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#recupero citazioni
princessofmistake · 10 months
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Ora tutto era silenzio assoluto e buio assoluto. Maurice si mise a camminare avanti e indietro su quell’erba consacrata, senza far rumore neppur lui, col cuore in fiamme. Il resto della persona si addormentò, pezzo per pezzo, e innanzitutto il cervello, ch’era il suo organo più debole. Lo seguì il corpo, poi i piedi Io trasportarono su per le scale così da sfuggire all’aurora. Ma il cuore si era acceso per non essere spento mai più, e finalmente ci fu in lui una cosa reale.
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abr · 1 year
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Elly Schlein è il trionfo del relativismo, del rapporto disinvolto (“fluido”, direbbe lei da buona attivista Lgbtq) con la verità, fondamentalmente della propaganda degenerata in cazzeggio a sua volta deflagrato nella balla esplicita. (...) Parziale campionario che illustra l’evanescente legame con la realtà di Elly (...). Pochi giorni fa, provando goffamente a cavalcare la protesta degli studenti in tenda (che non a caso non sono caduti nella circonvenzione e l’hanno sbalzata di sella): «Il Pd continuerà a spingere per convincere il governo a tornare indietro sull’errore madornale che ha fatto cancellando il fondo per gli affitti, 330 milioni di euro». (...) Il sito Pagella Politica ha dimostrato come il suddetto fondo, istituito nel 1998, non era stato rifinanziato già in cinque occasioni: «Nel 2012 durante il governo Monti, nel 2013 durante il governo Letta, nel 2016 durante il governo Renzi, nel 2017 e nel 2018, a cavallo tra il governo Gentiloni e il primo governo Conte». Tolto quest’ultimo, tutti esecutivi sostenuti dal Pd. (E) «Il mancato rifinanziamento del fondo nel 2023 era stato comunque previsto sia dal secondo governo Conte sia dal governo Draghi».
via https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/35870254/elly-schlein-campionessa-balle-sparata-giorgia-meloni.html
Schlein non è una mentitrice seriale, è solo ignorante: come le cretinette contestatrici del Min. Roccella al Salone del Libro, non sapendo leggere né avendo pensiero autonomo, han bisogno di slogan predigeriti altrimenti si spengono.
Contesto, ergo sum. Errore terrificante perdente e auto-inculante che grazie al cielo ha ammazzato le sinistre sin dai tempi del Berlinguer ... ma in cui ultimamente cadono sempre più indignadi di destra.
I quali stan financo diventando GLOBALISTI in ritardo: contraddizione massima per dei nazionalisti, cadono come polli nell'agenda sinistra più retrò. Difatti quante citazioni di comunisti da Chomsky giù fino a Giulietto Chiesa e Vauro tocca leggere tra chi leggo. Si arriva al recupero dell'antisemitismo più ignobile e ignorante in questi tempi sfigati senza pensiero in cui non a caso emergono le Schlein (della quale btw me ne fotto fin che sta di là, anzi ringrazio che esista).
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erik595 · 2 years
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Il tempo libero è principalmente dedicato alla preparazione per il lavoro, all'andare al lavoro, al rientro dal lavoro e al recupero dal lavoro. Bob Black . . . . . #bobblack #frase #frasi #frases #frasedelgiorno #frasitumblr #citazioni #aforismi #quote #quotes #quotestagram #lavoro #sfruttamento #capitalismo #anarchia #anarchico #anarchismo https://www.instagram.com/p/CnTxa_yLvce/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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patti-campani · 5 months
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Patti Campani Testo di presentazione al catalogo: Pietro Meletti La spirale degli eventi Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí   - El dinosaurio - Augusto Monterroso
"Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì" -  questo è il racconto di Augusto Monterroso: quello che Calvino indica come il più breve racconto nella storia della letteratura. Una visione completa in sé, ma aperta; separata dal resto dell’universo, ma in grado di comprenderlo tutto; un frammento capace di suggerire l'esistenza di ciò che sta fuori di lui non attraverso il riferimento, ma attraverso la propria instabilità. E il tutto  diventa possibile. E da qui parto per la mia breve presentazione a Spirale degli eventi per decifrare la chiave di lettura dell’operare artistico di Pietro Meletti. La sua produzione  si è articolata nel tempo per Cicli, sperimentazioni su materiali diversi, installazioni, performance, ricerca musicale, testi, un interscambio continuo dei linguaggi e delle scritture sempre sostenuto dalla imprescindibile necessità di creare. Del resto è proprio da un suo breve appunto affidatomi che Meletti dichiara la sua kunstwollen: Banalmente e sottilmente direi che il fine della mia urgenza creativa è la vita…ovvero, rileggendo la mia vita, l’urgenza creativa è il fine della mia vita. In questo senso mi pare evidente che  siamo di fronte ad una narrazione che si sforza di svilupparsi aderente alla vita dell’artista stesso che si prefigge nella sua espressione di tradurre un modo di pensare in un modo di vivere e viceversa naturalmente. E questo filo rosso  discreto e privato, ma universale e potente,  non l’ha mai abbandonato lungo tutto il corso dei suoi progetti. In questo senso la chiave di lettura, il codice da cui partire, mi pare racchiusa nella ricerca costante e continua di un possibile alfabeto espressivo fruibile e riconoscibile. Alfabeto che Meletti attinge a piene mani dal patrimonio di immagini facilmente reperibili e riproducibili dalle attuali tecnologie. Per questo penetra nelle immagini, le riconosce, le frammenta, le scompone,  se ne appropria: si tratta della costruzione di un  vocabolario e così lo rende pronto, ready made, all’uso; ridefinisce la sequenza e le parole sono lì pronte per essere usate. Crea il frammento instabile e vibrante di infinite possibilità che mi ha condotto a Monterroso.
Radici profonde e storiche ha l’uso del frammento che è stato oggetto della costante sperimentazione formale e linguistica teorizzata e praticata in campo artistico nel corso di tutto il 900. In questo la poetica di Meletti ha basi intellettualmente forti. Se posso dare un riferimento in questo senso direi che il termine Bildidee - idea figurale – teorizzato da Albe Steiner, possa essere considerato il generatore della ricerca espressiva di Meletti. Un motivo ad un tempo formale e significativo, ancora allo stadio potenziale, che costituisca  gli elementi base, i frammenti dell’alfabeto espressivo appunto, necessari alla creazione di un costrutto linguistico autosufficiente: l’opera.Ogni risultato è sempre pensato, vissuto e creato come atto comunicativo. Dichiarato a volte nel coronamento del gioco linguistico: il titolo che può contenere i rimandi o le citazioni svelate o segretamente autobiografiche. Qui, in  Spirale degli eventi, troviamo saldi tra loro i ritagli di dieci anni di vita: momenti privati, vita  passata, letture, eventi, progetti, opere degli ultimi due anni, lo scritto Melettiano - che ci rende con parole ed in modo perfetto l’intera genesi del progetto - e il più recente a la suite de Max Bill.Ci muoviamo all’interno di questo nuovo racconto sempre condotti dallo sguardo dell’artista a sonda del reale: una  visione attenta ai particolari e in grado di isolarli  prelevandoli dal loro contesto per renderceli con una nuova identità significativa che è quella propria dell’autore. La funzione della memoria, del recupero e della sua trasformazione sono ben lontane da un riuso acritico, sono piuttosto una sempre nuova definizione dettata dal fare artistico. L’ingresso in questa memoria di reperti visuali, in questo archivio di immagini  crea un tracciato , una migrazione degli elementi iconografici  in infinite versioni e varianti,  condotta su segni di tensione emotiva e culturale imprevedibile ma mai casuale. E così in questo diario senza una continuità temporale, ci viene consegnata quell’identità sostenibile che mi è permessa - riportando proprio le parole di Meletti -, l’unica possibile anche per noi.  Ma naturalmente anche questo non è che un altro Frammento di una storia vista dall’artista. E qui ringrazio  per le parole perfette - e che ho rubato - Gianfranco Baruchello, intravisto  con mia gioia tra  le letture citate e gli artisti amati presenti in  Spirale degli eventi di Pietro Meletti. Patti Campani
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Quando un libro parla proprio di te
ITA: In questo articolo l'autrice recensisce il libro Lontano dalla vetta. Di donne felici e capre ribelli di Caterina Soffici, che racconta del suo anno passato in una baita a 1700 metri di altitudine durante il covid. Il testo si colloca a metà tra un diario ed un saggio,  con citazioni e poesie di donne e uomini che con la montagna hanno intrattenuto un rapporto speciale. Racconta il percorso di scoperta della vita in montagna e le relazioni con alcune importanti figure femminili, come la pastora detta la Regina delle caprette; analizza la quotidianità di chi ha fatto della montagna la propria casa in chiave profondamente femminile; descrive le capre come animali intelligenti e ribelli. Il romanzo attraversa le stagioni ed è un percorso di consapevolezza e recupero della connessione con sé stesse/i. 
ENG: In this article the author reviews the book Far from the Summit. Of Happy Women and Rebellious Goats by Caterina Soffici, who recounts her year spent in a cabin at 1700 meters above sea level during covid. The text is somewhere between a diary and an essay, with quotes and poems from women and men who had a special relationship with the mountains. It recounts the journey of discovery of life in the mountains and relationships with some important female figures, such as the shepherdess known as the Queen of the goats; it analyzes the everyday life of those who have made the mountains their home, in a deeply feminine way; it describes goats as intelligent and rebellious animals. The novel traverses the seasons and is a journey of awareness and recovery of connection with one self.
🖊️: Sara Marsico
#toponomasticafemminile
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fashionbooksmilano · 3 years
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Gherardini
Eva Desiderio
Electa, Milano 2010 , 160 pagine , 122 illustrazioni , italiano/inglese, 25,5x28 cm., ISBN  978-8837076047
euro 35,00
email if you want to buy :[email protected]
Il volume presenta la storia di Gherardini, uno dei marchi più noti nella pelletteria italiana, in occasione dei 125 anni della maison. Dal laboratorio artigianale aperto a Firenze da Garibaldo Gherardini alla nascita della nota “G”, dall’uso del tessuto Softy che ha portato alla ribalta il marchio negli anni settanta-ottanta alla parentesi giapponese, fino al ritorno del brand in Italia che, grazie all’esperienza della famiglia Braccialini, ha riportato la griffe al recupero di modelli classici e reinterpretazioni contemporanee. Attraverso i testi giornalistici di Eva Desiderio, preceduti da una premessa di Renzo Gherardini e da una prefazione diCaterina Chiarelli, Electa propone una monografia inedita che definisce un percorso di stile, attraverso un excursus nel mondo della moda dalla fine dell’Ottocento ad oggi. Le tappe fondamentali del marchio, fondato nel 1885 da Garibaldo Gherardini, sono esposte cronologicamente e raccontano l’evoluzione del brand nella storia del costume: a partire dalla realizzazione di astucci - scrigni per signora in cuoio fiorentino con dorature che ricordano le decorazioni dei palazzi del Rinascimento -, la famiglia Gherardini tramanda la “tradizione” di generazione in generazione e, in sintonia con il proprio tempo, dà inizio alla produzione di pochette da sera, borsette con una delicata “G” nascosta sotto la chiusura, ricamata o stampata in oro, in velluto, in pizzo, oppure in rettile sfumato.
E ancora abbigliamento e accessori come foulard, occhiali, ombrelli, shopper, e borse con nomi simpatici come la Bellona, la Piattina, o la 1212, fino ai modelli di oggi rivolti a donne e a ragazze che vivono la borsa come un contenitore di sogni ma anche di tutto quello che serve per la dinamica, nuova, quotidianità. Con ritmo incalzante nel volume si alternano citazioni e immagini di grande impatto. Arricchiscono il racconto iconografico alcune schede monotematiche di approfondimento, dalla nascita della borsa come oggetto maschile, ai materiali di finitura per l’alta qualità della linea di produzione, fino al tessuto Softy, alle attività legate ad Amazonlife e al progetto E-CO-Branding. Concludono il libro le descrizioni del recupero dei vecchi modelli e le nuove sfide legate alle attività del 125° anniversario.
SOMMARIO Dal 1885 al 1950 / From 1885 to 1950 La famiglia Gherardini / The Gherardini Family La storia della borsa / The History of Handbags Dal 1950 al 1980 / From 1950 to 1980 Materiali / Materials La bottega / The Shop Softy e Millerighe / Softy and Millerighe Dal 1980 al 2007 / From 1980 to 2007 La Collezione Oggi / The Oggi Collection Dal 2007 a oggi / From 19980 to the Present Re-Thinking Monna Lisa E-CO-Branding
11/03/22
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rapstories · 5 years
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Mai giudicare un libro dalla copertina... e un disco? Perchè no!
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La musica, una forma d’arte che a primo impatto potrebbe sembrare puramente intangibile ed eterea, da decenni invece si serve anche del potenziale comunicativo delle immagini. L’apporto della comunicazione visiva delle cover di cassette, CD, vinili e altri supporti ha infatti plasmato in maniera innegabile l’immaginario non solo di moltissimi artisti, ma anche di interi generi, tra cui ovviamente il rap. Non dovremo quindi sorprenderci se anche tra vent’anni la nuova generazione di rapper dovrà vendere ancora copie fisiche, oltre ad aggiornare il proprio profilo Spotify (o almeno si spera), o qualunque altro sarà il metodo di fruizione della musica nel futuro. Possiamo dire con una buona dose di certezza che la copertina di un disco sarà fondamentale tra vent’anni come tra cent’anni, così come lo è stata e lo è tutt’ora. 
La cover è un aspetto estetico significativo dell’intenzione dell’artista: può essere lo specchio dei suoi interessi come può riassumere il contenuto dell’album. In altri casi può essere semplicemente un mero feticcio estetico, eppure - soprattutto in tempi come questi - il valore della componente estetica è inquantificabile. Che si limiti a restare nel booklet del CD o nella cover del vinile, oppure che si limiti ad essere un file .jpg utilizzato come cover negli store digitali, o ancora che finisca per essere stampato su migliaia e migliaia di accessori e capi di merchandising, l’iconografia di ciascun disco incide in maniera notevole sull’impatto che un disco ha sugli ascoltatori, sul mercato e in generale sulla cultura pop dei tempi correnti e, nel caso dei classici, su quella futura.
Il rap, genere nato grazie al recupero, al riutilizzo e alla rivisitazioni di canzoni e componimenti già esistenti, anche a livello grafico non è da meno: frequenti sono infatti le citazioni ad artisti, letterati, registi, fotografi e opere provenienti da altri generi e altri medium. Abbiamo deciso di analizzare due esempi piuttosto esplicativi di questa tendenza, ma scavando nel web - soprattutto declinando la ricerca al mondo del rap americano - i risultati sono tantissimi, fin troppi per essere raccolti in un solo elenco; servirebbe una vera e propria antologia.
Il primo esempio è “Quello Che Vi Consiglio Vol. 4″, il quarto capitolo della celebre saga di mixtape di Gemitaiz rapper che ha esordito nel 2009 e che nel decennio successivo si è imposto come una delle voci più autorevoli della scena italiana. La copertina di questa istallazione della saga, risalente al 2013, si ispira alla celeberrima foto di Eisenstaedt. Una cover che cita indirettamente le passione dell’artista per il cinema: nei suoi lavori possiamo trovare riferimenti a Gus Van Sant, Werner Herzog e altri cineasti che hanno ispirato i suoi testi, nonchè ad altri musicisti, autori - tra i più ricorrenti troviamo gli scrittori della beat generation, su tutti Jack Kerouac - e pittori. In questo caso la reinterpretazione dello scatto è tanto apparentemente impercettibile quanto d’effetto: Gemitaiz non si sostituisce agli iconici protagonisti dello scatto, anzi, si mischia allo sfondo. Una scelta che sembra stridere con la mania di protagonismo che è parte integrante dell’attitudine rap, ma che in realtà ben si sposa con l’immaginario del rapper romano, che si è sempre contraddistinto per la capacità di dar voce alle vite di tanti, alle vite dei dimenticati, soprattutto agli esordi della carriera. Nella cover torna a mimetizzarsi tra la folla, cosa che non può più fare nella vita reale a causa della notorietà, ma che gli riesce ancora bene quando prende un foglio e una penna per dedicarsi allo storytelling.
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Il secondo è “Persona“ di Marracash, attesissimo lavoro del rapper di Barona - storico quartiere di Milano -, che arriva a quattro anni di distanza dal suo ultimo lavoro solista. Indubbiamente il disco più atteso di questo 2019, che ha nuovamente consegnato Marracash all’Olimpo degli interpreti di questo genere in Italia, grazie ad un concept album dalle intenzioni tanto ambiziose quanto artisticamente impressionanti. L’album è infatti un’analisi introspettiva ma anche un fortissimo confronto tra Marracash e Fabio Rizzo - questo il nome dell’artista all’anagrafe -, tra persona e personaggio, tra ciò che siamo, ciò che pensiamo di essere e ciò che gli altri percepiscono di noi. E’ davvero possibile ritenere queste tre figure diverse? Esiste un “noi” in quanto noi, oppure esistiamo solo in virtù di ciò che vediamo riflesso di noi negli altri?
Si tratta di un argomento intrigante e complicato, già affrontato dal regista Ingmar Bergman in un film del 1966, dal titolo omonimo del disco di Marracash. La citazione ovviamente non è casuale, così come la scelta della cover del rapper, che ha rivisitato - anche se in maniera impercettibile - proprio una scena carica di pathos dell’opera cinematografica. Caratteristica dell’opera di Bergman è anche una forte natura metatestuale: il regista riflette sul cinema, e lo fa anche con scene d’impatto come quelle in cui si vede una pellicola bruciare o una mano bucata da un chiodo, come nei capisaldi del Surrealismo cinematografico europeo dei vari Buñuel e Léger. Bergman ispirò infatti fortemente il pensiero dei fautori della Nouvelle Vague come di altre correnti cinematografiche del continente, proprio grazie ai suoi lavori e le sue riflessioni tanto uniche da considerarlo uno dei registi più autorevoli della Settima Arte. In periodi dove mezzi semplici, attori semiprofessionisti e bianco e nero erano gli unici strumenti a disposizione, le opere del regista riuscivano e combinarli in un connubio perfetto, orientato all’analisi dell’essere umano. Questo non significa però che ciò che c’è stato prima vada però considerato scadente:così come i dischi precedenti di Marracash hanno tutti un proprio valore intrinseco, allo stesso modo i capolavori neorealisti hanno comunque giovato di importanti strutture e di mezzi di qualità distribuiti da aziende come la Ferrania Film, ricollegabile ai classici del Neorealismo italiano di Fellini e De Sica, incisi in maniera immortale proprio nelle pellicole Ferrania.
In Persona Marracash però non si addentra nel sentiero metatestuale, si limita ad abbracciare il percorso di autoanalisi, e il risultato è liricamente impressionante, sin dalla prima traccia, sin dal primo ascolto. Anche qui ritroviamo svariati riferimenti letterari, artistici e cinematografici, talmente tanti che è difficile tenere il conto. Ci aveva però già abituato a questo modus operandi: era il 2011, usciva il suo disco “King Del Rap”, e il video estratto dall’omonimo singolo era ispirato ad un’opera televisiva che aveva cresciuto l’intera generazione dei ‘90, ossia Willy Il Principe Di Bel Air. Che, guarda caso, in America non era solo un personaggio iconico, ma anche e soprattutto il nome dell’alter ego di Will Smith come rapper. 
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lamilanomagazine · 2 years
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Tivoli, si presenta fuori dalla scuola della figlia della ex compagna: stalker torna in carcere
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Tivoli (Roma), si presenta fuori dalla scuola della figlia della ex compagna: stalker torna in carcere. Nel pomeriggio dell'11 luglio 2022, gli agenti del pool specializzato nella violenza di genere e minori del Commissariato Distaccato di "Tivoli-Guidonia", coordinati dal "Gruppo uno" della Procura tiburtina, hanno eseguito un'ordinanza di ripristino della custodia cautelare in carcere disposta dal GIP presso il Tribunale di Tivoli su richiesta della Procura, nei confronti di M.B. 39enne, con precedenti penali, già agli arresti domiciliari con dispositivo elettronico di controllo. Il 19 ottobre 2021 l'uomo era stato tratto in arresto dagli stessi Agenti tiburtini nella flagranza del reato di atti persecutori nei confronti della sua ex compagna, in quanto sorpreso dinanzi a un istituto scolastico di Guidonia all'uscita da scuola della figlia della donna. Nell'occasione, nonostante l'intervento della Polizia di Stato, aveva continuato ad inveire contro di lei e a minacciarla di morte. Le violenze su ex compagne e familiari Nei mesi precedenti, i suoi agiti reiterati e persecutori, avevano colpito non solo le sue ex compagne ma anche alcuni suoi familiari: azioni violente, fisiche e verbali, plurimi messaggi WhatsApp, tutti sintomatici di una possessività ossessiva, video pubblicati su Facebook, sino a veri atti di autolesionismo commessi dinanzi all'abitazione della sua ultima vittima, ove si era tagliato ai polsi ed al volto con un bisturi imbrattando di sangue il pavimento e il portone di ingresso di casa. Tutte condotte volte ad ottenere il controllo fisico e psichico della donna, in un susseguirsi compulsivo che aveva fatto ritenere gli eventi come un paradigmatico "caso di scuola", denotante tutte le condotte tipiche del delitto di "atti persecutori". L'arresto L'11 Luglio 2022, all'ennesima trasgressione, è scattata la misura cautelare per le plurime violazioni al regime degli arresti domiciliari, condotte prontamente segnalate dagli investigatori alla procura di Tivoli e consistite in numerosi post facebook offensivi per la donna, nonché citazioni di insofferenza alla misura cui era sottoposto, ed una vera e propria svalutazione del percorso di recupero intrapreso. Le plurime violazioni accertate hanno abbattuto quel "credito fiduciario" convenuto dall'Autorità giudiziaria, che dopo alcuni mesi di custodia in carcere, nel febbraio scorso aveva concesso la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari con permessi, finalizzati ad un percorso di recupero. Read the full article
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mirtart-blog · 6 years
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Una serie fantascientifica retro che strizza l’occhio al grande cinema
  Preceduta da una campagna pubblicitaria martellante, la serie Maniac ha debuttato il 21 settembre sulla piattaforma Netflix e ha subito diviso il pubblico. Che voi l’abbiate amata oppure no, Maniac ha sicuramente il pregio di non lasciare indifferenti.
Libero adattamento dell’omonima serie norvegese del 2014, i 10 episodi firmati alla regia da Cary Fukunaga – vincitore dell’Emmy per la regia di True Detective – e alla sceneggiatura da Patrick Somerville – autore di Leftovers – spingono la pazienza dello spettatore al limite in un’operazione a metà strada tra la psichedelìa ed un sci-fi retro.
Ambientato in una New York del futuro – quale futuro non è chiaro – dove la Statua della Libertà è rimpiazzata da una Statua dell’Extra Libertà, Maniac ruota attorno a Owen Milgrim (Jonah Hill), rampollo disadattato di una famiglia altolocata alle prese con uno scandalo scottante,ossessionato da una serie di visioni che lo spingono talvolta al limite della catatonia. La sua psiche gli gioca brutti scherzi e lo tiene sospeso tra realtà e fantasia, costringendolo in un limbo di inutilità. E ad Annie Landsberg (Emma Stone), una tossica dalla personalità borderline con sindrome di abbandono e la mania di rivivere sempre lo stesso giorno traumatico della sua vita.
I due si incontrano in una clinica per la sperimentazione di un farmaco che promette di risolvere ogni tipo di trauma e portare la felicità, il primo spinto dalla necessità di riacquistare il contatto con la realtà,nella speranza di sentirsi finalmente adeguato agli alti standard di una famiglia in vista, la seconda dalla prospettiva allettante di usufruire legalmente delle pasticche di cui sente di avere bisogno. Quando il computer che supervisiona gli esperimenti inizia ad assumere iniziative proprie sulla scia di un’antropomorfizzazione dei sentimenti – si sente depresso – i due cominciano a condividere le fantasie provocate dal trial clinico per mezzo della somministrazione di tre pillole – A, B e C. Nelle tre fasi sperimentali di individuazione, confronto e accettazione, i due si ritrovano ad essere ora una coppia anni 80 della classe media alle prese con il recupero di un lemure di grande valore, poi una coppia di truffatori di inizio 900 che tentano di recuperare un artefatto legato al Don Chisciotte durante una seduta spiritica, e così via.
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La narrazione, per tutto il corso della serie, sembra più interessata a cavalcare la storia di Annie la quale, nei fatti, pilota la risoluzione finale – sempre che di risoluzione si possa parlare. Laddove nelle intenzioni di Emma Stone e Fukunaga fosse importante che il personaggio femminile non facesse da appendice a quello maschile, in effetti viene a realizzarsi il contrario.
Annie, e il suo doppio nelle fantasie, spingono le trame, le alimentano, definiscono delle svolte; Owen è invece l’antieroe nevrastenico e schizofrenico che intimamente vuole credere che le sue fantasie siano vere, che ci sia un progetto, e che il suo obiettivo sia salvare il mondo.
RIFERIMENTI CINEMATOGRAFICI
Nei subconsci al neon in cui i personaggi fluttuano, lottano e si confrontano, emergono le infinite proiezioni dei fantasmi del passato, in un citazionismo sfrenato che se solletica il palato di molti cinefili e non solo da una parte, non manca di disorientare lo spettatore più passivo.
Palese al limite del tributo dichiarato, il riferimento a Il dottor Stranamore nella puntata 9, durante la scena di spionaggio ambientata alle Nazioni Unite. Durante queste stesse sequenze non è difficile intravedere tutta una serie di riferimenti agli spy movie, la serie di Bond, la dinamicità alla Matrix. In una scena di dialogo (che non voglio trascrivere per non rovinarvi il gusto di vederla!) lui comincia a sanguinare dal naso; dopo poche sequenze sarà lei a sanguinare dal naso. Di personaggi cinematografici che sanguinano dal naso in determinate situazioni narrative ce ne sono così tanti che è impossibile non vederci un riferimento. Dal recentissimo Stranger Things, I Fantastici Quattro, l’adattamento del romanzo di Stephen King Firestarter – Fenomeni paranormali incontrollabili di Mark L. Lester, fino a Scanners di David Cronenberg.
Riferimenti a Magritte e al suo Ceci n’est pas un pipe. Nella cantina delle torture, durante la fantasia gangster movie style, campeggia una locandina che reca la scritta Ceci n’est pas un drill. Durante l’interrogatorio alle Nazioni Unite, Annie sta fumando una grossa pipa che richiama il quadro di Magritte.
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Letterale il riferimento al Signore degli Anelli.
Tra le righe ma non del tutto nascosto è il riferimento a Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman, il cui protagonista, interpretato da Jack Nicholson, si chiama Mc Murphy e alla fine del film viene lobotomizzato. In una scena in cui la madre di Mantleray cerca di convincere suo figlio e la dottoressa Fujita ad interrompere la sperimentazione, Mantleray la rassicura dicendo che non ci sono McMurphies.
L’iconografia di Alien ricorre sia nell’allestimento della sala comune nel laboratorio di sperimentazione sia nella scelta dei distintivi sui camici che sono identici ai distintivi Nostromo indossati da alcuni personaggi di Alien.
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Più sottile è il riferimento all’Edipo re di Sofocle nella scena in cui Mantleray resta accecato e grida: “Sono stato accecato dall’amore tossico di mia madre”.
Come queste, molte altre sono le citazioni presenti in Maniac, alcune più letterali altre solo accennate. Il più ovvio parallelismo, unanimamente riconosciuto, è comunque quello con Inception.
In effetti il citazionismo risulta così forzato, rigido e serrato da far pensare che l’intento fosse proprio quello di fuggire alle retoriche di genere ricorrendo a tutta una serie di dogmi cinematografici che se da un lato spingono la narrazione verso l’assurdo, dall’altro si pongono al servizio della rappresentazione del subconscio, necessaria alla logica del film.
In quello che appare subito come un pastiche di generi, Maniac si propone come uno sci fi futuristico, una fantasia algoritmica che rivisita la geografia del futuro sulla linea delle nevrastenìe, ponendo la tecnologia a servizio della psiche. Il grande mantra è che nessuno è normale. Ed è anche il messaggio che Fukunaga, in definitiva, tenta di veicolare più attraverso un medium psichedelico e con una fotografia che sfrutta l’iconicità di certi topoi cinematografici che attraverso la linearità della narrazione: l’importanza di sdoganare il concetto di sanità mentale. Le psicosi non devono essere un tabù e talvolta dietro il più grande trauma si nasconde solo il bisogno fisiologico di uscire dall’isolamento, di tornare a condividere, ad avere amici. L’ipertecnologia di Maniac resta sempre molto retro, non esibisce sè stessa per sensazionalità ma si distingue per una sorta di coscienza sociale. Ecco che compaiono piccoli robot ammaccati che raccolgono cacca dai marciapiedi, pubblicità di agenzie che propongono di adottare una vedova e i suoi figli.
Tutto risuona al ritmo di una ricerca della felicità che nei fatti è solo fittizia o comunque atta ad ingannare la mente. Lo dimostra l’esistenza di un’agenzia che fornisce falsi amici che rimpiazzino quelli che non è possibile avere nella vita reale. Se la visione di insieme appare caotica e disordinata, Maniac nasconde dettagli però molto interessanti. Si pensi alle influenze giapponesi che spingono la location del laboratorio verso atmosfere dal sapore quasi manga. I personaggi del dottor Mantleray (Justin Theroux) e della dottoressa Fujita (Sonoya Mizuno) sono quasi caricature di una loro ipotetica versione credibile. La scelta di un futuro analogico, inoltre, sembra suggerire un ritorno al passato che odora di nostalgia.
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Si tratta di scelte lette da alcuni come diversissimi ingredienti di un calderone pretenzioso ma che nei fatti contribuiscono a delineare una serie coraggiosa, che se da un lato non propone una tematica nuova, dall’altro osa con una narratività che stordisce. Ogni episodio, benchè decisamente breve, lascia esterefatti e ad un certo punto si comincia a dubitare delle proprie capacità di comprensione. Ma vale la pena andare fino in fondo.
Oltre ai grandi nomi dietro la macchina da presa, grandissimi nomi davanti, oltre ai già citati, tra cui Sally Field, Gabriel Byrne, Jemima Kirke, Billy Magnussen, Julia Garner, Ank Azaria.
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    (Recensione) Maniac, lo sci-fi psichedelico di Netflix Una serie fantascientifica retro che strizza l'occhio al grande cinema #netflix #maniac Una serie fantascientifica retro che strizza l'occhio al grande cinema Preceduta da una campagna pubblicitaria martellante, la serie…
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pangeanews · 4 years
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“Vent’anni fa esordii con un romanzo giallo, alchemico, che fu tradotto all’estero. Quando mi è arrivato il contratto ho pensato: chi diavolo può leggere una cosa del genere?”
«La biblioteca comprendeva libri di tutti i generi, tra cui diverse edizioni in lingua francese e testi molto interessanti. Sfogliò alcuni tomi del Nuovo Dizionario Istorico del 1796, compulsò alcuni trattati ottocenteschi di botanica, erboristeria e anatomia debitamente illustrati. Nella sezione contrassegnata AL trovò, fra gli altri, gli studi di Holmyard su Geber, i trattati del Wirth, i due testi del leggendario Fulcanelli e quelli del suo allievo Canseliet. Scorrendo i titoli fra le diverse collocazioni, notò La grande triade di Guénon, i sei volumi della History Of Magic And Experimental Science di Thorndike, l’opera omnia di Wilhelm Reich, Le taoisme di Maspéro» (Paolo Ferrucci e Giacomo Leonelli, Omicidi particolari, Piemme 2000).
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Vent’anni fa, quando stavo per esordire con un romanzo giallo (scritto insieme a un amico), mi trovavo a Milano nell’ufficio della direttrice editoriale di Piemme, che voleva curare personalmente l’editing. A un certo punto dovette assentarsi lasciandomi solo per qualche minuto, e nell’attesa non potei fare a meno di sbirciare sulla sua scrivania. In cima a un mucchietto di carte c’era una lettera su carta intestata di un professionista, non ricordo se ingegnere o altro, che cominciava così: «Dottoressa Xxx , cosa fa l’autore in ansia? Ansima. Sono dunque in trepidante attesa…». Già lì capii meglio il calderone in cui mi andavo a infilare.
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Tempo prima mi ero messo in testa di scrivere un romanzo, così riuscii a coinvolgere un amico riminese coltissimo, che ne aveva pochissima voglia ma si lasciò convincere. Tale era la mia ossessione che ci lavorammo per un paio d’anni (io studiai montagne di materiale), finché – per vie traverse – il libro venne pubblicato dall’editore Piemme. Non solo: nel 2003 fu comprato dall’editore svizzero Scherz, in seguito assorbito dal colosso tedesco Fischer Verlage, il quale dopo 13 anni decise di ripubblicarlo in economica, cosa che mi stupì non poco: Tod eines Alchimisten (titolo più appropriato di quello italiano) era un libro pretenzioso, dilettantesco, scritto da un apprendista con un aiuto-apprendista, che capivano a fatica cosa stessero facendo. Un primo esperimento assoluto, compilato come una tesi di laurea, un tentativo di romanzo colto che ricopiava la struttura per scene de La donna della domenica di Fruttero e Lucentini, l’erudizione compiaciuta di Umberto Eco (tutto ruotava intorno a manoscritti alchemici), l’atmosfera de L’avvocata delle vertigini di Piero Meldini (una scena era ambientata nella Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, con omaggio a Meldini medesimo), con il filo conduttore imperniato sulla comunità di recupero di Vincenzo Muccioli, dipinto come il capo di una Banda Bassotti. Insomma, un romanzo a chiave pieno di digressioni e citazioni, un’esibizione velleitaria, immatura, che ricalcava modelli; una cosa che letta oggi sarebbe da bocciare senza rimedio. Quando ho ricevuto il nuovo contratto per la riedizione di Fischer ero quasi seccato, pensando a chi diavolo potesse leggere una cosa tanto superata, una storia che consideravo sepolta, di cui quasi mi vergognavo.
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Il desiderio di scrivere mi aveva colto sciaguratamente mentre frequentavo l’università, dopo aver letto Atlante Occidentale di Daniele del Giudice. Un romanzo che mi sembrava totale e inarrivabile, con un nitore e una forza tali da portarmi a fare sogni notturni in cui la mia prosa scorreva come un rivolo perfetto e cristallino, chiamandomi e lasciandomi sospeso in un’area di totale possibilità. Un libro pesantemente tecnico e pesantemente letterario, che mi prese in braccio fino dall’incipit, una cosa mai successa prima.
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“All’inizio del campo d’erba provò il timone; poi, dondolando le ali, cominciò a rullare. Il volantino gli spingeva i gomiti vicini ai fianchi e la coda bassa dell’aereo gli spostava il viso in avanti, spartendo la visuale tra gli orologi del cruscotto e gli alberi lontani, come una lente bifocale. Ciò che pensava come una sua posizione era in realtà l’adeguamento a tutto quanto, dall’aereo e da fuori, gli veniva incontro, compresa la sua faccia resa anamorfica dal sole sulla curvatura del plexiglas. Ogni campo d’aviazione ha una luce molto più aperta della città con cui confina, e un colore pastello che dà solidità alle cose; ha anche un punto d’attrazione, dove la velocità coincide finalmente col rumore. Filava verso quel punto aspettando che l’hangar, la pompa di benzina e l’ufficio del noleggio scivolassero sempre più veloci ai lati. Era capace di sentire quand’è il momento, però guardò il tachimetro. E solo dopo si staccò da terra”.
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Da allora mi misi a desiderare la pratica della letteratura, a scapito dello studio per gli esami di economia, di matematica, di diritto, incombenze che quasi divennero maledizioni, mentre i miei interessi si orientavano altrove. E quando a scrivere mi ci misi davvero, dopo anni, mi trovai ad applicare i dettami di Eco quasi senza saperlo, progettando i romanzi come se fossero edifici, con avventure, intrighi, misteri, omicidi, concatenazioni, funzionalità, incastri, corsi e ricorsi, il tutto in un’attività calcolata, come un lavoro tecnico. In pratica, ciò che gli scrittori con finta modestia chiamano “artigianato”, io lo chiamo muratura, edificazione, su una base architettonico-ingegneristica che con la letteratura non avrebbe a che fare. Un artificio di posa di fondamenta, di articolazione di uno scheletro, di gettata e consolidamento di snodi e collegamenti, di vestizione e riempimento, di decoro e orpello, di significazione allusiva e d’illustrazione, di rifinitura. Tutto questo lo vivevo come rito e liturgia, come un atto sacro che prima di essere compiuto necessita di preliminari, di prolusioni, di pre-intenzioni, di prospettive. Così organizzavo documentazione, indagini, studi, riflessioni, emozioni nell’immaginare ciò che si sarebbe creato. E lì accadeva che la concentrazione – che per me è sempre stata volatile, a partire dallo studio – si metteva a lavorare come una specie di macchina, in maniera diretta, senza sfiati o perdite di pressione, senza svalvolamenti, con un funzionamento deciso e univoco. E un obiettivo preciso che muoveva tutto.
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A quella prima creatura, scarsamente sensata, ne è seguita qualche altra, fatta meglio ma sempre carente di motivazione, di spessore, di urgenza. Prodotti da banco simili a migliaia di altri, che oggi risultano tanto superati da esser giustamente seppelliti. Ma è stata una palestra importante, dove ho sviluppato la cattiva abitudine di analizzare i testi, arrivando talvolta a rileggere un libro un pezzo qua e un pezzo là, senza ordine, anche smembrando la materia di lettura, lottizzandola in modo tecnico, riconoscendo dissonanze o imperfezioni, cosa che applicata ai testi narrativi fa perdere il gusto di sospendere l’incredulità, inquinando così il sacrosanto piacere della lettura. Non so se questo mi faccia diventare un lettore avvelenato, o un lettore vagamente deviato, incapace, o un lettore sciaguratamente consapevole. Resta il fatto che rileggendo oggi Atlante occidentale, nell’epoca stravolta in cui siamo, mi sento ancora rapito, preso da quella necessità di mutazioni, da quella terminologia nomenclatrice semi-antiquata e modernissima, e dal desiderio di essere qualcosa che non sono stato capace di riconoscere. L’esplorazione, lo scandaglio, la caccia all’elusivo e all’inafferrabile, il rovesciamento del reale, tutte partite ancora aperte.
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“Passarono velocemente tra gli scaffali di ricambi per il vuoto spinto, con tubi isolanti, giunti in lega, giunti ruotanti, labirinti, sbarramenti gassosi, valvole di regolazione criogenetica per temperature dell’elio liquido; attraversarono la vasta offerta di lamine per i magneti di focalizzazione e i magneti di curvatura; superarono anche i ripiani con i tubi di potenza e i klystrons e le piastre di niobium per le cavità superconduttrici. Non si fermarono a dare nemmeno un’occhiata, dato che tutto questo non riguardava i rivelatori e non era ancora il vedere, ma soltanto la base per produrre quello che forse si sarebbe visto. Rallentarono davanti ai ripiani con le lastre di scintillazione, le plastiche in sfoglie e barre, le guide di luce, dove cominciavano i ricambi del vedere, i fotomoltiplicatori divisi negli scaffali per tipo e per potenza, fotodiodi, fototubi con le basette di alimentazione, fototriodi per le bassissime luminosità, fototriodi di solenoide per i forti campi magnetici, fototriodi con risoluzione anche di un singolo fotone. Si fermarono tra i ricambi per la presa dati, il culmine del vedere, tra scaffali di moduli per i rack e schede singole per gli chassis di acquisizione e manipolazione, schede di trigger processing, schede di discriminazione del rumore di fondo, schede con due o tre cancelli di memoria, e ogni tanto ne prendevano qualcuna e la rigiravano tra le mani, fastbus, bus ausiliari per la memoria esterna dove parcheggiare dati senza mandarli al calcolatore, schede di traslazione ultrarapide, schede di speech processor per far parlare gli strumenti, schede generatrici di frasi, e schede per aprire finestre di tempo in nanosecondi e picosecondi, dato che quello che si vedeva durava miliardesimi di secondo e nessuno l’avrebbe mai visto con i propri occhi, ma solo dalle tracce computerizzate di ciò che era decaduto avrebbe potuto intuire e immaginare, immaginare con rigore e prova, ciò che si era generato per trasformarsi subito in tutt’altro”.
Paolo Ferrucci
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paoloxl · 5 years
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Claudio Vercelli, Neofascismi, Edizioni del Capricorno, Torino, 2018, pp. 188, € 16.00
Claudio Vercelli, docente di storia dell’ebraismo all’Università cattolica di Milano e collaboratore dell’Istituto Salvemini di Torino, ha recentemente svolto un approfondito lavoro di ricerca sulla storia del neofascismo italiano, poi confluito in questo interessante volume. In poco meno di 200 pagine, organizzate in 6 capitoli che si snodano secondo un criterio cronologico, Vercelli affronta una materia molto complessa ed un arco temporale che copre settant’anni di storia italiana, nella convinzione che leggere e studiare le vicende della destra estrema italiana, oltre che a far comprendere quella particolare area politica, le sue idee, i suoi progetti ed il suo operato nel corso degli anni, possa contribuire anche ad approfondire in controluce momenti importanti della storia repubblicana. L’autore sceglie di limitare il più possibile il ricorso alle note e alle citazioni, in tal modo rendendo molto scorrevole ed agile la lettura del libro ed inserisce, distribuendolo in modo omogeneo nel corpo del testo, una sorta di glossario dei termini e dei concetti chiave necessari per la comprensione del fenomeno del neofascismo italiano.
La tesi che Vercelli espone fin da subito nell’Introduzione è che la storia della destra radicale e neofascista italiana sia il “reciproco inverso” della storia della Repubblica, cioè della democrazia nata dalla Resistenza e dall’antifascismo. Paradossalmente il neofascismo italiano, dopo la sconfitta del 1945, trova la sua ragion d’essere nel proprio opposto, ovverosia nella natura parlamentare, democratica, pluralista ed antifascista delle nuove istituzioni repubblicane, che prendono in mano la guida di quel paese che era stato la culla del fascismo. Pertanto, riflette Vercelli, nonostante le diverse forme assunte dal neofascismo italiano, dal 1945 – quando prevalgono ancora nostalgia per il passato prossimo e rancore contro i nemici – fino ad oggi – quando le formazioni dell’estrema destra più seguite, come Casa Pound, parlano di “fascismo del terzo millennio” – la «radice comune è la posizione antisistemica, ossia l’intenzione di mutare […] il “sistema” istituzionale, politico e finanche culturale della democrazia contemporanea. Negandone la radice egualitaria, che il neofascismo denuncia come una perversione dell’ordine naturale delle cose» (p. 9).
Nonostante la sconfitta nella guerra ed il crollo subiti tra il 1943 e il 1945, il fascismo ha continuato ad essere un soggetto politico presente nel nostro paese per tre ragioni fondamentali: in primo luogo, un’esperienza politica e poi un regime così duraturi come quelli mussoliniani non potevano scomparire improvvisamente, poiché troppo profondo era stato il loro radicamento nel paese. In secondo luogo, dopo il ’45 ciò che rimaneva del fascismo attira le attenzioni di quelle componenti conservatrici della società italiana che fasciste non sono, ma che coi reduci del fascismo intendono formare un “blocco d’ordine” capace di arginare i cambiamenti in atto nel paese. Infine, la contrapposizione tra i due blocchi della guerra fredda e la volontà, interna ed esterna al paese, di evitare lo spostamento italiano su posizioni apertamente filocomuniste, produce l’effetto della mancata epurazione e – come insegna Pavone – della netta prevalenza della “continuità” politico-istituzionale dello Stato rispetto al “cambiamento” auspicato dalle forze resistenziali partigiane. A questo si aggiunga che, come cent’anni fa, ancora oggi il neofascismo pretende di essere riconosciuto come forza politica rivoluzionaria: una rivoluzione che assume la forma della “reazione”, o meglio, si potrebbe dire, quella del “ritorno”, del “recupero” di un passato puro (in realtà mitico ed astorico) e di un presunto stato “naturale” sconvolto dalla corruzione della modernità, che avrebbe prodotto la democrazia, l’egualitarismo, il cosmopolitismo, considerati disvalori e perversioni della società. Al materialismo, al pragmatismo utilitaristico, all’economicismo, alla quantità equivalente della democrazia devono contrapporsi la qualità elitaria dell’aristocraticismo, lo spiritualismo, l’eroismo disinteressato del guerriero, la tradizione, il radicamento. Insomma una politica fatta più di evocazione suggestiva del mito e di estetica del gesto e dello stile esistenziale che di analisi razionale della realtà materiale, storica e sociale.
Nella prima parte del libro vengono considerati i primi anni dopo il crollo della Repubblica sociale e l’avvento della Repubblica e della democrazia. Per i fascisti italiani è il tempo del disorientamento, della difficoltà – per i più coinvolti con il regime di Salò – di nascondersi, di scappare, di cambiare identità o anche solo di passare inosservati, aspettando l’evoluzione della situazione interna al paese. Ma è anche il tempo della rivendicazione delle proprie convinzioni e dei primi tentativi di riorganizzazione, così come della accusa di codardia verso i “traditori” del 25 luglio e della elaborazione della figura del “proscritto”, cioè di colui che viene, ma soprattutto vuole, essere messo al margine della nuova società democratica ed antifascista che disprezza. La condizione del proscritto, rivendicata come segno distintivo ed elettivo, è quella che maggiormente accomuna i reduci di Salò e che ne rinserra le file. Figure di riferimento di quel primo periodo sono innanzi tutto Pino Romualdi, collaboratore di Pavolini e vicesegretario del Partito repubblicano fascista, che fin da subito cerca di stabilire contatti con i servizi segreti americani in funzione anticomunista e il “principe nero”, Junio Valerio Borghese, il comandante della Decima Mas. Il luogo dove il neofascismo inizia ad organizzarsi è Roma, in cui la presenza di un clero disposto ad aiutarli e a nasconderli, permette ai reduci di Salò di sfuggire alla cattura. Le prime azioni sono soprattutto atti velleitari e dimostrativi, che intendono recuperare lo spirito dell’arditismo e delle provocazioni squadriste in stile futurista del fascismo delle origini. Ma poco dopo comincia ad emergere anche un altro atteggiamento, quello che non disdegna l’idea dell’avvicinamento ai partiti conservatori del nuovo arco costituzionale e alla Democrazia cristiana in particolare; indirizzo che poi sfocerà nella fondazione del partito neofascista legalitario, il Movimento sociale italiano (MSI).
Il neofascismo italiano nasce in ogni caso dal trauma della sconfitta, che impone un processo di metabolizzazione e di ripensamento complessivo dell’esperienza del regime, che conduce i neofascisti a giudicare il fascismo regime come una “rivoluzione mancata”, soprattutto a causa delle componenti conservatrici della società italiana, che avrebbero usato solo strumentalmente il fascismo; oppure come “terza via” tra collettivismo comunista e liberismo capitalista; oppure, infine, come “rivolta” contro la modernità. Nel secondo e nel terzo caso c’è evidentemente la volontà di smarcare il fascismo dal suo passato per dargli la possibilità di rappresentare un’opzione politica per il futuro.  Tra il 1945 e il ’46 i neofascisti più disposti ad imboccare la via legalitaria individuano nell’anticomunismo la merce di scambio da offrire alle forze conservatrici in cambio di un allentamento dei provvedimenti penali e punitivi contro gli ex repubblichini. Spiega di seguito Vercelli come gli eventi del giugno 1946, il referendum istituzionale e il varo dell’amnistia Togliatti, mettano i neofascisti nella condizione di tornare ad agire più scopertamente rispetto ai mesi precedenti, separandosi definitivamente dai monarchici (che fondano un loro partito) e avvalendosi della scarcerazione di molti militanti che tornano a fare attivismo politico e si impegnano nella fondazione dell’MSI del dicembre del 1946.
Ma accanto alle iniziative politicamente legali, Vercelli richiama l’attenzione su una miriade di opuscoli, giornali, riviste, semplici fogli, pubblicazioni di ogni genere e tipo, inizialmente clandestini, a cui si aggiungono gruppi, altrettanto illegali, come l’Esercito Clandestino Anticomunista (ECA) o i FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), fondati da Romualdi stesso.  La prolificità editoriale dell’estrema destra neofascista, che si affianca a quella dei gruppi dell’attivismo politico militante, è un tratto costante del neofascismo italiano, dalle sue origini fino ad oggi, anche nei momenti di oggettivo e netto svantaggio, quantitativo e qualitativo, politico, culturale e sociale rispetto alla sinistra parlamentare ed extraparlamentare e attesta la presenza e la permanenza nel nostro paese di un’area politica, di un pezzo di società e di una parte dell’opinione pubblica inequivocabilmente fascisti, che, pur assumendo forme parzialmente diverse a seconda del mutare dei tempi e del contesto sociale, tengono fermo il riferimento al fascismo storico e ai suoi principi fondamentali.
Fin da subito, la prima distinzione interna alla destra estrema si sviluppa sull’alternativa tra l’accettazione «almeno formale e di circostanza, del parlamentarismo e delle istituzioni repubblicane» (p. 43), salvo prefiggersi lo scopo ultimo di sovvertirle se e quando possibile e la scelta eversiva della lotta senza quartiere ed esclusione di colpi contro l’assetto democratico della Repubblica italiana. La distinzione tra “eversione” e “legalità” va poi ulteriormente dettagliandosi, anche all’interno dello stesso partito ammesso alla legalità parlamentare, per esempio nelle posizioni dei reduci veri e propri, dei nostalgici del regime e della repubblica di Salò, i quali andranno via via perdendo posizioni, sia per evidenti ragioni generazionali sia per la passività e l’inconcludenza della posizione sul piano politico. Segue poi la posizione dei sostenitori della sola via legale, che si concretizza nel partito il quale però è chiamato ad affrontare fin da subito evidenti contraddizioni: i suoi dirigenti sono prevalentemente settentrionali e reduci di Salò, mentre l’elettorato è di gran lunga più consistente al Sud e legato al ricordo del «fascismo di regime, quello dai connotati notabiliari, fortemente conservatori» (p. 57). Sul piano ideologico poi, la “sinistra”, che recupera il programma di “socializzazione” di Salò, la suggestione della “terza via” e che si colloca su posizioni “antiamericane”, si scontra con le posizioni moderate aperte all’”atlantismo”, che sfoceranno più tardi nel collateralismo alla DC. Infine si configura anche la posizione, sostanzialmente eversiva, degli “spiritualisti”, ovverosia di coloro per i quali il fascismo come “idea” trascende le sue manifestazioni storiche particolari e si presenta come una “visione del mondo” che valorizza l’aspetto “spirituale” dell’uomo di contro a quello “economico-materiale” e pertanto individua i propri principi fondamentali nella “tradizione”, nella “comunità” e nella “identità” – vale a dire nella “razza” – nel “nazionalismo”, nella “gerarchia” come ”ordine naturale” che si regge sulla “disciplina”, nel rifiuto della modernità e dell’intero suo portato politico e culturale. Si tratta di quella parte dell’estrema destra neofascista che ha gravitato per molto tempo attorno a Julius Evola e che ancora oggi continua a richiamarsi a quel bagaglio di idee e che individua l’essenza e l’eccentricità del fascismo nella figura estetico-esistenziale del “legionario”, cioè del militante disciplinato, virile e combattivo che è «pronto a trasformare la propria esistenza in una continua impresa indirizzata al combattimento» (p. 47). È il “soldato politico”, parte di una élite aristocratica che si distingue dalla massa per destino, prima ancora che per volontà.
Ai suoi esordi il programma dell’MSI si concentra sull’anticomunismo, sul nazionalismo, sul richiamo ai progetti sociali della RSI, sull’idea di Stato forte e sul rifiuto della democrazia. Dopo pochi mesi di segreteria di Giacinto Trevisonno, durante la fase di gestione collegiale del partito e non potendo Romualdi assumere incarichi per ragioni giudiziarie, è Giorgio Almirante che dal giugno del ‘47 ricopre la carica di segretario della giunta esecutiva e di seguito quella di segretario del partito. Almirante intende mantenere un forte legame con l’esperienza della RSI e ripropone i temi dell’anticapitalismo e dell’antiamericanismo. Gli ultimi anni ’40 sono quelli dell’assestamento per l’MSI e nel frattempo i governi democristiani chiudono definitivamente la fase delle comunque blandissime epurazioni. Con la fine della segreteria Almirante (gennaio 1950), che viene sostituito da De Marsanich, è la parte moderata del partito a prevalere, per poi stabilizzarsi definitivamente con la scelta della linea del collateralismo nei confronti della DC, operata tanto dallo stesso De Marsanich, fino al 1954, quanto da Michelini, che guida il partito per ben quindici anni, fino al 1969. Neppure l’ingresso e l’assunzione di incarichi nel partito da parte di Rodolfo Graziani e di Junio Valerio Borghese, salutati con speranze sia dalla sinistra sociale dell’MSI sia dalla destra tradizionalista e spiritualista evoliana, producono un cambiamento della rotta politica moderata, ed è in questo contesto che nel 1956, Pino Rauti, su posizioni di tradizionalismo evoliano, esce dal partito e fonda l’associazione politico-culturale Centro Studi Ordine Nuovo (CSON).
Per Rauti – spiega Vercelli – «si trattava di trovare nuovi riferimenti alla tradizione culturale, ai simbolismi e alla mitografia neofascista. Ne derivarono alcuni risultati, destinati a lasciare un lungo segno. Il primo fu la piena e definitiva nobilitazione dell’impostazione evoliana, quella sospesa tra aristocraticismo, tradizionalismo, ed esoterismo» (p. 75). Il materialismo, l’edonismo, il consumismo, che trovano il loro equivalente giuridico-politico nel parlamentarismo democratico, devono essere combattuti attraverso forme di militanza politica che si richiamano ai movimenti legionari di estrema destra, come quello della Guardia di Ferro di Codreanu, nella Romania degli anni Trenta e Quaranta. Per superare la logica dell’alternativa tra Oriente e Occidente, viene elaborata la teoria dell’”Europa Nazione”, che – fa notare Vercelli – riprendendo l’idea nazista della “Fortezza Europa”, sfocia in una sorta di “europeismo suprematista”, che declina l’idea nazionalistica sul piano continentale europeo. Quando nel 1969, con il ritorno di Almirante alla segreteria del Movimento sociale, Rauti decide di rientrare nel partito, la componente più intransigente di Ordine Nuovo non sposa questa scelta rautiana e fonda il Movimento Politico Ordine Nuovo (MPON). Complessivamente l’esperienza di Ordine Nuovo, riflette Vercelli, costituisce «una pietra miliare nella storia della destra estrema italiana» (p. 75), sia perché molte delle sue idee sopravvivono all’organizzazione stessa e ricompaiono in altre formazioni e gruppi del neofascismo italiano fino ad oggi, sia perché «la sua traiettoria operativa s’incrociò più volte con lo strutturarsi di quel livello parallelo e non ufficiale di attività militare, lo Stay-behind, che in Italia già dal 1956 implicò la nascita dell’organizzazione Gladio» (pp. 78-79). Pertanto Ordine Nuovo è stato parte essenziale ed attore tra i principali di quella “strategia della tensione” che si è poi concretizzata nello “stragismo”, in stretta collaborazione con servizi segreti deviati ed appartati occulti dello Stato, tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, da piazza Fontana alla Stazione di Bologna.
Gli anni Sessanta della destra eversiva italiana si aprono con la fondazione di una nuova organizzazione – Avanguardia nazionale – ad opera, tra gli altri, di un rautiano già coinvolto nelle attività di CSON: Stefano Delle Chiaie. Osserva Vercelli che «Avanguardia nazionale si rifaceva alla RSI come a diversi aspetti del nazionalsocialismo, giudicando fattibile una battaglia contro la democrazia solo attraverso la formazione di militanti tanto disciplinati quanto animati da un fideismo totale, nello “stile legionario” che doveva contraddistinguere le avanguardie della “rivoluzione nazionale”» (pp. 82-83). L’organizzazione di Delle Chiaie e poi di Adriano Tilgher è apertamente favorevole a soluzioni golpiste ed intrattiene rapporti coi regimi militari dell’America latina, di Spagna, Portogallo e soprattutto Grecia. Si impegna negli scontri di piazza e all’interno del mondo studentesco e universitario; il suo coinvolgimento nelle trame eversive e terroristiche di quegli anni è tale che nel 1976 viene dichiarata fuori legge. Altri eventi rilevanti di quel decennio sono il cosiddetto “piano Solo”, ovvero il tentato colpo di Stato ordito dal comandante dell’Arma dei Carabinieri, il generale Giovani de Lorenzo; l’uscita dall’MSI di Junio Valerio Borghese (1968), che dà vita al Fronte Nazionale, che due anni dopo sarà in prima fila nell’organizzazione del cosiddetto “golpe Borghese”. Una formazione politica dai progetti velleitari – tanto quanto il tentativo fallito di sovvertimento dell’ordine costituito – che, osserva Vercelli, ripropone vecchi cliché politici, che non vanno al di là della nostalgia del fascismo storico, proprio in un momento in cui, anche nell’area dell’estremismo di destra, sorgono nuovi fermenti e soprattutto l’esigenza di ripensare la militanza politica neofascista in modo indipendente dal passato.
Proprio per queste ragioni, in quegli anni hanno successo anche in Italia le idee di Jean-Francǫis Thiriart, fondatore nel 1962 di Jeune Europe, teorizzatore del “comunitarismo”, vale a dire di una confusa visione politica che intende proporsi come sintesi e quindi superamento dell’opposizione fascismo-comunismo, che riprende e corrobora l’idea di Europa Nazione, come “terza via” possibile nel mondo della contrapposizione tra blocchi, che, assumendo posizioni di antiamericanismo ed antisionismo, intende tanto opporsi al neoimperialismo, appoggiando i paesi non allineati o simpatizzando per il “guevarismo”, quanto rifiutare il materialismo edonistico ed il meticciato privo di radici, rappresentati dal modello statunitense. Idee che attraggono i giovani italiani cresciuti nell’area della destra radicale, in cerca di idee alternative tanto a quelle del conservatorismo legalitario dell’MSI, quanto a quelle del golpismo vecchio stampo. È da qui che iniziano a dipanarsi i fili di un percorso politico di lungo periodo, che ancora oggi è chiaramente presente nelle posizioni “rosso-brune” variamente espresse di volta in volta da Forza Nuova o da Casa Pound.
Il decennio 1969-1979, che Vercelli definisce “La stagione delle bombe”, è contraddistinto dai tentativi sempre più evidenti della destra estrema italiana di tagliare il cordone ombelicale col fascismo storico vissuto in modo nostalgico, perché «paralizzante rispetto a qualsiasi concreta azione politica» (p. 103). Da queste premesse prendono il via diverse linee di sviluppo politico: una è quella che si rifà al nazionalsocialismo e ad altre forme di fascismo di movimento e di militanza legionaria come le già ricordate Guardie di Ferro rumene o le Croci Frecciate ungheresi, perché ritenuto più capace di fornire una visione globale ed organica del mondo, il primo, e un modello valido di militanza, di fatto molto simile a quello evoliano del “soldato politico”, le seconde. Si tratta di idee che sostanziano le posizioni radicalmente eversive di Franco Freda, che con il suo “La disintegrazione del sistema”, ricorda Vercelli, diviene una figura carismatica di primissimo piano per il mondo dell’ultra destra italiana. Il passaggio successivo è quello della costituzione di nuove formazioni eversive, che prendano il posto delle ormai tramontate formazioni storiche (Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale), che rompano definitivamente – almeno nelle dichiarazioni – con l’MSI, considerato ormai come un partito di delatori, rinnegati, traditori compromessi col sistema che dovrebbero combattere e infine che, anche nel tentativo di competere con la forza superiore delle organizzazioni della lotta armata comunista, intraprendano la via dell’eversione terroristica, da interpretare nel modo più violento e duro possibile. Da queste premesse nascono sia Terza Posizione, di Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi, Giuseppe Dimitri, sia i Nuclei Armati Rivoluzionari, gruppo eversivo esclusivamente terroristico che in Giuseppe Valerio (Giusva) Fioravanti trova l’esponente più rappresentativo della sua essenza criminale.
Sul piano ideologico Terza posizione ripropone la prospettiva “nazionalrivoluzionaria” e mescola idee vecchie e nuove del fascismo e del neofascismo italiani: allo “Stato organico” come superamento dei conflitti di classe, al fascismo come “terza via” e al “socialismo nazionale”, alla difesa della “tradizione”, al ruolo politico delle “avanguardie consapevoli”, si aggiungono la teoria dell’Europa Nazione, il rifiuto dell’atlantismo missino, il coinvolgimento popolare nella lotta rivoluzionaria, l’attenzione per le marginalità sociali e per il mondo giovanile e di conseguenza il radicamento nel territorio e nei quartieri con la promozione di iniziative dal basso di mobilitazione e protesta, il sostegno alle lotte di liberazione nazionale, ma in quanto interpretate come movimenti di salvaguardia delle tradizioni dei popoli. Delle due anime dell’organizzazione, una – precisa Vercelli – più spontaneista e una invece (quella di Fiore e Adinolfi) che ritiene «indispensabile dotarsi di una filiera gerarchica e paramilitare per garantire la continuità organizzativa» (p. 131), è la seconda a prevalere nettamente, mentre lo spontaneismo armato e violento trova nei NAR le condizioni ideologiche e pratiche per la sua realizzazione compiuta. «I NAR, quindi, si svilupparono da subito, di contro all’esperienza di Terza Posizione, come una struttura aperta e acefala, una sorta di sigla-brand sotto la quale potevano riconoscersi soggetti anche molto diversi, ma accomunati dall’identità fascista e dalla disposizione al ricorso alle armi» (p. 134). Fioravanti, la Mambro e tutti gli altri si rifanno, aggiornandola ed adattandola al contesto degli anni in cui i NAR sono operativi (1977-1982), alla tradizionale idea fascista del primato della prassi sulla riflessione, dell’azione che fonda e giustifica se stessa, della violenza come mezzo di lotta politica non solo lecito, ma assolutamente necessario, in quanto atto che permette l’affermazione della forza guerriera degli individui superiori e che pertanto ristabilisce il naturale ordine della disuguaglianza. L’esaltazione della violenza, del ricorso necessario alle armi, della spontaneità autogiustificante dell’atto di forza, da un lato e la debolezza e la labilità ideologiche, dall’altro, conducono i NAR ad intrattenere relazioni sempre più strette con organizzazioni della malavita comune, come la banda della Magliana o la mala del Brenta. Insomma, spiega Vercelli, l’esperienza politico-terroristica dei NAR si sviluppa in direzione di un nichilismo individualistico destinato a concretizzarsi in un bagno di sangue privo di alcun senso, cioè del tutto fine a se stesso. E ancora una volta sono suggestioni evoliane, quelle dell’ultima fase della riflessione del filosofo fascista, che impregnano e supportano l’agire della più violenta tra le formazioni dell’estrema destra eversiva italiana.
In quegli stessi anni, nell’area dell’estrema destra legale e in collegamento con il partito, si sviluppano però anche altre iniziative, che, di fronte alle difficoltà di conseguire concreti risultati politici, spostano l’asse della loro azione sul piano sociale e soprattutto culturale, cioè “metapolitico”, secondo l’espressione usata a destra e in questo contesto rientrano le esperienze dei tre Campi Hobbit (1977, 1978, 1980), che per la prima volta promuovono il fenomeno della musica e dei gruppi musicali di destra, oppure di esperienze e sperimentazioni artistiche, grafiche e comunicative che possano rappresentare forme nuove di aggregazione e mobilitazione per i giovani dell’estrema destra, stanchi delle modalità tradizionali missine e che in qualche modo possano emulare le forme aggregative dell’estrema sinistra, per competere con esse.
Con il passaggio al decennio successivo, in un quadro complessivo di riflusso e declino generalizzato della partecipazione e della militanza politiche, è proprio il piano “metapolitico” quello su cui a destra si lavora con più convinzione, attraverso un consistente numero di iniziative editoriali, spesso di bassissima tiratura e di effimera durata, ma che dimostrano in ogni caso una certa vivacità dell’area politica del neofascismo italiano, che si avvale anche delle idee della cosiddetta Nuova Destra di Alain de Benoist, che dalla Francia approdano in Italia. Il bagaglio ideologico rimane sostanzialmente sempre lo stesso degli anni e dei decenni precedenti, ma si lavora soprattutto sul piano “metapolitico” e “culturale”, anche attraverso il filtro della letteratura e dell’immaginario del genere fantasy e con il fine ultimo di conquistare una posizione di “egemonia culturale”, «intesa come capacità di influenzare in maniera decisiva l’opinione pubblica, orientandone gli atteggiamenti, le preferenze e, in immediato riflesso, le scelte» (p. 156).
L’ultima parte dell’interessante saggio di Vercelli è dedicata al periodo 1992-2019, dalla fine della prima Repubblica ad oggi, in cui va profilandosi lo scenario di un nuovo neofascismo, con la diffusione innanzi tutto del fenomeno dei gruppi skinhead (Azione Skinhead, Circolo Ideogramma, Veneto Fronte Skinhead, ecc) e con la loro capacità di infiltrazione delle tifoserie calcistiche ultras e poi con l’attivismo via via crescente delle due formazioni politiche più dinamiche in questi anni: Forza Nuova e Casa Pound Italia. La prima, nota Vercelli, è più evidentemente legata all’ex militanza e all’esperienza politica di Terza Posizione di Fiore ed Adinolfi e mantiene un’impostazione ideologica decisamente più dogmatica ed ortodossa che si incentra su tradizionalismo, vetero cattolicesimo, antisemitismo, omofobia, identitarismo, sovranismo, avversione per lo straniero e rifiuto del meticciato, antimondialismo, anticapitalismo, ma da intendersi non tanto come messa in discussione delle strutture del modo di produzione capitalistico, quanto piuttosto come avversione nei confronti del sistema bancario e finanziario internazionale (associato al sionismo). La seconda, seppur il suo armamentario ideologico non si discosti poi più di tanto e in modo sostanziale da quello di Forza Nuova, si propone come una formazione politica meno rigida e dogmatica, più capace di muoversi sul piano “metapolitico” e su quello del radicamento nel territorio e nei quartieri, con la promozione di iniziative dal basso di mobilitazione sociale. Nonostante che sul piano elettorale nazionale, entrambe le formazioni politiche abbiano raccolto esiti del tutto irrilevanti (diverso è il discorso riguardante le aree tradizionalmente di maggior radicamento), anche grazie alle recenti e sempre più frequenti relazioni di Casa Pound con la Lega di Salvini, gli obiettivi dei neofascisti di ottenere una posizione di maggiore visibilità e rilevanza e di “occupare” un’area dell’opinione pubblica e dell’immaginario diffuso con alcune delle idee fondamentali dell’estrema destra, sembrano purtroppo essere stati conseguiti. Ma questo è un discorso che merita maggiori approfondimenti e più accurate analisi, essendo una pagina ancora aperta e in fieri della storia “nera” italiana che dura esattamente da un secolo.
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purpleavenuecupcake · 4 years
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Enit-Agenzia Nazionale del Turismo: "L'Italia non spaventa, considerata dai turisti Covid Free"
L'esordio di un'estate condizionata dal virus ha motivato ancora di più i viaggiatori che non sembrano intenzionati a rinunciare alle vacanze anche grazie all'apertura delle frontiere regionali e alla ripresa di alcuni voli interni ed internazionali. L'Italia non spaventa e anzi viene considerata come un Paese covid free, iper monitorato e rassicurante stando al monitoraggio social di Enit- Agenzia Nazionale del Turismo. A fine di maggio si contano oltre 753,7mila citazioni sul viaggio in Italia - di cui 50mila comparse sul web e 703,7 mila dai social - che hanno prodotto 207,1 milioni di interazioni. Cala progressivamente lo spazio dedicato dai principali quotidiani europei e americani al tema Covid in Italia e oltre 618mila reazioni di gradimento (di cui 85.400 di affetto, 335.200 di empatica tristezza, 60.300 di stupore) sono riservate alla Penisola. ll trend epidemico non è più il solo polo di interesse delle ricerche web sull'Italia: il tema “economia” (13 per cento delle ricerche web) supera il macro-tema “sanità” (9,3%). Sale anche la cultura (5,2%) in quarta posizione ad alimentare il sentiment positivo. Il trend negativo è completamente azzerato. Le ricerche web sul turismo in Italia producono oltre 300milioni di visualizzazioni, un numero enorme pari all'intera popolazione europea. Le grandi città d’arte, Roma, Venezia e Milano rilevano il maggior volume di citazioni. Sentiment positivo con in testa il Duomo di Milano e la città di Pisa. L'Italia turistica, proprio per il suo primato come destinazione delle vacanze, risente maggiormente il calo delle presenze straniere. Dall’inizio del 2020 alla fine di aprile il volume complessivo degli arrivi aeroportuali in Italia è diminuito del -64,5% rispetto al primo quadrimestre 2019. Al 4 giugno, l’analisi delle prenotazioni aeroportuali estive - da giugno ad agosto – in confronto con i competitor diretti Spagna e Francia, mostra nuovamente una caduta delle prenotazioni sia in Italia che negli altri Paesi analizzati: circa 235mila prenotazioni di passeggeri aeroportuali internazionali per l’Italia, poco meno di 231mila per la Spagna e poco più di 193mila per la Francia. Pertanto, si rileva come l’Italia pur avendo il maggior numero di prenotazioni in corso realizza anche il calo più profondo -87,1% rispetto al -86,5% della Francia e al -84,5% della Spagna. L'Italia che riparte punta al recupero dei 65 miliardi di euro previsti in perdita dagli scenari attuali, dove ripresa maggiore è attesa per il mercato interno. Rispetto al periodo maggio – ottobre i cali più evidenti nelle prenotazioni sono quelli dai mercati long-haul: Giappone (-80,9%), Brasile (-74,4%), Sud Corea (-72,9%) come gli Usa e, infine, Australia (-70,2%) frenati dalla prospettiva di una riapertura ritardata dei voli. Nel monitoraggio settimanale sull’Italia, alla undicesima settimana di osservazione sull’andamento degli arrivi aeroportuali nel 2020, si osserva ancora una stabilità delle perdite che ci si auspica freni già nei risultati del prossimo bollettino.  Si stabilizza la diminuzione delle prenotazioni dal 1° giugno al 12 luglio pari al -91,4%, dovuta al calo della Cina del -99,4% ma diffusa anche a tutti gli altri mercati di origine, sebbene minore nei flussi dalla Francia (-86,6%) e dai Paesi Bassi (-84,6%). L'Unione Europea, dal canto suo, sta mettendo in campo manovre per un approccio coordinato al turismo con misure socio-economiche che potrete trovare al seguente link insieme ai dossier dettagliati e ai webinar del ciclo Turismè per promuovere l'Italia organizzati con il Mibact. Read the full article
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colospaola · 5 years
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Giovedì 25 luglio alle 17 si terrà presso l’Antica Latteria, recuperata a cura del Comune di Mergozzo, l’inaugurazione della mostra diffusa Percorsi trasversali, che quest’anno arriva alla terza edizione e che, per sottolineare l’importante recupero dell’antica Latteria come sede culturale ed ecomuseale, sarà dedicata al tema del riciclo creativo sotto il titolo di Ricicleria.
La Latteria, fin dal 1868, era il cuore del consorzio degli allevatori per la lavorazione del latte e la produzione di burro e formaggi, poi cessò le sue funzioni nel 1971 e oggi, con la determinazione dell’Amministrazione comunale che ha curato l’acquisizione al proprio patrimonio, seguendo la volontà degli eredi degli ex soci, è stata restituita a una funzione pubblica e comunitaria, dopo un accurato restauro dalle risorse dedicate dal Comune e dal finanziamento di Fondazione Cariplo, che ha scelto il progetto con il tramite della Fondazione Comunitaria del VCO, come un emblematico minore.
Nell’edificio al primo piano c’è un’ampia sala conferenze, al piano terra uno spazio polivalente attrezzato per attività laboratoriali e mostre temporanee.
Il percorso espositivo si snoderà, come nelle precedenti edizioni, in diversi spazi del paese tra il lungolago, il museo e la via del Sasso nel centro storico, coinvolgendo quest’anno anche l’Antica Latteria, luoghi che si trasformano per il periodo dal 25 luglio al 31 agosto in una galleria d’arte diffusa.
Accompagneranno il percorso anche una selezione di citazioni poetiche o letterarie dedicate al tema del rispetto dell’ambiente e del riciclo, che coinvolgerà ventitre artisti, Enzo Angiuoni.  Giuliana Bellini, Paolo Bellon, Ruben Bertoldo, Anna Bianchi La Stria, Tiziana Capelli, Margherita Cavallo, Margherita Fergnachino, Wolfgang Gerstner, Fiorenza Giuliani, Jean Ivaldi, Le Cicale, Paolo Lo Giudice, Margot Paris, Materiali di ScarTO, Jorgelina Melis, Riccardo Monte, Piero Motta, Anna Maria Scocozza, Roberto Sironi, Daniela Spagnoli, Rosa Spina e Vittorio Tonon, che realizzeranno le loro opere con i più disparati materiali di recupero.
Il percorso inaugurale sarò condotto della curatrice, Marisa Cortese dell’Associazione Siviera, e da Elena Poletti, organizzatrice e coordinatrice del Civico Museo e dell’Ecomuseo del Granito.
L’evento sarà organizzato in collaborazione con il Comune, il Gruppo Archeologico di Mergozzo e la Pro Loco ed è collocato nel contesto della rassegna di rete La pietra racconta sviluppata con il Museo Granum e il Comune di Baveno, che ha avuto il contributo della Fondazione Comunitaria del VCO.
Percorsi trasversali 2019 sotto il segno della Ricicleria Giovedì 25 luglio alle 17 si terrà presso l’Antica Latteria, recuperata a cura del…
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salecheapggdb-blog · 5 years
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Scarpe Golden Goose Superstar Uomo Viziosa gamma di live su Internet Marketing
Le persone più ricche e in particolare le più prospere del mondo hanno anche saputo di approfittare del denaro degli altri lettori per anni. Qualunque persona di Jean Paul Getty, Aristotle Onassis e Steve Trump si sarà distinta in questo concetto di edificio numero uno. Il loro utilizzo di OPM per le attività di spesa è letteralmente leggendario. Onassis in positivo è riferito per aver aggiunto accordi garantiti per il trasporto di minerale e petrolio su navi e petroliere che questa persona non possedeva e che ancora possiede e poi certo che le mie banche bloccano i servizi per far sì che i relitti e le petroliere utilizzino tali contratti. Il migliore sfacciatissimo regista d'oro se mai ce n'era stato uno! Laggiù questi tipi di persone hanno trovato un vecchio edificio utile coperto di edera in cui Ozma sembrava avere una comprensione. Entrando nel vecchio, abbandonato e incredibilmente spettrale edificio, scoprono che si tratta semplicemente di una forma di metallo contenente la migliore veste di velluto verde da un indizio che la identifica nuovamente come naturalmente con Cal. king Pastoria {di | come risultato di | usando | through | to | simply | for | at | per gentile concessione di Queen Lurline. Probabilmente non ci sono tasse mensili perché le tasse annuali e le penali associate a questo metodo. La pratica e la base che ora viene fornita è molto superba se paragonata ad assistenza ad altri sistemi. Si studia come promuovere i propri affari durante i prodotti gratuiti come marketing di write-up, annunci in grado, craigslist, ecc. nella forma di bene Scarpe Golden Goose Superstar Uomo ispetto ai suggerimenti pagati tali da essere pagare numerosi annunci o elencati come un modo per portare il traffico. Più tardi, quando ho servito mercati seri in tutta la città. Di recente ce n'erano molti. Ho fatto viaggi di famiglia in quasi tutte le parti alla possibilità senza alcun problema. Tuttavia, nel corso di circa otto anni, circa cinque proprietari di negozi sono stati definitivamente uccisi mentre avevano il corso di studio di rapine, ma il tuo attuale peggiore acquisito era appena iniziato. Le persone consegnano tutto questo e ne prendono in giro rispetto a un'opportunità di recupero di denaro. Attualmente ci sarà per sempre Golden Goose Scarpe Outlet uella società che la maggior parte delle persone è desiderosa di indicare i tassi e quindi cita i benefici che si chiedono quando si tratta di superare il proprio motore con l'assicurazione automobilistica. Ricordo veramente da poco, durante un semestre, questo studente è il mio compagno di stanza o ho fatto una scommessa sul fatto che un sacco di chiunque dovrebbe trovare l'assicurazione automobilistica più economica avrebbe bisogno di ottenere l'intera macchina per il mese. Questo potrebbe essere stato davvero fornendo quando questo è venuto come un modo fino ad oggi notte. Potresti avere una deliberazione che stavamo guardando quando prendevi in ​​considerazione le scarpe ggdb. Ogni notte anti invecchiamento potremmo probabilmente cercare utilizzando il web per le citazioni di prestito auto assicurazione per scoprire se almeno uno potrebbe sconfitto un sacco di. Era diventato un'abitudine per uomini e donne. Affrontando il tuo business personale Mio marito e io presumo quindi hai dimostrato di essere carente per quanto riguarda le migliori abitudini di spesa per se stessi e anche tu puoi guadagnare il lotto reale molto più che senza dubbio altrimenti sarebbe generalmente possibile. Quando si tratta di ordinare in modo da farlo, è necessario mettere in risalto il modo di pensare alle stock options scambiando i tempi per le risorse. Se tutta la tua famiglia si attacca a questo modo di pensare, allora Golden Goose Outlet ovresti decisamente ridurre il tuo decente per tumore e diminuire la tua scelta. Finisci per diventare uno schiavo nella tua nuova attività, lavorando per lunghe ore non più che per gestire. Guarda disponibile per gli acquirenti periodo. I delegati straordinariamente abili potrebbero essere in cerca di qualche tipo di proposta di lavoro in modo che queste aziende possano ostacolare il loro stipendio nelle attuali istituzioni della compagnia. Durante la nostra intervista, la vostra principale perseveranza è quella di perseverare per evitare questi perditempo.
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retegenova · 6 years
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                      Gli eventi della prossima settimana della rassegna della Fondazione Ordine degli Architetti di Genova “Big November 4 – Architectura et Media”.
  Martedì 27 novembre, ore 17.45, Palazzo Ducale
Incontro con Fala Atelier – Tropi
Nella Sala del Munizioniere di Palazzo Ducale si svolge l’incontro “Fala Atelier – Tropi”, evento a cura di Lorenzo Trompetto nell’ambito di Big November 4 “Architectura et Media”, la rassegna della Fondazione Ordine degli Architetti di Genova. Fala è uno studio di architettura naïve con sede a Porto, fondato da Filipe Magalhães, Ana Luisa Soares e Ahmed Belkhodja. Istituito nel 2013, l’atelier lavora con ottimismo metodico su una vasta gamma di progetti, dai territori alle casette per gli uccelli. I progetti di Fala sono un intreccio di linguaggi formali, riferimenti, citazioni e temi, regolati da un’ossessione per la chiarezza.
Durante l’incontro, il giovane studio emergente portoghese, racconta la sua visione del progetto come combinazione di forme, riferimenti, citazioni e temi regolati dall’ossessione della chiarezza; un’architettura sia edonistica che post-modern, intuitiva e retorica. Il ricorso alle figure retoriche sono solo una delle conseguenze di un processo di addizione senza fine.
  Giovedì 29 novembre, ore 9-18, Aula Benvenuto, Stradone Sant’Agostino
Giornata dedicata a Edoardo Benvenuto – Un uomo del Rinascimento del XX secolo
Dalle 9 alle 18, nell’aula Benvenuto del Dipartimento di Architettura e Design, in Stradone Sant’Agostino, il programma di Big November 4 propone una giornata commemorativa dedicata alla figura di Edoardo Benvenuto, ingegnere, pensatore e preside della Facoltà di Architettura di Genova. Una giornata di dialoghi intorno a Filosofia, Teologia, Arte, Architettura, Musica e Letteratura ispirata alla sua figura di umanista e uomo di scienza. L’evento è organizzato dalla Fondazione Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Genova, dall’ Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Genova, dall’Associazione Edoardo Benvenuto, dal Dipartimento Architettura e Design – Scuola Politecnica e dall’Associazione Amici del Liceo Colombo Genova.
Edoardo Benvenuto (1940-1998) è stato docente di Scienza delle costruzioni e Preside della Facoltà di Architettura di Genova. In qualità di Preside ha promosso programmi culturali e operativi con l’Amministrazione pubblica e gli Ordini professionali intorno ai temi della difesa dell’ambiente e del recupero dei centri storici; decisivo, in questo senso, il suo contributo a favore del trasferimento della sede di Architettura sulla collina di Sarzano. In parallelo agli impegni istituzionali e di ricerca svolti in Facoltà ha sempre mantenuto vivo il suo interesse verso gli studi sul pensiero scientifico, filosofico, artistico, teologico e musicale (era diplomato in pianoforte). La giornata a lui dedicata vuole esaminare i vari aspetti della sua ricca e poliedrica personalità affidando ad illustri studiosi l’analisi degli importanti contributi da lui forniti alla cultura scientifica ed umanistica. Programma completo nel comunicato stampa in allegato.
  Giovedì 29 novembre, ore 17.45, aula San Salvatore, Piazza Sarzano
Incontro con Alterazioni video e Fosbury Architecture – Incompiuto, la nascita di uno stile
Nell’Aula San Salvatore del Dipartimento di Architettura e Design, in piazza Sarzano, si presenta il volume “Incompiuto. La Nascita di uno Stile”, una ricerca di Alterazioni video e Fosbury Architecture che indaga le opere pubbliche incompiute attraverso una prospettiva estetica, rintracciando e riscostruendo gli elementi di uno stile unitario: lo stile dell’incompiuto. L’incontro fa parte della rassegna Big November 4 “Architectura et Media”, promossa dalla Fondazione Ordine degli Architetti di Genova, ed è curato da Lorenzo Trompetto.
La quantità di manufatti, l’estensione territoriale e le incredibili peculiarità architettoniche fanno dell’Incompiuto il più importante stile architettonico italiano dal secondo dopoguerra a oggi. L’intento del lavoro, frutto di dieci anni di ricerca sul campo, è di fornire gli strumenti per conoscere un fenomeno che caratterizza il paesaggio italiano contemporaneo e rappresenta una prospettiva dalla quale leggere la storia recente del nostro Paese. Un periodo storico che ha visto lo sviluppo e l’infrastrutturazione della penisola coincidere con il diffondersi delle opere pubbliche incompiute su tutto il territorio nazionale. Più di un migliaio di opere in tutta Italia, finanziate con soldi pubblici e rimaste interrotte per i più svariati motivi (errori progettuali, bancarotta, valutazioni economiche inaccurate, drenaggio di fondi) rappresentano un patrimonio utile a una comprensione più ampia dei rapporti tra il territorio e coloro che lo abitano. Un dato che ci mette oggi nelle condizioni di interrogarci sulle dinamiche del progresso, i suoi limiti e i suoi fallimenti. L’Incompiuto ci consente di riflettere sulla compresenza di differenti linguaggi, sull’intrecciarsi di grammatica e retorica, sulla costruzione di un immaginario condiviso, sul rapporto tra ideologia e politica.
“Incompiuto: La nascita di uno Stile”, edito da Humboldt Books e curato da Alterazioni Video e Fosbury Architecture, accompagna il lettore in un nuovo “Viaggio in Italia”, un “Grand Tour” tra le rovine della contemporaneità. Un insieme di 160 immagini, raccolte nella sezione Opere, insieme alle Mappe regionali e ai dati e le misurazioni fornite nel Catalogo Tipologico, definiscono la natura di questi manufatti: la loro storia, fenomenologia ed estetica.
  Sabato 1 dicembre, ore 10, Piazza Caricamento
Walking Lectures “La città attrice nei film”
Quarto e ultimo appuntamento delle Walking Lectures, le passeggiate tematiche nel cuore della città organizzate dalla Fondazione Ordine degli Architetti di Genova nell’ambito della rassegna Big November 4. Il punto di ritrovo per l’ultima “passeggiata” è alle 10 in Piazza Caricamento, presso il Monumento a Rubattino. L’incontro, dal tema “La città attrice nei film”, è curato da Alessandro Ravera e racconta una Genova in 35 mm tra poliziotteschi e cinema d’autore: Risi, Clement, Soldini, Winterbottom, ma anche Enzo Castellari in “La polizia incrimina, la legge assolve”.
L’occhio della macchina da presa ha sempre mostrato Genova in un modo “diverso” da come i genovesi si aspettano, privilegiando punti di vista particolari e leggendo la città in modo particolare. Cesure che gli abitanti danno per scontate emergono in tutta la loro drammaticità, allo stesso modo del senso di straniamento e di scoperta che deriva da un tessuto urbano che non ha praticamente eguali; il punto di vista cinematografico mette in risalto una serie di caratteristiche che finiscono per definire un immaginario di città piuttosto diverso da quello che hanno i genovesi.
L’evento è a ingresso libero e ha una durata di circa 4 ore. Consigliata la prenotazione: 010 2473946; [email protected].
  Tutti gli eventi sono a ingresso libero.
Per il calendario completo di Big November: http://ordinearchitetti.ge.it/bignovember/
  Chiara Tasso
  www.studiovialevondergoltz.it
    Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
Contatti
Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
Informatica Servizi
Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
Big November 4 “Architectura et Media” – Gli appuntamenti da martedì 27 novembre a sabato 1 dicembre                       Gli eventi della prossima settimana della rassegna della Fondazione Ordine degli Architetti di Genova “Big November 4 – Architectura et Media”.
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bongianimuseum · 7 years
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GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
“CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA A DOMICILIO”
a cura di Sandro  Bongiani
Presentazione critica di Piero Cavellini
(In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia)
 Dal 22 dicembre 2017 al  31 marzo 2018
Inaugurazione:  venerdì 22  dicembre  2017,  ore 18.00
                       S’inaugura  venerdì 22  dicembre 2017,  alle ore 18.00,  la mostra Personale dal titolo “CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA  A DOMICILIO” a cura di Sandro Bongiani  che lo Spazio  Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista italiano Guglielmo Achille Cavellini, presentando,  in collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia  la serie di 77  francobolli, alcuni ancora inediti,  in una mostra  volutamente  “virtuale”, come logico sviluppo delle mostre  realizzate dall’artista a domicilio,  tra opere ad acrilico, intarsio, carbone, legno, collage,  pennarello, serigrafia, fotografia e studi grafici preparatori creati nel corso degli anni 70’ e 80’ sotto forma di Artistamp, con il fine d’indagare  una parte significativa del lavoro  di Cavellini ancora non  del tutto conosciuto. Nella sua ininterrotta navigazione nel territorio dell’arte GAC ha ricercato senza sosta segnali  chiarificatrici che rendessero esplicito la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale. In tale contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale.
Una vita dedita totalmente all’autostoricizzazione, diffusa ampiamente dal 1970 in poi  con mostre e cataloghi a domicilio, manifesti, spille, stickers, cimeli, francobolli, performance, happening, attendendo e programmando la celebrazione ufficiale del 2014 in concomitanza con il centenario dalla sua nascita, nel veneziano Palazzo Ducale e nei musei più prestigiosi del mondo.
 Scrive Piero Cavellini nella presentazione alla mostra: “ E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono. Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione. Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo. Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.  E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica. Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”. E’ in questo periodo, quindi, che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014 .   Ne risulta  la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio stato.
  BIOGRAFIA  di  GUGLIEMO ACHILLE CAVELLINI  
 GAC (Guglielmo Achille Cavellini)  è stato un importante studioso e collezionista dell'arte astratta europea. Dalla metà degli Anni '40 esordisce con disegni e ritratti. Nel '60, si dedica invece alla sperimentazione: alcuni esempi del suo lavoro sono spesso legati a citazioni, vere e proprie elaborazioni di celebri opere che ne fanno un autentico attore nella messa in scena dell'arte. GAC mette in pratica la sua teoria dell'autostoricizzazione: il fare da sé nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, bensì l'innescarsi di una procedura alternativa: una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Andy Warhol si mette a ritrarre Cavellini, e il geniaccio GAC rende omaggio a Andy con il francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Nascono i Teatrini e i  francobolli d’artista attraverso i quali viene reso omaggio ai geni della pittura: Picasso, Lèger, Matisse, Braque e nasce, anche, l’amore per la Mail Art, movimento libero  e democratico che permette a GAC di avere  contatti e confronti importanti con tanti artisti sparsi su tutto il pianeta.
  “CAVELLINI ARTISTAMP /  MOSTRA A DOMICILIO”
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
Via S. Calenda, 105/D  - Salerno
Salerno Tel/Fax 089 5648159    
e-mail:  [email protected]    
Web Gallery: http://www.collezionebongianiartmuseum.it
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00
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