#suffragio universale
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Due giugno quarantasei
il popolo italiano
vota per la Repubblica
non vuole più un sovrano.
Vota il popolo intero
finalmente anche le donne.
L’italia repubblicana
è nata con le gonne.
Democrazia vuol dire
popolo che decide
che pensa, sceglie, elegge
chi sono le sue guide.
L’italia da oggi unita
alza la sua bandiera
col bianco rosso e verde
ride alla primavera.
Anna Sarfatti
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PRIMA PAGINA La Repubblica di Oggi giovedì, 10 ottobre 2024
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Quando sento Giannini (o Travaglio o la Gruber) ripetere come un mantra che non c'è una opposizione a questo governo mi chiedo da che parte stiano in realtà.
Dalla pagina FB "Abolizione del suffragio universale" :
Alla Camera, in un nuovo faccia a faccia, Elly Schlein ha affrontato ancora la Presidente Giorgia Meloni.
E senza urlare, ha messo in fila una dopo l'altra le bugie della Presidente del Consiglio, affondandola:
"Presidente Meloni, una premessa: scenda dal ring, perché questo è un luogo serio.
Capisco la necessità di cercare un nemico al giorno per coprire i fallimenti del Governo, ma le ricordo che lei è la Presidente del Consiglio di tutti gli italiani e che se avesse messo un euro sulla sanità pubblica per ogni volta che attacca qualcuno a quest'ora avrebbe già dimezzato le liste d'attesa.
Voglio salutare poi il ritorno dei colleghi della Lega che questa mattina non sono venuti ad ascoltarla. Alcuni hanno detto che è stata colpa del ritardo dei treni. Beh, sanno con chi prendersela: col peggior Ministro dei Trasporti della storia repubblicana.
Presidente, da una parte c'è il favoloso mondo di Ameloni, quello della propaganda, messo in scena ad Atreju. Ma dall'altra parte c'è la realtà, quella testarda dei numeri.
Lei ha detto che i centri in Albania funzioneranno: finalmente, ha ammesso quindi che non funzionano. Sono il clamoroso fallimento della sua propaganda.
Lei prima ha detto che la Corte di Giustizia europea non segue i giudici italiani. Forse ha capito male: sono i giudici italiani che hanno seguito la Corte di Giustizia europea, che ha stabilito che non può essere considerato sicuro un Paese che applica la tortura. Ed è una vergogna che il governo italiano abbia deciso per decreto che l'Egitto è un Paese sicuro quando un ricercatore italiano, Giulio Regeni, è stato torturato e ucciso come migliaia di egiziani.
Presidente, ora i centri in Albania sono vuoti. C'è solo il personale. Personale che potrebbe essere impegnato in Italia, dove c'è carenza di organico ovunque, a proposito della sicurezza di cui vi riempite la bocca.
Avete buttato 800 milioni di euro per costruire una prigione vuota. 800 milioni di euro che avreste potuto utilizzare per 50.000 nuovi posti di asili nido o per pagare per 5 anni 6.000 nuovi infermieri o 7.000 nuovi insegnanti. Insegnanti che invece avete tagliato in legge di bilancio.
Nel suo favoloso mondo, chissà se racconterà agli altri Paesi che in Italia tutto va a gonfie vele, mentre l'Istat taglia le previsioni di crescita del Governo.
Racconterà di aver fatto il 'più grande investimento sulla sanità' in valori assoluti quando in percentuale, in realtà, li avete ridotti? E nel frattempo, 4 milioni e mezzo di persone non riescono più a curarsi.
Racconterà di aver aumentato le pensioni minime, quando in realtà le avete alzate di appena 1,80 euro, prendendo in giro gli anziani?
Racconterà che siamo primi nel PNRR in Europa o dirà che in realtà siamo indietro in percentuale negli obiettivi raggiunti?
Racconterà agli altri Paesi che in Italia si sta meglio mentre vi occupate dei rimborsi spese dei ministri ma negate il salario minimo? O mentre cancellate il fondo affitti e c'è chi muore di freddo in un garage? O mentre la produzione industriale è in calo da 20 mesi consecutivamente? O mentre in Italia c'è il costo dell'energia più alto d'Europa?
La verità, Presidente, è che lei le persone le vede solo dai palchi o dai balconi. Non ascolta più chi non riesce a curarsi. Chi non arriva a fine mese con stipendi da fame. Chi vede i propri figli costretti a partire. Chi non ha i soldi per la baby sitter mentre lei pontifica che le donne non devono rinunciare al lavoro se fanno figli. Il suo problema, Presidente, è che lei si è rinchiusa nel suo favoloso mondo e non ascolta più".
Un intervento perfetto.
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X: "Come fa a vincere la Meloni! È omofoba e fascita! La Sinistra non riesce a fare opposizione?"
Idee media della sinistra italiana:
Geronimo Stilton è un borghese e un nemico del popolo!
Dovremmo permettere alla gente di occupare le case!
Perché non mettiamo una bella patrimoniale?
*inserire commento assolutamente irrilevante sul fascismo, come se gli italiani non sapessero che la Meloni è fascista"
Togliamo i ferri da stiro giocattolo dai supermercati!
Quando una sinistra non riesce a portare in campo neanche mezza frase coerente alla fine ti becchi Sangiuliano ministro della cultura con la 4a elementare e Salvini che pur di non lavorare spande disinformazione su atlete algerine. Che tristezza. Almeno in America (che pure non sono santi) si fanno venire qualche idea sull'economia sul sociale. Qui abbiamo il nulla cosmico. Abbiamo avuto una rotazione di almeno 6 partiti negli ultimi 10 anni, di tutto lo spettro politico. E neanche uno che abbia fatto qualcosa, ma un cosa qualunque, tipo fare delle strade in Puglia. Boh. Costruire un Acquedotto in Sicilia. Fare un spaventapasseri in Calabria, uno zoo ad Abbiategrasso.
Aiuto molto out of context questo ask
Lamentarsi della sinistra italiana e poi avere da ridire sulla patrimoniale e sulle case occupate non è molto coerente, anzi forse queste sono 2 delle pochissime cose DA SINISTRA che vorrebbero fare (ma che non faranno mai)
Lo spiego meglio, perché pure su twitter tempo fa vidi molta gente impanicata sulla questione case occupate, state tranquilli la nostra sinistra non è così a sinistra, e nessuno vuole togliervi la casa al mare o la casa ereditata da nonna. Quando si parla di case vuote nello specifico si sta indicando le NUMEROSE case in mano allo STATO ITALIANO, le suddette "case popolari", che sono appunto inutilizzate, altre andrebbero ristrutturate, ma devono essere assegnate. C'è molta gente che ne ha urgentemente bisogno (ad esempio i senza dimora, ma anche chi vive strutture che non garantiscono una vita dignitosa o sono addirittura pericolose -vedi la recente tragedia a Scampia) perciò se per te "dare un tetto ai poveri" è una cosa che non riguarda il sociale, non so.
Stesso si può dire sulla patrimoniale, tassare di più i ricchi per far respirare i poveri. Ci sarebbero più entrate, e quindi anche più investimenti per le infrastrutture che sono carenti, soprattutto nel mezzogiorno come hai fatto notare.
Poi ti prego, menzionami tutti i paesi del mondo ma non uno in cui 1. la sinistra non esiste 2. non hanno manco una sanità pubblica, cioè noi siamo la merda della merda ma mai al livello di quelli là, grazie.
Per il resto mi trovi d'accordo sul fatto che la sinistra fa poco la sinistra (a parte le 2 cose che mi hai menzionato, che ripeto, sono le uniche cose DA SINISTRA che vorrebbero fare), ormai il PD è la nuova DC
E mi trovi pure d'accordo sull'approccio della "sinistra" che fa schifo, e non tanto per il memino scemo di Geronimo Stilton, è proprio imbarazzante la puzza sotto al naso, come se stessero parlando ad una sorta di élite, e se vuoi essere di sinistra non puoi fare l'elitario, quella è roba da destra (che difende i ricchi), la sinistra deve guardare ai poveri, punto.
Quindi io più che cringiare per Geronimo Stilton, mi preoccuperei più di gente che senza ironia alcuna se ne esce con roba tipo "aboliamo il suffragio universale", questo è un atteggiamento sbagliato e anche classista.
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Sono tornata con i miei post polemici. La polemica di oggi è su coloro che non sono andati a votare, sì sono passati quattro giorni ma non avevo scritto nulla quindi lo faccio ora.
Il voto è un diritto, se oggi tutti (non è proprio corretto ma ecco, diciamo gran parte) possiamo votare è perché qualcuno ha versato del sangue per far sì che i fatti cambiassero. Dovreste saperlo, è storia, ma c’è molta ignoranza in giro quindi ve lo ricordo:
- A metà 1800 potevano votare soltanto maschi sopra i 25 anni, appartenenti a classi sociali elevate, ricchi
- Successivamente il diritto di voto venne dato anche alla media borghesia e l’età venne abbassata a 21 anni, ovviamente solo maschi
- Nei primi anni del 1900 il voto non dipendeva soltanto dalla classe sociale e dall’età ma anche dall’istruzione (ps. Questo classismo chi vi ricorda nello scenario politico italiano attuale?)
- Il suffragio universale maschile venne introdotto nel 1912, il 30 giugno
“L'elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione, restando ferme per i maggiorenni di età inferiore ai 30 anni le condizioni di censo o di prestazione del servizio militare o il possesso di titoli di studio già richiesti in precedenza. Il corpo elettorale passò da 3.300.000 a 8.443.205, di cui 2.500.000 analfabeti, pari al 23,2% della popolazione. Non si attuò invece la revisione dei collegi elettorali in base ai censimenti. La Camera respinse con votazione per appello nominale la concessione del voto alle donne (209 contrari, 48 a favore e 6 astenuti).”
- Nel 1946 le donne di almeno 25 anni VOTARONO FINALMENTE PER LA PRIMA VOLTA. Sono passati solo 70 anni.
Ho iniziato questo post scrivendo che votare è un diritto e con questa digressione storica vi ho spiegato ampiamente la lotta che c’è stata per far sì che tutti potessero e possano tutt’ora esercitarlo.
Ma votare è anche un dovere. Eh già, noi siamo cittadini e, pensate un po’, votare è un dovere civico.
Articolo 48 della Costituzione: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.”
L’astensionismo non è un “mi faccio sentire, non vado quindi capiscono che sono arrabbiato/a e che la politica fa schifo, sono tutti brutti e cattivi.”
No, questo è avere la mentalità di un 5enne. L’astensionismo non è un mostrare sfiducia, è IGNORANZA e ignoranza nel senso vero e proprio ossia IGNORARE. Ignorare ciò che accade in Italia, in Europa, nel mondo. Ignorare le decisioni che verranno prese e che non verranno prese perché non siete andati a votare.
State buttando via secoli di storia non esercitando questo diritto e non facendo il vostro dovere.
E ora, non vi lamentate se avete scelto di non manifestare la vostra volontà.
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Oggi assistiamo ad un trend di denatalità che interessa tutte le nazioni sviluppate, (...) le differenze tra le nazioni come Francia e Svezia che si sono più date da fare (...) (tassi di fertilità rispettivamente di 1,86 ed 1,66) ed i Paesi che sono in ritardo su questo fronte come è certamente l’Italia (tasso fermo all’1,24), si limitano a pochi punti decimali (sufficienti comunque a passare da un declino gentile ad un precipizio). [Senza considerare che il delta è in gran parte dovuto a "risorse" che portano altri problemi, ndr]. (...)
Le vie tradizionali delle politiche familiari che (...) ruotano attorno a trasferimenti in denaro (detrazioni fiscali, assegni familiari) o in fornitura di beni e servizi (asili nido gratuiti, congedi parentali) sembrano inefficaci (il caso estremo è Singapore che, nonostante disponga delle politiche nataliste più generose di tutta l’Asia, è fermo ad un tasso di fertilità pari a 1,1).
Forse è giunto il tempo di individuare politiche più audaci, che non si limitino a rendere meno costosa la scelta di avere figli, ma siano piuttosto riforme strutturali (...) per promuovere un ambiente davvero favorevole alla crescita demografica e alla prosperità delle famiglie.
Un articolo scientifico del demografo Paul Demeny, pubblicato nel 1986 con il titolo Politiche pronataliste per Paesi a bassa fertilità, si poneva in maniera innovativa queste stesse domande. Cercando di tenersi egualmente distante dai pericoli di un certo radicalismo utopico e dall’assistenzialismo estremo, Demeny mette sul piatto quattro proposte radicali, che superano l’approccio del mero abbattimento del costo di fare figli e rimettono al centro della questione della natalità la famiglia, il cui ruolo sociale va vigorosamente ricuperato dopo decenni di marginalizzazione.
Solo famiglie forti e stabili - secondo Demeny sono in grado di invertire i trend demografici negativi che stanno travolgendo tutto il mondo sviluppato.
- Una prima proposta (...) è quella di parametrare le prestazioni pensionistiche future alle scelte di fertilità attuali. (...) La tesi di fondo è che senza un sistema pensionistico i lavoratori generino i figli come forma di autoassicurazione per i tempi in cui non saranno più in grado di lavorare (funzionava così anche qui fino alla guerra mondiale), mentre in presenza di un sistema pensionistico universale a riparto, come quello italiano, i figli generati oggi saranno i contribuenti che pagheranno le pensioni di domani anche a coloro che oggi decidono di non avere figli. Insomma, gli economisti parlerebbero di benefici pensionistici futuri pubblici e non escludibili a fronte di costi di crescere figli che rimangono privati; di qui il problema della sottoproduzione, tipico dei beni pubblici.
L’idea di Demeny di agganciare le prestazioni pensionistiche future alle scelte di fertilità attuali riallineerebbe i costi attuali ai benefici futuri e, quindi, indurrebbe scelte di fertilità ottimali. La proposta di Demeny ha già avuto qualche labile eco nella scelte pubbliche. Pensiamo alla discussione recente sulla possibilità di ridurre i requisiti pensionistici per le donne che hanno avuto figli, prevista da Opzione Donna. Rispetto a questa iniziativa, l’intuizione di Demeny suggerisce di non guardare alle scelte di fertilità passate, sulle quali non si può più incidere, ma alle scelte prossime, in vista di pensioni future. Inoltre, le scelte di fertilità riguardano entrambi i genitori, pertanto l’incentivo dovrebbe essere offerto a entrambi, a fronte di un impegno duraturo nel tempo rispetto alla crescita dei figli. Questa prospettiva fa salve le finanze pubbliche nell’immediato, perché nessun incentivo deve essere speso, perché se l’incentivo è efficace, una più alta fertilità permetterà di sostenere il sistema pensionistico.
- Un'altra proposta (...) riguarda rendere il suffragio davvero universale, estendendo il voto anche a quella parte importante della popolazione che ancora ne è priva. (...) La proposta è quella di introdurre il voto fiduciario dei bambini, esercitato attraverso i genitori (fino ai 18 anni o anche meno). Questo meccanismo rafforzerebbe il ruolo delle famiglie e delle future generazioni nel sistema politico decisionale e la conseguente allocazione delle risorse pubbliche (...). Del voto alla Demeny - per la verità già Antonio Rosmini ne aveva parlato a metà 800 - si discute per ora solo a livello accademico (...). Sarebbe (interessante) sperimentarne la sua efficacia in qualche contesto decisionale minore (amministrazioni locali etc.), al fine di poterne misurare l’efficacia (...).
- Un’ulteriore proposta radicale (...) concerne l’incorporazione della famiglia. (S)ignifica considerare la famiglia come un'unità economica interconnessa, simile a un'azienda, in cui i ricavi (salari, rendite, pensioni) sono considerati una risorsa di proprietà della famiglia stessa e non dei singoli coniugi. In Italia è già previsto il regime patrimoniale della comunione dei beni, che però è opzionale e concerne solo i beni acquistati dai coniugi insieme o individualmente durante il matrimonio. La proposta di Demeny estende il regime di comunione anche ai redditi, con l’idea che questa condivisione profonda delle risorse rafforzi in particolare modo la posizione della donna (...) e consenta alle potenziali madri di affrontare con più serenità i rischi connessi agli investimenti specifici della maternità.
- Infine, l’ultima delle idee “dirompenti” di Demeny concerne il rafforzamento della responsabilità e dell’autorità dei genitori (riguardo le scelte educative) (...). Demeny riteneva infatti che lo Stato “balia”, il quale ha l’ambizione di sostituire integralmente le funzioni genitoriali -inclusa quella educativa-, ha finito con il rendere ridondante il bisogno e l’ambizione di costruire una famiglia.
(P)otrebbe pertanto essere auspicabile rafforzare la responsabilità e l'autorità dei genitori sull’educazione dei figli attraverso l'implementazione di voucher che promuovono la competizione tra istituzioni scolastiche e restituiscono il controllo sull'educazione dei figli ai genitori stessi, oltre a favorire un miglioramento complessivo della qualità dell'istruzione e dell'ambiente educativo.
Certo, ciascuna di queste quattro proposte è a suo modo impegnativa (...) con ramificazioni legali sono profonde fino a toccare la Costituzione stessa.
Tempi difficili necessitano però di proposte radicali e le sfide che l’inverno demografico (...) non possono essere affrontate con le consuete (...) politiche basate su incentivi economici volti a compensare il mero costo dei figli.
Non avrei mai pensato di rebloggare un articolo di Avvenire ma stavolta è profondamente LIBERTARIO E MINARCHISTA (minimizzare il ruolo dello Stato, tornare alle famiglie), probabilmente a sua insaputa, via https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/voto-ai-figli-pensioni-ponderate-idee-audaci-contro-la-denatalit
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“ Che cosa è l'anarchia? È la conseguenza estrema del liberalismo, e si basa soprattutto su due concetti: sulla credenza che gli uomini abbiano una tendenza naturale a lavorare, a produrre, ad associarsi, e sull'altra credenza che gli uomini siano guastati dalle leggi. Queste, in certa guisa, rappresentano un male, poiché sono la violenza contro l'ordine naturale delle cose. Come tutte le dottrine estreme, anche l'anarchia si basa sull'ottimismo; ma appunto per questo ha un fascino di attrazione sulle anime semplici e sugli spiriti indocili. Essa trascina gl'ingenui e i violenti. Quello che è stato chiamato più tardi il materialismo storico, la concezione marxistica della storia è chiaramente tracciata nell'opera di Pisacane, il quale riattaccava i fatti politici ai fenomeni della produzione. Alcuni brani della sua opera sembrano scritti ora, tanta é la modernità che l'ispira. « Tutte le leggi, tutte le riforme, eziandio quelle in apparenza popolari, favoriscono solamente la classe ricca e esulta, imperocché le istituzioni sociali, per la loro natura, volgono tutte in suo vantaggio. Voi plebe, allorché crederete avvicinarvi alla mèta, ne andrete invece più lontano. Voi lavorate, gli oziosi gioiscono; voi producete, gli oziosi dissipano; voi combattete ed essi godono la libertà. Il suffragio universale è un inganno. Come il vostro voto può esser libero, se la vostra esistenza dipende dal salario del padrone, dalle concessioni del proprietario? Voi indubbiamente voterete costretti dal bisogno come quelli vorranno. Come il vostro voto può esser giusto, se la miseria vi condanna a perpetua ignoranza e vi toglie ogni abilità per giudicare degli uomini e dei loro concetti? ». Se la rivoluzione fosse riescita vincitrice, Pisacane avea un piano per abolire la proprietà privata, e trasformarla in proprietà comune; abolire lo Stato e andare incontro a una specie di comunismo della produzione. Poi che era fuori della realtà, non vedeva e non sentiva tutte le difficoltà che la natura delle cose opponeva a tutti i suoi piani; come ogni anarchico egli vedeva il male non già nella natura e nelle difficoltà limitatrici inerenti all'anima umana, ma nella volontà degli uomini: uno sforzo di una minoranza audace parea a lui dovesse bastare a tutto. Pure come l'errore ha il fascino e l'illusione ha le dita di rose, alcune pagine di Pisacane non si rileggono né meno adesso senza commozione. “
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Brano tratto dal saggio breve Eroi (1898) raccolto in:
Francesco Saverio Nitti, Eroi e briganti, Edizioni Osanna (collana Biblioteca Federiciana n° 3), Venosa (PZ), 1987¹; pp. 20-21.
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ti prego facci un post-sfogo sul premierato. avrai la mia infinita gratitudine
ALLORA ECCOCI. ve lo buco davvero questo premierato?
intanto capiamo super brevemente il contesto: si parla di modificare la costituzione (per la procedura, art. 138) intervenendo sulla forma di governo, in particolare modificando gli articoli 92 e 94. la forma di governo è, in soldoni, il modo in cui il potere è suddiviso e organizzato all'interno dello stato; per intenderci, ché forse si fa prima: tra le forme di governo più intramontabili ci sono quella parlamentare (la nostra, quella britannica, nonché di moltissimi paesi europei e non solo), presidenziale (usa, molti paesi dell'america latina), semi-presidenziale (francia) [chiaramente si tratta solo di esempi, ce ne sarebbero molti altri e mi limito a quelli più emblematici, letteralmente "da manuale"]. ma ce ne sono altre varietà. il fil rouge che le collega è che tutti questi concetti esprimono in maniera molto diretta quale sia il "traino" dell'organizzazione del potere: nella fdg parlamentare c'è al centro l'organo rappresentativo. da noi attualmente il parlamento dà o meno la fiducia al governo, mentre nella forma di governo presidenziale il capo dello stato è molto più forte e non dipende dal parlamento, ma questo rapporto di forza apparentemente sbilanciato ritorna in pari con dei dovuti contrappesi, come l'impeachment. inoltre, e questo va detto per un po' di chiarezza in più, ciascuna forma di governo assume caratteristiche differenti: il parlamentarismo italiano, quello inglese, quello spagnolo e quello tedesco presentano delle differenze sostanziali tra di loro, e questo dipende da ragioni di evoluzione storica della forma di governo, dal fatto di essere monarchie/repubbliche, stati unitari/regionali/federali, scelte dei costituenti etc.
il punto è che non importa la forma di governo scelta, ma conta che il potere sia diviso in modo tale da essere esercitato senza pericolo di derive arbitrarie e autoritarie, e che questi limiti consistano in un sistema di pesi e contrappesi che garantiscano che ogni organo "controlli" (non arbitrariamente, ma secondo l’architettura costituzionale) l'altro, in modo da assicurare, globalmente, il corretto funzionamento delle istituzioni nel rispetto della costituzione. PERÒ è anche vero che la regola numero uno della comparazione giuridica ci insegna che, per una serie di fattori oltre il giuridico: sociali, storici, culturali..., i "trapianti giuridici" fatti a sproposito non vanno quasi mai a buon fine. pertanto, nella mia onesta e modesta opinione, il "premierato non fa per noi", perché concentra il potere e la legittimazione nelle mani non (solo) del governo, ma proprio del capo del governo, sminuendo il ruolo di garanzia del presidente della repubblica e, soprattutto, depotenziando il parlamento. da quello che abbiamo detto nel paragrafo precedente, infatti, evinciamo che "premierato" è quella forma di governo dove è il primo ministro/capo del governo/premier/presidente del consiglio (anche se ciascuno di questi termini ha accezioni un po' diverse) a rappresentare il centro nevralgico dell'organizzazione del potere.
torniamo quindi alla proposta di riforma costituzionale
L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente: (...) Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. (...) La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri. (...) Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.”
All’articolo 94 della Costituzione sono apportate le seguenti modifiche: A) Il terzo comma è sostituito dal seguente: “(...) il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”; B) dopo l’ultimo comma è aggiunto il seguente: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”
elezione diretta del presidente del consiglio: non solo costituzionalmente, ma anche simbolicamente, si concentra l'influenza su una sola persona
premio di maggioranza: si spera che in una eventuale nuova legge elettorale venga espressa una soglia minima, una percentuale di voti da raggiungere per ottenere un così significativo premio di maggioranza. altrimenti, se bastasse aver ottenuto anche un solo voto in più rispetto agli avversari, saremmo in odore di incostituzionalità
governabilità-rappresentatività: sono i due princìpi cardine quando si parla di forme di governo e democrazia. un certo livello di governabilità è necessario, ma è indispensabile, a monte, garantire la rappresentatività del sistema (sia intesa come rappresentazione dei partiti politici che ottengono seggi in parlamento, e questo lo si vede nel dibattito sui sistemi elettorali: maggioritario o proporzionale? proporzionale puro o con dei correttivi? ecc., sia come ruolo e centralità del parlamento a legislatura avviata). altrimenti che democrazia è, quasi letteralmente?
ruolo "notarile" del PdR, che si trova semplicemente a ratificare l'avvenuta elezione del PdC. ma questo sbilancia il rapporto tra poteri: oggi il capo dello stato nomina il presidente del consiglio a seguito di consultazioni, poi il PdC e il suo governo debbono ottenere la fiducia del parlamento. qui il rapporto si ribalta perché il presidente del consiglio si trova ad avere una maggiore legittimazione, popolare, rispetto al presidente della repubblica, che quindi deve nominare per forza il presidente del consiglio eletto
l'istituto della fiducia è centrale nel parlamentarismo, ma quasi paradossale in questo premierato: se il Parlamento non dà la fiducia al governo, c'è un cortocircuito: come può un parlamento non approvare la fiducia al governo il cui capo è eletto direttamente dal popolo? considerando anche che in caso di mancata fiducia anche al secondo tentativo, si attiva il meccanismo simul stabunt, simul cadent, e cioè che alla caduta (o mancata fiducia iniziale) del governo corrisponde anche lo scioglimento delle camere e il ritorno a elezioni (oggi non è così, e infatti abbiamo solitamente più governi per legislatura. in occasione di una crisi di governo, le camere vengono sciolte e si torna a votare solo se proprio non si riesce a formare un nuovo esecutivo)
e in generale il parlamento è come "in ostaggio", per certi versi, perché sa che per tutta la durata della legislatura una sfiducia al governo equivale allo scioglimento delle camere, e quindi sarà motivato a prestare sempre fiducia all'esecutivo, che, forte di questo e non necessariamente di particolari meriti politici, tenderà a durare di più, avendo in mano questa carta pronta a ricattare il parlamento
anche qui, attenzione al potere di scioglimento delle camere, che diventa più "funzionale" rispetto alla sua natura di prerogativa del capo dello stato mirata a garantire la costituzione e l'unità nazionale
cercherò di essere breve perché già da quanto ho detto si evincono il mio punto di vista e le mie preoccupazioni (così come quelle di tanti tecnici, quello che dico io non me lo invento di sana pianta, ma è il frutto di riflessioni che partono dal sentire gente più esperta di me). secondo me non è "il premierato" ad essere malvagio (anche se comunque non rientrerebbe mai nella mia top 3 forme di governo). piuttosto, è problematico questo modo di intenderlo, ed è preoccupante l'idea di adottarlo in italia, visti i precedenti storici e vista la tendenza costante alla personalizzazione della politica prima e del potere poi, promossa non solo dalla classe politica stessa, ma anche da una fetta assolutamente non irrilevante della popolazione.
chi sostiene una revisione costituzionale che vada in questa direzione, oltre ad apprezzare il boost di governabilità che ne deriverebbe, afferma anche che verrebbe dato molto più spazio alla sovranità popolare, per via della selezione diretta del capo del governo, ma io, personalmente, concordo con chi invece fa notare che, okay la scelta del presidente del consiglio, ma votare oggi e 1) non poter contare su una solida rappresentanza politica (il parlamento) per i successivi cinque anni, poiché quest'ultimo, per i meccanismi che abbiamo visto, sarebbe a) popolato da una maggioranza potenzialmente "gonfiata" (il problema è quanto) da un premio di maggioranza, e soprattutto b) sotto il ricatto dello scioglimento anticipato qualora mai osasse sfiduciare il governo, 2) trovarsi in un sistema in cui anche le altre garanzie, come quella rappresentata dal capo dello stato, sono messe a margine della scena politica, 3) avere a che fare con un esecutivo così potente, che quindi potrebbe promuovere chissà che politiche con molta più facilità (e già da anni, comunque, assistiamo a una iper-centralità dell'esecutivo, a danno del parlamento, che alle volte si esautora da sé lasciando l'iniziativa al governo) - ecco concordo con chi dice che tutto questo e molto altro non sono esattamente il massimo per una democrazia costituzionale che si rispetti
varie ed eventuali: l'attuale disegno di legge cost. promosso dal governo propone altresì 1) l'abrogazione della parte dell'articolo 59 relativa ai senatori a vita, impedendo di nominarne altri: rimarrebbero, a vita, quelli che ci sono già, ma poi la carica cesserebbe di esistere. salvo gli ex presidenti della repubblica che diventano di diritto senatori a vita, ma questo ha anche una funzione - indirettamente - di garanzia della "messa a riposo", se vogliamo, di chi ha già ricoperto la più alta carica dello stato; 2) la modifica dell'art. 88, in modo tale che non sia più possibile sciogliere una sola delle camere
precisazione grande come una casa: il discorso è molto molto ampio e non solo si potrebbe dire molto di più sul tema specifico, ma tutto quello che ho detto vale per i regimi democratici e vincolati da una costituzione efficace ed effettiva. le forme di governo esistono dappertutto, ma nei regimi NON democratici non è contemplato alcun sistema di pesi e contrappesi tra poteri e organi, così come viene negata la supremazia della costituzione (quindi la necessità che quest'ultima stabilisca precisi vincoli all'esercizio del potere). ad esempio l'attuale costituzione tunisina del 2022 delinea un iper-(semi, perchè un primo ministro c'è, ma 'nzomma)-presidenzialismo privo di garanzie costituzionali: un parlamento molto molto limitato, un governo assoggettato al presidente, una corte costituzionale (non ancora operativa) con pochissimi poteri e i cui membri, comunque, verrebbero scelti pescando dalle sfere più alte della magistratura - ma lì il presidente ci ha già piazzato altra gente scelta da lui, quindi di che garanzia costituzionale si tratterebbe?, e niente impeachment. quindi insomma, è già complicato quando si parla di democrazie costituzionali "solide" e basta, figuriamoci quando si esce dal seminato e si affrontano ordinamenti assai diversi ([…] nota metodologia che però non faccio perchè mi addormenterei da sola)
spero di essere stata utilmente esaustiva <3
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Il video lo trovate su Radio Radicale e sul profilo fb di Abolizione del suffragio universale.
I maturandi ed i frequentatori di scuole dell'infanzia si astengano.
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raga ma voi ancora votate io non voto dal lontano 1946 (anno del suffragio universale italiano in occasione del referendum monarchia o repubblica) (votai monarchia) (pensavo si riferissero a quella borbonica)
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C'è ancora domani: il bellissimo (e arrabbiato) esordio alla regia di Paola Cortellesi
C'è ancora domani, esordio da regista più che convincete di Paola Cortellesi, qui anche sceneggiatrice e interprete: un film da vedere, magari insieme ai propri figli.
Non importa a quale estrazione sociale appartengano e indipendentemente dal livello di istruzione ed economico, tutti gli uomini del film d'esordio da regista di Paola Cortellesi dicono alla protagonista Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, che "se deve impara a sta' zitta". Ma L'attrice più popolare del cinema italiano contemporaneo non ci sta e, preso in mano il microfonoe la macchina da presa, ne ha diverse di cose da dire. Alla faccia di chi fa notare con pregiudizio e senza domandarsi mai realmente cosa abbiano da raccontare, fermandosi solamente al perché - come mai negli ultimi anni, sempre più attrici stiano passando dietro la macchina da presa. Con C'è ancora domani si può dire che Cortellesi ha stupito: non è soltanto perchè è importante ciò che dice, ma anche come.
C'è ancora domani: foto di gruppo del cast
Il film è ambientato in un Italia del primissimo dopoguerra, e per essere precisi nel 1946, nei giorni che precedono il voto tra Repubblica e Monarchia, primo vero suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo, la fotografia è di Davide Leone, ci si accorge subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare la casa e prole fa tre lavori diversi. Ma nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente ha ricoperto un ruolo così cattivo sul grande schermo. L'uomo la umilia e la svaluta continuamente. E soprattutto la picchia, o come si dice a Roma la mena. Tanto, ed a ogni minimo cambiamento d'umore. Persino la mattina appena svegli.
Ma nonostante tutto, Delia lavora, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano). La ragazza vorrebbe continuare a studiare, ma il padre invece pensa solamente a farla sposare bene, in modo da togliersi dalle spalle una bocca in più da sfamare. E magari nel mentre guadagnarci pure. Sì perché nella casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c'è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): e sentendolo parlare si capisce subito da dove provenga la violenza di Ivano. Ma l’uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia maggiore la insulta, le dice che non vale niente e accusandola di essere debole perché non reagisce. In realtà la ragazza rivede nella madre il suo futuro.
Paola Cortellesi ha scritto, insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda, diretto e interpretato un film, anche se ambientato negli ultimi anni quaranta del secolo scorso è pieno di "rabbia giovane". Questo perché la rabbia delle donne non conosce tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere che viene considerato "minore" è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare sarai molto spesso pagata meno e considerata meno. Anche fastidiosa, specialmente quando cercherai di dire la tua. Perché "quello è omo!", come dice a Delia il datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso con il nuovo apprendista. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano state e sono le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale, forse ora in modo meno sfacciato, dice sempre "e ringraziate che vi facciamo esistere".
C'è ancora domani: un primo piano di Valerio Mastandrea
E all’interno del film questo è evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un bravo ragazzo dolce e innamorato, ripete presto nei confronti della ragazza schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto al giorno d’oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi avanti invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quotidianamente. L'utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è per nulla casuale. Perché storie come questa possono anche sembrarci lontane, ma accadono quotidianamente, anche nel "civile" 2024. E dare per scontati diritti come quello del voto, al divorzio e all'aborto, conquistati se ci fermiamo a pensare praticamente ieri, è un pericolo insidioso. quindi anche in tempi moderno e più “civili” non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo ha fatto di certo e ha avuto la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale o uno "spiegone-manifesto". Ma nonostante la pesantezza del tema, C'è ancora domani risulta essere anche un film divertente - grazie a quell'ironia popolare e acutissima della Cortellesi, spalleggiata nel film in modo sublime da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come impronta stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che esso sia positivo o negativo. Ed ecco quindi che l'ennesima scarica di schiaffi diventa un ballo in cui i lividi spariscono o una scena d'amore viene "sporcata" da della cioccolata rimasta tra i denti.
È un esordio alla regia più che riuscito quello di Paola Cortellesi, in cui si trova finalmente qualcuno nel cinema italiano che non è nostalgico del passato ma, anzi, è invece totalmente proiettato verso il futuro. C’è ancora domani è un film che sarebbe bello le madri vedessero insieme alle figlie e, si spera, vedano anche padri e figli. Per capire che non basta dire "io non sono così", ma è il momento di dire: non voglio che queste cose succedano ancora e ancora, quindi cosa posso fare per cambiare le cose?
In conclusione C'è ancora domani, il film esordio di Paola Cortellesi alla regia, è più che convincente: ed è un film che bisognerebbe far vedere a quanti più giovani possibile, per mostrare come una società che considera meno, e umilia, più della metà della sua popolazione sia una società malata. Divertente in diversi punti e con tante scelte di regia interessanti estremamente consapevoli e con un cast perfetto sicuramente una delle pellicole migliori del 2023 per quanto riguarda il cinema italiano.
👍🏻
- La regia di Paola Cortellesi, strepitosa e piena di idee interessanti.
- La recitazione di tutto il cast.
- Il ritmo incalzante.
- La scrittura, che si poggia su un'ironia dissacrante.
👎🏻
- Non c’è nulla che non vada in questo film ma qualcuno potrebbe non apprezzare l'utilizzo di musiche moderne per un film d'epoca ma in realtà il loro utilizzo è una scelta perfettamente coerente con quanto viene raccontato.
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Esiste davvero la democrazia?
Il guaio della democrazia, abbiamo detto, è che non può mantenersi all'altezza del suo significato, non esiste un governo del popolo e non può esistere, è una fantasia, un desiderio, come vivere in eterno o pensare di decidere del proprio destino. E poi, cosa sarebbe un governo del popolo? Forse una nazione senza partiti e "corpi intermedi" che ad ogni decisione da prendere consulti i propri cittadini tramite suffragio universale, una cosa impossibile nella teoria come nella prassi. Penso che sarebbe invece il caso di accordarci attorno a un significato di democrazia come rispetto per le persone, sarebbe già tanto, una demofilia più che una democrazia, senza però scadere nel melenso; vedo invece le democrazie attuali scivolare sempre più verso un paternalismo peloso che implicitamente vuole significare: da solo non sei in grado di decidere quello che è più giusto per te, fidati di noi, noi lo sappiamo. Non è così che funziona la democrazia.
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Belva Lockwood
Gli uomini dicono sempre: ‘Vediamo cosa sai fare’. Se parliamo sempre e non lavoriamo mai non realizzeremo nulla. Dopotutto, l’uguaglianza di diritti e privilegi non è altro che semplice giustizia.
Belva Lockwood, avvocata, educatrice e attivista, è stata la prima donna a candidarsi per la presidenza degli Stati Uniti nel 1884.
Si è fatta largo in un’epoca in cui era convinzione che le studentesse distraessero i colleghi e la professione legale fosse appannaggio di soli uomini, in cui si riteneva che il cervello e il temperamento femminile non fossero adatti a lavori con responsabilità. Anni in cui affari e transazioni si facevano in circoli maschili dove le donne non avevano accesso.
Partita dal nulla, figlia di contadini, ha combattuto con determinazione per avere la possibilità di studiare. Ha subito critiche efferate e superato opposizioni di ogni sorta.
Ha fatto approvare una legge per l’uguaglianza di accesso all’avvocatura ed è stata la prima donna ammessa al foro della Corte Suprema.
Per tutta la vita è stata in prima linea nel sostenere i diritti umani, il suffragio universale, l’emancipazione femminile, i diritti e le pari opportunità delle persone nere e native.
Nata col nome di Belva Ann Bennett, a Royalton, New York, il 24 ottobre 1830, era figlia dell’agricoltore Lewis Johnson Bennett e Hannah Green.
A 18 anni ha sposato Uriah McNall, che dopo quattro anni è morto di tubercolosi.
Per assicurare un futuro migliore a lei e alla sua bambina, è riuscita, dopo un’ardua battaglia a iscriversi al Genesee College, dove si è laureata a pieni voti nel 1857.
Per diversi anni è stata insegnante e poi direttrice di diverse scuole femminili.
Influenzata dall’incontro con Susan B. Anthony, attivista per i diritti delle donne, ha adottato un sistema educativo che forniva una maggiore offerta di possibilità formative per le studenti, lavorando per uniformare la retribuzione.
Affascinata dal mondo della giurisprudenza, ha deciso di studiare legge e si è trasferita con la figlia a Washington, nel 1866, il centro del potere legislativo e governativo.
Nella capitale ha sposato Ezekiel Lockwood, un anziano veterano di guerra che ha sostenuto le sue scelte.
Ha aperto una scuola privata mista, che era una grande novità per quei tempi.
È stata ammessa dall’avvocatura dopo che diversi giudici le avevano detto di non avere fiducia in lei, solo perché donna.
Secondo la legge, il suo status di donna sposata la faceva considerare strettamente subordinata al marito, non poteva possedere o ereditare individualmente una proprietà, né aveva il diritto di stipulare contratti o mantenere i soldi guadagnati senza il permesso del marito.
Ma non si è mai arresa.
Ha dovuto superare l’ostilità dei colleghi maschi della National University Law School e fare ricorso per ottenere la laurea in giurisprudenza dalle mani del presidente Ulysses S. Grant, nel 1873.
Aveva aperto un piccolo studio legale nella sua casa prima ancora di essere ammessa all’ordine degli avvocati.
Attivista per l’emancipazione femminile, ha elaborato e esposto un disegno di legge per la parità di retribuzione e testimoniato davanti al Congresso a sostegno della legislazione per dare alle donne sposate e alle vedove una maggiore protezione legale.
Nel 1870 ha redatto un disegno di legge contro la discriminazione delle donne all’avvocatura, facendo pressioni sul Congresso fino a quando non è stato convertito in legge nel 1879. Questo ha permesso alle avvocate di esercitare in qualsiasi tribunale federale.
È stata la prima donna a prestare giuramento all’avvocatura della Corte Suprema degli Stati Uniti, il 3 marzo 1879 e l’anno successivo, la prima a sostenere un caso.
In seguito, ha supportato Samuel R. Lowery, contribuendo a rendendolo il primo avvocato nero a discutere un caso alla Corte Suprema.
Il suo studio legale attraeva una clientela multirazziale appartenente alla classe operaia. Ha operato nel Distretti di Columbia, Maryland e Virginia, senza temere le lunghe distanze.
Metà del suo lavoro riguardava azioni di divorzio, in cui rappresentava quasi sempre donne. Si è occupata anche di procedimenti ingiuntivi e suddivisione dei terreni. Ha elaborato un numero incalcolabile di atti di vendita e testamenti prima di passare ai reati penali, vincendo molte cause e facendosi apprezzare anche dai suoi detrattori.
Dopo la morte del marito Ezekiel, nel 1877, ha acquistato la casa in cui avevano vissuto, una grande proprietà, fortemente ipotecata, che ha utilizzato anche come pensione e ufficio. Un investimento che le è servito da garanzia per prestiti e accordi commerciali. Per anni ha ospitato minori di cui aveva la tutela legale.
Nel 1881, a 51 anni, incurante dell’opinione generale, ha inforcato una bicicletta per percorrere diverse miglia al giorno, spostandosi tra dipartimenti federali, Campidoglio e tribunali.
Nel 1884 è stata la prima donna a condurre una campagna a pieno titolo per la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, per affermare il diritto al voto e alla partecipazione politica.
Non poteva votare, ma la Costituzione non impediva agli uomini di votare per lei. Ha delineato una piattaforma di 15 punti su un’ampia gamma di temi, tra cui affari esteri, tariffe, pari diritti politici, riforma del servizio civile, nomine giudiziarie, diritti delle persone native che ha spesso rappresentato, protezione delle terre pubbliche, pensioni e diritto di famiglia.
Aveva ottenuto meno di 5.000 voti (tutti maschili) ma non si è scoraggiata e quattro anni dopo si è ricandidata, soprattutto per sollevare agitazione sui diritti delle donne.
È stata anche docente universitaria e ha scritto saggi su suffragio femminile e uguaglianza legale.
Ha collaborato a riviste come Cosmopolitan, American Magazine of Civics, Harper’s Weekl e Lippincott’s e curato il giornale The Peacemaker.
È stata attiva nella National American Woman Suffrage Association e nell’Equal Rights Party e fatto parte della National Women’s Press Association.
Ha rappresentato la Universal Peace Union in congressi in giro per gli Stati Uniti e in Europa.
Nel 1912 ha affrontato e vinto il suo ultimo caso importante, rappresentando una donna che aveva minacciato di uccidere un famoso banchiere di Washington.
All’età di 83 anni ha guidato un gruppo di donne in un tour in Europa e continuato a marciare in sostegno del suffragio femminile e della pace internazionale. Ha continuato a parlare a favore della pace e del disarmo fino alla sua morte, avvenuta il 19 maggio 1917.
È sepolta nel Congressional Cemetery e, nel 1983, è stata inserita nella National Women’s Hall of Fame con la motivazione: “Usando la sua conoscenza della legge, ha lavorato per garantire il suffragio femminile, le riforme del diritto di proprietà, la parità di retribuzione lavorativa e la pace nel mondo. Fiorendo di pubblicità e partigianeria e incoraggiando altre donne a perseguire carriere legali, ha contribuito ad aprire la professione legale alle donne”.
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2 giugno, Sangiuliano: “Musei gratis per celebrare unità nazionale”
2 giugno, Sangiuliano: “Musei gratis per celebrare unità nazionale” "I musei e i parchi archeologici statali saranno aperti gratuitamente nella giornata del 2 giugno. Si tratta di una scelta attraverso la quale vogliamo celebrare la Repubblica e i valori di coesione nazionale mettendo al centro il nostro patrimonio culturale, uno dei caratteri distintivi dell'Italia. Ho voluto fortemente aprire gratuitamente i nostri siti museali in giornate dall’alto valore simbolico come il 25 aprile, il 2 giugno e il 4 novembre. Prima non era così. E, stando ai dati di affluenza registrati in queste giornate, l'iniziativa è stata apprezzata”. Lo ha dichiarato il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. “Con il voto del 2 giugno 1946, il primo a suffragio universale maschile e femminile, gli Italiani scelsero la Repubblica. Questa festa è il momento in cui celebriamo i valori condivisi, al di là delle diverse legittime posizioni”, ha concluso il Ministro. Quest’anno il 2 giugno coincide con #domenicalmuseo, l’iniziativa del MiC che consente l’ingresso gratuito, ogni prima domenica del mese, nei musei e nei parchi archeologici statali. Le visite si svolgeranno nei consueti orari di apertura, con accesso su prenotazione dove previsto. Domenica 5 maggio l’affluenza registrata è stata di 382.775 persone. Per informazioni e per consultare l’elenco completo consultare il seguente link.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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[...] gli Occidentali chiamano civiltà ciò che gli altri chiamerebbero barbarie, giacché è proprio l'essenziale a mancargli [...]; con quale diritto gli Occidentali pretenderebbero di imporre a tutti il loro modo di valutare le cose? Non dovrebbero dimenticare di essere soltanto una minoranza nell'insieme dell'umanità terrestre; ovviamente una considerazione quantitativa non prova nulla ai nostri occhi, ma dovrebbe fare una certa impressione su persone che hanno inventato il «suffragio universale» e credono nelle sue virtù. Se essi si accontentassero di affermare la superiorità immaginaria che si attribuiscono, questa illusione porterebbe danno solo a loro; ma la cosa più tremenda è il loro furore di proselitismo: in essi lo spirito di conquista si traveste di pretesti «moralistici», vogliono costringere il mondo intero a imitarli in nome della «libertà»! Più stupefacente è che, nella loro infatuazione, gli Occidentali pensano in buona fede di godere di «prestigio» presso tutti gli altri popoli; siccome sono temuti come si teme una forza bruta, si credono ammirati; l'uomo che una valanga minaccia di travolgere è forse per questo pieno di rispetto e ammirazione per essa?
René Guenon, Oriente e Occidente, trad. it. di Pietro Nutrizio, Adelphi, 2016
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