#tradizionalismo
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“ Mentre gli europei impiegavano le lenti per costruire microscopi, telescopi ed occhiali, i cinesi si divertivano ad adoperarli come giocattoli incantati. Lo stesso fecero con gli orologi. Lenti, orologi ed altri strumenti erano stati inventati in Europa per soddisfare esigenze quali sperimentate da uno specifico ambiente socioculturale. In Cina queste invenzioni piovvero casualmente dal cielo e i cinesi le riguardarono come divertenti stranezze. I migliori intelletti si dedicavano all'arte e alla filosofia, non alle scienze. Come osservò padre Ricci, «alla matematica come alla medicina non si applicano se non persone che non possono studiare bene le loro lettere per il puoco ingegno e habilità; e così stanno queste scientie in bassa stima e fioriscono assai puoco. I gradi più solenni sono quelli delle scienze morali». In Cina non era il mondo cittadino a scandire il tono della cultura. In una società composta essenzialmente di una élite di literati nutriti alle discipline classiche e di una vasta massa di contadini che, come nota il dr. Chiang «misuravano il tempo in termini di giorni e di anni e non di minuti o di ore», l'orologio aveva scarse possibilità di imporsi come strumento di pratica utilità. Perché ciò accadesse, si sarebbe dovuto verificare un completo ribaltamento della società, delle sue strutture e dei suoi bisogni. La macchina ha ragion d'essere solo come espressione della risposta dell'uomo ai problemi postigli dall'ambiente e recepiti e interpretati traverso il filtro della cultura prevalente. “
Carlo M. Cipolla, Le macchine del tempo. L'orologio e la società (1300-1700), Il Mulino (collana Intersezioni, n° 169), 2008 [1ª ed.ne 1981]; pp. 71-72.
#Carlo M. Cipolla#letture#saggi brevi#saggistica#citazioni#Le macchine del tempo#Estremo Oriente#Europa#invenzioni#Storia economica#Cina#Impero Cinese#macchine#leggere#Storia dell'età moderna#tecnologia#Matteo Ricci#matematica#confucianesimo#scienze#antica Cina#gesuiti#innovazione#conservatorismo#tecnologie#innovazioni#modernità#libri#società del passato#tradizionalismo
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Tempi antichi
Eppure ci fu un tempo in cui non c’era bisogno di urlare; il confronto era superfluo; ognuno riconosceva il suo posto per discendenza e per merito (uno aggiusta l’altro); il dolore non era necessario per imparare a vivere; la libertà non la si invocava ma la si viveva; l’arte serviva per immaginare la perfezione partendo dall’uomo; la filosofia non serviva; la religione serviva per arrivare alla perfezione fin’ dove l’uomo poteva e non per minacciare l’uomo stesso; la guerra nobilitava l’uomo; lo Stato era soggetto alla legge eterna, che era il riflesso della giustizia divina; si amava l’avo deceduto tanto quanto il discendente non ancora nato; e l’amore era vero ed eterno e gli amanti erano un tutt’uno.
E quindi ci fu un tempo in cui la morte non ebbe alcun dominio.
#tradizione#tradizionalismo#storia#antichità#tempi antichi#passato#frasi#frasi tumblr#roma antica#Łukasz Stokłosa#Stokłosa
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Guénon e la revisione del tradizionalismo secondo Silvano Panunzio
Guénon e la revisione del tradizionalismo secondo Silvano Panunzio
di Giovanni Sessa La casa editrice Iduna propone ai lettori un’importante silloge di scritti di Silvano Panunzio, introdotti da Aldo la Fata, che del pensatore cristiano è il maggior esegeta. Si tratta del volume, René Guénon e la crisi del mondo moderno, in cui sono raccolti saggi dedicati dall’autore all’esegesi del pensiero dell’esoterista francese e della sua scuola, apparsi in libri o sulla…
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Ci fu un solo Nazismo, e non possiamo chiamare Nazismo il Falangismo iper-cattolico di Franco, dal momento che il Nazismo è fondamentalmente pagano, politeistico e anti-cristiano, o non è Nazismo. Al contrario, si può giocare al Fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. Succede alla nozione di Fascismo quel che, secondo Wittgenstein, accade alla nozione di gioco. Un gioco può essere o non essere competitivo, può interessare una o più persone, può richiedere qualche particolare abilità o nessuna, può mettere in palio del danaro, o no. I giochi sono una serie di attività diverse che mostrano solo una qualche somiglianza di famiglia. (...)
Il Fascismo è diventato un termine che si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista.
Togliete al Fascismo l'imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il Fascismo balcanico. Aggiungete al Fascismo italiano un anti-capitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al Fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola. A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l' Ur-Fascismo, o il Fascismo Eterno. Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.
Uno. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. Il tradizionalismo è più vecchio del Fascismo. Non fu solo tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione francese, ma nacque nella tarda età ellenistica, come una reazione al razionalismo greco classico. Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse (tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una rivelazione ricevuta all'alba della storia umana. Questa rivelazione era rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora sconosciuti, delle religioni asiatiche. Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. Sincretismo non è solo, come indicano i dizionari, la combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva. Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio. E' sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti. La più importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, l'alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci, è una prova lampante di sincretismo. Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane portano l'indicazione "New Age", troverete persino Sant'Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant'Agostino e Stonehenge, questo è un sintomo di Ur-Fascismo.
Due. Il tradizionalismo implica il rifiuto del Modernismo. Sia i Fascisti sia i Nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il Nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernità era solo l'aspetto superficiale di una ideologia basata sul Sangue e la Terra (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello Spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L'Illuminismo, l'Età della Ragione, vengono visti come l'inizio della depravazione moderna. In questo senso, l'Ur-Fascismo può venire definito come irrazionalismo.
Tre. L' irrazionalismo dipende anche dal culto dell'azione per l'azione. L'azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di, e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione. Perciò, la cultura è sospetta, nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici. Dalla dichiarazione attribuita a Goebbels ("quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola") all'uso frequente di espressioni quali porci intellettuali, teste d'uovo, snob radicali, le università sono un covo di comunisti, il sospetto verso il mondo intellettuale è sempre stato un sintomo di Ur-Fascismo. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell'accusare l'intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
Quattro. Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica. Lo spirito critico opera distinzioni e distinguere è un segno di modernità. Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l'Ur-Fascismo il disaccordo è tradimento.
Cinque. Il disaccordo è inoltre un segno di diversità. L'Ur-Fascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L'Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.
Sei. L'Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l'appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo in cui i vecchi "proletari" stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il Fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
Sette. A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l'Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E' questa l'origine del nazionalismo. Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l'ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall'interno: gli ebrei sono di solito l'obiettivo migliore in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori. (...)
Otto. I seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici. Quando ero bambino mi insegnavano che gli inglesi erano 'il popolo dei cinque pasti' : mangiavano più spesso del povero ma sobrio italiano. Gli ebrei sono ricchi e si aiutano l'un l'altro grazie a una rete segreta di mutua assistenza. I seguaci debbono tuttavia essere convinti di poter sconfiggere i nemici. Così, grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli. I fascismi sono condannati a perdere le loro guerre, perché sono costituzionalmente incapaci di valutare obiettivamente la forza del nemico.
Nove. Per l'Ur-Fascismo non c'è lotta per la vita, ma piuttosto vita per la lotta. Il pacifismo è allora collusione col nemico; il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente. Questo tuttavia porta con sé un complesso di Armageddon: dal momento che i nemici possono essere sconfitti, ci dovrà essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avrà il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un'Età dell'oro che contraddice il principio della guerra permanente.
Nessun leader fascista è mai riuscito a risolvere questa contraddizione.
Dieci. L'elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L'Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un elitismo popolare. Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un Dominatore. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.
Undici. In questa prospettiva, ciascuno �� educato per diventare un Eroe. In ogni mitologia l'Eroe è un essere eccezionale, ma nell'ideologia Ur-Fascista l'eroismo è la norma. Questo culto dell'eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era viva la muerte (...). L'eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
Dodici. Dal momento che sia la guerra permanente sia l'eroismo sono giochi difficili da giocare, l'Ur-Fascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. E' questa l'origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all'omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un gioco difficile da giocare, l'eroe Ur-Fascista gioca con le armi, che sono il suo Ersaltz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una Invidia Penis permanente.
Tredici. L'Ur-Fascismo si basa su di un populismo qualitativo. In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l'insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l'Ur-Fascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il Popolo è concepito come una qualità, un'entità monolitica che esprime la Volontà Comune. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati, pars pro toto, a giocare il ruolo del Popolo. Il Popolo è così solo una finzione teatrale. Per aver un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello Stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentato e accettato come la Voce del Popolo. A ragione del suo populismo qualitativo, l' Ur-Fascismo deve opporsi ai 'putridi' governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel Parlamento italiano fu: "Avrei potuto trasformare quest'aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli". Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il Parlamento. Ogni qualvolta un politico getta dubbi sulla legittimità del Parlamento perché non rappresenta più la Voce del Popolo, possiamo sentir l'odore di Ur-Fascismo.
Quattordici. L' Ur-Fascismo parla la Neolingua. La Neolingua venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell' Ingsoc, il Socialismo inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su di un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di Nuovalingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talk-show.
Dopo aver indicato i possibili archetipi dell'Ur-Fascismo, mi sia concesso di concludere. Il mattino del 27 luglio del 1943 mi fu detto che, secondo delle informazioni lette alla radio, il Fascismo era crollato e che Mussolini era stato arrestato. Mia madre mi mandò a comprare il giornale. Andai al chiosco più vicino e vidi che i giornali c'erano, ma i nomi erano diversi. Inoltre dopo una breve occhiata ai titoli, mi resi conto che ogni giornale diceva cose diverse. Ne comperai uno, a caso, e lessi un messaggio stampato in prima pagina, firmato da cinque o sei partiti politici, come Democrazia Cristiana, Partito comunista, Partito socialista, Partito d'Azione, Partito liberale.
Fino a quel momento avevo creduto che vi fosse un solo partito in ogni paese, e che in Italia ci fosse solo il Partito nazionale fascista. Stavo scoprendo che nel mio paese ci potevano essere diversi partiti allo stesso tempo. Non solo: dal momento che ero un ragazzo vispo, mi resi subito conto che era impossibile che tanti partiti fossero sorti da un giorno all'altro.
Capii così che esistevano già come organizzazioni clandestine. Il messaggio celebrava la fine della dittatura e il ritorno della libertà: libertà di parola, di stampa, di associazione politica.
Queste parole, libertà, dittatura - Dio mio - era la prima volta in vita mia che le leggevo. In virtù di queste nuove parole, ero rinato uomo libero occidentale. Dobbiamo stare attenti che il senso di queste parole non si dimentichi ancora. L'Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: "Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane". Ahimè, la vita non è così facile.
L'Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo. Do la parola a Roosevelt: "Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte, con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del Fascismo crescerà nel nostro paese" (4 novembre 1938).
Libertà e Liberazione sono un compito che non finisce mai.
Che sia questo il nostro motto: non dimenticate."
di UMBERTO ECO, “Il fascismo eterno”
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Il fascismo eterno
A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’"Ur-Fascismo o il fascismo eterno"
-La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. (... )deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva. Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio.
-Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo.(...) Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico
-L’irrazionalismo dipende anche dal culto dell’azione per l’azione. Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici. Göbbels: “Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola
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-Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica. Disaccordo è inoltre un segno di diversità. L’Ur-Fascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza.
-L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese.
-Seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici. Così, grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli.
-Non c’è lotta per la vita, ma piuttosto “vita per la lotta" Il pacifismo è allora collusione col nemico, il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente.
-L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, L’Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un “elitismo popolare.Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni.
-In ogni mitologia l’“eroe" è un essere eccezionale, ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo è la norma -strettamente legato al culto della morte-. L’eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
-Dal momento che sia la guerra permanente sia l’eroismo sono giochi difficili da giocare, l’Ur-Fascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. È questa l’origine del machismo. Dal momento che anche il sesso è un gioco difficile da giocare, l’eroe Ur-Fascista gioca con le armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
-In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, Per l’Ur-Fascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo" è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune - il leader pretende di essere il loro interprete-. A ragione del suo populismo qualitativo, l’Ur-Fascismo deve opporsi ai “putridi" governi parlamentari.
-L’Ur-Fascismo parla la “neolingua”
Umberto Eco, Il Fascismo Eterno (1995)
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Il tradizionalismo è l'ideologia più rivoluzionaria del nostro tempo
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(...) L’europeismo, ideologia utopica per eccellenza, ha elaborato un certo numero di concetti e “valori” di puritanesimo morale per rimuovere le patologie europee (violenza, colonialismo, razzismo, eccetera) e ha importato dall’America il pensiero decostruttivista rielaborato negli Studies e in seguito, con l’aiuto della piazza e dei social network, il “wokismo”. (...) In guisa di novelli calvinisti, gli europeisti wokizzati vedono l’umanità consumata da un male che bisogna combattere con ardore mediante i (nuovi) “valori” globali universali (...).
(Secondo) la logica comunitarista dell’ideologia europeista (...) non la “società aperta” del liberale Popper ma quella sostenuta dal miliardario Soros con l’accoglienza incondizionata dell'altro non occidentale, permette (...) una redenzione. Auguri!
La democrazia non è più (...) un teatro dove si confrontano, alla luce della ragione naturale, punti di vista differenti. Tutto è trasfigurato in una guerra tra oppressori e vittime, progressisti e reazionari, sostenitori della diversità e turiferari del ripiegamento identitario (non a caso la guerra in Ucraina divenuta ossessione anche anti-russi). (...)
La politica woke (in prevalenza Dem americani e istituzioni europee) è inchiodata alla “guerra di liberazione dalla Russia” che sarà sempre più costosa dopo il fallimento della piattaforma Ftx e l’interruzione del flusso crypto a sostegno del clan Zelenski. La Russia potrebbe approfittare del “momento” per lanciare una rivincita sul terreno, come da giorni paventano gli ucraini, per realizzare lo scopo iniziale enunciato nel famoso discorso del 22 febbraio (la rimozione dell’attuale governo di Kiev). A quel punto, augurandoci che non arrivi, le truppe woke dovranno decidere se entrare in guerra con la Russia. (...)
Magistrale analisi (qui un estratto) di Paolo Raffone via https://www.ilsussidiario.net/news/scenario-qatargate-cosi-loffensiva-russa-mettera-fine-al-partito-unico-europeo/2458614/
Siamo al punto: il copincolla di "valori" woke del czz generatisi nel nulla culturale massificato del West Democratico - infantilismo capriccioso irrazionale violento e ipocrita come hollywood e assurdo tipo South Park, assorbito tel quel da parte dell'antico "faro della civiltà e dei Lumi" l'Europa.
Tanto che siamo al paradosso che il tradizionalismo ortodosso, marginale da sempre e custodito da Kahn semi mongoli che regalarono al mondo il socialismo reale, può a ragione assurgere a custode dei veri storici valori europei che han cambiato il Mondo !!!! Che finaccia.
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Qual è il senso della vita?
Trovare il senso della propria vita corrisponde al trovare la felicità.
Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto e ovunque, in tutto ciò in cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose
La felicità è una scelta, una strada da percorrere: non è il contrario della tristezza, quanto la consapevolezza della fragilità che abita in ognuno e la capacità di amare questa fragilità come il bene più prezioso in ognuno. Uno dei film che affronta il problema della felicità è al centro del film Into the wild, che racconta la storia di Christopher McCandless, un ragazzo che appena dopo la laurea intraprese un viaggio in solitario nelle lande desolate dell’Alaska dove trovò la morte accidentalmente. Anche lui era in cerca della felicità, al punto che ci ha lasciato nei suoi diari alcune riflessioni molto interessanti.
C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso... Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un'esistenza non convenzionale. essere triste o felice?”, risponderebbe “Triste”. Eppure quando ci fanno la domanda “Sei felice?”, esitiamo sempre a rispondere e spesso ci affidiamo a un diplomatico “sì, dai, abbastanza”. Sappiamo poco di quel che significa essere triste e ancora meno di quel che significa essere felice. La felicità è un mistero e oggi la nostra società sembra volerci obbligare a essere felici a tutti i costi proponendoci dei modelli sterili di realizzazione perlopiù basati sul possesso. Cose già viste, a ben pensarci. Gli dei dell’antica Grecia erano belli, immortali ed eternamente giovani; passavano la vita ad amoreggiare, ridere e trastullarsi in banchetti (anche a farsi la guerra, di tanto in tanto). Tutti oggi firmerebbero per una vita così perché la immaginiamo perfetta. I modelli di felicità presenti nelle pubblicità, proprio per il fatto che il marketing gioca con la nostra insoddisfazione, propongono sempre uomini e donne belli, affermati, sempre giovani. La realtà, però, è molto più complessa: ma questi desideri ci spingono a lavorare per ottenere quegli obiettivi. Spesso, una volta ottenuti, ci sentiamo vuoti e insoddisfatti. E torniamo al punto di partenza.
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La complicità della Chiesa Ortodossa Russa col regime di Putin non è il prodotto di una scelta circostanziale o costrittiva come poteva essere stato ai tempi di Stalin, bensì di una adesione ideologica totale agli pseudovalori del regime putinista profondamente recepiti nella dottrina sociale della ROC: patriottismo becero, familismo estremo e patriarcale, sottomissione dell’individuo al potere (temporale e spirituale), tradizionalismo esasperato, riaffermazione degli antichi valori (tra cui lo sradicamento dell’ateismo), culto delle reliquie e degli eroi, missione storica dell’Ortodossia (evangelizzazione e Terza Roma).
Tutti temi, veri e propri archetipi, che ritroviamo, virati in linguaggio politico, nella dottrina politico-ideologica di Russia Unita, laddove invece in quella della ROC assumono toni messianici e misticheggianti: compresi i costanti riferimenti alla lotta esistenziale contro lo spirito satanico diffuso nella società, contro cui la Santa Russia sarebbe l’ultimo baluardo.
Attraverso questi archetipi comuni la Chiesa di Kiryll ha dunque abbracciato la politica del regime facendo propria la dottrina ideologica del Russky Mir: un connubio che ha portato alla ROC enormi vantaggi in termini finanziari e di potere spirituale sulle masse russe incolte, ma che ha reso il Patriarcato solidarmente complice delle nefandezze del regime. Con tutte le conseguenze del caso nel giorno in cui il regime dovesse collassare.
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C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso… Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un’esistenza non convenzionale…
|| dal film Into the Wild – Nelle terre selvagge
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(Fonte: web)
Una mostra che sceglie la città natale di Giacomo Leopardi e un titolo ispirato a una conferenza di Italo Calvino per illuminare nuovi punti di contatto tra l’eterno bisogno umano di poesia e le capacità linguistiche e combinatorie delle intelligenze artificiali. L’idea che una macchina possa rimuovere l’essere umano dai “negozi della vita” e sostituirlo tanto nelle «cose materiali», quanto e soprattutto in quelle «spirituali», è anticipata da Leopardi nel 1824, in una delle Operette morali meno note ma più visionarie e futuribili, in cui il poeta recanatese immagina un’Accademia dei Sillografi – i sillografi erano, nell’antica Grecia, poeti di versi ironici e burleschi – che istituisce un bando di concorso per premiare le tre migliori invenzioni capaci di sostituire l’essere umano. Si lega invece all’ipotesi di una macchina letteraria il titolo scelto per la mostra, Cibernetica e Fantasmi: “dato che gli sviluppi della cibernetica vertono sulle macchine capaci di apprendere, di cambiare il proprio programma, di sviluppare la propria sensibilità e i propri bisogni, nulla ci vieta di pensare che a un certo punto la macchina letteraria senta l’insoddisfazione del proprio tradizionalismo e si metta a proporre nuovi modi d’intendere la scrittura, e a sconvolgere completamente i propri codici” (Cibernetica e fantasmi – Appunti sulla narrativa come processo combinatorio).
La mostra è stata anticipata dal concorso di poesia Cibernetica e Fantasmi: un concorso aperto a tutti, poeti e non, senza limiti di età e lingua, in cui si è potuta candidare una poesia scritta dall’IA, sull’IA o con l’IA.
CIBERNETICA E FANTASMI è una retrospettiva sullo stato dell’arte della poesia fatta dall’intelligenza artificiale, con l’intelligenza artificiale e sull’intelligenza artificiale, attraverso un percorso espositivo pensato per offrire ai visitatori una panoramica sulle possibili forme di interazione tra gli esseri umani e le macchine nei processi di creazione. Da opere prodotte autonomamente da IA in grado di leggere, grazie a sensori, il contesto fisico nel quale si trovano e riprodurlo in poesia, fino a versi scritti da esseri umani sul nostro rapporto con le macchine intelligenti, attraversando vari livelli intermedi di co-creazione tra le due autorialità. L’esposizione è ospitata nel museo di Villa Colloredo Mels, a Recanati, uno spazio in cui poesia, arte e intelligenza artificiale possono dialogare con i capolavori del Maestro rinascimentale Lorenzo Lotto e la sezione dedicata a Giacomo Leopardi.
Se già Calvino apriva alle possibilità creative della cibernetica, in un’epoca in cui l’essere umano iniziava a capire “come si smonta e come si rimonta la più complicata e la più imprevedibile di tutte le sue macchine: il linguaggio”, cosa succede quando il linguaggio smontato e rimontato dall’intelligenza artificiale incontra la scrittura poetica attraverso i suoi autori?
#cibernetica e fantasmi#calvino#leopardi#ai#poesia#linguaggio#letteratura#ricombinare#stravolgere#ristrutturare#oltreumanesimo#derealizzazione
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[Oriana Fallaci:] Maestà, lei è il monarca che ha regnato più a lungo tra quelli che oggi sono rimasti sul trono. E, in un’epoca che ha visto la caduta rovinosa di tanti re, lei è l’unico monarca assoluto. Le capita mai di sentirsi solo in un mondo così diverso dal mondo in cui crebbe? [Hailé Selassié:] Noi riteniamo che il mondo non sia affatto cambiato. Noi riteniamo che questi cambiamenti non abbiano cambiato nulla. Non vediamo nemmeno differenze tra repubblica e monarchia: a Noi sembrano due modi sostanzialmente uguali di governare un popolo. Avanti, Ci dica: qual è la differenza tra repubblica e monarchia? [D] Veramente, Maestà… Ecco, a Noi… voglio dire… a me sembra d’aver capito che nelle repubbliche dove esiste la democrazia il capo viene eletto. Nelle monarchie invece no. [R] Non vediamo la differenza. [D] Non importa, Maestà. Cosa pensa della democrazia? [R] Democrazia, repubblica: cosa vogliono dire queste parole? Cos’hanno cambiato nel mondo? Gli uomini sono forse diventati più bravi, più leali, più buoni? Il popolo è forse più felice? Tutto continua come prima, come sempre. Illusioni, illusioni. E poi bisogna vedere gli interessi di un popolo, prima di sovvertire con le parole. A volte la democrazia è necessaria e Noi pensiamo che alcuni popoli africani possano adottarla. Ma altre volta essa è un danno, un errore.
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Intervista rilasciata dall'imperatore d'Etiopia Hailé Selassié nel giugno del 1972, raccolta in:
Oriana Fallaci, Intervista con la Storia - Nuova edizione ampliata e riveduta, B.U.R. / Rizzoli, 1981⁵, pp. 376-377.
NOTA: il Negus Neghesti fu deposto il 12 settembre 1974 e venne tenuto in prigionia nel palazzo imperiale fino al 27 agosto 1975, giorno del suo assassinio avvenuto per ordine del leader golpista Menghistu Hailé Mariàm.
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si vuol essere europei od occidentali?
Le azioni di Hamas nei confronti di Israele hanno rivelato per l’ennesima volta un dato di fatto incontrovertibile, ovvero che nella cosiddetta area tutti i valori più nobili vengono costantemente superati, e sempre rigorosamente all’indietro. Nell’ultima puntata della rubrica polis, che ho l’onore di tenere ogni mercoledì, è stata affrontata la seguente questione, cioè che, accanto a chi sostiene Israele perché difenderebbe la cristianità dall’islamismo, dimenticandosi curiosamente cosa pensano gli appartenenti alla religione ebraica del cristianesimo, e a chi sostiene la causa palestinese ma poi dileggia costantemente gli ucraini che quotidianamente muoiono per difendere esattamente come i palestinesi la propria terra dagli invasori del Cremlino, è emersa una nuova “corrente”, ovvero i presunti neutrali tra Israele e la causa palestinese. Molti di loro si dichiarano fascisti, ma, visto che i fascismi europei furono i più importanti interlocutori e alleati del mondo arabo in chiave antisionista, antisovietica e antimericana, evidentemente sono in totale confusione esistenziale. In verità, ogni giorno che passa, rivelano, esattamente come i russofili, sempre di più la loro natura e, esattamente come questi ultimi, dimostrano di essere stati perfettamente penetrati dai “valori wasp”. Se, infatti, le correnti putiniane sono pregne di visioni messianiche, di deviazioni e malinterpretazioni del tradizionalismo, i cosiddetti neutrali tra Israele e Palestina, ovvero filosionisti che non hanno il “coraggio ” di dichiararlo apertamente, sono impregnati di razzismo borghese, dai tratti veterotestamentari e da “idee suprematiste”. Tutto ciò è indissolubilmente figlio di un’influenza che l’alt right americana esercita sulle destre europee da vario tempo, soprattutto da quando è emerso il problema della “cancel culture”. Alla luce quindi di questi fatti appare opportuno ribadire dei concetti che teoricamente dovrebbero essere scontati, soprattutto perché anche persone valide potrebbero subirne l’influenza. I dogmi da cui partire, anche se tale parola non è esattamente afferente al nostro modus agendi, sono i seguenti: – Non esiste alcuna battaglia comune tra gli europei e gli americani wasp per difendere il mondo bianco. Gli Stati Uniti moderni nascono da europei che rifiutano di essere europei e cercano per loro stessi una nuova terra promessa. Il ruolo esercitato da loro nella seconda guerra mondiale non è che in coerente continuità con le origini dell’Occicente. Da ciò ne consegue che la bussola è l’Europa e non l’Occidente. Ci sono americani validi, ma sono quelli che rifiutano gli Stati Uniti e lottano per riscoprire la propria essenza di europei.
– La cancel culture è un orrore di matrice americana In molti denunciano la cancel culture ma sono evidentemente dimentichi della sua vera matrice, ovvero americana. Il fatto che la destra americana a questa si opponga non deve trarre in inganno. Si tratta di un fenomeno interno, che, come sempre, vede due schieramenti contrapposti tra loro, ma figli del medesimo sistema. Quando in Italia e in Europa si diffusero le teorie sessantottine, il Fronte della Gioventù, i movimenti di destra extraparlamentari e tutte le realtà identitarie d’Europa continuavano a parlare di terza via, di Europa nazione e di terza posizione, certo non pensarono minimamente di compattarsi con i conservatori americani che si opponevano al progressismo – Non ci si oppone alla cancel culture rimanendo schierati in una torretta Proprio come la destra americana, molti in Europa combattono la cultura della cancellazione in ottica esclusivamente reazionaria, ovvero volendo cristallizzare quanto c’era fino a prima che emergesse il fenomeno. L’approccio cui ricorrere non può non essere rivoluzionario e avanguardistico, che è tra l’altro l’unico che può impedire che taluni fenomeni si diffondano sempre più capillarmente in Europa. – Bisogna smetterla di ragionare da abitanti di una colonia Strillare “siamo schiavi degli americani” è ridicolo, ancor di più se si ragiona da schiavi. Coloro i quali asseriscono che è fondamentale cercare sponde e alleanze con il mondo dell’alt right americana, dal momento che inesorabilmente ciò che succede lì si ripete necessariamente in Europa e che quindi va salvata la presunta America migliore per salvare l’Europa, hanno già dato per assodato che saranno degli schiavi in aeternum. Che gli USA possano decadere per fenomeni interni è vero, ma tale probabilità dovrebbe essere vista dagli uomini liberi che hanno voglia di riscattarsi da chi li colonizza da quasi ottant’anni come un fattore positivo, non come una catastrofe. La domanda, quindi, basilare da cui partire è la seguente: si è europei o occidentali? Se si è veramente europei, non basta essere nati in Europa o essere discendenti di antenati europei. È lo spirito europeo che va recuperato, quello spirito che ha appunto forgiò le stirpi europee. Se ci si vuole accontentare di difendere un presunto mondo bianco che includa i distruttori dell’Europa, sicuramente si percorrerà la via più semplice, tuttavia non vi può essere in ciò alcuna risorgenza europea, perché a fare la storia sono gli uomini che accettano le ardue imprese.
-F.Viola
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Riscoprire la Tradizione, storica e filosofica (non il tradizionalismo!), non vuol dire regredire rispetto a quello che noi chiamiamo 'progresso', ma ritrovare le radici per una evoluzione sociale, psicologica e spirituale.
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Gli altri sport: Suzanne Lenglen
La più grande tennista del Novecento… Suzanne Lenglen nacque a Parigi il 24 maggio 1899 e fin da piccola fu colpita dall’asma e l’emicrania cronica, che costrinsero i suoi genitori a trasferirsi prima a Compiègne, nella Piccardia, poi a Nizza, nel cuore della Costa Azzurra, a due passi da un noto tennis club. Fu il padre Charles a mettere la prima racchetta in mano a Suzanne e la sottoponeva ad allenamenti massacranti per l’epoca, infatti l’uomo posizionava una moneta ovunque sul campo, costringendo la figlia a colpire fino a quando non la impattava. Dopo la Prima Guerra Mondiale Suzanne fece il suo debutto nel mondo del tennis e in poco tempo fu la padrona di Wimbledon e del Roland Garros, come fece moltissimi anni dopo lo svedese Bjorn Borg. A Wimbledon nel 1919 Lenglen fu la prima tennista non inglese a vincere i Championships, battendo Dorothea Lambert Chambers, sette volte vincitore del titolo, in una finale epica. La sua popolarità crebbe anche grazie alla rivoluzione che, insieme allo stilista Jean Patou, portò sul campo da tennis, infatti giocava con vestitini senza maniche e con la gonna tagliata appena sotto al ginocchio. Suzanne era cosi nota da costringere gli organizzatori di Wimbledon a traslocare da Worple Road a Church Road, sede attuale del torneo, per ideare strutture più capienti per le folle che pagavano il biglietto per vederla giocare. Anticonformista e glamour, Lenglen lottò contro il tradizionalismo parallelamente a una carriera che fu costellata di sei titoli al Roland Garros e sei titoli a Wimbledon, per un totale di dodici Slam. Nel 1920 vinse tre medaglie alle Olimpiadi di Anversa, con l’oro nel singolare femminile e nel doppio misto, insieme a Max Decugis, e bronzo nel doppio femminile e brillò anche in America, dove fu protagonista di un testa a testa con la futura stella Helen Wills, i tremila spettatori presenti furono testimoni di un grande spettacolo, mentre che non riuscì ad accaparrarsi i biglietti salì anche sugli alberi per vedere la Lenglen battere la giovane collega. Dopo essere passata al professionismo, la Lenglen scelse di ritirarsi definitivamente dalle competizioni per dirigere una scuola di tennis a Parigi, che fondò con l'aiuto del suo compagno Jean Tillier. La scuola, collocata presso i campi del Roland Garros, venne riconosciuta come centro di allenamento federale dalla Federazione Tennistica Francese nel 1936, mentre la Lenglen scrisse diversi libri sul tennis. Nel giugno 1938, la stampa francese annunciò che alla Lenglen era stata diagnosticata la leucemia. Tre settimane dopo, la tennista divenne cieca morì per una anemia perniciosa il 4 luglio 1938 ed è sepolta nel cimitero parigino di Saint-Ouen, fuori Parigi, rimanendo La Divine del tennis femminile per sempre. Read the full article
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Quesito Buonasera caro Padre Angelo, sbaglio a ritenere i domenicani un ordine particolarmente legato alla Tradizione, o ormai sono solo in pochi anche tra questi preti? (Premesso che dovrebbero esserlo tutti). Ho saputo infatti che anche a …, dove io abito, i domenicani sono presenti e insegnano in varie università, sono tutti teologi molto preparati e giustamente coerenti con l'insegnamento della dottrina (penso?). Volevo sapere se voi, come Ordine, avete delle regole da seguire dal punto di vista della predicazione dato che avete come carisma proprio quello di custodi della fede, oltre a quelle regole proprie di ogni sacerdote... La ringrazio in anticipo Le auguro una buona domenica e prego, come sono solito, per voi Paolo Risposta del sacerdote Caro Paolo, 1. I domenicani ricevono una solida formazione teologica avendo San Tommaso d'Aquino come maestro. Certamente una loro caratteristica è quella di possedere solidità di dottrina. Questo è un dato di fatto. Che poi, come in ogni coro, ci sia qualcuno che stecca, così capita anche nell'Ordine domenicano. Ma nel suo insieme l'Ordine conserva solidità dottrinale e la Chiesa sa dove volgere lo sguardo quando vuole trovare dottrina sicura. 2. Non vorrei andare troppo in là dicendo che si tratta di una grazia di stato. Certamente è il carisma proprio dell’Ordine, fin dai suoi inizi. Lo ricordava Papa Onorio III scrivendo a San Domenico e ai suoi compagni, la cui caratteristica era quella di “essere completamente impegnati ad annunciare la parola di Dio“, di “insegnare la regola della fede“, di “estirpare l’eresia” e di “combattere i vizi”, di "annunciare ai pagani il nome del Signore Gesù e spezzare ai fedeli il pane della Parola”. L'aveva riconosciuto anche Dante nella Divina Commedia mettendo in bocca a San Tommaso queste parole: “Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino u’ ben s’impingua se non si vaneggia. Questi che m’è a destra più vicino, frate e maestro fummi, ed esso Alberto è di Cologna, e io Thomas d’Aquino” (Paradiso, canto X, 96.99). 3. Quasi a conferma di questo, c'è quanto l'Eterno Padre ha rivelato a Santa Caterina da Siena dicendole che “per suo dono straordinario è stato dato a Domenico e ai suoi frati di penetrare la Verità della sua parola e di non allontanarsi mai da essa” (Raimondo da Capua, Legenda major, n. 205). 4. Chiedi se ti sbagli a pensare che l'Ordine domenicano sia particolarmente legato alla Tradizione. Più che parlare di Tradizione, che per alcuni potrebbe suonare come sinonimo di tradizionalismo, l'Ordine domenicano è legato alla Verità. Tra i vari motti dell'Ordine di san Domenico, accanto a quello di “contemplari et contemplata alias tradire” (contemplare, cioè stare uniti a Dio, e comunicare ciò che si sta vivendo) e "laudare, benedicere et praedicare” (lodare, benedire e predicare), c’è anche quello di Veritas. Il primo motto è desunto da San Tommaso d’Aquino. Il secondo sta ad indicare la differenza tra i monaci e i domenicani: i primi hanno il compito di lodare e di benedire il Signore. I domenicani, oltre a lodare e benedire, hanno anche come specifico il compito di predicare, di annunciare, di comunicare agli altri ciò che Dio ha messo dentro il loro cuore. Il motto Veritas richiama immediatamente la purezza della dottrina, lo splendore della verità. È uno splendore che affascina e che conquista. È una purezza che non cammina mai da sola, ma è sempre accompagnata da purezza di sentimenti e di vita. 5. Mi dici che nella tua città ci sono diversi domenicani che insegnano in varie università, sono ben preparati, e sono coerenti con l'insegnamento della Chiesa. Sì, è vero. Ma è anche vero che non tutti i domenicani insegnano nelle università. Certamente l'insegnamento accademico è una forma particolare di predicazione, ma ve ne sono tante altre, soprattutto quelle legate alla celebrazione dei sacramenti
, in particolare all'eucaristia e alla confessione sacramentale. Sotto questo aspetto le nostre comunità quasi sempre sono eterogenee perché i frati si dedicano a disparità di ministeri, a qualunque forma di predicazione. 6. Mi chiedi infine se noi domenicani abbiamo delle regole per preparare la predicazione. No, non vi sono regole o tecniche particolari. Al loro posto c'è il vissuto di comunione con Dio e di preparazione dottrinale. Questo incide più di qualsiasi altra cosa al punto da costituire il contenuto e il fine della nostra predicazione. Ti ringrazio molto per le preghiere che fai per noi. Il Signore ti ricompenserà. Da parte mia ti benedico, ti auguro ogni bene e ti accompagno con il ricordo al Signore. Padre Angelo
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