#società in giappone
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Ora che sono in ferie voglio parlare di una cosa di cui volevo parlare già da settimane, ma la vita di merda che faccio non me lo aveva permesso.
Allò, settimane fa per la prima volta dato che mi ero depilata le cosce mi sono messa in casa non solo in cannottiera, ma anche in pantaloncini. Passa un giorno e mi ritrovo la mail nella foto.
Come ben sappiamo, qui a Tokyo non è che si muore di caldo, PEGGIO, quindi un giorno di questi mi vesto come in foto a dx in ufficio (che è come mi vestirei in Italia in un giorno normale) e nello stesso giorno inoltrano una mail per dire di rispettare il "business dress code" aziendale che è letteralmente "business casual", pure se non si capisce né che cazzo sia né il perché, dato che non ci sono clienti e siamo solo tra di noi, ma okay.
Mo, premettendo che quando ho lavorato a Napoli, ci andavo in PANTALONCINI (ovviamente non quelli di jeans, ma un tipo più carini e "formali" insomma), qua invece così non va bene perché la maglia ha una stampa + i pantacollant sono considerati il demonio.
Tutti sono sempre a lodare i giapponesi perché sono un popolo omogeneo, che dà la prevalenza al gruppo piuttosto che all'individuo, ma non sono omogenei e uniti perché ci sono nati, sono omogenei perché sei LETTERALMENTE FORZATO (nelle maniere più passivo-aggressive possibili) a omologarti. E questo vale con i vestiti, vale con il peso (perché se pensate che sono tutti secchi di natura, beh col cazzo) e con mille altre cose.
Ora è vero che questa prevalenza dell'interesse di gruppo in alcune cose funziona ed è il motivo per cui noi della cultura euroamericana li ammiriamo, ma voi sareste disposti a rinunciare alla vostra libertà pure sulle piccole cose pur di accontentare l'interesse generale?
Per continuare con l'esempio dei vestiti, loro si vestono così:
A maniche lunghe (anche con 50°C), con diversi strani addosso spesso inutili (perché sono ossessionati dai tumori alla pelle); le donne o tutte fate dei fiori con i tacchi tutte pronte (e io col cazzo che le imito) o come fossero state cacciate via di casa (e io col cazzo pt.2). Ma tutti hanno un comun denominatore: colori scuri o neutri (nero, grigio, bianco) o pastello, senza chissà quale fantasia o stampa particolare.
Se non segui l'omologazione, spicchi, ti si vede o ti senti in qualche modo osservato. E questo è già lo standard ad essere euroamericano in mezzo ad asiatici, figuriamoci se ti vesti seguendo le tue regole e non le loro.
Uno poi dirà "vabbè sono cose da poco, ci si abitua" e lo capisco, ma non funziona così. Anzi, sono le piccole cose che, accumulandosi, diventano le più pesanti da sopportare.
Oppure i weaboo del cazzo direbbero che "bisogna rispettare la loro cultura e rispettare le loro regole" (cit.), ma loro quella degli altri quando letteralmente non fa male e non cambia un cazzo a nessuno perché non la rispettano?
Questo non è un paese libero, non puoi MAI fare come vuoi, ci sono sempre regole da rispettare, ma fossero regole con un senso uno capirebbe, invece sono regole inutili che letteralmente mìnano la libertà di espressione individuale a livelli base. Invece qua niente o fai la pecora in mezzo al gregge oppure pecora ti ci fanno diventare, perché altrimenti sei, di nuovo, il gaijin di merda che vuole fare di testa sua.
E sapete cosa fanno i gaijin quando hanno le palle piene di ste stronzate? Fanno i gaijin di merda e le regole senza senso le mandano a fanculo.
#quando sono gli stranieri i primi a fare quei commenti del caxxo giuro che li prenderei a pugni sulle gengive#Giappone#moda#moda giapponese#vestirti#omologazione#società giapponese#società in giappone#my life in tokyo
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“ Cos'era la bomba lanciata su Hiroshima? Il tentativo di ammazzare duecentomila giapponesi quando già il Giappone era sull'orlo della resa? Certamente no. Era un fatto che contava per la notizia che diventava: messaggio degli Stati Uniti al loro prossimo avversario, l'Unione Sovietica. E cos'è oggi il deposito di bombe nucleari coltivato da ambo le potenze in lotta (per trascurare detentori minori)? Queste bombe saranno tanto più efficaci in quanto non scoppieranno, ma resteranno lì a dire agli altri "io potrei scoppiare". Si producono bombe nucleari perché l'avversario sappia che ci sono, guai a tenerle segrete, la funzione dei servizi segreti è quella di fare sapere al nemico quel che si vuole che sappia.
Nasce quasi il dubbio che l'intera organizzazione dell'universo oggi non sia altro che una conferenza stampa, così come un tempo il vescovo Berkeley asseriva che l'intera organizzazione del mondo, di per sé non esistente materialmente, altro non fosse che un insieme di segni che Dio trasmetteva all'uomo. La produzione di notizie per mezzo di notizie ha prodotto una situazione di idealismo oggettivo. È compito di partiti che si dicono materialisti sapere riconoscere questo nuovo statuto dei rapporti materiali. Ci può essere un limite oltre il quale la fiducia che esistano solo cose che si toccano costituisce l'estremo della perversione idealistica. “
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Brano tratto dalla relazione tenuta da U. Eco il 15 aprile 1978 ad un convegno milanese organizzato dalla Casa della Cultura e dall'Istituto Gramsci su Realtà e ideologie dell'informazione, testo raccolto in:
Umberto Eco, Sette anni di desiderio. Cronache 1977-1983, Bompiani, 1983. [Libro elettronico]
#Umberto Eco#semiologia#leggere#letture#citazioni#libri#Sette anni di desiderio#anni '70#Istituto Gramsci#ideologie#intellettuali italiani del XX secolo#'900#Urss#Usa#Giappone#seconda guerra mondiale#servizi segreti#saggistica#saggi#Stati Uniti d'America#segni#mondo#partiti#politica#vita#Unione Sovietica#guerra fredda#dibattito culturale#linguaggio#società umane
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Il numero di centenari in Giappone supera i 90.000 Con un aumento di 4.000 unità, il numero di centenari in Giappone ha superato per la prima volta i 90.000 a settembre 2022. Info:--> https://www.gonagaiworld.com/il-numero-di-centenari-in-giappone-supera-i-90-000/?feed_id=339947&_unique_id=63d7c0eb06d07 #Centenari #Giappone #Società
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Quando si parla con toni allarmati del “declino della società occidentale” si perde di vista un fatto: l’Occidente come entità geografica non esiste.
E non esiste perché non esiste un “polo ovest”, come non esiste un “polo est”.
La società occidentale è infatti l’assorbimento dell’Europa continentale all’interno dell’anglosfera, null’altro che il risultato di una colonizzazione culturale, ovvero l’americanizzazione della nostra società.
Il declino della società occidentale, quindi, è il presupposto essenziale per la rinascita della civiltà europea, plasmata dalla filosofia greca e dal diritto romano. Pertanto prima crolla meglio è. Fine.
@Antonio_DiSiena
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Assolutamente d'accordo.
Tant'è che Occidente equivale all'impero americano. Anche Australia, nuova Zelanda e perfino Giappone vengono considerati occidente ormai.
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La Democrazia Americana
"Portano violenza,
e poi vogliono insegnare al mondo come ci si comporta democraticamente,
non meritano la nostra ammirazione"
"Cari ascoltatori, è molto diffusa l’opinione, non solo in Italia, ma in mezzo mondo, che gli Stati Uniti siano un modello di democrazia. Io, naturalmente, non ho niente contro gli americani, però mi piacerebbe essere minimamente obiettivo per raccontare leggermente la loro storia. Intanto, in quanto ai loro presidenti, ne hanno stecchiti quattro o cinque, così, assassinati, cosa che per esempio in Italia non è mai accaduta, neanche in altri Paesi. Insomma, gli americani quando si stancano di un presidente gli sparano e poi fanno dei bei funerali, quattro lacrime, e si passa al prossimo da assassinare. Insomma, una cosa veramente vergognosa. Ma è la storia degli americani che è inquietante. E quindi l’America non merita tutta la stima che noi abbiamo nei confronti degli Stati Uniti. E vi racconto molto brevemente la loro storia: hanno cominciato con l’uccidere tutti gli apache, i famosi indiani, ci hanno girato mille film su questo argomento. I poveri indiani che si difendevano con l’arco e le frecce, e invece gli americani che usavano ovviamente il fucile e la pistola, e quindi, diciamo, una partita un po’ truccata, ma niente di più. Poi cos’hanno fatto gli americani? Sono andati in Africa e hanno deportato un numero sterminato di neri, li hanno schiavizzati, li hanno trattati male per secoli e adesso passano per quelli buoni, che naturalmente devono insegnare al mondo come ci si comporta democraticamente. Fatta anche questa operazione, cosa hanno fatto gli americani? Così io sintetizzo. Sono andati in Giappone e hanno sganciato due bombe atomiche, due, una su Nagasaki e una su Hiroshima, facendo una quantità sterminata di vittime e anche questa è una bella prodezza. Non paghi, sono andati in Corea a fare un’altra guerra, e anche lì è successo di tutto. Poi sono andati in Vietnam
a massacrare i vietnamiti, un’altra prodezza, diciamo. Poi sono andati in Iraq. Ricorderete, dove volevano esportare la democrazia, invece hanno esportato la morte, perché ne hanno stecchiti un vagone.
Poi hanno finito di fare
i bulli gli americani?
No signori, sono andati anche in Afghanistan.
E lì abbiamo visto com’è andata a finire. Si sono fermati vent’anni, dovevano cambiare la società, non hanno cambiato niente e hanno, diciamo, lasciato una scia di sangue, di morti ammazzati, come loro abitudine. Ecco, questi sono gli americani. E noi dovremmo guardarli con ammirazione nel tentativo di imitarli? Io penso proprio che no. Molto meglio noi italiani, che siamo un po’ confusionari, abbiamo avuto qualche problema, ma rispetto agli Stati Uniti siamo Biancaneve".
- Vittorio Feltri
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LA GIORNATA DELLA MONTAGNA
Perché l’ambiente montano è così importante per il popolo giapponese?
Le montagne giapponesi sono parte integrante della cultura, della spiritualità e della storia del paese, e la loro presenza ha influenzato profondamente la vita e la società giapponese.
Infatti, Circa il 70% del territorio giapponese è montuoso, ricoperto prevalentemente da foreste e vegetazione densa.
Per chi è appassionato del mondo folkloristico giapponese, saprà sicuramente che buona parte delle leggende e dei racconti sul Giappone hanno come protagonisti l’ambiente montano in tutta la sua bellezza e spiritualità.
La montagna sacra per eccellenza del Giappone, il Monte Fuji, appare infinite volte nei racconti e nei dipinti giapponesi e ogni anno migliaia di turisti si recano a visitarla rimanendo incantati dalla sua maestosità.
Il popolo giapponese è talmente legato all’ambiente montano che dal 2016 è stata istituita la festa nazionale della montagna, con pari valore di importanza rispetto a tutte le altre importanti feste nazionali.
In effetti, le montagne hanno sempre avuto un profondo significato spirituale per i giapponesi e sono considerate luoghi sacri e di culto. Questo legame speciale con la natura è dovuto alla pratica del Shintō (神道), una religione indigena del Giappone, ancora oggi molto diffusa che attribuisce grande importanza agli spiriti della natura e agli dei che risiedono in luoghi naturali.
USANZE
Come dicevamo, questa festa è stata istituita da poco, per cui è un po’ difficile poter parlare delle usanze che il popolo giapponese pratica durante questa giornata. Senza ombra di dubbio, possiamo dire che molte persone organizzano con i propri amici o la propria famiglia, gite e pellegrinaggi verso le montagne più famose del Giappone e si recano a visitarne i templi e i santuari situati lungo le sue pendici.
#japan#japan blog#japanese culture#japan culture#japanese ceramics#japanese#giappone#japon#tokyo#shizuoka#osaka#Fuji#fujisan#富士山#landscape#mountains#montagna#nature#cultura giapponese
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Società Promotrice delle Belle Arti, Torino - Utamaro, Hokusai, Hiroshige. Geishe, samurai e i miti del Giappone.
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"KISS ME, LICIA" È IL MALE
Stavo pensando che "Kiss me, Licia" in realtà non è un anime di vedute aperte, anche se ce lo raccontano così.
In apparenza la morale è questa: «Puoi vestire come vuoi. Puoi avere il look che vuoi. Puoi essere ciò che sei. La gente deve smettere di criticare le persone giovani per come si vestono e per la musica che amano».
Ma è davvero così? Pensiamoci bene.
Mirko (uso nomi ed espressioni dell'adattamento italiano) è il protagonista maschile. Egli è musicista di una band pop-rock che fa musica da Zecchino d'oro, anche se la spacciano come rumorosissimo death metal. Ha un look vagamente ispirato alla new wave post punk anni 80, quindi è impresentabile nel contesto tradizionalista e ultra reazionario del Giappone più provinciale.
Ecco perché Marrabbio, padre della brava ragazza (nel senso nipponico reazionario) di cui Mirko si innamora, non sopporta che sua figlia frequenti il nostro eroe. Il padre di Licia chiama Mirko "capellone bicolore" e lo prende in giro continuamente, manifestando il suo disprezzo in mille modi.
Ma alla fine, dopo mille avversità, Marrabbio accetta Mirko e la sua relazione con la figlia.
"Tutto è bene quel finisce bene", direte voi.
Tutto bene un cazzo.
La vera morale dell'anime è: "Il look alternativo devi espiarlo con un contrappasso dantesco, con un controbilanciamento karmiko immane".
Ed è proprio quello che capita a Mirko.
Egli infatti:
1. Non ha il padre. La madre lo abbandonato quando aveva tipo 13 anni e ha abbandonato anche suo fratello, che probabilmente era poco più che un neonato, per fare la stilista a Parigi.
2. Quindi Mirko, quando ancora è un ragazzino, lavora durante il giorno, di sera riesce a coltivare la passione per la musica e fa le prove con la sua band, studia di notte e (non si sa come) riesce pure a prendersi cura del fratellino e del suo gatto. Non è umanamente possibile, ma Mirko ci riesce.
3. Andrea, il fratellino per cui Mirko fa tutti questi sacrifici, è il bambino più odioso del mondo. L'unica creatura più odiosa di lui è il suo gatto. E lo dico da persona che adora i gatti. Ma non parlatemi del gatto di Andrea, per favore. Mirko non solo lavora e si prende cura di Andrea e del gatto Giuliano per 24 ore al giorno, ma deve anche sopportare i capricci di entrambi.
4. Di fronte al disprezzo di Marrabbio la reazione del nostro eroe è questa: non si scompone, massimo rispetto e deferenza.
Quindi ecco l'insegnamento dell'anime: «Hai un look alternativo? Io ti accetto come essere umano degno di essere integrato nella società, ma solo se sei la persona più paziente e dedita agli altri dell'universo. Ah, ovviamente devi sopportare anche le angherie dei reazionari, interiorizzando l'idea della loro indiscussa superiorità».
Dunque alla fine Mirko ce l'ha fatta. Si è guadagnato le stellette per essere accettato dalla società patriarcale giapponese e mostra subito il suo senso di appartenenza. Si fidanza con Licia e parte in tour alla volta degli Stati Uniti, sbolognando fratellino e gatto a Licia, per la quale intravediamo un futuro in cui cucinerà e stirerà le mutande a tutti.
Ecco perché «Kiss me, Licia» per me è gigantesco NO. [L'Ideota]
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I gatti hanno sempre avuto un posto speciale nel cuore dei giapponesi.
Ma il capostazione Tama, una gatta tricolore, è riuscita a catturare il cuore di un'intera città e contribuire con 1,1 miliardi di yen all'economia locale.
La stazione di Kishi a Kinokawa, nella prefettura di Wakayama, in Giappone, fa parte della linea ferroviaria elettrica di Wakayama.
Nel 2004, la stazione rischiava la chiusura e venne salvata solo dalla protesta della gente del posto.
Tuttavia, due anni dopo, la compagnia ferroviaria decise di togliere il personale a tutte le stazioni sulla linea Kishigawa per risparmiare sui costi.
A quel tempo, il direttore della stazione era Toshiko Koyama, un uomo che aveva iniziato a nutrire un gruppo di gatti randagi che vivevano vicino alla stazione.
Una gatta di razza calico di nome Tama era particolarmente apprezzata dai pendolari, essendo sia mite che amichevole.
La si trovava spesso a prendere il sole alla stazione, felice di essere accarezzata e coccolata dai passanti.
Quando giunse il momento per il signor Koyama di procedere, chiese che la linea ferroviaria continuasse a prendersi cura di Tama.
Il presidente dell'epoca, Mitsunobu Kojima, era così preso dal gatto che non solo ne fece ufficialmente il capostazione nel 2007, ma le fece anche fare un cappellino.
Lo stipendio del gatto era pari a un anno di cibo per gatti e le fu dato un cartellino d'oro con il suo nome e la sua posizione impressi su di esso.
In qualità di capostazione, il ruolo di Tama non era solo quello di salutare i passeggeri e il personale ferroviario, ma anche quello di promuovere la ferrovia.
In effetti, la pubblicità aumentò il numero di passeggeri in visita a Kishi del 17% solo in quel mese.
A marzo 2007, le statistiche indicavano che il 10% in più di persone viaggiava sui treni solo per vedere Tama.
Il capostazione Tama guadagnò rapidamente fans...
Nel marzo 2008, Tama fu promossa a "capostazione super", un titolo che le valse addirittura un "ufficio" - vale a dire una biglietteria convertita con una lettiera e un letto.
Tama dimostrò di essere così popolare che il negozio di articoli da regalo iniziò a creare dei souvenir di Tama, come badge, portachiavi e caramelle.
I riconoscimenti continuavano e nell'ottobre 2008 Tama fu nominata cavaliere.
Per questo, un vestitino blu con volant al collo di pizzo bianco venne realizzato appositamente per il gatto.
Quando giunse la stagione dei bonus, Tama ricevette uno speciale giocattolo per gatti e una fetta di polpa di granchio, che le servì lo stesso presidente della compagnia.
Un suo ritratto speciale fu commissionato per essere appeso nella stazione.
Nel 2009, il pluripremiato designer industriale Eiji Mitooka fu assunto per progettare un "treno Tama" con raffigurazioni a fumetti del famoso gatto.
La parte anteriore del treno venne dotata di baffi, e all'interno le carrozze avevano pavimenti in legno e scaffali di libri per bambini.
Le porte si aprivano al suono preregistrato del miagolio di Tama.
Anche l'edificio della stazione venne ristrutturato da Mitooka nel 2010.
Il nuovo design assomigliava alla faccia di un gatto, incorporando le orecchie sul tetto.
Ci sono persino finestre stilizzate che sporgono dal tetto di paglia che imitano gli occhi di un gatto, specialmente la sera in cui le luci all'interno le fanno brillare di giallo.
Nel suo quarto anno come capostazione nel 2011, Tama fu promossa a Managing Executive Officer, la terza posizione più alta, appena sotto il presidente della società e l'amministratore delegato.
A quel punto, aveva già due assistenti capostazione: sua sorella Chibi e sua madre Miiko.
Dopo aver ricoperto il suo ruolo per sei anni, fu elevata al grado di presidente onorario della Wakayama Electric Rail.
Tuttavia, a questo punto, Tama aveva 14 anni e venne deciso che invece di essere visibile in ufficio dal lunedì al sabato, Tama sarebbe stata lì solo dal martedì al venerdì.
La sua morte avvenne il 22 giugno 2015 in un ospedale veterinario. Alcuni giorni dopo la scomparsa fu celebrato un funerale shintoista e Tama fu dichiarata "Onorevole Capostazione per l'Eternità".
Viene oggi onorata in un tempio vicino come divinità.
(Annalisa Susini)
(assemblato da Simone Chiarelli pag FB il piacere della scoperta)
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[✎ ITA] Hope On The Street Vol.1 : Intervista dall'Album Speciale di j-hope (INTERLUDE) | 29.03.24⠸
HOPE ON THE STREET VOL.1
__ Parte 2 : INTERLUDE __
PARTE 1
3. PLAYGROUND / OSAKA con Gucchon
j-hope : Intervista 6
- I wonder... (with JUNGKOOK of BTS) -
"Ce l'avevo nel sangue"
Ti ricordi che, prima del debutto,eri solito postare le analisi"j-hope's Street Dance Overview (Resoconti sulla Street Dance by j-hope)" sul Bangtan Blog?
Certo! Come potrei dimenticarmene? Periodicamente, postavo i miei video di street dance. Era un segmento nato di mia personale iniziativa e per un desiderio genuino. Col senno di poi, è proprio da quella serie di post che è partito tutto. Già allora, ne ero un grande appassionato. Più che appassionato – ce l'avevo nel sangue.
E, come in passato, anche qui inizi dal popping
Non c'è un motivo particolare. Quando stavo pensando a chi coinvolgere, ho pensato il popping si sarebbe ben sposato con Osaka, ed Osaka è dove balla Gucchon. È fin da quando ero ragazzino che, insieme a Boogaloo Kin, facevo ricerche sul suo conto, quindi ho pensato sarebbe stato fantastico poterci lavorare insieme.
Le nostre riprese sono iniziate ad Osaka, quando era ancora tutto piuttosto confuso. "Com'è meglio iniziare?", "Quale approccio dovrei adottare?", "Dovrei iniziare semplicemente ballando?", "No, non credo vada bene.." Quindi alla fine ho deciso di buttarmi e prendere il progetto di petto. È ciò che amo– qualcosa che faccio fin da quando ero ragazzino – andrà tutto bene...no? Ma non appena abbiamo iniziato, mi sono subito reso conto di quanto effettivamente fosse difficile. Però, conoscete il detto, no? "Chi ben comincia, è a metà dell'opera". L'importante è iniziare.
Il tema (musicale) del capitolo dedicato ad Osaka è "i wonder..." Come mai? Cosa significa?
Ho iniziato a chiedermi cosa mi aspetterà in futuro. Chissà se mi piaceranno ancora le stesse cose, se continuerò a coltivare questa passione? Insomma, ho sviluppato una certa curiosità rispetto al futuro in generale – al mio futuro, per come me lo sono sempre prefigurato, e a quello dei miei colleghi ballerini e di gruppo. Ho pensato unire elementi di vita vera e musica col ballo avrebbe dato ottimi risultati – creato una certa sinergia. Dunque "i wonder..." mi sembrava un buon punto d'inizio.
E ora che le riprese sono finite, pensi di aver soddisfatto quella tua curiosità?
In fin dei conti, tutto mi ha ricondotto, ancora una volta, alla musica e al ballo. Ho capito che continuando ad amare ciò che facciamo, a trarne gioia e a divertirci nel processo, il futuro non può essere poi così diverso dal presente. Ovviamente, non posso averne la certezza. Ma fin tanto che continuerò a divertirmi e ad amare il ballo, credo non ci sia motivo di guardare al futuro con ansia. O almeno, questa è la spiegazione che mi son dato.
INTERVISTA con GUCCHON
Popper giapponese, Gucchon è un maestro del popping, abilissimo nel controllo dei movimenti. Ha un suo stile del tutto personale. Il suo è il genere di ballo cui j-hope è particolarmente appassionato.
Il popping è un tipo di ballo che si concentra sul ritmo e sull'isolamento* dei movimenti.
(nota a cura di Boogaloo Kin)
[isolamento: quando si muove solo una parte del corpo indipendentemente dalle altre – sia che il resto del corpo sia fermo o che esegua movimenti completamente differenti.]
Potresti presentarti brevemente?
Salve, mi chiamo Gucchon e sono di Osaka, in Giappone.
Rappresento lo studio di ballo Co-thkoo, Fab5Boogz
Da dove trai ispirazione per il ballo?
La cosa fondamentale sono i cypher (battaglie di ballo freestyle). I cypher accendono la mia immaginazione, sono una fonte d'ispirazione e mi danno sempre nuove idee creative.
Il tema dell'episodio dedicato ad Osaka è "i wonder...", quindi sarei curiosə qual è il futuro che vorresti?
Il futuro dei miei sogni è una società in cui quando camminando per strada senti una musica, il tuo corpo risponde automaticamente ed è possibile e normale ballare tutti insieme.
In conclusione, cosa significa il ballo per te?
Il ballo è tutta la mia vita. Il ballo è vita e la vita è ballo. Inoltre, il ballo fa parte del mio lavoro, ma non ho mai smesso di amarlo. La danza è il cuore pulsante del modo in cui vivo.
4. MOTIVATION / NEW YORK con Link
j-hope : Intervista 7
- What if... (dance mix with JINBO the SuperFreak) -
"L'unico modo per sopravvivere"
A New York hai ballato l'hip-hop, pensi sia lo stile con cui ti trovi più a tuo agio?
Sì, credo il popping e l'hip hop siano i due stili maggiormente radicati nel mio sangue. Ero sicuro non avrei avuto problemi, almeno su questo. Ma il tutto ha preso una piega totalmente inaspettata. Lo vedrete nell'episodio di New York. Guardando, capirete quanto fossi agitato. Non aggiungo altro (ride).
Link è uno dei pionieri dello stile hip hop. Com'è stato vederlo ballare?
Come ho già menzionato, il mio modello è Boogaloo Kin, ma il suo modello è Link. Wow! È un pezzo di storia. È davvero incredibile. È come trovarsi di fronte ad un pezzo di storia della street dance in carne ed ossa. Sono sicuro gli/le appassionatə di ballo ameranno quest'episodio, mentre coloro che non hanno tanta esperienza col ballo, ne rimarranno incuriositə, credo.
Ho saputo che Link ti ha mandato un video, prima che tu partissi per New York. Cos'hai provato quando l'hai visto?
Mi ha buttato parecchio giù, a dire il vero. Conoscevo molte delle cosiddette mosse da dance party, ma in diversi segmenti il ritmo era talmente strano che mi son chiesto se veramente avessi già provato quella routine, beat o stile in precedenza. Quindi, anche se mi ero preparato al meglio mentalmente prima di partire per New York, non appena ho visto le movenze di Link, mi sono sentito come se fino a quel momento io non avessi realmente ballato. Continuavo a chiedermi "Cos'è? Come si fa?" e non riuscivo a stare al passo. Era la prima volta nella mia vita che mi sentivo così, una sensazione del tutto inedita – sì, è stata un'esperienza davvero nuova, per me.
Dunque Link è stato il tuo tutor per il ballo hip hop, ma hai forse imparato anche altro da lui?
Ogni minuto trascorso insieme a lui è stato fonte di nuove conoscenze. Credo sia proprio questione di energia ed aura, quando si è in sua presenza, perché è letteralmente una parte di storia del ballo. È stato una grandissima ispirazione, per me, e credo di averne approfittato per chiedergli tutto ciò che avevo sempre voluto sapere. E non si è trattato solo di imparare cose sul ballo, ma anche sulla vita. L'unica cosa che mi è dispiaciuta è che non abbiamo potuto trascorrere molto tempo insieme. C'erano talmente tante cose che avrei voluto chiedergli! Gli ho chiesto che cosa pensava avrebbe fatto, se non fosse stato un ballerino, ed è stata come una domanda posta a me stesso.
E come credi sarebbe la tua vita senza il ballo?
Non credo sarei la persona che sono oggi, se non fosse stato per il ballo. Non riesco neanche a concepire l'idea di non avere il ballo nella mia vita. È impossibile. Credo né j-hope e neppure il vero Hoseok sarebbero gli stessi. Il ballo, ormai, è tutta la mia vita. È da lì che è iniziato tutto.
INTERVISTA con LINK
Il ballerino americano Link, maestro di ballo hip hop, non ha bisogno di presentazioni. È il primo ballerino cui pensiamo quando si parla di hip hop freestyle ed è sempre stato una grandissima fonte di ispirazione per me, j-hope, ed innumerevoli altrə ballerinə in tuttto il mondo.
(nota a cura di Boogaloo Kin)
Com'è andata? Come ti è parso j-hope?
Quando provavamo dei passi e coreografie complesse, j-hope non si è mai lamentato, non ha mai detto "Non voglio farlo" o "cambiamo quella mossa", era sempre pronto a mettersi alla prova. È evidente quanto ami il ballo. Credo il suo nome [d'arte, Hope / speranza] la dica lunga sul suo conto. E io "spero" continuerà a coltivare quella passione e che quella sua scintilla non sbiadisca mai. Quello è l'unico modo per continuare e sopravvivere, in ogni aspetto della vita.
La street dance incorpora diversi generi e stili di ballo, come potremmo definire lo stile hip hop, secondo te?
Se spezziamo ed analizziamo la parola, "hip" significa "sapere", tipo.. sapere quali sono i posti e i beat giusti, ma è una consapevolezza che si può applicare a tutto. E "hop" significa "muoversi". Quindi si è "hip" (consapevoli) rispetto alla musica e la si segue, hopping dove ci conduce, per esser parte del divertimento insieme. Quello è l'hip hop.
In conclusione, che cosa significa il ballo per te?
Bisogna farsi alcune domande, tipo 'e se il ballo non mi trasmettesse nulla?', 'Il motivo per cui ballo è davvero perché amo la danza?', 'È fonte di ispirazione, per me?' Se il ballo non conduce a ciò che ci eravamo prefiguratə, è inevitabile rimanere delusə. E poi si finisce per sentirsi inadeguatə. Ma se davvero ti piace ballare, non sarai mai delusə, e tanto basta.
5. ART / PARIGI con Yugson
j-hope : Intervista 8
- I don't know (with HUH YUNJIN of LE SSERAFIM) -
"Messo di fronte a quelle incertezze,
ho potuto accettarle ed affrontarle"
Il tema dell'episodio dedicato a Parigi è "I don't know". C'è forse un qualche motivo particolare per questa scelta?
Credo ognunə di noi abbia momenti di insicurezza. Può essere incertezza riguardo la nostra vita o i nostri sentimenti. Di fatto, può essere per qualsiasi cosa, ma io ho affrontato questo tema pensando al ballo e alla mia vita. Può capitare di andare in crisi o sviluppare delle cattive abitudini, senza neppure sapere perché. Nell'episodio dedicato a Parigi, ho cercato di lavorare su quel tipo di sensazioni e risolverle.
Lo stile house ti è poco familiare, dico bene?
È una totale novità, per me. È l'unico che non avevo ancora imparato. Ma credo di aver sempre avuto un po' di house in corpo, sottilmente inscritto nel mio ritmo. Quando ballo la house, mi sento come attraversare da una scossa di entusiasmo. È uno dei miei stili preferiti– non solo per quanto riguarda il ballo, ma anche come genere musicale. Credo sia proprio quell'entusiasmo, quell'ebrezza ed emozione a definire la house e renderla ciò che è. Quindi imparare lo stile house è un must. È un'occasione da non perdere assolutamente.
Qual è stato l'aspetto più memorabile riguardo Parigi?
Non dimenticherò mai le scale. C'era questa scalinata tappezzata di scritte "Paris"– incarnav la vera essenza di Parigi. La musica, l'atmosfera–era tutto fantastico. Ed io ho potuto ballare proprio in quel luogo, non potevo desiderare di meglio. Ballare su quelle scale è il ricordo più memorabile che ho.
L'episodio è iniziato con delle domande riguardo il tuo blocco artistico. Credi di aver risolto quelle emozioni, ora?
Subito dopo il debutto, c'è stato un momento in cui ho iniziato ad avere dubbi riguardo la mia esperienza e gli stili di ballo imparati fino a quel momento. Ero estremamente insicuro e continuavo a rimproverarmi a riguardo. Continuavo a mettere in dubbio le mie capacità, non riuscivo a smettere, e non sapevo neanche il perché. Volevo migliorare nel ballo, ma non è sempre così semplice. Credo quell'esperienza mi abbia davvero aiutato molto quando si è trattato di lavorare ed esplorare il tema di "I don't know". Sicuramente non sono il solo, sono certo tuttə quantə, almeno una volta, abbiano affrontato insicurezze simili riguardo la propria vita o il proprio lavoro.
Quando poi ho riguardato l'episodio di Parigi, a fine riprese, mi son detto che forse ho potuto approcciarmi al genere house proprio grazie a quell'esperienza, al fatto che ho continuato a ballare ed insistere, nonostante i miei dubbi. Messo di fronte a quelle incertezze, ho potuto accettarle ed affrontarle. Cioè, se non si riesce ad accettare qualcosa, si finisce per svilupparne un rifiuto ad un livello emotivo ancor più profondo. Io sono riuscito a lavorarci su, ad accettare ed affrontare quei dubbi, anche a lavorare su me stesso, e penso quello mi abbia portato una maggiore consapevolezza e conoscenza di me stesso.
INTERVISTA con YUGSON
Yugson è un ballerino francese abile non solo nell'house, ma anche, tra gli altri generi, nell'hip hop freestyle. L'house europeo, in particolare, ha un'aura ed unicità diverse rispetto a quello americano o asiatico. Yugson ha vinto diverse edizioni di Juste Debout, un evento internazionale dedicato al ballo, spesso considerato come le olimpiadi della street dance
(nota a cura di Boogaloo Kin)
La street dance comprende diversi stili di ballo. Tra questi, che tipo di ballo è il genere house, secondo te?
L'house è cultura, è libertà. È l'opportunità per persone appartenenti a culture diverse di condividere idee. È come se il tuo corpo fosse pervaso da una qualche forma d'energia.
Io sono originario del Congo e, grazie alla house, riesco ancora a godere di quella carica. Credo lo si possa chiamare "potere": c'è questo scambio, ricevi questa scarica di energia e ti senti subito a casa (*house), ecco perché si chiama così.
E che cos'è il ballo, per te?
Il ballo è passato, presente e futuro. In altre parole, il ballo è tempo. Prendiamo il passato, vi riflettiamo nel presente e così facendo ci muoviamo verso il futuro– ecco cos'è il ballo per me. È qualcosa d'eterno.
Rimpiangi mai d'essere un ballerino?
Neanche per sogno. Ballo col cuore, quindi non ho rimpianti. Ogni volta che ballo lo faccio come se fosse l'ultima volta. Oggi ballo, ma chissà dove sarò domani. Ecco perché ogni volta do il 100%
Epilogo : Crudo e puro
- Conversazione tra J-Hope e Boogaloo Kin -
J-HOPE: Boogaloo Kin! Grazie mille per aver fatto quest'esperienza insieme a me. Mi hai davvero aiutato un sacco a far sì che 'HOPE ON THE STREET' filasse per il verso giusto. E, ancora una volta, grazie per tutto l'impegno che hai dimostrato. Cosa hai pensato? Cosa ti ha convinto ad accettare? La mia è stata una richiesta piuttosto improvvisa.
BOOGALOO KIN: Ero in un tumulto da ultima ora, non c'è dubbio. Non c'era nulla di chiaramente pianificato, quindi inizialmente ero un po' preoccupato. Allo stesso tempo, però, non vedevo l'ora. Ci sono tanti documentari dedicati al ballo, ma nessuno passa in rassegna tutti i generi di street dance che conosciamo e pratichiamo noi – popping, locking, hip hop e house. Sul serio, di fatto non ce n'è nessuno così preciso ed approfondito. Ho sempre desiderato, un giorno, poter creare un documentario simile e mostrare al mondo questo nostro bellissimo stile di ballo. E poi, all'improvviso, ecco che mi si è presentata l'occasione di fare di questo sogno una realtà. E, alla fin fine, mi sono preoccupato per nulla perché tu hai deciso di rimanere sul semplice – sul ballo crudo e puro. Sono felice che siamo riusciti a catturare l'essenza della danza per quella che è.
JH: Ma non è semplice catturare e rappresentare al meglio quell'aspetto grezzo. Non ce l'avrei mai fatta da solo. Se non fosse stato per te e per il tuo costante amore per il ballo, non sarei mai riuscito a tenere il progetto in carreggiata. Credo siano state la tua esperienza e la tua guida a rendere il documentario ancor più bello. E la cosa migliore è che tornare a ballare con te, dopo tanto, mi ha dato l'opportunità di riflettere su me stesso. Ti sembra sia cambiato qualcosa, dopo quest'esperienza? Se sì, cosa?
BK: La cosa migliore è stata poter lavorare a questo progetto insieme a te. Per un periodo, non abbiamo potuto lasciare la Corea a causa della pandemia, ma prima di quello, la nostra vita era un costante viaggio. Ogni luogo in cui arrivavamo, trovavamo sempre un qualche ballerino, come Gucchon, Link o Yugson. Ero solito incontrare persone come loro almeno una volta all'anno. È stato davvero fantastico poterli rincontrare dopo tanto, ma di fatto, appunto, non era la prima volta (ride). Però è stato bello poterli incontrare insieme a te e vedere come sono cambiati e che cosa hanno a cuore e quali sono i loro interessi ultimamente. Abbiamo proprio parlato un sacco durante questo viaggio, vero?
JH: Sì, avremo condiviso qualcosa come 30 anni di aneddoti e storie. Cioè, io ora ho 30 anni e mi sembra di aver coperto tutta la mia vita nelle nostre chiacchierate (ride).
BK: È stato bello conoscere questo tuo lato ancor più autentico e ho constatato con piacere che sei proprio cresciuto al meglio. Se c'è qualcosa che è cambiato da dopo il documentario, è che sento un senso di responsabilità ancor più grande nonché una certa pressione perché, con il rilascio di un progetto così bello, credo molte più persone inizieranno a prestare attenzione a ciò che faccio. Quindi, d'ora in poi, farò meglio a riflettere bene prima di parlare. Inoltre, mi sento in dovere di approfondire ancora la conoscenza degli stili di ballo che pratico da oltre 20 anni, imparare per bene tutti i dettagli storici del caso, così da poter passare questa mia conoscenza alle generazioni future.
JH: Credo quello sia un sentimento che abbiamo in comune. Penso di aver lavorato ancor più duramente proprio perché non volevo essere di peso al progetto, e ovviamente questo implica un senso di responsabilità ed una certa pressione. Inoltre, al di là del ballo, credo di aver imparato molto. Col senno di poi, c'è forse qualcosa avresti voluto fosse andato meglio? Adoro tutto ciò che abbiamo fatto, ma mi spiace anche un po' perché sapevo fin dall'inizio del tuo infortunio al ginocchio.
BK: Metterci in gioco ed in mostra per il pubblico è l'essenza del nostro lavoro, è l'unica cosa che possiamo provare a noi stessi, ciò che sappiamo fare e presentiamo a chi ci segue. Non credo il pubblico sia completamente consapevole di quanto sta dietro, ma va bene così. La cosa importante è dare sempre il 120%, ma io non ho potuto dare neppure il mio 100% e mi è dispiaciuto. Immagino ci siano persone perplesse riguardo la nostra collaborazione e, in passato, quel tipo di opinioni mi avrebbe infastidito e ferito, ma ora non me ne curo assolutamente. Chi se ne frega. Ho comunque intenzione di continuare a ballare fino all'ultimo giorno, abbiamo tuttə qualcosa in cui siamo bravə e qualcos'altro meno. Siamo tuttə diversə. Semplicemente, io ballo perché mi piace ballare. Se un giorno il mio ginocchio tornerà al 100%, potremo sempre ripetere l'esperienza. Di questo non mi preoccupo, quindi non importa. E tu?
JH: Grazie a queste riprese ho realizzato che quanto ho fatto finora non è semplice. Ho capito quanto importante sia anche il processo e ora so che ci sono ancora tante cose da imparare. Il mio scopo, in fondo, era proprio quello di imparare. Proprio per questo, ho voluto approcciarmi a questo progetto con serietà ed impegno. Ad ogni modo, è proprio vero che il tempo vola. Sembra solo ieri che abbiamo iniziato le riprese, e ora sono già finite. Grazie infinite per tutto l'aiuto che mi hai dato durante questo progetto.
BK: Grazie a te per aver pensato a me e per avermi proposto di partecipare. È stata l'opportunità di riflettere sulla mia passione per il ballo e su cosa farò ora. Facciamo un brindisi finale.
JH: Brindiamo alla 2a stagione, ad una vita pervasa dal ballo, alla buona guarigione del tuo ginocchio e all'importanza di dare sempre il 120%! (fanno un brindisi).
#Seoul_ItalyBTS#TradITA#ITA#Traduzione#Interviste#BTS#방탄소년단#J-Hope#제이홉#HOPE_ON_THE_STREET_VOL_1#290324#Album
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Il termine enjo kōsai (traducibile come "appuntamento sovvenzionato" o "incontrarsi per un aiuto") indica un fenomeno sociale del Giappone contemporaneo, riguardante le studentesse tra i 12 e i 17 anni, ma anche le casalinghe, che in cambio di denaro o di regali sono disposte a frequentare di nascosto uomini adulti.
In pratica le ragazze/donne che praticano l'enjo kōsai sono da considerarsi delle escort a tutti gli effetti.
Il fenomeno apparve agli inizi degli anni novanta, quando i mass media nipponici iniziarono a interessarsi della giovane età delle ragazze e a domandarsi il perché di questo fatto.
Queste ragazze infatti provengono perlopiù da famiglie perbene e dispongono di una buona educazione, a differenza delle sukeban, le ragazze teppiste degli anni settanta.
Si può parlare, dunque, di prostituzione? A volte, purtroppo sì.
Infatti alcune ragazze si limitano ad accompagnare gli uomini ai locali di karaoke o al ristorante, altre si spingono oltre, arrivando ad avere rapporti sessuali.
Gli incontri avvengono tramite il computer, il telefono cellulare o i telekura. Gli uomini che frequentano le ragazze sono soprattutto professori, avvocati e i cosiddetti salaryman, ovvero uomini d'affari.
Talvolta il giro dell'enjo kōsai viene gestito da vere e proprie organizzazioni, le stesse che mettono in contatto i clienti con le ragazze fornendo loro numeri di cellulare, fotografie e quant'altro.
Non è un caso trovare attaccati alle cabine telefoniche dei quartieri 'a luci rosse' i biglietti da visita che ritraggono, spesso anche solo con un disegno in stile manga, le giovani prostitute, descrivendone il servizio offerto.
Biglietti che possono essere staccati da chiunque, per essere immediatamente rimpiazzati da personale apposito.
Gente che agisce per lo più nella clandestinità, ma al contempo sotto gli occhi di tutti.
Le ragazze spendono i soldi ricevuti principalmente in vestiti o borse firmate. Ma a parte questo, che cosa spinga un'adolescente a vendere il proprio tempo ed eventualmente il proprio corpo, è un mistero ancora da chiarire.
Abbiamo infatti appurato che queste ragazze non provengono da famiglie con problemi finanziari e non hanno problemi d'integrazione sociale, tutt'altro, ma il fenomeno è comunque in preoccupante espansione.
La polizia giapponese ha affermato che nel 1995 più di 5.000 ragazze tra i 14 e i 19 anni sono state fermate per problemi riguardanti la prostituzione, mentre nel 1996 nella sola città di Tokyo sono state fermate più di 1.000 studentesse.
Una ricerca del governo metropolitano di Tokyo ha appurato che il 3,5% delle studentesse delle scuole medie e il 4,4% delle studentesse delle scuole superiori ha praticato almeno una volta l'enjo kōsai.
Le cause di questo fenomeno potrebbero essere da ricercare anche in famiglia e nelle scuole.
Parlando di società giapponese, infatti, ci riferiamo a un ambito in cui una famiglia può difficilmente permettersi più di un figlio. Un tempo, il cosidetto 'nucleo familiare allargato' garantiva la sicurezza della solidarietà tra parenti, consigli e la trasmissione di valori che si stanno perdendo.
Come le famiglie europee, quelle giapponesi hanno sempre meno tempo da dedicare ai figli, prese come sono dal lavoro e dall'obiettivo del raggiungimento di una elevata posizione sociale. Nello stesso modo, e forse di conseguenza, anche il sistema educativo appare in crisi: le scuole giapponesi pretendono sempre di più, e qualsiasi errore viene mal tollerato: l'obiettivo è quello di ottenere sempre ottimi risultati, di frequentare le scuole migliori, superare gli esami per le università più prestigiose, trovare un lavoro che sia stabile, redditizio... e diventare ricchi.
Tutto questo sottopone gli studenti a un grado di stress che li porta e sfogare sui più deboli l'aggressività accumulata. Una tensione che sfocia in maltrattamenti verbali e, nei peggiori dei casi, fisici, e a isolare chi viene distinto come 'diverso': perchè non si comporta in un determinato modo o non possiede determinati beni che ne attesterebbero l'appartenenza a un gruppo piuttosto che alla massa anonima e standardizzata.
Da qui, probabilmente, il bisogno di chiudersi in casa, di non frequentare più la scuola, per rendersi invisibili; oppure, al contrario, la necessità di procurarsi, indipendentemente da come, quello che hanno gli altri. Per essere come loro.
L'enjo kōsai, dunque, forse è solo uno dei tanto modi in cui si manifesta una sofferenza che spesso dà risultati se possibile ancora più tragici: pestaggi a scopo di rapina o per divertimento, effettuati da bande di bambini, ai danni di anziani o barboni; delitti, suicidi. Esperienze che segnano non solo chi subisce violenza, ma anche chi le commette: guai con la legge che si ripercuotono su tutta una vita; problemi di coscienza per via di leggerezze che si sarebbero potute evitare. Le stesse giovani che si lasciano coinvolgere nel giro dell'enjo kosai non ne sono immuni, perchè quando si pentono d'essersi buttate via per motivi futili, per poter soddisfare un capriccio, calpestando la propria dignità per privilegiare il materialismo o entrare a far parte di un gruppo incapace di apprezzarle per ciò che sono... è già troppo tardi.
All'enjo kōsai ricorrono spesso le kogal, per ottenere i soldi necessari per i loro divertimenti.
Fonti: GiapponeOnline, Wikipedia, Gals Style
Personalmente penso che questo sia il risultato del voler "apparire" piuttosto che "essere", e che sia un fenomeno a cui la società ti COSTRINGE con forza, soprattutto se sei così giovane, cercando di farti credere che se non hai determinate cose, oggetti, stile, giri di amicizie, non appartieni alla società stessa.
Questo fenomeno di "coercizione" è presente anche in Italia, non solo in paesi così lontani come il Giappone.
Autrice del forum: @adaralbion
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La vera piaga della società ipercapitalista di oggi e che, a cascata, genera pure le disuguaglianze di classe sapete qual è?
Il servizio clienti.
Tutti quanti vogliamo sentirci ricchi o semplicemente più ricchi degli altri e di chi conosciamo. Prenotiamo gli hotel di lusso finché ce li possiamo permettere oppure semplicemente gli hotel si abbelliscono come se fossero di lusso, nonostante abbiano prezzi abbordabili perché la gente deve sentirsi ricca anche se non lo è. Stessa cosa vale per i ristoranti o per qualsiasi altra attività che offre un servizio ai clienti.
E la piaga del lavoro sempre da là viene: esistono turni di notte, numeri verdi 24/7, cose inaudite solo perché così il cliente è soddisfatto e ha tutto ciò di cui ha bisogno. È ovvio che finché parliamo degli ospedali o di altre cose tutto è sacrosanto, ma mi spiegate che cazzo me ne faccio del numero verde 24/7 quando mi compro un frigorifero (sto facendo un esempio a cazzo di cane)? E perché l'hotel deve avere la vasca idromassaggio, la piscina, il servizio in camera e tutte quelle menate che è palese che sono fatte apposta per viziare i clienti deficienti che ci vanno?
Ed è proprio perché il servizio clienti giapponese che è il migliore al mondo che ha reso scemo sto popolo, perché questi hanno la pappa pronta per qualsiasi cosa, non si devono mai ingegnare a fare niente. Dall'altra parte è vero che grazie a questo c'è tantissimo lavoro, ma dall'altra parte ogni lavoro legato al servizio clienti fa oggettivamente cacare, è usurante, è schiavismo pagato istituzionalizzato che, appunto, crea la disuguaglianze di classe a cui accennavo, perché, per favore non rompete i coglioni, ma è palese che vedete i camerieri o chi vi fa il letto in hotel con uno sguardo da servo-padrone. E vorrei vedere se avreste lo stesso sguardo nel caso in cui certe figure venissero pagate con uno stipendio maggiore del vostro.
Personalmente quando viaggio sono sempre andata nelle peggio bettole e non me ne è mai fregato un cazzo e onestamente penso non me ne fregherebbe pure se guadagnassi 4 volte tanto. Quando viaggio io ho bisogno di un letto e basta, non della vasca da bagno con gli asciugamano in cashmere.
#io sta società non la capisco#e più ci rifletto più mi fa proprio schifo#pensieri notturni#pensieri#società capitalista#ipercapitaliamo#lusso#servizio clienti#giappone
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" Nella primavera del ’90 Akiko è all'inizio del terzo anno di università (l’anno scolastico, come quello lavorativo, comincia ad aprile e finisce a marzo), e riesce a sostenere una semplice conversazione in italiano. Non è una studentessa particolarmente brillante, ma è diligente, studiosa, piena di buona volontà. In classe è sempre attenta, non chiacchiera con le compagne, l’unica cosa che le si può rimproverare è un eccessivo spirito gregario, ma è un difetto comune a molti. Nonostante sia timida, come la maggior parte dei suoi compagni e delle sue compagne di corso Akiko ha in programma di passare le vacanze estive in Italia, a Firenze, dove frequenterà per due mesi una scuola per stranieri. In Maggio viene a trovarmi nel mio studio, per chiedermi consigli riguardo al viaggio imminente, e ho così modo di conoscerla un po’ meglio. All'inizio è un po’ esitante, sta seduta in punta di sedia, cincischia con una mano un bottone della camicetta dal collo di pizzo, l’altra la tiene posata in grembo, sui jeans poco intonati alla camicetta. Ben presto però si rinfranca, e bastano un paio di domande informali da parte mia perché di sua spontanea volontà si metta a parlare di sé.
Vengo così a sapere che abita a mezz’ora d’autobus dall'università, e che divide con un’amica un minuscolo appartamento di una stanza, cucinino, e il solito bagno poco più grande di un armadio. Sistemazione che considera già un lusso, poiché la sua famiglia, che ha un piccolo commercio in provincia, fa un notevole sforzo per pagarle gli studi a Osaka. Per domandare ai genitori meno denaro possibile, come la maggior parte degli studenti Akiko svolge un lavoro part-time, due sere alla settimana fa la cameriera in un ristorante, per una paga equivalente a quella di una collaboratrice domestica in Italia; paga della quale è molto contenta perché prima di trovare questo posto smistava la merce in un supermercato dove guadagnava meno e si stancava di più. Il viaggio in Italia se lo pagherà con il denaro messo da parte negli ultimi due anni. Quando lodo il suo senso di responsabilità, Akiko mi risponde che è normale, i suoi genitori non sono ricchi e fanno già abbastanza per lei. Questa preoccupazione di pesare il meno possibile sulla famiglia una volta terminate le medie superiori è molto frequente nei giovani, e a questa loro esigenza risponde l’ampio mercato di lavoro saltuario e part-time. "
Antonietta Pastore, Nel Giappone delle donne, Giulio Einaudi, 2004. [Libro elettronico]
#letture#leggere#Giappone#citazioni#università#famiglia#Antonietta Pastore#studentesse#giapponesi#apprendimento#Nel Giappone delle donne#mitezza#calma#tranquillità#vita#prescrizioni sociali#estremo oriente#famiglie#affetto#amici#società giapponese#simpatia#amicizia#condizione femminile#emancipazione#serenità#sacrifici#autoritarismo#studenti#povertà
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Anime, manga e otaku: un triangolo d'oro che ha cambiato il mondo L'evoluzione di un fenomeno e il suo impatto sulla società nipponica. Read more:--> https://www.gonagaiworld.com/anime-manga-e-otaku-un-triangolo-doro-che-ha-cambiato-il-mondo/?feed_id=8907&_unique_id=672780c0d4ef8 #Culturaotaku #Giappone #Otaku
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1984 è il titolo di un libro di George Orwell scritto tra il 1948 ed il 1949 divenuto ormai famosissimo e, considerato da molti, un vero precursore dei tempi moderni.
Orwell era britannico anche se nato nell'India coloniale e l'ormai iconico suo libro, famoso per aver descritto così accuratamente la realtà distopica recente, non aveva inventato nulla di nuovo.
Fu in realtà lo scritto di un sovietico che lo ispirò; si trattava del libro Noi di Evgenij Zamjatin scritto nel 1919.
Noi di Zamjatin racconta di una società futura in cui gli individui sono controllati da un governo totalitario e devono seguire delle regole rigidissime. Il protagonista, D-503, è un ingegnere che lavora alla costruzione di un'astronave per conquistare altri pianeti. La sua vita cambia quando incontra una donna ribelle, I-330, che lo introduce a un mondo sotterraneo di libertà e resistenza
Ma 1984 fu anche l'anno in cui venne inventato il gioco elettronico più famoso del mondo
Infatti il 6 giugno di 39 anni fa, un giovane ricercatore dell'Unione Sovietica che lavorava al Centro di Calcolo dell'Accademia delle Scienze dell'URSS di Mosca, Aleksej Leonidovič Pažitnov, inventò TETRIS!
Pažitnov si ispirò ai tetramini, delle figure geometriche composte da quattro quadrati uniti tra loro e giustapposti lungo i lati.
Tetris divenne presto molto popolare tra i dipendenti dell'Accademia e poi in tutta l'Unione Sovietica.
A quei tempi, qualsiasi invenzione dei ricercatori sovietici che lavorassero in enti dello Stato (praticamente tutti) divenivano automaticamente invenzioni di proprietà dello stato; nessun ricercatore poteva brevettare a suo nome ed a suo esclusivo beneficio il frutto del proprio genio.
Ma Pažitnov non voleva brevettarlo, voleva che fosse di libero utilizzo.
Rischiò grosso quando si scontrò con il Direttore del Centro di Ricerca di Mosca Nikoli Belikov
Pažitnov anticipò di circa un decennio, l'epoca dell'informatica condivisa degli anni '90.
All'epoca la grafica computerizzata era agli arbori, non esisteva nulla di quello a cui siamo abituati oggi, infatti le ormai famose figure del Tetris formate ognuna da 4 quadratini, erano visualizzati come una successione di 2 parentesi quadre: [ ]
Ma le invenzioni geniali non possono essere tenute nascoste a lungo al mondo ed infatti ben presto si diffusero versioni diverse sia in Europa che in Giappone e Stati Uniti.
A quei tempi i 3 mercati principali erano molto chiusi uno all'altro, ed ognuno di loro aveva proprie licenze di utilizzo distinte dalle altre. Fu quindi così che la Nintendo giapponese sviluppò la sua versione e la Atari Games statunitense la sua.
Ci furono feroci ed estenuanti scontri legali tra l'Unione Sovietica contro il Giappone e gli Stati Uniti; The Tetris Effect: The Game that Hypnotized the World di Dan Ackerman è un libro che spiega bene tutte queste fasi
Ma la Nintendo e la Atari avevano ottenuto le licenze da intermediari diversi e questo generò scontri ulteriori.
Fu infine la patria del capitalismo, gli Stati Uniti, che con un proprio Tribunale, decise chi avrebbe dovuto guadagnarci dalla distribuzione del Tetris, infattu nel 1989 decise che Nintendo aveva i diritti esclusivi per la distribuzione di Tetris per le console mentre la Atari Games, li avrebbe avuti per le sale giochi.
(Luperco)
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Una vita lunga 101 anni - di cui una trentina vissuti in Estremo Oriente - più di 30 libri scritti, due secoli attraversati da protagonista, a partire dalla Belle Époque sino alle rivolte studentesche del 1968.
Questi sono solo alcuni dei "numeri" di una donna veramente straordinaria, la prima occidentale ad aver mai visitato nel 1924 Lhasa, capitale e città santa del Buddismo tibetano.
Alexandra David-Néel nacque nei dintorni di Parigi il 24 ottobre del 1868 da un francese ugonotto e socialista, e da una belga cattolica e monarchica, che per molti versi era l'opposto del marito.
Fin da bambina desiderò, come scrisse lei stessa, "andare oltre il cancello del giardino e partire per l'ignoto", immaginato come luogo dove potersi sedere da sola a meditare, senza nessuno accanto.
Proprio per questo, a 16 anni s'allontanò dalla casa di famiglia in Belgio, in tempi in cui le donne sole erano considerate pazze o prostitute, per raggiungere l'Olanda a piedi e di qui imbarcarsi per l'Inghilterra, poi l'Italia, la Francia e la Spagna, in un peregrinare incessante.
A Londra conobbe Mrs. Morgan che l'introdusse nel ristretto mondo della teosofia, corrente di pensiero per cui tutti gli esseri viventi appartengono a un'unica famiglia nella quale le varie religioni sono espressioni di una sola verità, che a lei - figlia di un protestante e una cattolica - si attagliava perfettamente.
In questo ambiente s'accostò per la prima volta al Buddismo Zen che la folgorò al punto da diventare la ragione di vita che la spinse, fra l'altro, a studiare le lingue orientali, a partire dal sanscrito sino al tibetano.
A 21 anni partì per la prima volta per l'India, con l'intento di approfondire i suoi studi.
Tornata in Europa senza un soldo, si sforzò per un po' di vivere "all'occidentale" scontrandosi però quotidianamente con i limiti - per lei intollerabili - imposti al suo genere dalle convenzioni del tempo, tanto da risolversi ad accettare un impiego da cantante lirica presso l'Opéra di Hanoi al solo scopo di tornare in Estremo Oriente.
In Vietnam rimase dal 1895 al 1897, anno in cui rientrò in Francia per imbattersi nell'ingegner Philip Néel, che sposò senza alcun trasporto nel 1904 perché lui, a lei, garantiva una certa solidità economica; lei invece, a lui, il prestigio sociale derivante dal matrimonio con una donna che s'era già costruita un nome coi suoi primi scritti.
La repulsione di Alexandra per il sesso e tutto ciò che fosse maschile, causata anche dall'ipocrisia di una società dove gli uomini si sposavano per generare figli, ma trovavano il piacere fuori dal vincolo coniugale, l'indusse subito a trascorrere pochissimo tempo accanto al marito, che tuttavia nutrì sempre nei suoi confronti un affetto sincero.
L'Ing. Néel, comprendendo il disagio psicologico della moglie, accettò la sua proposta d'intraprendere "un lungo viaggio" da sola in Oriente, lasciandola partire nel 1911 senza però immaginare che non l'avrebbe più rivista per ben 14 anni.
L'India e il misteriosissimo Sikkim (piccolo stato himalayano) furono le prime tappe del suo viaggio. Proprio a Gangtok conobbe il locale Maharajah, il Dalai Lama e il "Gomchen" ("il grande meditatore") del monastero di Lachen, di cui divenne discepola seguendone gli insegnamenti per oltre due anni, durante i quali il suo fisico si trasformò, rifiorendo.
Sempre in Sikkim fece conoscenza con un ragazzetto quattordicenne, Aphur Yongden, per il quale provò un legame spirituale immediato tanto da adottarlo come figlio e tenerselo accanto per oltre quarant'anni, sino alla sua morte prematura.
Ormai espertissima di Buddismo Zen, con lui viaggio in Giappone, Corea, Cina e Mongolia, dove soggiornò a lungo presso il monastero di Kumbum di cui, in uno dei suoi libri, descrisse incantata la straordinaria processione mattutina di circa 3.800 monaci buddisti diretti alla sala delle meditazioni.
Viaggiando a piedi o, quando andava bene, a dorso d'asino o di yak, nel 1923 raggiunse in incognito e travestita da uomo, sempre col fedele Yongden, la mitica città tibetana di Lhasa, interdetta alle donne, dove s'intrattenne a lungo venendo però alla fine scoperta e cacciata a causa dell'unico "vizio" occidentale rimastole: quello di farsi un bagno caldo quotidiano nella vasca portatile che aveva con sé.
Rientrata in Francia nel 1925, si separò dal marito col quale però avrebbe sempre mantenuto rapporti cordiali, per stabilirsi con Yongden in Provenza, a Digne-les-Bains, in una villa chiamata "Samten-Dzong ("Fortezza della meditazione") dove si dedicò alla scrittura dei suoi numerosi libri, fra cui il famoso "Viaggio di una parigina a Lhasa", nel contempo ricevendo visitatori da tutto il mondo, sempre intrattenuti con le sue riflessioni, e non mancando di ripartire di tanto in tanto per l'amato Oriente.
Poco prima di spirare l'8 settembre del 1969, quasi cento-unenne, volle rinnovare il passaporto con l'idea d'intraprendere un ultimo viaggio che, invece, avrebbero fatto le ceneri sue e di Yongden nel 1973, per essere disperse nelle sacre acque del Gange, a Benares, come lei desiderava tanto.
Accompagna questo testo una foto di Alexandra David-Néel in compagnia del fido Aphur Yongden
(Testo di Anselmo Pagani)
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