#rispetto norme stradali
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Polizia di Stato di Casale Monferrato intensifica i controlli stradali: sanzioni per guida senza patente
Due episodi di infrazione a Casale Monferrato evidenziano la necessità di responsabilità alla guida e dell'importanza di una vigilanza continua.
Due episodi di infrazione a Casale Monferrato evidenziano la necessità di responsabilità alla guida e dell’importanza di una vigilanza continua. La Polizia di Stato di Casale Monferrato ha recentemente intensificato i controlli stradali sul territorio, mettendo in evidenza situazioni di grave pericolo e mancanza di rispetto delle norme del Codice della Strada. Durante le operazioni di routine,…
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carroattrezzitorino · 1 month ago
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Tutti i servizi offerti da Carroattrezzi Torino
Tutti i servizi offerti da Carroattrezzi Torino: professionalità e disponibilità H24 per ogni emergenza
Quando si parla di assistenza stradale, è fondamentale poter contare su un servizio completo, rapido e affidabile. Noi di Carroattrezzi Torino siamo qui per offrire soluzioni su misura per ogni necessità, garantendo la massima efficienza a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ecco tutti i servizi che mettiamo a tua disposizione:
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1. Carroattrezzi Torino 24h su 24, 7 giorni su 7 Il nostro servizio non conosce pause! Siamo attivi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per rispondere a ogni tipo di emergenza. Che tu sia rimasto in panne in piena notte o abbia bisogno di assistenza durante un giorno festivo, il nostro team sarà al tuo fianco in tempi record. Affidati a noi per un servizio di carroattrezzi sempre pronto ad aiutarti.
2. Soccorso stradale 24h Torino Non importa dove ti trovi in città: il nostro servizio di soccorso stradale copre ogni angolo di Torino, garantendo interventi rapidi ed efficaci. Recuperiamo veicoli in panne, offriamo assistenza per guasti meccanici e garantiamo il trasporto in totale sicurezza verso l'officina di tua scelta.
3. Carroattrezzi Torino conto terzi Se sei un’officina, un’azienda o un privato che necessita di un trasporto di veicoli conto terzi, abbiamo la soluzione perfetta per te. Offriamo un servizio dedicato e professionale per trasportare auto, moto e mezzi pesanti nel rispetto delle normative vigenti. La nostra flotta di mezzi è attrezzata per gestire ogni esigenza.
4. Soccorso stradale cintura di Torino La nostra operatività non si limita solo alla città: il nostro servizio copre anche tutta la cintura di Torino. Dalle principali arterie stradali ai paesi limitrofi, puoi contare su di noi per un intervento tempestivo e risolutivo, ovunque ti trovi. Siamo il punto di riferimento per chi cerca un soccorso stradale di qualità anche fuori dal centro città.
Perché scegliere Carroattrezzi Torino? La nostra forza sta nella professionalità, nella rapidità di intervento e nei prezzi competitivi. Ogni intervento viene gestito con serietà e attenzione, perché la soddisfazione dei nostri clienti è la nostra priorità assoluta. Non solo risolviamo il problema nel minor tempo possibile, ma offriamo anche preventivi chiari e trasparenti per garantire serenità e fiducia.
👉 Scopri di più sui nostri servizi visitando il nostro sito ufficiale Carroattrezzi Torino. Per qualsiasi necessità, siamo qui per aiutarti!
Grazie per aver letto questo articolo. Continua a seguirci per scoprire tanti altri approfondimenti e consigli utili sul mondo del soccorso stradale e del carroattrezzi a Torino. 🚗💨
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arcobalengo · 11 months ago
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🇮🇹📟 A volte il polso della società si riesce a sentirlo meglio leggendo piccoli fatti di cronaca piuttosto che leggendo o ascoltando poderose e dottissime elucubrazioni di qualche luminare.
In un ridente comune del Polesine, Giavone, qualcuno, nottetempo, s'è rubato un dosso artificiale posto dal comune per rallentare la marcia delle automobili. Sì avete capito bene, si sono presi il dosso. Dov'è la morale? Semplice, la gente s'è rotta i coglioni. Si è rotta i co-glio-ni. Si è rotta i coglioni di continue prescrizioni, di continuo moralismo: «Rallenta l'automobile!», «Vai a 30/h!» ma «paga il debito per le infrastrutture moderne che abbiamo costruito per farti andare più veloce ed essere all'altezza delle sfide del mondo», e poi ancora «Mangia insetti, perchè le mucche scorreggiano e producono CO2». Non parliamo poi sulla sovranità sul nostro corpo che si sono presi: «Fai la punturina se non non lavori e non esci manco di casa...» Parliamo poi delle norme ambientali? Eccoci: « Metti il cappotto termico alla casa, se no, non l'affitti e non la vendi (ma continui a pagarci le tasse!). E se tu ritieni di essere vessato perchè imponi ad un sardo e a un siciliano norme finlandesi non ce ne frega nulla...è così e basta!».
E poi pensiamo agli strumenti pervasivi di controllo: Autovelox, telecamere anche dotate di strumenti di IA per il riconoscimento facciale ecc. Spesso si tratta di strumenti imposti - non si capisce a quale titoli - da semplici assessori e sindaci....
Insomma, un ginepraio di norme vessatorie, costosissime, contradditorie, spesso lesive non solo del buon senso, della stabilità economica di chi le subisce, ma proprio della dignità della persona.
Ed è proprio qui il punto: nel triveneto (come il altre parti d'Europa a partire dall'Inghilterra) stanno nascendo movimenti di protesta: rubano i dossi, abbattono i pali delle telecamere che vengono poi distrutte a martellate (qui sta il punto, se ci si limita ad abbattere il palo che costa 100 euro e si lascia la telecamera intatta che è costosissima la rimontano su un altro palo).
Ecco, io condanno fermamente questo modo di agire. No alla violenza, dobbiamo essere bravi a votare (se votiamo dei malfattori che ci vessano è perchè anche noi siamo in fondo malfattori nel nostro piccolo). Non bisogna danneggiare i beni dello Stato! Bisogna essere ligi al rispetto delle leggi anche quando sbagliate e vessatorie fino all'estremo sacrificio, quello di essere vessati come nel film Salò di Pasolini.
Mi raccomando, non rubate i dossi, non abbattete i pali delle telecamere (e soprattutto non rompete la costosa telecamera), non manomettete gli autovelox. Mi raccomando, pieno rispetto delle regole e piena fiducia nella magistratura e in "tuttecose" come dicono a Napoli ❤️
Giuseppe Masala
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easybalkans · 3 months ago
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Sfide e opportunità per le imprese straniere in Romania
La Romania è emersa come una destinazione attraente per gli investimenti esteri, grazie alla sua posizione strategica nell’Europa orientale, all’economia in crescita e all’accesso al mercato unico dell’Unione Europea. Per imprenditori e imprese in considerazione aprire Società in Romania, comprendere le potenziali sfide e opportunità è essenziale per il successo a lungo termine. Che tu stia cercando un'espansione all'estero o considerando la Romania come trampolino di lancio nel mercato europeo, questo blog ti guiderà attraverso i principali fattori da considerare.
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Opportunità per le imprese straniere in Romania
1. Posizione strategica e adesione all'UE
La vicinanza della Romania ai mercati chiave dell’Europa e dell’Asia la rende un luogo ideale per le aziende che desiderano operare oltre confine. In quanto membro dell’Unione Europea, la Romania offre alle imprese l’accesso al mercato unico dell’UE di oltre 400 milioni di consumatori. Ciò offre opportunità senza precedenti per apertura di una società all'estero e la creazione di un hub regionale in Romania.
2. Mercato del lavoro competitivo
Uno dei vantaggi più significativi di aprire Società in Romania è la sua forza lavoro competitiva. La Romania vanta una forza lavoro altamente qualificata, soprattutto in settori quali IT, ingegneria e produzione. Inoltre, il costo del lavoro rimane inferiore rispetto ad altri paesi dell’UE, consentendo alle aziende di mantenere la redditività assumendo i migliori talenti.
3. Espansione del settore IT e tecnologico
La Romania ospita un settore IT in forte espansione, spesso definito la “Silicon Valley dell’Europa orientale”. Il paese è diventato un hub per lo sviluppo di software, l’intelligenza artificiale e le startup tecnologiche. Le imprese straniere che entrano in questo settore troveranno un fiorente ecosistema e numerose opportunità di collaborazione con talenti locali.
4. Accesso agli incentivi governativi e comunitari
Per imprenditori stranieri aprire Società in Romania, sono disponibili molteplici incentivi finanziari. La Romania offre una serie di agevolazioni fiscali e sovvenzioni per investimenti in settori chiave come energia, produzione e ricerca e sviluppo (R&S). Inoltre, le imprese possono beneficiare dei finanziamenti dell’UE, che possono contribuire a ridurre i costi di avvio e ad alimentare la crescita.
5. Mercato dei consumatori in crescita
L’economia della Romania ha registrato una crescita costante, che ha portato ad un aumento della spesa dei consumatori e della domanda di beni e servizi. Questa classe media in crescita offre un mercato attraente per le imprese straniere nel settore della vendita al dettaglio, dei prodotti di consumo e dei servizi apertura di una società all'estero in Romania un'impresa redditizia.
Le sfide per le imprese straniere in Romania
1. Burocrazia e ostacoli normativi
Mentre il processo di aprire Società in Romania è diventato più semplice negli ultimi anni, le imprese straniere potrebbero ancora dover affrontare difficoltà nel districarsi nella burocrazia del paese. Registrare una società, ottenere i permessi e garantire la conformità alle normative locali può richiedere molto tempo. È importante collaborare con esperti legali e contabili locali per semplificare il processo.
2. Sviluppo delle infrastrutture
Sebbene la Romania abbia compiuto progressi significativi nella modernizzazione delle proprie infrastrutture, in particolare nelle grandi città come Bucarest e Cluj-Napoca, esistono ancora delle lacune, soprattutto nelle zone rurali. Reti stradali inadeguate e connettività Internet incoerente possono rappresentare sfide logistiche per le aziende che dipendono da sistemi di trasporto e comunicazione efficienti.
3. Tassazione e conformità
La Romania offre un’aliquota fissa dell’imposta sulle società pari al 16%, che è relativamente favorevole rispetto ad altri paesi dell’UE. Tuttavia, gli adempimenti fiscali possono essere complessi, soprattutto per le società straniere che non hanno familiarità con il sistema fiscale locale. L'IVA, i contributi sociali e la dichiarazione dei redditi delle società richiedono attenzione ai dettagli e la mancata osservanza può portare a sanzioni pecuniarie. Le imprese dovrebbero coinvolgere consulenti fiscali locali per garantire operazioni senza intoppi.
4. Differenze culturali e barriere linguistiche
Per gli imprenditori apertura di una società all'estero, Le barriere culturali e linguistiche possono rappresentare una sfida. Sebbene la Romania abbia un gran numero di anglofoni, in particolare nelle aree urbane e nel settore commerciale, possono ancora verificarsi lacune nella comunicazione, soprattutto quando si tratta con le autorità locali o le regioni rurali. Inoltre, comprendere la cultura imprenditoriale rumena, in cui le relazioni personali e la fiducia svolgono un ruolo vitale, aiuterà gli imprenditori stranieri a gestire le negoziazioni e le partnership in modo più efficace..
5. Panorama politico incerto
Come molti paesi dell’Europa orientale, la Romania ha attraversato periodi di instabilità politica. Mentre il Paese resta impegnato a mantenere un ambiente imprenditoriale stabile, gli investitori stranieri devono essere consapevoli di potenziali cambiamenti normativi o decisioni politiche che potrebbero avere un impatto sulle loro operazioni. Rimanere informati sulle dinamiche politiche locali e cercare consulenza legale sarà essenziale per mitigare i rischi.
Strategie chiave per il successo in Romania
1. Lavora con esperti locali
Muoversi nel panorama giuridico, normativo e culturale della Romania può essere complesso. La collaborazione con avvocati, contabili e consulenti aziendali locali aiuterà gli imprenditori stranieri a mitigare i rischi e a garantire la conformità. Questi professionisti possono anche offrire approfondimenti sugli incentivi fiscali della Romania, sui processi di registrazione delle società e sulle leggi sul lavoro.
2. Investi nella costruzione di relazioni
La cultura imprenditoriale rumena valorizza le relazioni personali. Gli imprenditori dovrebbero investire tempo nel networking con partner, fornitori e autorità locali. La partecipazione ad associazioni imprenditoriali, come la Camera di commercio americana in Romania (AmCham Romania) o la Camera di commercio e industria rumena, può aiutare a costruire connessioni preziose e aumentare la credibilità.
3. Sfruttare i finanziamenti e gli incentivi dell’UE
Le imprese straniere aprire Società in Romania dovrebbe esplorare l’ampia gamma di sovvenzioni governative e dell’UE disponibili. Settori come ricerca e sviluppo, tecnologia ed energia verde sono particolarmente favoriti e sfruttare questi incentivi può ridurre significativamente i costi iniziali e favorire la crescita a lungo termine.
4. Rimani flessibile e adattabile
Il mercato rumeno è dinamico e rimanere flessibili sarà fondamentale per il successo a lungo termine. Gli imprenditori stranieri dovrebbero essere preparati ad adattare le proprie strategie aziendali man mano che apprendono di più sul comportamento dei consumatori, sulle normative e sulla concorrenza locale.
Conclusione
Sebbene ci siano sfide associate aprire Società in Romania, il paese presenta anche numerose opportunità per le imprese straniere. L’economia in crescita, la forza lavoro qualificata e l’accesso ai mercati dell’UE rendono la Romania una scelta allettante per gli imprenditori che cercano di espandersi all’estero. Comprendendo il panorama locale e affrontando direttamente le potenziali sfide, le imprese straniere possono sbloccare tutto il potenziale del mercato in evoluzione della Romania.
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lamilanomagazine · 7 months ago
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Lamezia Terme: controlli nelle aree della movida, lavoratori irregolari e pubblici spettacoli senza autorizzazione
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Lamezia Terme: controlli nelle aree della movida, lavoratori irregolari e pubblici spettacoli senza autorizzazione. La Compagnia Carabinieri di Lamezia Terme, con il supporto del N.I.L di Catanzaro su tutto il territorio di competenza, con particolare riferimento alle zone della movida di Nicastro, ha messo in atto un servizio coordinato a largo raggio finalizzato al contrasto della criminalità diffusa e, anche alla luce dei numerosi incidenti stradali che hanno interessato il territorio lametino, al rispetto delle norme del codice della Strada nonché al controllo delle attività commerciali per contrastare il fenomeno del “lavoro irregolare”. Il piano, che ha portato all’impiego di circa 30 carabinieri, ha previsto l’esecuzione di una fitta serie di controlli su tutte le aree del comprensorio lametino. Pattuglie appiedate, a bordo di autoradio e in abiti civili hanno sorvegliato le aree interessate dalla maggiore concentrazione di persone. Sono state controllate più di 100 persone, 500 veicoli e 8 attività commerciali. I controlli hanno anche riguardato il rispetto delle norme in materia dei pubblici spettacoli e dell’illecita occupazione del suolo pubblico. I militari della Stazione Lamezia Terme Principale, coadiuvati da personale tecnico ARPACAL, hanno constato che 4 locali, non solo svolgevano pubblici spettacoli senza la prevista autorizzazione, ma l’emissione sonora era superiore ai limiti previsti, andando di fatto a disturbare il riposo delle persone residente nelle abitazioni limitrofe. Un ulteriore dato negativo riguarda il c.d. “lavoro in nero”: due attività di ristorazione sono state sospese in quanto venivano impiegati dipendenti senza il previsto contratto di lavoro con contestuale elevazione di sanzioni amministrative per un totale di 19.500 euro. Nel corso dei controlli, inoltre, è stato deferito un giovane per porto abusivo di armi in quanto, a seguito di perquisizione d’iniziativa personale e veicolare, è stato trovato in possesso di un caricatore di pistola cal. 7,65, contente 10 cartucce del medesimo calibro e 5 persone sono state segnalate alla Prefettura di Catanzaro ai sensi dell’art. 75 del D.P.R. 309/90 poiché sono state trovate in possesso di sostanze stupefacenti per uso personale: nel complesso i militari, durante i posti di controllo, hanno sequestrato 10 gr di Marijuana e 5 gr di cocaina. L’azione di filtro e setaccio, posto in essere dai vari reparti della Compagnia lametina ha permesso il raggiungimento di un ulteriore obiettivo: l’analisi dei flussi di transito sul territorio. Un approfondimento ulteriore per avere un quadro ancor più chiaro delle presenze nel comprensorio lametino in modo da attuare le più adeguate misure di prevenzione e contrasto alla criminalità diffusa. Il tutto in un rapporto di interconnessione e collaborazione tra la cittadinanza e l’Arma dei carabinieri.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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zenopagliai · 1 year ago
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AUTOVELOX SEGATI e ITALIANI CONTENTI !
Distrutti oltre 500 autovelox in tutta Italia.
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Gli autovelox sono tra i dispositivi più odiati dagli automobilisti italiani, che li ritengono una trappola per fare soldi a spese della sicurezza stradale. Ma cosa succede quando questi apparecchi vengono segati alla base e abbattuti da ignoti? In questo articolo, analizzeremo il fenomeno degli autovelox segati in Italia, le sue cause, le sue conseguenze e le possibili soluzioni.
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Il fenomeno degli autovelox segati in Italia
Negli ultimi anni, in diverse regioni italiane, si è assistito a un aumento dei casi di vandalismo contro gli autovelox, che vengono segati alla base e abbattuti da persone non identificate. Questi atti sono spesso rivendicati da gruppi di automobilisti che si definiscono “liberatori della strada” e che protestano contro l’uso eccessivo e arbitrario degli autovelox da parte dei comuni. Secondo una stima della Polizia Stradale, dal 2019 al 2023 sono stati danneggiati o distrutti oltre 500 autovelox in tutta Italia, con un danno economico di circa 10 milioni di euro.
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Le cause degli autovelox segati in Italia
Le motivazioni che spingono gli autovelox segati in Italia sono molteplici e spaziano dalla rabbia alla disperazione, passando per la sfida e il divertimento. Tra le cause più comuni, possiamo citare:
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La percezione di ingiustizia e di vessazione da parte degli automobilisti, che ritengono che gli autovelox siano posizionati in punti strategici per fare cassa e non per prevenire incidenti.
La mancanza di trasparenza e di informazione da parte dei comuni, che spesso non rispettano le norme sulla segnaletica e sulla taratura degli autovelox, rendendo difficile per gli automobilisti sapere dove si trovano e a che velocità sono impostati.
La crisi economica e sociale, che ha ridotto il potere d’acquisto degli italiani e aumentato il costo della vita, rendendo le multe per eccesso di velocità sempre più insostenibili e fonte di stress.
La voglia di ribellione e di protesta contro il sistema, che si manifesta attraverso atti di vandalismo che esprimono il malcontento e il dissenso verso le istituzioni e le autorità.
Capitolo 3: Le conseguenze degli autovelox segati in Italia
Gli autovelox segati in Italia non sono solo un problema economico, ma anche un problema di sicurezza e di legalità. Tra le conseguenze più gravi, possiamo elencare:
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Il rischio di incidenti stradali, che aumenta quando gli automobilisti si sentono liberi di superare i limiti di velocità senza timore di essere controllati e sanzionati.
La perdita di entrate per i comuni, che devono sostenere i costi di riparazione o sostituzione degli autovelox danneggiati e che vedono diminuire le entrate derivanti dalle multe.
La violazione della legge e dell’ordine pubblico, che mina il rispetto delle regole e delle istituzioni e che favorisce la diffusione di comportamenti incivili e antisociali.
Le possibili soluzioni agli autovelox segati in Italia
Per contrastare il fenomeno degli autovelox segati in Italia, non bastano le misure repressive, ma occorrono anche le misure preventive e educative. Tra le possibili soluzioni, possiamo suggerire:
Il dialogo e la collaborazione tra gli automobilisti e i comuni, per trovare un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e di bilancio, evitando l’uso indiscriminato e abusivo degli autovelox e garantendo la corretta informazione e segnalazione degli stessi.
L’innovazione tecnologica e la diversificazione dei sistemi di controllo, per rendere più efficaci e meno vulnerabili gli autovelox, ad esempio usando telecamere nascoste, sensori intelligenti, droni e satelliti.
La sensibilizzazione e la formazione degli automobilisti, per promuovere una cultura della sicurezza e del rispetto delle regole, attraverso campagne informative, corsi di educazione stradale, incentivi e premi per i conducenti virtuosi.
Capitolo 5: Conclusioni
Gli autovelox segati in Italia sono un fenomeno complesso e preoccupante, che richiede una risposta adeguata e condivisa da parte di tutti gli attori coinvolti. Gli autovelox non sono il nemico degli automobilisti, ma uno strumento utile per garantire la sicurezza e la legalità sulle strade. Tuttavia, per essere accettati e rispettati, devono essere usati in modo corretto e trasparente, senza scopi meramente repressivi o fiscali. Solo così si potrà creare un clima di fiducia e di collaborazione tra gli automobilisti e i comuni, e si potrà ridurre il fenomeno degli autovelox segati in Italia.
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Gentile lettore, commenta questo articolo. Il parere altrui è sempre necessario per fare meglio il punto, grazie.
Se volete saperne di più su queste avventure nel mondo digitale, vi invito a leggere miei articoli sul blog: www.pittografica.it.
Non dimenticate di seguirmi sulla mia pagina: FB: https://www.Facebook.com/pittografica In caso saluto
Zeno.
www.pittografica.it
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staipa · 2 years ago
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/di-incidenti-e-di-youtubers/?feed_id=890&_unique_id=6492fc8255ea6 %TITLE% Come di consueto sulle polemiche mi ci butto con il mio tipico lieve ritardo, un po' per non marciarci troppo e un po' perché preferisco scrivere fuori dall'onda del clamore e delle varie indignazioni, dandomi il tempo di elaborare la situazione. Il riassunto è veloce e superfluo: gruppo di famosi YouTuber causa incidente durante le proprie folli riprese. Bambino muore. Ed è l'unica cosa che è dato sapere con certezza e che francamente mi interessi, anzi alla fine neppure quello ma lo spiegherò più avanti. Il resto della dinamica, in ogni caso, è del tutto ininfluente dal mio punto di vista, come lo sono le indagini e quello che verrà fuori dal caso specifico. La dinamica a cui sono interessato, invece, io che vorrei vivere in un mondo in cui le persone soppesassero le notizie e osservassero i dati e fossero in questo modo immuni da Fake News e manipolazioni è tutto il clamore su questa notizia. Non si tratta di una Fake News ovviamente, ma il modo di essere veicolata e con il quale si espande sull'indignazione e le discussioni assurde che sta avendo è il medesimo. Il bisogno di avere un parere, le critiche ai giovani di oggi che sono peggiori dei giovani di ieri che ormai non sono più giovani, il giudizio sulla colpa da attribuire ai social network e alla gente che si mantiene attraverso di essi, affermazioni su come i social dovrebbero essere regolamentati per evitare questo genere di incidenti come se la causa degli incidenti in linea generale fossero appunto questi ambienti. Tutto questo trasuda pregiudizi come una porchetta in cottura trasuda grasso, e lo fa in modo palese, se ne vedono le gocce cadere e le si sentono sfrigolare da lontano e siamo tutti sottovento di questo puzzo. Eppure, sembra che nessuno se ne renda conto. Com'è la situazione degli incidenti in Italia? Qualcosa come 151.000 all'anno. Con circa 204.000 feriti, 2.800 vittime, 416 incidenti al giorno, 561 feriti al giorno, 8 morti al giorno. (fonte Istat, dati del 2021 https://short.staipa.it/onshy) Otto morti al giorno. E i dati a quanto pare sono di un anno in cui erano in calo, perché ancora influenzati dal recente periodo pandemico. Quanti di questi sono causati da YouTuber che stanno lavorando in quel momento su un loro servizio? Ha più senso pensare che il problema delle morti stradali sia YouTube e questi giovani scapestrati su cui si sta sparando a zero o l'educazione alla guida? Ha più senso lavorare per ottenere di diminuire le altre 2.800 vittime annuali o pensare di regolamentare i social network? Su una scala di probabilità, è più probabile che la causa degli incidenti mortali siano questi giovani cattivoni su cui i media sparano a zero o che ci sia qualche altro fattore più impattante? Il problema, serissimo, è che poi gli indignati sono quelli che votano, ma non solo loro, gli indignati sono anche le persone al governo e nella politica, perché non sono diverse da noi, hanno i nostri stessi bias. https://twitter.com/CarloCalenda/status/1669354975577935872 In gran parte invece di pensare a come evitare incidenti stradali stanno pensando a come regolamentare i social. Social che evidentemente a malapena capiscono come funzionano. Basterebbe guardare le cose in modo oggettivo, non farsi prendere dai titoloni, fermarsi a pensare razionalmente per rendersi conto che sì, un problema c'è, ed è un problema molto serio. Ma non quello su cui si sta puntando, non sono i social, non sono le spaventosissime nuove tecnologie, è la nostra attenzione alle norme stradali, sono le auto troppo potenti rispetto a quello che è necessario, sono alcune strade fatte con i piedi, sono le distrazioni alla guida, sono la fallacia umana, sono tutta una serie di meccanismi che fanno sì che ogni giorno muoiano in media otto persone sulle strade. Basterebbe anche fermarsi a riflettere su questa
domanda: "Se non fossero stati YouTubers se ne sarebbe parlato così tanto"? Perché stando alle medie lo stesso giorno potrebbero essere morte circa altre sette persone, otto il giorno dopo, otto anche il successivo, otto anche oggi. Di quegli incidenti non si parla con lo stesso tono. Come mai? Di molti di quelli si dice "ah, poteva capitare a chiunque una distrazione", di quelli si dice "che sfortuna" o se ne cita solo la notizia. E non è questione del fatto che la vittima fosse un bambino, sono moltissimi i bambini a morire ogni giorno sulle strade e di cui nessuno si ricorda se non per un breve trafiletto che compare un giorno. Qui la differenza è che la media degli italiani, quella sui 48 anni, e la maggioranza degli italiani, quelli sopra i 39 anni ha un nemico sicuramente diverso da sé stesso su cui sparare. Qui si può sparare sui giovani su qualcosa che è diverso dal "poteva capitare anche a me", perché con alta probabilità nessuno di loro è uno YouTuber, nessuno di loro vive di nuove tecnologie e molti di loro di queste cose "nuove" ha diffidenza perché non le comprende a fondo. Fonte: tuttitialia.it (https://short.staipa.it/sfz6r) Non voglio generalizzare ovviamente, c'è anche chi le conosce meglio dei giovani, ma si parla di medie (qui un approfondimento sul tema da Il Sole 24 Ore: https://short.staipa.it/3oo7a). Si torna all'indignazione immediata, senza ragionamento e su un nemico comune che distoglie dal dato generale focalizzando su un singolo dato/evento. Non è una Fake News, ma funziona e crea clickbait (https://short.staipa.it/pcs07) nello stesso identico modo. Una volta accettato e compreso questo, c'è una vastissima gamma di cause di incidenti e di mortalità, sarebbe il caso di puntare a queste cause una a una. Dalle più impattanti alle meno impattanti. Quando poi, avendo risolto tutte le cause maggiori e annullata gran parte di quei 1800 incidenti annuali, se gli YouTuber e i social network saranno rimasti una delle cause maggiori allora avrà senso preoccuparsi anche del loro impatto.
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autolesionistra · 5 years ago
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Il potente mix di fine lockdown e pulsioni primaverili ha riversato un fiume di gente all'aperto, che è una cosa bella a parte qualche evidente difficoltà di interpretazione del galateo della mascherina. Fatti salvi quelli decisi in entrambi i sensi (chi se la tiene sempre su e chi se la tiene sempre sul gomito) resto sempre affascinato dagli indecisi, tipo quelli che quando li incroci se la toccano senza tirarsela su come si faceva col bavero del cappello, un cenno di rispetto di interesse antropologico inversamente proporzionale all’utilità sanitaria.
Comunque, stupendomi da solo mi sono inerpicato un paio di volte su per i leggendari colli bolognesi e nei tratti stradali percorsi la dislocazione dei pedoni sulla carreggiata mi ha fatto un poco rotolare i maroni a valle.
Il mio innato ottimismo mi fa sperare che sia solo un problema di nozioni non pervenute, andremo quindi a provare a colmare queste lacune.
"Nuovo codice della strada", d.l. 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni.
TITOLO V - NORME DI COMPORTAMENTO
Art. 190. Comportamento dei pedoni.
1. I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli (...) Fuori dei centri abitati i pedoni hanno l'obbligo di circolare in senso opposto a quello di marcia dei veicoli sulle carreggiate a due sensi di marcia (...)
Ovvero: se sei a piedi su una strada priva di marciapiede dovresti camminare tenendo la sinistra.
Ma capisco che il mero riferimento giuridico possa essere quasi controproducente in un contesto culturale che vuole l’individualismo affermato a tutti i costi. Chi è lo stato per dirmi da che parte della strada devo stare? Suona come un’ingerenza altamente lesiva dei miei diritti costituzionali.
Tenteremo quindi di chiarire il senso profondo di questa norma. Il legislatore ha tenuto conto di un contesto normativo in cui i veicoli sono obbligati a circolare tenendo la destra e un contesto fisiologico in cui i bulbi oculari degli esseri umani sono genericamente installati sulla parte frontale del viso e non sulla sulla nuca, arrivando empiricamente alla conclusione che tenersi in un lato in cui si possa vedere un veicolo in potenziale rotta di collisione fornisca al pedone qualche margine di manovra aggiuntivo rispetto al quadro sensoriale tardivo fornito dai meccanocettori delle proprie chiappe.
L’università di Stantufford ha poi confermato l’ipotesi con una serie di studi sull’allineamento rispetto all’asse stradale delle nutrie stirate sulle statali della bassa.
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paoloxl · 5 years ago
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I governi cambiano, la scure repressiva contro le lotte resta
La caduta del governo Conte Uno avvenuta lo scorso agosto e la contestuale nascita del Conte Bis “desalvinizzato”, avevano ingenerato in un settore largo della sinistra e dei movimenti sociali un sentimento diffuso di attesa per un cambiamento di passo in senso democratico.
Un attesa dettata non tanto dalla possibilità che il nuovo esecutivo “giallo-rosa”, nato in nome e per conto dell’Europa del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact, potesse imprimere un vero cambiamento nelle politiche economiche o un reale miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e degli oppressi, quanto dalla speranza che l’esclusione della Lega dal governo potesse mettere almeno un freno all’ondata di odio razzista e all’escalation di misure e provvedimenti restrittivi delle cosiddette “libertà democratiche”.
Le prime dichiarazioni degli esponenti del PD (con a capo Zingaretti) e di LeU non appena insediatisi al governo, alimentavano questa speranza, nella misura in cui individuavano nei due Decreti Sicurezza- Salvini al tempo stesso il simbolo e il cuore dell’offensiva reazionaria guidata dalla Lega, dichiarando solennemente che queste misure andavano abrogate o, quantomeno, radicalmente mutate.
A quattro mesi di distanza dall’insediamento del Conte bis, appare evidente che quella speranza si sia ancora una volta tradotta in una pia illusione, e che anche stavolta ci siamo trovati di fronte alla classica “promessa da marinaio” ad opera dei soliti mestieranti della politica borghese.
Il decreto Salvini- Uno
Dei due decreti- sicurezza targati Lega e convertiti in legge grazie al voto favorevole dei 5 Stelle si è parlato e si parla tanto, ma il più delle volte per alimentare in maniera superficiale una presunta contrapposizione tra “buonisti democratici” e “cattivisti destorsi” che per analizzare (e fronteggiare) la portata reale delle misure in essi contenute.
Già il primo DL, che si concentrava quasi esclusivamente contro i richiedenti asilo e i lavoratori immigrati (imponendo una stretta feroce sugli sbarchi e sulla concessione dei permessi di soggiorno, eliminando gli SPRAR e assestando un colpo durissimo all’intero sistema dell’accoglienza facendo strumentalmente leva sulle contraddizioni e sul business che spesso ruota attorno agli immigrati) in realtà puntava già molto oltre, mettendo nel mirino l’esercizio di alcune di quelle libertà che a partire dal secondo dopoguerra venivano dai più considerate “fondamentali” e costituzionalizzate come tali in ogni stato che si (auto)definisce democratico: su tutte la libertà di sciopero e di manifestazione pubblica e collettiva del dissenso.
Nella versione originaria del Decreto, quasi mimetizzato nel mezzo di una lista interminabile di norme per il “contrasto all’immigrazione clandestina” utili a soddisfare le paranoie securitarie di un’ opinione pubblica lobotomizzata dal bombardamento mediatico a reti unificate sulla minaccia dell’“invasore immigrato brutto sporco e cattivo”, ci si imbatteva nell’articolo 23, una norma di neanche dieci righe recante “Disposizioni in materia di blocco stradale”, nella quale, attraverso un abile gioco di rimandi, modifiche e abrogazioni di leggi precedenti tipico del lessico istituzionale, in maniera pressoché imperscrutabile si introduceva la pena del carcere fino a 6 anni per chiunque prendesse parte a blocchi stradali e picchetti, fino a 12 anni per chi veniva individuato come organizzatore e con tanto di arresto in flagranza, vale a dire che se a protestare sono degli immigrati, alla luce proprio di quanto previsto dal medesimo decreto, una tale condanna si sarebbe tradotta nel ritiro immediato del permesso di soggiorno e quindi nell’espulsione dall’Italia.
Dunque, in un piccolo e apparentemente innocuo trafiletto si condensava un salto di qualità abnorme contro le lotte sindacali e sociali, con pene esemplari, contro ogni forma di manifestazione di strada e ogni sciopero che non si limitasse ad un’astensione dal lavoro meramente formale e simbolica (dunque innocua per i padroni): un idea di “sicurezza” che poco avrebbe da invidiare al Cile di Pinochet se è vero, come giustamente evidenziato dall’avvocato Claudio Novaro del foro di Torino1, che ad esempio, per i partecipanti ad un’associazione per delinquere il nostro codice penale prevede sanzioni da 1 a 5 anni di reclusione, per i capi e promotori da 3 a 7, per un attentato ad impianti di pubblica utilità da 1 a 4, per l’adulterazione di cose in danno della pubblica salute da 1 a 5. Per Salvini e i compagni di merende il reato di picchetto e di blocco stradale è considerato uguale a quello di chi recluta o induce alla prostituzione dei minorenni, di chi commette violenza sessuale contro un minore di 14 anni o di chi compie violenza sessuale di gruppo ed è addirittura più alto di quello del reato di sequestro di persona, della rapina semplice e della violenza sessuale su un adulto.
Tradotto in soldoni: per la Lega interrompere anche solo per qualche ora il flusso di merci e degli “affari” a beneficio dei padroni e contro l’ordine costituito (magari per reclamare il rispetto di un contratto collettivo nazionale di lavoro, impedire un licenziamento di massa, protestare contro la devastazione dei territori o contro megaopere nocive per la salute e l’ambiente o per denunciare il dramma della precarietà e della disoccupazione) rappresenta un “pericolo per la sicurezza” più grave e penalmente più rilevante che commettere uno stupro o far prostituire minorenni!
Il fatto che l’orda reazionaria  rappresentata dalla Lega, FdI possa giungere a tali livelli di delirio non sorprende più di tanto: a meravigliare (non per noi) alcuni della sinistra politica e sociale è stato invece il silenzio assordante della quasi totalità degli organi di stampa, dell’opposizione “democratica” e dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL, dalle cui fila non una sola parola è stata spesa per denunciare il colpo di mano dell’articolo 23, ne tantomeno per chiedere la sua immediata cancellazione: un silenzio pari o forse ancor più rumoroso dei tamburi di guerra leghisti tenendo conto che se una norma del genere fosse stata varata nella seconda metà del secolo scorso, essa si sarebbe tradotta in anni e anni di carcere, ad esempio per migliaia di iscritti e dirigenti sindacali (compreso il tanto osannato Giuseppe Di Vittorio) che in quegli anni conducevano dure battaglie sindacali all’esterno delle fabbriche o in prossimità dei latifondi agricoli, e laddove la Cgil e la Fiom di allora facevano ampio uso del picchetto e del blocco stradale quale strumento di contrattazione (fatto storico, quest’ultimo che gli attuali burocrati sindacali, epigoni di quella Cgil, preferiscono occultare, accodandosi in nome di un ipocrita legalitarismo all’ignobile campagna di criminalizzazione del conflitto sindacale…).
Un silenzio che, d’altra parte è stato quantomai “eloquente”, se si pensa che tra i principali ispiratori della prima versione dell’articolo 23 vi era Confetra, vale a dire una delle principali associazioni imprenditoriali del settore Trasporto Merci e Logistica, la quale già il 26 settembre 2018 (quindi più di una settimana prima che il testo del decreto fosse pubblicato in Gazzetta Ufficiale) per bocca del suo presidente Nereo Marcucci si precipitava a dichiarare alla stampa che tale norma era “un ulteriore indispensabile strumento di prevenzione di forme di violenza e di sopraffazione di pochi verso molti. Certamente non limita il diritto costituzionalmente garantito allo sciopero. Con le nostre imprese ed i nostri dipendenti contiamo molto sul suo effetto dissuasivo su pochi caporioni”2.
All’epoca di tale dichiarazione il testo del decreto era ancora in fase di stesura, tanto è vero che nella suddetta intervista Marcucci indica la norma antipicchetti come “articolo 25”: lasciando così supporre che i vertici di Confetra, se non proprio gli autori materiali della scrittura dell’articolo, ne fossero quantomeno i registi e gli ispiratori…
Ma chi sono quei “pochi caporioni” che Marcucci tira in ballo confidando nell’effetto dissuasivo del DL Salvini a colpi di carcere e codice penale? E che ruolo ha avuto Confetra in tutto ciò?
Il bersaglio di Marcucci, manco a dirlo, era ed è il possente movimento autorganizzato dei lavoratori della logistica rappresentato a livello nazionale dal SI Cobas e, nel nord-est, dall’ADL Cobas, che a partire dal 2009 ha operato un incessante azione di contrasto delle forme brutali di sfruttamento, caporalato, evasione fiscale e contributiva, illegalità e soprusi di ogni tipo a danno dei lavoratori, rese possibili grazie all’utilizzo di un sistema di appalti e subappalti a “scatole cinesi” e dell’utilizzo sistematico di finte cooperative come scappatoia giuridica: un azione che nel giro di pochi anni, attraverso migliaia di scioperi e picchetti (dunque riappropriandosi di quello strumento vitale di contrattazione abbandonato da decenni dai sindacati confederali integratesi nello Stato borghese ed oramai finito in disuso anche per una parte dello stesso sindacalismo “di base”) e potendo contare solo sulla forza organizzata dei lavoratori, ha portato ad innumerevoli vittorie, prima attraverso l’applicazione integrale del CCNL di categoria in centinaia di cooperative e ditte appaltatrice, e poi finanche alla stipula di ben 3 accordi-quadro nazionali di secondo livello in alcune delle più importanti filiere facenti capo all’organizzazione datoriale Fedit (TNT, BRT, GLS, SDA) e con altre importanti multinazionali del settore.
Questo ciclo di lotta ha portato nei fatti il SI Cobas e l’Adl a rappresentare nazionalmente la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati della categoria, ma che ha dovuto fin dall’inizio fare i conti con una pesantissima scure repressiva: cariche fuori ai cancelli dei magazzini, fogli di via, divieto di dimora, sanzioni amministrative, arresti e processi a non finire, licenziamenti discriminatori e finanche l’arresto del coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani nel gennaio 2017 con l’accusa infamante di “estorsione” come conseguenza di un’ondata di scioperi che dalla logistica aveva contaminato l’”intoccabile” filiera modenese delle carni3. Confetra e le aziende ad essa associate si sono col tempo dimostrate le principali “teste d’ariete” di questa strategia, e cioè una delle controparti maggiormente ostili, refrattarie al dialogo e propense a trasformare il conflitto sindacale in un problema di “ordine pubblico” anche di fronte alle forme più intollerabili e plateali di sfruttamento e di caporalato.
E non è un caso se proprio Confetra risulta essere la parte datoriale “amica” di Cgil-Cisl-Uil, come dimostra non solo una condotta decennale tesa ad escludere i cobas dai tavoli di trattativa nazionali, ma anche la vera e propria comunione d’intenti, al limite della sponsorizzazione reciproca da essi operata sia dentro che fuori i luoghi di lavoro (appelli comuni alle istituzioni, eventi, convegni, biografie dei dirigenti Confetra in bella mostra sui siti nazionali dei confederali, “tavoli della legalità”, ecc.).
Una tale condotta da parte di Cgil-Cisl-Uil, che ha da tempo abbandonato il conflitto (seppur per una politica tradeunionista) per farsi concertativa e infine a tutti gli effetti consociativa, non poteva di certo tradursi in una qualsivoglia opposizione alle misure “antipicchetto” ideate da Salvini su suggerimento di Confetra…
Discorso analogo per l’intero panorama della sinistra istituzionale, del mondo associativo e della “società civile”, per le ragioni che vedremo in seguito.
Dunque, nell’autunno del 2018 gli unici ad opporsi coerentemente, organicamente e radicalmente al primo DL Salvini sono stati, ancora una volta, il sindacalismo conflittuale con in prima fila il SI Cobas, i movimenti per il diritto all’abitare (in particolare a Roma e Milano), alcuni centri sociali e collettivi studenteschi, la parte tendenzialmente classista, estremamente minoritaria, del mondo associativo e della cooperazione, alcune reti di immigrati col circuito “no-border”, i disoccupati napoletani del movimento “7 novembre”, qualche piccolo gruppo della sinistra extraparlamentare comunista, antagonista o anarchica, i No Tav e poco altro.
Buona parte di queste realtà hanno aderito all’appello lanciato dal SI Cobas per una manifestazione nazionale che si è svolta il 27 ottobre 2018 a Roma riempendo le vie della capitale con circa 15 mila manifestanti, in larghissima maggioranza lavoratori immigrati della logistica e non solo. Ma non si è trattato di un evento isolato: a latere di quella riuscitissima manifestazione il SI Cobas, supportato al nord da centri sociali e studenti e al centrosud da disoccupati e occupanti casa, ha indetto una numerose altre iniziative nazionali e locali, fino ad arrivare al vero e proprio assedio all’allora vicepremier 5 Stelle Luigi di Maio nella sua natìa Pomigliano d’Arco con una contestazione promossa da licenziati FCA e collettivi studenteschi il 19 novembre 2018.
E ancora una volta si è avuta la riprova che “la lotta paga”, due settimane dopo, all’atto della conversione in legge del DL- Sicurezza, la norma persecutoria prevista dall’articolo 23 è stata cancellata e ripristinata la norma precedente che in caso di picchetto o blocco stradale non prevede alcuna pena detentiva bensì una sanzione amministrativa da 1000 a 4000 euro (come si vedrà nel caso delle lotte alla Tintoria Superlativa di Prato, questa misura, disapplicata e di fatto finita in desuetudine per decenni, verrà rispolverata con forza e con zelo durante tutto il 2019 contro operai in sciopero e disoccupati). Ad ogni modo, le proteste autunnali hanno probabilmente ricondotto a più “miti consigli” almeno una parte dei 5 Stelle, già all’epoca dilaniati dalla contraddizione insanabile tra le aspettative suscitate nella componente operaia del suo elettorato e le imbarazzanti performance governative fornite dai suoi vertici finiti a braccetto prima con la Lega di Salvini, poi col tanto vituperato PD.
Alla luce di questo parziale ma preziosissimo risultato, ottenuto con la mobilitazione di alcune decine di migliaia di manifestanti, qualcuno dovrebbe chiedersi cosa sarebbe rimasto del DL-Salvini se quelle organizzazioni sindacali confederali che tanto sono “maggiormente rappresentative” sui luoghi di lavoro, se non fossero ormai integrate nello stato a difesa degli interessi capitalisti si “ricordassero” quale dovrebbero essere il loro ruolo e fossero scese in piazza contro questa legge reazionaria e razzista: con ogni probabilità (e come sta insegnando in queste settimane il movimento francese contro la riforma pensionistica di Macron), quel decreto sarebbe divenuto in poche ore carta straccia…
Lega, 5 stelle e padronato ritornano alla carica: il Decreto Salvini- Due
Come insegna l’intera storia del movimento operaio, le conquiste e i risultati parziali strappati con la lotta possono essere difesi e preservati solo intensificando ed estendendo le lotte stesse.
Purtroppo, l’esempio tangibile dato dal SI Cobas e dai settori scesi in piazza contro il primo Decreto-Salvini non è riuscito a smuovere sufficientemente le acque e a portare sul terreno del conflitto reale quel settore di lavoratori, precari, disoccupati, studenti e immigrati ancora legati ai sindacati confederali e al resto del sindacalismo di base, ne è riuscito a coagulare attorno a se quel che resta dei partiti e dei partitini della sinistra “radicale”, dai comitati antirazzisti e ambientalisti spalmati sui territori, i movimenti delle donne come NUDM ( in realtà, queste ultime attive e con un seguito importante sulle tematiche di loro specifica pertinenza, ma incapaci di sviluppare un opposizione a tutto campo e di collegarsi alle lotte sui luoghi di lavoro e alle principali emergenze sociali).
E, inevitabilmente, l’offensiva di governo e padroni è ripartita in maniera incessante, prendendo la forma del “Decreto-sicurezza bis”.
Il canovaccio è stato grosso modo identico a quello del primo DL: immigrazione e “ordine pubblico” restano le due ossessioni di Salvini. A cambiare è tuttavia il peso specifico assegnato a ciascuna emergenza: il Dl bis “liquida” in soli 5 articoli il tema- immigrazione prevedendo una pesante stretta repressiva sugli sbarchi e “pene esemplari” per chi viene ritenuto colpevole di favorire l’immigrazione clandestina (dunque in primo luogo le tanto odiate ONG, i cui comandanti delle navi possono essere condannati a multe fino a un milione di euro), per poi concentrarsi con cura sulle misure tese a schiacciare sul nascere ogni possibile sollevazione di massa in chiave antigovernativa.
E così si prevede, negli articoli 6 e 8 un forte inasprimento delle pene per l’uso dei caschi all’interno di manifestazioni, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e finanche per l’uso di semplici fumogeni durante i cortei.
Il decreto, entrato in vigore il 15 giugno 2019, viene definitivamente convertito in legge l’8 agosto, dunque a pochi giorni dalla sceneggiata del Papeete Beach e della fine anticipata dell’esecutivo gialloverde.
Va peraltro notato che in questa occasione, contrariamente a quanto avvenuto col primo decreto, durante l’iter di conversione le pene previste, sia in caso di sbarchi di clandestini sia riguardo l’ordine pubblico alle manifestazioni, vengono addirittura inasprite: il tutto con il voto favorevole dell’intero gruppo parlamentare pentastellato!
Il resto della storia è noto come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo.
Nel corso dei primi mesi di insediamento del Conte Bis, lungi dall’assistere a un ammorbidimento della stretta repressiva, abbiamo assistito invece ad un suo inasprimento: a partire dalla primavera del 2019 ad oggi gli scioperi nella logistica e i picchetti sono quotidianamente attaccati dalle forze dell’ordine a colpi di manganello e gas lacrimogeni, ma soprattutto si moltiplicano le misure penali, cautelari e amministrative e addirittura le Procure tirano fuori, come per magia, procedimenti pendenti per manifestazioni, scioperi e iniziative di lotta svoltesi anni addietro e tenute a lungo nel cassetto. La scure colpisce indiscriminatamente tutto ciò che sia mosso nell’ultimo decennio: scioperi, movimento No-Tav, lotte dei disoccupati, occupazioni a scopo abitativo, iniziative antimilitariste, e persino semplici azioni di protesta puramente simbolica.
Tuttavia, per mettere bene a fuoco il contesto generale che portano a questa vera e propria escalation bisogna fare un passo indietro e tornare al 2017.
E’ in questo periodo, infatti, che il governo Gentiloni a guida PD vara il Decreto- sicurezza Minniti, contenente gran parte delle norme e delle pene di cui si servono le Procure per scatenare questa vera e propria guerra agli sfruttati e agli oppressi.
Il DL Minniti-Orlando
Roma, 25 marzo 2017: in occasione del vertice dei capi di stato UE per celebrare i 60 anni dei Trattati, le strade della capitale sono attraversate da diversi cortei, tra cui quello del sindacalismo di base e dei movimenti che esprimono una radicale critica alle politiche di austerity imposte da Bruxelles. Ancor prima dell’inizio della manifestazione avviene un vero e proprio rastrellamento a macchia di leopardo per le vie di accesso alla piazza: 30 attivisti vengono fermati dalla polizia e condotti in Questura, laddove saranno sequestrati per ore e rilasciati solo a fine corteo. Questo controllo “preventivo” ha come esito l’emissione di 30 DASPO urbani per tutti i fermati: la loro unica colpa era quella di indossare giubbotti di colore scuro e qualche innocuo fumogeno. In alcuni casi gli agenti pur avendo potuto appurare la mancanza di precedenti penali, decidono di procedere ugualmente al fermo in base all’“indifferenza ed insofferenza all’ordine costituito con conseguente reiterazione di condotte antigiuridiche sintomatiche”.
I suddetti Daspo urbani rappresentano la prima applicazione concreta del DL Minniti, varato dal governo Renzi il 17 febbraio 2017 e definitivamente convertiti in legge il successivo 12 aprile contestualmente all’approvazione di un secondo decreto “Orlando-Minniti” sull’immigrazione. Tale misura, che prende a modello anche nel nome gli analoghi provvedimenti già sperimentati sulle curve calcistiche, nelle dichiarazioni di Minniti si prefigge di tutelare la sicurezza e il decoro delle città attraverso l’allontanamento immediato di piccoli criminali o di semplici emarginati (clochard, viandanti, parcheggiatori abusivi, ambulanti), con ciò svelando fin dal principio la una visione securitaria analoga a quella della Lega. Ma i fatti di Roma dimostrano in maniera chiara che il bersaglio principale del DL Minniti è il dissenso sociale e politico: la linea guida è quella di perseguire le lotte sociali in via preventiva, non più attraverso le leggi e le norme del codice penale ad esse preposte e per i reati “tipici” riconducibili a proteste di piazza, bensì attraverso l’uso estensivo e per “analogia” di fattispecie di reato ascrivibili alla criminalità comune: a sperimentarlo sulla loro pelle saranno ad esempio i 5 licenziati della FCA di Pomigliano d’Arco, che l’11 ottobre 2018 si vedono rifilare un Daspo immediato da parte della Questura a seguito di un’iniziativa simbolica e pacifica su un palazzo di piazza Barberini in cui si chiedeva un incontro col l’allora ministro Di Maio.
In realtà il Daspo urbano codifica ed accelera un processo che è già in atto e che nelle aule di Tribunale ha già prodotto numerosi precedenti: su tutti basterebbe pensare alla feroce repressione abbattutasi nel 2014 contro decine di esponenti del movimento dei disoccupati napoletani, incarcerati o condotti agli arresti domiciliari per diversi mesi con l’accusa di “estorsione” associata alla richiesta di lavoro, o al già citato caso di Aldo Milani, condotto agli arresti con la stessa accusa il 26 gennaio 2017 a seguito di un blitz delle forze dell’ordine a un tavolo di trattativa sindacale in cui si stava discutendo di 55 licenziamenti nell’azienda di lavorazione carni Alcar Uno e della possibilità di interrompere le agitazioni nel caso in cui i padroni avessero sospeso i licenziamenti e pagato quanto dovuto ai lavoratori…
In secondo luogo, il Daspo urbano va ad affiancarsi a un già ampio ventaglio di misure restrittive e limitative della libertà personale: fogli di via obbligatori, obblighi e divieti di dimora, avvisi orali, sorveglianza speciale, ecc.: riguardo quest’ultima, il caso forse più eclatante è rappresentato dalla sentenza del 3 ottobre 2016 con cui il Tribunale di Roma ha imposto un rigido regime di sorveglianza speciale a carico di Paolo Di Vetta e Luca Faggiano, due tra i principali esponenti del movimento romano per il diritto all’abitare (questa misura è poi diventata, negli ultimi anni, il principale strumento repressivo teso a colpire il movimento anarchico in varie città). D’altra parte va evidenziato che rispetto alle misure sovracitate, il Daspo Urbano si contraddistingue per la tempestività di attuazione in quanto diviene immediatamente esecutivo senza dover attendere l’iter processuale.
L’approvazione nello stesso giorno della legge Minniti, intitolata “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città” e della legge Minniti- Orlando intitolata “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e per il contrasto dell’immigrazione illegale” non è casuale, bensì risponde a una precisa strategia tesa ad associare l’“emergenza-sicurezza” con l’“emergenza immigrati”, presentandole agli occhi dell’opinione pubblica come due facce della stess medaglia. D’altrone, le norme contenute nella legge immigrazione voluta dal PD, per il loro tenore discriminatorio e repressivo non si fanno mancare davvero niente. Al suo interno sono previsti, tra l’altro: l’ampliamento e la moltiplicazione dei centri di espulsione (ribattezzati CPR al posto dei CIE creati dalla Bossi-Fini) che da 5 passano a 20; l’accelerazione delle procedure di espulsione attraverso l’abolizione del secondo ricorso in appello per le richieste di asilo; l’abolizione dell’udienza (il testo del decreto, poi modificato, prevedeva addirittura la creazione di tribunali speciali ad hoc, vietati dalla Costituzione) e l’introduzione del lavoro volontario, cioè gratuito, per gli immigrati. Contestualmente, nelle stesse settimane il governo Gentiloni siglava un memorandum con il governo libico in cui veniva garantito il massimo supporto in funzione anti-Ong alla guardia costiera libica, cioè a coloro che sono universalmente riconosciuti come responsabili di violenze e torture nei campi di detenzione. Non è un caso che questa legge abbia ricevuto dure critiche persino dall’ARCI e dalle ACLI (senza però mai tradursi in mobilitazioni concrete per la sua cancellazione).
Da questa ampia disamina dovrebbe dunque apparire chiaro come i due decreti- Salvini siano tutt’altro che piovuti dal cielo, e men che meno il semplice frutto di un “colpo di mano” ad opera di un estremista di destra: al contrario, Salvini e i suoi soci hanno camminato su un tappeto di velluto sapientemente e minuziosamente preparato dai governi a guida PD.
Il messaggio di questi provvedimenti è sostanzialmente analogo: se sei italiano devi rigare dritto e non osare mai disturbare il manovratore, pena il carcere o la privazione della libertà personale; se sei immigrato, o accetti di venire in Italia, come uno schiavo non avrai alcun diritto e sarai sfruttato per 12 ore al giorno in un magazzino o in una campagna a 3-4 euro all’ora, oppure sarai rimpatriato.
L’escalation repressiva degli ultimi mesi contro il SI Cobas
Avendo a disposizione un menu di provvedimenti tanto ampio, nel corso del 2019 lo stato concentra ancor più le proprie attenzioni contro le lotte sindacali nella logistica e i picchetti organizzati dal SI Cobas col sostegno di migliaia di lavoratori immigrati.
Ancora una volta la città di Modena diviene il laboratorio di sperimentazione del “pugno di ferro” da parte di Questure e Procure. La ribellione delle lavoratrici di ItalPizza, sfruttate per anni con contratti-capestro non corrispondenti alle loro mansioni e discriminate per la loro adesione al SI Cobas, diviene il simbolo di una doppia resistenza: da un lato ai soprusi dei padroni, dall’altro alla repressione statale.
La reazione delle forze dell’ordine è durissima: lacrimogeni sparati ad altezza-uomo, responsabili ed operatori sindacali pesatati a freddo, lavoratrici aggredite mentre sono in presidio. Addirittura si mobilitano a sostegno dei padroni le associazioni delle forze di polizia con in testa il potente SAP.
Ad ottobre si arriva addirittura a un maxiprocesso a carico di ben 90 tra lavoratori, sindacalisti e solidali. Ma la determinazione delle lavoratrici è più forte di ogni azione repressiva, e nonostante l’azione congiunta di padroni, forze dell’ordine e sindacati confederali, la battaglia per il riconoscimento di pieni diritti salariali e sindacali è ancora in corso.
Ma Modena è solo la punta dell’iceberg: nella vicina Bologna, una delle principali culle del movimento della logistica, ad ottobre i PM della Procura della Repubblica tentano addirittura di imporre 5 divieti di dimora per alcuni tra i principali esponenti provinciali del SI Cobas, compreso il coordinatore Simone Carpeggiani, accusati di minare l’ordine pubblico della città per via di uno sciopero con picchetto che si era svolto un anno prima (misura alla fine respinta dal giudice).
Nelle stesse settimane alla CLO di Tortona (logistica dei magazzini Coop), dopo un innumerevole sequela di attacchi delle forze dell’ordine al presidio dei lavoratori a colpi di manganelli e lacrimogeni, il 25 novembre la Questura di Alessandria decide di intervenire a gamba tesa ed emette 8 fogli di via contro lavoratori e attivisti.
A Prato, città attraversata da più di un anno da imponenti mobilitazioni operaie nel settore tessile, dapprima (a marzo 2019) vengono emessi due fogli di via nei confronti dei responsabili SI Cobas locali; poi, a dicembre, nel pieno di una dura vertenza alla Tintoria Superlativa di Prato (in cui tra l’altro i lavoratori pachistani denunciano un consolidato sistema di lavoro nero e sottopagato), si passa ai provvedimenti amministrativi, con la Questura che commina 4 mila euro di multa a 19 lavoratori e due studentesse solidali con le proteste.
Il 9 gennaio il gip di Brescia emette otto divieti di dimora nel comune di Desenzano del Garda a seguito delle proteste del SI Cobas contro 11 licenziamenti alla Penny Market.
A queste e tante altre analoghe misure restrittive si accompagnano altrettanti provvedimenti amministrativi tesi a colpire economicamente le tasche dei lavoratori e del sindacato.
Intanto, i PM del Tribunale di Modena sono ricorsi ( seppure la macchina amministrativa giudiziaria sia intasata da milioni di processi non compiuti) in appello, contro la sentenza di assoluzione piena avvenuta in primo grado nei confronti di Aldo Milani nel già citato processo sui fatti in Alcar Uno.
E’ evidente che un azione talmente incessante e sistematica da parte di Questure e Procure risponde a un organico disegno politico: neutralizzare e decapitare un sindacato combattivo e in continua espansione serve ad assestare l’ennesimo colpo al diritto di sciopero e all’esercizio della libertà di associazione sindacale, entrambi già gravemente compromessi nella gran parte dei luoghi di lavoro e ulteriormente ridotti all’indomani dell’approvazione del Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, grazie al quale il riconoscimento sindacale diviene un privilegio ottenibile solo in cambio della rinuncia sostanziale allo sciopero come arma di contrattazione.
L’oramai più che decennale processo di blindatura da parte dello Stato verso ogni forma di dissenso e di conflitto è in ultima istanza il prodotto di una crisi economica internazionale che, lungi dall’essersi risolta, si riverbera quotidianamente in ogni aspetto della vita sociale e tende ad alimentare contraddizioni potenzialmente esplosive e tendenzialmente insanabili.
Le leggi e i decreti sicurezza, i quali, una volta scrostata la sottile patina di colore ad essi impressa dai governi di questo o quello schieramento, mostrano un anima pressoché identica, rappresentano non la causa, bensì il prodotto codificato e “confezionato” di questi processi, a fronte dei quali il razzismo e le paranoie securitarie divengono forse l’ultima “arma di distrazione di massa” a disposizione dei governi per occultare agli occhi di milioni di lavoratori e di oppressi una realtà che vede continuare ad acuirsi il divario sociale sfruttatori e sfruttati, capitalisti e masse salariate.
Alla luce di ciò, è evidente che ogni ipotesi “cambiamento” reale dell’attuale stato di cose, ogni movimento di critica degli effetti nefasti del capitalismo (razzismo, sessismo, devastazione ambientale, guerra e militarismo, repressione) può avere concrete possibilità di vittoria o quantomeno di tenuta solo se saremo capaci di collegare in maniera sempre più stretta e organica il movimento degli sfruttati. Unire le lotte quotidiane portate avanti dai lavoratori, dai disoccupati, dagli immigrati, dagli occupanti casa, di chi difende i territori sottoposti a devastazione ambientale e speculazione ecc.
Come dimostra anche la storia recente, affrontare la repressione come un aspetto separato rispetto alle cause reali e profonde che generano l’offensiva repressiva, significa porsi su un piano puramente difensivo e alquanto inefficace.
L’unico reale rimedio alla repressione è l’allargamento delle lotte sociali e sindacali, così come l’unico antidoto agli attacchi alla libertà di sciopero sta nel riappropriarsi dello strumento dello sciopero. Ciò nella consapevolezza che a fronte di un capitalismo sempre più globalizzato diviene sempre più urgente sviluppare forme stabili di collegamento con le mobilitazioni dei lavoratori e degli sfruttati che, nel silenzio dei media nostrani, stanno attraversando i quattro angoli del globo (dalla Francia all’Iraq, dall’Algeria all’India), il più delle volte ben più massicce di quelle nostrane sia per dimensioni che per livelli di radicalità.
Senza la ricostruzione di un vero e forte movimento politico e sindacale di classe, combattivo e autonomo dalle attuali consorterie istituzionali e dai cascami dei sindacati asserviti, saremo ancora a lungo costretti a leccarci le ferite.
Nell’immediato, diviene sempre più necessario costruire un fronte ampio contro le leggi-sicurezza, per chiedere la loro cancellazione immediata e costruire campagne di informazione e sensibilizzazione finalizzate a fermare la scure repressiva che sta colpendo migliaia di lavoratori, attivisti, giovani e immigrati.
Per tale motivo una delle iniziative che vogliamo fare è quella di mettere in campo un’assemblea l’8 febbraio a Roma per un fronte unico di tutti quelli che si battono contro le politiche anti proletarie e repressive borghesi.
SI Cobas
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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ciclofficinaempolese · 4 years ago
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“Zone rosse” della mobilità sostenibile a Empoli: il comune non risponde
Vi ricordate l’iniziativa popolare sulle “zone rosse” della mobilità sostenibile che abbiamo lanciato l’estate scorsa? Abbiamo prima pubblicato i risultati sulla pagina Facebook e poi inviato una segnalazione “ufficiale” alla pubblica amministrazione. Moltissimi concittadini hanno partecipato, dimostrato interesse, condiviso preoccupazioni; la pubblica amministrazione, dai primi di ottobre quando è stata protocollata la segnalazione, non ci ha degnato di alcuna risposta. Riportiamo qui di seguito il testo integrale.
Empoli, 10 ottobre 2020
Al sindaco del comune di Empoli Brenda Barnini, al vicesindaco Fabio Barsottini, all’assessore Adolfo Bellucci, alla dirigente del settore 1, Lavori pubblici e patrimonio, Roberta Scardigli, alla polizia municipale.
Oggetto: criticità della mobilità sostenibile a Empoli
Gent.le sindaco scrivo la presente in qualità di presidente dell’associazione Ciclofficina Empolese per sottoporre alla sua attenzione numerose situazioni di disagio e pericolo che ci sono state manifestate dalla cittadinanza nell’ambito di un esperimento di autentica democrazia che ha coinvolto attivamente un elevato numero di cittadini a riguardo della mobilità ciclabile di Empoli. Nello specifico, durante l’Estate, la Ciclofficina empolese ha condotto un sondaggio tra i concittadini per far emergere le criticità del sistema urbano di mobilità leggera. In seguito alle segnalazioni ricevute abbiamo fatto un sopralluogo da cui sono emersi numerosi casi che riportiamo e sottoponiamo qui di seguito e per i quali chiediamo un intervento volto ad una rapida ed efficace soluzione. Chiediamo inoltre gentilmente di darci un riscontro della presente.
Marcignana
Esiste una strada tra i campi da Marcignana a Empoli che è un collegamento ciclabile già fatto, lontano dal traffico e dai rumori. È quello di via Del Castelluccio dei Falaschi, che passa davanti al canile e poi diventa via Del Ponterotto e che termina in periferia di Empoli, su via Alamanni prima della rotonda di via Livornese. Basta soltanto spianare in alcuni tratti il fondo con uno stabilizzato fine e impedire l'accesso alle auto dei non residenti. È un collegamento diretto che, implementando la rete, farà felici e sicuri molti ciclisti.
Lungarno Dante Alighieri 
Sul Lungarno Dante Alighieri è stato appena realizzato il tanto atteso collegamento ciclabile con il tratto di pista proveniente dal ponte. Ma all'altezza di piazza Gamucci un inspiegabile cartello di fine percorso ciclabile ne vieta il transito alle bici. Qual è la ragione? Il segmento in questione rientra nel propagandato progetto della ciclovia dell’Arno per il quale sono stati investiti, nel solo tratto empolese, un milione e 200 mila euro. Vi chiediamo di fare chiarezza e di eliminare il cartello.
Via Cesare Battisti, attraversamento lungarno Dante Alighieri 
Un percorso ciclabile interrotto dal traffico: sia che si venga da Sovigliana, sia che si venga dal centro città, sul lungarno bisogna scendere dalla bici e dare la precedenza agli automobilisti. Vi consigliamo la realizzazione di un attraversamento ciclabile anche nell’ottica del favore riconosciuto ai ciclisti nelle nuove norme stradali inserite nel Decreto Semplificazione: lungo le strade urbane i conducenti degli altri veicoli hanno l’obbligo di dare la precedenza ai velocipedi che circolano su strade urbane ciclabili o vi si immettono.
Incrocio di via Masini con SS. 67
La pista ciclabile di via Masini, abbondantemente utilizzata, termina in maniera assai brusca all'incrocio con la SS.67 dove c'è il semaforo. Dalla parte opposta, a Pontorme, ci sono le scuole: la media Vanghetti e le elementari. Molti ragazzi vanno a scuola in bici. Come per il precedente caso è assolutamente indispensabile creare un collegamento ciclabile tra le due zone per assicurare la continuità ciclabile e la sicurezza dei ciclisti.
Via Chiarugi, via degli Orti 
Delimitante il borgo d'Empoli insieme alla parallela via degli Orti, storico e importante asse viario per la mobilità cittadina, l'attuale via Chiarugi costituisce una situazione di grave pericolo e insicurezza per tutti i fruitori della strada. Il fondo stradale è disastroso, peggiora inesorabilmente giorno dopo giorno a causa del traffico motorizzato che grava quotidianamente. Il marciapiede è talmente stretto (40 cm) da costringere i pedoni a scendere in strada costituendo, oltre che per se stessi, rischio per i ciclisti incalzati dagli automobilisti. Per non parlare delle difficoltà che incontrano persone anziane, disabili e genitori con figli e passeggino al seguito. 
Via degli Orti versa anche in condizioni peggiori: i marciapiedi sono inesistenti. Ma come se non bastasse, il pericolo maggiore è costituito dalle automobili i cui conducenti spingono ben oltre i limiti di velocità. Pertanto, visto l'importanza del tratto, ponte naturale fra il centro di Empoli, il polo ospedaliero e S. Maria, facendo nostre le segnalazioni e incoraggiando le antiche petizioni di residenti e attività commerciali, chiediamo l’attuazione del BiciPlan: l'istituzione permanente di una zona con limite massimo di velocità di 30 km/h, la realizzazione e/o l'ampliamento dei marciapiedi, la realizzazione di una pista ciclabile in sede propria sacrificando un numero irrilevante di posti auto.
Piazza Gramsci, via Salvagnoli incrocio con via Tinto da Battifolle
Il presente incrocio è interessato da un pericoloso attraversamento pedonale dove gli automobilisti provenienti da piazza Gramsci, fermi allo stop di via Salvagnoli, non prestano attenzione all'attraversamento alla loro sinistra, attenti e distratti dal flusso di macchine proveniente alla loro destra da via Pievano Rolando. Visto i numerosi investimenti sulle strisce oggetto della segnalazione, chiediamo all'amministrazione di trovare rapidamente una soluzione per porre in sicurezza l'incrocio rendendolo promiscuo a pedoni e velocipedi poiché di fatto collega due tratti ciclabili: via Masini, piazza Gramsci, via Tinto Da Battifolle.
Parco Mariambini, lato via Pievano Rolando
Un altro percorso ciclabile interrotto: i ciclisti che arrivano dal tratto di parco Mariambini per entrare nel tratto di via Pievano Rolando devono scendere dalla bici e dare la precedenza ai veicoli a motore. Semplicemente, come per il precedente caso, è assolutamente indispensabile creare un collegamento ciclabile tra le due zone per assicurare la continuità del percorso e la sicurezza dei ciclisti.
Via Pievano Rolando, lato banca Unicredit
La pista ciclabile è ripetutamente profanata e utilizzata come sosta di veicoli prevalentemente dei clienti dell’istituto bancario adiacente. Oltre che un problema di mobilità e di educazione civica, è soprattutto un problema di sicurezza. L’assenza di barriere divisorie e la disattenzione della polizia municipale concorrono ad alimentare una situazione di scarsa tutela degli utenti deboli della strada. Chiediamo l’installazione di barriere di delimitazione.All’interno delle descrizioni elencate sono indicate le possibili soluzioni. 
Molte delle segnalazioni evidenziano un problema per la sicurezza la cui soluzione richiede esclusivamente una scelta radicale: veicoli a motore o biciclette. Non servono finanziamenti né interventi infrastrutturali, serve solo la volontà politica di collegare i percorsi ciclabili già realizzati accordando la precedenza alle bici. Contestualmente le zone 30 sono da estendere in tutte le aree di influenza scolastica e dei più importanti centri attrattori, con segnaletica orizzontale e verticale diffusa e di dimensioni ben visibili. Oltre le zone 30, le tecniche di moderazione del traffico sono molteplici: dossi, attraversamenti rialzati, strettoie, sistemi di controllo della velocità. 
I tratti di piste ciclabili esistenti sono uno “spezzatino” perché non collegati tra di loro. Anche i nuovi tratti in zona Carraia sono stati concepiti con questa logica inefficace e pericolosa. Chiediamo in primo luogo la continuità dei percorsi ciclabili, per una rete di mobilità leggera realmente efficace e sicura, nel rispetto dei finanziamenti ricevuti per tali obiettivi.
In un momento socio-economico drammatico come quello contingente dove il tema della mobilità urbana risulta essere cruciale per garantire la salute e il benessere dei cittadini, serve una politica coraggiosa e lungimirante che non si limiti a piccoli interventi in qualche parte della città, ma abbia una visione globale. Perché non applicare integralmente il già esistente Bici Plan?. 
Le esigenze delle persone che camminano e vanno in bicicletta non sono state soddisfatte. L’amministrazione locale ha ricevuto finanziamenti e fatto attività in questa direzione senza tuttavia avere la forza di andare fino in fondo: disincentivare l’uso dei motori (come si dice, senza se e senza ma), puntare tutto nella direzione verde. È con la consapevolezza e la ferma convinzione che Empoli sia una città con una straordinaria vocazione ciclabile e pedonale che offriamo la nostra collaborazione a codesta amministrazione, portando avanti proposte concrete e non solo rimostranze, nell’ottica del raggiungimento di una mobilità sostenibile rispettosa dell'ambiente e della salute.
Occorre prendere decisioni coraggiose, e a volte impopolari, nella consapevolezza che queste vanno nella direzione giusta. La nostra disponibilità non verrà mai meno, sarà un piacere offrire la nostra esperienza a chiunque ne farà richiesta. 
La ringrazio per l'attenzione posta a queste nostre segnalazioni e, auspicando un suo immediato interessamento per risolvere queste situazioni, distintamente la saluto.
Salvatore D’Amelio Presidente della Ciclofficina empolese
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lamilanomagazine · 7 months ago
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Angri (SA), controlli del territorio: sospeso un ristorante per lavoro in nero e violazione della sicurezza alimentare
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Angri (Salerno), controlli del territorio: sospeso un ristorante per lavoro in nero e violazione della sicurezza alimentare Nella giornata del 23 maggio, ad Angri (SA), i Carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore (SA) hanno svolto un servizio straordinario di controllo dinamico del territorio finalizzato alla prevenzione e repressione dei reati in genere, con particolare attenzione ai delitti contro il patrimonio in relazione ai furti in abitazione e nelle attività commerciali ed allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il controllo dei Carabinieri, che ha visto l’impiego anche di personale delle tre Tenenze del Reparto, della Sezione Radiomobile e di quella Operativa del Norm di Nocera Inferiore, nonché l’ausilio di altri reparti contermini, è stato esteso anche alla verifica del rispetto delle norme del Codice della Strada. Nel corso dell’operazione, disposta dal Comando Provinciale Carabinieri di Salerno, che ha impiegato un dispositivo composto complessivamente da 14 pattuglie e 40 militari, sono stati controllati 90 veicoli, identificate 130 persone e comminate 10 sanzioni per violazioni al Codice della Strada. In particolare, in tema di sicurezza della circolazione stradale, i Carabinieri hanno proceduto al controllo ai sensi dell’art. 50 del codice della strada dei c.d. “velocipedi”, ovvero biciclette a pedalata assistita (che per la particolare tipologia di alimentazione sono mezzi privi di targa e con conducenti senza obbligo di casco), dotate di un motore ausiliario elettrico avente potenza nominale continua massima di 0,25 KW la cui alimentazione è progressivamente ridotta ed infine interrotta quando il veicolo raggiunge i 25 km/h o prima se il ciclista smette di pedalare. I velocipedi a pedalata assistita possono essere dotati di un pulsante che permetta di attivare il motore anche a pedali fermi, purché con questa modalità il veicolo non superi i 6 km/h. La norma precisa però che i velocipedi a pedalata assistita non rispondenti ad una o più delle caratteristiche o prescrizioni indicate nel comma 1 sono considerati ciclomotori. Pertanto, nel corso dei controlli stradali i Carabinieri hanno sottoposto a sequestro, per la successiva confisca, cinque velocipedi risultati essere privi delle caratteriste previste dal Codice della Strada in quanto trasformati in veri e propri ciclomotori, sanzionando i conducenti per guida senza patente, guida senza indossare il casco protettivo e circolazione con veicolo privo di copertura assicurativa. Nell’ambito della vigilanza straordinaria dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, i Carabinieri del Nucleo Ispettorato di Salerno hanno sanzionato il proprietario di una attività imprenditoriale dell’Agro Nocerino-Sarnese per “impiego di manodopera priva di regolare contratto di assunzione”, contestando inoltre violazioni del Testo Unico sulla sicurezza e tutela salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro, tra le quali l’omessa vigilanza sanitaria, l’assenza del Documento di Valutazione dei Rischi, l’assenza del piano antincendio, applicando anche la sospensione per “lavoro a nero” ed elevando sanzioni amministrative per un importo complessivo di circa 40.000,00 euro. Infine, i Carabinieri del N.A.S. di Salerno hanno sottoposto a sequestro oltre quaranta kg di alimenti per “mancato rispetto della tracciabilità alimentare” rilevando inoltre diverse carenze igienico sanitarie ed elevando sanzioni amministrative per un importo di circa 2.000,00 euro.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 4 years ago
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28 lug 2020 10:34
MILLE EURO PER NASCONDERE 5 MILIONI - FONTANA SI È PRESO UNA MULTA DELL'ANAC, MA COSÌ HA POTUTO TENERE NASCOSTI I SOLDI CHE AVEVA ALLE BAHAMAS NELLA FIDUCIARIA INTESTATA ALLA MADRE. PAGARE UNA PICCOLA SOMMA NEL 2016 PER NON RIVELARE I SUOI BENI OFFSHORE, POI ''SCUDATI'' È STATO DI GRAN LUNGA PREFERIBILE AL POSSIBILE COSTO REPUTAZIONALE. CHE STA PAGANDO ORA TUTTO INSIEME
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Luigi Ferrarella per il ''Corriere della Sera''
Sullo scudo fiscale Attilio Fontana, come ieri in Regione, ha sempre taciuto: tanto da essere sanzionato nel 2017 dall' Anac per aver omesso nel 2016, da ex sindaco di Varese, l' obbligatorio stato patrimoniale nel quale sarebbero comparsi i 5 milioni di scudo fiscale in Svizzera nel 2015.
Questo genere di sanzioni amministrative dell'«Autorità nazionale anticorruzione», però, non sono pubbliche nel contenuto delle motivazioni, ma soltanto nel dispositivo, che viene pubblicato nella sezione «amministrazione trasparente» del sito online in questo caso del Comune di Varese di cui Fontana era sindaco (sezione peraltro curiosamente modificata proprio ieri rispetto al precedente ultimo ritocco) con questa espressione: «In applicazione dell' art. 47, c. 1, d.lgs. n. 33/2013, in esito al procedimento avviato con nota Uvot/2017-001403/rg, l' Anac ha applicato al sig. Attilio Fontana la sanzione nella misura ridotta di 1.000,00, in conformità a quanto previsto dall' art.16 della legge 689/1981 (provvedimento Uvot/2017-001408/rg)».
Tradotto dall' ostrogoto burocratico, per capire di che si tratti bisogna intanto guardare l' articolo 47 del decreto legislativo n.33 del 2013, che prevede l' irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro (in misura ridotta a 1.000 euro se pagata entro 60 giorni, un po' come avviene per le contravvenzioni stradali), oltre alla pubblicazione appunto solo della notizia del provvedimento sul sito internet dell' amministrazione, a carico dei componenti degli organi di indirizzo politico che siano responsabili della «mancata o della incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all' articolo 14 del medesimo decreto».
Quali sono e di chi? Sono i dati sulla situazione patrimoniale complessiva, al momento dell' assunzione in carica, dei «titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo».
Fontana dal 2006 sino al 21 giugno 2016 era stato sindaco di Varese, dunque tenuto a depositare anche per il 2016 la dichiarazione sul proprio stato patrimoniale relativa al 2015.
Ma a fine 2016 il responsabile anticorruzione del Comune è costretto a comunicare all' Anac che Fontana, a dispetto anche di molti inviti a livello amichevole, non l' ha presentata.
L' Anac chiede lumi, e a alla fine di gennaio 2017 di nuovo il responsabile anticorruzione del Comune conferma che Fontana ha continuato a non trasmettere la dichiarazione di legge benché gli sia stata sollecitata molte volte. Così la dirigente dell'«Uvot-Ufficio vigilanza sugli obblighi di trasparenza», all' interno di Anac, sanziona l' ex sindaco leghista con 1.000 euro.
La prospettiva di questo costo, peraltro alleviato dall' assenza di pubblicità sul motivo della sanzione, nel 2016 deve evidentemente essere apparsa a Fontana di gran lunga preferibile al possibile costo reputazionale (per un politico sottoposto a standard di trasparenza ben più pregnanti che per un cittadino comune) del dover indicare - come altrimenti avrebbe dovuto fare se avesse ottemperato a presentare la dichiarazione 2016 sull' annualità 2015 - la disponibilità improvvisa di un nuovo cespite: i soldi in Svizzera della «voluntary disclosure» operata nel 2015 per sanare il «mancato assolvimento degli obblighi di monitoraggio fiscale dal 2009 al 2013».
Cioè il fatto di aver utilizzato la legge per il rientro dei capitali illecitamente detenuti all' estero, legge che Fontana, a titolo di erede dopo la morte in giugno della 92enne madre Maria Giovanna Brunella, nel settembre 2015 usò per «scudare» 5 milioni e 300.000 euro detenuti in Svizzera da due «trust» (strumento giuridico di origine anglosassone per proteggere il patrimonio), creati alle Bahamas nel 2005 (dopo un inizio nel 1997) quando Fontana presiedeva il Consiglio regionale, e nei quali la madre dentista figurava «intestataria», mentre Fontana risultava in uno il «soggetto delegato» e nell' altro il «beneficiario economico».
Nel 2018, invece, sul sito della Regione compare normalmente lo stato patrimoniale dichiarato (ai fini dei medesimi obblighi di trasparenza) dal presidente della Regione relativo al 2017: stato patrimoniale che a quel punto può indicare senza più controindicazioni, cioè senza rischio di divulgare anche il sottostante utilizzo della «voluntary disclosure» nel 2015, il tesoretto di un «mandato fiduciario misto» da 4 milioni e 456.000 euro che appunto l'«Unione Fiduciaria» gli gestisce a Milano: semplicemente il segno di un avvocato benestante, ricchezza sulla quale difatti nessuno trova niente da ridire.
Nel silenzio sulla «voluntary» del 2015 serbato anche ieri da Fontana in un' ora di discorso in Regione, la vicenda della sanzione Anac sembra poco conciliarsi con quanto il presidente appena l' altro ieri aveva proclamato: «Nelle dichiarazioni richieste dalle norme sulla trasparenza sono riportati nel dettaglio i miei patrimoni e non vi è nulla di nascosto».
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arpinoblog · 6 years ago
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Autopsia di un bene comune Lungo la Strada Provinciale 166 oggetto di numerosi abbandoni di rifiuti abusivi e di molta incuria da parte dei cittadini del luogo e delle Autorità, è presente ciò che sembra essere un’edicola. Alla sua destra nel lato non rappresentato da queste foto è presente un olivo non curato insieme ad una base di tronco d’albero di grandi dimensioni, sradicato e li gettato. (Alcuni rifiuti sono stati recuperati mentre si scattavano le foto, gettati o lasciati volare dai soliti cittadini irresponsabili, molto presenti in questa zona d’Italia).
Avvicinandosi alla struttura si nota presso l’entrata del filo spinato penzolante e alcuni fili arruginiti che avvolgono una colonna. La struttura ha due colonne con abaco stondato, in parte la struttura presenta dei muri in opera cementizia, mentre come si vede nella seconda foto risulta essere presente una struttura forse recuperabile ed antica\originale. 
Si può essere testimoni di opere di recupero di tali piccoli santuari (spesso usati per fare voti di protezione per lavoratori pendolari lungo vie del carbone) in varie aree d’italia e che come arpino avevano\hanno cave attive. Si potrebbe trattare di santuari antichi presenti in luoghi dove sorgeva l’acqua o di opere recenti (1800). Anche se il bene, che risulta su terreno privato potrebbe essere una piccola cappella privata.
E’ certamente opportuna una ricerca oltre che una messa in sicurezza del bene, che, se ci si sporge leggermente sempre mantenendo una distanza di sicurezza, presenta a chi si sporge ad osservare ancora la trave in legno visibile al centro della struttura.
Nell’eventualità di un restauro sarebbe necessario sicuramente proteggere con una base rialzata la struttura (marciapiede) mantenendo una salita a regola d’arte nel rispetto delle norme per l’abbattimento di barriere architettoniche, nonché dotare la struttura di una protezione adeguata, ma non eccessiva, per non danneggiarne l’estetica mantenendo un trade off adeguato tra il rischio di danneggiamento per incidenti stradali e il rispetto dell’estetica del bene.
La struttura si trova presso un tornante e sotto di sé, nonché a lato, possiede un uliveto non curato. Forse della XV Comunità Montana Valle del Liri, o di un privato. Inoltre, più sopra, a pochi metri sull’altra sponda della strada, è presente una discesa che costituisce l’uscita ad una casa.
Nonostante la presenza di alcuni alberi, la vista sulla valle a Nord Ovest di arpino, la contrada Vallone fino al Liri ed, oltre verso Priverno tendendo con lo sguardo ad Ovest è notevole e può offrire uno spazio di riflessione per chi volesse qui recarsi o come stop per una pista ciclabile\percorso pedonale per sportivi ed altri che praticano il territorio di Arpino. Il restauro di un tale bene non rappresenta una priorità, ma essendo lo stato della struttura ai limiti della tenuta, e costituiendo esso certamente un bene storico e quindi prezioso per ciò che racchiude e le memorie che può offrire al futuro, risulta senz’altro un’opera che merita l’attenzione di associazioni. Il Comune di Arpino stesso, fondazioni come il FAI o spirito imprenditoriale di singoli e associazioni dedicantisi con abnegazione alla cura del territorio possono in maniera organizzata e civile insieme alla popolazione occuparsi con successo di tali beni in rovina al fine di non perdere per sempre un altra tessera del mosaico e rendere fruibile a tutti storie, esperienze, emozioni di cui il futuro ha bisogno per conoscere chi siamo. E questa forse la tomba del dio Saturno? (in dialetto: “iocca re l'ova”).
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frontedelblog · 5 years ago
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Lockdown, far causa allo Stato è possibile: l’ipotesi lanciata da Fronte del Blog dilaga
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Il 24 aprile il noto penalista Fabio Schembri scriveva sul nostro sito che il mancato indennizzo agli imprenditori poteva costituire motivo per trascinare il governo in tribunale. E oggi, La Verità, richiamando quel post, sostiene che...   L'avvocato Fabio Schembri   di Manuel Montero   Far causa allo Stato per il lockdown e la forzata chiusura delle attività da parte del governo per l’emergenza coronavirus è assolutamente possibile. E sono in tanti ad organizzarsi. A far presente l’ipotesi, il 24 aprile scorso, fu il celebre penalista di Milano Fabio Schembri, con un post su Fronte del Blog. E da allora l'ipotesi sta dilagando. - GUARDA   IL CODICE CIVILE Scriveva il legale che il governo era sì legittimato a chiudere le attività per l’emergenza, ma contestualmente doveva obbligarsi a indennizzare gli imprenditori per quanto avevano perso. Invece, ad oggi, il governo ha detto loro di indebitarsi con le banche, con procedure talmente farraginose (fino a 19 documenti da presentare) e condizioni così improponibili (restituzione in sei anni con gli interessi) che secondo la Cgia di Mestre solo l’1% aveva chiesto i 25mila euro garantiti dallo Stato. Garantiti, ovviamente solo per l’erogazione, non certo per il rientro. Ecco cosa postava in proposito l'avvocato, in punta di diritto: «Nel nostro ordinamento, l’indennizzo o indennità è la somma che viene corrisposta a un soggetto come ristoro patrimoniale per il sacrificio di un suo diritto che non deriva da un fatto illecito, ma da un comportamento autorizzato o imposto dalla legge. L’articolo 2045 del codice civile prevede che il danneggiato possa chiedere un’indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del Giudice, nei confronti di chi abbia compiuto il fatto dannoso costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona che non è stato dallo stesso volontariamente causato né altrimenti evitabile Classico esempio di indennizzo previsto dallo Stato è quello per pubblico interesse previsto dall’articolo 834 del codice civile. Altre volte il termine indennizzo viene usato in modo improprio. E’ il caso dell’indennizzo riconosciuto dallo Stato per le vittime dei reati intenzionali violenti (omicidio, violenza sessuale, lesione personale gravissima), in virtù dell’articolo 12 della Legge 122/16. Del resto, il bonus di euro 600 previsto dal Governo per alcune categorie di soggetti, seppur esiguo, costituisce un ristoro patrimoniale per il sacrificio imposto legittimamente al cittadino. Il Governo non ha previsto lo stesso strumento per gli imprenditori. Se si vuole dare un senso al termine indennizzo utilizzato dalle norme citate, non potrà essere sottaciuta la ratio della norma che sottintende la responsabilità dello Stato per non essere riuscito a tutelare “a monte” il cittadino».   IL GIORNALE   Ad interessarsi subito al caso fu Il Giornale, che intervistò Schembri sull’argomento: Milioni di imprenditori italiani potrebbero fare causa allo Stato. Lo sostiene il noto penalista di Milano Fabio Schembri sul magazine online FrontedelBlog... «Ci sono due articoli del codice civile: il 2045 prevede che il danneggiato possa chiedere un'indennità (la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice) nei confronti di chi abbia compiuto il fatto dannoso costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, danno che non è stato dallo stesso volontariamente causato né altrimenti evitabile». E, forse non a caso, da allora è tutto un fiorire di richieste di indennizzi. L'avvocato Domenico Musicco   Un altro noto avvocato, Domenico Musicco, presidente di Avisl (Associazione vittime incidenti stradali, sul lavoro e malasanità) annotava a proposito dell’ipotesi di far causa allo Stato: « La questione è stata ben messa in evidenza dal collega penalista Fabio Schembri: l’esecutivo ha sì il potere di chiudere un’attività per questioni di emergenza sanitaria, ma deve, in questo caso, prevedere un indennizzo per l’imprenditore cui vengono abbassate le saracinesce del locale. Altrimenti si è legittimati a far causa. Lo prevede espressamente l’articolo 2045 del codice civile». – GUARDA L'avvocato Luciano Quarta LA VERITÀ E oggi uno dei più noti tributaristi milanesi, l’avvocato Luciano Quarta, penna di punta de La Verità sui temi di fisco e tasse, in un articolo intitolato L’idea di citare lo Stato per danni da «lockdown  fa presente quanto sta accadendo nella Penisola: «Un pool di legali in Veneto ha già messo in cantiere una class action e l’avvocato Fabio Schembri, intervenuto sulla testata online Frontedelblog.it del giornalista investigativo Edoardo Montolli, ha dichiarato che ci sarebbero le condizioni intentare causa allo Stato. L’argomento non va sottovalutato: «La questione di possibili responsabilità civili dello Stato, anche rispetto a violazione di impegni internazionali ed europei, non è banale. Va analizzata con attenzione, ma l’idea non è affatto campata per aria», dice il professor Ruggiero Cafari Panico, ordinario di Istituzioni di diritto dell’Unione europea e di diritto del mercato unico e della concorrenza». Clicca sull'immagine per ingrandirla     Manuel Montero Tutti i libri di Manuel Montero Read the full article
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sulpana · 5 years ago
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Sulle strade della Bassa 34 persone sanzionate a settimana perchè in giro senza motivo
Sulle strade della Bassa 34 persone sanzionate a settimana perchè in giro senza motivo
MIRANDOLA, CONCORDIA, SAN FELICE, CAMPOSANTO, SAN PROSPERO E SAN POSSIDONIP – Controlli stradali della Polizia Locale Area  Nord sulle strade 34 persone sanzionate per mancato rispetto delle norme anti Covid e sequestrati 6 veicoli privi di copertura assicurativa.
Da lunedì 13 aprile a venerdì 24 la Polizia Locale Area Nord coordinata dal Comandante Gianni Doni ha effettuato controlli stradali…
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