontro che tanto sta facendo rodere il fegato dei mestrini raical-chic col ditino alzato-  viene anche rilanciata. C’è un meme spiritoso e ironico che circola in rete e nelle chat dei parlamentari: “Vota quella stronza della Meloni” è la scritta che campeggia su un finto  manifesto elettorale per le Europee: con il simbolo FdI  barrato e il volto della premier. Sta facendo il giro del web.
L’effetto Meloni non si ferma: dopo il video arriva il meme virale
Dopo il boom sui social dell’incontro fatidico tra Meloni e il governatore De Luca arriva, dunque, questo meme a rilanciare la “mossa” della premier che ha sconvolto i salotti buoni dei talk show. Dimostrando che il suo comportamento ha colto nel segno. E soprattutto, fatto impazzire una sinistra politica e intellettuale che in modo ridicolo censura l’ atteggiamento “poco istituzionale” della premier. Dovevate osservare i vari Severgnini, Fittipaldi, Lella Costa, Floris, Piccolotti dare lezioni di bon ton istituzionale. Nessuno che lo avesse fatto con tanto accanimento quando ad offendere la premier per primo era stato proprio De Luca. Tanto livore dei dem e dei salotti radical-chic non lo abbiamo proprio notato all’epoca.
Il dopo-Caivano: la doppia vittoria di Meloni
Dunque, vince ancora Giorgia. Non a caso l’ istant sentiment realizzato in esclusiva per Adnkronos da Vis Factor nell’immediatezza dell’incontro Meloni- DeLuca fu già una sentenza. Nella maggioranza dei commenti a favore di Meloni – ben il 56%- sottolineavano coraggio, franchezza, presenza di spirito del presidente del Consiglio. Spirito e franchezza che manca del tutto a sinistra, che chissà quando si riprenderà da questo doppio successo della premier: avere fatto rinascere il Parco Verde di Caivano, teatro fin’ora di stupri, spaccio e criminalità; ed essere entrata contemporaneamnte negli incubi più tetri di una sinistra triste. Sempre più ostaggio della propria incapacità di ancorarsi a un sentimento popolare. Anche ora che il meme ironico “Vota quella stronza della Meloni” sta furoreggiando, le dosi di Maalox dovranno essere raddoppiate.
Un’ altra mossa comunicatica che fa impazzire la sinistra salottiera
Qualche esempio. L’editorialista del Corriere, Beppe Severnini ad Otto e mezzo ha affermato che “Meloni dovrebbe imparare il decoro verbale”. Fittipaldi urla un “Mi vergogno” a Tagadà. Lella Costa, attrice e sceneggiatrice, femminista, dal salotti di “Di martedì” afferma che la frase di Meloni a De Luca “è una forma di bullismo”. Alla faccia della solidarietà femminile… Ed Elisabetta Picoclotti di Avs ha tuonato: “Il prossimo passo che farà il presidente del Consiglio qual è? La lotta nel fango?” Zittita da un imperturbabile Italo Bocchino, direttore editoriale del Secolo d’Italia: “Ciò che ha detto Meloni è un grande esempio di comunicazione. Finalmente De Luca impietrito”. Insomma, ancora una volta la sinistra non capisce che la sfida ha avuto un solo vincitore: il premier. Anche oggi assisteremo a varie lezioni di galateo istituzionale a puntate? Un ultimo appunto merita il ridicolo furore di Giuseppe Conte, ospite di Floris. Anche l’ex premier in pochette ha stigmatizzato le parole della premier. A tacitarlo Francesco Storace: “Ma come? Sei il leader del partito del vaffa e ti scandalizzi?”…
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Storia Di Musica #304 - Bob Dylan, Bringing It Al Back Home, 1965
Ogni anno ho raccontato un disco di Bob Dylan. Prescindere da Dylan è impossibile per il rock, e arriva in luoghi, stili e musicisti che a prima vista sembrano lontani anni luci da lui. Eppure, il suo è uno degli ingranaggi cruciali che mette in moto la macchina della musica popolare occidentale (e non solo) che è arrivata fino ad oggi. Il disco di oggi è l'occasione per un viaggio alquanto insolito, che svelerò alla fine, per chiudere il 2023 musicale. Il disco di oggi nasce da alcune idee che erano state scartate per quello precedente, Another Side Of Bob Dylan del 1964. Sebbene ancora legato al folk, quel disco scopre un lato introspettivo che il Dylan di quei tempi ancora doveva scandagliare: inizia quindi a mettere di lato (sebbene non lo abbandonerà mai del tutto) il lato politico e sociale (dello stesso anno è The Times They Are A-Changin') per quello privato. Inoltre c'è la necessità musicale di legare insieme il folk dei primordi con le nuove pulsioni del rock'n'roll, che secondo Dylan gli permetterebbero maggiore libertà creativa. Decide quindi di andare a vivere in una piccola villetta di campagna a Woodstock, proprio a pochi km dalla spianata che pochi anni più tardi fu teatro di una immensa folla rock, casa di proprietà del suo manager Albert Grossman. Dylan adora quel posto, e ci passa tutta l'estate. Dopo pochi giorni, è raggiunto da Joan Baez, che racconta la routine del menestrello di Duluth: passava la giornata alla macchina da scrivere, accompagnato incessantemente da sigarette e bottiglie di vino, e spesso nel cuore della notte avendo avuto una intuizione si metteva a scrivere senza soluzioni di continuità. Dylan è cauto, e affina tutti i particolari: alla prima sessione di registrazione canta da solo acustico. Il giorno dopo, 14 Gennaio 1965 che nella storia del rock è un giorno importante, si presenta con una band elettrica: i chitarristi Al Gorgoni, Kenneth Rankin, e il grande Bruce Langhorne, il pianista Paul Griffin, i bassisti Joseph Macho Jr. e William E. Lee, e il batterista Bobby Gregg. Registrano per ore, e le canzoni volano veloci e in poche ore, quando è notte fonda, è pronto metà disco. La sera successiva, il 15 Gennaio, Dylan dopo cena si presenta con una nuova band, tra cui John P. Hammond, che diventerà suo fido braccio destro negli anni a seguire, e John Sebastian, che diventerà famoso con i Lovin' Spoonful. Di questa sessione però non fu salvato nulla, così il 16 torna in studio con tutti i musicisti e finisce di registrare il disco. Che secondo il racconto dei presenti fu tutto di first takes, cioè canzoni registrate e considerate buone dopo solo una registrazione. Dylan, timoroso che il passaggio totale alla musica elettrica fosse un passo troppo lungo, decide di dividere il disco a metà con canzoni vecchia maniera musicalmente, ma che nei testi e nelle idee lo propongono del tutto nuovo: un surrealismo fantastico che lega Rimbaud alla beat generation, e che inizia a popolare lo scenario della musica giovanile di luoghi e personaggi che diventeranno archetipi.
Il 22 Marzo 1965 viene pubblicato Bringing It All Back Home dalla Columbia. Verrà distribuito in alcuni paesi con il titolo di Subterrean Homesick Blues, nome del primo singolo, ma ciò che importa è che è uno dei più grandi dischi di Dylan, ergo, è uno dei più grandi dischi della storia del rock. Perchè riesce nell'intento che si era prefissato, cioè trovare un legame credibile tra la tradizione folk, il blues e il nascente rock, creando paesaggi lirici che sconvolgono, consegnando alla storia canzoni mito su cui tutti hanno preso spunto. La sequenza di canzoni è ormai a quasi 60 anni dall'uscita un greatest hits: Subterrean Homesick Blues è il biglietto d'ingresso nel mondo elettrico, e passa anche alla storia per l'innovativo videoclip, famosissimo e stracitato, di Dylan con i cartelli di parole chiavi del testo, con Allen Ginsberg che passeggia sullo sfondo di una vecchia fabbrica in rovina. Il testo, che utilizza anche espressioni da strada, è una infinita carrellata di riferimenti, più o meno chiari, alla società, alla politica, al giornalismo, e inizia a creare delle espressioni che diventeranno futuri slogan tra studenti, manifestanti per i diritti civile e così via (il più famoso You don't need a weather man\To know which way the wind blows). She Belongs To Me è l'ennesima novità stilistica: la prima figura di "donna ammaliatrice" (definizione di uno dei massimi studiosi di Dylan, Robert Shelton) con cui esiste un rapporto difficoltoso, sebbene non si sappia chi sia realmente l'spirazione, le più accreditate sono Suze Rotolo, la sua ex fidanzata che sta con lui sulla copertina di Freewheelin' Bob Dylan, Joan Baez, sua sodale, Nico, la cantante svedese che conobbe alla Factory di Warhol e che canterà con i Velvet Underground o forse Sara Lownds, quella che diventerà sua moglie poche settimane dopo l'uscita del disco. Ogni canzone diventerà un'icona: Maggie's Farm, probabilmente un blues contro ogni forma di sfruttamento; On The Road Again è una dichiarazione profetica sul rapporto Dylan-successo, dove il primo spesso sceglie la lontananza e l'autoesilio, impaurito da quello che succede; It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding), tutta acustica, è uno dei massimi capolavori lirici dylaniani, con una carrellata drammatica per tensione e suggestione di immagini e sensazioni che esprimono un impellente desiderio di critica nei confronti dell'ipocrisia, del consumismo, dei sostenitori della guerra, e della cultura americana contemporanea, che rispetto al Dylan folk stavolta non si risolve in un ottimismo rivoluzionario, ma in un arrabbiato status quo da osservare. Ricordo altre due perle: It's All Over Now, Baby Blue, Dylan alla chitarra acustica e all'armonica a bocca e William E. Lee al basso come unica strumentazione, è un'altra ballata storica, dai mille significati (chi sia o cosa sia Baby Blue, per esempio) ma la canzone più famosa è senza dubbio Mr. Tambourine Man, altra canzone dai mille significati e simbolismi, che diventerà un soprannome dello stesso Dylan, e oggetto di centinaia di saggi, anche accademici, alla ricerca dei messaggi più reconditi di questo vagabondo con tamburo intento a suonare una canzone per lui mentre la notte sta per terminare avviandosi verso il mattino tintinnante.
Il disco è un successo: numero 6 nella classifica americana, addirittura numero 1 in Gran Bretagna, dove in quei mesi inizia una vera e proprio Dylanmania. E sarà uno dei più coverizzati di sempre: i Byrds lo riprenderanno quasi del tutto, e molte delle loro versioni di questi brani diventeranno famose, anche per l'uso nelle colonne sonore, da ricordare quelle in Easy Rider. Ma non tutti furono folgorati, e non posso non ricordare l'episodio che avvenne al Festival Di Newport: il 25 luglio 1965 Dylan si presentò sul palcoscenico non come cantante solista con chitarra e armonica come suo solito, ma con una chitarra elettrica accompagnato dalla Paul Butterfield Blues Band, formidabile band di blues elettrico. Qui succede questo: non si sa nemmeno bene se fosse colpa dell'acustica che non funzionava, ma il pubblico iniziò a fischiare Dylan, che dopo un paio di brani lasciò il palco; gli organizzatori lo convinsero a ritornare, solo con armonica e chitarra, per una sessione solo acustica che leggenda vuole finisca con It's All Over Now (Baby Blue), da allora canzone anche per sancire un passaggio epocale nella vita delle persone deluse dai cambiamenti.
Rimane da raccontare la copertina: Daniel Kramer con una lente distorsiva fotografa Dylan in un salotto con una donna, Sally Grossman, moglie dell'allora manager di Dylan, Albert Grossman. Sul tavolino tra i due dischi famosi Keep On Pushing de The Impressions, King Of The Delta Blues Singers di Robert Johnson, India's Master Musician di Ravi Shakar, Sings Berlin Theatre Songs by Kurt Weill di Lotte Leyna e l'amico Eric Von Schmidt con The Folk Blues Of Eric Von Schmidt; dietro Sally Grossman, seminascosto da un cuscino, c'è il lato superiore della copertina dell'album Another Side Of Bob Dylan, e sotto il suo braccio destro, una copia della rivista Time con Lyndon B. Johnson in copertina. Sulla mensola del camino, alla sinistra del dipinto, si vede l'album di Lord Buckley The Best Of Lord Buckley. Compare un gatto, che si chiamava Rolling Stone, Dylan indossa dei gemelli regalati da Joan Baez e in primo piano, in basso a sinistra della fotografia, campeggia un cartello con su scritto Fallout Shelter (rifugio antiatomico). Questo tavolino sarò il punto di partenza di nuove storie, nel nome di Dylan e di uno dei dischi fondamentali della storia.
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missviolet1847 · 1 year ago
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da Eugene Ionesco, Relazione per una riunione di scrittori (febbraio 1961) in Note e contronote, Scritti sul teatro, pp.142-143
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Osservate la gente correre indaffarata, nelle strade. 
Non guardano né a destra né a sinistra, preoccupati, con gli occhi fissi a terra, come cani. Tirano diritto, ma sempre senza guardare davanti a sé, poiché coprono un percorso già risaputo, macchinalmente.
In tutte le grandi città del mondo le cose stanno così. L'uomo moderno, universale, è l'uomo indaffarato, che non ha tempo, che è prigioniero della necessità, che non comprende come una cosa possa non essere utile; che non comprende neppure come, in realtà, proprio l'utile possa essere un peso inutile, opprimente. 
Se non si comprende l'utilità dell'inutile, l'inutilità dell'utile, non si comprende l'arte; e un paese dove non si comprende l'arte è un paese di schiavi o di robots, un paese di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spirito; dove non c'è umorismo, non c'è il riso, c'è la collera e l'odio.
Poiché queste persone indaffarate, ansiose, tese verso un fine che non è un fine umano o che è solo un miraggio, improvvisamente possono, al suono di chissà quali trombe, al richiamo di qualunque folle o demone, lasciarsi trascinare da un fanatismo delirante, da una qualsiasi violenta passione collettiva, da una nevrosi popolare.
# Eugene Ionesco
# drammaturgo
#'900
#teatro dell' assurdo
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chez-mimich · 17 days ago
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DANILO REA_OPERA IN JAZZ
Per rendere “simpatico” il jazz al grande pubblico non c’è strada migliore che cercare di renderlo digeribile con ibridazioni e ammiccamenti con i ritmi della grande musica popolare. Operazioni simili si sono già viste alla televisione, per esempio per la danza, basta ricordare le trasmissioni televisive di Roberto Bolle che si è prestato a questa operazione di grande divulgazione (e quindi forse anche Andrea Bocelli andrebbe ascritto ai grandi divulgatori in campo musicale per la lirica). Un’operazione simile con il jazz la fa Danilo Rea che a JazzMI ha presentato, sabato scorso al Teatro della Triennale di Milano (ex-Teatro dell’arte), “Opera in jazz”, operazione piuttosto compressa, volta a portare il jazz a dialogare con i grandi interpreti del passato della lirica italiana. Pezzi ed arie celeberrime dell’opera lirica sono rielaborate al pianoforte in chiave jazzistica, mentre su uno schermo scorrono immagini, fotografie e filmati storici degli interpreti dell’opera. Si incomincia con una “Casta diva” nella memorabile e irraggiungibile interpretazione di Maria Callas da “Norma” di Vincenzo, Bellini, si prosegue con “Una furtiva lagrima” dall’ “Elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, cantata da Enrico Caruso, e via via fino ad arie meno consumate dall’uso, ma sempre di grande impatto, concludendo, per il bis, con la canzone italiana per eccellenza, ovvero quel “O sole mio” di  Alfredo Mazzucchi e Eduardo Di Capua, celebrata, cantata e ricantata in tutto il mondo con una impennata di celebrità in questo nuovo millennio. E il jazz? Bisogna riconoscere che, nonostante queste operazioni siano sempre un po’ rischiose, il risultato è assolutamente pregevole, date anche le capacità tecniche di prim’ordine di Danilo Rea. Non era facile, come lo stesso Rea ha ricordato dal palco al folto pubblico, dialogare con un cantante o una cantante che in realtà non ti ascolta, la cui voce, anzi la cui registrazione monofonica della voce, proviene dalla notte dei tempi della musica riprodotta. Rea riesce eccellentemente nell’operazione, tanto che qualche aria sembra continuare naturalmente nella sua tastiera poliedrica. Se qualche dubbio resta, almeno a me, è il senso generale dell’operazione, come se il jazz non bastasse a sé stesso e altrettanto vale per l’opera lirica. Ma io oltre a non fare testo, sono sempre un po’ troppo esigente e un po’ troppo rigoroso, anche con me stesso, e queste “scampagnate musicali” mi sembrano sempre un po’ delle operazioni azzardate. Quelle che invece sembrano proprio di difficile digestione, sono le immagini proiettate sullo schermo, di una bruttezza e di un cattivo gusto esemplari: elaborazioni elettroniche di rose che fioriscono, fiocchi di neve da centro commerciale, bolle, riflessi, ombre e tramonti napoletani degni di una pizzeria. Forse, se proprio necessario, sarebbe bastato proiettare le rare immagini della Callas, di Beniamino Gigli, di Mario del Monaco o di Mascagni, Rossini e Puccini nel loro originale e fascinosissimo b/n. Spero soltanto che il Roberto Grossi che ha curato la parte video della serata, non sia lo stesso Roberto Grossi, ex studente nella mia stessa scuola e scenografo di mia conoscenza, perché sarebbe la fine di una amicizia…
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telefonamitra20anni · 2 years ago
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Pronto ciao, sono Marcello.
...Di me, come attore se n'è parlato tanto, come uomo, ho preferito che se ne parlasse il meno possibile, perché la mia vita, per quanto accetti il compromesso che il pubblico possa sognare, vorrei che fosse solo cosa mia. "Non sono un catalogo da sfogliare", per intenderci non voglio essere privato dal titolo "nobiliare" di individuo, seppur il mio profilo risulti immediatamente riconoscibile. Sarei disonesto se dicessi che essere popolare non mi abbia aiutato, ma quello che si vede è puramente materiale, superficialmente labile. A chi importa, quante scarpe ho, che orologi indosso, quante rughe ho sul mio volto? Quello che in realtà io sono, è una tavola apparecchiata che faccia spazio a chi ha voglia di sedersi, una casa da progettare e abitare, un camino acceso e tante chiacchiere tra qualche sigaretta che si lascia consumare. Una telefonata, per parlarti. È per questo che ti chiamo, per dirti che: Io sono una malinconia, un'ironia, una solitudine da colmare. Io sono la mia ignoranza, la mia pigrizia, la mia ricchezza, la mia stessa rabbia. Bada bene, non parlo della mia unicità, siamo un po' tutti fatti così. Io, non mi sono mai sentito arrivato, fino alla fine non ho mai smesso di correre. Fino-alla-fine. Ho sempre giocato a fare Marcello che faceva l'attore. Perché la vita come nel teatro, nel cinema, l'ho presa come un bellissimo gioco, a cui bisogna partecipare. Qualche volta, ho perso, qualche volta ho vinto. Ma alla fine cosa importa? Beh, ora ti devo proprio lasciare, telefonami tra vent'anni, un abbraccio, ciao.
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unfilodaria · 1 year ago
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“Capurà’, è mmuort’ l’alifante!”
1742 -L‘ Alifante a BAIANO
Il 7 settembre del 1742 approdò, nel porto di Brindisi, un’imbarcazione a vela da carico (tartana) partita da Durazzo con a bordo un poderoso elefante indiano destinato a Carlo III di Borbone. Nel racconto popolare la notizia diffusa era che si trattasse di un dono del sultano ottomano Mahmud I al re del Regno di Napoli. E secondo lo storico Michelangelo Schipa: “si voleva con questo presunto successo in politica estera, rafforzare nell’interno il prestigio del nuovo re Carlo di Borbone”. In realtà fu acquistato dal conte Finocchietti su mandato del marchese di Salas, con lo scopo di compiacere il re che lo desiderava all’interno del suo serraglio.
La notizia del passaggio di questo pachiderma si diffuse nei diversi territori del regno, richiamando l’attenzione di tante persone di ogni estrazione sociale e suscitando enorme curiosità e stupore .
Il corteo attraversò l’abitato di Baiano e di questo singolare evento troviamo riscontro in un brano della raccolta di memorie della famiglia Foglia, il cui estratto è stato riportato da Antonio Iamalio nel libro “ LA VALLE MUNIANENSE”.
“ A' di 4 ottobre 1741 il Granvesirre de' Turchi mandò a regalare all’attuale Re di Napoli CARLO TERZO, infante di Spagna c gran Duca della Toscana, uno grossissimo Animale chiamato l’Alefante, il quale passò per mezzo la Piazza di cotesta nostra Terra di Baiano, et tanta soldati del Commissario di Campagna e turchi, che custodivano il med., il quale non è stato mai veduto da nessuno di questi Regni. Il detto Alifante pareva una montagna di carne, che fu uno gran portento; il detto nostro RE se lo tiene in Napoli dentro la tarcena (darsena) con grandissima spesa custodito.”
Chissà quanta meraviglia si manifestò tra i Baianesi nel vedere passare, sulla via Regia delle Puglie, il corteo con l’elefante destinato al re. Per tutti fu un evento insolito e una nuova esperienza di conoscenza, fino allora limitata a quella degli animali domestici che facevano parte del vivere quotidiano dell’epoca.
ll giorno 1 novembre di quell’anno l’elefante, scortato da soldati e gestito da sei turchi, con una lenta marcia, arrivò alla Reggia di Portici e fu accolto nello zoo privato affidandolo alle cure di un caporale del regio esercito.
Diventò subito una straordinaria attrazione con la possibilità di ammirarlo da vicino pagando una lauta mancia al caporale che lo accudiva.
Inoltre, fu fatto sfilare durante le parate ufficiali del re e perfino esibito nel 1743 a teatro San Carlo durante la rappresentazione dell’opera “Alessandro nelle Indie”.
Purtroppo, morì nel 1756, pare per un’impropria alimentazione, e il suo guardiano tornò alle ordinarie mansioni di sottufficiale, perdendo i benefici della notorietà e i vantaggi economici.
Per questa nuova situazione, i Napoletani, ai quali di certo non manca l’estro creativo e lo spirito canzonatorio, coniarono il detto “Capurà’, è mmuort’ l’alifante!” a evidenziare la fine di una situazione favorevole.
Lo scheletro dello sfortunato pachiderma fu trasferito, nel 1819, al Museo Zoologico, dove ancora oggi è esposto.
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Angelo Piciullo
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angelap3 · 8 months ago
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Oggi è il 15 Aprile ed in questo giorno, nel 1967, a Roma moriva il grande “Totò”. Era nato nel 1898, a Napoli con il nome di Antonio Vincenzo Stefano Clemente De Curtis, e fu tra i maggiori rappresentanti del teatro (presente in 50 commedie) e del cinema comico italiano (presente in 97 film) di tutti i tempi. Non fu riconosciuto dal padre e visse in estrema povertà la sua gioventù nel “Rione Sanità”. Non impegnato nello studio e distratto precocemente dalla passione per il teatro, dalla quarta elementare fù addirittura retrocesso in terza, dove iniziò ad intrattenere i compagni di scuola con piccole recite e battute. Dopo le elementari, al Collegio Cimino, il colpo di un pugno causato involontariamente da un precettore né causò una particolare deformazione al mento ed al naso, cosa che caratterizzò in seguito la sua “maschera” di comico. Abbandonò gli studi senza conseguire la licenza ginnasiale, ed a 15 anni iniziò ad esibirsi nei teatrini periferici con macchiette ed imitazioni con lo pseudonimo di “Clement”. Dopo la prima Guerra Mondiale (trascorsa in reggimenti a Pisa, Pescia e Livorno) riprese il teatro e tra il 1923 ed il 1927 si esibì nei maggiori caffè-concerto italiani raggiungendo notorietà nazionale con le sue macchiette e mimiche facciali.Negli anni trenta si dedicò all'”avanspettacolo” iniziando ad improvvisare ed inventare deformazioni linguistiche. Nel 1933, a 35 anni, fu adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri, nel 1937 visse il debutto cinematografico e nel 1938 perse la vista dall'occhio sinistro (cosa che mantenne segreta e che solo i familiari sapevano). In seguito lavorò con i massimi attori e registi italiani, raggiungendo il massimo successo popolare (anche se non di critica). Fu anche attore televisivo (con 9 telefilm) drammaturgo, poeta, paroliere, compositore e cantante. Paragonato ai massimi attori comici mondiali come Charlie Chaplin e Buster Keaton, ancora oggi è considerato il comico italiano più popolare di ogni tempo.
Bruno Pollacci
Direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa
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gcorvetti · 1 year ago
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Lunedì di fuoco.
Sembrava che questa estate fosse più finlandese visto che pioveva spesso e di giornate calde tipiche estive non cer ne sarebbero state, invece tra l'umido di ieri e il caldo di oggi sembra che la bella stagione voglia farsi perdonare, speriamo che non sono i classici due giorni belli e poi dieci di pioggia e freddo, l'estate deve essere estate anche se qua non c'è il mare, cosa che mi porta una tristezza infinita. Ma non importa perché ho comunque molte cose da fare e non sto a bighellonare o a cercare scuse le devo fare. Leggendo le notizie, più o meno sempre quelle, leggo che un tale Angelo Duro che di mestiere fa il comico ha imbrattato i suoi stessi cartelloni pubblicitari, quelli del suo spettacolo, a Taormina dove si esibirà questa sera niente poco di meno che al Teatro Antico, quella meraviglia costruita dai greci con scenografia naturale dell'Etna. Ricordo che sto tizio era all'ultimo sanremo come ospite e tanti lo applaudivano online, pensai mai sentito nominare vediamo cosa dice per fare ridere, lo cerco e con mio stupore vedo che oltre a non fare ridere, se lui è un comico io sono Buster Keaton, è un cretino che dice solo brutte parole e ha dei monologhi terrificanti che i miei temi delle medie erano scritti meglio. Li per li, ai tempi del festival, pensai "Va bè tanto il festival è oramai un baraccone di saltimbanchi e nulla a che fare con la musica" ma dimenticai che è comunque una piattaforma mediatica potente, ma sto idiota non pensavo avesse ancora spazio, ripeto se questa è la comicità che vi fa ridere c'è un grosso problema, senza fare nomi ma penso che parecchi comici del passato vorrebbero uscire dalle tombe e prendere sto idiota a calci nel culo. Siamo alla frutta, direbbe qualcuno, no, dico io, stiamo andando verso Idiocrazy su un piano inclinato, nei tempi che viviamo è semplice andare da un qualsiasi social alla tv o sui giornali come fenomeno del momento o nuovo fenomeno perché è una questione di numeri, fai 47836875103847305 visualizzazioni e quindi sei popolare, magari per quei famosi 15 minuti di cui Andy parlava, aveva ragione, perché magari nel video che diventa virale dai il massimo di te, hai il tuo top, il tuo momento magico dove riesci ad esprimerti al meglio, ma se sei un coglione resti un coglione, come quel tizio. Semplicemente direi a Cateno, sindaco di Taormina, di non fare esibire sto stronzo e bloccargli lo spettacolo, una cazzata i politici riescono sempre a tirarla fuori in ogni occasione.
Cambiando discorso, ieri ho visto Il ritorno di Casanova ultimo film di Salvatores, una storia che profuma di tempi che passano, Gabriele è un grande regista e come sempre conferma questa mia frase, mi è piaciuto molto, l'intensità delle immagini e la bravura degli attori principali e dei secondari, Servillo-Bentivoglio ho detto tutto, da al film quell'impatto emotivo che elimina anche i dialoghi intensi che alcune pellicole mettono in risalto per raccontare allo spettatore una storia che si cela dietro tutto il film, dando a chi guarda la possibilità di riflettere sui temi che affronta la pellicola. Bello molto bello, l'ho già detto? Guardatelo, vi metto il trailer.
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rosateparole · 1 year ago
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Il potere popolare ci ha fatto cambiar scuola. Sempre bene intenzionato, il potere popolare, toglierci la scuola e farci andare nell’edificio della scuola croata per aumentare la dose di bratstvo i jedinstvo, unità e fratellanza.
Da via Castropola nella Città vecchia, siamo scesi in via San Martino, in un casermone rettangolare e grigio che non assomigliava a niente se non a una caserma, perché appunto tale era stato. Circolavano voci che lì i fascisti avessero torturato i bevitori di olio di ricino, sempre questi benedetti fascisti italiani che mi perseguitano, sempre loro, dove ti giri, dove ti volti, han combinato guai per i quali noi dobbiamo subir le conseguenze, noi che siamo nati in questo luogo, teatro di un eterno regolamento di conti, con questo nostro mestiere di capro espiatorio. Quotidianamente ci propinano racconti che, con tutto l’orrore dell’autenticità, parlano di ogni sorta di nefandezze subite sotto il fascismo, che sputava perfino in bocca allo slavo che parlava slavo.
E noi dovevamo pagare per quelle nefandezze. Perciò dall’oggi al domani, tutti fuori dalla scuola. Andate nella scuola croata, nel rispetto del principio di unità e fratellanza. Ci andammo, anche se questo rispetto assomigliava più a uno sfratto e a un abbraccio soffocante. E, per l’occasione, i banchi della classe sbatacchiati nel trasloco sotto il sole e la noia cittadina colpita dalla peste politica, i nostri libri, Manzoni e Foscolo, buttati sul camion e squinternati, il timbro Gimnazija battuta con forte inchiostratura sul frontespizio di ogni libro a sovrapporsi e ad annullare il vecchio timbro «liceo Carducci».
La scuola, in due giorni resterà vuota. Esattamente come un uomo al quale si sia improvvisamente cancellata la memoria. Il professur Pouli, rigido e impalato come il manico di uno scopettone, i knickerbockers da ragazzino, la cravatta alla lavallière, tutto bardato Old England, felice di assomigliare agli inglesi che si aggiravano per la città, con un’aria da poeta tenne stretta un momento contro il petto la Divina Commedia – stretta come lui, antifascista, aveva tenuto la speranza e una limpida e cieca fede nel fronte popolare –, poi la lasciò cadere tra un Ariosto e un Melzi, all’improvviso, come la speranza e la fede. Improvvisamente conscio di aver scambiato troppo mulini per giganti, prima che ce ne rendessimo conto era uscito dalla biblioteca scolastica e dalla scuola per abbracciare, in Italia, un impensato migliore destino. Nei tanti anni che gli rimasero fu felice a Parma. Come il pittore Golia, che lo seguì dopo poco perché non ce la faceva più, l’espressione di chi non capisce nulla di quello che succede, il pittore dava l’impressione di essere inciampato nella Storia per puro caso.
C’è chi non sopravvive a un’esperienza devastante, e chi invece ne viene fuori. C’è chi si rialza in piedi e c’è chi viene distrutto, la gente reagisce in modo diverso. Non so da cosa dipenda, se dall’incidente in sé o dal carattere delle persone. Anche dall’età, credo.
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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mariotolvo62 · 2 years ago
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Mario Merola, omaggio al Re della sceneggiata napoletana nonché "padre" ...
Nato a Napoli il 6 aprile 1934, il giovane Mario Merola lavora come facchino al porto della sua città. Siamo nel periodo che segue la Seconda guerra mondiale: Mario fa già apprezzare le sue doti canore. I colleghi al porto lo apprezzano e lo incoraggiano: inizia così a esibirsi come cantante. Il suo repertorio include i grandi classici della canzone napoletana. Da lì in poi, e in pochi anni, raggiunge un successo notevole; prima a Napoli, successivamente in tutto il paese, fino all'estero. Tra i suoi più noti e tradizionali pezzi vi sono "Guapparia" e "Zappatore". L'attività artistica diventa in breve irrefrenabile: negli anni '60 realizza dischi, si esibisce in spettacoli, fino a matrimoni e feste private. Mario Merola si dimostrerà nella sua carriera anche ottimo talent-scout: contribuirà tra gli altri a lanciare la popolarità di Massimo Ranieri e Gigi D'Alessio. Tra gli anni '70 e '80 rilancia la tradizionale sceneggiata napoletana, un intreccio teatrale ispirato a una canzone del repertorio popolare, solitamente basato sulla triangolazione conosciuta come "issa, isso e 'o malamente", che significa "lei, lui e il mascalzone". Parallelamente inizia anche a lavorare come attore in produzioni cinematografiche ispirate a storie di cronaca nera oppure alle consuete sceneggiate. Intanto, mentre la carriera di attore evolve, le apparizioni televisive continuano, così come gli spettacoli all'estero, in tutta Europa e in Nord America, in particolare ovunque vi sia un degno e caloroso pubblico di origine italiana. Durante gli anni '80 si ricorda in modo particolare il successo del brano "Chiamate Napoli 081". Negli anni '90 Merola è vicino alle prime esperienze canore di Gigi D'Alessio che gli dedicherà poi la canzone "Cient'anne!" (Cento anni!). Interpreta poi il brano "Futteténne" ("Fregatene") insieme al cantautore Cristiano Malgioglio. Nei più recenti spettacoli si esibisce insieme al figlio Francesco Merola, interprete e musicista che ha seguito le orme del padre. Dopo pochi giorni di ricovero, colpito da infarto, Mario Merola è morto presso l'ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, il 12 novembre 2006. #spettacolo #teatro #show #italia #italy #musica #arte #instagood #theatre #love #cinema #like #attore #roma #eventi #cultura #art #tv #attori #picoftheday #danza #instagram #film #follow #music #dance #napoli #divertimento #actor #milano #napoli #romacapitale #cinema #bellavista #eduardodefilippo
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