#sindrome di Rett
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drking77 · 7 months ago
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Sibling Day, cos’è la giornata dedicata a fratelli e sorelle e cosa celebra
Nella terminologia anglo-americana il termine è diventato un modo per indicare i fratelli delle persone con disabilità. Lorenzo racconta la sua esperienza al fianco di Aurora, affetta da sindrome di Rett Si celebra oggi il Sibling Day, una giornata dedicata ai fratelli e alle sorelle, brothers and sisters per dirla all’inglese, che in questa lingua spesso vengono accorpati in un’unica parola:…
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basically-im-a-clown · 3 years ago
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https://t.co/zpRNX9bgNA
Ciao a tutti, vi lascio qui il sito Airett che da anni si impegna per la ricerca riguardante la sindrome di Rett. Se volete potete donare al numero 45592.
Grazie. :)
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ricercamix · 3 years ago
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Il ruolo di JNK nella sindrome delle bambine dagli occhi belli
Il ruolo di JNK nella sindrome delle bambine dagli occhi belli
La sindrome di Rett è una malattia genetica rara del neurosviluppo che si presenta con un’incidenza pari a un caso ogni 10.000 nati. Nonostante questo, essa rappresenta la seconda causa di ritardo mentale nella popolazione femminile. Affligge, infatti, principalmente le donne, in quanto causata da mutazioni del gene MECP2 localizzato sul cromosoma X. Questo gene codifica per una proteina che si…
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disturbibambini-blog · 5 years ago
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Autismo e sindrome di Rett
Nonostante all’inizio la sindrome di Rett venisse diagnosticata come autismo, in realtà esistono tra le due delle differenze profonde. Alcuni parlano di doppia sindrome, in quanto un bambino che presenta una sindrome autistica è affetto da una seconda sindrome, quale la sindrome di Rett.
 I sintomi autistici sono limitati a un primo periodo, ques’ultima si manifesta con deficit intellettivo, che fa intendere un danno alle funzioni corticali, affiancato da ridotte possibilità motorie, movimenti ripetitivi e stereotipie motorie, con masticazione lenta o soli movimenti di suzione. Cambiamenti oculari lenti e ritardo globale, che si accompagna a difficoltà di comunicazione e ritardi linguistico.
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Le bambine con la sindrome di Rett spesso hanno episodi di apnea, iperventilazione e deglutizione di aria, con difficoltà respiratorie legate ad un’immaturità dell’apparato respiratorio. 
Uno degli aspetti su cui soffermarsi per capire la differenza rispetto all’autismo, è che nei bambini affetti da autismo con danni cerebrali, il ritardo mentale e meno grave rispetto invece ai piccoli affetti da sindrome di Rett. 
Vi sono però molte somiglianze tra le due, come per esempio la rarità dei sorrisi, assenza di linguaggio, difficoltà a mantenere l’attenzione e fissare lo sguardo su qualcosa per troppo tempo, isolamento dal contesto sociale, movimenti steriotipie di tipo manuali anche se con delle differenze. Grida e assenza di comunicazione intenzionale sia gestuale che mimica. Tutti elementi che possono portare a confondere le due sindromi.
In realtà le differenze comportamentali sono evidentemente palesi, ad esempio i movimenti delle mani, nei soggetti affetti da sindrome autistica, essi sono veloci, con l’emergere di steriotipie di tipo vocali come cantilene e filastrocche. Nella Sindrome di Rett, i gesti stereotipati delle mani sono meno complessi e meno vari.
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Il contatto fisico come carezze o altro portano il bambino con autismo a mettere in atto reazioni di difesa, grida o la testa tra le mani a differenza del bambini con sindrome di Rett, che invece gradiscono il contatto se pur graduale.
Infine a livello cognitivo i primi presentano un funzionamento intellettivo migliore, sviluppo di un linguaggio rudimentale con alcune costruzioni sinaptiche e comportamenti imitativi.  . 
Con il passare del tempo nella sindrome di Rett si assiste a un attenuarsi del comportamento autistico, a differenza dell’autismo che peggiora con il trascorrere del tempo.
 Nelle bambine affette da sindrome di Rett il linguaggio regredisce e il repertorio di vocaboli si riduce a pochissime parole, che vengono pronunciate raramente in casi di grande emozione. 
Dal punto di vista motorio la perdita delle abilità motorie si riscontra nell’autismo infantile; la sindrome di Rett è considerata un disturbo dei movimenti sintomatico e distonico che inizialmente si manifesta come autismo e poi come tale regredisce. 
Infatti per ovvi motivi il distrurbo di Rett non viene classificato come facente parte del DPS, disturbo dello spettro autistico come lo sono il Disturbo di Asperger e il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo NAS.
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monicadeola · 3 years ago
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Se si dice «neuropsichiatria infantile», in Italia e non solo in Italia, si dice Michele Zappella. A 85 anni, il grande medico toscano che divenne famoso negli anni ‘60 e ‘70 per l’impegno contro le classi differenziali — un ghetto per i bambini meridionali — e poi per aver scoperto un paio di sindromi cliniche che ne hanno fatto un’autorità internazionale negli studi sull’autismo, continua il suo viaggio nell’infanzia e per l’infanzia con una passione e un’energia che impressionano. Quest’anno ha appena pubblicato per Feltrinelli un nuovo libro, Bambini con l’etichetta, in cui si schiera contro il dilagare di diagnosi che finiscono, avverte, per creare nuove condizioni di emarginazione. Sono appunto «etichette», è la sua denuncia, che si appicciano addosso al bambino e l’accompagnano fino al suo ingresso nel mondo del lavoro. Troppo spesso dei ritardi, se non delle «transitorie timidezze», vengono a suo avviso confusi per disturbi, dislessia, discalculia, iperattività, fino all’autismo. E queste diagnosi sbagliate vengono anche rese pubbliche, così le etichette diventano sentenze. Parlando con Anna Stefi per una splendida intervista pubblicata da Doppiozero, il vecchio «zio Michele», come si fa chiamare dai bambini che ancora cura — o come a loro si propone quando non parlano — arriva a dire che con la pandemia a molti bambini è andata meglio, perché sono stati di più con i genitori e si sono evitati diagnosi sballate. Diagnosi la cui pubblicità, oltre che gli errori di merito, non si stanca di contestare: «La diagnosi, che è qualcosa di estremamente delicato, non resta tra la famiglia e il professionista, come invece dovrebbe. Certo poi si tratta di capire cosa fare della diagnosi rispetto al bambino, ma che la diagnosi venga conosciuta da tutti a scuola, anche dai compagni e dalle compagne, proprio in quel luogo dove sviluppano la loro socialità, è qualcosa di gravissimo ed è quel che porta al trasformarsi della diagnosi in etichetta, cioè descrivere una persona per un aspetto della sua personalità, un aspetto negativo. Le diagnosi nel contesto scolastico dovrebbero rimanere estremamente riservate. La conseguenza, altrimenti, a partire dai più piccoli, è che l’etichetta viene interiorizzata, i pregiudizi si diffondono, l’ascolto di quel particolare bambino, non riducibile alla diagnosi che è stata fatta, diventa difficile». Poi evidentemente c’è l’altro problema, quello del merito delle diagnosi: «Su cinque bambini che sono indietro nella lettura, indistinguibili tra loro da un punto di vista fenomenico, uno solo tra loro è dislessico, gli altri sono ritardi di lettura dovuti a problemi ambientali o a ragioni differenti. In questo proliferare di diagnosi di dislessia il messaggio che arriva dalle nostre istituzioni agli insegnanti è che dislessia, discalculia, disgrafia, sono caratteristiche biologiche dell’individuo e che, come tali, rischiano di perpetuarsi e vanno gestite in terapia. Si tratta di qualcosa di completamente errato, che toglie alla scuola uno dei compiti principali: insegnare, leggere e fare di conto. Alla scuola questo si chiede, togliere questi strumenti è grave e se ne vedono le conseguenze: se andiamo a vedere le statistiche, sul piano dell’insegnare a leggere, l’Italia è tra gli ultimi paesi, è un paese dove i ragazzi che entrano nella scuola superiore non comprendono un testo». Così, come rileva l’intervistatrice, che nella scuola lavora, c’è il rischio che noi genitori ci siamo adagiati troppo sulla richiesta degli strumenti compensativi e dispensativi previsti dalle diagnosi e che, tra mappe cognitive e interrogazioni programmate, riducono l’impatto con la fatica. Vale per gli adolescenti come vale, sottolinea Zappella, per i bambini: «Il problema di fondo lo leggo in questa maniera: succede ora e non succedeva decenni fa, e questo a mio avviso è un cambiamento di cultura. Cosa è accaduto? La cultura nei riguardi dei bambini e degli adolescenti è cambiata nella direzione di quello che si potrebbe chiamare “la caccia al diverso”, “troviamo la diversità”: inizia con i BCE, poi con i DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento), e così via. Gli stessi genitori si trovano a percorrere questa direzione». A Zappella, inevitabilmente, questi percorsi ricordano l’esperienza che l’ha reso celebre: «Ricordo benissimo i tempi delle classi differenziali e speciali. Mi sono trovato protagonista nel favorirne la chiusura e in quell’epoca, prima metà degli anni Settanta, quello che facevo era di andare nel territorio, tra Siena e Firenze. Nelle scuole si tenevano delle assemblee molto partecipate, con anche cinquecento persone. In queste assemblee non intervenivano i genitori ma i cittadini, intervenivano perché era apparso chiaro in quegli anni che nelle classi differenziali andavano i figli dei poveri, in particolare i figli degli immigrati interni, quelli che si muovevano dal sud al nord, che parlavano dialetto e provenivano da famiglie analfabete e che davanti ai test collettivi non rispondevano perché faticavano a capire il tema e dunque la diagnosi prevalente era il ritardo mentale». La chiusura delle classi differenziali liberò risorse, spazi e insegnanti specializzati che furono così indirizzati su bisogni reali: «Un esempio è quello dei bambini sordi, che hanno bisogno di un insegnamento che dura un certo periodo di tempo e li conduce a padroneggiare l’italiano: vi erano classi particolari in cui i bambini sordi portavano avanti questo lavoro, affiancato a momenti in cui stavano con i compagni. Quando poi acquisivano la lingua venivano reintegrati totalmente. Gli insegnanti specializzati intervenivano con i sordi, con i ragazzi in difficoltà, ma non c’era una diagnosi pubblica». Ma tutto questo, sostiene lo psichiatra, è stato a suo volta compromesso dalla sostituzione delle assemblee di «genitori cittadini» con i «rappresentanti dei genitori», e dalla conseguente diffusione delle diagnosi. C’è poi un altro tema — un’altra conseguenza — che Zappella affronta con grande forza nel libro, ed è quello del bullismo: «Il nostro Paese è uno di quelli con più elevato livello di bullismo, percentuali vicine al 50% secondo alcuni studi di inizio millennio. Il termine venne introdotto nel 1974 da un pedagogista norvegese, Dan Olweus dopo che tre ragazzi si erano uccisi. Olweus ha introdotto anche delle strategie antibullismo che attualmente vengono messe in atto a livello nazionale nei Paesi scandinavi. Una delle frasi di Olweus che mi trova molto d’accordo è che dove c’è bullismo non c’è democrazia: se lei ha un figlio che a scuola incontra episodi di bullismo, le pare che possa dire di essere in un paese democratico? Un paese che non rispetta bambini e adolescenti non è un paese democratico, è una finzione». Le «strategie antibullismo» prevedono l’isolamento del bullo e il confronto con lui, con modalità diverse a seconda dell’età: «Generalmente con i bambini più piccini è più facile persuadere il bullo che lui ha delle qualità sociali con cui può rendersi utile. Con gli adolescenti può essere più difficile, possono essere più tosti, dunque il discorso può esser concreto e anche duro: se vuoi ci siamo, se non vuoi, ci rivediamo tra una settimana». Anche il fallimento della lotta al bullismo Zappella lo imputa alla sostituzione delle assemblee con i rappresentanti: «Cosa fanno gli insegnanti in queste situazioni? Situazioni in cui magari i rappresentanti dei genitori sono proprio i genitori del bullo, genitori pronti a minacciare la denuncia al Tar? Molti insegnanti stanno sulle loro, non esiste una direttiva chiara in questo senso». Il «punto chiave», per ognuno di questi aspetti, è che per i genitori è difficile accettare la difficoltà dei figli. Diventa la loro frustrazione e non riescono a sopportarla: «Il collegamento importante è quello sui valori della società dei consumi, quali valori? Se devi entrarci, devi avere due qualità: saperti relazionare bene e leggere e scrivere e fare di conto. Se poi sei troppo irrequieto non va bene, perché sei impulsivo, e nemmeno se sei troppo silenzioso. Da parte dei genitori il problema quale è? Il genitore pensa che il suo obiettivo sia innanzitutto avere il minor numero di problemi e dunque moltiplicare gli interventi attorno al proprio figlio è garanzia di questo. Questa impossibilità di tollerare le difficoltà ha note molto drammatiche, la diagnosi di autismo, per esempio, ha ricadute sulla famiglia devastanti e 50 anni fa non era così. Quattro madri su cinque vanno in depressione e dopo un anno e mezzo la depressione si riscontra ancora: si tratta di depressioni pesanti, che spesso portano anche la famiglia a non reggere». Ma resta il fatto che molte diagnosi sono sbagliate perché non si interviene nel modo giusto nel momento decisivo: «Generalmente il problema si pone intorno ai due anni, i bambini a due anni che rapporto hanno con un adulto? Un bambino di due o tre anni, che non parla granché, ha un altro tipo di comunicazione, una comunicazione nella quale vuole essere rassicurato e divertito. Ogni bambino ha la sua, ci sono bambini più visivi, bambini più musicali. Io spesso borbotto motivetti musicali. Questo passaggio è necessario per creare un’alleanza e l’alleanza è essenziale per capire chi è il bambino che mi trovo davanti. Un altro elemento fondamentale è accogliere i bambini con il loro nome e in un ambiente pieno di giocattoli, distribuiti con sapienza, giocattoli che devono essere presentati a lui come fossero lì per lui. È essenziale che il bambino si senta protetto, in un ambiente sicuro, solo in questa situazione possiamo capire chi sia davvero. I bambini visitati nella corsia di ospedale sono allarmati, mica sono scemi! Sentono l’allarme dei genitori e dunque se ne stanno sul chi va là». E allora, meglio «dimenticare la diagnosi e parlare con i pazienti. Le bambine con Sindrome di Rett, per esempio, sono bambine che non parlano e non parleranno mai, quale è il senso di descrivere ai compagni le caratteristiche e le conseguenze della malattia? Si tratta di bambine che molto spesso si incantano con Mozart, comunicano con la musica. È essenziale vedere questo, vedere il rapporto con l’altro in questa direzione. Le diagnosi cancellano gli aspetti positivi». Alla fine , c’è il senso di una missione che i grandi medici trasmettono in un unico modo, l’esempio instancabile e divertito: «Quando vedo questi bambini di due o tre anni e faccio il pagliaccio io vedo un candore che trasmette un’energia che dura giorni e giorni, e insomma il problema è di mettersi dalla loro parte. Non è tanto facile, ma è possibile. Mi dispiace che il nostro Paese culturalmente sia un po’ tagliato fuori dall’Europa, non c’è comunicazione tra i discorsi educativi, non circolano. Ma io voglio pensare in modo positivo, bisogna battersi, no?».
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cristianesimocattolico · 7 years ago
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"Ecco perchè la battaglia di Alfie è anche la nostra"
“Ecco perchè la battaglia di Alfie è anche la nostra”
Manuela è la mamma di Anna e Giulia, due giovani gemelle entrambe nate con la sindrome di Rett e colpite da severi handicap fisici e mentali. A La Nuova BQ racconta la storia della sua famiglia, tanto diversa e tanto simile a quella degli Evans: «Dietro al volto di Alfie c’è quello delle mie figlie e di tutti i bambini nati con gravi patologie. Gli Evans gridano al mondo il valore immenso di…
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medicomunicare · 4 years ago
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La sindrome di Rett: focus sui meccanismi e le novità di cura
La sindrome di Rett: focus sui meccanismi e le novità di cura
Introduzione La sindrome di Rett (RTT) è un disturbo dello sviluppo neurologico in cui la regressione delle abilità precedentemente acquisite segue un periodo di sviluppo tipico. La RTT può presentarsi con una moltitudine di sintomi inclusi ma non limitati a una decelerazione nella crescita della testa, anomalie dell’andatura, perdita di movimenti intenzionali della mano spesso sostituiti con…
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lopsicodrammadellessere · 7 years ago
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Non so se ho capito: l'Asperger è una forma di autismo, ma autismo non è Asperger?
I disturbi dello spettro autistico sono caratterizzati da una triade di menomazioni che ogni disturbo presenta con gradi diversi di compromissione:- deficit nell’interazione sociale,- difficoltà di comunicazione e immaginazione,- repertorio ristretto, rigido, ripetitivo di attività.Ovviamente la triade te l’ho scritta in maniera non approfondita.Tra questi disturbi vi sono:- Disturbo disintegrativo della fanciullezza,- Sindrome di Rett (che, mi pare, ora sia tra quelli neurologici e basta),- Disturbo autistico,- Disturbo dello sviluppo non altrimenti specificato,- Sindrome di Asperger.Ora questa è la classificazione vecchia, mi pare che nel DSM 5 siano solo sotto “Disturbi del Neurosviluppo” e basta, ma vabbé, uso questa per delucidare.L’Asperger e l’Autismo vero e proprio non sono la stessa cosa.Ad esempio, nell’autismo il bambino cammina presto e parla tardi, se impara a farlo, mentre nell’Asperger è l’esatto contrario.Nell’Asperger non c’è un problema nell’eloquio, a differenza della persona autistica, anche se la sua comunicazione potrebbe risultare unidirezionale o troppo “pomposa”.Le abilità linguistiche e di memoria sono ottime, nell’Asperger c’è, invece, un problema ad adattarsi a situazioni nuove e a stabilire rapporti con gli altri.Poi, ovviamente dipende dalla gravità.Ad esempio sussiste l’autismo ad alto funzionamento dove le capacità cognitive sono più preservate e puoi alzare gli obiettivi di trattamento con l’insegnamento della letto-scrittura, per dirne una.E mi fermo qui, che c’è un mondo da dire, ma spero di aver distinto le cose, almeno in minima parte.
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pascottoblog · 3 years ago
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Metamorfopsia è il termine che indica la visione distorta. In tali casi, una griglia di linee rette appare ondulata e parti della griglia possono apparire vuote. Le persone possono notare per la prima volta di soffrire di questa condizione quando guardano alcuni oggetti comuni, come lo schermo del computer o gli infissi di casa Inizialmente descritta nel 1800, la metamorfopsia è stata indicata come uno dei principali e più importanti sintomi precoci di maculopatie miopiche e senili. La metamorfopsia può anche portare alla falsa rappresentazione delle dimensioni o della forma di un oggetto. È principalmente associata alla trazione vitreo-retinica e alla degenerazione maculare. Altre condizioni che possono presentarsi con disturbi di metamorfopsia includono: miopia patologica, presunta sindrome da istoplasmosi oculare, rottura della coroide e coroidite multifocale. Il meccanismo che determina lo sviluppo della metamorfopsia è legato a cambiamenti strutturali nella retina, il tessuto nervoso che riveste la parete interna dell'occhio: lo spostamento degli strati retinici provoca la dislocazione errata della luce sulla retina. La valutazione quantitativa della metamorfopsia è un passo importante nella comprensione delle funzioni visive degli individui con disturbi maculari ed è uno strumento utile per i medici nella valutazione dei risultati del trattamento. #oculisticapascotto C.so Umberto I, Napoli 📲 0815542792 #metamorfopsia #trazionevitreomaculare #degenerazionemaculare #maculopatia #retina #miopiapatologica #amsler #amslergrid #testdiamsler (presso Corso Umberto I) https://www.instagram.com/p/CP4rv6llWI3/?utm_medium=tumblr
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corrieredelweb · 5 years ago
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Realtà virtuale al servizio della sindrome di Rett, al via campagna solidale AIRETT
http://dlvr.it/RDD5HS
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pangeanews · 6 years ago
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“Chiunque releghi l’arte negli angoli silenziosi della vita è un imbecille”: elogio di Tommaso Labranca (parte seconda). Uno scrittore troppo geniale per essere pubblicato come si deve
I sit around by day / Tied up in chains so tight / These crazy words of mine / So wrong they could be right. (New Order, Sub-Culture)
Se una delle regole d’oro di T-La dice che: “È sempre meglio studiare il Barocco brianzolo che altre discipline inconsistenti per il nutrimento delle nostre anime”, prima c’è il vissuto, l’osservazione e l’intuizione, con un realismo a un tempo disincantato e incantato.
Da questo gioco intellettuale, tra esperienza vissuta e filosofia pratica, tra diarismo intimo e riflessione estetica, sul quale verte tutta l’opera di Labranca, si può ottenere, tramite distillazione, un piccolo decalogo d’osservazioni e relative norme d’azione e pensiero.
Osservazione n° 1: “L’école de Pantigliate ammette una distinzione tra elementi trash ed elementi non-trash, ma li pone in due universi contigui e non certo su due piani di cui uno (il non-trash) è superiore all’altro (il trash)”, e l’esistenza di una trashion, trash-fashion, moda del trash, e annota il perseverare di chi non accetta la concezione esposta dalla personale école de Pantigliate rimanendo convinto che esistano più piani estetici, e di trovarsi in quelli alti e lontano dal trash, come nel caso di Roberto Calasso, destinatario della geniale lettera che se non altro ne sputtana la moglie pseudo scrittrice, e delle “clamorose trombonate strehleriane” di contro alla Balera di Brecht, teatro musicale in cui “non c’è stato alcun passaggio da sottocultura a supercultura”.
Osservazione n° 2: Il definirsi, affermarsi e relativo dominio del cialtronismo nazionale, assessorile, giornalistico (“In giro si osserva una quantità sterminata di elementi mutati, rovinati, deformati dal comportamento cialtrone, sepolti sotto tutti i sedimenti che si sono formati dopo anni di approcci faciloni e di opinioni ereditate”…). Con l’obiettivo di far credere che politico e intellettuale coincidano in una nuova pseudocultura (impietoso il paragone labranchiano tra il pubblico di un evento culturale a Monaco nel 1910 e a Ferrara nel 1998, Mann, Strauss, Webern e Zweig di contro ai politici italici i cui nomi non insozzeranno queste righe). Italia terreno fertile per il cialtronismo culturale: cialtronismo prima risorgimentale, poi risorgimentalista da “Avanti Savoia!”; cialtronismo di destra, fascista, dannunziano, retorico, nazionalista, italiota; cialtronismo sinistro, umanitario, integrazionista; cialtronismo della pedante, pomposa ipercultura; cialtronismo anche di chi tenta invece la via della “Contaminazione Preterintenzionale” del canonico “bipolarismo estetico” che distingue tra sopracultura e sottocultura, e che Labranca smaschera nelle sue geniali ricognizioni sul trash e il kitch.
Osservazione n° 3: L’Italia è cambiata a tal punto che nessuno vuol più venire a farci un film come già negli anni Cinquanta.
Osservazione n° 4: (Visione houellebecquiana all’Ikea #1) Si è “instabili nel cuore e nel lavoro / senza un affetto vero o un posto fisso”. (Visione houellebecquiana all’Ikea #2) Ormai: “Non c’era alcuna luce solidale / negli occhi di chi a noi era fratello”.
Osservazione n° 5: “Tutte le sere vuote / I pomeriggi a casa / Le ferie non godute / La vita un po’ noiosa / Il senso di esclusione / L’inconsiderazione / Il non avere amici / Le poche uscite in bici”.
Osservazione n° 6: Aldo Nove, Andrea Pinketts, Isabella Santacroce e Tiziano Scarpa sono gli scrittori di “pagine ipercoop”.
Osservazione n° 7: Poter pubblicare con una major soltanto un libro: Charlton Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo. Nove, Pinketts, Santacroce e Scarpa, non più geniali di Labranca, hanno seguitato a pubblicare con le major editoriali.
Osservazione n° 8: Voler pubblicare un libro con copertina grigia, puntini neri su sfondo bianco, perché: “Il grigio è la vita quotidiana, non perché noiosa assenza di colori. Perché la vita è fatta di scelte mai precise, di azioni nere e malvagie che si mescolano ad altre candide e umane”. E perché la grey literature nel mondo anglosassone è quella letteratura diffusa dagli autori senza fini di lucro, in piena autonomia, e al di fuori dei normali canali di distribuzione. Scelta per cui opterà Labranca dopo esser stato emarginato dal cialtronismo italiano.
Osservazione n° 9: (In ragione delle precedenti osservazioni – da un verso raccolto in agosto oscuro): “Al buio la vita diventa un fastidio / E il lifting ideale rimane il suicidio”.
Osservazione n° 10: (A dispetto delle precedenti osservazioni – da Il Piccolo Isolazionista, pagina 177): “Il mondo sa ancora essere un luogo meraviglioso in cui vivere”, punto.
Marco Settimini
***
Il piccolo isolazionista di Tommaso Labranca (frammento)
Le strade satellitari sono quelle che, viste in una immagine fissa, non fanno pensare ad alcun luogo preciso. Sono semplici arterie, ampie e rettilinee, con le carreggiate separate da file centrali di lampioni altissimi e attraversate da sporadici veicoli di cui non si indovina il modello, la targa, il conducente. Sono satellitari perché è come se non appartenessero alle comuni classificazioni etnico-geografiche terrestri, forse solo sul lato oscuro della Luna ci sono strade simili. Sono la rappresentazione di una metafisica di periferia (la metafisica è lunare). Una metafisica esente da ogni stucchevole riferimento storico-artistico fatto di archi colonne chiese portici silenti piazze deserte e statue immobili. Un tardo Novecento Occidentale o Pseudo-Occidentale, quello che si respira in tutte le parti di Mondo Asfaltato.
Antelami, Bernini e maestri comacini sono relegati sotto le luci gialle di centri antichi facilmente identificabili dove posano in bermuda e marsupio fruitori finesettimanali della sindrome di Stendhal. Le strade satellitari sono l’unica vera espressione dell’international style ostico, antistorico, e antinaturalistico. L’oscurità che le sostiene sui due lati azzera i dintorni le colline i laghi o i deserti. Alle 23:15 percorro un tratto di strada satellitare all’origine o alla fine (dipende da dove si guarda) della Strada Statale n. 33 del Sempione, comunque a pochissimi chilometri dal cartello Milano, indovinando sulla sinistra il Grancasa.
Parrebbe di essere ovunque nel Mondo Asfaltato. L’immagine che ho di fronte è identica a quella delle arterie illuminate di Rabat, Teheran e Baghdad, strade satellitari anche perché appaiono via satellite su emittenti arabe che le mostrano con orgoglio come sfondo continuo a inviati e giornalisti dei loro inesauribili telegiornali. I Tg arabi non mostrano mai piramidi, moschee, obelischi che lasciano volentieri alla paccottiglia iconografica dell’all-inclusive da Mar Rosso. Sarà per orgoglio di modernità o desiderio recondito di occidentalizzazione. O forse è un legame molto più antico con le basi stesse dell’arte islamica che non trova noioso ripetere un fregio geometrico per decine e decine di metri, senza un solo accenno iconografico a creature viventi. Intanto, un qualsiasi usufruitore artistico cattolico e postconciliare avrebbe già sbagliato alla seconda ripetizione, affamato di belle Madonne e Santi sanguinolenti.
[…]
Alle 23:20 continuo a percorrere un tratto di strada satellitare all’origine o alla fine (dipende da dove la si guarda) della Strada Statale n. 33 del Sempione, sempre più vicino al cartello Milano, dopo aver superato sulla sinistra il Grancasa. Di notte, a tutti gli uomini elevati viene in mente la poesia. Anzi, si può usare proprio questa tensione come tornasole dell’imbecillità. Se qualcuno lega il silenzio della notte a Pascoli e Leopardi e non riesce a trovare link poetici nel frastuono della vita diurna, si può essere sicuri: è un imbecille. Chiunque releghi l’arte negli angoli silenziosi della vita è un imbecille. Le reti televisive che relegano le trasmissioni di libri e musica classica nel silenzio della notte o della domenica mattina sono imbecilli. Adesso, percorrendo il Sempione, sono imbecille anche io perché mi ricordo all’improvviso di quando passavo spesso di qui nelle notti di dieci anni fa e divento poeticamente incontinente e recito male i soliti versi:
O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge il decennio, sovra questa strada Io venia pien di sonno a rimirarti: E tu pendevi allor su quella casa ALER Siccome or fai, che tutta la rischiari.
[…]
Di notte i semafori sembrano durare di più. Di notte sulle strade satellitari non viaggia quasi nessuno. Stando fermi ai semafori, per di più a quest’ora, non si vede giungere nessuno né da destra né da sinistra. Eppure sto fermo e attendo che scatti il verde, nonostante i semafori di notte sembrino eterni. Passando con il rosso mi sembrerebbe di infrangere l’ordine delle linee tracciate sempre nette e numerose sull’asfalto scuro delle strade satellitari. Le rette delle strade che si intersecano e delle strisce disegnate sulle strade ricordano le geometrie che tutti leggono graficamente nelle partiture di Bach e che sono identiche a quelle della musica elettronica. Perché l’upbeat o il downbeat elettronici si sovrappongono alla satellarità delle strade come già faceva il Broken Beat. Nell’upbeat/downbeat elettronico non scorre sangue e non vi è presenza umana, la vita sembra svolgersi altrove e le note ne comunicano solo una parvenza oscura e inafferrabile.
[…]
Alle 23:35 sono fermo a un semaforo di una strada satellitare all’origine o alla fine (dipende da dove la si guarda) della Strada Statale n. 33 del Sempione, quasi sotto il cartello Milano, indovinando nello specchietto retrovisore il Grancasa.
Il semaforo ha lampi eterni come tutti quelli che presiedono le strade laterali ai punti di confluenza in arterie più importanti. […]. Torno a guardare a sinistra, perché lì c’è la fonte di ispirazione della mia tragica visione sfigo-simbolista della Notte che, al tramonto, stende il suo manto stellato sul globo terrestre. Passa sulle teste degli spaiati che nemmeno stasera hanno ricevuto un invito e cercano di trattenere per un lembo quel manto simile a una mannaia del destino. Gli Sfigati uniscono le loro forze tirando la Notte per un lembo del suo manto, ritardando il cadere delle forze del buio, prolungando il crepuscolo e la speranza di una telefonata prima che parta lo show del sabato sera in prima serata su Rai Uno […], essendo la sigla dello show lo spartiacque tra sera e notte, tra presto e tardi, tra perbenismo e dubbia morale.
Tommaso Labranca
*La prima parte dell’omaggio a Labranca la leggete qui.
**La fotografia in copertina è di Marina Spironetti
L'articolo “Chiunque releghi l’arte negli angoli silenziosi della vita è un imbecille”: elogio di Tommaso Labranca (parte seconda). Uno scrittore troppo geniale per essere pubblicato come si deve proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2GRk98I
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disturbibambini-blog · 5 years ago
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Integrazione scolastica e didattica per le bambine con sindrome di Rett
Le abilità cognitive dei bambini affetti da sindrome di Rett è un altro degli aspetti che vengono compromessi e su cui è stato doveroso soffermarsi, trovando modi innovativi e adatti al fine di incrementare l’integrazione scolastica. In particolare l’attenzione si focalizza su strumenti tecnologici e giochi informatici, con musiche, video, animazioni, robot educativi e tutti i tipi di applicazioni multimediali e digitali. Strumenti che consentono alle bambine affette da Sindrome di Rett di partecipare alle attività scolastiche, intraprendendo un percorso di apprendimento personalizzato efficace.
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L’utilizzo del computer dunque, risulta essere un aiuto fondamentale per favorire gli apprendimenti dei bambini con tale disturbi, in quanto consente con le varie attività di garantire stimolazioni visive e uditive aumentando considerevolmente la motivazione, allo stesso tempo consentendo maggiore interesse alle attività proposte.
Infatti, sono davvero tantissimi i progetti portati avanti che puntano proprio sull’utilizzo della tecnologia per l’integrazione dei bambini disabili a scuola.  In questo modo è possibile fare grandi progressi dal punto di vista non solo del contatto oculare, ma anche rispetto all'attenzione, e dell'impegno nell'attività. Il computer è visto come un vero e proprio interlocutore, grazie all’utilizzo di schede apposite che favoriscono l'identificazione degli oggetti e delle persone più vicine a queste bambine, passando ai colori, alla distinzione tra giorno e notte, ai giochi, alla casetta, alla scuola. Poi man mani che  l'attenzione aumenta e si consolida si affrontano argomenti propri dell’apprendimento scolastico, come possono essere: l'acqua, la terra, il fuoco; i fiori e persino le fiabe.
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Importanti idee sono state la svolta per molte famiglie e bambine con tale sindrome che proprio attraverso l’uso della tecnologie hanno portato avanti progetti unici nel loro genere proprio per le bambine con disabilità gravissime date proprio dal disturbo di Rett. Come il TOBII I-Series, utilizzato sia in situazioni di gioco, che di comunicazione o di apprendimento per bambine, che non sono in grado ne’ di parlare ne’ di muoversi, di interagire col mondo esterno e comunicare attraverso il semplice movimento degli occhi.  sarebbero gli occhi l’ultimo strumento utile a queste ragazze per comunicare.
Il rapporto costante con i pari, sia in ambito scolastico che extrascolastico, è un altro aspetto che non va sottovalutato, da cui le bambine con questa sindrome traggono un grande beneficio, così che apprendere diventi più piacevole se l’attività.  Infatti, gli interventi, le stimolazioni nel contesto quotidiano devono essere constanti, garantendo una buona partecipazione alla vita sociale, in modo da poter migliorare la loro qualità della vita.
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ricercamix · 6 years ago
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Un nuovo progetto di ricerca sulle malattie legate a Mecp2
Un nuovo progetto di ricerca sulle malattie legate a Mecp2
Il nostro laboratorio, racconta Angelisa Frasca, si occupa di studiare la sindrome di Rett e le patologie legate a mutazione nel gene MECP2. Si tratta di una serie di patologie del neurosviluppo prevalentemente femminili, che affliggono un individuo ogni 4.000 in tutto il mondo. 
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frontiera-rieti · 7 years ago
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Sul tema della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’autismo, pubblichiamo una testimonianza da fuori Rieti, per allargare il panorama e approfondire. A parlare è Carmela, mamma di Eliana, nata con un disturbo che rientra nello spettro autistico. «Abbiamo una chiesa vicino a casa, ma Eliana non vuole entrarci. La domenica c’è anche un gruppo di scout, ho chiesto se potevamo unirci a loro ma ci hanno fatto capire che non era ben accetta». La denuncia: «Quando si diventa maggiorenni, per lo Stato i ragazzi autistici non hanno più bisogno di nulla»
«La Chiesa dovrebbe aiutare i nostri ragazzi, supplendo alle carenze dello Stato». Carmela è la mamma di Eliana, nata con un disturbo che rientra nello spettro autistico. I medici la chiamano sindrome di Rett, e fino ai 2 anni di età i genitori non avevano sospettato nulla: «Poi si sono manifestati grossi problemi, ma per avere la diagnosi abbiamo dovuto aspettare dieci anni. Abbiamo brancolato nel buio per tanto tempo. È una malattia attualmente non curabile, che ha diverse manifestazioni. Ma avere un’etichetta, in fondo, non serve a nulla: meglio concentrarsi sui sintomi da curare».
Cosa si aspettano dalla Chiesa i genitori di figli con autismo?
Che possa fare tanto in questo ambito. Lo Stato ha privatizzato anche il “Dopo di noi”. Mi auguro che la Chiesa possa assolvere questa funzione: non soltanto da un punto di vista finanziario, ma anche relazionale. Posso avere tantissimi soldi, ma pensare di lasciare Eliana in una casa con una badante è triste. Sarebbe sola. La comunità cristiana, invece, potrebbe accoglierla. La Chiesa può creare strutture adatte.
Intanto, come è stata accolta in parrocchia?
Abbiamo una chiesa vicino a casa, ma Eliana non vuole entrarci. La domenica c’è anche un gruppo di scout, ho chiesto se potevamo unirci a loro ma ci hanno fatto capire che non era ben accetta. Poi ho trovato una chiesa meravigliosa, dove ha fatto la Comunione e la Cresima. È la parrocchia Santi Martiri dell’Uganda a Roma. C’è un’accoglienza enorme. Quando entra nessuno si gira a guardarla, e lei non si mette mai ad urlare. Non ho trovato questa attenzione altrove, abbiamo fatto tantissime esperienze insieme e anche un campo estivo. C’è persino un pensiero a quello che sarà dopo.
Come è andata con i Sacramenti?
Sono stata felice dell’esperienza della Comunione e della Cresima. Alla Domenica delle Palme dello scorso anno, la funzione era molto lunga. A un tratto lei mi ha indicato la croce sulla tabella che utilizziamo per comunicare, per dirmi a che punto ci trovavamo. Spiegare il catechismo a Eliana non è facile. Ma io so che lei capisce.
Cosa è successo quando avete saputo della malattia di Eliana?
È stato molto difficile, perché non si sapeva neppure cosa fare. La prima fase è stata caratterizzata da grandi sofferenze fisiche. Eliana aveva problemi allo stomaco, otiti ricorrenti, non dormiva la notte, non mangiava e aveva allergie alimentari. La preoccupazione era di farla stare bene fisicamente. In quel momento abbiamo dovuto imparare a comprendere quello che lei voleva: ha detto “mamma” e poi più nulla. Ora, in più, dice soltanto “papà” e un gorgheggio per chiamare la sorella.
A proposito: com’è il rapporto tra sorelle?
Meraviglioso. Anna Maria ha visto la sorella da subito, ed Eliana l’ha presa in braccio appena rientrati a casa. Per Anna Maria non potrebbe che essere così la sorella, hanno un grande feeling e una capacità comunicativa sorprendente. Capisce molte cose di Eliana che io non riesco a comprendere.
Esistono giornate “normali” in famiglia?
Quando raramente capitano, siamo felici. La mattina laviamo e prepariamo Eliana, poi la vestiamo e la portiamo al pulmino che la viene a prendere per andare a scuola. Frequenta un istituto superiore, ma fa 5 ore al giorno anziché 6 perché si stanca. Dopo il pranzo, attività sportive come basket e nuoto. La psicomotricità con la terapista a casa due volte a settimana, così come lo yoga mirato per lei. Un pomeriggio andiamo in parrocchia, per un gruppo post-cresima. È importante rendere attiva la sua giornata, soprattutto per farla stare insieme alle altre persone e relazionarsi.
Chi si fa carico dei costi di assistenza?
Una parte dell’attività riabilitativa è a carico della Asl fino ai 18 anni: quando si diventa maggiorenni, per lo Stato i ragazzi autistici non hanno più bisogno di nulla. Eliana era seguita da un centro accreditato, e fortunatamente il progetto ancora dura. L’assistenza era già male organizzata quando era piccola, dopo la maggiore età è sparita del tutto. Nella Asl non c’è nemmeno la figura del neurologo che possa dare supporto alle persone come Eliana.
Quindi grava tutto sulla famiglia?
È tutto privato, con risorse economiche ingenti. Ma il problema è anche la scelta. A nessuno interessa dei nostri ragazzi. Noi siamo seguiti all’Istituto Bollea, dove c’è ancora l’idea del servizio pubblico. Ma la struttura sta chiudendo.
E a scuola?
È sempre stata una lotta, è facile accogliere chi parla e sa comprendere anche se ha una disabilità. Più difficile è avere un ragazzo che non può comunicare. Lei ha difficoltà a camminare, anche se fortunatamente riesce ad utilizzare le mani. Riesce a mangiare, ma non può scrivere. Il problema più grande, però, è farsi comprendere: i nostri ragazzi vogliono fortemente stare con gli altri, ma devono avere gli strumenti per comunicare.
Giornata dell’autismo. L’appello di una mamma: «La Chiesa si dovrebbe prendere cura dei nostri figli quando non ci saremo più» --------------------- La domenica di Pasqua, è stata celebrata anche a Rieti la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’autismo. Le iniziative hanno previsto una prima parte svolta all’Auditorium Varrone, durante la quale è stato proiettato il film “Life Animated”. Sul far della sera, la manifestazione è stata spostata lungo il fiume Velino, dove sono state lanciate in aria 70 lanterne luminose blu. Sul tema della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’autismo, pubblichiamo una testimonianza da fuori Rieti, per allargare il panorama e approfondire.
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occhidibimbo · 7 years ago
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Il gioco nel bambino con autismo
Il gioco: una delle attività fondamentali per ogni bambino
Il gioco è una delle attività fondamentali per i bambini, il modo con cui essi iniziano a conoscere il mondo che li circonda, si mettono alla prova, crescono e si esprimono. Ogni fase di crescita ha la sua tipologia di gioco, e così si passa dai primi giochi esplorativi a giochi da fare con gli altri, da quelli più semplici a quelli più strutturati. Un’attività, insomma, che segue tutte le fasi evolutive e che stimola innumerevoli attività e abilità, da quelle fisiche a quelle di coordinamento, da quelle didattiche a quelle che riguardano la socializzazione. Uno stimolo che in realtà accompagna tutti e in ogni occasione della nostra vita, anche in età adulta, anche se poi gli dedicheremo tempi diversi e attività diverse. Come detto, il gioco è uno strumento per crescere e per esprimersi, e in questo senso deve essere visto come un mezzo adatto a tutti, senza escludere bambini con disabilità o particolari difficoltà. Il gioco, infatti, è un’attività spontanea per tutti e proprio nei bambini che hanno delle difficoltà particolari dovrebbe essere utilizzato per stimolare e per far sì che il bambino possa avere nuove esperienze e occasioni di crescita. Il gioco, infatti, è lo strumento con cui tutti i bambini possono esprimersi liberamente e in questo senso dovrebbe essere utilizzato favorendo la modalità tipica del gioco di ogni bambino, compresi i bambini con specifiche difficoltà e bambini con autismo.
L’autismo nei bambini
L’autismo è un disordine neurobiologico dello sviluppo che interessa soprattutto il sistema nervoso centrale e che, secondo gli studi, richiama ad anomalie di un circuito neuronale che comprende la corteccia temporo-parietale e prefrontale, il sistema limbico, il cervelletto e il corpo calloso. La diagnosi di autismo viene solitamente formulata facendo riferimento alle due principali classificazioni internazionali attualmente in vigore: il DSM (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e l’ICD (la classificazione internazionale dei disturbi e delle malattie). L’attuale edizione del DSM-5 del 2013 ha introdotto alcuni cambiamenti per quanto riguarda i criteri diagnostici dell’autismo, riunendo in un’unica categoria denominata “Disturbi dello spettro autistico” i vari sottotipi, eccetto che per la sindrome di Rett, che è invece annoverata tra i disturbi neurologici. In generale, la diagnosi di autismo viene effettuata intorno ai 3-4 anni di età del bambino, anche se in realtà già nei primi anni di vita si possono manifestare dei segnali che possono richiamare comportamenti tipici dell’autismo. Tra questi, la difficoltà del contatto visivo, l’assenza del cosiddetto sorriso “sociale”, la mancanza di risposta se il bambino viene chiamato per nome, anomalie nell’attenzione, nel gioco simbolico e nello sviluppo del linguaggio. La diagnosi di disturbo dello spettro autistico richiede la presenza di almeno tre sintomi nella categoria dei deficit della comunicazione sociale e di almeno due in quella dei comportamenti ripetitivi. Il deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale in diversi contesti è infatti uno dei tratti tipici dell’autismo, così come l’interesse per poche e ripetitive attività. La diagnosi di autismo, infatti, si basa su criteri comportamentali ed è quindi necessario utilizzare procedure e strumenti di valutazione standardizzati, validati a livello internazionale. Nel DSM-5, infatti, si parla sia di deficit nella reciprocità socio-emotiva, nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale e nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo, oltre che di linguaggio, di movimenti o uso di oggetti stereotipati o ripetitivi, attaccamento alla routine, interessi ristretti e iper o ipo reattività agli stimoli sensoriali. Gli interventi terapeutici nell’autismo Gli interventi terapeutici che vengono offerti per quanto riguarda bambini con disturbi dello spettro autistico sono numerosi e spesso la scelta di come muoversi è veramente difficile. In questo senso, vista la difficoltà di scegliere come intervenire terapeuticamente per un bambino con autismo, il Sistema Nazionale per le Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha dettato delle linee guida per quanto riguarda i disturbi dello spettro autistico. Un tipo di intervento che oggi è avvalorato da molte prove scientifiche che ne indicano l’effettiva efficacia è quello di tipo educativo basato sui comportamenti, indicato come tecnica ABA (Applied Behaviour Analysis), che viene applicata con vari modelli. Il più conosciuto è il modello UCLA/Lovaas, sviluppato negli anni Ottanta del secolo scorso, che interviene sulle competenze cognitive, linguistiche e di adattabilità del bambino; altra applicazione della tecnica ABA è quella del modello Denver, che si basa sulle specifiche caratteristiche di ogni bambino e sulle sue preferenze di gioco e di attività, sulle quali poi sviluppare un progetto riabilitativo.
L’importanza del gioco per il bambino autistico
Rispettando i diversi livelli di gravità dei disturbi dello spettro autistico come indicato dal DSM-5 e considerando che il gioco è da considerarsi uno strumento di libera espressione per ogni bambino, ciò che sembra importante, secondo gli studi degli ultimi anni, è proporre ai bambini con autismo giochi che siano a loro congeniali e che favoriscano la loro personale soddisfazione del loro modo di esprimersi. Per i bambini autistici, infatti, sarà importante poter valorizzare il gioco nel rispetto della loro neurodiversità, favorendo le modalità di gioco che più stimolano i loro canali espressivi. Sembra infatti che i bambini autistici preferiscano giochi sensoriali che con il loro movimento, soprattutto ripetitivo, diano risultati di causa-effetto e che quindi rispettino il loro continuo bisogno di stimoli sensoriali, facendo diminuire in loro necessità di compiere quei movimenti non finalizzati tipici delle loro stereotipie motorie. I disturbi dello spettro autistico, infatti, originano da una compromissione dello sviluppo che coinvolge le abilità di comunicazione e di socializzazione e sono in generale associati a comportamenti ripetitivi o stereotipati e un’alterata capacità immaginativa. Offrire quindi a un bambino con autismo giochi che gli permettono di soddisfare le sue necessità, che lo stimolano e lo gratificano nel rispetto delle sue caratteristiche, senza forzarlo a far giochi che si ritengono erroneamente stimolanti per sviluppare le sue abilità, significa rispettarlo e dargli la possibilità di esprimersi nell’ambiente nel modo a lui più congeniale. È per questo che è importante che né i genitori né gli educatori insistano perché un bambino autistico si adatti ai giochi che si ritengono più adatti per lui, ma che gli venga data la possibilità di vivere il gioco per quello che è, e cioè l’espressione del proprio essere, delle proprie preferenze e delle proprie esigenze. Se vuoi lasciare un commento, raccontarci la tua esperienza o scriverci in privato, puoi utilizzare il form sottostante. Read the full article
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acemaxsul77 · 7 years ago
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Sindrom rett atau gangguan rett merupakan salah satu jenis penyakit langka, di mana terjadi akibat adanya kelainan genetika berupa gangguan neurologis dan gangguan perkembangan.
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