#sostenibilità SSN
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pier-carlo-universe · 24 days ago
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Perché il sistema sanitario pubblico è sostenibile.Mercoledì 5 febbraio 2025, ore 14:30 | Aula Magna, Padiglione 5, Policlinico Sant’Orsola IRCCS, Bologna.
Un importante evento dedicato alla sostenibilità del sistema sanitario pubblico si terrà il 5 febbraio 2025 presso l’Aula Magna del Padiglione 5 del Policlinico Sant’Orsola IRCCS di Bologna
Un importante evento dedicato alla sostenibilità del sistema sanitario pubblico si terrà il 5 febbraio 2025 presso l’Aula Magna del Padiglione 5 del Policlinico Sant’Orsola IRCCS di Bologna. L’incontro, organizzato con ingresso gratuito e iscrizione obbligatoria, vedrà la partecipazione di esperti di rilievo nazionale e internazionale. Programma e tematiche principali.L’evento si aprirà con il…
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sbircialanotiziamagazine · 3 months ago
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stranotizie · 3 months ago
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I risultati di un'indagine condotta da Swg per Assosalute delineano l'importanza dei farmaci di automedicazione per la salute pubblica. Secondo Michele Albero, presidente di Federchimica-Assosalute, i farmaci di automedicazione possono trattare piccoli disturbi e patologie non gravi, contribuendo alla sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Questo commento è stato fatto in occasione dell'incontro "La trasformazione in atto del SSN - L'impegno del settore dell'automedicazione per la sanità territoriale", organizzato a Roma. Assosalute rappresenta il 70% delle aziende che producono farmaci di automedicazione, ovvero farmaci che non necessitano di prescrizione medica. L’organizzazione si impegna a promuovere una cultura e un'informazione sull'automedicazione in modo responsabile, mirando a un uso più consapevole di questi farmaci. L’obiettivo è garantire che un numero crescente di persone possa ricorrere all'automedicazione per trattare malanni stagionali o invernali, riducendo così il rischio di complicazioni eccessive. Michele Albero ha sottolineato l'importanza della collaborazione tra medici di famiglia e farmacisti, per una medicina di comunità più efficace. L'indagine ha mostrato che entrambe le figure professionali godono di una significativa fiducia da parte dei cittadini, evidenziando il loro ruolo vitale come primo punto di accesso alla salute. Albero ha concluso enfatizzando che la sinergia tra queste professioni è fondamentale per garantire una sanità territoriale adeguata e accessibile. In sintesi, l’automedicazione si configura come un elemento chiave nel sistema della salute pubblica, con benefici sia per i cittadini che per la sostenibilità del sistema sanitario. La promozione di una corretta informazione e un uso responsabile di questi farmaci, unita alla cooperazione tra professionisti della salute, è fondamentale per affrontare le sfide attuali della sanità.
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Gimbe, Ssn in codice rosso tra liste attesa e rinuncia a cure
 Il Servizio sanitario nazionale è in codice rosso: liste di attesa infinite, rinunce alle cure, innovazioni inaccessibili, diseguaglianze senza precedenti. E mentre la sanità pubblica arretra, il privato avanza. E’ l’analisi della Fondazione Gimbe, secondo cui “serve un radicale cambio di rotta” ed un piano di rilancio del Ssn.    “La crisi di sostenibilità del Ssn – dichiara Nino Cartabellotta,…
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scienza-magia · 3 years ago
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Vi saranno altri lokdown causa pandemia coronavirus
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Sanità allo stremo, rischio serio. La pandemia non è finita. Si ripetono gli appelli da parte della comunità scientifica e delle principali autorità sanitarie internazionali a non abbassare la guardia e gli inviti a prepararsi adeguatamente alle sfide della stagione fredda, quando si concentreranno gli attacchi di tutti i germi a trasmissione respiratoria. Questi appelli pare, però, che non sortiscano effetti particolari né nelle opinioni pubbliche né nei governi. Entrambi sembrano intenzionati a far finta che la pandemia sia finita. È un’illusione pericolosa per due motivi, il primo legato direttamente al Covid-19, il secondo alla sostenibilità dell’intero Servizio sanitario nazionale. Per quanto attiene il primo motivo, non ci stiamo preparando adeguatamente alla stagione autunnale, la campagna vaccinale per proteggere la parte più fragile della popolazione langue: soltanto una pallida minoranza degli ultraottantenni e ancora meno di ultrasessantenni è coperta da una seconda dose di richiamo e gli effetti negativi si osservano sin d’ora con un elevato numero di morti. Gli interventi per dotare gli ambienti chiusi di un’adeguata ventilazione meccanica sono in ritardo, soprattutto nelle scuole. Ma il secondo motivo è forse ancora più preoccupante perché più strutturale. La maggior parte delle persone (compresi molti operatori nel Ssn) sono così stanchi che stanno volontariamente rimuovendo mentalmente il problema, ma ora è invece il momento di affrontare il fatto che il tentativo del Paese di "convivere con il Covid" è la goccia che sta spezzando la schiena al Ssn. Nel 2020 e nel 2021 il Ssn ha affrontato picchi di pandemia interrompendo o rallentando gran parte del lavoro di routine. Il 2022 doveva essere l’anno della ripresa a pieno regime, in cui avremmo ricominciato tutto il lavoro nel modo migliore, quando le liste di attesa per le cure elettive, per la diagnosi ed il trattamento del cancro e nella salute mentale avrebbero iniziato a ridursi e il carico di lavoro sulle cure primarie avrebbe iniziato alleggerirsi. Uno dei presupposti alla base di questa speranza era che il Covid non sarebbe stato altro che un residuale elemento irritante per la maggior parte dell’anno, con forse un’ondata invernale a dicembre. Ora è luglio, e senza contare la prima ondata di Omicron che ha raggiunto il picco a gennaio, l’Europa ha sperimentato già altre due ondate epidemiche. È probabile che l’attuale ondata di ricoveri ospedalieri causata dalle varianti BA.4 e BA.5 raggiunga il picco nei prossimi giorni, ma altre varianti saranno presto pronte per la diffusione globale. Il legame tra infezioni e ricoveri ospedalieri non si è chiaramente spezzato, anche se si considerano solo coloro che vengono curati "principalmente" per la malattia. Ciò che però nascondono i dati sui ricoveri ospedalieri è una marea crescente di persone con Long Covid. In Italia non abbiamo dati aggiornati, ma nel Regno Unito sono già due milioni, il che rappresenterà un grave onere per il Servizio sanitario e per la produttività dell’intera nazione, per una generazione. E ci sono molti altri effetti molto meno riconosciuti ma ancora profondamente inquietanti dell’infezione da Sars-CoV2. Per quanto riguarda i decessi, gli ultimi dati indicano più di 30.000 decessi "Covid" nei primi sette mesi del 2022. Anche i decessi in eccesso per tutte le altre cause continuano a superare le medie di cinque anni prima della pandemia. La pressione costante creata dalle ripetute ondate di Covid è già il motivo principale per cui il Ssn non è affatto vicino al raggiungimento dei livelli di attività necessari per iniziare a recuperare le prestazioni. Speravamo che il Ssn potesse funzionare meglio rispetto a prima della pandemia; invece l’attività elettiva è ancora molto inferiore al 2019. E la prospettiva per l’autunno è che la combinazione di ripartenza della curva epidemica, carenza e stanchezza del personale e frammentazione decisionale producano una tempesta perfetta. Il cuore del problema è il mancato riconoscimento che la pandemia è tutt’altro che finita e che è necessario un ritorno ad alcune delle misure adottate negli ultimi due anni. I consigli di salute pubblica per fare la quarta dose, indossare mascherine nei luoghi affollati, garantire una buona ventilazione degli ambienti indoor e eseguire regolarmente i test devono essere comunicati in modo molto più efficace e ampio. Altre misure potrebbero includere il lavoro da casa quando possibile e restrizioni su alcuni tipi e dimensioni di assembramento. Soprattutto, anche nella campagna elettorale che è già in corso, bisogna smettere di illudere il pubblico ed essere onesti sulla minaccia che la pandemia rappresenta ancora per tutti. Essere onesti con la popolazione avrà due risultati positivi, incoraggerà le persone a modificare il comportamento e, speriamo, susciterà una riflessione urgente a ogni livello e in ogni schieramento politico su come il Ssn sia in una situazione drammatica e che gli 'eroi' della prima ora pandemica sono sempre più stanchi e demotivati. Read the full article
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TORINO. MONDOSANITA'. INNOVAZIONE FARMACOLOGICA E SOSTENIBILITA' DELLE CURE ONCOLOGICHE.
TORINO. MONDOSANITA’. INNOVAZIONE FARMACOLOGICA E SOSTENIBILITA’ DELLE CURE ONCOLOGICHE.
COMUNICATO STAMPA  PUNTATA SPECIALE DI PERSONAL DOCTOR DURANTE LA WINTER SCHOOL DI MOTORE SANITÀ Gianni Amunni: “Si all’innovazione farmacologica ma massima attenzione a garantire sostenibilità delle cure oncologiche” 26 marzo 2021 – Puntata speciale di PERSONAL DOCTOR di Mondosanità,  all’interno della 2 giorni della Winter School “CALL TO ACTION PER UN SSN INNOVATIVO E RESILIENTE… SE…
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thecermfoundation · 5 years ago
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Conferenza Stato-Regioni - Patto per la salute 2019-2021
Il nuovo Patto per la salute 2019-2021 presenta numerose novità sia dal punto di vista del finanziamento del SSN sia per quanto riguarda il personale. Il Fondo Sanitario Nazionale (FSN) è incrementato di 3.5 miliardi di euro così suddivisi: due miliardi nel 2020 e 1,5 miliardi nel 2021.
Per fronteggiare la carenza di infermieri e medici specialisti, le spese del personale potranno essere aumentate, fermo restando il livello del 2018, di un importo pari al 10% (5 p.p. in più rispetto a quanto previsto dal Decreto-Legge 30 aprile 2019, n. 35) dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'anno precedente. Nel caso di ulteriori fabbisogni di personale la percentuale sale al 15%, fermo restando la sostenibilità finanziaria dei conti e previa valutazione del Tavolo tecnico per gli adempimenti e del comitato LEA.
Le misure sono attuate nell’attesa "dell'adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale", che si sarebbe dovuta definire entro 40 giorni dall'approvazione della legge di bilancio 2019. A partire dal 2021 l'incremento di spesa di personale è subordinato all'adozione di tale metodologia.
Tra le varie criticità affrontate, vi è quello della spesa in conto capitale. In seguito ad una ricognizione sullo stato del patrimonio immobiliare e tecnologico del SSN viene evidenziata anche la necessità di procedere a interventi infrastrutturali per 32 miliardi di euro e si è convenuto di incrementare, a tal fine, nel tempo le risorse per l'edilizia sanitaria.
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tvnumeriuno · 7 years ago
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12° Forum Risk Management – Fondazione GIMBE: SANITÀ PUBBLICA, FUORI LE PROPOSTE POLITICHE PER SALVARE IL SSN
Nell’ambito della 12a edizione del Forum Risk Management, Nino Cartabellotta – Presidente della Fondazione GIMBE – ha aperto la sessione “Crisi dell’universalismo e sostenibilità del sistema sanitario nazionale: i cambiamenti e le riforme possibili”, insieme a Federico Spandonaro (Università Tor Vergata) e Federico Lega (Università Bocconi). Durissimi i toni sulla Legge di Bilancio 2018: «Nessuno…
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Farmaci di Automedicazione: Il 90% degli Italiani Richiede Maggiore Consapevolezza e Responsabilità
L’indagine Assosalute-Federchimica rivela una crescente attenzione alla salute e all’uso informato dei farmaci, con farmacie e medici di famiglia come punti di riferimento per il territorio.
L’indagine Assosalute-Federchimica rivela una crescente attenzione alla salute e all’uso informato dei farmaci, con farmacie e medici di famiglia come punti di riferimento per il territorio. In un contesto di evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), emerge un dato significativo: il 90% degli italiani desidera una maggiore consapevolezza nella gestione della propria salute, in…
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dailyfocusweb · 7 years ago
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Infezioni Ospedaliere Italia: fotografia e analisi dello scenario nazionale
Conseguenza di interventi chirurgici e terapeutici sempre più complessi in pazienti metabolicamente e immunologicamente più compromessi, le infezioni ospedaliere in Italia causano, ogni anno, più vittime degli incidenti stradali, oltre a costituire un fenomeno di notevole impatto socio-economico. Grazie al monitoraggio della loro incidenza, all’adozione di programmi di prevenzione nelle strutture sanitarie e all’innovazione tecnologica in sala operatoria, come l’utilizzo di suture con antibatterico, il 30% delle infezioni chirurgiche è, oggi, potenzialmente prevenibile ed evitabile. Fotografia e analisi dello scenario nazionale.
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In tutto il mondo, le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono l’evento avverso più frequente in sanità e costituiscono la complicanza più frequente e grave nella cura di pazienti ospedalizzati. Una problematica rilevante seppure ancora misconosciuta, soprattutto a livello media, che solo in Italia causa, ogni anno, più vittime degli incidenti stradali: 4.500-7.000 decessi contro 3.419 vittime della strada (dati 2015). Sotto il termine di ICA, o più in generale di infezioni ospedaliere, rientra qualsiasi tipo di infezione che può occorrere durante il ricovero in ospedale, o anche dopo le dimissioni di un paziente, del quale, al momento dell’ingresso nella struttura sanitaria, non c’era né manifestazione clinica, né incubazione. In Italia, non esiste un sistema stabile di sorveglianza delle infezioni ospedaliere, ma sono stati condotti numerosi studi multicentrici di prevalenza, sulla base dei quali si stima che, ogni anno, circa il 5-8% dei pazienti ricoverati contragga un’infezione ospedaliera, ovvero si verifichino 450-700 mila casi dovuti soprattutto a infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi. Le ICA non costituiscono solo un problema sanitario, ma anche un fenomeno di notevole impatto socio economico: con un costo correlato ad una singola infezione ospedaliera di circa € 9.000 – 10.500. Complessivamente, l’impatto economico delle ICA sul Sistema Sanitario Nazionale è superiore a un miliardo di Euro l’anno, con un prolungamento della degenza pari al 7,5-10% delle giornate di ricovero. In questo scenario, le SSI (Surgical Site Infections) sono tra le più costose. Complessivamente, il 30% delle ICA (135 – 210 mila casi) è potenzialmente prevenibile ed evitabile.
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In Italia la prevalenza delle infezioni chirurgiche è più alta rispetto a molti altri Paesi europei (6.3% in acuto e 6.1 nelle RSA) tale da collocare il nostro paese prima del Regno Unito, della Germania e della Francia. Anche per questo è fondamentale stimare il peso economico delle infezioni ospedaliere in Italia. Analizzare i costi ad esse correlati, mediante database amministrativi, è stato lo scopo della ricerca “Burden economico delle infezioni ospedaliere in Italia”, realizzata dal Prof. Francesco Saverio Mennini, Research Director CEIS Economic Evaluation and HTA (EEHTA), Facoltà di Economia, Università di Roma Tor Vergata. Fonte dei dati sono state le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO nazionali) e le Schede di Dimissione Ospedaliera Regionale. Le infezioni ospedaliere sono state individuate mediante i codici ICD9CM di diagnosi, selezionando così tutti i ricoveri acuti, in regime ordinario, che presentavano in diagnosi principale o secondaria uno dei codici ICD9CM individuati, con data di dimissione compresa tra il 1 gennaio 2006 ed il 31 dicembre 2014. «La prospettiva del nostro studio – precisa Mennini – è stata quella di mettere in luce quanto pesano, in termini di impatto economico diretto e indiretto, le ICA in Italia, sia dal punto di vista della salute del paziente, sia della loro incidenza sul SSN. Partendo dal presupposto che, come prova lo studio, le infezioni ospedaliere compaiano in circa 3 casi ogni 1.000 ricoveri acuti in regime ordinario, la loro valorizzazione mediante valutazione delle giornate aggiuntive per singolo DRG ha comportato una stima media annua di € 69,1 milioni. Mentre la valorizzazione delle ICA mediante DRG specifici (418 e 579) ha comportato una stima media annua di € 21,8 milioni. Numeri che devono far riflettere soprattutto sul tema dell’appropriatezza, cioè sull’adozione di misure innovative, come trattamenti e device tecnologici, con l’obiettivo di migliorare la qualità dell’assistenza nel limite delle risorse disponibili. La nostra indagine è proseguita andando ad includere i costi per le visite specialistiche ambulatoriali e per la spesa farmaceutica sempre relativa ai pazienti dimessi dopo una ICA, ma il nostro vero auspicio è quello di realizzare un Osservatorio permanente sulle infezioni ospedaliere, in collaborazione anche con il Ministero della Salute. Una struttura di controllo che possa monitorare annualmente il quadro nazionale delle ICA, mettendo in luce quanto il criterio dell’appropriatezza, si pensi ad esempio in termini di ricoveri e di innovazione tecnologica, può fare per contenere il problema».
Nel caso delle infezioni ospedaliere, i microrganismi che penetrano all’interno del paziente vivono in una struttura che ha subìto una modificazione dal punto di vista microbiologico. Ecologicamente, quegli stessi microrganismi che stanno nelle strutture sanitarie sono ‘diversi’, perché hanno subìto la pressione selettiva da parte delle terapie antibiotiche effettuate. In ospedale, soprattutto nei reparti critici, dove si fa largo uso di antibiotici, ci sono dei microrganismi ‘resistenti’, ovvero che resistono al farmaco d’elezione che dovrebbe debellarli, tanto che oggi si stima che il 16% delle infezioni nosocomiali sia causata da batteri ‘resistenti’, il che rende più complesso il trattamento e la guarigione.
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In questo ambito, i pazienti chirurgici rappresentano una categoria molto significativa a livello globale, infatti, il 32% delle infezioni nosocomiali è un’infezione chirurgica (SSI), conseguenza di interventi chirurgici e terapeutici più complessi in pazienti metabolicamente e immunologicamente più compromessi, come spiega Marco Montorsi, Responsabile di Unità Operativa Chirurgia generale e digestiva Humanitas Research Hospital e Presidente della Società Italiana di Chirurgia: «gli interventi di alta chirurgia a maggior rischio di infezioni sono quelli nei quali coesistono alcuni riconosciuti fattori di rischio sia legati al paziente (ad esempio elevato BMI, Diabete Mellito di tipo 1 non controllato, dialisi, terapia corticosteroidea/immunosoppressiva), che fattori di rischio legati alla procedura (durata dell’intervento, ipotermia, intervento d’urgenza, chirurgia viscerale specie colo rettale, chirurgia complessa, re-interventi , chirurgia su tessuti irradiati). In generale, sono gli interventi di chirurgia oncologica addominale complessa che prevedono resezioni intestinali a essere maggiormente a rischio di SSI».
I pazienti che contraggono una SSI sono 5 volte più esposti al rischio di una nuova ospedalizzazione, 2 volte più esposti al rischio di degenza in una unità di terapia intensiva e 2 volte più esposti al rischio di morte. L’OMS sottolinea infatti come queste infezioni, causate dalle incisioni fatte durante gli interventi chirurgici, mettano a rischio la vita di milioni di pazienti ogni anno.
Le SSI sono, inoltre, le ICA più frequenti e le più onerose. Ogni SSI è stata associata approssimativamente a una degenza postoperatoria aggiuntiva di circa 7-11 giorni. Il 77% dei decessi nei pazienti con SSI sono attribuibili direttamente all’episodio infettivo. «Causate da microrganismi presenti nell’ambiente, che solitamente non danno luogo a infezioni, le SSI insorgono più frequentemente in pazienti ad alto rischio sottoposti a chirurgia addominale durante il ricovero o, in qualche caso, anche dopo la dimissione e possono avere diverso grado di gravità, fino ad essere letali – precisa Enrico Opocher, Direttore del reparto di Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica e Digestiva – Ospedale San Paolo di Milano –. Per questo è fondamentale, abbattere il rischio di contrarre un’infezione adottando, fin dall’ingresso in sala operatoria, una serie di correttivi che vanno ad intervenire sui fattori di rischio modificabili, come suggerito dalle raccomandazioni dell’OMS nelle ‘Global Guidelines for the Prevention of Surgical Site Infection’ elaborate nel 2016. Tra questi l’antisepsi della cute tramite il lavaggio accurato delle mani, la corretta profilassi antibiotica, l’utilizzo di soluzioni antisettiche a base di clorexidina per la preparazione del sito chirurgico e le suture rivestite con antibatterico (Triclosan). Seguendo, infatti, delle semplici misure di controllo è possibile abbattere di un terzo l’insorgenza delle SSI».
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Elaborate per migliorare la lotta contro le SSI e, globalmente, la sicurezza la qualità e la sostenibilità dei sistemi sanitari, le nuove ‘Global Guidelines for the Prevention of Surgical Site Infection’ dell’OMS sono state pubblicate su “The Lancet Infectious Diseases” il 3 novembre 2016 e includono un elenco di 29 raccomandazioni concrete, stilate da 20 dei maggiori esperti mondiali, frutto di 27 revisioni sistematiche, condotte tra il 2013 e il 2015, per fornire evidenze di supporto allo sviluppo di tali raccomandazioni. Le linee guida comprendono 13 raccomandazioni per il periodo che precede l’intervento chirurgico, e 16 per la prevenzione delle infezioni durante e dopo l’intervento. Una di queste raccomandazioni riguarda, nello specifico, l’utilizzo di suture rivestite con triclosan al fine di ridurre il rischio di SSI indipendentemente dal tipo di intervento. Il Triclosan è un antibatterico efficace, ben tollerato e sicuro, che distrugge le membrane cellulari dei batteri (quindi è battericida sia su Gram + che -) ed è attivo anche su miceti, micobatteri e spore. Le suture con antibatterico, quindi, non solo non rappresentano più un fattore che contribuisce all’eventuale insorgenza di un’infezione della ferita chirurgica, ma riescono, infatti, a diminuire di circa il 30% il numero di batteri a livello di incisione chirurgica dove la maggior parte delle infezioni postoperatorie hanno origine, riducendo significativamente anche l’adesione dei batteri alla sutura. Con importanti conseguenze anche sulla spesa ospedaliera di gestione delle infezioni del sito chirurgico. Alle raccomandazioni dell’OMS, si aggiungono altre evidenze scientifiche a supporto del valore delle suture con antibatterico (triclosan) rispetto a quelli comuni, anche “The Centers for Disease Control and Prevention Updated Guideline” e la valutazione EUNetHTA, la rete europea per la valutazione delle tecnologie sanitarie (Health Technologies Assessments – HTA). In particolare, l’aggiornamento della Centers for Disease Control and Prevention Guideline for the Prevention of Surgical Site Infection, pubblicato nel 2017, consiglia di utilizzare il filo da sutura rivestito di Triclosan, per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico (raccomandazione 2.C, Nonparenteral Antimicrobial Prophylaxis). Questa valutazione viene sostenuta anche da EUnetHTA, nelle conclusioni del documento “Antibacterial-coated sutures versus non-antibacterial coated sutures for the prevention of abdominal, superficial and deep incisional, surgical site infection (SSI). L’analisi di diversi studi ha infatti evidenziato una diminuzione di infezioni del sito chirurgico, con l’utilizzo di filo da sutura rivestito con Triclosan.
Le infezioni correlate all’assistenza costituiscono, dunque, un duplice problema per la sanità pubblica, legato sia agli aspetti di umanizzazione delle cure, sia di risk management. Infatti, oltre agli effetti dannosi sulla salute dei pazienti, a compromettere la qualità del servizio, le infezioni comportano l’allungamento dei tempi di cura con la somministrazione di ulteriori terapie, aumentando i costi diretti ed indiretti dell’assistenza ed evolvendo talvolta in sinistri con responsabilità civile o penale. «La gestione del rischio clinico in sanità, di cui le infezioni chirurgiche (ICA) costituiscono un elemento importante, è l’insieme delle azioni messe in atto per misurare i fenomeni, comprenderne le cause e migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie al fine di garantire la sicurezza dei pazienti – spiega Enrico Burato, Direttore SC Qualità Accreditamento Risk Management Ospedale Carlo Poma, Mantova e componente dal 2005 del Gruppo di lavoro di risk management in Regione Lombardia–. Si tratta di un compito complesso che richiede di attuare misure sia preventive che correttive ed una capacità di creare rete tra tutti gli stakeholders interessati dal fenomeno. Compito del Risk Manager è, quindi, quello di individuare gli strumenti per valutare e governare i rischi, ricercandone i miglioramenti nel sistema di gestione complessivo, sviluppando strumenti efficienti e identificando le conseguenze sanitarie ed economiche derivanti dall’esposizione al rischio stesso dei pazienti. Oggi in Regione Lombardia la prevenzione e il controllo delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria sono un obiettivo prioritario di sanità pubblica e di miglioramento della qualità delle prestazioni di ricovero e cura che deve essere perseguito con una logica di sistema e con la collaborazione di tutte le figure professionale interessate dal problema all’interno di ogni singola struttura sanitaria».
Un impegno multidisciplinare in cui si inserisce di diritto anche il farmacista ospedaliero, la cui funzione oggi sta cambiando radicalmente, come precisa Mario Giacomo Cavallazzi, Specialista in Farmacia Ospedaliera I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi: «si tratta di un professionista chiamato a coniugare la necessità di migliorare l’assistenza al paziente, il monitoraggio dell’appropriatezza dell’uso di farmaci e dispositivi medici e la capacità di razionalizzare i costi. Il farmacista ospedaliero opera quindi in stretta collaborazione con il medico avendo come riferimento centrale la patologia, l’assistenza, il percorso di cura e il benessere del paziente, garantendo un uso sicuro ed efficace del farmaco e l’ottimizzazione dell’appropriatezza e aderenza della terapia, attraverso un miglioramento del processo di valutazione, acquisizione, prescrizione e uso razionale dei farmaci e dei dispositivi medici. Partecipando attivamente anche al processo di acquisizione di farmaci e device innovativi all’interno dell’organizzazione sanitaria, il farmacista è il riferimento per la valutazione delle nuove cure attraverso l’analisi farmacoeconomica degli interventi».
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stranotizie · 1 year ago
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Schillaci: "Insieme per sistema più vicino alle persone". Vaia: "Grande attenzione a fragili con screening e vaccinazioni" "La prevenzione è un pilastro fondamentale per la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Assistiamo ad un invecchiamento della popolazione che va di pari passo ad un aumento della prevalenza di patologie che oggi sono curabili, ma con molte risorse che purtroppo iniziano a scarseggiare. Non si tratta solo di risorse economiche, ma anche umane. E' quindi fondamentale investire nella prevenzione per far sì che i nostri cittadini si ammalino il più tardi possibile o non si ammalino affatto. E' anche fondamentale che tutti i servizi che possono agire per la prevenzione siano messi in rete in un'attività sinergica che aumenti l'efficienza del servizio tutto". E' il monito di Roberta Siliquini, presidente della Società italiana di igiene (Siti), che ha promosso la Conferenza nazionale straordinaria di sanità pubblica al via oggi a Villa Erba a Cernobbio (Como). "Serve un modello sanitario più vicino alle persone - ha ribadito il ministro della Salute, Orazio Schillaci, in un messaggio inviato ai partecipanti - La vostra esperienza e le vostre competenze sono fondamentali. La collaborazione tra istituzioni, professionisti e sanità è il cuore di una sanità forte e resiliente. Insieme possiamo rendere accessibile la salute a tutti, abbattendo barriere e garantendo cure di alta qualità". Sul concetto di prevenzione ha messo l'accento anche Francesco Vaia, direttore generale Prevenzione del ministero della Salute: "La pandemia è ormai alle spalle - ha sottolineato, come riporta una nota della Siti - ma grande attenzione deve essere riservata alla prevenzione delle patologie, attraverso le vaccinazioni e gli screening, soprattutto per le fasce sociali più deboli. Dai fragili ai portatori di patologie croniche, passando per tutti coloro che sono stati abbandonati durante tutti questi anni". Dopo l'emergenza Covid va garantita "grande attenzione a tutte le fasce sociali ed anagrafiche che sono state abbandonate in questo lungo periodo. Di chi ci dobbiamo occupare? Di tutti i fragili, a partire dagli anziani, ma anche coloro che sono portatori di malattie cronico-degenerative, gli oncologici, i malati di salute mentale e i portatori di disturbi cognitivi".Tra le voci istituzionali anche quella del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Il 'governatore' - riporta la Siti - ha rivolto un ringraziamento ai tanti igienisti presenti, che "hanno dato un aiuto fondamentale durante la pandemia. La vostra partecipazione e collaborazione - ha affermato - è stata preziosa ed è culminata con una grande opera di sanità pubblica, ovvero la vaccinazione, con il grande contributo nei diversi spot di vaccinazione". "Stiamo oggi vivendo un momento difficile per la sanità", ha osservato Fontana, rimarcando "in primis una cattiva programmazione del fabbisogno di medici da inserire nel nostro Servizio sanitario nazionale. Si sta facendo molto, evidenziando quello che è l'aspetto più importante che fino ad oggi è stato messo in secondo piano, ovvero quello della medicina preventiva e territoriale".Nell'agenda di oggi, agli interventi istituzionali in apertura è seguita una tavola rotonda sul tema 'La prevenzione pilastro del Ssn tra emergenze e sostenibilità', organizzata in collaborazione con European House Ambrosetti. Quindi la prima sessione plenaria su 'Le strategie di offerta vaccinale dopo la pandemia'. La Conferenza nazionale di sanità pubblica proseguirà anche domani con due sessioni plenarie, la prima al mattino su 'Integrazione ospedale-distretto-dipartimento e investimenti Pnrr', la seconda pomeridiana su 'Le priorità vaccinali'. Sabato 14 ottobre l'ultima giornata, con le sessioni 'Formazione, management e leadership in sanità pubblica' e 'Strategie per la prevenzione dell'antibioticoresistenza', e la cerimonia di chiusura a cura di Siliquini e Carlo Signorelli, presidente Siti per la Lombardia. {} #_intcss0{display: none;} Fonte
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thecermfoundation · 5 years ago
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ISTAT - La salute nelle Regioni Italiane
Il periodo 2005-2015 è stato contraddistinto da una grave crisi finanziaria che ha messo alla prova la finanza pubblica delle economie occidentali che si sono interrogate sulla sostenibilità dei propri sistemi sanitari.
Nel nostro Paese, inoltre, a partire dal 2006, è entrata in vigore la legislazione sui piani di rientro, che si applica alle Regioni che presentano squilibri nel settore della sanità. Tale normativa ha provocato profonde riorganizzazioni dei SSN soprattutto in alcune Regioni del Mezzogiorno. Qual è stato l'impatto sulla salute degli italiani anche in rapporto con il resto dell'Unione europea?
L'indicatore principale sullo stato di salute di una popolazione è l'aspettativa di vita alla nascita. In Italia la vita media continua ad aumentare sia per gli uomini (+ 2 anni, in Europa + 2.3) sia per donne (+ 1 anno, in Europa + 1.8) sebbene il differenziale donne/uomini è diminuito nel decennio considerato a 4.4 anni da 5.6 anni.
Vi è stata anche una riduzione significativa della mortalità per maggiori cause in media del 29% con profonde differenze regionali (Trentino 58.7 decessi ogni 10mila residenti, contro gli 81,4 della Campania).
Le decine di indicatori del rapporto confermano una differenziazione territoriale marcata. L'aspetto più interessante è un paragrafo sul quadro di insieme in conclusioe della prima parte (la seconda è dedicata esclusivamente alla Sardegna), dove è presentato un indicatore sintetico che raggruppa le Regioni in 5 cluster omogenei.
Le Regioni del cluster "in buona salute" sono il Veneto e il Trentino, In "salute discreta con comportamenti a rischio" sono Friuli, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Sardegna. Con prevalenza di "malattie croniche", Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Le Regioni con una salute più critica sono la Campania caratterizzata da "precarie condizioni di salute", e la Val d'Aosta, con "mortalità prematura e comportamenti a rischio".
Su questi risultati pesano, oltre alle eredità del passato e le peculiarità territoriali, sia le differenze economiche dei territori, ad esclusione della Val d'Aosta, sia lo stato finanziario dei sistemi sanitari regionali, Lazio e la maggior Parte delle Regioni del Mezzogiorno, tranne Sardegna e Basilicata, da sempre in piano di rientro.
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thecermfoundation · 5 years ago
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La salute non è in vendita
Chiunque acceda al Sistema sanitario nazionale affronta di frequente alcuni ostacoli: lunghe liste di attesa per gli esami diagnostici, difficoltà per trovare un chirurgo disponibile a operare tempestivamente un tumore senza oneri, pronto soccorso congestionati, super-ticket e molto altro. A fronte di queste criticità, il personale del SSN, a detta dell'autore, è mediamente preparato. Non sono rari i casi in cui i medici riescono a fare miracoli per salvare le vite altrui. In questo brave pamphlet, il SSN è visto con gli occhi critici, ma parziali, di un medico di provata esperienza. Il volume contiene proposte ambiziose, buona parte in controtendenza, centrate generalmente sull'ospedale. La sostenibilità può essere garantita da risorse derivanti dalla chiusura dei piccoli ospedali, dalla riforma dei Diagnosis-Related Group (DRG) (di cui si denuncia l'uso improprio), dalla limitazione dell'accreditamento del privato esclusivamente negli ambiti in cui il pubblico è carente e da un ripensamento dall'accanimento terapeutico nel fine vita. Per eliminare le liste di attesa, a parità di risorse umane e strumentali, si propone l'abolizione dell'intramoenia, accusata di distogliere i medici dai pazienti meno abbienti e di rendere meno equo il sistema. Per migliorare la qualità delle cure viene proposta anche la valutazione dei medici sugli esiti e non più sulla correttezza della procedura adottata. Alcune sono condivisibili, come ad esempio la chiusura dei piccoli ospedali, altre, di natura sistemica, molto meno. Il sistema sanitario milanese, ad esempio, tanto decantato dall'autore all'inizio del libro, dove si viene curati meglio in Italia a costi più bassi per la collettività, è il risultato di un mix di strutture pubbliche e private in implicita concorrenza tra loro con risultati ottimali per tutti.
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purpleavenuecupcake · 6 years ago
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Sanità digitale: fontamentale per la transizione verso nuovi modelli di cura
Sanità digitale: in Italia medico-paziente-aziende usano ancora e-mail e sms - ridurre il gap con l’Ue – monitorare la cronicità
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(di Nicola Simonetti) Dimostrato che la digitalizzazione può giocare, in sanità, sia nella erogazione di nuovi modelli di cura, quanto in favore della sostenibilità del Servizio Sanitario. Ma l’Italia denuncia arretratezza: appaiono insufficienti gli investimenti in sanità digitale da parte del sistema pubblico e privato, e poco digitale risulta la gestione del paziente cronico, e più in generale dei cittadini. Sono queste, in estrema sintesi, le conclusioni che si possono trarre dal convegno svoltosi a Roma, Palazzo Giustiniani, su iniziativa di Fondazione Roche. “Nelle malattie croniche, la digitalizzazione è un tema di primo piano quando si ragiona in termini di programmazione degli interventi sociosanitari. In questi ultimi mesi - ha detto Mariapia Garavaglia, presidente della Fondazione Roche e già ministro della Sanità - in occasione dei 40 anni nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, Fondazione Roche si è posta l’obiettivo di sostenere un dibattito sui valori sui quali esso si fonda: equità, uguaglianza e universalismo – ha aggiunto. In particolare, il suo carattere universalistico può essere messo a dura prova dal divario tra risorse disponibili e bisogni dei cittadini e per rispondere a questi bisogni, garantendo la sostenibilità economica del sistema, le soluzioni digitali rappresentano una leva fondamentale per trovare nuovi equilibri.” L’innovazione digitale – ha detto il prof. Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano - rappresenta l’elemento utile a colmare il divario tra bisogni e risorse… la digitalizzazione si deve declinare nei processi di rinnovamento organizzativo e tecnologico, ma anche di empowerment del paziente/cittadino e di sviluppo delle competenze degli operatori sanitari. Cartella clinica, telemedicina, app, dispositivi indossabili, intelligenza artificiale, analisi dei big data, ecc, possono favorire il raggiungimento del traguardo della sostenibilità economica di lungo periodo del Sistema Sanitario Nazionale, contribuendo all’erogazione di un adeguato livello di qualità delle cure, con evidente beneficio per il paziente e per il sistema Paese. Un traguardo, secondo la fotografia tracciata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, sulla base dei dati Istat e del secondo Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN, messa a dura prova dai numeri: a fronte di una spesa sanitaria complessiva, tra sistema pubblico ed esborso diretto dei cittadini, stabilizzatasi negli ultimi 5 anni intorno ai 145-150 miliardi di euro, il fabbisogno stimato per il 2025 si attesta intorno ai 210 miliardi, dato cui si deve aggiungere il fatto che la popolazione italiana over 65 sia in forte crescita, rappresentando essa, già oggi, il 21,8 per cento del totale – uno dei dati più elevati nel mondo occidentale – e si proietta al 2051 a quasi il 35 per cento, oltre 1 su 3 cittadini. “Emerge, in effetti – ha detto Locatelli- una crescente consapevolezza che le soluzioni digitali possano giocare un ruolo fondamentale nel supportare la transizione verso nuovi modelli di cura. La diffusione di tali soluzioni, tuttavia, stenta oggi a realizzarsi perché manca una orchestrazione coerente della transizione al digitale e perché oneri, rischi e benefici attesi dall’introduzione di nuovi strumenti e modalità di lavoro non sono percepiti come ripartiti equamente fra gli attori del sistema. “Secondo i dati dell’Osservatorio, infatti, la spesa complessiva per la sanità digitale in Italia, tra quanto investito da Ministero della salute, dalle Regioni, dalle singole strutture sanitarie e dalla rete della medicina generale, ammonta a 1,3 miliardi di euro (dati 2017), pari a circa 22 euro per cittadino. “Si tratta di un dato che pone l’Italia in posizioni di retroguardia. Si pensi che, senza arrivare ai valori di Paesi scandinavi come la Danimarca, che investe 70 euro, nazioni e sistemi a noi più vicini come quello francese o inglese “spendono” 60 euro per cittadino la Gran Bretagna e 40 euro la Francia.” Ad oggi, il digitale nella continuità di cura è ancora poco sviluppato. Ad esempio, secondo l’indagine dell’Osservatorio, le soluzioni che abilitano l’interscambio di dati e documenti sui pazienti attraverso PDTA informatizzati vengono utilizzate solo dal 29 per cento delle aziende sanitarie, con professionisti sanitari dell’azienda ospedaliera appartenenti a diversi dipartimenti, e dal 23 per cento con professionisti all’interno di una o più reti di patologia. Il supporto informatico alle attività di presa in carico del paziente risulta diffuso soprattutto per le attività gestionali e amministrative, come la gestione dei dati anagrafici dei pazienti (nell’80 per cento delle aziende) e la gestione delle prenotazioni (63 per cento). L’informatizzazione stenta, invece, a diffondersi come strumento per la messa in atto di percorsi individualizzati secondo il principio della presa in carico stabile del paziente: solo in media 1 azienda su 3 utilizza un supporto digitale nella definizione, visualizzazione e aggiornamento di piani di assistenza individuale, per l’analisi dei dati dei pazienti e per mettere in comunicazione tutti gli attori del sistema salute. Anche i cittadini risultano essere “poco digitali”, secondo L’Osservatorio del Politecnico. La mancanza di competenze sembra essere una forte barriera: sono tre su dieci i cittadini che non si sentono in grado di utilizzare questi strumenti, soprattutto fra i più anziani. Per avvicinare i cittadini al digitale, dunque, è necessario aumentare l’offerta di servizi, formare i cittadini/pazienti e valorizzare le soluzioni affidabili e di valore. Ben sette su dieci cittadini preferiscono, al mazzo digitale, l’incontro diretto con il medico. Fra coloro che si servono di strumenti digitali, la maggior parte utilizza l’email (15 per cento), poi vengono gli Sms (13 per cento) e infine WhatsApp (12 per cento). Fra i medici che non fanno uso di questi strumenti, uno su due teme che si possano creare incomprensioni con i pazienti ed è diffusa la preoccupazione che l’utilizzo di questi strumenti possa aumentare il carico di lavoro del medico e che possa comportare rischi legati a un mancato rispetto della normativa sulla privacy. “Quelli che ne fanno uso, si servono di strumenti basilari che spesso non necessitano di formazione specifica né di un cambiamento profondo a livello culturale. È importante, invece, che i medici siano sempre più attenti alla propria formazione rispetto alle competenze digitali necessarie allo sviluppo di nuovi progetti di innovazione digitale utili a migliorare i processi e i servizi sanitari”. Infine, dati confermano come, in Italia, il 39,9 per cento dei residenti è affetto da almeno una malattia cronica (24.133.105 persone), mentre quelle con almeno due malattie croniche rappresentano il 20,9 per cento del totale (ISTAT 2018) e di questi, il 70 per cento risultano non aderenti alla terapia, che corrisponde ad un esborso da parte della Sanità italiana pari a circa 11 miliardi l’anno (dati AIFA). Risulta, quindi, evidente come gli attuali approcci terapeutici standardizzati abbiano mostrato delle limitazioni e la personalizzazione della cura può rappresentare una strada vincente per rompere questa inerzia clinico-terapeutica e gli strumenti digitali forniscono le dovute opportunità per renderla possibile. La prof. Valeria Tozzi, Associate Professor of Practice SDA Bocconi e Direttore del Master MiMS, Università Bocconi di Milano, ricorda, inoltre, come la gestione delle malattie croniche assorba tra il 70 e l’80 per cento delle risorse sanitarie. “Volendo sintetizzare – ha spiegato, quindi, la Prof.ssa Tozzi– esistono alcune tendenze che si stanno affermando nella gestione delle patologie croniche nel nostro Paese, che sicuramente trarrebbero vantaggio dalla digitalizzazione. Sono gli approcci di Population Health Management, quale evoluzione dei PDTA (percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali): integrare le informazioni di natura amministrativa provenienti dai big data delle Regioni e delle aziende sanitarie con quelle di natura sanitaria relative al paziente rappresentano una sfida importante; le cronicità ad alta complessità per le quali sono centrali il ruolo delle competenze specialistiche e delle risorse tecnologiche complesse oltre che il bisogno di una staffetta importante tra ospedale e territorio. Anche in questo ambito ha un ruolo fondamentale la tecnologia dedicata allo scambio di informazioni quale ad esempio la telemedicina.” È quanto mai appropriato, pertanto, l’auspicio di Fondazione Roche, affinché Istituzioni, professionisti sanitari, associazioni dei pazienti, società civile, industria collaborino per estendere e rafforzare la digitalizzazione in sanità. Tutto il mondo sta andando in questa direzione, la digitalizzazione è ormai di fatto in tutti gli ambiti un elemento chiave di unione. Assume un ruolo ancora più rilevante nella vita di una persona con malattia cronica, costretta a convivere quotidianamente con la sua gestione. Tutti gli strumenti che facilitino e semplifichino questa quotidianità, la relazione con il medico e favoriscano maggiore aderenza alle cure non possono che dar vita a un sistema virtuoso, in favore della qualità di vita, della salute e soprattutto della dignità della persona. Senza dimenticare che maggiore aderenza alle cure equivale a minori costi per il Sistema Sanitario e, quindi, ottimizzazione nella disponibilità delle risorse. Read the full article
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purpleavenuecupcake · 6 years ago
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Pandemia occulta: ossa come emmenthal, ben 563.388 fratture da fragilità ogni anno
Ossa come l’emmenthal, con tanti buchi e poca consistenza, facili da rompere
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(di Nicola Simonetti) E, purtroppo, esse si fragilizzano e si rompono facilmente. In Italia, le fratture da fragilità raggiungono 563.388 l’anno (senza contare le numerose fratture vertebrali che solo in piccola parte vengono diagnosticate o registrate) e colpiscono 3,2 milioni di donne e 0,8 milioni di uomini over 50. Esse generano costi sanitari di 9,4 miliardi di euro l’anno, con tendenza all’aumento (nel 2030, saranno 12 miliardi: + 26,2 per cento): un colpo prossimo futuro alla sostenibilità del SSN. Non è da trascurare, inoltre che, con questo depauperamento osseo si genera anche disabilità complessa, con un impatto enorme sulla qualità della vita e gravi limitazioni funzionali ed aumento di molto il rischio di mortalità il cui numero equivale a quello delle morti da infarto del miocardio. E’ importante considerare che, dopo una prima frattura possano ripresentarsene altre – cinque volte più. Le fratture da fragilità sono promosse o derivano da tutte le condizioni di indebolimento della massa ossea. La causa principale della fragilità ossea è l’osteoporosi, malattia caratterizzata da riduzione della densità e alterazione della microarchitettura delle ossa che può essere primaria, cioè legata a fattori soggettivi e costituzionali (invecchiamento, menopausa), oppure secondaria, ossia conseguente ad altre patologie o a particolari trattamenti farmacologici. Purtroppo, questi pazienti ed i candidati alla patologia sono ignorati, trascurati: mancanza di dati certi, assenza di linee guida aggiornate, specie per quanto riguarda la prevenzione e di modelli organizzativi per la gestione e la presa in carico dei pazienti sul territorio. Ad aggravare la situazione si aggiunge l’importante aumento della popolazione anziana e il fatto che la fragilità ossea è spesso concomitante con alcune patologie croniche o indotta da trattamenti farmacologici che possono determinarla, complicando ulteriormente il quadro clinico che coinvolge così diversi ambiti specialistici. Una condizione patologica, questa, per la quale urge un protocollo diagnostico-terapeutico-assistenziale per la gestione delle persone a rischio-fratture che, oggi, devono confrontarsi con una inaccettabile complessità di regole per l’accesso alle terapie. Un Manifesto Sociale a firma di 6 società scientifiche e 15 associazioni di pazienti, su iniziativa della rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief, dà vita a FRAME, un’alleanza che lancia l’allarme sollecitando l’adozione urgente di nuove scelte di politica sanitaria, nuovi modelli gestionali dei servizi sanitari e soprattutto, un’adeguata prevenzione. Iniziative anche a livello politico da parte della Sen. Maria Rizzotti e dell’On. Rossana Boldi. “La percentuale delle morti conseguenti alle fratture da fragilità è assolutamente sovrapponibile alle morti da infarto ma di prevenzione dell’infarto - dice il Prof. Francesco Falez, presidente della Società italiana di ortopedia e reumatologia -  si parla spesso a livello istituzionale mentre, di queste fratture si tace”. “Se non si provvede subito – dice la prof. Maria Luisa Brandi, endocrinologa università Firenze e Presidente FIRMO (Fondazione Italiana Ricerca Malattie dell'Osso), per l’Italia, ci sarà un conto assai salato: ci aspettiamo che nel 2030 si fratturino i numerosi sessantottini che stanno per entrare nell’età critica e saranno coinvolti nell’epidemia. Ne hanno già l’età. Una situazione che creerà enormi problemi a livello di costi per la riabilitazione, per le protesi e per le case di riposo per anziani. Doveroso agire anche perché disponiamo farmaci che prevengono con successo le fratture fino al 70%”. Il Manifesto, frutto di ponderati apporti di clinici, ricercatori e malati, suggerisce 5 punti da adottare subito: riconoscerne la priorità, definirne le dimensioni, organizzare modelli di presa in carico, aggiornare le linee guida, aggiornare e semplificare i criteri per l’accesso ai trattamenti farmacologici e monitorare gli outcome: la ricetta (urgente) di clinici e pazienti per far fronte all’emergenza osteoporosi. Proposti programmi integrati, coordinati all’interno di Unità per la Continuità Assistenziale per le Fratture da Fragilità, che includono corretti stili di vita, esercizio fisico, integrazione di calcio e Vit D e trattamento farmacologico con farmaci che agiscono inibendo il riassorbimento dell’osso o stimolandone la formazione (presto saranno disponibili innovative soluzioni farmacologiche che permetteranno di ottenere contemporaneamente il duplice effetto, antiriassorbitivo e anabolico dell’osso (l’osso è in continua fase di “fabbrica” e “sfrabbrica” in equilibrio; nell’osteoporosi lo “sfabbrica” supera il “fabbrica”) e che per questo offriranno al clinico un nuovo e rivoluzionario paradigma per il trattamento di questa patologia), tenendo conto, specie nel paziente anziano, della tipica complessità associata alle comorbilità e alla polifarmacoterapia. Read the full article
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thecermfoundation · 7 years ago
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RBM - Polizze sanitarie, cosa ne pensano gli italiani?
Allo scopo di integrare un SSN ritenuto solamente discreto, gli italiani sono pronti a stipulare polizze e fondi sanitari, a patto di una loro sostenibilità economica e di un’ampia copertura estesa anche al nucleo familiare. Questa nuova dinamica garantirebbe in futuro nuove risorse alla sanità pubblica e la movimentazione di ingenti capitali per il comparto.
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