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Sopravvissute: un’opera di Angela Kosta dedicata a tutte le donne del mondo. Recensione di Alessandria today
Un progetto corale per raccontare storie di forza, resilienza e rinascita
Un progetto corale per raccontare storie di forza, resilienza e rinascita “Sopravvissute: A tutte le donne del mondo” è il nuovo libro di Angela Kosta, un’opera che raccoglie una serie di testimonianze e riflessioni sul tema della violenza di genere. Questo progetto nasce con l’obiettivo di dare voce a tutte quelle donne che hanno affrontato e superato momenti di dolore e oppressione, offrendo…
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Antologia poetica Sopravvissute curata da Angela Kosta
Foto cortesia della copertina dell’Antologia ” Sopravvissute” È andato in stampa il libro SOPRAVVISSUTE con il Patrocinio di: ONU – Cattedra delle Donne – Wikipoesia – Wikipace – Accademia Tiberina.Il devolvere andrà a Co.Tu.Le Vi. l’Organizzazione per la Difesa Contro Tutte le Violenze inclusa anche quella sulle Donne. Ringrazio di cuore tutti i partecipanti che hanno contribuito a questo…
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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani, in occasione della Giornata internazionale della donna, 8 marzo, intende ricordare le conquiste socio-economiche e politiche ed al pari le violenze e le discriminazioni subite ancora oggi nel mondo dal genere femminile.
I diritti delle donne sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali ed in quanto tali devono essere tutelati dagli Stati con misure di tipo positivo che, in deroga al principio della parità formale, permettano di perseguire la sostanziale parità con gli uomini. Nel 2010, L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha fondato l’UN Women (Donne dell’ONU), un organismo creato per la promozione e protezione dei diritti delle donne.
Tra i suoi obiettivi v’è l’accelerazione dei progressi di uguaglianza di genere, il potenziamento delle donne per uno sviluppo sostenibile e un mondo più inclusivo e la realizzazione di standard di parità effettivamente applicati a beneficio di tutte le donne e le ragazze. Nel 2017 l’UN Women ha esortato tutti a “fare il grande passo” verso l’uguaglianza di genere per un pianeta di parità effettiva entro il 2030.
Tra i principali inviti rivolti agli Stati v’è quello di attuare politiche di promozione alla partecipazione delle donne al processo politico a livello comunitario, locale, nazionale e internazionale, e quello teso alla realizzazione di ambienti di tolleranza zero per i reati di genere, con adozione di tutte le misure appropriate per perseguire i responsabili. La partecipazione delle donne in politica è ancora a livelli bassissimi.
Nel 2018 le donne presenti nei parlamenti nazionali d’Europa erano il 24%, mentre con il 2019 le donne che nel mondo sono a capo di uno Stato sono 11 e 10 svolgono funzioni di capo del governo. Dalla classifica dell’IPU, l’organizzazione mondiale dei Parlamenti, emerge che la partecipazione femminile in Parlamento è paritaria solamente in tre stati tra i più poveri al mondo che da questo punto di vista rappresentano l’avanguardia: Ruanda con il 61,3%, Cuba con il 53,2% e Bolivia con il 53,1%.
Negli ultimi 20 anni l’Italia ha vissuto un notevole miglioramento in tema di pari opportunità ma la sua posizione resta inferiore alla media europea, collocandosi al 14° posto fra i paesi membri. Le donne italiane sono infatti ancora molto discriminate in casa, nella parità salariale e nell’occupazione. Lo dice l’Eige (European Institute for Gender Equality) che nel 3° rapporto sull’indice di uguaglianza di genere 2017 ha assegnato all’Italia un punteggio di 62,1 (su un massimo di 100 che indica la totale parità) contro un 66,2 di media europea (+4%).
E’ evidente, dunque, che c’è ancora molto da fare. Secondo il rapporto 2017 dell’Ocse “The Pursuit of Gender Equality: An Uphill Battle” sono stati identificati i tre ostacoli più importanti all’uguaglianza di genere: la violenza contro le donne, il divario salariale e la disuguaglianza nella divisione del lavoro non retribuito domestico.
La violenza di genere continua ad essere una delle più importanti violazioni dei diritti umani all’interno di tutte le società contrariamente ai dettami della Dichiarazione universale dei diritti umani che sviluppa in concreto il divieto di discriminazione in base al sesso nell’ambito della famiglia, del matrimonio e della maternità, dei diritti politici e del lavoro.
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia nel 2016 3 omicidi su 4 sono stati femminicidi commessi in ambito familiare e tra questi 59 donne sono state uccise dal partner, 17 da un ex partner e 33 da un parente, mentre 6 milioni 788 mila donne fra i 16 e i 70 anni hanno subito violenza fisica o sessuale (stupri il 5,4%, violenza sessuale il 21% e violenza fisica il 20,2%).
Il divario salariale di genere vede le donne italiane guadagnare in media il 33,4% in meno degli uomini con una percentuale di occupazione femminile molto bassa (48,1 %; dati ISTAT 2018). Denominato gender pay gap, questo fenomeno deriva dal fatto che le donne lavorano meno ore retribuite, operano in settori a basso reddito o sono meno rappresentate nei livelli più alti delle aziende ed hanno e, nella maggior parte dei casi, le retribuzioni pattuite sono inferiori rispetto ai colleghi dell’altro genere.
La maggiore influenza sul dato reddituale è esercitata dalla maternità e dai lavori domestici non retribuiti. E’ stato rilevato che la nascita di ogni figlio determini un calo del 4% sul reddito della madre, mentre nella stessa circostanza si registra l’aumento salariale del padre che riesce a proseguire la propria carriera senza soluzione di continuità né contrazione. Occorre quindi potenziare l’accesso a servizi per l’infanzia convenienti e di buona qualità a sostegno delle mamme lavoratrici affinché non debbano sentirsi costrette a ridurre il proprio orario di lavoro oppure a licenziarsi.
Il settore lavorativo in cui ad oggi v’è maggior tutela per le donne è quello pubblico perché meglio concilia le esigenze di lavoro e vita privata delle donne in virtù delle più diffuse politiche di pari opportunità. Nel settore docenti le insegnanti donne in cattedra nelle scuole statali, sia di ruolo che supplenti precarie, sono l’81,7% degli 855.734 docenti di ogni ordine e grado di scuola (esclusi i docenti di religione cattolica) (dati MIUR, 2018).
Tuttavia l’insidia della discriminazione di genere trova spazio anche nel pubblico impiego come ad esempio nell’attuando nuovo reclutamento del personale docente. Alle centinaia di migliaia di insegnanti donne che negli ultimi 10 anni hanno lavorato a tempo determinato per il MIUR verrà imposto di sostenere un concorso pubblico su materie in parte tecniche non specialistiche e senza alcuna riserva di posti.
Parliamo di docenti donne fuori ruolo che hanno un’età compresa tra i 40 e i 60 anni, che durante gli anni di precariato hanno avviato progetti di vita familiari ed economici e che all’atto della pubblicazione del bando non avranno la possibilità di prepararsi adeguatamente al prossimo concorso. Esse infatti non potranno studiare abbastanza perché dovranno contemporaneamente prendersi cura della casa e della famiglia oltre a lavorare per far fronte agli impegni di spesa già assunti (mutuo, affitto, ecc.) senza parlare di quelle madri single che non potranno neppure contare sul reddito del coniuge. Si prospetta dunque una vera e propria piazza pulita di questa categoria di dipendenti pubblici discriminate di fatto per motivi di genere e per cui, ad oggi, non sembrano prospettarsi migliori orizzonti.
Il lavoro familiare non retribuito, tenuto ancora poco in considerazione dalla politica, impegna le donne a svolgere in modo sproporzionato ed in via quasi esclusiva la cura della famiglia e della casa come un vero e proprio secondo lavoro (secondo i dati Ocse le donne italiane fanno cento minuti al giorno di lavoro non pagato in più rispetto agli uomini), ecco perché è di fondamentale importanza coinvolgere gli uomini nell’uguaglianza di genere e nelle sue iniziative fino ad assumersi le proprie responsabilità in ambito familiare, domestico, lavorativo e nelle relazioni per una parità di genere sostanziale.
Negli ultimi 15 anni i diritti delle donne hanno ricevuto importanti tutele legislative con interventi in ambito sociale, lavorativo ed istituzionale, in materia di pari opportunità, quote rosa e repressione delle violenze sulle donne, con azioni di prevenzione, protezione, perseguimento-azione penale e politiche (le così dette 4P).
Tuttavia, nonostante le donne oggi siano più istruite degli uomini (il 63% ha almeno un titolo secondario superiore contro il 58,8% degli uomini, e il 21,5% ha conseguito un titolo di studio universitario contro il 15,8% degli uomini) e siano maggiormente tutelate nella vita lavorativa anche nel loro diritto di accedere alle carriere, nella realtà quotidiana le questioni di genere continuano a non cedere il passo all’effettiva parità.
Manca qualcosa. A nostro parere, manca l’educazione alla parità di genere.Qualsiasi comportamento umano distorto, infatti, può essere corretto nei suoi effetti con contenimento delle sue conseguenze attraverso azioni che tendano a favorire specifiche posizioni di svantaggio oppure a limitarne la pericolosità di altre, ma solo l’educazione delle coscienze potrà conseguire l’effettiva eliminazione della disparità tra generi.
Il tema della giornata Internazionale della donna ONU per il 2019 è “Pensa alla pari, pianifica con una mentalità innovativa” per promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne assicurando servizi pubblici, sicurezza del reddito, spazi sicuri e sviluppo della tecnologia per il progresso femminile. In accoglimento del tema della giornata occorre che gli Stati facciano propria la prospettiva di genere nella preparazione, progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche, delle misure regolamentari e dei programmi di spesa, al fine di promuovere la parità tra donne e uomini e combattere la discriminazione.
Virginia Woolf, intellettuale femminista britannica e convinta sostenitrice dell’uguaglianza tra i sessi, scriveva che una donna deve avere soldi, cibo adeguato e una stanza tutta per sé per poter scrivere, sottolineando come l’indipendenza economica e intellettuale, da sempre negata alle donne, sia indispensabile per la sua emancipazione.
In questo ambito, in Coordinamento Nazionale dei Docenti per le discipline dei Diritti Umani invita tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado dall’infanzia alla secondaria ad inserire nel PTOF attività di educazione all’uguaglianza di genere poiché crescere in parità costituisce vero investimento per un futuro sostenibile.
In segno di condivisione della proposta il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani invita tutti a lanciare un messaggio: #crescereallapari8marzo2019.
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BASTABUGIE - CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant'Egidiodi Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l'epiteto di "ONU di Trastevere" applicato ad arte alla sua comunità. [...] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n'è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant'Egidio. Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt'uno. Quando uscì su "L'Espresso" era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto: SANT'EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF (Da "L'Espresso" del 9 aprile 1998) Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant'Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c'è una caffetteria snob, "Pane amore e fantasia", con l'insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c'è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c'è un mercatino di cose vecchie e curiose, "La soffitta". Anche di questo non c'è scritto che è della comunità. Sant'Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d'accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all'inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: "Wonderful people", meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene. TRA OPUS DEI E DALAI LAMA Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant'Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l'omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un'istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all'obbedienza. Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta "l'Onu di Trastevere" non è un'organizzazione laica tipo "Médecins sans frontières", ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant'Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant'Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d'ogni credo. Da allora, Sant'Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l'ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private. Con questi precedenti, Sant'Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell'Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano. IN PRINCIPIO FU CL Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant'Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant'Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c'è già il nocciolo duro di Sant'Egidio d'oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant'Egidio. MONACI DEL NUOVO MILLENNIO Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero. Segue la fase monastica. Con una spruzzata d'orientalismo. In vacanza, quelli di Sant'Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un'impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s'immaginano "celibi per il Regno dei cieli" e "monaci nel deserto della città". Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all'insegna dell'"ora et labora", dove il "labora" sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia. LA SCOPERTA DEL SESSO Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell'estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell'eremo di Macereto, un po' tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul "nuovo monachesimo" e prendono il via i primi matrimoni. Resta l'obbedienza assoluta a quello che era di fatto l'abate indiscusso, Riccardi. Il quale, intanto, s'è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l'anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l'interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant'Egidio è tutto un via vai di cardinali d'ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali. La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant'Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c'è una scuola materna, con un'aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell'aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L'idillio tra Giovanni Paolo II e Sant'Egidio sboccia così. L'innamoramento è l'estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più. ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant'Egidio l'ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano. Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant'Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato "che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster", un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan. MARTINI FOLGORATO Altro cardinale protettore di Sant'Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un'altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant'Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all'inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l'etichetta di donna traviata. "La nostra Maria Maddalena", la definivano i suoi censori. IN GUERRA PER LA PACE C'è forte contrasto, in Sant'Egidio, tra il proscenio e il retroscena, tra le attività ´ad extra´ e la comunità ´ad intra´. Prendiamo le iniziative di pace, quelle degli anni Novanta, la fase geopolitica della storia della comunità. Sulla ribalta del mondo, Sant'Egidio si batte indiscutibilmente per la pace e la democrazia. Se una critica le viene fatta, è che sceglie i suoi teatri con fin troppa cura di sé. Sì in Burundi, in Algeria, in Sudan, anche a costo di contrariare le Chiese del luogo. No a Timor Est e nel Chiapas. Questione di concorrenza. Il Nobel per la pace assegnato nel 1996 al vescovo di Timor, Carlos Filipe Ximenes Belo, è stato per Sant'Egidio una doccia gelata. Quanto al Chiapas, tra i candidati rivali al Nobel c'è anche lì un vescovo star, quello di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz García. Ma la democrazia vale per quelli di fuori. Dentro la comunità non ce n'è ombra. "Perché anche la Chiesa dev'essere così, non democratica", teorizza con i suoi discepoli Riccardi. La gerarchia interna è rigidissima e in trent'anni di vita della comunità lui solo è sempre stato al comando. Ma rigide sono anche le divisioni per sesso: ai maschi la diplomazia, la geopolitica, il pulpito, la cattedra, l'altare; alle femmine il sociale, le mense, gli anziani, i bambini. E così le divisioni per generazione e per classe. La struttura della comunità di Sant'Egidio ha al culmine il gruppo dei fondatori, oggi tra i 40 e i 50 anni. Sono 120 circa, ma è come se fossero i dodici apostoli: un ´unicum´ cui nessuno può aggiungersi. Poi, in subordine, viene la seconda generazione. Che è a sua volta divisa in due rami: da una parte la Pentecoste, i borghesi, quelli che hanno fatto gli studi; dall'altra la Resurrezione, il popolino, quelli di borgata. Il reclutamento dei giovanissimi è anch'esso separato: per la Pentecoste nei licei, per la Resurrezione nelle scuole professionali di periferia. LE SACRE GERARCHIE La messa del sabato sera, quella del top della comunità, è da sempre una fotografia perfetta delle gerarchie interne. Sull'altare c´è il gruppo dei fondatori, da una parte le donne, dall'altra i maschi, ciascuno al suo posto prefissato. Nella navata ci sono una rappresentanza scelta della Pentecoste più qualche elemento della Resurrezione e gli ospiti di riguardo. Riccardi è alla regia: non solo tiene la predica, ma comanda anche le luci da una piccola consolle. E chi nella comunità cade in disgrazia perde sia il suo ruolo nella messa che il suo posto in chiesa: Claudio Cottatellucci, uno dei capi della prima ora, che per anni aveva avuto l'onore di leggere dall'ambone l'Antico Testamento, si ritrovò di punto in bianco cacciato giù nella navata. La processione d'uscita al termine della messa è anch'essa un rito gerarchico. Tornati i preti in sacrestia, il primo ad alzarsi è Riccardi, seguito in fila indiana dagli altri maschi dell'altare, in ordine d'autorità. Poi ecco Cristina Marazzi, la numero uno delle donne, con le altre dietro in fila. Infine il rompete le righe per quelli della navata. QUINTA COLONNA AL "CORRIERE DELLA SERA" Il terremoto più grosso, al vertice di Sant'Egidio, risale a sei anni fa. Riccardi annunciò che avrebbe lasciato a un altro la presidenza per dedicarsi con più libertà alla cura spirituale della comunità. Ma quando si arrivò al voto nel comitato centrale, la sua indicazione non cadde su Andrea Bartoli, che da sempre era stato il numero due e in gioventù era stato di Riccardi l'amico intimo, ma su Alessandro Zuccari. Di norma l'indicazione di Riccardi è legge. Non si discute, si esegue. Ma quella volta accadde l'inaudito: l'unanimità fu infranta. Zuccari fu eletto, ma anche Bartoli ebbe dei voti. E i suoi sostenitori uscirono allo scoperto: Agostino Giovagnoli, l'intellettuale fine del gruppo, quello a cui spettava tenere le omelie ogni volta che Riccardi era assente; sua moglie Milena, numero due delle donne; Paola Piscitelli, futura compagna dello stesso Bartoli; Roberto Zuccolini, giornalista al "Corriere della Sera", il primo quotidiano italiano. Questa fronda non chiedeva maggior democrazia dentro la comunità: perché quanto a dispotismo, Bartoli aveva fama di terribile maestro dei novizi. Il dissenso era di strategia. Bartoli e i suoi contestavano un chiodo fisso di Riccardi: l'idea che la comunità di Sant'Egidio dovesse restare marcatamente papalina e romana, anche nelle sue filiali estere d'Europa, d'Africa, d'Asia e d'America. Volevano più autonomia per le periferie della comunità. Mentre Riccardi era ed è un accentratore estremo. LA GUERRA DEI DUE ANDREA La guerra tra i due Andrea durò per tutto il 1992, con i fautori di Riccardi che tenevano i loro conciliaboli al Caffè Settimiano, a Trastevere. E alla fine il gruppo antipartito fu sgominato. Bartoli fu spedito in esilio a New York, dove è tuttora. Suo fratello, Marco, fu cacciato dalla filiale di Napoli, di cui era il primo responsabile. Altre filiali a Genova e in Germania, che erano pro Bartoli, furono commissariate. A Giovagnoli furono tolti il pulpito e la cura delle relazioni con l'Asia. Zuccolini invece lo recuperarono: al "Corriere della Sera" era troppo prezioso e il partito di Riccardi ci teneva ad averlo dalla sua. Salirono così di grado, assieme a Zuccari, solo i fedelissimi del fondatore. Sono gli stessi che oggi compongono il gruppo dirigente, ciascuno con le sue mansioni: Marco Impagliazzo, Mario Giro e don Vittorio Ianari si occupano di Islam e mondo arabo, dall'Algeria al Sudan; Roberto Morozzo Della Rocca e don Paglia dei Balcani; don Marco Gnavi e Adriano Roccucci dell'Oriente ortodosso, dalla Serbia alla Russia; don Zuppi dell'Africa; Valeria Martano, moglie di Zuccolini, di Istanbul e dell'Asia; don Ambrogio Spreafico, che è anche diventato rettore della Pontificia Università Urbaniana, degli ebrei; Alberto Quattrucci e Claudio Betti degli annuali meeting interreligiosi sul modello del papa ad Assisi; Gianni La Bella di sponsor e sovvenzioni; Cristina Marazzi, intramontabile numero uno delle donne, di assistenza; Mario Marazziti, suo marito, di pubbliche relazioni. E i preti? Sant'Egidio ne ha oggi una dozzina. Tolti Paglia e Spreafico, venuti da fuori, gli altri sono cresciuti tutti in casa, senza passare per i seminari diocesani. A decidere chi deve diventare prete è la comunità, ossia Riccardi. E a consacrarli basta un vescovo amico, nell'attesa che vescovo lo diventi uno di loro. Paglia è il candidato. Fermo al palo da anni. Se in Vaticano esitano a dare il via libera alla sua ordinazione è perché c'è finora un solo, troppo discusso precedente di comunità con un suo vescovo speciale: l'Opus Dei. Il timore è che Sant'Egidio diventi un'altra Chiesa nella Chiesa. Ma la spunteranno. Quelli di Sant'Egidio sono pochi di numero. Faticano a reclutare nuovi seguaci e subiscono molti abbandoni. Ma si definiscono "la formica capace di imprese grandi con piccoli mezzi". Sono una lobby potente. Condizioneranno il conclave che eleggerà il prossimo papa. Nessun magnate di Chiesa li vuole avere nemici. Riccardi lo dice spesso ai suoi: "Dobbiamo apparire più di quello che siamo. È il nostro miracolo. Il grande bluff".
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BASTABUGIE - CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant'Egidiodi Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l'epiteto di "ONU di Trastevere" applicato ad arte alla sua comunità. [...] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n'è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant'Egidio. Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt'uno. Quando uscì su "L'Espresso" era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto: SANT'EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF (Da "L'Espresso" del 9 aprile 1998) Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant'Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c'è una caffetteria snob, "Pane amore e fantasia", con l'insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c'è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c'è un mercatino di cose vecchie e curiose, "La soffitta". Anche di questo non c'è scritto che è della comunità. Sant'Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d'accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all'inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: "Wonderful people", meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene. TRA OPUS DEI E DALAI LAMA Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant'Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l'omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un'istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all'obbedienza. Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta "l'Onu di Trastevere" non è un'organizzazione laica tipo "Médecins sans frontières", ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant'Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant'Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d'ogni credo. Da allora, Sant'Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l'ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private. Con questi precedenti, Sant'Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell'Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano. IN PRINCIPIO FU CL Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant'Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant'Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c'è già il nocciolo duro di Sant'Egidio d'oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant'Egidio. MONACI DEL NUOVO MILLENNIO Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero. Segue la fase monastica. Con una spruzzata d'orientalismo. In vacanza, quelli di Sant'Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un'impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s'immaginano "celibi per il Regno dei cieli" e "monaci nel deserto della città". Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all'insegna dell'"ora et labora", dove il "labora" sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia. LA SCOPERTA DEL SESSO Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell'estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell'eremo di Macereto, un po' tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul "nuovo monachesimo" e prendono il via i primi matrimoni. Resta l'obbedienza assoluta a quello che era di fatto l'abate indiscusso, Riccardi. Il quale, intanto, s'è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l'anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l'interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant'Egidio è tutto un via vai di cardinali d'ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali. La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant'Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c'è una scuola materna, con un'aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell'aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L'idillio tra Giovanni Paolo II e Sant'Egidio sboccia così. L'innamoramento è l'estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più. ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant'Egidio l'ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano. Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant'Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato "che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster", un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan. MARTINI FOLGORATO Altro cardinale protettore di Sant'Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un'altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant'Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all'inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l'etichetta di donna traviata. "La nostra Maria Maddalena", la definivano i suoi censori. IN GUERRA PER LA PACE C'è forte contrasto, in Sant'Egidio, tra il proscenio e il retroscena, tra le attività ´ad extra´ e la comunità ´ad intra´. Prendiamo le iniziative di pace, quelle degli anni Novanta, la fase geopolitica della storia della comunità. Sulla ribalta del mondo, Sant'Egidio si batte indiscutibilmente per la pace e la democrazia. Se una critica le viene fatta, è che sceglie i suoi teatri con fin troppa cura di sé. Sì in Burundi, in Algeria, in Sudan, anche a costo di contrariare le Chiese del luogo. No a Timor Est e nel Chiapas. Questione di concorrenza. Il Nobel per la pace assegnato nel 1996 al vescovo di Timor, Carlos Filipe Ximenes Belo, è stato per Sant'Egidio una doccia gelata. Quanto al Chiapas, tra i candidati rivali al Nobel c'è anche lì un vescovo star, quello di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz García. Ma la democrazia vale per quelli di fuori. Dentro la comunità non ce n'è ombra. "Perché anche la Chiesa dev'essere così, non democratica", teorizza con i suoi discepoli Riccardi. La gerarchia interna è rigidissima e in trent'anni di vita della comunità lui solo è sempre stato al comando. Ma rigide sono anche le divisioni per sesso: ai maschi la diplomazia, la geopolitica, il pulpito, la cattedra, l'altare; alle femmine il sociale, le mense, gli anziani, i bambini. E così le divisioni per generazione e per classe. La struttura della comunità di Sant'Egidio ha al culmine il gruppo dei fondatori, oggi tra i 40 e i 50 anni. Sono 120 circa, ma è come se fossero i dodici apostoli: un ´unicum´ cui nessuno può aggiungersi. Poi, in subordine, viene la seconda generazione. Che è a sua volta divisa in due rami: da una parte la Pentecoste, i borghesi, quelli che hanno fatto gli studi; dall'altra la Resurrezione, il popolino, quelli di borgata. Il reclutamento dei giovanissimi è anch'esso separato: per la Pentecoste nei licei, per la Resurrezione nelle scuole professionali di periferia. LE SACRE GERARCHIE La messa del sabato sera, quella del top della comunità, è da sempre una fotografia perfetta delle gerarchie interne. Sull'altare c´è il gruppo dei fondatori, da una parte le donne, dall'altra i maschi, ciascuno al suo posto prefissato. Nella navata ci sono una rappresentanza scelta della Pentecoste più qualche elemento della Resurrezione e gli ospiti di riguardo. Riccardi è alla regia: non solo tiene la predica, ma comanda anche le luci da una piccola consolle. E chi nella comunità cade in disgrazia perde sia il suo ruolo nella messa che il suo posto in chiesa: Claudio Cottatellucci, uno dei capi della prima ora, che per anni aveva avuto l'onore di leggere dall'ambone l'Antico Testamento, si ritrovò di punto in bianco cacciato giù nella navata. La processione d'uscita al termine della messa è anch'essa un rito gerarchico. Tornati i preti in sacrestia, il primo ad alzarsi è Riccardi, seguito in fila indiana dagli altri maschi dell'altare, in ordine d'autorità. Poi ecco Cristina Marazzi, la numero uno delle donne, con le altre dietro in fila. Infine il rompete le righe per quelli della navata. QUINTA COLONNA AL "CORRIERE DELLA SERA" Il terremoto più grosso, al vertice di Sant'Egidio, risale a sei anni fa. Riccardi annunciò che avrebbe lasciato a un altro la presidenza per dedicarsi con più libertà alla cura spirituale della comunità. Ma quando si arrivò al voto nel comitato centrale, la sua indicazione non cadde su Andrea Bartoli, che da sempre era stato il numero due e in gioventù era stato di Riccardi l'amico intimo, ma su Alessandro Zuccari. Di norma l'indicazione di Riccardi è legge. Non si discute, si esegue. Ma quella volta accadde l'inaudito: l'unanimità fu infranta. Zuccari fu eletto, ma anche Bartoli ebbe dei voti. E i suoi sostenitori uscirono allo scoperto: Agostino Giovagnoli, l'intellettuale fine del gruppo, quello a cui spettava tenere le omelie ogni volta che Riccardi era assente; sua moglie Milena, numero due delle donne; Paola Piscitelli, futura compagna dello stesso Bartoli; Roberto Zuccolini, giornalista al "Corriere della Sera", il primo quotidiano italiano. Questa fronda non chiedeva maggior democrazia dentro la comunità: perché quanto a dispotismo, Bartoli aveva fama di terribile maestro dei novizi. Il dissenso era di strategia. Bartoli e i suoi contestavano un chiodo fisso di Riccardi: l'idea che la comunità di Sant'Egidio dovesse restare marcatamente papalina e romana, anche nelle sue filiali estere d'Europa, d'Africa, d'Asia e d'America. Volevano più autonomia per le periferie della comunità. Mentre Riccardi era ed è un accentratore estremo. LA GUERRA DEI DUE ANDREA La guerra tra i due Andrea durò per tutto il 1992, con i fautori di Riccardi che tenevano i loro conciliaboli al Caffè Settimiano, a Trastevere. E alla fine il gruppo antipartito fu sgominato. Bartoli fu spedito in esilio a New York, dove è tuttora. Suo fratello, Marco, fu cacciato dalla filiale di Napoli, di cui era il primo responsabile. Altre filiali a Genova e in Germania, che erano pro Bartoli, furono commissariate. A Giovagnoli furono tolti il pulpito e la cura delle relazioni con l'Asia. Zuccolini invece lo recuperarono: al "Corriere della Sera" era troppo prezioso e il partito di Riccardi ci teneva ad averlo dalla sua. Salirono così di grado, assieme a Zuccari, solo i fedelissimi del fondatore. Sono gli stessi che oggi compongono il gruppo dirigente, ciascuno con le sue mansioni: Marco Impagliazzo, Mario Giro e don Vittorio Ianari si occupano di Islam e mondo arabo, dall'Algeria al Sudan; Roberto Morozzo Della Rocca e don Paglia dei Balcani; don Marco Gnavi e Adriano Roccucci dell'Oriente ortodosso, dalla Serbia alla Russia; don Zuppi dell'Africa; Valeria Martano, moglie di Zuccolini, di Istanbul e dell'Asia; don Ambrogio Spreafico, che è anche diventato rettore della Pontificia Università Urbaniana, degli ebrei; Alberto Quattrucci e Claudio Betti degli annuali meeting interreligiosi sul modello del papa ad Assisi; Gianni La Bella di sponsor e sovvenzioni; Cristina Marazzi, intramontabile numero uno delle donne, di assistenza; Mario Marazziti, suo marito, di pubbliche relazioni. E i preti? Sant'Egidio ne ha oggi una dozzina. Tolti Paglia e Spreafico, venuti da fuori, gli altri sono cresciuti tutti in casa, senza passare per i seminari diocesani. A decidere chi deve diventare prete è la comunità, ossia Riccardi. E a consacrarli basta un vescovo amico, nell'attesa che vescovo lo diventi uno di loro. Paglia è il candidato. Fermo al palo da anni. Se in Vaticano esitano a dare il via libera alla sua ordinazione è perché c'è finora un solo, troppo discusso precedente di comunità con un suo vescovo speciale: l'Opus Dei. Il timore è che Sant'Egidio diventi un'altra Chiesa nella Chiesa. Ma la spunteranno. Quelli di Sant'Egidio sono pochi di numero. Faticano a reclutare nuovi seguaci e subiscono molti abbandoni. Ma si definiscono "la formica capace di imprese grandi con piccoli mezzi". Sono una lobby potente. Condizioneranno il conclave che eleggerà il prossimo papa. Nessun magnate di Chiesa li vuole avere nemici. Riccardi lo dice spesso ai suoi: "Dobbiamo apparire più di quello che siamo. È il nostro miracolo. Il grande bluff".
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BASTABUGIE - CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
CHI E' ANDREA RICCARDI E PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO NEL GOVERNO MONTI?
Ecco la biografia non autorizzata che nel 1998 svelò tutti i retroscena della Comunità di Sant'Egidiodi Sandro Magister
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è dal 16 novembre ministro. Non degli affari esteri, come lui stesso aveva sussurrato qua e là di desiderare, ma pur sempre della cooperazione internazionale, un incarico in rima con l'epiteto di "ONU di Trastevere" applicato ad arte alla sua comunità. [...] Di lui esistono ricche e radiose biografie. Ma ce n'è anche una non autorizzata, mai oggetto di alcuna smentita, la cui lettura è stata sempre proibita ai seguaci di Sant'Egidio. Propriamente, più che una biografia di Riccardi, è una storia della sua comunità, che però con lui fa tutt'uno. Quando uscì su "L'Espresso" era il 1998. Ma chi la rilegge oggi, scopre che anche ciò che allora veniva scritto al futuro si è puntualmente adempiuto: SANT'EGIDIO STORY. IL GRANDE BLUFF (Da "L'Espresso" del 9 aprile 1998) Hanno la loro cittadella a Roma Trastevere, in piazza Sant'Egidio, in un ex convento di monache carmelitane con la chiesa. Ma non tengono nessuna targa sul portoncino. Lì a fianco c'è una caffetteria snob, "Pane amore e fantasia", con l'insegna tipo pellicola da cinema e la foto di Gina Lollobrigida, ma non c'è scritto che è della comunità. Anche la loro messa del sabato sera è da qualche tempo clandestina. La dicono a porte chiuse dentro la vicina basilica di Santa Maria, che raggiungono attraverso un labirinto di locali e cortili interni. Perché ormai sia la basilica, sia quasi tutti gli edifici attigui sono loro dominio, compresi i due palazzi antichi sulla piazza grande. In uno c'è un mercatino di cose vecchie e curiose, "La soffitta". Anche di questo non c'è scritto che è della comunità. Sant'Egidio si vede e non si vede. Si sa che servono minestre calde ai barboni e aiutano i vecchi rimasti soli. Si sa che in Mozambico hanno messo d'accordo governo e guerriglieri e che nel Kosovo fanno la spola tra il despota serbo Slobodan Milosevic e gli albanesi maltrattati. La segretaria di Stato americana Madeleine Albright, quando all'inizio di marzo è passata da Roma, ha speso più tempo da loro che dal papa. E uscendo li ha beatificati: "Wonderful people", meravigliosi. Sono candidati al Nobel per la pace. Hanno un efficientissimo servizio di pubbliche relazioni e tutti ne dicono un gran bene. TRA OPUS DEI E DALAI LAMA Ma per il resto sono come la leggendaria Opus Dei. Impenetrabili. Nemmeno in Vaticano sanno bene che cosa fanno quando sono tra loro. Neanche il papa lo sa, nonostante sia loro amico. Se sapesse che quelli di Sant'Egidio hanno praticamente abolito il sacramento della penitenza sostituendolo con i mea culpa pubblici nelle assemblee di gruppo, li redarguirebbe severo. Se conoscesse le loro stranezze in materia di matrimonio e procreazione, sobbalzerebbe sulla cattedra. Se sapesse che nelle loro messe l'omelia la tiene sempre Andrea Riccardi, il fondatore e capo, che prete non è e quindi non dovrebbe predicare (divieto assoluto ribadito di fresco da un'istruzione vaticana), li richiamerebbe subito all'obbedienza. Questioni interne di Chiesa? Sì e no. Perché quella che oggi è detta "l'Onu di Trastevere" non è un'organizzazione laica tipo "Médecins sans frontières", ma è nata come comunità cattolica integrale. E tuttora si presenta così: come cittadella di Dio in un mondo invaso dai barbari. È in forza di questa identità e della benedizione papale che Sant'Egidio si offre ´urbi et orbi´ come peacemaker sui fronti di guerra. Oltre che come ponte di dialogo tra le religioni. Sono stati quelli di Sant'Egidio a organizzare il meeting interreligioso del 1986 ad Assisi, con il papa in preghiera fianco a fianco col Dalai Lama, con metropoliti ortodossi, pastori protestanti, monaci buddisti, rabbini ebrei, muftì musulmani, guru e sciamani d'ogni credo. Da allora, Sant'Egidio replica il modello di Assisi ogni anno: l'ultima volta a Padova e Venezia, altre volte a Roma, Firenze, Milano, Bari, Varsavia, Bruxelles, Malta, Gerusalemme. Con un crescendo di coreografie spettacolari. Con cerimonie ritrasmesse in mondovisione. Con un roteare di ospiti insigni, chiamati dai cinque continenti, spesati, coccolati. Minimo mezzo milione di dollari per meeting, coperti da sovvenzioni governative e private. Con questi precedenti, Sant'Egidio non avrà rivali per il prossimo Giubileo. Sua sarà la regia dell'Assisi bis, questa volta di nuovo col papa, già annunciata dal Vaticano. IN PRINCIPIO FU CL Eppure, nonostante queste credenziali e le sue suggestive liturgie, il profilo cattolico della comunità di Sant'Egidio resta sfuggente. I suoi percorsi tortuosi. La sua data di nascita ufficiale è il 7 febbraio 1968. Ma a quella data non succede proprio niente di nuovo. I futuri membri di Sant'Egidio fanno semplicemente parte di un raggio, di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù Studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata la bufera del Sessantotto, prenderà il nome di Comunione e Liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio, a Rimini. Dopo di che, tornato a Roma, aveva legato con i ´giessini´ del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Tra quei compagni di liceo c'è già il nocciolo duro di Sant'Egidio d'oggi. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che rimarranno con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone. È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio. Con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl, che infatti spariranno per sempre, anche in memoria, dalle storie autorizzate di Sant'Egidio. MONACI DEL NUOVO MILLENNIO Manca ancora una sede. E per un poco Riccardi e compagni, tutti di famiglia bene, meditano di traslocare in baracche di periferia. Ma poi per i poveri scelgono solo di lavorare, senza conviverci. Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio, a Roma Trastevere. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto. È di proprietà del ministero degli Interni, che lo cede a loro in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero. Segue la fase monastica. Con una spruzzata d'orientalismo. In vacanza, quelli di Sant'Egidio vanno in Belgio, a Chevetogne, un monastero che celebra raffinate liturgie bizantine, e se ne innamorano. Di ritorno a Roma, arricchiscono le loro liturgie con tocchi orientali e alla loro vita comune danno un'impronta monastica. Anche per via della giovane età, nessuno di loro è sposato. E allora s'immaginano "celibi per il Regno dei cieli" e "monaci nel deserto della città". Danno ai loro capi i nomi di priore e priora, con i rispettivi vice. Abitano in piccoli gruppi divisi per sesso. Vestono tutti in modo austero, riconoscibile: gonne ampie e lunghe, maglioni abbondanti e colori castigati le donne; giaccone blu scuro i maschi; borsa di pelle a tracolla per tutti, modello Tolfa. Le giornate sono all'insegna dell'"ora et labora", dove il "labora" sono il pasto ai poveri, le pulizie ai vecchi, il doposcuola ai monelli di periferia. LA SCOPERTA DEL SESSO Ma anche la fase monastica si spegne presto. Nell'estate del 1978, in un ritiro collettivo nelle Marche, nell'eremo di Macereto, un po' tutti svuotano il sacco. E confessano di condurre tra loro una vita sessuale sin troppo movimentata. Da lì in poi cade il silenzio sul "nuovo monachesimo" e prendono il via i primi matrimoni. Resta l'obbedienza assoluta a quello che era di fatto l'abate indiscusso, Riccardi. Il quale, intanto, s'è laureato in legge, ma si è subito dopo tuffato, da autodidatta, negli studi di storia, in particolare di storia della Chiesa, fino ad aggiudicarsi rapidamente una cattedra in università. Come per incanto, si danno agli studi di storia anche gli altri membri importanti della comunità, maschi. Ma quello che li distingue è che la storia non vogliono solo studiarla, ma farla. Specie la storia presente della Chiesa. Il 1978 è l'anno dei tre papi: muore Paolo VI e dopo l'interregno di papa Albino Luciani sale al trono Giovanni Paolo II. Nei due preconclavi, specie nel secondo, Sant'Egidio è tutto un via vai di cardinali d'ogni continente, di conciliaboli, di manovre elettorali. La comunità fa campagna per il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti. Ma il conclave li delude. A vincere è il polacco Karol Wojtyla, per loro uno sconosciuto. Bastano poche settimane per ribaltare la sconfitta. Quelli di Sant'Egidio studiano a puntino la mappa della prima uscita del nuovo papa, alla parrocchia romana della Garbatella. Sul tragitto c'è una scuola materna, con un'aula che dà proprio sulla strada. Per una settimana occupano quell'aula e insegnano ai bambini canti in polacco. Li tengono lì dentro a cantare anche la domenica, col papa che arriva. Finché il papa passa, sente, si ferma, entra, vuol sapere. L'idillio tra Giovanni Paolo II e Sant'Egidio sboccia così. L'innamoramento è l'estate dopo a Castelgandolfo, una sera di luglio, in giardino, con le lucciole. Cantano e ballano con lui. Fanno ´serpentone´ tra le aiuole. Non si lasceranno più. ALLA CONQUISTA DELLA CHIESA Gli anni Ottanta sono la fase della conquista della Chiesa, posizione dopo posizione, fino ai più alti gradi. Il riconoscimento canonico Sant'Egidio l'ottiene nel 1986. Ma più importanti sono i legami diretti stabiliti con alcuni personaggi chiave del Vaticano. Tre di questi sono tuttora i più grossi sostenitori della comunità. Uno è il segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, onnipotente factotum. Un altro è il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante del papa sui fronti caldi del globo. Il terzo è il cardinale Achille Silvestrini, curiale di prima grandezza. Anche le parentele pesano. Una nipote di Silvestrini, Angela, è dentro la comunità. Mentre altri due membri di spicco di Sant'Egidio, don Matteo Zuppi e Francesco Dante, sono a loro volta nipoti di due porporati defunti: rispettivamente dei cardinali Carlo Confalonieri ed Enrico Dante. Quanto a Riccardi, il suo albero di famiglia è ancor più dotato: ha come zio non un cardinale ma un beato "che fu maestro del futuro cardinale Ildefonso Schuster", un monaco di San Paolo fuori le Mura di nome Placido, elevato agli altari nel 1954. Ed è già lui stesso un santo in terra, per i suoi fan. MARTINI FOLGORATO Altro cardinale protettore di Sant'Egidio è Carlo Maria Martini, gesuita e arcivescovo di Milano. Martini lo dicono addirittura loro membro onorario, perché nel 1975, quando era a Roma come rettore del Pontificio istituto biblico, li incontrò, ne restò folgorato e per quattro anni fece la sua parte nella comunità: accudiva a un vecchietto di Trastevere e andava a dir messa in un locale della borgata Alessandrina. Ad accompagnare Martini passo passo era stata incaricata una giovane della comunità, Gina Schilirò. Un'altra, Maura De Bernart, aveva a sua volta conquistato alla causa pochi anni prima un sacerdote, Vincenzo Paglia, che oggi è assistente ecclesiastico ufficiale di Sant'Egidio e aspirante vescovo. Sfortunatamente, sia Schilirò che De Bernart hanno poi avuto storie tormentate. La prima è uscita dalla comunità e poi rientrata con la cenere sul capo. La seconda, che all'inizio era leader di spicco, finì presto retrocessa con l'etichetta di donna traviata. "La nostra Maria Maddalena", la definivano i suoi censori. IN GUERRA PER LA PACE C'è forte contrasto, in Sant'Egidio, tra il proscenio e il retroscena, tra le attività ´ad extra´ e la comunità ´ad intra´. Prendiamo le iniziative di pace, quelle degli anni Novanta, la fase geopolitica della storia della comunità. Sulla ribalta del mondo, Sant'Egidio si batte indiscutibilmente per la pace e la democrazia. Se una critica le viene fatta, è che sceglie i suoi teatri con fin troppa cura di sé. Sì in Burundi, in Algeria, in Sudan, anche a costo di contrariare le Chiese del luogo. No a Timor Est e nel Chiapas. Questione di concorrenza. Il Nobel per la pace assegnato nel 1996 al vescovo di Timor, Carlos Filipe Ximenes Belo, è stato per Sant'Egidio una doccia gelata. Quanto al Chiapas, tra i candidati rivali al Nobel c'è anche lì un vescovo star, quello di San Cristóbal de las Casas, Samuel Ruiz García. Ma la democrazia vale per quelli di fuori. Dentro la comunità non ce n'è ombra. "Perché anche la Chiesa dev'essere così, non democratica", teorizza con i suoi discepoli Riccardi. La gerarchia interna è rigidissima e in trent'anni di vita della comunità lui solo è sempre stato al comando. Ma rigide sono anche le divisioni per sesso: ai maschi la diplomazia, la geopolitica, il pulpito, la cattedra, l'altare; alle femmine il sociale, le mense, gli anziani, i bambini. E così le divisioni per generazione e per classe. La struttura della comunità di Sant'Egidio ha al culmine il gruppo dei fondatori, oggi tra i 40 e i 50 anni. Sono 120 circa, ma è come se fossero i dodici apostoli: un ´unicum´ cui nessuno può aggiungersi. Poi, in subordine, viene la seconda generazione. Che è a sua volta divisa in due rami: da una parte la Pentecoste, i borghesi, quelli che hanno fatto gli studi; dall'altra la Resurrezione, il popolino, quelli di borgata. Il reclutamento dei giovanissimi è anch'esso separato: per la Pentecoste nei licei, per la Resurrezione nelle scuole professionali di periferia. LE SACRE GERARCHIE La messa del sabato sera, quella del top della comunità, è da sempre una fotografia perfetta delle gerarchie interne. Sull'altare c´è il gruppo dei fondatori, da una parte le donne, dall'altra i maschi, ciascuno al suo posto prefissato. Nella navata ci sono una rappresentanza scelta della Pentecoste più qualche elemento della Resurrezione e gli ospiti di riguardo. Riccardi è alla regia: non solo tiene la predica, ma comanda anche le luci da una piccola consolle. E chi nella comunità cade in disgrazia perde sia il suo ruolo nella messa che il suo posto in chiesa: Claudio Cottatellucci, uno dei capi della prima ora, che per anni aveva avuto l'onore di leggere dall'ambone l'Antico Testamento, si ritrovò di punto in bianco cacciato giù nella navata. La processione d'uscita al termine della messa è anch'essa un rito gerarchico. Tornati i preti in sacrestia, il primo ad alzarsi è Riccardi, seguito in fila indiana dagli altri maschi dell'altare, in ordine d'autorità. Poi ecco Cristina Marazzi, la numero uno delle donne, con le altre dietro in fila. Infine il rompete le righe per quelli della navata. QUINTA COLONNA AL "CORRIERE DELLA SERA" Il terremoto più grosso, al vertice di Sant'Egidio, risale a sei anni fa. Riccardi annunciò che avrebbe lasciato a un altro la presidenza per dedicarsi con più libertà alla cura spirituale della comunità. Ma quando si arrivò al voto nel comitato centrale, la sua indicazione non cadde su Andrea Bartoli, che da sempre era stato il numero due e in gioventù era stato di Riccardi l'amico intimo, ma su Alessandro Zuccari. Di norma l'indicazione di Riccardi è legge. Non si discute, si esegue. Ma quella volta accadde l'inaudito: l'unanimità fu infranta. Zuccari fu eletto, ma anche Bartoli ebbe dei voti. E i suoi sostenitori uscirono allo scoperto: Agostino Giovagnoli, l'intellettuale fine del gruppo, quello a cui spettava tenere le omelie ogni volta che Riccardi era assente; sua moglie Milena, numero due delle donne; Paola Piscitelli, futura compagna dello stesso Bartoli; Roberto Zuccolini, giornalista al "Corriere della Sera", il primo quotidiano italiano. Questa fronda non chiedeva maggior democrazia dentro la comunità: perché quanto a dispotismo, Bartoli aveva fama di terribile maestro dei novizi. Il dissenso era di strategia. Bartoli e i suoi contestavano un chiodo fisso di Riccardi: l'idea che la comunità di Sant'Egidio dovesse restare marcatamente papalina e romana, anche nelle sue filiali estere d'Europa, d'Africa, d'Asia e d'America. Volevano più autonomia per le periferie della comunità. Mentre Riccardi era ed è un accentratore estremo. LA GUERRA DEI DUE ANDREA La guerra tra i due Andrea durò per tutto il 1992, con i fautori di Riccardi che tenevano i loro conciliaboli al Caffè Settimiano, a Trastevere. E alla fine il gruppo antipartito fu sgominato. Bartoli fu spedito in esilio a New York, dove è tuttora. Suo fratello, Marco, fu cacciato dalla filiale di Napoli, di cui era il primo responsabile. Altre filiali a Genova e in Germania, che erano pro Bartoli, furono commissariate. A Giovagnoli furono tolti il pulpito e la cura delle relazioni con l'Asia. Zuccolini invece lo recuperarono: al "Corriere della Sera" era troppo prezioso e il partito di Riccardi ci teneva ad averlo dalla sua. Salirono così di grado, assieme a Zuccari, solo i fedelissimi del fondatore. Sono gli stessi che oggi compongono il gruppo dirigente, ciascuno con le sue mansioni: Marco Impagliazzo, Mario Giro e don Vittorio Ianari si occupano di Islam e mondo arabo, dall'Algeria al Sudan; Roberto Morozzo Della Rocca e don Paglia dei Balcani; don Marco Gnavi e Adriano Roccucci dell'Oriente ortodosso, dalla Serbia alla Russia; don Zuppi dell'Africa; Valeria Martano, moglie di Zuccolini, di Istanbul e dell'Asia; don Ambrogio Spreafico, che è anche diventato rettore della Pontificia Università Urbaniana, degli ebrei; Alberto Quattrucci e Claudio Betti degli annuali meeting interreligiosi sul modello del papa ad Assisi; Gianni La Bella di sponsor e sovvenzioni; Cristina Marazzi, intramontabile numero uno delle donne, di assistenza; Mario Marazziti, suo marito, di pubbliche relazioni. E i preti? Sant'Egidio ne ha oggi una dozzina. Tolti Paglia e Spreafico, venuti da fuori, gli altri sono cresciuti tutti in casa, senza passare per i seminari diocesani. A decidere chi deve diventare prete è la comunità, ossia Riccardi. E a consacrarli basta un vescovo amico, nell'attesa che vescovo lo diventi uno di loro. Paglia è il candidato. Fermo al palo da anni. Se in Vaticano esitano a dare il via libera alla sua ordinazione è perché c'è finora un solo, troppo discusso precedente di comunità con un suo vescovo speciale: l'Opus Dei. Il timore è che Sant'Egidio diventi un'altra Chiesa nella Chiesa. Ma la spunteranno. Quelli di Sant'Egidio sono pochi di numero. Faticano a reclutare nuovi seguaci e subiscono molti abbandoni. Ma si definiscono "la formica capace di imprese grandi con piccoli mezzi". Sono una lobby potente. Condizioneranno il conclave che eleggerà il prossimo papa. Nessun magnate di Chiesa li vuole avere nemici. Riccardi lo dice spesso ai suoi: "Dobbiamo apparire più di quello che siamo. È il nostro miracolo. Il grande bluff".
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