#robotizzazione
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Da molto tempo mi sono interrogata sulla funzionalità delle tecniche di comunicazione. Di tutta la mole di persone e di corsi che ti parlano tutti allo stesso modo, perché provengono tutti dalla stessa "scuola" e ti vendono tutti le stesse tecniche, in modo da farti parlare allo stesso modo perché anche tu finisci col seguire la stessa scuola.
Non è robotizzazione questa?
Si scopre come catturare l'attenzione del cervello e tutti usano la stessa modalità.
Si capisce come caricare di emozione un concetto e tutti usano la stessa strategia.
Visto che una manipolazione funziona, si diventa tutti artefici di quella manipolazione.
Corso dopo corso, schema dopo schema.
Saremo anche un po' cretini? Così, per dire.
L'uomo robotizza se stesso perché la sua matrice lo rende possibile, perché la sua mente funziona così e perché egli per primo non vede gli schemi di tale matrice/cervello.
Non puoi staccarti da un beneamato nulla se non vedi prima di tutto che la tua mente replica quel nulla.
Questo video-paradosso nell'assenza di contenuto diventa un reale strumento di osservazione, perché destruttura la forma.
Mettere in evidenza gli schemi significa vederli, vuol dire praticare l'osservazione di te e dell'ambiente. È la tua mente che osserva se stessa.
E quando vedi te stesso rispondi in modo consapevole agli altri e all'ambiente.
Ecco cosa separa i robot dalla coscienza.
youtube
Spiegato bene
#robotizzazione#robot#video#coscienza#incoscienza#discernimento#zombie#società malata#società#svegliatevi#sistema#aprite gli occhi#schemi#comunicazione#manipolazioni#verità#schiavi#matrix#controllo#risveglio#lavoro su di sé#auto osservazione#scelta#consapevolezza
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Vivere è meglio con la sofferenza, la sofferenza mi fa sentire quanto sono umano e imperfetto, vivere e non avere cicatrici spirituali o corporee è utopia o robotizzazione dell'umanità, non pensavo nemmeno più di essere umano, mi stavo quasi lacerando la pelle per vedere gli ingranaggi che avevo, per fortuna sei apparso e mi hai mostrato amore, purtroppo te ne sei andato e mi hai fatto soffrire, ora so quanto sono umana, ma ora so anche quanto sei disumana, anche se sei la vera donna Mi sono innamorato di .
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🔥 NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Institut Iliade
CONTRO IL DECLINO ANTROPOLOGICO: VIVERE DA EUROPEI
Atti del X Convegno
Intelligenza artificiale e robotizzazione, transumanesimo e mercificazione del corpo, immigrazione incontrollata e oicofobia, indifferenziazione sessuale e teorie di genere, cultura della morte e senso di colpa: stiamo vivendo un’epoca di mutamenti che mettono in discussione il nostro rapporto con il mondo.
Per questo, l’Istituto Iliade ha dedicato il suo Convegno annuale all’analisi delle tante minacce che attanagliano la nostra Civiltà, per interrogarle e decifrarle, ma anche per cercare di trovare risposte che ci permettano di contrastarle o di cavalcarle, rimanendo fedeli ai nostri valori e alla nostra Weltanschauung.
Vogliamo essere Uomini e Donne di lungo periodo, ma siamo disorientati dalla società dell’immediatezza, dello zapping, dell’obsolescenza programmata, del materialismo divinizzato e del presentismo.
Di fronte al pericolo di essere solo “testimoni”, “commentatori” o “nostalgici”, questi scritti ci invitano ad essere attori, tedofori e risvegliatori: un proposito ambizioso e necessario, che unisce l’ardore della giovinezza alla saggezza degli antichi.
Tra resistenza e riconquista, dobbiamo “riprenderci tutto”, investire in tutti gli ambiti per affermare il nostro contro-modello, diventare quella “avanguardia della Tradizione” che sa cambiare senza rinnegare se stessa, innovare senza dimenticare e applicare l’eterno genio dei nostri popoli alle situazioni inedite con cui si confronta.
“Vivere da europei” – oggi – non significa scimmiottare i nostri antenati con secoli di ritardo, ma conservare lo stesso spirito che li ha ispirati, proiettandone il retaggio nelle sfide del domani.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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Plastica Ingranaggi: Innovazione e Sostenibilità per i Settori Industriali
Introduzione
La plastica ingranaggi ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo i componenti meccanici. Grazie alla sua versatilità, leggerezza e resistenza, si sta affermando sempre di più in diversi settori industriali, dall’automotive all’elettronica di consumo. Questo articolo esplorerà le caratteristiche, i vantaggi e le applicazioni degli ingranaggi in plastica.
Caratteristiche degli Ingranaggi in Plastica
1. Materiali di Alta Qualità
Gli ingranaggi in plastica sono realizzati con materiali tecnici come il nylon, il polipropilene e il polietilene. Questi polimeri offrono un’ottima resistenza all’usura e una buona stabilità dimensionale, anche in condizioni di alta temperatura.
2. Leggerezza
Rispetto ai tradizionali ingranaggi in metallo, gli ingranaggi in plastica sono significativamente più leggeri. Questo permette di ridurre il peso complessivo dei macchinari e dei dispositivi, migliorando l’efficienza energetica e la manovrabilità.
3. Resistenza alla Corrosione
Gli ingranaggi in plastica sono resistenti alla corrosione, il che li rende ideali per applicazioni in ambienti umidi o chimicamente aggressivi. Non essendo soggetti a ossidazione, mantengono le loro proprietà meccaniche nel tempo.
Vantaggi degli Ingranaggi in Plastica
1. Riduzione del Rumore
Uno dei principali vantaggi degli ingranaggi in plastica è la loro capacità di ridurre il rumore durante il funzionamento. Questo è particolarmente importante in applicazioni dove il comfort acustico è un fattore chiave, come negli elettrodomestici e negli strumenti musicali.
2. Costi di Produzione Inferiori
La produzione di ingranaggi in plastica è generalmente meno costosa rispetto a quella degli ingranaggi in metallo. I processi di stampaggio a iniezione permettono di realizzare forme complesse in modo rapido ed efficiente, riducendo i costi di lavorazione.
3. Facilità di Fabbricazione
Gli ingranaggi in plastica possono essere fabbricati in una varietà di forme e dimensioni, rendendoli altamente personalizzabili. Questo consente di soddisfare specifiche esigenze progettuali senza dover ricorrere a lavorazioni aggiuntive.
Applicazioni degli Ingranaggi in Plastica
1. Settore Automobilistico
Gli ingranaggi in plastica trovano ampio impiego nel settore automobilistico, dove vengono utilizzati in trasmissioni, meccanismi di finestre e sistemi di climatizzazione. La loro leggerezza e resistenza alla corrosione contribuiscono a migliorare l’efficienza dei veicoli.
2. Elettronica di Consumo
In dispositivi come stampanti, aspirapolvere e elettrodomestici, gli ingranaggi in plastica svolgono un ruolo cruciale. La loro capacità di ridurre il rumore e il peso rende questi dispositivi più attraenti per i consumatori.
3. Robotica e Automazione
Con l’aumento della robotizzazione, gli ingranaggi in plastica sono sempre più utilizzati in robot industriali e in applicazioni di automazione. La loro leggerezza e la capacità di assorbire vibrazioni li rendono ideali per queste applicazioni.
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Autotrasporto e Sicurezza stradale, parlano gli autotrasportatori
De Ficchy Giovanni Oggi, a ridosso del 2024, mentre si parla di innovazione, intelligenza artificiale, robotizzazione atutti i livelli, accade sulle nostre autostrade nazionali di poter perdere la vita o vedere i propristrumenti aziendali, ad esempio i camion, letteralmente falcidiati dalla negligenza di Enti chelucrano su aziende ed utenti, piuttosto che fare della sicurezza stradale e della…
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Il mio blog oggi
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Love, Death & Robots è appena arrivata su Netflix e noi non potremmo esserne più entusiasti. Questa serie antologica da 18 episodi, ciascuno con il proprio stile di animazione unico, promette di rivoluzionare il genere.
Se siete amanti delle distopie, della tecnologia e dei gatti, questa serie fa per voi. Se poi Metalhead, l’ultima puntata apocalittica di Black Mirror, vi ha lasciato a bocca asciutta sappiate che alcuni episodi di Love, Death & Robots potrebbero tranquillamente esserne un gradevole seguito.
Il paragone con Black Mirror viene spontaneo poiché anche Love, Death & Robots è una serie antologica che si concentra su temi quali realtà alternative, lo spazio e la robotizzazione della società (persino i titoli di apertura sembrano molto simili). Tuttavia, poiché Love, Death & Robots utilizza l’espediente dell’animazione per raccontare la storia, può permettersi in certi casi di andare oltre rispetto a Black Mirror.
Tutti gli episodi – ognuno dei quali dura da un minimo di 6 a un massimo di 17 minuti – hanno una propria visione artistica. L’alternanza tra CGI e scene animate in 2D è un vero spettacolo per gli occhi. Ogni episodio ci catapulta in un contesto narrativo totalmente differente, anche se forse i temi non sono nuovi agli appassionati di fantascienza. Una chicca interessante che aiuta lo spettatore a capire di cosa tratterà l’episodio è la combinazione simbolica e grafica che appare sullo schermo a inizio puntata.
Altra caratteristica che salta all’occhio è l’immediatezza delle storie, facili da consumare. Le diverse combinazioni degli elementi (amore, morte e robot, diciamo pure alieni) portano a diversi risultati, anche qualitativamente parlando.
L’intreccio di generi, grafiche e tecniche d’animazione – in alcuni episodi vengono mixati diversi linguaggi contemporaneamente – offrono un risultato ad alto impatto visivo pregno di contenuti e spunti di riflessione. Da non ignorare l’invito alla visione solo per un pubblico adulto: Sesso, Morte & Sci/fi potrebbe essere un titolo più rappresentativo di Love, Death & Robots.
Il vantaggio di Sonnie è ambientata in una città dove mostri terribili si affrontano l’uno contro l’altro sul ring, controllati mentalmente dai loro padroni. Prodotto dalla Miller’s Blur Studio, nota nel settore videoludico, sembra che sia stata realizzata con un mix di CGI all’avanguardia e motion capture. Tecnica che viene riapplicata in Mutaforma e Oltre Aquila, quest’ultima dalle sequenze davvero molto, molto realistiche. Il primo piano di Greta è impressionante: sembra un’attrice in carne e ossa. Considerato tutto, se avete visto l’episodio nella sua interezza, stavolta la pillola rossa non è stata una buona idea.
L’episodio Tre Robot è una ventata di freschezza dopo il tetro noir del primo, e segue il viaggio di tre robot, appunto, alla riscoperta della civiltà umana, o meglio di quello che resta di essa dopo l’estinzione dell’umanità.
Una volta che hai visto una città post apocalittica le hai viste tutte
Seppur con tono leggero, la denuncia che viene fatta agli uomini è la mancanza di lungimiranza, data dallo spreco delle risorse e dall’inquinamento del territorio. La loro strabiliante stupidità è anche la protagonista assoluta del divertente episodio Il dominio dello Yogurt, dove i latticini senzienti conquistano l’Ohio e partono verso l’infinito e oltre.
Buona Caccia, che sembra disegnata a mano, è uno straordinario connubio tra mitologia cinese e steampunk ambientato a Hong Kong. È uno dei tanti episodi della serie che parla della profanazione del corpo, ma in questo caso ai danni di una donna-volpe stanca di subire violenze da parte degli uomini.
L’Era Glaciale è l’unico episodio non dominato dalle animazioni, interpretato da Topher Grace e Mary Elizabeth Winstead. È un adattamento del romanzo di Michael Swanwick (1984) ma è più facile che ricordi uno degli episodi più belli de I Simpson. Se vi è piaciuto il progetto scientifico di Lisa che ha portato alla creazione di piccoli uomini partendo da un dente immerso nella Coca-Cola, adorerete questo episodio.
Zima Blue è in cima alla mia classifica di gradimento. Trovo sia una storia innovativa sul tema dell’identità. Un semplice prodotto meccanico, divenuto poco alla volta una IA, diventa uomo. Ma riscontrati i limiti di un involucro di carne, potenzia se stesso divenendo un ibrido inedito:
Neanche io so più cosa sono diventato.
Il finale della vicenda sembra dare ragione a chi crede che la felicità è degli stupidi e lascia un retrogusto amaro.
Quello che ho capito è che ogni spettatore avrà una classifica personale degli episodi, condizionata sia dal contenuto che dall’aspetto visivo. Non sempre il tema o la morale appaiono chiari, probabilmente gioca un ruolo non indifferente il proprio bagaglio culturale – qua e là vi sono dei rimandi che possono sfuggire – ma una cosa è certa: a pochi giorni dalla sua uscita Love, Death & Robots sta facendo parlare molto di sé. Meritatamente.
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Continuo a ripetere che la guerra è tra di loro, cioè tra chi vuole la schiavitù tramite robotizzazione/metaverso e chi per mezzo della povertà mentale/economica/fisica.
Gli umani sono il bottino in entrambi i casi.
L'esistenza è azione e si concretizza nello sperimentare intensamente quante più esperienze possibili.
La digitalizzazione, invece, oltre a preludere alla molto prossima ibridazione uomo- macchina, induce al malessere esistenziale perché sottende una vita vissuta da remoto.
La digitalizzazione induce al regresso dell'intelligenza umana ed è speculare allo sviluppo dell'intelligenza artificiale.
Una prova? Appuntatevi le vostre giornate su un diario e poi fate lo stesso ma al pc.
Nel 1° caso svilupperete il vostro pensiero e ricorderete tutto meglio.
È conseguente quindi che la digitalizzazione (cioè sostituire esperienze reali a esperienze virtuali) abbassa drasticamente le capacità intellettive.
Ci venderanno il transumanesimo come "medicina" alla malattia che hanno indotto attraverso la digitalizzazione.
La digitalizzazione di ogni processo umano vanifica l'apprendimento derivante dall' esperienza fisica e dunque provoca l'abbassamento dell' intelligenza umana.
Questo fenomeno parrebbe oggettivamente funzionale al progressivo sviluppo di nanotecnologie che mirano dichiaratamente ad ibridare l'uomo alla macchina per potenziare i processi cognitivi umani.
In altre parole, ci "instupidiscono" per poi venderci microchip nel cervello che ci renderanno "di nuovo" intelligenti.
hidekitojo
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Ci venderanno il transumanesimo.
#guerra#umanità#robot#metaverso#tecnologia#mondo marcio#povertà#zombie#società malata#società#svegliatevi#sistema#aprite gli occhi#manipolazioni#verità#dittatura#virus#vaccino#transumanesimo#di#identitá digitale
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Mentre in Italia le discussioni sulle dinamiche politiche internazionali si limitano all'analisi degli alti e bassi dello spread, quelli che stiamo vivendo sono mesi che segneranno in maniera potente i tempi a venire.
Quella tenaglia che odora di guerra
In attesa di capire come si evolverà definitivamente la questione della Brexit, è in corso ormai una guerra commerciale senza freni tra USA e Cina. Ma le possibilità che si evolva in qualcosa di peggio non sono remote.
Qualche settimana fa, in un discorso pronunciato ad un think tank conservatore, il vicepresidente USA Mike Pence ha attaccato su tutti i fronti Pechino, sia in ambito commerciale che sopratutto sul tema della sicurezza militare e tecnologica. Dalle parole alla pratica è passato poco tempo.
Pochi giorni dopo, nel “nuovo NAFTA”, gli Usa hanno infatti inserito una clausola che di fatto esclude per Messico e Canada la possibilità che questi stringano accordi commerciali con economie non di mercato, leggasi la Cina. Nel frattempo, gli USA si sono ritirati da un trattato di limitazione missilistico firmato in epoca reaganiana, alla base dell'ordine mondiale che si sarebbe imposto pochi anni dopo con il crollo dell'Unione Sovietica.
Negli scorsi mesi Washington si è anche ritirata dagli accordi di Parigi sul clima e da quello sul nucleare con l'Iran, in forte scontro con soggetti come l'Unione Europea. Certo, siamo in vista delle elezioni di midterm, che a Novembre offriranno un primo giudizio elettorale su Trump e le sue politiche suprematiste, sfidate in questi giorni dall'imponente avanzata della carovana dei migranti in Centro America. Eppure il trend sembra andare ben oltre la fase politica più spicciola, facendo prefigurare un futuro da tamburi di guerra in cui la retorica e la pratica bellica possano tornare a determinare la politica internazionale oltre ogni ingenua idea sui legami derivanti dall'interdipendenza economica.
Colli di bottiglia marittimi fondamentali per le supply chains internazionali sono sempre più militarizzati, dal Golfo Persico al Mar Cinese Meridionale. Battaglie per il recupero della sovranità tecnologica si svolgono a colpi di attacchi informatici finalizzati al recupero di dati e di informazioni sensibili. Proxy wars in teatri come Siria e Yemen sembrano essere lontane da una loro risoluzione, con la possibilità che si possano allargare ad altri teatri.
Le dinamiche di recupero di sovranità sembrano utilizzare sempre più armi non convenzionali per attaccare ogni voce di dissenso. L'omicidio per mano dei servizi segreti sauditi del giornalista Khashoggi in Turchia segue quelli di diversi esponenti del mondo del giornalismo che indagavano a vari livelli in Europa sui legami oscuri tra mafie, mondo della speculazione finanziaria e governi in paesi come Malta, Slovacchia, Bulgaria.
Intanto, in Cina è in atto una sorta di incarcerazione di massa nelle regioni musulmane di confine con l'Asia Centrale, negli USA mai sono stati in carcere tanti afroamericani. In Europa si afferma quasi ovunque la destra xenofoba e suprematista, che sta per trionfare anche in Brasile nella figura di un ex parà simpatizzante delle dittature militari e del nazismo come Bolsonaro.
Queste dinamiche sembrano legarsi a nuove possibili incertezze e crisi dell'economia internazionale. A dieci anni dalla crisi globale dei subprime, le mani della finanza sono ancora più libere di prima. I processi nel campo dell'automazione e della robotizzazione stanno espellendo sempre più persone dal mondo del lavoro, fomentando ovunque rabbia e paura verso il futuro ma anche una conseguente innovazione nei sistemi di controllo sociale. Una possibile nuova crisi finanziaria difficilmente potrà essere affrontata nei termini della prima, e gli effetti potrebbero essere ancora peggiori.
Le diseguaglianze economiche si sono infatti in piccola parte ridotte su scala assoluta, ma sono fortemente aumentate su scala nazionale. Lo scontro tra chi possiede la maggior parte della ricchezza e chi soltanto una sua infima parte si rideclina dentro i confini nazionali, e gli esempi di Turchia e Argentina sembrano essere solo le avvisaglie di un ritorno a politiche di austerity che verranno scaricate verso il basso. Non a caso, politiche suprematiste basate su gerarchie razziali e di genere tornano ad essere di moda nel divergere l'attenzione dal loro fondamento di classe.
Mentre ascoltiamo i tamburi di guerra, interna ed esterna, c'è la necessità di riprendere in mano la prospettiva di un nuovo internazionalismo, capace di rompere quella tenaglia che odora di guerra tra globalismo finanziario e sovranismo rampante, quella tenaglia che schiaccia sempre più le possibilità di autodeterminazione sociale collettiva.
Il messaggio che arriva dalla rivoluzione del Rojava torna ad essere sempre più attuale. Tra la globalizzazione finanziaria che uccide tramite algoritmo e lo stato nazione che lo fa tramite frontiere esterne e divisioni interne, la ricerca e la pratica va orientata verso un modello differente che ponga al primo posto dignità e solidarietà, ecologia come rottura della crescita assassina capitalistica e distruzione del patriarcato come ordine fondante della società.
La sfida è come riuscire ad uscire dalle dinamiche realiste della geopolitica, affermando l'autonomia dei soggetti e rifiutando l'adesione alle chiamate alle armi degli Stati-Nazione, che arrivano a pochi anni dall'attacco alle rivoluzioni arabe che per prima avevano segnalato la necessità di un'uscita dal basso dalla crisi strutturale capitalistica.
Ad un secolo dalla fine del primo conflitto bellico globale non sembra ci siano le condizioni per una riproposizione identica di quanto successo in quell'epoca, anch'essa segnate da duri scontri commerciali: ma senza dubbio, le tensioni sono sempre più forti e una lettura chiara di queste dinamiche è necessaria.
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Non chiamatele morti bianche
Sicurezza. È stata la parola più usata durante la campagna elettorale. Non solo da esponenti del centrodestra leghista e xenofobo. Ma anche dal centrosinistra. Con il ministro dell’Interno Minniti, il governo Gentiloni ne aveva fatto la propria parola d’ordine. Paventando invasioni (inesistenti) di migranti, Lega, Forza Italia, Pd e M5S, all’unisono, hanno sostenuto la necessità di maggiori controlli prospettando soluzioni emergenzialistiche e securitarie. Non uno che abbia usato la parola sicurezza in senso proprio, riguardo alla sicurezza che davvero manca in Italia, quella sul lavoro. ... . Solo nei primi tre mesi del 2018 sono già 151 gli operai che hanno perso la vita sul lavoro. Non chiamatele morti bianche, ci ricorda lo scrittore Marco Rovelli che nel 2008 ha dedicato a questo tema un toccante libro reportage, Lavorare uccide. Non si può parlare di fatalità. Le morti sul lavoro sono omicidi. Le cause sono da cercare nell’accelerazione dei cicli di produzione, in nome della massimizzazione del profitto. Si nascondono in politiche che hanno imposto la flessibilità e la precarietà, attraverso contratti a tempo determinato che ostacolano la formazione perché le aziende in quel caso la considerano una spesa inutile. Le cause sono da cercare in un sistema industriale italiano che, in tempi di crisi, continua a produrre senza innovazione, con macchinari vecchi, per giunta risparmiando sulla sicurezza, approfittando degli scarsi controlli e del fatto che al più si rischia una multa. Sono pochissimi i casi in cui una denuncia porta all’apertura di un fascicolo e poi al processo. E anche quando si va a processo sono rare le cause vinte dai lavoratori e dai loro familiari. La disoccupazione è un’altra potente arma di ricatto. Chi ha un impiego anche se precario e sotto pagato, cerca di tenerselo stretto, anche accettando turni massacranti. Così chi ha un lavoro povero viene contrapposto a chi ne ha uno ancora più povero; come i migranti costretti a lavorare in nero, fino a condizioni di sfruttamento da schiavitù. Se il lavoratore protesta gli viene risposto che c’è un’intera fila in cerca di un posto come il suo. Così si viene spinti ad accettare condizioni di lavoro sempre più mortificanti, che negano la dignità, che impattano pesantemente sulla vita privata, sulle relazioni sociali, perfino su sogni e aspirazioni. (...) Per contrasto torna alla mente il dolore, l’indignazione e l’incazzatura di cui raccontava Luciano Bianciardi dopo l’esplosione nelle miniere di Ribolla nel 1954. La disperazione delle famiglie si accompagnava a una vibrante denuncia da parte degli operai, con la ferma e determinata richiesta di un cambiamento. Dopo lo sciopero passarono all’occupazione dei pozzi della Montecatini. Il 28 giugno 1958 Bianciardi scriveva: «48 operai minacciati di licenziamento rimasero nel pozzo per 3 giorni. La polizia bloccò gli accessi, sperando di prenderli per fame, ma senza risultato. Allora l’azienda decise l’intervento armato, dirigeva le operazioni insieme al vice questore, il direttore della miniera, il dottor Riccardi, commercialista, direttore politico del gruppo delle miniere. Organizza circoli culturali per impiegati e tecnici, e ha istituito il prete di fabbrica, cioè un sacerdote che avvicina gli operai anche in fondo i pozzi e li “rieduca”. Anche il premio di crumiraggio è opera sua». Pretendevano giustamente quegli operai lavoro in condizioni di sicurezza. Allora non c’era la robotizzazione, ma oggi c’è, perché si continuano a mandare gli operai nelle cisterne? Allora non c’era ancora una avanzata legislazione sulla sicurezza, perché oggi non c’è una forte lotta per la sua piena applicazione? Finita l’epoca fordista, il turbo capitalismo in cui viviamo ha portato con sé una frammentazione, atomizzazione della classe lavoratrice, mentre i sindacati sono stati bypassati da un centrosinistra che ha pensato di poter fare a meno della intermediazione. Basta tutto questo a spiegare l’indifferenza che circonda le morti sul lavoro in Italia? C’è molto su cui interrogarsi, molto da studiare e capire perché non si tratta di numeri ma di persone. Non ci arrendiamo all’idea che nel 2018 non si possa pensare un nuovo modello di società e di sviluppo che non sia basato sullo sfruttamento e sulla negazione dei diritti umani. SIMONA MAGGIORELLI per LEFT
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Blade Runner non è un film di fantascienza, ma di umanismo.
In una pellicola sola si tratta il tema della schiavitù, della robotizzazione, della misericordia, del potere, delle scelte, dell'amore e del tempo.
Insieme a tutta una serie di domande cosmiche e a piccoli unicorni.
Continuano a fare vedere minchiate sulle mafie a scuola, quando con questo ci fai almeno 3 lezioni.
BLADE RUNNER 1982 | dir. Ridley Scott
#blade runner#zombie#società malata#società#svegliatevi#manipolazioni#mondo marcio#replicanti#aprite gli occhi#sistema#verità#tempo#anima#futuro#robot#discernimento#responsabilità#dittatura#potere
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+++ NOVITÀ IN LIBRERIA +++
Riccardo Tennenini
SCHIAVI DIGITALI
Alienazione, narcisismo e controllo al tempo dei social network
L’epoca digitale, senza dubbio, rappresenta uno dei più vasti mutamenti che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto. Utilizzate in tutto il pianeta, le tecnologie smart innescano meccanismi irreversibili, le cui conseguenze stanno già destrutturando e riprogrammando gli equilibri sociali e i comportamenti dell’individuo: dal crescente impiego dell’Intelligenza Artificiale alla robotizzazione del lavoro, dallo sfaldamento dei legami alla virtualizzazione della realtà, dai rischi neurologici alla diffusa dipendenza da smartphone, dall’atrofizzazione della mente al condizionamento delle coscienze.
Gli algoritmi e i big-data, alla base dei social network, tracciano i contorni di un nuovo Panottico dell’iper-sorveglianza, dove il controllo del sistema capitalistico – veicolato dalle cyber-lobbies mondialiste – opera una vastissima manipolazione di massa, volta a catalogare e indirizzare le scelte degli utenti, ormai ridotti a cavie da computer.
Il soggetto, oggetto della civilizzazione tecnica, si riduce ad appendice della macchina: un cyborg tecnicizzato e iper-connesso, piegato alle regole del consumo e ai ritmi della globalizzazione. Il web, nato per collegare e condividere, si è trasformato nel motore di un isolamento alienante, dove il virtuale sostituisce il reale e l’operazione dell’automa – schiavo del proprio narcisismo – soppianta l’azione della Comunità.
“Schiavi digitali” – partendo dalla Gestell di Heidegger e arrivando al linguaggio della “Selfie generation” – restituisce al lettore l’impietosa radiografia di un presente dominato dall’immagine, dall’omologazione e dal pensiero calcolante: un mondo orwelliano, fondato sull’inautenticità e sullo sfruttamento. Un saggio necessario e coraggioso, che lancia un grido controvento: torniamo ad essere Uomini.
Editore: Passaggio al Bosco
Anno: 2019
Collana: Bastian Contrari
Pagine: 220
Formato: 14,8 x 21
Legatura: Brossura
Prezzo: 15.00 euro
Isbn: 978-88-85574-26-7
ACQUISTA LA TUA COPIA:
https://www.passaggioalbosco.it/prodotto/schiavi-digitali/
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ENRICO STAI SERENO LETTA SI PRESENTA ALLA TASSEMBLEA E COSA PROPONE ?
LETTA : FRASI FATTE, LE SUPERCAZZORE PREMATURATE CON SCAPPELLAMENTO A SINISTRA COME L'ANTANI UGO DISSE
Problemi "importanti per il paese" trattati da Letta :
1) Progressisti nei valori
2) Riformisti nel metodo
3) Radicali nei comportamenti personali
4) Non vi serve un nuovo segretario. Serve un nuovo PD"
5) La vita fuori da qui - nel partito - è molto bella"
4) Giovani: "saranno al centro della mia azione".
5) tre sfide globali: a) cambiamento climatico b) pandemia,
c) protezione dati personali
6) Se noi dobbiamo per forza andare al governo, noi diventiamo il partito del potere.
7) E se diventiamo il partito del potere, noi moriamo
8 ) Il governo di Draghi è il nostro governo, è la lega che deve spiegare perché lo sostiene"
9) Altri Temi toccati: a) Donne b) Sì ius soli c) Sud d) PA moderna
e) lotta alle mafie (la pace nel mondo) f) Lotta ai paradisi fiscali europei g) Progressività dell'imposta h) terzo settore i) reti di prossimità l) sindacati.
10) Rilancio dialogo sociale.
11) Partito della prossimità" non ZTL.
I 9 problemi fondamentali del popolo italiano, che lo risolleverebbero agli antichi splendori, NON TRATTATI DA LETTA MAI TRATTATI DA LETTA :
1) RIFORMARE COMPLETAMENTE IL SISTEMA FISCALE
a) Ridurre la partenza Irpef dal 23% al 5% e riadeguare le altre aliquote, no tax-area fino a 10k
b) (Ridurre il contributo Inps dal 33% al 20%) Dopo la Riforma Inps
c) Ridurre Iri Ires e tasse imprese complessive dal 64,8% complessivo al 25%
d) Ridurre l’Iva dal 22% al 5%
e) Rimettere in tasca ai cittadini i 400 MLD di tasse in eccesso (con coperture) : 400 MLD il taglio fiscale - 168 MLD l’extra gettito - 192 MLD risparmio tasse sulla spesa pubblica - 40 MLD deficit = 0 Pareggio di bilancio
f) Instaurare un Reddito di Disoccupazione 500 Eu mese permanente
g) Instaurare una Pensione di Base fiscale a 1.000 Eu per tutti
(a compensazione dell’assistenza e del ricalcolo pensionistico al contributivo)
2) RIFORMARE L’INPS
a) Separare l’assistenza dalla previdenza contributiva e cederla al fisco (-64 MLD)
b) Ricalcolare tutte le pensioni retributive al contributivo (-70 MLD)
c) Ridurre il contributo Inps dal 33% al 20%
d) Instaurare una Pensione di Base Fiscale 1.000 Eu mese per tutti
e) Portare l’età pensionabile da 67 a 62/60 anni (rimettere 3 milioni di lavoratori anziani over 60 in pensione lasciando il loro lavoro ai giovani)
3) RIFORMARE LA SCUOLA
a) Portare l’obbligo scolare da 14/16 a 18 anni (più 2,5 milioni di studenti tolti dalla disoccupazione)
b) Instaurare scuole professionali di 3 anni anche nella tecnologia
c) Riformare, riadeguare i programmi, educazione civica
4) RIFORMARE ESERCITO E PROTEZIONE CIVILE
a) Ripristinare il servizio di Leva di difesa 500mila giovani
b) Instaurare il servizio di Leva civile insieme a quello di difesa
5) STATALIZZARE SERVIZI E AZIENDE STRATEGICHE
a) Statalizzare tutti i servizi pubblici (150 MLD di utili)
b) Statalizzare tutte le aziende strategiche (50 MLD di utili)
c) Statalizzare tutte le Banche e le Assicurazioni
d) Statalizzare il 3° settore oggi business solidarietà (50 MLD di utili)
e) Statalizzare parzialmente o totalmente le aziende a forte automazione
6) DOPO 5 ANNI CREARE UNA MONETA PUBBLICA DI PROPRIETA’ POPOLARE
a) Inserire un Biglietto di Stato a corso legale senza uscire da Eurozona, parallelo ad euro
b) La Moneta solo interna, solo elettronica, esente da ritorsioni valutarie e speculative, senza violare i trattati internazionali, senza cambi internazionali, un solo cambio interno Lira/Euro.
c) Utilizzare l’Euro per import/export, acq. materie prime e vendita del Made in Italy all'estero
7) ABOLIRE LE TASSE A FONDO PERDUTO PER LEGGE E PER COSTITUZIONE E PASSARE ALLA (Fiscalità a Scambio)
a) Si paga solo il contributo Inps 20% gettito 350 MLD ad occupazione piena
b) Si incassano 150 MLD dagli utili dei servizi pubblici di Stato
c) Si incassano 50 MLD dagli utili delle aziende strategiche
d) Si incassano 50 MLD dal 3° settore
e) Si paga una spesa pubblica di 600 MLD anno circa, esentasse senza sprechi
f) Creazione monetaria del tesoro per il denaro necessario quando manca, per compensare o favorire la crescita economica
g) Prestiti e mutui con Moneta di Stato senza interessi a tasso 0%, su rete di Banche Pubbliche
😎 AUTOMAZIONE
a) Dopo aver raggiunto l’occupazione quasi piena, che come abbiamo visto è ancora possibile, a contrasto dell’automazione industriale, la robotizzazione, l’intelligenza artificiale, che inevitabilemtne porterà via molti posti di lavoro, anche se ne andrà a creare molti altri, sarebbe utile statalizzare parzialmente o totalmente le grandi produzioni ad alta automazione, dove gli utili che incamererà lo stato andranno ridistribuiti ai cittadini in base al reddito, sotto forma di un Reddito da utili di Stato.
b) In questa nuova economia, le macchine lavorano e producono, gli umani guadagnano, incassano gli utili e comprano i prodotti delle macchine, chiudendo così il ciclo economico.
c) Invece, piuttosto che lasciare tutti i grandi gruppi industriali in mano ai privati, dando il “Reddito Universale della gleba”, dove pochi signori avranno tonnellate di denaro, mentre una grande massa di popolazione, sarà mantenuta con un reddito da elemosina, solo per la giusta sopravvivenza, e dato che i cittadini vengono pagati, a lavorare gratis per le multinazionali e lo stato, oltre che dover sottostare a tutte le altre imposizioni, vaccini, tamponi, mascherine, microchip, app, lockdown, eliminazione del contante e chi piu’ ne ha ne metta
9) CORRUZIONE
a) Abbiamo una corruzione dilagante, che parte dalla politica e coinvolge la magistratura, le forze dell'ordine, l'avvocatura, i commercialisti, la sanità, le grandi imprese, le multinazionali, i grandi gruppi industriali associati, che commettono reati su reati, protetti e mascosti dall'informazione, da cosche, logge, ordini e mafie, i cani da guardia del potere e si sa che cane non mangia cane.
b) Il 100% degli appalti pubblici del Nord Italia viene “deciso” da un unico Studio di Commercialisti del Nord Ovest, il 100% degli appalti pubblici del centro sud, dalle mafie dai colletti bianchi. Comprendiamo che se sulla spesa pubblica ci sono 370 MLD di euro anno, tasse comprese, di sprechi, ruberie, regalie, tangenti, corruzione, assistenzialismo, bisogna aumentare le tasse, e se aumenti le tasse, imprese e cittadini vanno in sofferenza, non consumano, non producono, e di conseguenza crolla l’economia e il gettito fiscale.
E possibile porre rimedio a tutto cio’ ?
Fare tutto ciò che è giusto
Marco Cristofoli Moneta Pubblica
Secondo voi, vi fareste governare da un Partito Politico che propone non si sa bene cosa propone !? Per quanto tempo ancora siete disposti a farvi prendere per il c da questi soggetti, i camerieri dei loro padroni, l'1% dei piu' ricchi del pianeta ?
Marco Cristofoli Moneta Pubblica
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Italia malata grave, ma non seria
Anna Lombroso per il Simplicissimus
Fino a qualche tempo fa, mentre stavano facendo irruzione nella narrazione economica e sociologica automazione, robotizzazione, informatizzazione a farci sognare che saremmo stati esonerati dalla fatica, non poteva mancare nella nostra cassetta degli attrezzi, un testo, quel “Lavoro manuale e lavoro intellettuale” di Alfred Sohn Rethel, pubblicato in Italia…
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#Confindustria#contagio#Covid19#lavoro intellettuale#lavoro manuale#Sanità#settori essenziali#sicurezza#sintesi sociale#sistema industriale#Sohn Rethel
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AUTOMATIZZARE PER ESSERE PRONTI A UNA PROSSIMA PANDEMIA
Già da tempo, ormai, la robotizzazione è un fenomeno che pone seri interrogativi sulla sostenibilità occupazionale e, ora, una volta superata l’emergenza coronavirus, è ovvio attendersi una frenetica corsa ad automatizzare il più possibile la produzione, accentuando lo spettro della disoccupazione.
di Pasquale Di Matteo
Durante gli ultimi decenni, la tecnologia ha fatto dei passi in avanti notevoli, creando dei robot sempre più sofisticati, in grado di muoversi, di spostare oggetti e persino di pensare.
I nostri smartphone si fanno sempre più sofisticati e l’intelligenza artificiale non è più soltanto teatro di alcuni film di fantascienza, bensì la realtà che viviamo.
La ricerca scientifica è giunta a livelli talmente elevati sul tema dei robot che, da più parti, si comincia a prospettare un futuro in cui le macchine sostituiranno gli umani nelle attività lavorative, scenario che, se da un lato sembra spalancare le porte alla cancellazione della fatica lavorativa, dall’altro accende la luce rossa sull’inevitabile disoccupazione che si verrebbe a creare.
Gli economisti più ottimisti hanno sempre sostenuto che i posti di lavoro cancellati dall’introduzione dei robot sarebbero stati creati proprio nel campo della robotica, nella costruzione degli stessi robot.
Tuttavia, secondo tutti gli indicatori degli ultimi anni, l’automazione delle imprese ha bruciato più posti di lavoro di quanti sia riuscita a produrne ed è quindi ipotizzabile che, negli anni a venire, oltre alle crisi, alle delocalizzazioni e alla globalizzazione, i lavoratori dovranno fare i conti anche con i robot, spettro che, se prima dell’emergenza coronavirus era fortemente ipotizzabile, oggi è assolutamente certo.
Le imprese che in queste settimane vedono il fatturato crollare anche del 90% e, cosa ancor più grave, rischiano di perdere clienti nei mercati esteri, che non sarà facile riprendere, se non dopo anni di sacrifici, si doteranno di impianti industriali sempre più automatizzati, in grado di lavorare con un numero esiguo di personale umano, tendendo allo zero.
Sistema di automatizzazione nell’imballaggio – Immagine di Proprietà del Web
Tavola robotizzata – Immagine di Proprietà del Web
Non a caso, proprio le imprese che hanno investito maggiormente nell’automazione dei processi produttivi sono quelle che oggi garantiscono i più elevati standard di sicurezza contro il rischio di contagio da Covid-19.
Memori di questa circostanza, non certo imprevista, ma sottovalutata dal mondo produttivo e dalla politica, gli imprenditori adotteranno tutte le procedure possibili per dotarsi di sistemi di produzione che possano ovviare anche a queste emergenze.
D’altronde, in questi anni, sono stati tanti i personaggi più o meno famosi che mettevano in guardia in merito a possibili pandemie: da scienziati poi umiliati dai colleghi più blasonati, a filosofi presi per matti, fino a miliardari accusati di complottismo, come, tra i tanti, Bill Gates.
Oggi, l’evidenza dei fatti dà loro ragione e certifica come la follia stia spesso proprio nel non credere a chi cerca di mettere in guardia su problemi possibili.
Tuttavia, poiché con i SE e con i MA non si può realizzare nulla, oggi il tema fondamentale da affrontare per le imprese non sarà soltanto come sopravvivere e riprendersi il più rapidamente possibile, ma anche come evitare di bloccarsi alla prossima pandemia, eventualità che, come si evince dalla realtà di queste settimane, non è soltanto ipotizzabile, ma il nostro futuro certo.
Perciò, i temi della robotizzazione, dell’automatizzazione e dell’automazione in generale saranno di attualità nel prossimo decennio come non lo sono mai stati finora, uno sviluppo tecnologico che, d’altronde, risulta essere a senso unico, perché porta vantaggio esclusivo alle aziende, mettendo nei guai quei lavoratori sostituiti dalle macchine, nonché lo Stato, in quanto, laddove la disoccupazione aumenta, inevitabilmente diminuiscono le entrate e aumentano le spese per i sussidi.
C’è chi è ottimista, immaginando che verrà un giorno in cui ogni famiglia avrà uno o due robot che verranno impiegati in qualche produzione, mentre gli umani avranno più tempo per dedicarsi a un hobby e allo sviluppo del benessere psicofisico, così come potranno tranquillamente restare confinati in casa, nell’eventualità di future emergenze, senza risentire di alcun contraccolpo economico.
In un tale scenario, nemmeno gli Stati ne soffrirebbero, poiché l’Economia non ne verrebbe intaccata e il Sistema Sanitario godrebbe anch’esso di una forte componente di automatizzazione, con conseguente minore dispiego di forze umane e un rischio di contagio decisamente meno elevato rispetto al mondo odierno.
In verità, si tratta di mera utopia.
Per quanto riguarda il Sistema Sanitario, il problema è legato soprattutto a un discorso economico, ovvero a come e dove trovare le risorse per adeguare alle migliori tecnologie gli ospedali; ciò vale anche per i settori statali che prevedono di essere finanziati attraverso tributi e tasse.
Nelle imprese private, invece, la corsa all’automatizzazione sarà accelerata, anche da parte di quegli imprenditori fino a ieri legati a dinamiche produttive del passato, ma cancellate dall’emergenza per il covid-19.
Perciò è logico attendersi una corsa all’acquisto di macchinari industriali che necessitino di assistenza umana sempre più ridotta, fino ad avere robot sempre più sofisticati, in grado di sostituire non solo la manovalanza generica, ma anche quella specializzata.
In tale contesto non è difficile immaginare che quanto fino al mese scorso si immaginava tra venti o trent’anni, avverrà, invece, molto prima, forse già durante il prossimo decennio, con milioni di famiglie che saranno costrette ad acquistare robot per avere un lavoro.
D’altro canto, un imprenditore, visti anche i recenti sviluppi, preferirebbe assumere un essere umano, con un carico di problemi sindacali, sanitari, costi per ferie e altre dinamiche del vivere, oppure un robot, potenzialmente impiegabile ventiquattrore su ventiquattro, ogni giorno dell’anno?
Le famiglie riceverebbero lo stipendio, legato all’affitto del robot.
In questo scenario, nell’ipotesi migliore ci saranno famiglie che potranno acquistare i robot più costosi sul mercato, capaci di ottimizzare i tempi del lavoro di produzione e di sviluppare concetti d’intelligenza superiore, mentre i più poveri saranno costretti a ripiegare su modelli più economici, ma, di conseguenza, meno efficienti, perciò anche meno ricercati dalle aziende del futuro.
E chi non potrà permettersi nemmeno i più scarsi, dovrà accontentarsi di mansioni degradanti e sottopagate riservate agli umani.
Si darebbe vita a una lotta di classe tra robot, a tutto vantaggio dei più ricchi, i quali si troverebbero in una posizione ancora più dominante rispetto a quanto non avvenga oggi, poiché chi disporrà di maggiori risorse finanziarie non sarà soltanto in grado di acquistare i migliori modelli di robot sul mercato, ma potrà disporne di un numero maggiore rispetto ai più poveri.
Ci sarebbero aziende piene di robot dei ricchi e milioni di robot meno avanzati disoccupati, con i rispettivi padroni senza un soldo.
Senza contare il fatto che basterebbero poche aziende costruttrici di robot per soddisfare l’intera esigenza planetaria di robot da produzione: le imprese potrebbero noleggiarli direttamente dalle aziende produttrici, estraniando completamente le famiglie dal tessuto economico produttivo.
Uomo contro Robot – Immagine di Proprietà del Web
Automazione – Immagine di Proprietà del Web
Robotizzazione industriale – Immagine di Proprietà del Web
Potrebbe verificarsi il paradosso per cui le sommosse del proletariato auspicate da Marx si verificherebbero proprio in virtù di quel progresso tecnologico esasperato, creato dal suo nemico numero uno, ovvero il capitalismo.
Milioni di famiglie senza lavoro, con i robot parcheggiati in garage o utilizzati in attività scarsamente remunerative, vivrebbero in stato d’indigenza e la povertà dilagherebbe, mentre i ricchi si dividerebbero i frutti della produzione mondiale.
Tuttavia, l’emergenza coronavirus non andrà soltanto ad accelerare l’automatizzazione dei sistemi produttivi, ma anche l’automazione nel settore dei trasporti e spalancherà le porte a un più massiccio utilizzo di Internet nei servizi.
Già in queste settimane stiamo assistendo a cosa sarà la scuola del futuro, un’offerta formativa fatta di nozioni spiegate da un unico insegnante in video che si possono scaricare.
Tutto viene venduto come grandioso, sottolineando l’efficacia di poter studiare a distanza, rivedendo più volte una lezione, se non la si è compresa.
Beh, ciò è invece aberrante, poiché, se un discorso di questo genere può avere una sua logica nell’istruzione universitaria, dove gli studenti sono già maturi e strutturati, nelle classi inferiori, invece, è deleterio.
La Scuola non è solo nozionistica, non è un insieme di date, concetti e assunti da conoscere, ma l’insegnamento e l’apprendimento sono processi che necessitano di far nascere curiosità nell’allievo, di domande a cui dare risposta, di un ragionamento partecipato e condiviso di un’intera classe, per crescere come identità di un gruppo, comprendendo ruoli e dinamiche sociali.
La materia e i concetti studiati non sono notizie da sapere a memoria, come un file da salvare sul disco di un computer, ma temi da affrontare per far maturare lo spirito critico e la capacità di analisi, senza i quali l’uomo perde la capacità che lo distingue dagli esseri animali, ovvero il pensiero.
Il video facilità la didattica a distanza, ma in nessun modo può ovviare alla presenza fisica di insegnanti e compagni in uno stesso spazio condiviso e mai potrebbe essere sostitutivo un collegamento telematico, perché non sarebbe la stessa cosa.
Inoltre, ciò vedrebbe un evidente esubero dell’attuale numero di insegnanti, poiché basterebbero pochissimi docenti delle varie materie per preparare video lezioni da poter scaricare in base al livello di preparazione degli allievi, che diverrebbero utenti.
Un bel risparmio per lo Stato, ma milioni di disoccupati.
Perché, oltre al taglio delle docenze, ciò porterebbe alla dismissione di interi complessi scolastici, con il conseguente esubero del personale non docente, che finirebbe a ingolfare il popolo dei disoccupati.
Lo stesso sistema dei trasporti vedrebbe un crollo degli addetti umani, perché ci sarebbero meno pendolari, date le industrie piene di robot e gli studenti a casa a studiare con il computer, e l’utilizzo di mezzi sempre più sofisticati per muoversi, sia su binari, sia per quanto concerne il trasporto su ruota.
Ma tale scenario porterebbe al crollo del sistema capitalistico, in quanto la povertà dilagante farebbe crollare i consumi e la domanda aggregata, lasciando le aziende prive di lavoro anche per i robot dei ricchi.
Una catastrofe sociale che potrebbe portare a un lungo periodo di carestie e, probabilmente, torneremmo indietro di centinaia d’anni, con guerre civili e tumulti per l’accaparramento di risorse e di merci sempre più esigue nel mondo.
Senzatetto a Roma – Immagine di Proprietà del Web
Rivendicazioni – Immagine di Proprietà del Web
Senzatetto a Milano – Immagine di Prorietà del Web
Persino il Sistema Sanitario, non potendo contare su grandi investimenti in virtù della disoccupazione dilagante e delle poche entrate erariali, vedrebbe i ricchi curati sempre e meglio, poiché gran parte dei servizi sarebbero ovviamente a pagamento.
Una circostanza, quella della guerra tra uomo e robot, che non è certo marginale, tanto che persino al Parlamento europeo, l’idea di ipotizzare una legislazione che contempli diritti, oneri e doveri dell’intelligenza artificiale è già in agenda dal 2018, soprattutto legata allo sviluppo di tecnologie militari sempre più sofisticate, con robot dotati di intelligenza artificiale, potenzialmente in grado di decidere del destino di esseri umani, in battaglia.
Come in tutte le cose, anche a questo scenario esistono alternative, come quella che vede la cancellazione della moneta come mezzo di scambio, immaginando altre formule per mandare avanti la vita sul pianeta, cosa che se ipotizzarla in astratto non è difficile, definirla concretamente è tutt’altra cosa e sarà il compito più oneroso di chi avrà ambizione di amministrare la Res Publica.
Moneta o non moneta, l’emergenza coronavirus ha smantellato la tesi per cui lo Stato debba funzionare come un’azienda, cosa falsa, come queste settimane dimostrano: un’azienda non può permettersi costi inutili; un lavativo e/o chi rema contro sono costi da cancellare, e giustamente, per esigenze di Bilancio e per salvaguardare il benessere di tutta l’azienda, nel senso economico/giuridico del termine, (Imprenditore, macchinari e dipendenti).
Uno Stato democratico e serio, invece, non può far finta che non ci siano i disoccupati, né può negare le cure a tutti, poiché, come dimostra il Covid-19, non curare chi ha soldi provocherebbe una pandemia ancora più generalizzata anche tra i ricchi e, come si evince, la morte non chiede il tuo estratto conto per decidere chi colpire e chi no, inoltre, la prossima pandemia potrebbe picchiare duro anche tra chi ha meno di sessant’anni.
In tale contesto, dunque, si può tranquillamente affermare che un nuovo concetto di umanità non è più procrastinabile alle generazioni future, perché, se non ci ucciderà il prossimo virus o la paura di contrarlo, ci annienteremo da soli per non modificare i nostri sistemi di vita.
Sguardo sul futuro – Immagine di Proprietà del Web
Il Covid-19 ci ha dimostrato quanto insignificante sia l’essere umano, povero o tremendamente ricco, entrambi messi in scacco da una particella che non siamo nemmeno in grado di vedere, tanto è piccola.
Se, passata l’emergenza, banche, sistemi economici e produttivi, nonché gli Stati riprenderanno sugli stessi binari di prima, facendo finta che non sia accaduto nulla, allora davvero il progresso sarà quel virus impossibile da curare che ci sterminerà tutti.
E’ solo questione di tempo.
Già da tempo, ormai, la robotizzazione è un fenomeno che pone seri interrogativi sulla sostenibilità occupazionale e, ora, una volta superata l’emergenza coronavirus, è ovvio attendersi una frenetica corsa ad automatizzare il più possibile la produzione, accentuando lo spettro della disoccupazione. AUTOMATIZZARE PER ESSERE PRONTI A UNA PROSSIMA PANDEMIA Già da tempo, ormai, la robotizzazione è un fenomeno che pone seri interrogativi sulla sostenibilità occupazionale e, ora, una volta superata l’emergenza coronavirus, è ovvio attendersi una frenetica corsa ad automatizzare il più possibile la produzione, accentuando lo spettro della disoccupazione.
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10 OTT 2019 11:00ARRIGO CIPRIANI SI CUCINA MONSIGNOR ZUPPI: "IL TORTELLINO DI POLLO PER FAVORIRE L’ACCOGLIENZA DEI MUSULMANI? LE RELIGIONI NON HANNO MOTIVAZIONI SUINE'' – IL RE DELL’HARRY’S BAR: GLI CHEF IN TV? ''DITTATORI NARCISI, TUTTO È CAMBIATO CON MASTERCHEF, UN PROGRAMMA INVENTATO DA GORDON RAMSAY, UNO CHEF CHE HA VISTO FALLIRE MOLTI SUOI RISTORANTI” – MONTALE "MANGIAVA MALISSIMO" E WOODY ALLEN, AL TAVOLO, DA SOLO. UNA SERA SI È ALZATO, E'ANDATO VERSO UNA DONNA E..."
Maurizio Caverzan per la Verità
Bettoliere. Si definisce così, Arrigo Cipriani, con quel grado di attenuazione che è proprio dei grandi. Nonostante le 87 primavere vanta una forma invidiabile: lucidità, schiettezza, carisma. Messaggia su WhatsApp, prende voli intercontinentali, guida sportivamente una Mercedes Amg.
Eppure ha già deciso la frase per la lapide: «Sto da Dio». L’ultimo libro, il tredicesimo, scritto con Edoardo Pittalis del Gazzettino e il figlio, Gian Nicola, intitolato Tutti gli chef sono in tv… e noi andiamo in trattoria (Biblioteca dei Leoni) è un programma di vita. L’appuntamento è all’Harry’s Bar, la famosa «stanza» 4 metri e mezzo per nove, in Calle Vallaresso, San Marco (Venezia): «Se prende la linea uno, ferma proprio davanti».
In cravatta e doppiopetto, mi guida a uno dei tavoli rotondi circondati da poltroncine in legno e cuoio. «Nel 2001 questo locale è stato promosso monumento nazionale dal ministero dei Beni culturali come testimonianza del Novecento italiano. L’ha fondato mio padre Giuseppe nel 1931, io sono nato l’anno dopo e lo dirigo da 65 anni. Nel 1960 abbiamo aperto una sala al primo piano, ora abbiamo 80 dipendenti, di cui 15 cuochi». Quand’era barman all’hotel Europa, papà Cipriani prestò diecimila lire a un giovane cliente americano perché potesse pagare il conto e tornare a casa. Due anni dopo, quel cliente ritornò in Italia per restituire il dovuto e, con l’aggiunta di 30.000 lire, aprire un bar in società.
Si chiamava Harry Pickering e quella stanza era un magazzino di cordami. Nacque così l’impero odierno: 27 attività in diversi continenti, tremila dipendenti, 300 milioni di fatturato, cinque ristoranti a New York, altri a Los Angeles, Miami, Città del Messico, Montecarlo, Ibiza, Londra, Hong Kong, Dubai, più la coltivazione intensiva del carciofo violetto all’isola di Torcello��� «Vede gli arredi? Le proporzioni tra la persona seduta e il soffitto, il legno e il marmo, le luci e l’acustica: è tutto studiato. Zero imposizioni: lo scopo è la semplicità».
Una semplicità complessa.
«Nei miei libri la chiamo proprio così».
Merito di qualche architetto?
«Non ho molta stima degli architetti. È il nostro stile, qui il cliente deve stare meglio che a casa».
Perché non le piace il fatto che gli chef vadano in televisione?
«Perché mettono in scena qualcosa che va contro la libertà. Sono dei narcisi che impongono uno spettacolo al quale il cliente deve assistere come un devoto. Invece, dev’essere il principe: se non c’è lui possiamo andare tutti a spasso».
Senza i clienti si chiude.
«Il lusso sono le persone. Questi chef non seguono la cucina italiana. Siamo un Paese ricco di tradizioni nella letteratura, nell’arte, nell’architettura. La cucina nasce da qui. L’anima dell’uomo si trasmette attraverso la cultura. La cucina è cultura. Se va alla Pinacoteca di Brera, sotto i quadri di Giovanni Bellini e di Vittore Carpaccio trova la storia del nostro cocktail e del nostro piatto di carne affettata ispirati alla loro pittura. Ma non l’ho voluto io».
Che cos’è il narcisismo degli chef?
«Il ristorante si identifica con loro, invece per me è un insieme di componenti. Lo chef conta, ma se diventa il tutto finisce per imporre il suo ego. Qualche giorno fa mi è capitato di assistere a una scena in un importante ristorante. Un cliente voleva del formaggio; “No, l’ho già messo io”, ha replicato lo chef. “Mi scusi, vorrei del formaggio”, ha ribadito il cliente. Alla fine, quello l’ha fatto aggiungere manifestando tutto il suo disprezzo. Il cliente dev’essere un allievo obbediente».
Nei menu le descrizioni dei piatti devono essere decodificate.
«Vede? Il cliente è un allievo a scuola».
Come sintetizzerebbe le qualità dell’Harry’s Bar?
«Assenza di imposizioni. Accoglienza nella cucina e nel servizio. Per questo preferisco le trattorie, che sono il posto dove si conservano le tradizioni e l’accoglienza dell’oste. Vede i nostri bicchieri? Noi non abbiamo calici. Per bere si compie un gesto semplice, non si fa ginnastica».
Uno dei suoi ultimi libri s’intitola Elogio dell’accoglienza. Cosa pensa del «tortellino dell’accoglienza» inventato dall’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi, che ha proposto di sostituire il ripieno di maiale con quello di pollo per facilitare la devozione dei musulmani a San Petronio, patrono cittadino?
«Mi sembra una grande stupidaggine, un segno lampante di quanto poco i cattolici, specialmente certe gerarchie, capiscano le altre fedi monoteistiche. Mi sembra anche una manifestazione supponente. Non è la diversa visione gastronomica che concorre a dividere i fedeli. Qualche giorno fa, ho visitato il nostro ristorante di Ryiad dove mi piacerebbe invitare monsignor Zuppi perché possa capire che l’accoglienza è un valore immateriale, difficile da comprendere solo da chi pensa che le differenze religiose abbiano motivazioni… suine».
Gli chef sono tutti uomini, ma le ricette le hanno inventate le nonne e le hanno tramandate le mamme. La cucina della tradizione è femminista?
«Gli chef sono uomini perché è un lavoro pesante, bisogna sollevare le pentole, ci sono 50 gradi… La cucina della tradizione è nata prima dell’invenzione del frigorifero, quando i cibi venivano affumicati, salati e conservati nelle cantine. In cucina comandavano le donne e si mangiavano la trippa, il fegato alla veneziana, il baccalà, lo spezzatino. Era un modo di mangiare legato ai bisogni primari del dopoguerra».
Invece la nouvelle cuisine viene dalla cultura dell’immagine?
«Dalla rivoluzione del Sessantotto che ha fatto morire la tradizione. In America quella rivoluzione è finita subito, qui l’abbiamo ancora in casa».
Nel libro scrive che «dalle cucine degli anni Settanta sono usciti molti pittori e scultori, ma pochissimi cuochi».
«Se guarda con attenzione un piatto della nouvelle cuisine si accorgerà che la forma è talmente curata da sembrare un piatto morto. Non a caso si parla di impiattamento: pietanze che sembrano sculture. Infatti, non propongono mai un piatto caldo perché è difficile da comporre e può creare problemi estetici».
I critici gastronomici sbagliano a penalizzare la cucina tradizionale o la ricerca fa crescere l’industria del cibo?
«La maggior parte dei critici gastronomici segue la moda. Chi propone una vera cucina tradizionale non è interessato a stare sui giornali, ma ad avere clienti che tornino per la qualità del menu».
L’innovazione non serve?
«L’innovazione è far bene la tradizione. Ci sono talmente tanti dettagli che il gusto è sempre migliorabile, perfezionabile. Adesso tutti adoperano la curcuma e le spezie e non si capisce che cosa c’entrino con noi».
Cosa favorisce l’invasione della telecucina?
«L’audience e il mercato. Tutto è cambiato con Masterchef, un programma che viene registrato in una settimana, inventato da Gordon Ramsay, uno chef che ha visto fallire molti suoi ristoranti».
Perché ce l’ha con i francesi e chiama «guida dei copertoni francesi» la Guida Michelin?
«Qualche anno fa, un mio cliente, il ministro della Cultura francese Rennaud Donnedieu de Vabres mi invitò a una cena al ministero, c’erano 200 persone. A un certo punto si alzò: “Questa cena è in onore di Arrigo Cipriani”. I francesi sono grandi intenditori di cibo e di vini, non ce l’ho con loro. Ma mi chiedo perché noi italiani dobbiamo copiarne la cucina. E anche perché dobbiamo copiare gli americani nella robotizzazione del servizio».
Robotizzazione del servizio?
«Se telefona all’Excelsior si sente rispondere: “Grazie per aver chiamato l’Excelsior, sono Francesco, in che cosa posso esserle utile?”. Un robot, un disco. Le persone dicono: “Buongiorno, come sta?”».
Perché ce l’ha con le guide?
«Perché vogliono teleguidare i clienti. Lei va in un locale perché lo dice la guida o perché glielo consiglia un amico?».
Perché i suoi locali non sono stellati?
«Perché non voglio entrare in una classifica lontana dalla cucina italiana. La stessa cosa vale per quella dell’Espresso o del Gambero rosso. L’unica classifica che mi interessa è quella stilata dai miei clienti».
Non è un po’ drastico dire «se volete mangiare bene spegnete la tv»?
«Trovo che molti di questi programmi siano fatti da dilettanti che s’improvvisano cuochi. Io sono qui da 65 anni, i piatti della nostra cucina li so fare, ma li lascio cucinare ai nostri cuochi che sono più bravi».
Negli anni Cinquanta e Sessanta la tv ha insegnato a mangiare.
«C’era uno come Mario Soldati, con la sua cultura e la sua genuinità».
Chi potrebbe essere il Soldati di oggi?
«Forse uno come Philippe Daverio, un critico d’arte, non gastronomico».
È merito della tv il boom degli istituti alberghieri?
«Certo, ma è un’ondata che sta rallentando, tanti ragazzi si cancellano. Ogni anno paghiamo tre borse di studio perché altrettanti studenti possano fare degli stage nei nostri ristoranti. C’è stato un boom enorme d’iscrizioni, poi è iniziata la ritirata. Si comincia a capire che è una vita faticosa e che spesso si ha un’idea romanzata della vita dei cuochi».
È anche per questo che molti tra i più famosi cadono in depressione e si suicidano?
«Anche. Molti hanno successo, ma non hanno cultura e mancano dei fondamenti. Qualcuno si accorge che è tutta una grande finzione».
Parlando di cultura, Ernest Hemingway frequentava la vostra locanda di Torcello e l’Harry’s Bar, meta di scrittori e artisti non solo durante la Mostra del cinema. Mi regala un aneddoto?
«L’altro giorno c’era Jeff Bezos, è un continuo via vai. Montale era una persona straordinaria che mangiava malissimo. A un certo punto si era affezionato, ma voleva un tavolo nascosto. Un altro così è Woody Allen, mangia incurvato, da solo. Una sera si è alzato e si è diretto verso la signora di un tavolo vicino: “Per cortesia, signora, può smetterla di fissarmi?”. Poi è tornato a sedersi».
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