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Sergej Korolev, l'incredibile storia dell'ingegnere che poteva cambiare la storia
L’ingegnere ucraino Sergej Korolev, padre e artefice del programma spaziale sovietico che portò il primo uomo in orbita attorno alla terra, prima della sua morte era conosciuto semplicemente come Glavniij Konstruktor (Progettista Capo) o come il numero 20.
Paolo Aresi, uno dei più apprezzati scrittori italiani di fantascienza, ne ha fatto il personaggio centrale di un suo vasto ciclo di romanzi di fantascienza . In questa intervista su Cronaca Vera Aresi ci parla di questo grande scienziato e organizzatore di progetti spaziali, e del ruolo che ha nella sua narrativa.
Clicca sulla foto e vai ai libri di Paolo Aresi Paolo Aresi, giornalista e scrittore, è uno dei migliori e più letti autori italiani di fantascienza. Il suo primo contributo al genere è “Oberon, l'avamposto tra i ghiacci”, Edizioni Nord, del 1987. Da allora molti altri titoli sono seguiti, tra cui, nel 2004, “Oltre il pianeta del Vento”, vincitore del prestigioso Premio Urania. Aresi predilige per la sua narrativa la definizione “fantascienza cosmica”, poiché ambienta le sue storie non solo sul nostro pianeta ma nelle profondità dell’universo, tra stelle, pianeti e galassie. Negli ultimi anni sta dedicandosi a un vasto affresco in più romanzi, incentrato su un personaggio realmente vissuto, Sergej Pavlovič Korolëv, il genio sovietico della missilistica. Finora sono usciti, sempre per Delos Digital: Il caso Korolev, 2019; Korolev la luce di Eris, 2019; La stella rossa di Korolev, 2021. Nato nel 1906, e scomparso nel 1966, Korolev è davvero una personalità notevolissima nella storia della scienza moderna. Ha diretto in segreto il piano spaziale sovietico, riuscendo a portare il primo uomo, Jury Gagarin, in orbita nello spazio. Sono in molti a sostenere che, se non fosse morto prematuramente, e nel pieno dello “sprint finale” tra Usa e Urss per la conquista della Luna, a mettere per primo il piede sul satellite terrestre non sarebbe stato uno statunitense ma un russo.
Il servizio di Cronaca Vera dedicato al caso Korolev Ci puoi spiegare come hai scoperto e ti sei appassionato alla figura di Korolev? L’ho scoperto negli Anni Novanta quando stavo preparando il romanzo “Noctis Labirinthus” (Il giorno della sfida, uscito nel 1998 per l’editrice Nord) dove si raccontava anche dei primi viaggi spaziali russi. Trovai le prime notizie di Sergej Pavlovich Korolev e rimasi colpito dalla sua storia, pensai che la sua vita era un romanzo. Il nome di Korolev rimase nascosto per anni, nelle comunicazioni tra uffici e dirigenti veniva definito soltanto come “Il progettista capo”. Gli americani pensavano fosse il nome di un dipartimento dell’ente spaziale sovietico. Invece era un uomo in carne e ossa, l’ingegner Korolev. Per una sorta di paradosso, è stato pesantemente perseguitato dal regime comunista… Sì, come tanti scienziati. Nel 1938 Korolev venne arrestato con l’accusa di essere un controrivoluzionario, di sabotare le ricerche sui razzi a combustibile solido, di fare studi sui combustibili liquidi che erano solo una perdita di tempo, quindi uno spreco di risorse del popolo. Fu accusato di essere al servizio delle potenze capitaliste. Era tutto falso, ovviamente. Venne condannato a dieci anni di lavori forzati nelle miniere d’oro di Kolyma, in Siberia. Dopo sei mesi era in punto di morte, fu salvato per miracolo e trasferito in un gulag più “umano”, nel Caucaso, insieme ad altri scienziati. Poi fu riabilitato e posto a capo del progetto spaziale sovietico. Sebbene abbia sempre avuto nemici che hanno fatto di tutto per limitare le sue possibilità di azione.
E’ possibile che la sua precoce scomparsa abbia interrotto studi e progetti per raggiungere, dopo la Luna, il più vicino pianeta, Marte? Di sicuro.Se Korolev non fosse morto, sono convinto che i sovietici sarebbero arrivati per primi sulla Luna e che avrebbero installato una base che sarebbe stata abitata da astronauti e scienziati, in maniera permanente. La storia sarebbe cambiata. Gli americani avrebbero raddoppiato gli sforzi per arrivare su Marte, secondo il piano che Von Braun aveva già preparato. Invece il destino decise diversamente. Korolev morì nel gennaio del 1966 e il programma spaziale dei russi si bloccò, basta guardare le statistiche dei lanci. Il fatto è che Korolev era un genio sia nella progettazione sia nell’organizzazione del lavoro. Tre anni e mezzo dopo la sua morte, gli americani arrivarono per primi sulla Luna. Io penso che i russi, se Korolev fosse stato in attività, sarebbero arrivati sulla Luna a fine 1968. L’ultimo progetto di Korolev fu la Sojuz, la navicella che i russi usano ancora oggi! Ma per la Luna mancava ancora il razzo, che Korolev aveva iniziato a progettare. Si chiamava N1, i tecnici che lo ebbero in eredità da Korolev e che lo costruirono non riuscirono mai a renderlo efficiente.
Paolo Aresi C'è una curiosa vicenda relativa al mancato premio Nobel a Korolev... Semplicemente i sovietici non vollero svelare chi fosse il capo di tutta la progettazione missilistica e astronautica, vollero tenere Korolev nel segreto chiamandolo soltanto “Il progettista capo”. Per cui il Nobel che gli spettava non poté venirgli attribuito.
Ci saranno altre puntate della tua apprezzatissima saga “cosmica”… Per ora quella di Korolev è una trilogia. Nel primo romanzo si scopre che il “Progettista Capo" non è morto in quel gennaio del 1966, ma… la storia è ambientata in buona parte su Marte. Nella seconda storia Korolev guida la progettazione di un viaggio fino ai confini estremi del Sistema Solare e nel terzo libro la vicenda si apre agli spazi interstellari. Credo di avere risposto a tutte le domande che si aprono nel corso della storia. Per adesso non prevedo un quarto capitolo. Ma non è detta l’ultima parola. (in cima al post la videointervista integrale a Paolo Aresi di Rino Casazza) Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI Read the full article
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Chico Forti, l’ultimo sogno: “Prendere parte al matrimonio di mia figlia”
Chico Forti è tuttora recluso in un carcere statunitense. Dalla sua cella ha scritto una lettera al futuro genero. - La sua secondogenita 25enne, agente immobiliare alle Hawaii, ha annunciato le imminenti nozze con un campione di surf con il quale convive da tempo e che lui considera già come un figlio - Nonostante gli annunci istituzionali, non c’è alcuna data certa per il suo ritorno - Nel frattempo, Chico ha vinto un premio di poesia e il movimento popolare che ne chiede la liberazione è sempre più ampio
Miami (Florida, Usa) – Il suo sito internet si apre con questo scritto: «È stato firmato dal Governatore della Florida Ron DeSantis il trasferimento di Chico in Italia, in base alla Convenzione di Strasburgo 1983. Un ringraziamento particolare al Ministro Di Maio e alla Farnesina per l’impegno e il lavoro svolto in modo silenzioso, ma efficace». È l’annuncio del suo rientro in Italia e risale al 23 dicembre scorso, ma a tutt’oggi Chico Forti – che nel frattempo è stato premiato con menzione d’onore al concorso internazionale di poesia Premio Vitruvio, con il componimento “Come gocce di rugiada” – nel nostro Paese ancora non si è visto.
E intanto la sua secondogenita Jenna Bleu, classe 1996, agente immobiliare a Honolulu, sta per sposarsi con Ezekiel Lau, detto Zeke, surfista hawaiano, e Chico, dalla prigione in cui è stato spostato per detenuti in attesa di trasferimento ,ha deciso discrivere una commovente lettera, indirizzata proprio a quello che definisce il suo futuro “figlio”: «Entrambi siamo e apparteniamo a una specie che sopravvive grazie al carburante della natura… Quando Jenna Bleu mi ha menzionato il tuo nome per la prima volta, anni fa, ho capito subito che sareste stati destinati a una lunga e meravigliosa relazione piena d’amore. Quell’amore che ti dà elicotteri, più che farfalle, nella pancia, il tipo di relazione che ti rende incondizionatamente orgoglioso del tuo partner… Presto sarete ufficialmente marito e moglie, anche se ormai da anni vivete insieme… Non smetterò mai di sognare la mia possibilità di essere presente al vostro matrimonio…». Chico Forti, la sua storia diventa un libro a fumetti dal titolo emblematico: “Una dannata commedia” – GUARDA
Il delitto Versace La sua storia ve l’abbiamo più volte raccontata. Chico Forti, oggi 62enne, ex campione di surf e windsurf, documentarista e produttore televisivo, si era trasferito in America dopo aver vinto una fortuna a “Telemike”, il notissimo quiz di Mike Bongiorno, nel 1990. Da 21 anni è in carcere, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Dale Pike, il figlio di un uomo da cui stava comprando un hotel. Una condanna senza lo straccio di una prova. A giurare sulla sua innocenza non ci sono soltanto tutti coloro che hanno letto gli atti, esponenti istituzionali, vip, giornalisti, ma lo stesso padre della vittima. Chico è sempre stato convinto che dietro le accuse nei suoi confronti ci sia l’astio per la controinchiesta che aveva fatto a pezzi le indagini sull’omicidio di Gianni Versace.
Poco dopo la chiusura dell’inchiesta, Chico aveva noleggiato la casa galleggiante dove Cunanan, l’assassino dello stilista, si era ucciso. Ottenne anche il rapporto segreto della polizia sul suicidio del killer e le prime dichiarazioni del guardiano dell’house boat. Ne uscì una durissima controinchiesta che andò in onda su Raitre – e tuttora reperibile in Rete – che metteva seriamente in dubbio il fatto che Cunanan si fosse suicidato. La controinchiesta sul caso Versace “Il sorriso della Medusa” di Chico Forti Anni di battaglie Emergevano anzi dettagli inquietanti: Cunanan si sarebbe sparato solo dopo l’arrivo di Carrera e della moglie nella house boat, perché spaventato, ma un serial killer che ha ammazzato cinque persone può spaventarsi per l’arrivo di due ultrasettantenni nel suo covo improvvisato? «Ho svolto un’inchiesta di almeno due mesi, raccogliendo ben dieci prove inconfutabili sul fatto che Cunanan non si è ucciso, ma è stato ucciso e poi trasportato nella casa galleggiante», dichiarò Chico nel 2001 al settimanale “Visto”. «Tutto dava l’idea di una messinscena... Per tutta risposta alle mie obiezioni, i poliziotti mi dissero: “Se pensi di poter accusare la polizia e non pagarne le conseguenze ti sbagli”. Ma io ho continuato per la mia strada».
Dopo anni di battaglie, lo scorso dicembre è arrivata la notizia delsuo imminente trasferimento in Italia, ma da allora sono già passati altri nove mesi. «Da quello che io so, una volta passato dalla giurisdizione della Florida a quella federale, per Chico dovrebbe essere indetta un’udienza nel corso della quale dovrà prendere atto di alcuni impegni legati al suo trasferimento in Italia, fra i quali il fatto che non potrà mai più mettere piede negli Stati Uniti», ha detto ai cronisti l’amico Lorenzo Moggio, fondatore del Comitato “Una chance per Chico”. Ma questo, probabilmente, è l’ultimo dei suoi pensieri. (Da Cronaca Vera in edicola martedì 28 settembre) *** Il libro di Roberta Bruzzone sul caso di Chico Forti - GUARDA Read the full article
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Italia, provincia del Tagikistan (e non sappiamo nemmeno dove sta)
Alla fine ce l’hanno fatta: l’Italia, repubblica democratica fondata sul lavoro, è il primo e al momento unico Paese al mondo dove per lavorare in ogni settore servirà il green pass. Roba che nel regime cinese nemmeno se lo sognano. Senza green pass niente stipendio, checché ne dica la Costituzione, che ignorava l’ipotesi di un lasciapassare. E, dove è già attivo, stanno succedendo cose grottesche, la più delirante delle quali è forse quella accaduta a Riccione, città in cui un’insegnante è stata allontanata dalla classe nel mezzo della lezione perché il green pass era appena scaduto. Ma il vero caos lo vedremo certamente dal prossimo 15 ottobre, quando il certificato verde entrerà ufficialmente in vigore per tutti. Su Il Giorno si calcola che costerà ai novax fino a 225 euro al mese, 450 in una famiglia nella quale entrambi lavorano. I mass media, per far vedere che siamo in ottima compagnia, titolano sulla Germania, che avrebbe deciso di non pagare più la quarantena ai non vaccinati. Peccato che il sistema sanitario là sia basato sulle assicurazioni e la scelta novax costituisca semplicemente un’orrenda opportunità per le compagnie di non pagare i ricoveri con il placet del governo. Quanto al fatto che nessun altro Paese, dittature comprese, abbia applicato il Green Pass per lavorare sia nel pubblico che nel privato, stiamo assistendo ad un caos. Nessuno più informa. Da mesi ripetiamo che se il Green Pass deve costituire una prevenzione sanitaria, allora tutti dovrebbero essere sottoposti al tampone, perché anche i vaccinati possono contagiare e ammalarsi. Ma taluni esperti rilasciano interviste dicendo che vorrebbero agire esattamente al contrario: togliere il green pass da tampone e darlo solo ai vaccinati. Repliche? Zero. D’altra parte, sulla vaccinazione che è ad oggi ancora una scelta “libera”, i giornalisti giocano una partita molto più simile alla propaganda che al racconto dei fatti: chiamano i novax “terroristi”, c’è chi invita ad andarli a prendere a casa per inocularli, chi invoca serenamente i licenziamenti. Come se stessero violando chissà quali leggi, mentre non violano manco una norma amministrativa. E così va per il mantra sui farmaci che non funzionano. Avrete sentito dire dell’ultima “follia americana”, quella di curare il Covid con l’ivermectina, un farmaco per cavalli, no? In Italia, a settembre, è stato uno scagliarsi continuo di stampa e virologi contro il farmaco, spernacchiandone l’utilizzo da parte dei medici dopo gli strali lanciati dalla Fda americana. Sarà. Però, il 22 agosto, prima che si scatenasse l’ultima crociata, Il Fatto Quotidiano intervistava il professor Marco Cosentino, ordinario di Farmacologia e direttore del Centro di Ricerca di Farmacologia Medica dell’Università dell’Insubria di Varese. Non esattamente l’ultimo degli arrivati, insomma. E cosa sosteneva il luminare? Questo: «L’ivermectina è un farmaco antielmintico impiegato ormai da 50 anni e incluso nella lista dei farmaci essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, lista che seleziona i farmaci più importanti sulla base della loro efficacia e del loro profilo di sicurezza. Una recentissima revisione della letteratura scientifica, comparsa sull’American Journal of Therapeutics (Lippincott Williams & Wilkins) conclude sulla base di numerose evidenze, compresi studi clinici controllati e randomizzati in cieco, che l’ivermectina è grandemente efficace sia per la cura del Covid (in termini di riduzione della durata della malattia, delle ospedalizzazioni, della carica virale e della mortalità) che per la profilassi (in termini di riduzione della trasmissione), e tutto questo a prezzo di effetti avversi in genere limitati, prevedibili e gestibili». È perciò di ogni evidenza che qualcosa non vada soprattutto nell’informazione italiana. Agli inizi di agosto, due mesi fa, vi avevamo data per certa la terza dose nonostante i dubbi che gli esperti manifestavano all’epoca. E ora la terza dose è in partenza. Vien da dire dunque che si sappia e non si dica, perché come era evidente a noi, doveva essere evidente a tutti. Invece si va avanti così. Il Corriere della Sera è riuscito addirittura a scrivere che nell’ultimo rapporto Aifa sugli eventi avversi ai vaccini non vi sia riportato alcun decesso. Ma basta leggerlo, il rapporto: 555 sono i decessi segnalati, 14 quelli certamente correlabili al vaccino, 128 quelli su cui mancavano prove sufficienti. E sono 3909 le segnalazioni gravi risultate correlabili, oltre tremila quelle per le quali mancavano prove sufficienti. Tra le reazioni avverse: condizioni clinicamente rilevanti, pericolo di vita, ospedalizzazione e pure invalidità. Di tali persone nessuno si interessa e nessuno, fuorché Mario Giordano a Fuori dal Coro, ha dato loro parola. Nonostante questi danni e nonostante quanto stabilito dal Consiglio d’Europa, illustri giuristi ci dicono che il governo italiano potrebbe tranquillamente imporre l’obbligo vaccinale. E ci tocca così constatare che la tanto elogiata Costituzione italiana, conquistata col sangue versato da milioni di italiani, altro non sia che carta straccia. Perché gli unici altri Paesi al mondo cui la legge ha consentito di imporre l’obbligo vaccinale sul Covid sono sconosciute “patrie del diritto” come Indonesia, Micronesia, Turkmenistan e Tagikistan. Se sapete dirmi al volo dove stanno, vi offro un tampone. (Dal Momento di Cronaca Vera in edicola) Read the full article
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Mostro di Firenze, i misteri dell'ultimo duplice delitto: parlano Paolo Cochi e Marco Beltrandi
La polizia scientifica è tornata sull'ultima scena del crimine del Mostro di Firenze, agli Scopeti. Ufficialmente per un documentario. Ma il documentarista Paolo Cochi e il Radicale Marco Beltrandi si pongono molte domande. Anche perché è proprio questo duplice delitto che potrebbe riscrivere la storia giudiziaria del serial killer
Il duplice delitto perpetrato in una piazzola di via degli Scopeti, a San Casciano Val di Pesa, nel 1985, occupa un posto speciale nella serie di omicidi del Mostro di Firenze. Oltre ad essere l'ultimo, e uno dei due (l'altro è il delitto di Vicchio) in cui l'assassino ha asportato il seno sinistro alla vittima femminile, è l'unico con aggressione a bersagli che si trovavano all'interno di un tenda da campeggio, e non dentro l'abitacolo di un'automobile, nonché l'unico in cui il Mostro ha occultato i cadaveri, probabilmente per far sì che, con enorme effetto shock sull'opinione pubblica, la macabra lettera di rivendicazione dell'omicidio inviata ad una magistrata, contenente un pezzo del seno della zona uccisa, arrivasse prima della scoperta dei cadaveri. Soprattutto è il solo delitto che ha dato luogo ad una diatriba sulla sua datazione. E' avvenuto nella notte tra sabato 7 e domenica 8 settembre o nei giorni precedenti?
Recentemente, in coincidenza col trentaseiesimo anniversario del fatto, il delitto degli Scopeti - così oramai viene gergalmente chiamato - ha fatto di nuovo notizia. La polizia scientifica, infatti, è ritornata sulla scena del crimine dispiegando le sue moderne tecnologie. In quest'intervista rilasciata a Fronte del Blog (vedi il video qui sopra), Paolo Cochi (documentarista e massimo esperto del caso) e Marco Beltrandi (ex parlamentare e membro della Commissione di Vigilanza Rai, attualmente membro della segreteria del Partito Radicale), approfondiscono i risvolti di questa iniziativa del reparto specialistico della Polizia, di cui non sono chiari gli scopi, anche in considerazione che i rilievi effettuati verrebbero ripresi in una “docufiction” RAI di prossima messa in onda.
Clicca sull'immagine e vai al libro Un giallo a tutti gli effetti, stando alle fonti locali . Ma c’è altro: il discorso di Cochi e Beltrandi si allarga infatti ai molti dubbi che ancora circondano l’esatta ricostruzione del delitto , che nemmeno le testimonianze rese e gli accertamenti medico legali svolti al processo ai “compagni di merende” sono riusciti a dissipare. Anzi... Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI *** Il libro di Paolo Cochi “Mostro di Firenze, al di là di ogni ragionevole dubbio” - QUI Il thriller di Rino Casazza sul Mostro di Firenze, “Al tempo del Mostro”- QUI *** Lo speciale di Fronte del Blog dedicata al Mostro di Firenze - GUARDA Read the full article
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Il richiamo numero 16 – Un videoracconto di fantascienza (forse)
In un futuro prossimo tutte le persone, a causa di un fantomatico virus, vivono costantemente sotto controllo grazie alla Green Card. I trasgressori sono stati emarginati. E vige la legge di un misterioso distretto. Giudicati in base ad un punteggio di comportamento da “buon cittadino”, tutti sembrano finalmente felici. – Una storia di fantasia di Manuel Montero, ma forse non del tutto inventata (ascolta le note finali) Dopo il racconto di Manuel Montero per Fronte del Blog, RPL ha deciso di sceneggiarlo e mandarlo in onda. Ne abbiamo ricavato il video che vedete qui sopra. Per leggere il racconto potete andare QUI *** L’ultimo libro di Manuel Montero è “Wuhan – virus, esperimenti e traffici oscuri nella città dei misteri”, uscito in allegato a Il Giornale e disponibile in ebook per Algama, QUI *** Voci: Introduzione e note finali: Vincenzo De Maio Dialoganti: Giulio Cainarca e Sammy Varin Grazie a RPL che ha trasposto in audio il racconto di Manuel Montero per Fronte del Blog Read the full article
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Mostro di Firenze: la pista trascurata scoperta da Paolo Cochi
Paolo Cochi, documentarista, grande esperto del caso del serial killer delle coppiette, e autore del fondamentale saggio “Mostro di Firenze, al di là di ogni ragionevole dubbio”, ha rilasciato un'intervista a Fronte del Blog in cui parla dell'ultima novità nell’inchiesta infinita: si tratta di una pista rimasta praticamente sconosciuta sino ad oggi.
Clicca sull'immagine e vai al libro La intrapresero i Carabinieri nel 1984, dopo il settimo delitto della serie, quello di Vicchio, in cui persero la vita i giovanissimi fidanzati Claudio Stefanacci e Pia Rontini. L’esito di questa indagine portò a individuare un sospetto, ma la traccia si arenò, per motivi non chiari, senza ulteriori approfondimenti. In qualità di consulente dell’avvocato di una delle parti civili nell’ambito dei processi sul Mostro, Cochi ha ottenuto l’autorizzazione a consultare il dimenticato dossier relativo a quella pista ma, in modo inatteso, successivamente gli è stato revocato l’accesso all’intera documentazione investigativa sul caso. A breve Paolo Cochi tornerà in un altro video per approfondire il recente ritorno in auge del "delitto della piazzola degli Scopeti" a seguito di un nuovo, inatteso sopralluogo della Polizia Scientifica sulla scena criminis a 36 anni dai fatti. *** Il libro di Paolo Cochi “Mostro di Firenze, al di là di ogni ragionevole dubbio” - QUI Il thriller di Rino Casazza sul Mostro di Firenze, “Al tempo del Mostro”- QUI *** Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI Read the full article
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Il richiamo numero 16 – Un racconto di fantascienza (forse)
In un futuro prossimo tutte le persone, a causa di un fantomatico virus, vivono costantemente sotto controllo grazie alla Green Card. I trasgressori sono stati emarginati. E vige la legge di un misterioso distretto. Giudicati in base ad un punteggio di comportamento da “buon cittadino”, tutti sembrano finalmente felici. - Una storia di fantasia, ma forse non del tutto (vedi nota finale) Da qualche parte, fra qualche anno, due uomini dialogano seduti su una panchina. - Poveraccio, morire così, a nemmeno sessant’anni... - Ma l’aveva fatto il richiamo sedici? - No, si era fermato a dieci... - Ellamiseria, cos’era diventato... un novax? - Ma infatti pure io glielo dicevo: come fai a essere rimasto così indietro? E lui niente, non ci credeva più... che poi era un casino su tutto... perché non aveva punti sufficienti per il mutuo... - Sulla Green Card? - Sì, per la domanda di mutuo per la casa del figlio - Eh certo, dove vai con appena dieci richiami? Non hai i crediti per i finanziamenti... - Ma scherzi? Ma come si fa... con quei punti lì dove vuoi andare, imbecille! - ... Mia cognata è riuscita a recuperarne dieci con tre settimane di lavori socialmente utili tra i drogati e i barboni. Però, dico, fatteli subito ‘sti vaccini, no, che così hai un punteggio alto? Invece lei, sempre lì a pensarci su... - E ora? - No, ora tutto a posto. La lezione è servita. Ha recuperato almeno quelli per sbloccare il conto corrente e rientrare al lavoro. E con l’ultimo richiamo può anche andare a fare la spesa... - Ah bene, quindi è arrivata al quattordici? - Sì, richiamo quattordici. La penalità sulla Green Card resta ancora su due mesi, sai... dovesse mai fare un viaggio viene fuori e la bloccano. Ma almeno si è messa in riga. - Meno male... Certo che hanno fatto bene a trasformare il Green Pass in Green Card... - Che sembra la tessera del supermercato, a punti... però... - Eh però qui ora hai tutto in un’app! Dati sanitari, fiscali, conti correnti, acquisti fatti, multe prese, tutto! Troppo comodo... - Vero? - ... E poi i furbi hanno finito di fare la bella vita... L’altro giorno ero in coda da quelli dell’autobus e c’era uno che voleva fare l’abbonamento per il bambino... “e no, caro mio - gli fa il tizio dello sportello – qui risulta che lei non ha ancora pagato la bolletta dell’acqua. Prima paghi quella, poi torni...” - Mi sembra il minimo... - Eh già... Ma tu che vaccino fai? - Il Rapidovax, mi dà meno mal di testa, ogni due mesi. Tu? - No, io resto sul Calmovax, dicono sia più sicuro per la pressione. - Sicuro è sicuro... ma la variante Omega 36 la ferma? - No, ma che c’entra, per quella bisogna attendere il mese prossimo. - Ah, il vaccino nuovo dici? - Sì. - Ti fai pure quello? - Per forza... lo fanno apposta di rinforzo, no? Dicono che sulla variante Omega 36 coprirà sei volte di più del richiamo sedici e ventidue volte di più del quindici. - Eh già. Dovrò farlo pure io, mi sa. - Conviene... e poi con la scelta che c’è oggi... pare impossibile, ma c’è ancora chi rompe i coglioni. - Ma son pochi... - Ma non hai visto quello in tv? - Chi? - L’altro giorno uno è andato in tv a menarla su: “e continuiamo ad ammalarci, a morire e le morti improvvise...” - Ancora?! - Sììì! Le solite cose di anni fa. Tutti a prenderlo in giro, a dirgli che non esiste un registro sulle morti improvvise... e poi sbem, gli han tolto cinquanta punti in diretta. Ora, cazzi suoi, non può lavorare per due mesi. - Hanno fatto bene. L’ignoranza è una brutta bestia. - Ma dove siamo arrivati? Gente così non dovrebbe nemmeno nascere, li lascerei crepare per la strada senza manco funerale. - Addirittura! - Sì, crepare! Sono inferiori, non meritano di vivere. Vaffanculo, non ti vaccini integralmente e insinui anche dubbi? Ma come ti permetti? Ma chi sei, un medico? Sei un virologo? No? E allora non hai diritto di parola né di lavoro... resta senza punti e crepa tu e i tuoi dubbi. Tu e tutta la tua famiglia. Come sono crepati di fame quelli là... - Bastardi! - ... Non meriti niente, vali meno di un sorcio per me! - Mi sa che hai ragione. - Ovvio che ce l’ho. E poi morire si muore sempre, anche di virus, certo, ma è meno probabile. E poi che crede, di essere immortale? L’ha anche detto quello scienziato... come si chiama... - Quale? - Boh... non ricordo il nome. Comunque ha chiarito lui, dopo quel dossier del giornale inglese pieno di falsità... - Ah sì, che vergogna... che fake news! - ... che sono tutte balle: gli ictus, le paralisi, gli infarti nei giovani. “Capita, signori. È sempre capitato e capiterà ancora”, ha detto. Che cazzo c’entrano i vaccini? - Certo. Pare che sia stress, con tutto quello che ci è successo, figurati... - Stress, sì. Normale che questi mali arrivino a qualsiasi età. Ma ti ricordi prima come si moriva? - Come no. - Come mosche si moriva... - Con il richiamo 13 si moriva il 21% in più del richiamo 16... - E con il 10, il 61% di morti in più rispetto al 16! Ma ti rendi conto? Meglio ora, no? Sei sempre controllato, è tutto calibrato, altro che fesserie spernacchiate ai quattro venti. Salute, conti, onestà... Viviamo in una società troppo libera, caro mio, te lo dico io. Basta con queste minchiate. Basta far parlare quella gente, la lasciassero morire senza cure che stiamo tutti meglio. Cosa vivono a fare? Dovrebbero iniziare con gli espropri e a cacciarli dal Paese, altroché! - Certo! - Bon, fammi andare va, che ho fretta... - Dove te ne vai di bello? - Ieri ho prenotato il richiamo 17 e mi è arrivata l’autorizzazione per giocare a calcetto per due settimane. - Figo! - Eh, per fortuna il giorno prima avevo pagato la luce che ero in ritardo di 48 ore, se no erano guai... - Ma come funziona con il calcetto? - Niente, tu vai al campo, mostri la Green Card, se è tutto a posto con spese, tasse e richiami, con la prenotazione della prossima dose ti danno la concessione... E segnano sull’app direttamente l’orario di entrata e di uscita dal campo. Hai anche il pass per una doccia e per entrare nel bar senza mascherina. - Uh? Così? Nel bar? - Sì. E si può stare dentro pure in due alla volta, mi spiego? ... tipo che ci puoi parlare! - Ma dai... parlare? Al chiuso?! - Giuro! Perché tanto con il richiamo sei in regola e ti concedono un quarto d’ora di svago, che ti dà proprio una bella sensazione di libertà... - Grande! Mi vien voglia di giocare al pallone solo per quello. - E fallo allora! - Ahahah, il calcio non fa per me lo sai... - Ma allora prova con un altro sport. - Vedremo. - Dico... solo per il gusto di usare l’app. - Mmm. - Così vedi com’è comoda, perché sai sempre quello che hai fatto nella giornata... orario di inizio e fine di ogni attività, uscite di casa, locali in cui sei stato, spesa di oggi, di ieri, di un anno fa, tipo un’agenda... - Comoda, certo... però... - Però? - No, niente... - Però?! - Però, pensavo, lo sanno anche loro... - Loro chi? - Quello che hai fatto... intendo, lo sanno pure gli altri... - Mmm. - ...Cioè quelli che vedono l’app... lo Stato, i medici, cioè...loro... conoscono tutta la tua vita... - Quindi? - No, niente, consideravo così... a voce alta. - Dubbi? - Nonono, per carità. - Stai dicendo che non ti sta bene? - Nooo, assolutamente, credimi... - Non vuoi che ci proteggano? - Ma figurati, io... io... - Mmm... lo sai che prima di tutto c’è la salute collettiva, no? - Sìsìsì, ma ovviamente... - Sai che tracciare tutto serve a salvare la libertà collettiva? - Ma sono convintissimo anch’io, ma certo. - Non ti starai disallineando come quegli animali là? - Ma scherzi! Erano dei bastardi! E tutti quelli che non sono morti devono crepare subito, credimi, credimi... li vorrei ammazzare con le mie mani! - Mmm... - Veramente, veramente... - Mmm, ok... allora... faccio finta di non aver sentito, vah. - ... sì, sì, mi raccomando, mi è scappato, ma non volevo. - Sai che ti dovrei segnalare al distretto? - Eh, lo so. Però non volevo... - Sai che sono un Cittadino Amico e devo riferire i trasgressori? - Sìsìsì, però mi sono corretto subito! - Mmm... - ... subito! - Va beh, dai... non è successo niente. - Grazie, e scusa eh, scusami tanto... - Perdonato, perdonato... - Sicuro? ... non è che domani mi trovo dieci punti in meno? - Ma vai sereno ti ho detto! - Giura! ... Giuramelo! - Ma sì, ma perché dovrei metterti nei guai! - Che c’ho due figli, poi... ho bisogno di lavorare... - Ma certo, per chi mi hai preso? Vai tranquillo, fossero questi i problemi... - Grazie, non volevo, a volte succede di dimenticare... - Eh, ma non dovrebbe succedere! - No, non dovrebbe, assolutamente. - ...Speriamo piuttosto che non abbiano sentito la registrazione. - Ah già... la registrazione! Ma si era già attivata? - Parte sul telefono dopo dieci minuti che sei fermo per strada, per evitare l’assembramento... da quanto siamo qui? - Non saprei... - Ma comunque il cellulare avrebbe suonato per avvertire l’avvio... son mica lì a spiarti... ti avvisano... lo fanno per noi... - ... io non ho sentito suonare. - Infatti... ATTENZIONE, AVVIO REGISTRAZIONE, ATTENZIONE AVVIO REGISTRAZIONE - Visto? Dieci minuti ora, spaccano il secondo. - Bene! - Ti saluto, dai. Viva il Governo! - Viva il Governo! Manuel Montero POST SCRIPTUM 1 Il Sistema di Credito Sociale (SCS) è stato pianificato in Cina nel 2014 ed è entrato a regime nel 2020, l’anno della pandemia. Il sistema controlla e giudica, grazie al digitale, il comportamento dei cittadini: dal pagamento di fatture e contratti al tipo di spese effettuate fino alle loro relazioni interpersonali. In base al punteggio si può essere premiati con l’accesso facilitato a finanziamenti, affitti, viaggi e status sociale. O essere puniti con l’esclusione dalle scuole private, dai trasporti, da internet e pure dal lavoro. Duecento milioni di telecamere a riconoscimento facciale sono inoltre attive in tutto il Paese. Chi resta molto indietro sul punteggio, viene inserito in una blacklist pubblica. Sistemi di valutazione sociale del “buon cittadino”, per quanto appaia surreale, sono oggi allo studio in Australia e in Brasile. POST SCRIPTUM 2 In Italia, il sistema dei pagamenti a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi è costituito da PagoPA Spa, interamente partecipata dal Ministero dell’economia. Tale sistema è già oggi l’unico riconosciuto per alcuni versamenti, come le tasse scolastiche, e ad esso vengono conferiti, all’atto del pagamento, i numeri di carte di credito e conti correnti dei cittadini tramite identità digitale (Spid). PagoPA, tuttavia, è anche proprietario dell’app IO, che gestisce il Green Pass, requisito indispensabile per lavorare dalla metà del mese di ottobre 2021, per quanto il Green Pass sia definito un certificato sanitario e nulla dovrebbe avere a che fare con il ministero dell’economia. Tale documento è scaricabile sugli smartphone, così ufficialmente diventati la nostra connessione con l’ente pubblico. Con le necessarie autorizzazioni politiche, domani PagoPA potrebbe avere la fotografia esatta del comportamento di ogni abitante sia nei confronti dell’erario (anche per multe non pagate) sia nei confronti delle vaccinazioni (e di altre eventuali peculiarità conferite al Green Pass), oltre ai riferimenti di carte di credito, conti correnti e di abitudini e comportamenti che affidiamo ai moderni telefonini. Potrebbe così valutarlo con un punteggio premiale e punitivo del “buon cittadino”. Naturalmente, in Italia, questa è un’ipotesi da fantascienza: la libertà, nel nostro Paese, è sempre stata al primo posto, come documentano una volta di più le recenti cronache e i resoconti coraggiosi dei giornalisti, costantemente impegnati in prima linea per difenderla. L’ultimo libro di Manuel Montero è “Wuhan - virus, esperimenti e traffici oscuri nella città dei misteri” - GUARDA Read the full article
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Federico Barakat, ucciso dal padre violento in un incontro protetto: nessun colpevole
Anche per i giudici di Strasburgo lo Stato italiano non ha responsabilità per la morte del piccolo Federico Barakat, 8 anni, ucciso dal padre con 37 coltellate durante un incontro protetto. La madre del bimbo rimasta sola, non sa darsi pace: aveva denunciato per 17 volte l’ex. È stato tutto inutile: hanno costretto il bimbo a incontrarlo in un luogo protetto, il padre lo ha ucciso. E per la giustizia nessuno ha colpe. Come dire che se la sarebbe dovuta cavare da solo.
SAN DONATO MILANESE- Quando accaddero i fatti, il 25 febbraio 2009, gli assistenti sociali del centro socio sanitario di San Donato Milanese, ricordarono l’assassino così: «Aveva gli occhi del diavolo ed era in preda a un raptus di follia». L’assassino era Mohammed Barakat, egiziano di 53 anni. E la vittima era suo figlio Federico, di nemmeno nove anni: lo aveva ucciso prima sparandogli a bruciapelo con una pistola e poi finendolo con 37 coltellate. Poi si tolse la vita. Una scena dell’orrore. Ma in questa follia c’era qualcosa che non tornava: tutto si era svolto nel corso di un incontro protetto, voluto fortemente dalle istituzioni anche se il figlio non voleva assolutamente saperne di voler vedere il padre. Il motivo era stato messo nero su bianco 17 volte in altrettante denunce per maltrattamenti e minacce fatte dalla mamma Antonella Penati: tutto inutile. Mohammed era entrato lì dentro armato di pistola e con un coltello aveva ammazzato il figlio. Di chi è la colpa? Di nessuno. Questo hanno sentenziato definitivamente anche i giudici per i diritti dell’Uomo di Strasburgo, che ha assolto lo Stato italiano a giugno e che ora ha respinto il ricorso della disperata donna.
LA VICENDA Dai fatti di sangue sono trascorsi dodici anni. L’educatore dell’Asl e gli assistenti sociali andarono a processo, ma furono assolti definitivamente. Antonella pensò così di rivolgersi a Strasburgo, perché i fatti certi sono che Federico era terrorizzato dal padre e fu costretto a vederlo senza alcuna protezione nonostante si trovasse in un luogo protetto predisposto dallo Stato. Aveva otto anni e non si poteva difendere. Altrettanto certo è che Antonella si oppose disperatamente all’incontro, ma giudicata da una Ctu “madre iperprotettiva”. Sicchè avvenne tutto com’era nella mente del folle ex compagno, senza che nessuno si opponesse. L’avvocato della donna, oggi presidente dell’associazione “Federico nel Cuore”, Federico Sinicato, aveva detto nel corso di una conferenza stampa: «Antonella Penati incomprensibilmente non ha mai ottenuto giustizia, né dallo Stato italiano, che assolse gli assistenti sociali e l’educatore dell’Asl di San Donato Milanese in primo grado e poi in Cassazione (in appello fu solo riconosciuta una responsabilità parziale). La Suprema Corte affermò il principio secondo cui non si potesse individuare alcuna responsabilità in capo agli imputati perchè il decreto del Tribunale dei Minorenni che affidava il bambino al servizio sociale, era finalizzato a scopi educativi e non espressamente a tutela dell’incolumità psicofisica del minore. Pare assurdo pensare che vi debba essere una norma scritta che sancisca la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’ente affidatario del minore, eppure è ciò che emerge dall’iter processuale». E Antonella aveva aggiunto: «La sentenza Cedu ha confermato che lo Stato italiano non ha alcuna responsabilità ed è necessario sollevare l’opinione e la coscienza pubblica su questo caso. Se uno Stato non è obbligato a tutelare i bambini chi li deve proteggere? Lo Stato italiano ha preteso di avocare a sé la decisione di organizzare quegli incontri, dopo aver limitato la responsabilità genitoriale e aver ignorato gli appelli della madre a tenere nella dovuta considerazione i precedenti e la pericolosità del padre, pretende di non aver commesso errori».
Ma il suo ricorso successivo è stato rigettato. Ci troviamo così davanti ad una vicenda surreale, di un bimbo di 8 anni brutalmente assassinato in un’istituzione di Stato, costretto ad incontrare il padre carnefice in un luogo soltanto di nome “protetto” e che per la giustizia, evidentemente, se la sarebbe dovuta cavare da solo. Si fa fatica perfino a commentare e a considerare ancora Strasburgo la sede il luogo per antonomasia di difesa dei diritti dell’Uomo. Antonella ha commentato così il rigetto del ricorso: «Con la sentenza Cedu si sono permessi di togliermi il mio status di vittima. Ai giudici chiedo di spiegare ai loro figli, quando li guarderanno in viso, come abbiano potuto fare questo ed arrivare ad una sentenza cosi». Read the full article
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E dopo il Covid, siamo rimasti in bolletta (quella della corrente)
Vi avevano dato gli incentivi per comprare una piccola auto elettrica che costa come un suv. Ci avete creduto. Avete investito i vostri risparmi, magari dotandovi della famosa colonnina di ricarica prevista dal superbonus e che vi porta molta più corrente in casa. Vi siete sentiti ecologisti e anche un po’ contenti del fatto che, a fronte di tale spesa, d’ora in avanti non avrete più il problema del pieno della macchina e del costo della benzina. Benissimo. Il tempo di mettere l’auto in garage ed è arrivata la sorpresa: dal prossimo mese la bolletta della corrente aumenterà del 40%. Perchè il 40% hanno il coraggio di chiamarlo aumento e non stravolgimento di qualsiasi regola civile. Un boom senza precedenti. L’annuncio arriva a mo’ di fulmine a ciel sereno dal ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani: «Lo scorso trimestre la bolletta elettrica è aumentata del 20%, il prossimo trimestre aumenta del 40%. Queste cose vanno dette, abbiamo il dovere di affrontarle». I toni sono quelli di chi denuncia e protesta. Ma qualcuno dovrebbe dirgli che è proprio a se stesso, il ministro, quello a cui deve rivolgersi per trovare una soluzione. Invece Cingolani aggiunge: «Succede perché il prezzo del gas a livello internazionale aumenta, succede perché aumenta anche il prezzo della CO2 prodotta». Colpa loro insomma: colpa di chi vende le materie prime, di chi le trasporta, di chi le gestisce. Così ci fa capire il ministro. Invece no. Non è solo colpa loro, ovviamente, se dal mese prossimo accendere la luce sarà come cavarsi il sangue. Secondo Federconsumatori «è urgente un intervento del governo su tasse, oneri di sistema, sviluppo delle rinnovabili». Già. Perché buona parte delle voci che troviamo in bolletta, come sempre, è costituita da tasse. Non da materie prime, non da rincari dovuti al covid, da problemi geopolitici, o da qualsiasi altra improvvisa emergenza all’orizzonte. No. Tasse, accise, imposte, chiamatele come vi pare, anche se ufficialmente li definiscono appunto oneri di sistema, che suona meglio di balzello: di fatto sono cifre che nulla hanno a che fare con l’energia, il trasporto e la gestione. E che potrebbero essere drasticamente tagliate dal governo, dato che pesano il 25% in media sulla bolletta e raggiungono il 40% per quella del gas. Il che ci porta alla seconda notizia del momento: anche il gas aumenterà. E del 30%. Anche qui si parla di rincari inauditi. E probabilmente alcuni di voi ricordano la stangata già presa con l’acqua, dato che ci sono zone dove i costi sono lievitati del 27%, senza peraltro che si potesse cercare scappatoie in un gestore diverso e più economico: com’è noto, con l’acqua non si può. Mano al portafogli, stando alle stime di Enea, ogni famiglia dovrà sborsare in media quasi 700 euro l’anno in più. Una cifra mostruosa. Soprattutto in uno dei Paesi più tartassati del mondo nel quale, governo dopo governo, le imposte continuano ad aumentare. In cui gli aiuti per le attività per il lockdown si sono ridotti a elemosine (talvolta chieste pure indietro) e nel quale il lavoro è ormai diventato un lusso. Ma dove l’informazione sembra aver perso del tutto il proprio ruolo, troppo presa a magnificare il potente di turno. Vien da sorridere, ad esempio, se si guardano i titoli trionfalistici di taluni giornali sui 338mila occupati in più in Italia nel secondo trimestre dell’anno e addirittura di 523mila lavoratori in più rispetto allo stesso periodo del 2020. Peccato che da marzo a giugno 2020 in Italia fosse quasi tutto fermo causa lockodown e dunque il confronto con l’anno passato appaia ridicolo. E ancora, peccato che di questi 338mila nuovi posti di lavoro, 226mila siano a tempo determinato. E si deve andare in fondo agli articoli per scoprire infine che, rispetto a prima che scoppiasse la pandemia, ci sono 678mila disoccupati in più. L’equivalente di una metropoli. Non bastasse, a costoro prepariamoci ad aggiungere una marea, nel senso letterale del termine, di nuovi “esodati” dall’introduzione del supergreen pass per tutte le aziende private e le attività: le persone in età lavorativa che non si sono ancora vaccinate sono quasi dieci milioni, buona parte di esse è decisa a non farlo. E, con i tamponi a pagamento, si troveranno a dover scegliere se vaccinarsi o non mangiare. Naturalmente in piena libertà, così come recita il mantra di Stato e della sua carta verde: sei libero di vaccinarti o di morire di fame. Licenziamenti si stanno già verificando adesso, figuriamoci domani con il passaggio al supergreen pass. Con tali numeri in ballo, rischiamo di trovarci in un sol botto qualche milione di disoccupati in più. Ma tutto questo non sembra preoccupare nessuno. Abituati a guardare la realtà dal basso, mentre a Palazzo ci si accapiglia su battaglie inutili e delle quali nulla importa alla popolazione alle prese con i conti di fine mese, ci siamo soffermati su una notizia sconcertante, una storia che dà l’impressione di una gigantesca bomba sociale pronta ormai a deflagrare: a Napoli un venticinquenne è stato accoltellato alla schiena e al torace da un collega. Quando abbiamo letto che la lite tra i due era nata per uno “sconfinamento”, abbiamo pensato ad un regolamento di conti tra spacciatori, delinquenti di basso cabotaggio. Ad una storia di droga o di debiti di gioco. Invece vittima e carnefice erano entrambi sfacchinatori indefessi, erano rider: quei ragazzi che pedalano tutto il giorno per fare consegne qualsiasi siano la temperatura e le intemperie e che guadagnano una miseria. E no, non c’entravano né droga, né affari loschi. Era una questione di lavoro, anche se a guardar meglio somiglia più ad una questione di mera sopravvivenza: si erano contesi la consegna del panino di un fast food. (Anticipazione del Momento di Cronaca Vera in edicola da martedì 21 settembre) Read the full article
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E ALLA QUARTA DOSE DI VACCINO, FUMMO COLTI DA UN LEGGERO SOSPETTO...
In Israele sono alla quarta dose di vaccino. Noi partiamo con la terza e con l'ipotesi di un obbligo vaccinale anche se nessuno sa dire quando saremo immunizzati. Anche perché, se ricordate, già una dose doveva coprire molto, invece con due si muore comunque... In Italia, ad agosto 2020, senza vaccino, c’erano stati 342 morti. Nell’agosto di quest’anno, con i vaccini, i morti (li abbiamo contati giorno per giorno) sono stati 1158. Dicono che allora c’era stato in precedenza un duro lockdown a frenare i contagi, ma da metà giugno era praticamente tutto già aperto: e ci sarebbe stato il tempo di contagiarsi, incubare, ammalarsi e morire. Invece la differenza dei decessi è enorme. Quasi quattro volte tanto, con il 70% degli italiani vaccinati. Gli esperti, o presunti tali, lo spiegano con un paradosso statistico. Ma non dovrebbe esserci alcun paradosso, perché ancora il 9 luglio l’Istituto Superiore di Sanità assicurava come la doppia dose coprisse fino al 100% della malattia grave. Non si dovrebbe morire. Invece si muore e, per alcune fasce di età, si continus a morire tanto. Lo documenta l’ultimo bollettino di sorveglianza integrata dell’Iss, datato 1 settembre (SCARICA). Alla voce decessi over 80 i non vaccinati sono il 51%, gli altri erano tutti con una dose (4,2%) o due dosi (44,7%). Se si pensa che l’età media dei morti di Covid è di 81 anni, per loro la situazione resta critica. I dati mostrano poi come i non vaccinati deceduti per le altre fasce d’età siano in larga maggioranza. Dunque, almeno per gli altri i vaccini funzionano perfettamente? Verrebbe da dire di sì: peccato che i numeri dei decessi del bollettino siano riferiti al periodo 9 luglio – 8 agosto, ossia quando la variante Delta non era ancora l’assoluta predominante in Italia. Differenza casi e decessi in Italia tra agosto 2020 e agosto 2021 Quindi, per capirci qualcosa in più, bisogna vedere cosa succede all’estero, dove hanno iniziato prima le inoculazioni e dove prima è arrivata la famigerata variante. Come in Israele, il Paese più vaccinato del mondo, ma che non ha mai avuto contagi come a fine agosto 2021. Di più: lì, ad agosto, ci sono stati 520 morti di Covid, certo meno che a gennaio, quando furono 1400. Però non solo a gennaio Israele non poteva contare su una tale copertura vaccinale. Ma oggi quasi un terzo della popolazione ha già preso la terza dose. Per capire l’opportuna differenza: Israele, con tre dosi, ha avuto in agosto 520 morti su 9 milioni di abitanti. Noi, con il 70% a due dosi, 1158 su 60 milioni di abitanti. In proporzione, una disfatta. Ma non basta. Sempre sui morti del mese di agosto il deputato leghista Carlo Borghi in un tweet scrive: «Uscito l’aggiornamento dei dati inglesi, ad oggi il database più completo sia per i casi che per le reazioni avverse. Si confermano e anzi si accentuano le tendenze dei mesi scorsi. La storia di “muoiono solo i non vaccinati” purtroppo è falsa». Per poi aggiungere: «Su 1798 morti covid variante delta da febbraio solo 536 ovvero il 30% sono non vaccinati, gli altri, 70% sono tutti vaccinati con una o due dosi». Abbiamo controllato. Ed è tutto vero, anche nel Regno Unito i dati sono sconfortanti. Ora, possiamo girarli come ci pare questi numeri, possiamo tirare fuori il paradosso statistico, il distanziamento mancato, i ferocissimi “untori” novax. Ma le cifre documentano come i vaccini non stiano funzionando più così bene con le varianti, come molti - tacciati di essere cialtroni - avevano previsto: non con una, ma con due dosi (contrariamente a quanto raccontavano i soloni della virologia in tv) si muore già molto in Israele e in Inghilterra. E si sta morendo già anche in Italia. Finalmente, anche in tv, a Fuori dal Coro, hanno infine iniziato a parlare di effetti collaterali fortissimi patiti da molti vaccinati e in Rete se ne trovano casi in grandi quantità, così come tante sono le segnalazioni di decessi dopo il vaccino. Perchè quando si parla di “reazioni avverse rare” su milioni di persone, si parla di migliaia di casi, non di unità. Certo, tutta da dimostrare la correlazione del vaccino con le morti: a luglio, su 498 decessi segnalati, l’Aifa ne riteneva correlabili 7, ma il 33% del totale veniva considerato “indeterminato”, ossia mancavano prove sufficienti per dimostrarne la causalità. Non proprio una cosa tranquillizzante. Specie se si considera che uno studio angloamericano del 2015 metteva in guardia sui vaccini che non fermano il contagio, perché potrebbero rendere il virus più aggressivo. E questi vaccini contro il Covid il contagio purtroppo non lo fermano affatto. Eppure il premier Mario Draghi annuncia di voler andare serenamente verso l’obbligo vaccinale pur dovendo almeno sapere quattro cose. La prima è che l’Fda americana, anche se i giornali italiani non lo scrivono, ha approvato sì definitivamente Pfizer, ma esplicitando che non si conoscono tuttora gli eventuali effetti futuri sulla salute provocati dal vaccino (SCARICA IL DOCUMENTO). La seconda è che l’Europa, prima di imporre obblighi e approvare definitivamente i vaccini, deve preoccuparsi di modificare l’attuale contratto con le aziende fornitrici, cui è stata data esplicita manleva sulla responsabilità per eventi avversi. La terza è che i parlamentari che sostengono il Governo hanno tutti votato a Strasburgo una risoluzione, la 2361, con la quale si impegnavano a non rendere obbligatori questi vaccini, a non fare pressioni sulle persone per spingerli a farli, a non discriminare chi non li fa e a risarcire in caso di danni. La quarta è che si spinge verso l’obbligo su vaccini che certamente hanno effetti collaterali fortissimi, in rari casi correlabili a morte, pur non essendo tali vaccini capaci di immunizzarci definitivamente: prima con una dose si doveva già stare tranquilli, poi due dosi ed eri salvo, ora tre per stare in sicurezza. In Israele, che con la terza dose ha già raggiunto quasi un terzo della popolazione, si sta pensando già alla quarta, parola del capo epidemiologo del governo Salman Zarka. Quattro dosi, con possibili effetti collaterali non indifferenti ad ogni dose (raramente correlabili a morte) e senza sapere ancora nulla su danni futuri, né se basteranno o se alle prossime varianti ne dovremo fare di nuove. Non pare anche a voi che qualcosa non torni? Read the full article
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Così da Israele potrebbero rivendere all’Italia la plasmaterapia inventata gratis da Giuseppe De Donno
Nel numero in edicola la scorsa settimana vi abbiamo raccontato questa incredibile storia. Ora la approfondiamo e ve la documentiamo passaggio per passaggio - I clamorosi risultati ottenuti in Israele sul plasma iperimmune (dopo che in Italia era già stato dichiarato inefficace)
Clicca sulla foto e vai al libro Si è tolto la vita alla fine di luglio. Era stato il geniale ideatore del protocollo dell’ospedale Poma di Mantova per curare il Covid con il plasma iperimmune. Ma dopo i primi clamori, era stato escluso dalla guida della sperimentazione nazionale Tsunami. Poi messo alla berlina, attaccato, ostacolato talvolta addirittura irriso. Speciale sul caso Giuseppe De Donno e plasma iperimmune - GUARDA Oggi un libro ristabilisce la verità su Giuseppe De Donno, lo pneumologo che aveva infine lasciato l’ospedale per diventare medico di base. Si chiama “Giuseppe De Donno – Il medico che guariva dal Covid con il plasma iperimmune” e lo ha scritto il giornalista e conduttore di Rpl Antonino D’Anna, raccontando le storie di decine di pazienti guariti da De Donno per bocca degli stessi protagonisti. Da Luigi Neri, dato per spacciato a Bergamo e salvato a Mantova dopo un’esplicita richiesta d’aiuto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fino a Pamela Vincenzi, che De Donno curò con il plasma quando era incinta di sei mesi, salvando lei e il bambino: primo caso al mondo. Sono tanti i casi citati nel volume, di ex pazienti che ricordano come siano guariti grazie al plasma dei convalescenti. Il periodo, primavera del 2020, in cui si diceva che a Mantova non morisse più nessuno (GUARDA). Si salvò anche un paziente nonostante l’agammaglobulinemia: non produceva anticorpi eppure riuscì a farcela. E allora, che fine ha fatto quella terapia?
LA SPERIMENTAZIONE Fu proprio dopo questi casi eclatanti che il medico iniziò ad incontrare ostacoli. Come taluni virologi, che in tv sostennero che si trattasse di una cura pericolosa costosa, mentre è vero l’esatto contrario: non soltanto è in auge da un secolo, ma è pure sostanzialmente gratuita per via del plasma donato dai guariti. Il perché di tali attacchi non si sa. Ma dopo il caso di Pamela De Donno si trovò addirittura i Nas in reparto. Poi successe il fatto più sorprendente: l’Istituto Superiore di Sanità decise di avviare una sperimentazione nazionale, il protocollo Tsunami. Ma non lo affidò a lui, che inizialmente venne addirittura escluso, ma a Pisa (GUARDA). Un fatto privo di logica agli occhi dell’opinione pubblica se si pensa che a Mantova avevano usato il plasma con successo su 48 pazienti, mentre a Pisa lo avevano utilizzato su 2. De Donno, convocato al Senato, si sfogò: «Sono rimasto sconcertato. La sperimentazione di prima fase che è partita adesso a Pisa è una sperimentazione vecchia. Bisognava partire con una seconda fase». - GUARDA
L’AZIENDA Poco prima del suo intervento, tuttavia, aveva parlato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria. E questi aveva ceduto la parola ad una persona di cui non era stata annunciata l’audizione. Si trattava di Paolo Marcucci, amministratore delegato di Kedrion Biopharma, colosso dei plasmaderivati con un fatturato da 687 milioni di euro, fratello dell’allora capogruppo in Senato del Pd, Andrea. Marcucci parlò proprio del plasma dei convalescenti, spiegando che la sua azienda avrebbe messo a disposizione il proprio stabilimento di Napoli per raccogliere il plasma dei donatori italiani e trasformarlo, in «conto lavorazione» in plasma iperimmune industriale utilizzabile nei quattro anni successivi: «Così si eviterà di eseguire l’inattivazione virale nei singoli centri che è un’inattivazione comunque artigianale, costosa e adatta solo alla sperimentazione». – GUARDA IL VIDEO DEGLI INTERVENTI AL SENATO
Clicca sulla foto e vai al video del Senato con gli interventi di Scaccabarozzi, Marcucci (non annunciato) e De Donno Kedrion, precisò Marcucci, aveva raggiunto un accordo con l’israeliana Kamada per la produzione di gammaglobuline imperimmuni. Quest’ultima, azienda quotata al Nasdaq, è specializzata nella purificazione del plasma con una tecnologia proprietaria. E sul plasma iperimmune investì molti sforzi. Dunque, anche i big della farmaceutica credevano moltissimo nella terapia. La vicenda venne ripresa da Il Giornale, che successivamente intervistò lo pneumologo di Mantova, il quale non fu tenero nella replica. Ecco cosa disse: Secondo l'ad Kedrion Paolo Marcucci, intervenuto a sorpresa al Senato, il plasma iperimmune lavorato oggi in maniera «artigianale» dai singoli centri è «costoso» e «adatto solo alla fase sperimentale». Cosa risponde? «È in conflitto di interessi». Marcucci sostiene anche che il plasma iperimmune industriale possa essere congelato anche per 4 anni. Il vostro? «Se neutralizzato può durare fino a sei mesi. Se non neutralizzato, molto di più. Il vantaggio però del plasma convalescente è che costa molto meno, segue la antigenemia del virus, pertanto gli anticorpi sono più specifici. Il plasma inoltre contiene sostanze antinfiammatorie che sicuramente in futuro dimostreranno avere un peso notevole nel miglioramento clinico». Il plasma industriale è meno pericoloso del vostro? «Altra corbelleria. Si vuole spianare la strada ai prodotti di sintesi, verso i quali peraltro io non sono contrario. Ma ciò non vuole dire demonizzare il plasma convalescente. Gli industriali cercano profitto. Noi no. Il problema è quando il profitto collude con la scienza o con la politica. Vuol dire che il sistema ha delle pecche. Mostruose». Quando alcuni scienziati in tv parlavano di pericolosità del plasma Avis non ha detto nulla e lei si è detto «sorpreso..» «A dir la verità da uomo meridionale mi sono imbestialito ma al presidente nazionale Gian Pietro Briola, persona di grande serietà, ho spiegato che di fronte ai donatori dobbiamo essere uniti». Marcucci ha sostenuto al Senato di aver fornito gratuitamente i kit di inattivazione virale alla sperimentazione del San Matteo (e quindi anche alla vostra). Se questi kit fossero a pagamento, la lavorazione del plasma che raccogliete sarebbe molto più costosa? «No. Ma Marcucci manco ha nominato Mantova in Senato. Era distratto». (VAI ALL’INTERVISTA COMPLETA)
I RISULTATI E arriviamo all’aprile di quest’ anno. Le conclusioni sul protocollo Tsunami sul plasma iperimmune guidato da Pisa sono deludenti: l’efficacia del plasma sul Sars-Cov-2 non è dimostrata. Le banche del plasma dei convalescenti che spuntavano come funghi dopo i primi risultati di De Donno, spengono i loro entusiasmi: «I risultati dello studio Tsunami sono in linea con quelli della letteratura internazionale, prevalentemente negativa, fatta eccezione per casistiche di pazienti trattati molto precocemente con plasma ad alto titolo» recita la nota Aifa-Iss.
L'équipe di Giuseppe De Donno al Poma di Mantova LA SORPRESA Tutto chiaro? Non esattamente. Nello stesso mese, Kedrion fornisce infatti notizie sull’andamento della plasmaterapia, linkando sul proprio sito un’intervista del 20 aprile 2021 al ceo dell’israeliana Kamada Amir London a LeFonti.tv. E cosa racconta quest’ultimo? «Con Kedrion abbiamo lavorato velocemente con il ministero della salute israeliano, negli ospedali e con le banche del sangue e prendendo il plasma dai guariti abbiamo sviluppato il prodotto a giugno (2020 ndr). Siamo stati la prima azienda nel mondo a completare la produzione di questo lotto di anticorpi a livello terapeutico». A ottobre Kamada ha raggiunto un accordo con il ministero israeliano e a «inizio 2021 è diventato il trattamento più diffuso in Israele. Il ministero della salute isreaeliano sta usando le nostre sperimentazioni cliniche per il trattamento dei pazienti in Israele e questo trattamento sta diventando sempre più diffuso per il malati di Covid». Ecco il video integrale dell’intervista a London: https://www.youtube.com/watch?v=Y8dCU8z4iEU Kedrion, aggiunge London, sta raccogliendo il plasma dei convalescenti negli Stati Uniti e l’idea è quella di portare il trattamento in altri Paesi del mondo. Quali? Sul sito di Kamada, alla voce trattamenti Covid, c’è scritto: «L’obiettivo iniziale della collaborazione sarà fornire il prodotto come trattamento a pazienti in Israele, Stati Uniti e Italia».
Clicca sulla foto e vai al sito di Kamada Quindi, la terapia a base di plasma altrove funziona. Ma non basta. Il 19 luglio 2021, il quotidiano Il Giorno pubblica un servizio su Kamada e Kedrion. Vi si legge: Ad aprile 2020, inisieme alla Columbia University e a Kamada Ltd e, azienda biofarmaceutica israeliana specializzata a sua volta in prodotti plasma-derivati, venne lanciato un progetto per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di un’immunoglobina policlonale, estratta dal plasma di pazienti guariti dal Coronavirus, da utilizzare come potenziale cura sui pazienti invece affetti dal virus. E ancora: "Siamo fermamente convinti che il plasma abbia strumenti validi per partecipare alla battaglia contro il Coronavirus, e che possa quindi contribuire a sconfiggerlo – commenta il presidente della Kedrion, Paolo Marcucci – il prodotto al quale si sta lavorando viene sviluppato a base di immunoglobuline estratte dal plasma di persone guarite dal Covid o anche vaccinate, che hanno quindi sviluppato gli anticorpi. Le proteine verrebbero poi utilizzate nel trattamento dei pazienti malati". Secondo la partnership, Kedrion Biopharma è responsabile della raccolta e della fornitura della materia prima, ovvero del plasma di pazienti convalescenti, del supporto alla sperimentazione clinica e, in caso di esito positivo del progetto, dell’eventuale distribuzione in Stati Uniti, in Europa, Australia e Corea del Sud. E sui risultati ottenuti in Israele con il plasma: A proposito della sperimentazione clinica, a gennario scorso l’azienda israeliana rese pubblici i primi risultati derivanti dalla fase 12 dello studio clinico. La sperimentazione è stata effettuata su un piccolo gruppo di persone composto da 12 pazienti arruolati, di età compresa tra i 34 e i 69 anni. La prima fase ha dato queste prime evidenze: 11 su 12 pazienti sono guariti dopo averlo ricevuto, di questi 7 sono stati dimessi dall’ospedale entro il quinto giorno dal trattamento e gli altri 4 entro il nono giorno. "Continuano gli studi clinici in Israele. Attualmente è in corso lo studio della fase 3 che coinvolge un numero più ampio di pazienti - prosegue il presidente Marcucci -. La ricerca di un farmaco contro il Covid a base di anticorpi, guarda a quelle categorie di persone che hanno un quadro clinico particolare. Sto parlando ad esempio di tutti quelli che sono immunodepressi, primari o secondari, cioè chi ci è nato o chi ha sviluppato l’immunodepressione in un secondo momento". Certo, sarebbe davvero surreale se il nostro Paese comprasse da Israele una terapia messa a punto gratis da un medico italiano. Un medico ostacolato, lasciato solo e morto suicida. E al quale oggi il libro di Antonino D’Anna prova a rendere giustizia. - VAI AL LIBRO Read the full article
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Nel 2010 uccise in auto otto ciclisti, ora un nuovo omicidio stradale. Musicco: “Surreale che avesse ancora la patente”
L'avvocato Musicco: "Appare surreale che quest’uomo avesse ancora la patente pur essendo responsabile di uno dei più terribili incidenti degli ultimi decenni, aggravato dall’uso di droghe e dal fatto che gli fosse stata ritirata la patente" Il 5 dicembre 2010 Chafik Elketani, origine marocchina, investì e uccise otto ciclisti (altri due rimasero gravemente feriti) lungo la statale 18 Tirrenica, che da Lamezia porta a Gizzeria. All’epoca la patente gli era stata stata sequestrata da sette mesi, ma aveva continuato a guidare. Risultò sotto l’effetto di droghe e scontò cinque anni di carcere. Ora l’uomo è accusato dalla Procura di Catanzaro di un nuovo omicidio stradale, ai danni di un connazionale, Fennane Noureddine, 31 anni, morto dopo che la macchina, a causa dell’alta velocità, è uscita di strada e si è schiantata contro un guard rail. L’avvocato Domenico Musicco, presidente di AVISL (Associazione Vittime Incidenti Stradali, sul Lavoro e Malasanità) commenta: «Appare surreale che quest’uomo avesse ancora la patente pur essendo responsabile di uno dei più terribili incidenti degli ultimi decenni, aggravato dall’uso di droghe e dal fatto che gli fosse stata ritirata la patente. È vero che nel 2010 non esisteva la legge sull’omicidio stradale, ma già allora era possibile una revoca a tempo indeterminato. E non vedo casi più emblematici di questo per applicarla. Ci troviamo invece oggi a piangere una nuova vittima e ancora una volta, sembra, per un comportamento di guida fuori dalle regole di quella stessa persona di undici anni fa. Fatti del genere non sono tollerabili e non si devono più verificare. Una patente non è una formalità, è una cosa estremamente seria. E mi pare che gli sia stata restituita con incredibile leggerezza. Questo è un omicidio stradale che trova responsabilità anche nelle omissioni delle istituzioni». Read the full article
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COSA SONO E COSA OFFRONO LE CURE DEL “COMITATO TERAPIA DOMICILIARE COVID 19”?
In un recente post il dottor Mario Martinetti, anestesista e dirigente ospedaliero di Terapia del dolore e cure palliative a Sarzana, ha sviscerato la problematica delle cure precoci al CoViD-19, analizzando in dettaglio i farmaci e più in generale le strategie terapeutiche adottate per assistere i pazienti malati di CoViD-19 presso il loro domicilio. Ultimamente, si è guadagnato una notevole popolarità il “Comitato Terapia Domiciliare CoViD-19”, un’associazione che ha definito e promosso, attraverso la rete di medici suoi aderenti, un “ protocollo di cure domiciliari”, utilizzato in numerosi casi, che mira a evitare l'aggravamento dei pazienti, scongiurando il ricovero in terapia intensiva e, quindi, un esito infausto della malattia. Al riguardo, abbiamo interpellato il dottor Mario Martinetti.
Cosa può dirci sul “protocollo” predisposto da questo comitato? Innanzitutto una premessa: l’attenzione verso le cure domiciliari al CoViD-19 è molto importante, per cui sono benvenute iniziative in questo senso. Quella promossa da questa associazione ha il pregio di aver riunito numerosi colleghi e di aver raggiunto una quantità significativa di pazienti che, per varie ragioni, non avevano potuto trovare un’assistenza medica adeguata. Entrando nel merito, di che cosa si tratta? Prendo a riferimento il documento standard prodotto dal comitato, che ho trovato disponibile in rete, denominato “schema terapeutico di terapie domiciliari CoViD-19”. Faccio presente che non si tratta dell’unico contributo di questo genere. Esiste, per esempio, un protocollo con la stessa finalità, ma con un approccio sostanzialmente diverso e basato sul ricorso ad altri farmaci, elaborato dall’istituto Mario Negri sotto la supervisione di un illustre medico e ricercatore italiano, il Prof. Giuseppe Remuzzi. Preciso che, fin dalla prima pagina, lo “schema terapeutico” del comitato in questione si presenta, correttamente, come rivolto ai medici. Ciò non solo per evitare che esso venga utilizzato da persone senza competenza, o addirittura dai pazienti in “automedicazione” - a tal riguardo confermo che questo si configurerebbe come un pericoloso errore - ma anche perché esso, cito testualmente “è un suggerimento che presuppone la necessità di individualizzare la terapia sulle condizioni e caratteristiche del paziente, e deve essere eseguito sotto prescrizione e controllo medico”. Mi sia consentito aggiungere che questa ineccepibile avvertenza fa giustizia delle distorsioni propagandistiche, certo non alimentate dai membri del comitato, di cui è stato oggetto sui social e da parte di un'informazione poco attenta. Secondo i suoi ideatori, insomma, esso è uno strumento da maneggiare con saggezza e cautela da parte degli esperti, e non una sorta di “pozione magica”. Il documento consta di 5 premesse, funzionali all’obiettivo dello “schema ter in 3 fasi, in ragione della sua severità. In realtà nel documento esiste una quarta fase, detta fase 0, in cui il paziente è positivo ma asintomatico. Il documento restringe espressamente il proprio campo di applicazione alle sole fasi 0, 1 e 2, tralasciando di occuparsi della fase tre, di pertinenza prettamente ospedaliera. La seconda e la terza premessa sono, per così dire, il “sale” del protocollo, che dichiara di discostarsi significativamente dalle indicazioni ministeriali in materia di cure domiciliari, volgarmente e impropriamente definite “tachipirina e vigile attesa”. Sintetizzo: lo schema terapeutico si caratterizza per proporre un intervento significativo con uso di farmaci, che poi vengono dettagliatamente specificati, sin dalla fase 1. La cosiddetta “vigile attesa” viene considerata un approccio inadeguato. La quarta premessa precisa che non si prendono in considerazione farmaci antivirali in quanto, come conferma la letteratura scientifica, si sono dimostrati inefficaci La quinta è un accenno, generico, a promettenti studi in corso, non ancora conclusi, sul ruolo svolto nella malattia dalla flora batterica intestinale. Lo “schema terapeutico vero e proprio si propone questi obiettivi: - tempestività di intervento, - schema semplice facilmente memorizzabile e comunicabile anche telefonicamente - utilizzo di farmaci facilmente reperibili, - uniformità dei trattamenti anche in vista di raccolta dati per studi scientifici - sostenibilità economica Sui primi tre punti, nulla da eccepire. Sul quarto e il quinto sono doverose alcune osservazioni. Attualmente, il protocollo non è ancora stato studiato con le rigorose sperimentazioni richieste dalla scienza medica, rese pubbliche e verificate dagli esperti e dagli organi di controllo, il che mantiene un punto interrogativo sulla sua reale efficacia. Per quanto riguarda la sostenibilità dei costi, va detto che, secondo attendibili stime, l'onere economico ha una certa consistenza (circa 300 euro). Questo perché per molti farmaci l’acquisto è totalmente a carico del paziente, non essendone previsto il rimborso dal sistema sanitario nazionale appunto perché i loro effetti sulla malattia da sars cov2 non sono stati ancora sperimentati. Il loro uso, in altre parole, viene considerato “off-label”, cioè fuori indicazione, e rimesso quindi alla diretta responsabilità del singolo medico, dopo prudente valutazione “in scienza e coscienza”. Vogliamo esaminare il trattamento domiciliare individuato dal documento per le varie fasi della malattia? Certamente. Incominciamo dalla FASE 0. Viene consigliata la somministrazione di vitamine C, D3 e K2, Quercitina, Lattoferrina, Zinco Picolato, Resveratrolo. Le dosi non sono irrilevanti. Come già spiegato, non è stata dimostrata l’efficacia di questi integratori nel trattamento di pazienti con CoViD-19 asintomatici. E’ appena il caso di notare che i farmaci indicati hanno effetti collaterali di un certo peso, specificati nelle rispettive schede informative. In alternativa si consiglia isolamento, alimentazione, idratazione adeguata e controllo saturazione, senza trattamenti farmacologici, che è esattamente quanto viene consigliato dalle indicazioni ministeriali in materia di assistenza domiciliare dei malati CoViD-19, la cosiddetta “vigile attesa”. Sottolineo che spesso, ingiustamente, la “vigile attesa” viene considerata un semplice rinvio dell’assistenza all’aggravarsi del paziente, mentre si tratta di una “sorveglianza clinica attiva” da parte del medico, impegnato a cogliere tempestivamente i segnali di un possibile peggioramento nelle condizioni del malato.. FASE 1 Vengono elencati numerosi farmaci, da utilizzare solo dopo aver accertato se il paziente assuma altre terapie che possano interferire. Viene sconsigliato l’uso del Paracetamolo in favore degli antinfiammatori “FANS”, in quanto ridurrebbe la presenza del Glutatione ridotto, che è un importantissimo fattore enzimatico ad azione antiossidante e antiradicali liberi. E su questo si può essere anche d’accordo, almeno in assenza di controindicazioni per l’utilizzo del FANS. Tra i farmaci consigliati�� troviamo i FANS come Aspirina, Indometacina, Ibuprofene, Celecoxib. Si raccomandano l’Idrossiclorochina, per le sue proprietà antinfiammatorie, immunomodulanti, antitrombotiche, antibiotici come l’Azitromicina, anticoagulanti come Enoxaparina, e sedativi per la tosse e antidiarroici. In calce al documento si suggerisce un antiparassitario come l'Ivermectina specificando che in Italia non è autorizzato dall’AIFA (agenzia italiana del farmaco). Esaminiamo l’ Idrossiclorochina. Il protocollo si premura di indicare tutta una serie di fattori di rischio, non propriamente marginali, da tenere sotto controllo nei pazienti che la assumono. In conseguenza di ciò si precisa che la prescrizione di questo farmaco richiede consenso informato scritto e rilascio di informativa al paziente. Sulla stato della ricerca e della sperimentazione sull’uso dell’”idrossiclorochina” come farmaco anticovid, mi sono già espresso in un precedente post. In sintesi, gli studi sino ad ora pubblicati mostrano che l’Idrossiclorochina non ha nessun effetto profilattico nella prevenzione del CoViD-19 e che la sua somministrazione non è correlata a una diminuzione di mortalità nei casi di CoViD-19. Non c’è stato alcun significativo effetto positivo sulla mortalità nemmeno dalla somministrazione di Idrossiclorochina più Azitromicina, che pure compare nelle linee guide della terapia domiciliare. FASE 2. Con l'aggravarsi della malattia il protocollo delle terapie domiciliari comincia a prescrivere farmaci sempre più importanti. In fase 2 infatti vengono consigliati corticosteroidi, anticoagulanti, ossigenoterapia, broncodilatatori, inibitori dei Leucotrieni e integratori, questi ultimi a discrezione del medico, scelti tra quelli elencati nella fase 0, con l’avvertenza di non complicare troppo la cura al fine di renderla di facile attuazione e memorizzazione. Per quanto riguarda corticosteroidi, anticoagulanti e ossigenoterapia non ci allontaniamo di molto dalle indicazioni ministeriali. Tra i broncodilatatrori, vengono consigliati Beclometazone/formoterolo, ma attualmente solo il budensonide (cortisonico inalatorio) ha avuto qualche evidenza di efficacia, ancora da convalidare. Nessuno studio convalida gli inibitori dei leucotrieni. Che conclusione possiamo trarre? Lo schema terapeutico del Comitato terapie domiciliari CoViD-19 costituisce un apprezzabile tentativo per migliorare la cura dei malati al proprio domicilio, tuttavia non si può affermare con sicurezza la sua validità. Come già detto, ci troviamo in una fase in cui sono disponibili solo dati osservazionali forniti dai medici che lo praticano, senza evidenze risultanti da una sperimentazione scientifica con tutti i crismi. Inoltre, se, come appreso da dichiarazioni dei medici del Comitato, circa il 98 % dei loro pazienti non viene ospedalizzato, il risultato non è significativamente diverso da quando indicano le statistiche sulla malattia, laddove il tasso di ospedalizzazione in tutta Italia dei malati domiciliari, curati in altri modi o secondo le linee guida ministeriali, è pressoché identico. Ribadisco quindi un concetto già più volte espresso: allo stato attuale delle conoscenze scientifiche chiunque inviti a non vaccinarsi promettendo di far guarire dalla malattia dovuta a Sars CoV-2 con le cure domiciliari precoci è da ritenersi portatore di un messaggio fuorviante e deontologicamente non accettabile. Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI Read the full article
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Crimine infinito, i tentacoli della ‘ndrangheta sul nord italia
Fulvio Benelli e Cristiano Barbarossa parlano del loro romanzo verità Crimine infinito, che offre uno spaccato impietoso sul preoccupante livello di penetrazione della più pericolosa organizzazione criminale calabrese nella società lombarda
Cronaca Vera dedica due pagine al libro "Crimine infinito", clicca sulla foto e vai al libro Da Cronaca Vera Fulvio Benelli e Cristiano Barbarossa sono due giornalisti e scrittori noti per le loro inchieste, anche televisive, sui più discussi casi di cronaca nera e giudiziaria.. Negli ultimi anni realizzato dei documentari per il programma “Tutta la verità”, trasmesso da Discovery Channel e Nove Tv. Il loro recente romanzo, "Crimine Infinito", pubblicato lo scorso aprile da Fandango Libri è un thriller di ambientazione italiana, avvincente e pieno di colpi di scena, con tuttavia una precisa particolarità: i fatti in esso narrati sono tutti desunti, a parte i nomi dei personaggi e di taluni luoghi, dagli atti ufficiali di un'inchiesta sulle infiltrazioni ‘ndranghetiste in Lombardia, durata dal 2003 al 2009 e conclusasi successivamente con la condanna di 200 persone per svariati, gravissimi reati. Perché invece di un libro inchiesta giornalistico sull'indagine "Crimine Infinito", avete scritto un "romanzo verità"? La forma del romanzo è stata dettata dal fatto che abbiamo sentito la necessità di renderci testimoni non solo dei meri fatti ma anche degli altri livelli di lettura che tutta questa vicenda poteva offrire. L’aspetto interessante per noi non era la nuda cronaca, ovvero il “come” la ‘ndrangheta si sia impossessata e stia continuando a colonizzare ampi settori della società civile, dello Stato e del tessuto economico nel nostro paese, ma soprattutto il “perché”.
Clicca sulla foto e vai al libro Qual è la ragione delle infiltrazioni ‘ndranghetiste'? Sono le debolezze nella quali si insinua, insiste e prolifera la criminalità organizzata. Perché un magistrato diventa organico alla ‘ndrangheta? Perché un imprenditore brianzolo finisce nelle sue maglie? Non è un caso, ad esempio, che la narrazione muova i primi passi nella produttiva Lombardia e non in Calabria. Ridurre tutto a dei fattori economici o di coercizione – che ovviamente ci sono - sarebbe stato riduttivo. C’è un problema culturale o, se vogliamo, di scelte. Se la ‘ndrangheta è un cancro, l’Italia - e non solo, viste le tante ramificazioni all’estero - è un corpo molle, già malato. Predisposto alle sue metastasi. A chi si rivolge il vostro libro? A tutti, per questo abbiamo scelto la narrativa. È sì un noir, un poliziesco fitto di avvenimenti, ma racconta anche la realtà sociale del nostro paese. A noi interessa di più la verità storica rispetto alla cronaca, rappresentata dalle migliaia di pagine di atti d’indagine, che pure abbiamo letto e che segnano i passaggi e i tanti colpi di scena del romanzo. Il nostro è un libro pensato per i lettori, che hanno il diritto di essere informati, meglio se attraverso una storia intrigante e appassionante, ma è al tempo stesso anche un monito per i lettori che verranno. Crediamo che sia importante provare a lasciare una traccia per il futuro. C’è un personaggio del vostro libro che colpisce particolarmente perché sembra davvero, per la sua straordinaria suggestività, una riuscita invenzione narrativa. Sto parlando di “Infinito”… In realtà non è un’invenzione, perché è proprio vero che la realtà spesso supera la fantasia. Nel personaggio Infinito - che è invece il vero nome con cui viene designata una delle più alte cariche della ‘Ndrangheta- emerge con chiarezza la forma mentis delle più alte sfere del potere, la zona grigia che infesta questo Paese. Lui appare come un povero anziano attaccato a un respiratore artificiale che vive in un'anonima palazzina del nord Italia, ma in realtà -come lui stesso racconta- è il ponte segreto dove Stato e antistato si incontrano per fare affari, fino a divenire una cosa sola. https://www.youtube.com/watch?v=PI9KkzgUD-U L'intervista di Rino Casazza a Fulvio Benelli e Cristiano Barbarossa sul nostro canale Youtube Che programmi avete per il futuro? Stiamo preparando una serie di podcast, anzi delle vere e proprie docu-fiction, con più di venti attori coinvolti, tratti da un nostro format, “History noir”, sui grandi avvenimenti della storia riletti con gli stilemi del crime. L’idea è quella di far fruire la storia in un modo nuovo, più contemporaneo, meno ingessato. In contemporanea stiamo lavorando a un documentario su Daphne Caruana Galizia, la giornalista investigativa assassinata in un attentato a Malta. Poi cerchiamo nuovi produttori per realizzare altre stagioni di Tutta verità, abbiamo molti titoli in cantiere. In ultimo, stiamo mettendo a punto la sceneggiatura tratta del libro, per realizzare una grande serie tv di “Crimine Infinito”. Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI *** IL LIBRO Crimine infinito, di Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli - QUI Read the full article
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Giuseppe De Donno: a Marina di Massa la "prima" del libro
Clicca sulla foto e vai al libro Il racconto comincia qui. Si terrà a Marina di Massa nel giardino di Villa Cuturi il 10 settembre alle ore 21.00 la presentazione in "prima" assoluta del libro Giuseppe De Donno - Il medico che guariva con il plasma iperimmune (editore Ventizeronovanta, edizione cartacea ed ebook per Algama disponibile su tutte le piattaforme online). L'evento è organizzato dall'Associazione La Rivincita presieduta dall'avvocato saronnese Carmen Federico, con il patrocinio del Comune di Massa. Insieme all'autore Antonino D'Anna ci saranno anche il direttore di RPL - La tua radio Giulio Cainarca, e l'artista massese Emanuele Rebughini adornerà con le sue opere il giardino di Villa Cuturi. "Sono grato a Carmen Federico che ha spontaneamente deciso di organizzare questa serata di presentazione e l'ha fortemente voluta.", dice D'Anna che aggiunge: "La storia del plasma iperimmune non è affatto terminata: sappiamo che la cura funziona a determinate condizioni, come da uno studio sul quale hanno lavorato i medici di Padova dove è stata anche costituita una biobanca del plasma". Inoltre - sottolinea - "Il plasma costa poco, viene dal popolo e può salvare vite umane. Raccontare l'impegno di De Donno è anche ricordare come a Mantova e Pavia nella primavera del '20 sia stata creata una prima linea di difesa contro un virus del quale allora nessuno sapeva nulla. A maggior ragione vogliamo sapere perché la sperimentazione mantovana, giunta alla fine della Fase 1 nel maggio di quell'anno, sia stata superata da una sperimentazione iniziata ex novo a Pisa per volontà del Ministero della Salute. Stiamo ancora aspettando di sapere il perché", conclude. *** Giuseppe De Donno – Il medico che guariva dal covid con il plasma iperimmune – LIBRO ED EBOOK Giuseppe De Donno – Lo speciale sul plasma imperimmune di Fronte del Blog – GUARDA Archivio Documenti Covid-19 - GUARDA Read the full article
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Chi era Jack lo Squartatore? Il mistero in un thriller - Un capitolo in esclusiva
Chi era Jack lo Squartatore? Il giallista Rino Casazza ne romanza i delitti negli ultimi suoi due thriller apocrifi su Sherlock Holmes, in cui il grande investigatore viene affiancato da Auguste Dupin. Su Fronte del Blog un capitolo in esclusiva. E i video sulla ricostruzione storica dei fatti: un dialogo tra Rino Casazza e Gian Luca Margheriti, autore de "Lettere dall'inferno: la vera storia di Jack lo Squartatore" Ancora per pochi giorni in edicola per I gialli di Crimen "Sherlock Holmes, Auguste Dupin e la fine dello Squartore", disponibile in cartaceo sul sito di Teaserlab , e in digitale per Algama. Per l'occasione, due video in cui, con il contributo di Gian Luca Margheriti, esperto della vicenda di "Jack lo Squartatore", cui ha dedicato il saggio "Lettere dall'inferno: la vera storia di Jack lo Squartatore", vengono sviscerate le soluzioni avanzate dal 1888 ad oggi ad uno degli enigmi più appassionanti, ancora irrisolto, della storia del crimine: l'identità serial killer che alla fine dell'800 seminò il panico nei quartieri popolari di Londra con i suoi delitti efferati. Di seguito un capitolo in esclusiva di "Sherlock Holmes, Auguste Dupin e la fine dello Squartatore", che propone una soluzione in chiave narrativa https://www.youtube.com/watch?v=O-RxDnx9gMQ&t=2848s https://www.youtube.com/watch?v=HQFhWjbX4xA&t=37s DA; SHERLOCK HOLMES, AUGUSTE DUPIN E LA FINE DELLO SQUARTATORE Le fatiche di Robinson: gli appostamenti non finiscono mai Londra, Berner Street, 22 ottobre 1888, ore 22. Albert Robinson stava sperimentando per la prima volta la fatica dell’investigatore. Fino ad allora era abituato troppo bene per aver partecipato solo alle indagini del Cavaliere di quarant’anni prima. Nei tre casi più famosi, il suo amico era giunto alla soluzione per via speculativa, senza doversi sporcare le mani. Nell’inchiesta sui delitti della Rue Morgue, si era limitato a interpretare interrogatori e sopralluoghi svolti dalla polizia. Per la sparizione e alla morte di Marie Roget, aveva ricostruito i fatti basandosi su resoconti giornalistici. Quanto all’indagine sulla lettera rubata, ne era venuto a capo grazie ad una sottile conoscenza della psicologia umana. Negli anni successivi, prima di laurearsi e tornare negli Stati Uniti, Robinson aveva affiancato il suo amico in un’altra decina di indagini di minor risonanza. Tutti casi in cui i committenti avevano preferito incaricare Dupin, oramai divenuto celebre, bypassando la polizia. Lui e il Cavaliere avevano dovuto lavorare su un terreno vergine, raccogliendo da soli le prove necessarie alla soluzione. Tuttavia questa parte operativa, senz’altro la più noiosa, non aveva richiesto grande dispendio di energie. In prevalenza si era trattato di colloqui con le persone coinvolte. Più raramente, di osservazioni dirette. Il metodo investigativo del suo amico era basato essenzialmente sulla riflessione. Spesso, gli aveva sentito dire che la logica era “connaturata alle cose”. Non era necessario conoscere in dettaglio i fatti per capire come si erano svolti, bastava afferrarne il senso profondo. L’inchiesta sullo “squartatore” era la prima in cui avevano avuto bisogno di procurarsi, con impegnativi sforzi, tutta la materia su cui esercitare la parte intellettuale del lavoro di detective, quella che il suo amico chiamava “interpretazione analitica”. Non poteva essere diversamente, visto che l’indagine doveva svolgersi in totale incognito. Robinson incominciava a mettere in dubbio quel proposito. Forse sarebbe stato meglio unire le forze con la polizia. In difficoltà come essa era, avrebbe accolto con favore la loro collaborazione. Avrebbero così avuto accesso a molte informazioni utili ora precluse ma soprattutto avrebbero potuto valersi, per il "lavoro sporco" finora destinato a lui e a Watson, di adeguati rinforzi. La replica di Dupin era stata secca: «Assolutamente no, Albert. La polizia è, e continuerà ad essere chissà per quanto tempo, d'intralcio ad una efficace investigazione» Robinson aveva preso atto di quel diniego, anche se, sapendolo condiviso da Holmes, gli rimaneva il sospetto che i due detective non ne volessero sapere di uscire allo scoperto perché consideravano affar loro quell'inchiesta. Dopo le laboriose indagini retrospettive sui primi delitti, erano venuti i lunghi e monotoni appostamenti notturni, e poi la ricerca, altrettanto complicata, del "poliziotto assassino" e del "falso testimone". Per la verità Robinson, convinto che gli fosse toccata la pista decisiva, confidava che questa fase dell'inchiesta si concludesse presto con successo. La fatica nel rintracciare Alfred Long non lo aveva disturbato più di tanto. Stabilito che quest'ultimo non era il maniaco, il colpevole non poteva che essere l'altro poliziotto. Purtroppo, indagare sull' agente William Smith si era rivelato tutt'altro che semplice. Watson si doleva delle difficoltà che incontrava a chiarire la posizione di Israel Schwartz, ma lui stava penando ancora di più. Eppure era partito col piede giusto. Prima di congedarsi da Alfred Long aveva approfittato della familiarità creatasi tra di loro per chiedergli dove poteva rintracciare Smith. Non c'era nulla di strano se anche questi, primo membro della polizia richiamato sul luogo del delitto di Berner Street, suscitasse l'interesse di uno straniero "cacciatore di autografi" di poliziotti in prima linea nella caccia allo squartatore. Long l'aveva accontentato di buon grado. Non conosceva Smith personalmente, ma sapeva che, dopo aver prestato servizio a Withechapel ovest, lo avevano assegnato a Spitafield. Un ottimo inizio. Il perimetro della ricerca era ristretto. La foto di Smith era nota, per cui contava di intercettarlo facilmente girando per Spitafield. Si illudeva. Questo quartiere, sede del più grande mercato dell'East End, era un vero porto di mare. Dopo tre giorni di inutile girovagare, il problema di accelerare la ricerca si era ripresentato. Il Cavaliere e Holmes continuavano a predicare pazienza, ma Robinson non condivideva il loro attendismo. Checché ne dicessero, più i giorni passavano e più il rischio di un nuovo delitto aumentava. Dovevano assolutamente evitare il sacrificio di un’altra poveretta. Era anche vero che che questa volta esporsi era più pericoloso che nel caso di Alfred Long. Avendo a che fare col vero "squartatore", il pericolo che si accorgesse di essere sotto osservazione era più grande. Poi, il caso lo aveva favorito. Mentre passeggiava per il mercato, gli era giunta all'orecchio la voce squillante di un giovane venditore che invitava il pubblico alla sua bancarella in modo inconfondibile: "qui per voi i fiori più belli dell'East End: piacciono anche a Jack!!” Costui corrispondeva inequivocabilmente alla descrizione che Watson aveva fatto del figlio di Mattew Packer. Quel ragazzo così sveglio dopo aver aiutato il dottore poteva dare una mano anche a lui. Si era avvicinato alla bancarella e, seguendo l’esempio dell’aiutante Holmes, aveva attaccato discorso chiedendo il perché di quel curioso richiamo. Sperava che il giovane Packer, frequentando il mercato di Spitafield, sapesse come rintracciare in quel quartiere il poliziotto, di certo a lui noto, che aveva, come il padre, visto lo “squartatore" a passeggio con Liz la lunga per Berner Street. Robinson aveva fatto centro. Il giovane Packer gli aveva rivelato di aver incontrato l'agente Smith nella zona tra Clavin Street e Quaker Street. Inoltre, sapeva, attraverso il genitore, che il poliziotto abitava in Bishopgate Street, era vedovo e aveva un figlio di una trentina d'anni, che lavorava al porto. Il luogo di residenza di Smith e la sua situazione famigliare ne facevano un candidato ideale come “squartatore”. Da Bishopsgate Street avrebbe potuto agevolmente raggiungere tutti i luoghi dei delitti, all’insaputa del figlio. Conducendo vita autonoma, i due dovevano essere abituati alle reciproche assenze da casa. Robinson pensava di aver fatto un grande passo avanti, ma ben presto si era accorto che non era così. Innanzitutto, con una certa sorpresa, sia Holmes che Dupin non avevano attribuito un’importanza decisiva alle sue scoperte su Smith. E dire che lui si aspettava addirittura di essere affiancato, per intensificare le indagini su costui, anche da Watson. Di fronte ad una svolta tanto significativa, era del tutto naturale concentrare le forze. «Hai lavorato molto bene, Albert» aveva detto il Cavaliere «ma bisogna riconoscere che Israel Swartz continua ad avere tutte le carte in regola come “squartatore”. «Io andrei oltre.» aveva rincarato Holmes «Swartz è molto più sospetto di Smith. » «Non direi proprio.» aveva obiettato Robinson «Swartz si espone fin troppo nella sua testimonianza. Tutti quei dettagli sul comportamento dell’omicida e della vittima… E poi riferire la presenza sul posto di un’altra misteriosa persona… Se l’assassino è lui, gli sarebbe convenuto mantenersi sul vago, come ha fatto Smith sostenendo di aver incontrato due persone che passeggiavano tranquillamente...» «Se per questo, il racconto di Swartz » aveva chiosato il Cavaliere «risulta più credibile proprio perché elaborato.» Insomma: Robinson aveva dovuto fare di nuovo i conti con l'estrema e persino eccessiva cautela dei due capi della “squadra”, che non intendevano abbandonare nessuna delle due piste. Tutto sommato, poco male. Poiché rimaneva convinto che Smith fosse il giusto bersaglio, si trattava solo di trovare la maniera migliore per incastrarlo. Adesso che sapeva la via dove abitava, la prima cosa da fare era scoprire l'indirizzo esatto, concentrandosi nel raccogliere informazioni su di lui nei dintorni di casa. Qualcosa di sicuro sarebbe dovuto venir fuori. Impossibile che, mettendola sotto stretto controllo, l'apparenza normale del maniaco non mostrasse crepe. Dupin e Holmes avevano approvato, raccomandandogli ancora una volta di muoversi coi piedi di piombo. Nessuno doveva accorgersi che lui si era messo alle calcagna dell'insospettabile poliziotto. Be', fino ad allora non li aveva delusi, e riteneva di poter continuare a dare buona prova di sé. Che né William Smith né la gente di Bishopgate Street avessero avuto modo di sospettare di lui, era assolutamente certo. Solo che ciò non dipendeva dalla sua abilità. Non ce n'era stato il tempo. Dopo un paio di giorni inconcludenti in cui aveva dubitato che la fiducia in lui fosse mal riposta, era giunto un inatteso controordine. Quello per cui adesso era in tutt'altra parte di Londra a far la posta al vero sospetto. Colui che secondo il Cavaliere era lo "squartatore". Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI Read the full article
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Giuseppe De Donno: il ricordo in onda 7 settembre su Rete 4 alle 21.20
Una lettera per ricordare il dottor Giuseppe De Donno, suicidatosi il 27 luglio scorso. L'ha scritta sua sorella Lucia ed è stata pubblicata in anteprima su La Verità del 5 settembre. E' solo una parte del servizio che andrà in onda il 7 settembre dalle 21.20 nel corso della nuova puntata di Fuori dal Coro, il programma condotto su Rete4 da Mario Giordano. Il ricordo del dottore, le testimonianze, i pensieri su un uomo che si è fatto alfiere della cura sviluppata insieme ai colleghi del Carlo Poma di Mantova e dell'ospedale San Matteo di Pavia, fa da cornice a questa breve lettera nella quale Lucia chiede di ricordare un uomo che nella sua vita ha sempre avuto il desiderio di essere un medico e salvare vite umane. Un sacrificio generoso e nobile che lo ha spinto - rimasto orfano in tenera età - a studiare e laurearsi più e meglio degli altri pur di arrivare in corsia a rendere il suo servizio per tutti gli ammalati. La commovente testimonianza sarà letta nel corso della trasmissione. Accanto al ricordo ci sarà anche il libro Giuseppe De Donno - Il medico che curava con il plasma iperimmune scritto da Antonino D'Anna e che racchiude le testimonianze dei curati e guariti grazie alla cura sviluppata da De Donno e la sua equipe insieme ai colleghi del San Matteo. Una cura della quale il dottore si è fatto alfiere e portabandiera e che continua, a determinate condizioni, ad essere efficace. Appuntamento quindi su Rete4 alle ore 21.20 del 7 settembre nel ricordo di Giuseppe De Donno.
Clicca sulla foto e vai al libro *** Giuseppe De Donno – Il medico che guariva dal covid con il plasma iperimmune – LIBRO ED EBOOK Giuseppe De Donno – Lo speciale sul plasma imperimmune di Fronte del Blog – GUARDA Archivio Documenti Covid-19 - GUARDA Read the full article
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