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Sopravvissute: un’opera di Angela Kosta dedicata a tutte le donne del mondo. Recensione di Alessandria today
Un progetto corale per raccontare storie di forza, resilienza e rinascita
Un progetto corale per raccontare storie di forza, resilienza e rinascita “Sopravvissute: A tutte le donne del mondo” è il nuovo libro di Angela Kosta, un’opera che raccoglie una serie di testimonianze e riflessioni sul tema della violenza di genere. Questo progetto nasce con l’obiettivo di dare voce a tutte quelle donne che hanno affrontato e superato momenti di dolore e oppressione, offrendo…
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Il discorso integrale di Gino Cecchettin al termine dei funerali della figlia Giulia, 22enne uccisa dall'ex fidanzato.
«Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l'impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente,
un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà:
il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà
prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso
e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente,
a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie,
ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme
per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio.
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Risuonano forti le parole lette in chiesa durante l’ultimo saluto a Giulia dal suo papà, Gino Cecchettin.
“Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria.
Allegra, vivace, mai sazia di imparare.
Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita.
Come può accadere tutto questo?
Come è potuto accadere a Giulia?
Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere.
Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possessoe all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro.
La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza.
La prevenzione della violenza di gene e inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti.
Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere.
Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.
La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne.
Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma.
Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia.
Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotta questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano.
Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare.
E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio”.
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Si può provare orrore per una data?
No. Altrimenti dovremmo provare orrore per l'intero calendario.
Oggi è un anno da quella che i nazisti islamici di Gaza hanno chiamato عملية طوفان الأقصى, Operazione Alluvione di AlAqsa.
Operazione: considerano "operazione militare" stuprare donne e uomini, sventrare donne incinte, estrarre il nascituro e metterlo nel forno, massacrare a mani nude bambini terrorizzati, riempire di chiodi il pube di ragazzine facendole morire dissanguate, portare in trionfo corpi di donne seminude insanguinati, per offrirli agli sputi del pubblico in un gran festeggiamento popolare. E tutto il resto dell'orrore che piano piano sta venendo a galla.
L'orrore non è la data del 7 ottobre. L'orrore è quella gente, la loro ideologia religiosa che mette al primo posto dei suoi "valori" l'uccisione degli ebrei, come prescritto dal Corano, "farli vivere nel terrore".
L'orrore è la massa disumana di Gaza che ha avuto 18 anni di tempo per potersi riscattare da quell'ossessione.
Il 22 agosto del 2005 furono deportati dalla striscia di Gaza gli ultimi degli 8600 ebrei presenti, nell'ennesima illusione che ciò potesse servire a costruire una convivenza di pacifica separazione.
Ma questi 18 anni sono stati un incubo continuo per l'intero sud di Israele. E nessuno dei vari governi che si sono succeduti ha preso atto dell'unica cosa che era fin troppo chiara già dall'agosto 2005, quando i selvaggi di quella regione distrussero le serre e tutte le strutture agricole che Israele gli aveva lasciato in dono, per trasformare quell'area in un poligono di lancio per missili.
Chiedete agli abitanti di Sderot, di Ashkelon, di Ashdod, di Be'er Sheva, di Netivot ecc.
Quante tonnellate di missili si sono accumulati! Per non parlare degli oggetti incendiari che sono stati inviati, dei danni al patrimonio boschivo, agli allevamenti e alla fauna selvatica. Per non parlare della vita da incubo scandita da continui allarmi e corse al rifugio! Per non parlare dei morti.
Il 7 ottobre 2023 era nell'aria già il 22 agosto 2005.
Oggi circa 1.500 israeliani insieme alle famiglie dei rapiti e degli atleti olimpici hanno percorso in bicicletta il tratto dal parcheggio bruciato di Takuma fino al sito del festival Nova.
Un'iniziativa che definirei sinistramente petalosa.
Oggi la gente di Gaza dovrebbe essere bombardata di musica tekno assordante a tutto volume e senza sosta, intervallata solo dagli urli di orrore delle vittime, estratti dai video che loro stessi hanno postato su internet per vantarsi, dagli urli di gioia delle loro mamme, dalle loro benedizioni di risposta all'annuncio vittorioso dei loro figli urlanti: "MAMMA, HO UCCISO UN SACCO DI EBREI!" "ALLAH TI BENEDICA, FIGLIOLO!"
La gente di Gaza meriterebbe questo, senza sosta, notte e giorno, sempre più forte, da far tremare la terra. Per disperazione dovrebbe desiderare la sordità, la morte.
Ma non accadrà nulla di tutto ciò. Israele continuerà a farsi colpire, dal nemico, continuerà a farsi bacchettare in coro dal mondo che odia gli ebrei, con l'Europa in prima fila, grande esperta in campi di sterminio per ebrei e oggi guidata dalla figlia di un nazista.
Sembra che qualcuno sia in attesa dell'esito delle elezioni americane di novembre, nella speranza che quelle pongano fine al supporto di zio Sam al terrorismo islamico, agli infiniti doni al suo sponsor principale dell'area, il regime degli ayatollah.
Inoltre, a Washington stanno facendo di tutto per incrinare quell'equilibrio fragilissimo di rapporti Israele-Russia, che vede la Russia, legata dall'alleanza con Damasco ereditata dall'URSS, e legata ai numerosi cittadini israeliani di origine russa.
Ma nessuno ci assicura che a novembre l'Asse del Male di stampo DEM verrà sconfitto. Nessuno ci assicura che Trump non venga ucciso, una volta eletto, né che sia messo in condizioni di poter tenere fede alla proprie promesse.
L'ebreo che non conta solo sulle proprie forze è un ebreo morto. Israele questo non lo dimentica.
Fulvio Del Deo, 7 ottobre 2024
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Amare per … Amare come …
Il 29 novembre si è tenuto, presso il Centro Socio culturale di Solbiate Olona, un incontro dal titolo “Amare per ….Amare come…”, un evento dedicato al contrasto della violenza sulla donna.
La serata, introdotta dai saluti dall’assessore alle politiche sociali e alla cultura Giada Martucci, è stata moderata dalla presidente della Commissione sociale Letizia Valerio, che ha proposto al pubblico la lettura di un brano tratto dal libro “Effimera libertà” di Amilca Ismael.
Non è stato semplice restare indifferenti alle parole di grande sofferenza, di paura per la propria vita, di senso di ingiustizia per il sangue versato e per il corpo offeso di una giovane donna. Certamente hanno ricordato con forza che la violenza sulle donne è una delle più gravi violazioni dei diritti umani.
La moderatrice, riportando alcuni dati, ha sottolineato che la violenza contro le donne è un fenomeno generato da molti fattori interdipendenti che riguardano diversi ambiti: sociali, culturali, politici e relazionali.
In Italia, i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. La violenza all’interno delle relazioni affettive è la più diffusa in ogni società e cultura.
Per l’occasione, sono state coinvolte due psicologhe, la dott.ssa Stefania Benazzi, psicologa e psicoterapeuta del Centro accoglienza ICORE di Marnate e la dott.ssa Alessandra Borsani psicologa coordinatrice di un servizio per le famiglie che accoglie anche donne e minori vittime di violenza.
L’intervento delle relatrici ha riguardato
• la Violenza psicologica e del Controllo
• gli effetti della violenza sulla donna, sulla mamma, sui bambini, da parte dell’uomo
• l’importanza della rete sociale e della rete istituzionale
Hanno fatto da cornice ed arricchito l’incontro una Mostra del Gruppo Artisti di Solbiate e la lettura di poesie da parte di alcuni poeti solbiatesi.
La serata, densa di nuovi significati, ha lasciato spazio ai numerosi interventi del pubblico sia sul tema che sull'importanza di continuare a gettare semi di conoscenza utili a favorire lo sviluppo di una rete sociale che sia di supporto alle vittime di violenza.
Un Grazie particolare al Centro Antiviolenza ICORE che si occupa di ascolto ed accompagnamento contro la violenza verso le donne: "Tu, non sei sola". https://www.centroantiviolenzaicore.com/
La mostra delel opere degli artisti solbiatesi proseguirà fino all'8 di dicembre, presso il Centro Anziani in Piazza Gabardi. Orari di apertura da lunedì a venerdì dalle 15,00 alle 18,00.
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Per tutti quelli che si stanno lamentando della censura della Rai per il "cessate il fuoco" e il "stop al genocidio" rispettivamente di Dargen e Ghali.
CI DOBBIAMO LAMENTARE PIÙ FORTE.
Inutile che dicono il palco di Sanremo non è il posto giusto per mandare messaggi del genere, ve lo ricordate l'anno scorso, con Amadeus che ha fatto venire una band rock ucraina e ha letto una lettera scritta da Zelensky che ringraziava per il supporto italiano? Io me lo ricordo, il non poter dire "stop alla guerra" o alle semplici vittime che si vengono a creare ora dopo ora fa veramente schifo. Quale parte di "stop al genocidio" indica odio?
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“ Diceva Eschilo che «la prima vittima della guerra è la verità». Ma la seconda è la logica. Putin affermava di voler «denazificare l’Ucraina», ma usava le bombe e i carri armati, cioè gli stessi metodi con cui Hitler nazificava l’Europa. Gli atlantisti ribattevano che «non si tratta col nemico»: semmai si tratta con l’amico, ma su cosa? Boh. Joe Biden dava del «macellaio» e del «genocida» a Putin, epiteti decisamente appropriati, soprattutto il primo. Ma un tantino indeboliti dal pulpito da cui provenivano: quello del padrone della macelleria (che ha fatto molte più guerre e molti più morti di Putin e al massimo potrebbe assumerlo come garzone). Bill Clinton coglieva l’occasione della guerra di Putin per vantarsi di aver allargato la Nato a Est «pur consapevole che i rapporti con la Russia potevano tornare conflittuali», perché «l’invasione russa dell’Ucraina dimostra che era necessario». Che è un po’ come dire: l’ho preso a calci in culo e lui mi ha spaccato la faccia, quindi avevo ragione io a prenderlo a calci in culo. I trombettieri delle Sturmtruppen ripetevano due mantra. 1. «La Nato è un’alleanza difensiva» (ma non spiegavano come mai nella sua storia abbia aggredito mezzo mondo). 2. «La Nato difende i valori della democrazia» (ma non spiegavano perché vanti tra i suoi soci la Turchia di Erdoğan e abbia appena fomentato un golpettino in Pakistan per cacciare un premier non gradito). Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky intimava all’Ue di rinunciare al gas russo «sporco di sangue», «finanziando il genocidio»: lui però continuava ad acquistarlo tramite Paesi vicini e società svizzere, pagandolo profumatamente, «finanziando il genocidio» e per di più incassando da Putin 1,4 miliardi l’anno «sporchi di sangue» per i diritti di transito del gasdotto russo sotto il suolo ucraino.
L’Onu espelleva la Russia dal Consiglio per i Diritti Umani, presieduto dall’Arabia Saudita (nota culla dei diritti umani, apprezzata da Matteo Renzi, ma soprattutto da Jamal Khashoggi, da ottanta giustiziati nel mese di marzo, nonché dai 370mila morti e dai venti milioni di affamati nello Yemen). Per non dipendere dal gas e dal petrolio dell’autocrate Putin, Draghi firmava contratti per far dipendere l’Italia dall’autocrate algerino Abdelmadjid Tebboune (che reprime partiti di opposizione e sindacati, fa arrestare attivisti per i diritti umani ed è fra i migliori partner militari di Mosca) e di altri regimi autocratici che hanno rifiutato di condannare la Russia all’Onu: Qatar, Egitto (vedi alle voci Regeni e Zaki), Congo (vedi alla voce Attanasio), Angola e Mozambico. E continuava a vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (i macellai dello Yemen), all’Egitto e al Qatar. A supporto del ribaltamento della logica, si provvedeva a ribaltare anche il vocabolario, secondo i dettami del ministero della Verità in 1984 di George Orwell: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Putin vietava di parlare di «guerra» perché la sua era solo un’«operazione militare speciale». E chi diceva il contrario finiva in galera. Ma in passato anche i buoni occidentali, quando aggredivano militarmente questo e quello, la guerra non la nominavano mai: meglio “missione umanitaria”, “esportazione della democrazia”, “peacekeeping”. A ogni strage di civili – regolarmente attribuita ai russi, anche nei casi in cui era opera delle truppe ucraine o dei loro fiancheggiatori neonazisti del Battaglione “Azov” – si ricorreva a termini impropri come “genocidio” (distruzione sistematica di un popolo, di un’etnia, di un gruppo religioso) e a paragoni blasfemi con l’Olocausto, la Shoah, la Soluzione Finale (termini finora usati da tutti, fuorché dai negazionisti, esclusivamente per quell’unicum storico che fu lo sterminio nazista degli ebrei). Ma bastava leggere i libri di Gino Strada per sapere che le stragi di civili sono una costante di ogni conflitto e si chiamano precisamente “guerra”, visto che in ciascuna il rapporto fra vittime civili e militari è invariabilmente di 9 a 1. E quella in Ucraina purtroppo non faceva eccezione, malgrado l’indignazione selettiva dei fanatici atlantisti che – per bloccare sul nascere qualunque tentativo di portare Putin al tavolo del negoziato – si affannavano a dipingere quel conflitto come diverso da tutti gli altri per le vittime civili, le fosse comuni, le torture, le violenze gratuite e le armi proibite (anch’esse caratteristiche costanti di tutti i conflitti, inclusi quelli scatenati dai “buoni”). “
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Dalla prefazione di Marco Travaglio a:
Franco Cardini, Fabio Mini, Ucraina. La guerra e la storia, Paper First, Maggio 2022 [Libro elettronico]
#letture#leggere#libri#saggi brevi#saggistica#imperialismo#Franco Cardini#Fabio Mini#guerra#Ucraina#antimilitarismo#Volodymyr Zelensky#Vladimir Putin#Joe Biden#Mario Draghi#operazione militare speciale#verità#logica#Jamal Khashoggi#Recep Tayyip Erdoğan#Gino Strada#Europa#Arabia Saudita#Stati Uniti d'America#atlantismo#NATO#Russia#Bill Clinton#Giulio Regeni#pacifismo
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youtube
L'enorme quantità di contenuti di nudo non consensuali che finiscono online è un problema attualissimo, che può essere angosciante per le vittime e di difficile risoluzione.
Me ne occupo da anni, come presidente di Permesso Negato, un’associazione che lavora per la tutela delle vittime di pornografia non consensuale.
E per le vittime minori è ancora più un problema perché, fino ad oggi, non esistevano strumenti per rimuovere questi contenuti in modo sicuro.
Ecco perché, in occasione del #SaferInternetDay, #Meta annuncia un nuovo servizio per sostenere gli adolescenti e le famiglie in queste situazioni: Take It Down.
Take It Down è la piattaforma gratuita creata dal NCMEC (National Center for Missing & Exploited Children) con il supporto di Meta, per evitare e prevenire la diffusione non consensuale di immagini intime di minori online.
Questo servizio è uno dei passi che potete compiere per contribuire alla rimozione di foto e video intimi non consensuali online scattati prima dei 18 anni.
Durante l’utilizzo di Take It Down è possibile mantenere l’anonimato e non è necessario inviare le immagini o i video a nessuno.
Take it down agisce sulle piattaforme online pubbliche o non criptate che hanno accettato di partecipare: Facebook, Instagram, Threads e molte altre.
Scopri
#TakeItDown su:
NCMEC:
Per gli utenti maggiorenni:
Permesso Negato:
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!!! fate attenzione alle persone accanto a voi, a quelli un po’ troppo possessivi con le vostre amiche, guardate com’è rappresentata la donna in certi film e serie tv, educate i vostri figli, cugini, zii e quant’altro. non statevene zitti quando fanno certe “battute”, date più supporto alle vittime piuttosto che credibilità agli imputati di violenza sessuale, cosa che abbiamo fallito vol caso Heard-Deep. entrate in discussione con quelli che pensano che “ormai non c’è più bisogno di parlare di femminismo”. smettete di supportare celebrità che sono anche solo sospettate di violenza sessuale.
si parte dalle piccole cose, dai piccoli atteggiamenti, dalle osservazioni su come vengono trattate le donne nella vostra vita rispetto agli uomini, si parte dal parlare dei diritti delle donne anche se non è il 27/11, si parte dal mostrare supporto e solidarietà alle proprie madri, sorelle, amiche, cugine etc che vivono ogni giorno con la paura dell’uomo non solo sul posto di lavoro o per strada, ma a casa loro. e soprattutto, si parte dall’intersezionalità: una donna non-bianca è meno privilegiata di una donna bianca, ma lo è ancora di più una donna non-bianca e povera, e ancora una donna non-bianca, povera e lesbica, e così avanti. non è certo che gli uomini nella nostra vita ci aiuteranno (anzi, molte volte il contrario), ma noi dobbiamo sostenerci a vicenda e dobbiamo ancora di più mostrare supporto per quelle meno privilegiate di noi. solo perché sono bianca non significa che non posso sì lamentarmi dei problemi del patriarcato, ma anche riconoscere i miei diritti e i miei privilegi, e sfruttarli al massimo per far sì che anche quelle meno privilegiate di me ce li abbiano. perché siamo in questo insieme. siamo tutte oppresse. e l’odiarci a vicenda è una guerra intestina nel corpo dello stato, che tanto sta fallendo a curarci.
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Sono stata stuprata e non l’ho denunciato - anche se avrei voluto farlo. Ecco perché
5 donne su 6 che sono state stuprate non lo dicono alla polizia. Io sono una di quelle.
Non sono la perfetta vittima di stupro. Sono stata violentata dall’appuntamento di Hinge che ho invitato a casa mia per guardare un film la prima volta che ci siamo incontrati. Se la perfetta vittima di stupro esistesse (e non esiste) e io fossi lei, allora suppongo che sarei uscita a portare a spasso il cane del mio anziano vicino alle 13:00 di un piacevole pomeriggio autunnale, in una trafficata area suburbana, lungo un percorso ben conosciuto, quello che passa di fonte a un commissariato di polizia; indossando pantaloni larghi, maniche lunghe e scarpe basse; e senza aver bevuto niente da quel bicchiere di Baileys dello scorso Natale.
Non sono lei. In effetti, nei giorni precedenti al mio stupro, ho scambiato ammiccanti messaggini con il mio stupratore. Quella sera sono uscita per incontrarlo, vestita in modo sexy, sperando in una scintilla reciproca. Lo trovavo attraente, volevo baciarlo e glielo dissi, volevo persino che mi toccasse. Fino a quando non l'ho fatto. Fino a quando lo sguardo sul suo viso e le sue intenzioni sono cambiate; fino a quando il suo comportamento si è fatto aggressivo e violento e volevo che smettesse. Fino a quando gli ho detto di smetterla e lui non si è fermato.
La mattina dopo, quando la realtà di quello che mi era successo è sorta insieme al nuovo giorno, ho cercato su Google cosa avrei dovuto fare, quindi ho contattato la più vicina Clinica per la Segnalazione di Aggressioni Sessuali (SARC - Sexual Assault Referral Clinic), The Bridgeway, dove mi hanno detto che potevo essere ricoverata per un esame forense e per avere supporto, senza spingermi in alcun modo a denunciare alla polizia ciò che mi era successo. Ricordo che questa rassicurazione mi sembrò vitale.
Dal momento in cui mi sono resa conto che era stato commesso un crimine contro di me ed ero stata ferita, ho avuto paura dell'idea degli agenti di polizia; di dichiarazioni; di fornire la prova; di essere accurata al 100% sui fatti accaduti mentre riuscivo a malapena a ricordare dove mi trovavo o quando se n'era andato, tutte quelle ore dopo.
Ho fatto quello che, al telefono, mi ha detto di fare il consulente della SARC: ho messo in una borsa i vestiti e le mutandine che indossavo la sera prima. Tremavo così tanto che non sono riuscita a far entrare nella borsa i capi di abbigliamento se non dopo diversi tentativi. "Hai fatto la doccia?" Lei mi ha chiesto. Non l'avevo fatto. "Questo è un bene", ha detto, "ci dà più possibilità di ottenere qualcosa dai campioni".
Sono entrata nella SARC quella mattina non lavata e stringendo la borsa di plastica piena di vestiti indossati da un'altra versione di me. Il trattamento che ho ricevuto dallo staff è stato incredibile. Dall'inizio alla fine sono stata trattata con gentilezza, compassione, sostegno e, soprattutto, sono stata trattata come qualcuno a cui si crede. Mi hanno creduta tanto all’inizio, quando ero nella sala di consultazione mentre raccontavo loro cosa era successo, quanto in seguito, quando hanno fotografato gli affioranti echi dei profondi e scuri lividi che stavano iniziando a fiorire sul mio collo, braccia e gambe.
Eppure, anche se le infermiere avevano fatto i tamponi e rilevato prove fotografiche dal mio corpo, ho sentito l’oppressivo peso della consapevolezza che per me, come la maggior parte delle vittime di stupro e aggressione sessuale, sarebbe stato quasi impossibile provare il mio stupro, oltre ogni ragionevole dubbio, in un tribunale. Non c'erano testimoni. Sarebbe stata la mia parola contro la sua, e la parola di una vittima, spesso, non è sufficiente.
Le statistiche confermano questa sensazione di oppressione. Nel 2022 meno di 2 stupri su 100 registrati dalla polizia hanno portato a un'accusa [nel Regno Unito - ndt.]. Ed è solo un'accusa, nemmeno una condanna. Lo staff del Bridgeway mi ha spiegato chiaramente le mie opzioni per il coinvolgimento della polizia, ma sapevo che se avessi scelto di intraprendere un procedimento giudiziario, io, come tante donne, sarei entrata in una devastante lotta contro un sistema legale che penalizza sistematicamente le vittime. E sarebbe stata una lotta che avrebbe potuto durare molti anni, minacciando la mia guarigione e la mia privacy, nonché il futuro benessere mio e dei miei figli. Che "scelta" è quella in cui una delle opzioni sembra insormontabile.
Ovviamente non dovrebbe essere così. I sopravvissuti che sopportano le conseguenze dello stupro e dell'aggressione sessuale non dovrebbero confrontarsi con statistiche e realtà così tetre e prive di speranza, e con il fatto che qualunque riforma sia stata tentata non sia risultata adeguata a combattere la condizione in cui ci troviamo.
Non mi sono sorpresa nell’apprendere che un nuovo programma, adottato, in fase pilota, da 19 distretti di polizia e che verrà presto esteso a tutti i 43 distretti di polizia in Inghilterra e Galles, porta risultati molto al di sotto del necessario. L'operazione Soteria mira a "cambiare il modo in cui le forze di polizia e il Crown Prosecution Service (CPS) rispondono ai casi di stupro e violenza sessuale". Ma le donne che hanno denunciato di essere state stuprate, anche in questi distretti pilota, affermano che la polizia e i sistemi giudiziari sono ancora “ponderati a favore dell'imputato”, e il processo che le vittime devono affrontare è ancora scoraggiantemente “duro”.
Gli ultimi dati ufficiali disponibili mostrano che tra aprile e dicembre 2022 – sono solo nove mesi, nemmeno un anno intero – ci sono stati circa 50.000 reati di stupro registrati dalla polizia in Inghilterra e Galles. Vanno aggiunti i dati statistici di Scozia e Irlanda del Nord. Di quei 50.000, circa 900 (l'1,8%) dovevano ancora produrre un'accusa o una citazione in giudizio.
Questa dovrebbe essere vista da tutti come una crisi nazionale. È difficile pensare che queste statistiche possano peggiorare. Se lo facessero, equivarrebbe ad ammettere che lo stupro è, nei fatti, legale nel Regno Unito.
I casi digustosamente bassi di procedimenti giudiziari e condanne nei casi di stupro mi spaventano, come dovrebbe spaventare tutti, perché il problema non sta riducendosi. Una donna adulta su quattro è stata violentata o aggredita sessualmente, eppure cinque donne su sei che vengono stuprate non denunciano l’abuso alla polizia. Questo numero è preoccupantemente grande.
Ma permettimi di chiederti questo: se ti proponessero di sostenere un test che richiedesse dai due ai quattro anni della tua vita per essere completato; che richiedesse di rivivere traumi passati; che implicasse la possibilità che parti intime della tua vita vengano rese pubbliche; e sapessi di avere solo il 2% di possibilità di superarlo, questo test, tu, accetteresti di sostenerlo?
Per ora, i miei campioni di DNA sono conservati in un congelatore presso la SARC a cui mi sono rivolta, cosa che trovo stranamente confortante. In assenza di un adeguato processo giudiziario, come sopravvissuta, mi conforto in modi sorprendenti.
I miei campioni rimarranno lì fino a quando nuovi campioni satureranno lo spazio per conservarli; a quel punto la clinica mi contatterà per sapere se avrò deciso di promuovere l'azione penale di un caso di stupro non recente, prima di distruggerli.
Saperlo mi regala una piccola sensazione di potere. In effetti, di fronte a un sistema legale così inadeguato, la possibilità di perseguire, a volte, risulta più confortante del processo vero e proprio. Ma forse questo non è poi così sorprendente. Alla fine, avere la scelta è tutto.
[Anonymous, The Indipendent, 12/07/2023, Original title: I was raped and didn’t report it – though I wish I had. This is why]
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🛑 STOP agli abusi sessuali! 🛑
Gli abusi sessuali sono una violazione dei diritti umani, un crimine che distrugge vite e lascia ferite profonde. È tempo di rompere il silenzio e agire insieme per costruire un futuro libero dalla violenza.
🔗 Cosa possiamo fare:
✔️ Ascoltare e credere alle vittime: Dare supporto e rispetto a chi trova il coraggio di parlare.
✔️ Educare: Insegnare il consenso e il rispetto fin da piccoli.
✔️ Denunciare: Non girare la testa dall’altra parte. Ogni denuncia può fare la differenza.
✔️ Condividere informazioni: La consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento.
🎗 Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che ne ha bisogno, contatta le linee di supporto nella tua zona. Non sei solo/a.
Insieme possiamo fermare gli abusi. Fai sentire la tua voce.
#StopAbusi #Consenso #Rispetto #RompiamoIlSilenzio
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“Non sei sola”: un’azione concreta a sostegno delle donne vittime di violenza. 50.000 biglietti d’autobus diffondono i numeri di emergenza per chiedere aiuto ad Alessandria
Ad Alessandria, il 10 ottobre 2024, è stato lanciato un importante progetto volto a sensibilizzare la popolazione sul tema della violenza contro le donne
Ad Alessandria, il 10 ottobre 2024, è stato lanciato un importante progetto volto a sensibilizzare la popolazione sul tema della violenza contro le donne. Grazie a una collaborazione tra l’Associazione ME.DEA, la Consulta Pari Opportunità del Comune di Alessandria e il Gruppo Amag, sono stati distribuiti 50.000 biglietti d’autobus con una frase significativa stampata sul retro: “Non sei sola. Se…
#800 098 981#aiuto psicologico#Alessandria#biglietti d’autobus#centro antiviolenza Alessandria#comune di Alessandria#consulenza legale#consulenza legale gratuita#Consulta Pari Opportunità#diritti delle#Emergenza Sociale#emergenza violenza#Gruppo Amag#Me.dea#mozione Consiglio Comunale Alessandria#numero verde 1522#numero verde antiviolenza#ospitalità protetta#prevenzione della violenza#prevenzione dello stalking#protezione delle donne#Rete Antiviolenza Alessandria#sensibilizzazione sociale#servizi gratuiti#sostegno alle donne#Sostegno psicologico#Stalking#supporto alla genitorialità#supporto alle vittime#Violenza di genere
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Risolvere la guerra in Ucraina in 24 ore, una dichiarazione audace che ha catturato l'attenzione del mondo e sollevato dibattiti su cosa potrebbe realmente significare per l’intera Europa. Un piano ambizioso, ma è davvero possibile?
Donald Trump non ha perso tempo. Dopo aver vinto le elezioni, ha già parlato con il presidente russo Putin, secondo quanto riportato dal Washington Post, e questa telefonata è avvenuta mentre il bilancio delle vittime della guerra russo-ucraina, tra militari e civili, si fa devastante. Proprio la scorsa notte, un attacco con droni su Odessa ha causato 13 morti e feriti, e oggi il ministro degli Esteri dell'Unione Europea è a Kiev per commemorare e rassicurare, cercando di mantenere il supporto europeo per l’Ucraina, mentre cresce la paura che il nuovo presidente americano possa invece ridurre il sostegno economico e militare.
Sì, perché Trump, come al solito durante la campagna elettorale, ha lanciato promesse audaci: gli altri Paesi finalmente pagheranno per ciò che l'America ha fatto per loro. E i media non hanno perso l'occasione di raccontare questa storia con testimoni di destra e di sinistra, dipingendo la situazione con colori molto diversi, a dimostrazione di quanto la narrazione possa cambiare a seconda dell’orientamento politico. Ma ora che le elezioni sono finite, quali saranno le mosse reali del nuovo presidente? Come intende far sedere Zelensky e Putin allo stesso tavolo delle trattative?
Finora non sono emersi dettagli concreti dal suo piano e per molti il rischio è che Trump scelga una strategia fatta di dichiarazioni provocatorie e azioni minacciose, per poi evitare un vero impegno nell'affrontare le complesse dinamiche che definiscono la geopolitica globale. Perché, diciamolo, questo è il marchio di fabbrica di Donald: fare grandi dichiarazioni e colpi di scena, per poi lavorare sui dettagli e trovare un compromesso.
Ricordiamo bene quando nel 2016, ad esempio, disse alla leadership tedesca di non dipendere dal gas russo, mettendo in guardia dai pericoli del gasdotto Nord Stream 2. E il messaggio era chiaro: l'Europa deve svegliarsi e investire nella propria sicurezza. In un mondo che richiede una leadership misurata e costante, Trump saprà bilanciare queste sfide o si limiterà a parole forti e decisioni impulsive? Perché, anche se potrebbe sembrare un leader forte, capace di sfidare chiunque con i suoi dazi e i suoi slogan, di fronte a personalità estremamente autoritarie come Putin o Xi Jinping, nel passato lo abbiamo visto fare un passo indietro, e questo per l'Europa e per il resto del mondo occidentale è un segnale inquietante. Le sue parole di pace sono dunque messe alla prova. La priorità per ora sembra essere la negoziazione, questo è l’impegno preso con gli elettori e questa sarà la prova della sua nuova amministrazione.
cerchiamo di capire cosa sta succedendo intorno a noi per essere pronti a proteggere il nostro denaro, i nostri risparmi e prendere decisioni di investimento più consapevoli. Perché, diciamolo, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha scosso l’Europa e il mondo intero, non solo generando una crisi umanitaria devastante, ma anche un impatto massiccio sui mercati energetici e alimentari, con effetti tangibili sulle nostre vite quotidiane e su quelle di milioni di persone.
Ricordiamo bene, quando noi italiani abbiamo dovuto pagare le bollette di luce e riscaldamento con prezzi dell’energia che in Europa sono saliti alle stelle, portando alla luce le grandi e gravi dipendenze di molti Paesi, Germania in primis, dai combustibili fossili russi, che sono diventati per la Russia e per Putin una vera e propria arma geopolitica per minare e mettere in discussione la sicurezza energetica dell’intero continente. O quando siamo andati al supermercato e abbiamo visto l’aumento dei prezzi di grano, pasta e olio, a causa delle capacità di esportazione compromesse della Russia, facendoci scoprire quanto fosse importante l’Ucraina come fornitore di queste materie prime.
Se ti stai chiedendo perché Trump sia così concentrato sulla fine di questo conflitto, parte della risposta sta nella sua ideologia isolazionista. "America First", è il suo slogan. Prima l'America, Trump si è sempre posizionato come uno che vuole focalizzare gli sforzi americani sui propri confini, sui problemi interni, piuttosto che impegnarsi in guerre costose e a lungo termine. E non è solo una questione di politica personale, gran parte della sua base elettorale condivide la sua visione. Secondo un sondaggio, quasi la metà dei repubblicani crede che gli Stati Uniti stiano investendo troppo denaro nell’assistenza all’Ucraina e in altre guerre.
Ma c'è di più. Dietro alla volontà di Trump ci sono anche motivazioni geostrategiche molto complesse. Secondo un documento dell'America First Policy Institute, ci sono almeno tre motivi principali che spingono Trump e il suo entourage a voler porre fine alla guerra: il primo è legato all’evoluzione del conflitto stesso. Le linee del fronte sono ferme da mesi e la possibilità di una vittoria ucraina sembra remota. Il secondo riguarda il timore per le alleanze tra Russia, Iran, Cina e Corea del Nord, sempre più solide con l’estensione del conflitto. E poi c'è anche una ragione pratica legata alla scarsità di munizioni negli Stati Uniti, un fattore chiave considerando che, secondo stime recenti, l’arsenale americano potrebbe esaurirsi in poche settimane in caso di conflitto con la Cina.
Infatti, alcune previsioni vedono gli arsenali strategici occidentali completamente esauriti a breve, mentre la Russia continuerà a mantenere il suo ruolo di grande potenza nucleare. Questo è quanto afferma il professor Russell Berman, delle scienze umane della Stanford University, che vede una difficoltà nell’industria europea di mantenere un ritmo di produzione da economia bellica. Come evidenziato anche dall’editore statunitense CNN, la Russia produce circa 250.000 munizioni al mese, circa 3 milioni all’anno, secondo stime dell'intelligence NATO. Gli Stati Uniti e l'Europa insieme non superano 1,2 milioni.
E ora veniamo alla domanda da un milione di euro: come pensa Trump di riuscire a trovare questo famoso accordo e far sedere Kiev e Mosca al tavolo dei trattati?
A rivelarlo è il suo vice, Vance, che ci racconta il piano, fondato su due pilastri principali: 1) un cessate il fuoco lungo le linee di fronte attuali, creando una zona demilitarizzata simile a quelle tra le due Coree, e la neutralità dell'Ucraina, che dovrebbe rinunciare all'adesione alla NATO. Questo comporterebbe una significativa perdita territoriale per l'Ucraina, compreso il Donbass e la Crimea, per spingere Kiev a trattare. Trump potrebbe minacciare di ridurre o interrompere l’assistenza militare americana, che ha già superato i 70 miliardi di dollari in spesa. Per la Russia, il piano offrirebbe il controllo sul 20% del territorio ucraino e la garanzia della neutralità di Kiev. Ma non è chiaro se Putin accetterebbe, dato che aspira al controllo completo delle regioni orientali.
E in caso di rifiuto? Trump potrebbe essere costretto a fare ulteriori concessioni o adottare misure più drastiche, come ha già fatto nel suo primo mandato con sanzioni e supporto militare all’Ucraina. Ma c’è una potente arma che il presidente americano potrebbe ancora usare: la riduzione dei prezzi globali del petrolio. Come? Aumentando la produzione nazionale. Se riuscisse a far scendere i prezzi a circa 50 dollari al barile, sarebbe un'iniziativa ambiziosa e devastante per l’economia russa, che dipende fortemente dalle esportazioni di petrolio.
✍️ Giulia A.
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#NewsPA - ¿Nemmeno con un Fiore, seconda edizione". Edy Tamajo e Rosi Pennino: "Supporto concreto alle donne vittime di violenza"
In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il prossimo 25 novembre alle ore 17, durante l’evento “Nemmeno come un fiore – Seconda edizione”, presso la Sirenetta di Mondello, sarà firmato, un importante protocollo d’intesa tra l’assessorato alle Attività Produttive della Regionale Siciliana… Read More In occasione della Giornata internazionale contro la violenza…
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Papà e i tre figli piccoli trovati morti in casa: «Possibile omicidio-suicidio, lui sembrava sempre stressato» Tragedia in Inghilterra, dove un uomo e i suoi tre figli sono stati trovati morti dentro la loro casa. L'ipotesi più accreditata sembra essere quella di un omicidio-suicidio, dal momento che le autorità locali escludono il coinvolgimento di terze parti nella vicenda. I cadaveri di Piotr Świderski e dei suoi tre figli, di cui due gemelli, tutti con meno di quattro anni, sono stati ritrovati nella giornata di sabato 31 agosto in una casa di Bremer Road, a Stains-upon-Thames, nel Surrey. La madre dei tre bambini non si trovava in casa al momento della tragedia. «Erano una famiglia meravigliosa. I bambini erano molto amati e ben accuditi», ha dichiarato al Sun il vicino di casa Mike Cresswell, 68 anni, che ha descritto Świderski come un «ragazzo adorabile», puntualizzando però che era difficile parlargli perché «era sempre molto stressato». Indagini in corso Gli agenti sono stati allertati intorno alle 13:15: una volta identificate le vittime, hanno contattato l'Independent Office for Police Conduct (IOPC) per via di precedenti contatti che la polizia ha avuto nell'agosto 2023 con le persone coinvolte. Bremer Road è stata chiusa per il tempo necessario dei rilievi del caso e il capo ispettore Gareth Hicks ha voluto mostrare gratitudine alla comunità locale per «il suo supporto e la sua comprensione mentre conducevamo le nostre indagini». Ora si attendono le autopsie dei corpi per cercare di capire con più sicurezza quanto è accaduto.
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Abbiamo recuperato il pdf della Legge Regionale Puglia contro L'omo-transfobia.
Ecco le parti di interesse sanitario. Valuteremo se saranno efficacemente in grado di evitare le Terapie Riparative, le Mutilazioni Genitali ai Neonati Intersex e l'omo-transfobia sanitaria, molto diffusa nel personale sanitario italiano che non ha mai ricevuto formazione nel merito.
"Formazione sul riconoscimento e prevenzione delle discriminazioni di orientamento e genere (art 6)
Informazione, consulenza e supporto alle persone lgbtiaq+ in ambito sanitario e socio-sanitario (art 11)
Informazione e formazione al personale per evitare le discriminazioni di sesso, genere e orientamento anche in ambito sanitario (art 12)
La Regione garantisce fin dalla nascita il diritto alla integrità fisica delle persone che presentano variazioni nelle caratteristiche di sesso (art 13)
La Regione promuove campagne informative e di sensibilizzazione finalizzate alla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale, promuovendo specifiche azioni rivolte alle persone LGBTI (art 14)
La Regione promuove programmazione e pianificazione in ambito di medicina di genere (art 15)
La regione garantisce protezione alle vittime di discriminazione e violenza alle persone lgbtiaq+ (art 16)
La Regione promuove collaborazioni con associazioni di categoria. (Art18)
Nel tavolo tecnico è contemplato un* professionista sanitario con curriculum inerente la legge (art 22)"
#Puglia #omofobia #legge #sanità #Amigay
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