#radicale trasformazione culturale
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fancypatrosublime · 1 year ago
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Rinascimento ✨🐝💛
Il significato più profondo del Rinascimento risiede nel cambiamento della visione del mondo e dei valori; è una radicale trasformazione culturale che sfida le credenze e le tradizioni medievali dominanti.
Il Rinascimento abbraccia l'interesse per il potenziale umano, l'individualismo e la ricerca della conoscenza; celebra le conquiste umane in vari campi come l'arte, la scienza, la filosofia, la letteratura, il cinema.
Il Rinascimento promuove la curiosità, lo spirito critico, l'esperienza per progredire in varie discipline; incoraggia a mettere in discussione l'ipse dixit, le convenzioni, per una comprensione reale del mondo attraverso la ragione - secondo prove, evidenze.
Il Rinascimento è la rinascita dei principi classici: la riscoperta di testi e visioni greco-romane; di quell'umanesimo che spinge sul valore, la dignità dell'individuo: sulla creatività, la ragione e l'etica che accompagna ogni azione.
Il Rinascimento è espressione intellettuale e artistica che promuove valori umanistici; un percorso di sviluppo della scienza, della filosofia e della cultura - per la modernità.
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alephsblog · 6 months ago
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Per sgomberare il terreno da malintesi, vorrei innanzitutto ricordare che le donne, fino agli anni ‘70 e per talune cose addirittura fino agli anni ‘90, non avevano gli stessi diritti legali degli uomini e che gran parte delle donne della mia generazione, in famiglia, non erano trattate allo stesso modo dei fratelli, né per noi esistevano le stesse aspettative e libertà. Qualunque donna italiana che oggi abbia più di 50 anni è nata in una posizione subordinata. Lo imponeva la cultura e lo diceva la legge.
Chi scrive aveva un padre che era una gran brava persona ed aveva un gran cuore. Eppure, nel corso della mia infanzia era un patriarca a tutti gli effetti: era lui a sedere a capotavola, a battere il pugno sul tavolo e ricordarci a tutti che il capo famiglia era lui e che in casa comandava lui. Amava nostra madre ma spesso la trattava come una serva; voleva bene a noi figlie femmine, ma il futuro a cui guardava era soprattutto quello di nostro fratello. Frasi come “quando ti sposerai, a queste cose ci penserà tuo marito” erano all’ordine del giorno perché per quanto ci spronasse a studiare, il “futuro” era sempre e solo percepito attraverso quello di un marito, non il nostro.
Era un despota da colpevolizzare? No. Non si possono giudicare comportamenti passati estrapolandoli dal contesto. Nostro padre agiva in un contesto culturale e sociale, sulla base dell’educazione ricevuta (famiglia patriarcale del Meridione e scuole fasciste) e cercava di rispondere alle aspettative della società e del ruolo che essa gli imponeva.
‪La cultura patriarcale è esistita come struttura sociale, una struttura che poneva gli uomini ai vertici. Questo non significa che tutti gli uomini erano “colpevoli”. Al suo interno molti uomini erano essi stessi vittime di quella struttura e del ruolo che dovevano ricoprire, volenti o nolenti.‬
Negli anni ’80, quando ero adolescente, le leggi erano state modificate, la cultura stava cambiando e, al passo con i tempi, la trasformazione di nostro padre fu radicale. Posso dire di avere avuto due padri: il patriarca della mia infanzia e il femminista della mia adolescenza. E certo, non è che si fosse sbarazzato del suo retaggio dall’oggi al domani, ma ci provava, a volte lo faceva goffamente ma ci provava.
Come ci si era arrivati? Grazie alle battaglie femministe e sociali che avevano imposto una virata culturale; che avevano fatto anche cambiare le leggi. Nel giro di uno o due decenni, la mia generazione (di uomini e donne), nata in pieno patriarcato, si ritrovò ad agire in un nuovo scenario.
E ora torniamo al punto di partenza. Fanatismo è quello che crea una lotta tra i sessi e colpevolizza facendo di un’erba un fascio; è quello che non cerca di analizzare i fenomeni, ma si ferma alla superficie; è quello che giudica senza comprendere; è quello che offre la scappatoia ad altri nel negare le basi di una problematica. Quello, appunto, è fanatismo, ed è sempre e solo stata la frangia più radicale.
Ridurre delle lotte reali alle frange più radicali è al tempo stesso una forma di fanatismo. Un po’ come chi riduce la sinistra al comunismo (anche quella socialdemocratica) e la destra al fascismo (anche quella liberista). Non è che se in un movimento ci sono alcune frange radicali che colpevolizzano, tutto il movimento è nato per colpevolizzare. Cerchiamo di essere un po’ più razionali e più profondi di così e soprattutto proviamo a non cercare di sfruttare il fanatismo per liquidare una questione ancora molto reale.
Condannare il femminismo come un movimento illiberale e sessista è una scappatoia, anche se alcuni gruppi femministi sono così. È un modo per liquidare una questione con il classico: “oggi il patriarcato non esiste più, c’è la parità dei sessi e abbiamo anche un PdC donna, cosa vogliono le donne di più?” La pietra tombale sulle problematiche.
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doscimaya · 7 months ago
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Il significato più profondo del Rinascimento risiede nel cambiamento della visione del mondo e dei valori; è una radicale trasformazione culturale che sfida le credenze e le tradizioni medievali dominanti.
Il Rinascimento abbraccia l'interesse per il potenziale umano, l'individualismo e la ricerca della conoscenza; celebra le conquiste umane in vari campi come l'arte, la scienza, la filosofia, la letteratura, il cinema.
Il Rinascimento promuove la curiosità, lo spirito critico, l'esperienza per progredire in varie discipline; incoraggia a mettere in discussione l'ipse dixit, le convenzioni, per una comprensione reale del mondo attraverso la ragione - secondo prove, evidenze.
Il Rinascimento è la rinascita dei principi classici: la riscoperta di testi e visioni greco-romane; di quell'umanesimo che spinge sul valore, la dignità dell'individuo: sulla creatività, la ragione e l'etica che accompagna ogni azione.
Il Rinascimento è espressione intellettuale e artistica che promuove valori umanistici; un percorso di sviluppo della scienza, della filosofia e della cultura - per la modernità.
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e-o-t-w · 1 year ago
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Eyes on the world #168
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Dopo una settimana di pausa, ripartiamo dove avevamo lasciato. Con 15° in meno.
Ovviamente si ricomincia dalla guerra in corso tra Israele e Hamas, giunta – probabilmente – a una svolta. Seguono corposi aggiornamenti dall’Italia e dagli USA.
Visto che intro breve? Cominciamo 👇
🇮🇱 ISRAELE-HAMAS: OSPEDALI PRESI DI MIRA, ATTACCO AL CAMPO DI JABALIA, LE PAROLE DI HEZBOLLAH
(1) Due intere settimane di guerra in #Israele da recuperare. Proviamo ad andare spediti. Eravamo rimasti all’inizio delle ostilità via terra iniziate dall’esercito israeliano alla fine di ottobre, con le comunicazioni via internet e telefoniche ridotte al minimo che hanno reso molto complicato capire da subito cosa stesse succedendo. Gli scontri più cruenti si sono concentrati principalmente nel nord di #Gaza, mentre civili e soccorritori erano impegnati a cercare feriti e corpi sotto le macerie. Nel frattempo sono continuati a transitare all’interno della #Striscia aiuti umanitari con acqua, cibo e medicine (ma niente carburante). Uno degli episodi più eclatanti ha riguardato l’assalto ai danni di un aereo proveniente da Tel Aviv nell’aeroporto internazionale di #Machačkala, la capitale dello stato russo del Daghestan: secondo le ricostruzioni, una folla di persone di religione musulmana ha fatto irruzione nell’aeroporto e ha circondato il suddetto velivolo (anche se i passeggeri erano stati fatti sbarcare in precedenza) con l’intenzione di chiedere ai passeggeri di condannare la guerra in corso. 150 rivoltosi sono stati poi identificati e 60 di questi arrestati, rei di aver portato avanti una campagna d’odio da settimane e “premeditato” l’attacco. Tornando a Gaza, una delle situazioni più delicate l’ha vissuta l’ospedale #alQuds, al quale Israele ha chiesto l’evacuazione – con scarsi risultati, per ovvi motivi – per via della sua trasformazione in “zona militare” (pur essendo rifugiati al suo interno un elevato numero di civili). L’esercito israeliano, all’inizio della scorsa settimana, ha proseguito l’avanzata all’interno di Gaza, bombardando più volte anche il campo profughi di #Jabalia (il più grande presente a Gaza, situato a nord e abitato da oltre 116 mila persone); secondo Al Jazeera ne sarebbero state uccise almeno 50. Israele ha giustificato l’attacco – tramite il portavoce dell’esercito Daniel Hagari – affermando di aver ucciso un importante comandante di #Hamas, diversi membri del gruppo e danneggiato tunnel sotterranei, depositi di armi e postazioni per lanciare razzi. Lo scorso mercoledì inoltre una nave missilistica ha fatto la sua comparsa nel Mar Rosso, mentre le comunicazioni telefoniche e internet sono state nuovamente interrotte. Tuttavia, per la prima volta dall’inizio del conflitto, oltre 1.000 persone sono state evacuate attraverso il varco di Rafah per raggiungere l’#Egitto (poco meno di 100 erano state autorizzate per via delle ferite riportate). Nella giornata di giovedì 2, l’esercito israeliano ha comunicato ufficialmente di aver circondato la città di Gaza, alla quale si stava avvicinando da giorni. Intanto ha detto per la prima volta la sua sul tema anche il leader del gruppo radicale libanese #Hezbollah, Hassan Nasrallah, alleato di Hamas e dell’Iran contro Israele. In un discorso molto concitato, ha accusato gli #StatiUniti di essere i principali artefici di ciò che sta accadendo e di dover essere puniti per questo, intanto che al confine tra i due stati (Libano e Israele appunto) gli scontri non si sono mai placati. Venerdì a essere nuovamente bombardate sono state le zone limitrofe agli ospedali al Shifa e al Quds, mentre il premier israeliano #Netanyahu ha ribadito come l’unico cessate il fuoco potenzialmente accolto sarebbe da barattare solo con la liberazione degli oltre 200 ostaggi di Hamas. A far discutere sono state invece le parole del ministro israeliano per il Patrimonio culturale, Amichay Eliyahu, che in un’intervista radiofonica ha definito “una possibilità” sganciare una bomba atomica sulla Striscia di Gaza, trovando l’immediata smentita del premier.
🇮🇱  ISRAELE-HAMAS: CHIUSO IL VARCO DI RAFAH, CONFLITTO IN PAUSA 4 ORE AL GIORNO PER FACILITARE GLI AIUTI
(2) In tutto ciò, domenica l’#OMS ha reso noto che Israele ha compiuto oltre 100 attacchi diretti a strutture sanitarie nella Striscia di Gaza, in totale violazione dell’articolo 18 della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra. Nella stessa giornata, Hamas ha accusato Israele di aver bombardato il campo profughi di Maghazi, nella zona centrale della Striscia (ci sarebbero almeno 51 morti). Lo scorso weekend ha fatto ritorno in Medioriente anche il Segretario di Stato americano Antony #Blinken, passando da Israele, Giordania, Cisgiordania e Iraq per chiedere delle “pause umanitarie” (mai un cessate il fuoco totale) ed evitare che il conflitto si allarghi a nuove nazioni. Delle “pause” sono effettivamente state concesse da Israele, che ha aperto per poche ore un passaggio per evacuare la popolazione dal nord della Striscia verso sud, prima di entrare ufficialmente – secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant – nella città di Gaza. Hamas ha accusato l’esercito di aver bombardato abitazioni civili, mentre dall’altra parte non sono arrivati commenti di nessun tipo su alcuna operazione (presumibilmente per non dare alcun indizio ad Hamas sulle prossime mosse). Mercoledì i ministri degli Esteri del #G7 si sono riuniti a Tokyo e hanno diffuso un comunicato chiedendo a gran voce “pause” del conflitto e l’apertura di corridoi umanitari per aiutare i civili intrappolati a Gaza. In serata invece è stato chiuso il varco di #Rafah per non meglio precisati “motivi di sicurezza”. Qui è giunto anche l'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che ha accusato sia Israele che Hamas di aver compiuto crimini di guerra. Giovedì l’esercito israeliano – via social – ha fatto sapere di essere disposto a garantire pause tattiche localizzate al fine di far arrivare aiuti umanitari ai civili di Gaza, mentre la situazione nei pressi degli ospedali è sempre più complicata, oltre che pericolosa (diverse esplosioni sono state segnalate nella zona dell’ospedale al Shifa di Gaza, mentre l’al Rantisi è presidiato dall’esercito israeliano). Il portavoce del consiglio di Sicurezza nazionale statunitense John Kirby ha poi fatto sapere che Israele avrebbe accordato a istituire una pausa quotidiana di 4 ore dagli attacchi nel nord della Striscia di Gaza (in zone sempre diverse) per consentire l’evacuazione dei civili presenti nell’area.
🇮🇹 MALTEMPO, “PREMIERATO” E IMMIGRAZIONE I TEMI CENTRALI DELLA SETTIMANA ITALIANA. I DETTAGLI
(3) Passiamo all’#Italia, dove questa settimana si è parlato di diversi provvedimenti prossimi all’approvazione (o quasi) e di importanti accordi sul tema #immigrazione. Ma non possiamo non cominciare dall’ondata di #maltempo che ha investito il nostro paese da nord a sud nell’ultima decina di giorni. I disagi più grandi hanno riguardato prevalentemente il centro-nord, Toscana in primis, al punto da costringere il governo a dichiarare lo stato d’emergenza per numerose province. C’è stato un primo stanziamento da 5 milioni di euro per intervenire in modo urgente sulle necessità maggiori, a partire dal ripristino della funzionalità dei servizi pubblici. Almeno 8 persone hanno perso la vita a causa dei nubifragi e del forte vento. Il Consiglio dei ministri, a cavallo tra questa e la scorsa settimana, ha approvato anche un disegno di legge di riforma costituzionale, che avrebbe come obiettivo principale quello di introdurre il cosiddetto “#premierato”. Il provvedimento in questione, che – come dice il nome stesso – consisterebbe in una modifica della #Costituzione, è costituito da 5 articoli, ognuno dei quali con un argomento ben specifico. Si parla dell’eliminazione della nomina dei senatori a vita (eccetto per gli ex presidenti della Repubblica) e della facoltà del presidente della Repubblica di sciogliere una sola delle due camere (azione che nessun capo di stato ha mai messo in atto), fino appunto alla possibilità di eleggere il presidente del Consiglio attraverso le classiche #elezioni politiche, che di norma servono esclusivamente a rinnovare il #Parlamento (mentre è il presidente della Repubblica che indica poi la figura del premier, in base alla maggioranza che può ottenere). Una delle modifiche più importanti della riforma entrerebbe in atto in caso di caduta del governo o dimissioni del premier: in questo caso infatti, il capo di stato dovrebbe conferire l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un suo collega di partito o coalizione, ma tale procedimento potrà avvenire solo una volta per legislatura. La norma comunque dovrà seguire un iter molto lungo per essere approvata ed è probabile che subisca parecchie modifiche.
La notizia più importante della settimana ha però riguardato il nuovo accordo siglato con l’#Albania a tema immigrazione. Lunedì la premier Giorgia #Meloni e l’omologo albanese Edi Rama hanno firmato un protocollo d’intesa per gestire parte dell’immigrazione in modo sinergico. In sostanza, in Albania verranno realizzate due strutture che accoglieranno #migranti in arrivo in Italia, che l’Italia stessa gestirà a proprie spese e sotto la sua giurisdizione. Saranno 3.000 al massimo le persone che i due centri potranno accogliere tutte insieme e, in base a quanto dichiarato dalla premier Meloni, tra queste non potranno esserci minori, donne incinte e persone definite vulnerabili (non vi è tuttavia traccia di quest’ultimo punto nella versione finale del documento ufficiale, né appare chiara la modalità con cui questa distinzione possa avvenire nella pratica). Una delle due strutture funzionerà come un classico Centro di permanenza per i rimpatri (CPR), anche se – in base alle leggi italiane ed europee – i migranti possono essere trattenuti in strutture governative solo in casi eccezionali, mentre sembra che in questo caso trattenerli possa essere la prassi per le persone non idonee al diritto di asilo. La premier ha anche parlato di procedure accelerate per esaminare le richieste di asilo (28 giorni al massimo), pur essendo i tempi medi attuali ben più lunghi. L’Albania – che tra le altre cose non è nemmeno uno stato dell’Unione Europea – dal canto suo collaborerà con le forze di polizia e la sorveglianza esclusivamente all’esterno delle strutture (dalle quali i migranti non potranno uscire), oltre a fornire gratuitamente gli spazi dove verranno costruiti i centri. Tra i tanti problemi evidenziati da esperti e analisti, risalta quello che obbliga – secondo il diritto internazionale sul tema – la conclusione nel più breve tempo possibile del soccorso in mare, diretto verso il porto sicuro più vicino (sicuramente non in Albania, partendo dal #Mediterraneo centrale). Il protocollo ha una durata di 5 anni e sarà rinnovato automaticamente a meno che – 6 mesi prima della scadenza – una delle parti non comunichi il dissenso. I centri, in base a quanto dichiarato, dovrebbero entrare in funzione entro la primavera del 2024, ma i dubbi sul loro funzionamento sono molteplici.
🇺🇸 USA, ELECTION DAY: DEM TRIONFANTI IN DIVERSI STATI. OK IL DIRITTO ALL’ABORTO IN OHIO. INTANTO TRUMP…
(4) Andiamo infine negli #USA, dove nell’ultima settimana c’è stata qualche novità degna di nota. Partiamo innanzitutto dicendo che manca meno di un anno alle elezioni per eleggere il nuovo presidente americano (si vota il 5 novembre 2024) e, a questo proposito, il New York Times ha pubblicato un sondaggio che ha fatto suonare ben più di un allarme all’attuale capo di stato Joe #Biden. Il Partito Democratico da lui rappresentato (e che, al 99,9%, lo vedrà come candidato principale nel 2024) sta raccogliendo meno consensi del previsto, soprattutto nei cosiddetti “stati in bilico”, ovvero quelli interessati dal sondaggio e che – di norma – decidono le elezioni. In 5 di questi 6 Biden è indietro di diversi punti rispetto al primo indiziato a rappresentare il Partito Repubblicano, l’ex presidente Donald #Trump. Il vantaggio accumulato va dai 4 ai 10 punti percentuali in Arizona, Georgia, Michigan, Nevada e Pennsylvania, mentre solo in Wisconsin Biden è in leggero vantaggio. Allo scorso giro, nel 2020, l’attuale presidente trionfò in tutti e 6 gli stati. A preoccupare gli elettori è – molto probabilmente – l’età avanzata di Biden e l’attuale gestione dell’economia americana. Il calo dei consensi per i Democratici è stato rintracciato soprattutto nello zoccolo duro degli elettori DEM, ovvero i giovani e le persone non bianche. Trump al momento ha invece ben altre gatte da pelare, come i processi a suo carico. Lunedì ha testimoniato a New York nell’ambito di una causa civile per truffa per la quale è imputato insieme ai 3 figli e ad alcuni dirigenti della sua Trump Organization, mettendo in piedi un vero e proprio spettacolo. L’ex presidente ha parlato a più riprese di persecuzione politica e accanimento giudiziario, ha accusato il giudice di essere prevenuto e ha risposto in modo evasivo alle domande a lui poste. Nel frattempo sono andate in scena delle importanti votazioni su temi particolarmente caldi per l’opinione pubblica. In Ohio, con l’ausilio di un referendum, è stato inserito nella costituzione dello stato un emendamento che sottolinea l’impossibilità dello stato a interferire sulle “decisioni riproduttive” delle persone, garantendo quindi il diritto all’#aborto (una decisione simile è stata già presa in altri 6 stati, tra cui il Kansas, tradizionalmente Repubblicano) e non solo. Contemporaneamente, con un altro referendum, è stata legalizzata la marijuana a scopo ricreativo. Non è tutto. A capo del Kentucky è stato confermato il governatore Democratico Andy Beshear, mentre in Mississippi resterà nelle mani del Repubblicano Tate Reeves. Il partito Democratico ha infine ottenuto un’altra importante vittoria in Virginia, dove si è votato per rinnovare il Congresso dello stato e il partito ha ottenuto la maggioranza in entrambe le camere, nonostante a governare lo stato sia il Repubblicano Glenn Youngkin. Il partito ha ottenuto lo stesso risultato anche nelle elezioni legislative in New Jersey.
Alla prossima 👋
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orizoncontrols · 2 years ago
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È in atto anche un cambiamento culturale radicale: la trasformazione digitale ha fatto riflettere sul mondo in cui si sta evolvendo il posto di lavoro e su come le persone si adattano meglio a questa trasformazione digitale. Crestron da sempre si è impegnata nel trovare soluzioni che soddisfino le esigenze nel settore professionale in risposta alle trasformazioni digitali.Il recente lavoro di Crestron con Microsoft per creare una versione di Crestron AirMedia® Connect Adapter che si integri con il software Microsoft Teams® Rooms è un eccellente esempio di questo tipo di partnership. Microsoft ha capito che c'era una crescente domanda di opzioni BYOD ("Bring Your Own Device") che funzionassero con il loro software nel moderno ambiente di lavoro ibrido e Crestron li ha aiutati a sviluppare uno strumento proprio a tale scopo.
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paoloxl · 4 years ago
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La logica binaria che sottende la divisione degli umani in generi distinti implica uno iato tra il più ed il meno, il pieno e il vuoto, il vaso e il seme, lo spazio dei sentimenti e quello della ragione. Questa logica, che si pretende naturale, fonda l’ordine patriarcale. L’universale umano nasce e resta a lungo saldamente maschile. Un maschile cui vengono iscritte le qualità “naturali” che “spiegano” la gerarchia tra i generi, all’interno della gabbia normativa familiare. La “famiglia” come nucleo etico rappresenta l’elemento normalizzatore delle anomalie, che le lotte delle donne, delle persone omosessuali, asessuali, transessuali, hanno reso visibili e pericolose per ogni pretesa di socializzazione autoritaria dei bambini, delle bambine, dei bambinu. A sua volta il binarismo tra etero e omo sessualità ripropone maschere rigide cui le persone sono chiamate ad adeguarsi. Le famiglie arcobaleno sono la mimesi delle famiglie eterosessuali, sia nel rapporto tra coniugi, che nella loro relazione con i bambin*, che per legge vivono con loro. La storia della libertà delle persone le cui identità non sono conformi all’universale maschile nell’ultimo secolo ha tracciato nuovi sentieri dell’umano. Tuttavia il mero afflato paritario sul piano dei diritti si limita a riempire il vuoto, inserire l’eguale, dare corpo al vaso, attenuare la dicotomia tra ragione e sentimento, ma non spezza la logica binaria, che, anzi, si insinua anche dove le differenze sono l’humus culturale in cui cresce la possibilità di passare dal genere all’individuo. La pratica in cui ciascuno approda, transitoriamente, a se stesso in un divenire fluido di continua sperimentazione. Sul piano teorico è nodale l’apporto pionieristico di Foucault, che considera le “identità sessuali”, anche nel loro farsi storico, non un conglomerato concettuale da cui partire, ma semmai la questione stessa. Il costruzionismo queer riprende da Foucault la strategia di decostruire le identità che passano come naturali considerandole invece come complesse formazioni socio-culturali in cui si intrecciano discorsi diversi. Un approccio libertario deve e può andare oltre la decostruzione delle narrazioni che costituiscono le identità di genere, perché vi innesta l’elemento di rottura rappresentato dall’agire politico e sociale di soggetti, che si costituiscono a partire dalle proprie molteplici alterità, rivendicate ed esperite sul piano della lotta. Soggetti capaci di una autonoma produzione di senso, di relazioni, di pratiche sovversive rispetto all’ordine patriarcale, alla logica binaria, alla naturalizzazione delle relazioni sociali. A Foucault il merito di aver riconosciuto l’importanza delle relazioni di potere e la necessità di riconoscerle come tali per poterle spezzare. L’ordine patriarcale non si fonda solo sulla pretesa che la gerarchia sia biologicamente fondata ma anche sulla prospettiva culturale di identità costanti, fisse, socialmente definite. Questa pretesa consente alla gerarchia di riprodursi in ogni relazione umana. L’attacco frontale alle identità rigide ed escludenti attuato da chi vive al di là e contro i generi, i ruoli, le maschere ha una forza dirompente. La critica all’essenzialismo si nutre della decostruzione dell’identità di genere. Concepire l’identità, ogni identità, come costruzione sociale, confine mobile tra inclusione ed esclusione, è un approdo teorico che si alimenta della rottura operata dai movimenti transfemministi ed lgtbtq. All’interno delle nostre società questi percorsi fanno paura. Per le destre la riconquista dell’identità, o la difesa dell’identità minata, diviene il centro nevralgico dell’azione politica e di governo. Ogni locuzione, ogni motto si regge su un piedistallo “identitario”. Il lutto per le identità forti, smarrite e da ritrovare, attraversa anche certa sinistra, orfana di una narrazione che dia senso al proprio mondo. La deriva identitaria non è mero patrimonio delle destre sovraniste, localiste, fasciste, misogine, omofobe, razziste, perché sfiora anche ambiti di movimento, che si pretendono distanti dall’approccio essenzialista della destra. La reazione alla violenza del capitalismo, all’anomia della merce, alla feroce logica del profitto, alla paura dell’onnipotenza della tecnica rischiano di produrre mostri peggiori di quelli da cui si fugge. L’anarchismo si sta confrontando con un mondo dove, in pochi decenni, si sono dati cambiamenti epocali. La mia generazione è stata catapultata dal pallottoliere al web, dalla macchina fotografica alle immagini satellitari, dalle lettere alle chat, dai sorveglianti umani agli occhi elettronici, dal posto fisso alla incertezza strutturale, dal lavoro alla catena alle catene del telelavoro. Un lungo processo di straniamento. Il moloch tecnologico, assunto come nemico totale, ha aperto la strada ad un anarchismo che fugge in un passato immaginario, dove germogli un futuro che nega l’umano, così come si è costruito nel processo di civilizzazione, identificato tout court con la nascita e il consolidarsi della gerarchia, del dominio, della violenza dei pochi sui molti. Il futuro diviene “primitivo”, nel senso etimologico del termine, un tempo-spazio dove si torna al primus, ad una dimensione in cui l’umano si (ri)naturalizza, in una concezione essenzialista e non culturale della “natura”. Una fuga nichilista che riflette l’impotenza di fronte ad una complessità che non si riesce a capire, né a controllare: il moloch può essere distrutto solo a prezzo di rinunciare alla libertà, per rifugiarci tra le braccia esigenti e soffocanti della natura-madre. Il processo di rinaturalizzazione dell’umano operato da queste correnti nega i percorsi costruiti dalle identità fluide, disancorate, in viaggio che si reinventano fuori e contro la logica binaria dei generi. Fuggire al dominio della merce, al controllo dello stato, alla paura della tecnica che non si immagina di poter controllare, porta quest’approccio a negare la diversità e pluralità dei percorsi individuali. Manca la gerarchia formale ma non c’è traccia di libertà. L’unica libertà è quella di adeguarsi ad essere quello che “spontaneamente” saremmo, se le incrostazioni della “civiltà” non si avessero snaturat*. Da qui a negare l’aborto, le tecniche contraccettive non “naturali”, l’utilizzo di ormoni e tecniche chirurgiche per modificare il proprio corpo, il passo è stato breve. La negazione dei percorsi di decostruzione del genere conduce ad approdi non troppo distanti da quelli di preti e fascisti. Le questioni di genere vengono relegate ai margini di un discorso di trasformazione sociale, che, nella migliore delle ipotesi, le considera inessenziali. Eppure. I corpi fuori norma, i corpi fuori luogo, che scientemente si sottraggono alla logica identitaria, per fare i conti con le cesure che il genere, la classe, la razza hanno imposto ai singoli, sono pericolosamente sovversivi. Le dislocazioni, i transiti e le ricombinazioni che rompono con qualsiasi pretesa di pietrificare le identità, frantumano l’essenzialismo ed aprono una sfida su più fronti. Sfida allo Stato (etico), al patriarcato reattivo e al capitalismo. Una sfida che, non è mera astrazione o suggestione filosofica, ma si attua in pratiche di intersezione delle lotte, delle prospettive e degli immaginari capaci di dar vita ad una prospettiva inedita. Una sfida che a tutte le latitudini del pianeta si deve confrontare con la violenta reazione del patriarcato, che si traduce sia in gabbie normative, sia in violenza sistemica nei confronti delle identità mobili, irriducibili ad ogni logica binaria. L’intersezionalità tra diverse cesure identitarie, che spesso coincidono con varie forme di esclusione, permette una contestazione permanente di ogni forma di privilegio. Nessuna posizione può pretendere di riassumere in se l’oppressione e i relativi percorsi di liberazione, se non divenendo, a sua volta, escludente. In questa prospettiva il relativismo dei posizionamenti, viene superato dall’universalismo della spinta ad una radicale trasformazione della società. Maria Matteo (articolo uscito sull’ultimo numero di Umanità Nova)
Nè dio.né stato, né patriarcato
Venerdì 5 marzo Femministe, anarchiche, rivoluzionarie Incontro online con Eulalia Vega, storica e autrice di Pioniere e rivoluzionarie – Donne anarchiche in Spagna dalla rivoluzione sociale alla resistenza al franchismo, edizioni Zero in condotta Meeting alle 21 in Zoom al link: https://us02web.zoom.us/j/89085856759
Evento curato da La Miccia di Asti, Perlanera di Alessandria, Federazione Anarchica Torinese, Wild C.A.T. Torino
Domenica 7 marzo Ruoli in gioco. Rappresentazione De-Genere in piazza Carlo Alberto dalle 15,30 manifestazione antisessista Interventi, azioni performanti, musica Lunedì 8 marzo Né dio, né stato, né patriarcato giornata di lotta in giro per la città Contatti:
Wild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese corso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem
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gregor-samsung · 6 years ago
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La vicenda delle foibe costituiva uno strumento cruciale nella strategia di riabilitazione e di normalizzazione del MSI - Destra nazionale, e poi di Alleanza Nazionale. L’area triestina e una parte del mondo degli esuli dalle terre annesse alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale avevano sempre rappresentato un bacino elettorale privilegiato del MSI. Ma, al di là di considerazioni di natura elettoralistica, la vicenda delle foibe permetteva al MSI di presentarsi senza lo stigma della collaborazione con il nemico germanico. Anzi, in questo caso il MSI poteva presentarsi come il difensore della causa degli italiani, anche di quelli antifascisti, vittime della furia omicida del nemico «slavo», dei «titini», con la complicità dei comunisti italiani e l’indifferenza dei democristiani. Questo tipo di discorso narrativo non perse forza col passare degli anni, ma al contrario ne acquistò. Diversi fattori concorrevano nel dare maggiore credibilità a questa trasformazione dell’immagine della destra radicale italiana. E troppo facile ridurli a uno dei tanti effetti della cosiddetta «fine della prima Repubblica» (che spiega tutto e nulla nel contempo). A scanso di equivoci, non è neppure il caso di spiegare tutto con un complotto politico-mediatico per la riabilitazione della destra italiana. Al contrario, il MSI non avrebbe mai potuto realizzare questa riscoperta e revisione del giudizio storico e pubblico sulle foibe senza il ruolo attivo delle altre forze politiche italiane, e in particolare di quello che era oramai diventato l’arcipelago delle sinistre italiane. Il PCI (e i suoi partiti successori, PDS, DS, e via dicendo) accolse con grande facilità la legittimazione reciproca e simultanea di quelli che erano stati i due estremi dell’arco politico. In questa decisione confluivano diversi ordini di motivi. Il primo era l’idea (rivelatasi poi ingenua) di una facile vittoria delle sinistre alla prima prova elettorale della cosiddetta “seconda Repubblica”, e cioè le elezioni politiche del 1994, che per l’appunto portarono all’elezione di un governo di centrodestra o di destra. Il secondo era il desiderio di lasciarsi definitivamente alle spalle le eredità del passato comunista. Quale migliore modo di farlo, se non quello di riconoscere, una volta per tutte, la propria «colpa», in una vicenda così sensibile come quella delle foibe, che aveva dato ombra a quella certificazione di patriottismo sempre ricercata dal PCI (come da quasi tutti i partiti comunisti al di fuori dell’area sovietica). Fin dal 1935, dall’epoca del 7º Congresso dell’Internazionale comunista e dell’avvio dell’epoca dei Fronti popolari, i partiti comunisti occidentali avevano quasi sempre cercato di cancellare il sospetto di «nichilismo nazionale». Questa tendenza era particolarmente marcata nel PCI, che cercò ogni occasione per rimarcare la propria lealtà allo Stato nazionale italiano (ad esempio, sottolineando che Palmiro Togliatti era stato interventista, fatto che in precedenza sarebbe stato considerato imbarazzante per un comunista). A fattori di questo genere si aggiungeva una nota più specifica, che riguardava la cultura politica di sinistra dell’area del versante italiano del Litorale: la progressiva, ma inarrestabile disgregazione di una cultura comunista triestina «internazionalista», che aveva rappresentato una delle forme (non l’unica, beninteso) di integrazione sociale tra italiani e sloveni a Trieste. Questa cultura aveva certamente subito incrinature nel corso degli anni compresi tra il 1943 e il 1955 (l’anno della riconciliazione tra comunisti jugoslavi e sovietici), ma era rimasta una cultura politica significativa nella regione. La fine del comunismo esteuropeo e poi della Federazione jugoslava accelerarono il processo di disgregazione di questa cultura internazionalista, con una profonda lacerazione del tessuto politico e culturale nel mondo della sinistra triestina. In tal modo, l’operazione di riorientamento del discorso storico e politico sulla questione delle foibe, che culminò nell’incontro tra Luciano Violante e Gianfranco Fini a Trieste, nel 1998, incontrò meno ostacoli di quelli che avrebbe trovato in precedenza. Il fatto che l’occasione fosse stata promossa da Giampaolo Valdevit, a lungo figura di spicco dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, era emblematico.
Guido Franzinetti, Le riscoperte delle «foibe»; saggio raccolto in:
Jože Pirjevec (con la collaborazione di Gorazd Bajc, Darko Dukovski, Guido Franzinetti, Nevenka Troha), Foibe. Una storia d’Italia, Giulio Einaudi editore, 2009.
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mmnt17 · 6 years ago
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Brenton Tarrant è uno di noi
da Modena antifascista
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L’autore del manifesto politico dietro la strage di Christchurch non è un folle,  è il figlio legittimo, integrato e coerente, del tempo in cui viviamo: il tempo della crisi.
Crisi – nel suo significato originario di trasformazione radicale – che non è solamente materiale, ovvero di decadenza di un intero ciclo di egemonia ed accumulazione capitalistica, ma anche politica e sociale, che sconquassa le categorie e i rapporti su cui si sono retti patti e conflitti, e che sconvolge aspetti culturali, antropologici, esistenziali – collettivi e individuali – che si erano dati lungo tutto un arco storico.  
Brenton Tarrant, come del resto qualsiasi jihadista cresciuto nelle metropoli d’Europa, parla la nostra lingua. Ha 28 anni, è cresciuto con internet e la sua cultura, dentro l’atomizzazione della forma di vita neoliberista, giusto in tempo per assistere alla decomposizione dell’ordine liberale. Depressione e disperazione, meme e cinica postironia nichilista, disintermediazione politico-culturale e catastrofe ecologica planetaria. Un senso della fine che, dentro un eterno presente senza storia e senza futuro, si compenetra con la fine del senso, sprigionando energia distruttiva. Che non trova niente a incanalarla verso fini progressivi. E per questo va a scorrere, inevitabilmente spinta dalla forza di gravità, sui solchi già tracciati nel terreno.
Come Anders Breivik e Luca Traini prima di lui, Brenton Tarrant infatti ha semplicemente cristallizzato in atto ciò che è quotidianamente diffuso a livello liquido e gassoso nelle nostre società, non solo occidentali. Ciò che respiriamo ogni giorno. Ciò che è stato sciolto nei pozzi da cui ci abbeveriamo. Il manifesto che ha mosso i fucili mitragliatori degli stragisti sulla folla inerme in preghiera si intitola, paradigmaticamente, “The Great Replacement”: La Grande Sostituzione. Parole, concetti diventati moneta comune in occidente, che ritornano. Ma che hanno un origine precisa. La sostituzione etnica, il genocidio – culturale e biologico – della razza bianca, la grande paranoia contemporanea dell’uomo occidentale: dal grezzo cospirazionsimo suprematista a fine teoria della Nouvelle Droite (dice niente il best seller di Renaud Camus “Le Grand Remplacement”?), dalla marginalità degli ambienti neonazisti a strumento di campagna elettorale del governo. In Italia, dalla copertina del Primato Nazionale alla tv in prima serata, fino al Ministero dell’Interno.
Brenton Tarrant, che si è filmato mentre uccideva cinquanta persone disarmate, si definisce un fascista. Lo è. Ma le sue parole sembrano appena uscite dal telegiornale della cena. Da un qualsiasi talk show televisivo in prima serata. Dall’intervista alla radio di qualche rappresentante delle istituzioni, magari “oltre la destra e la sinistra”. Dal tweet di qualche politico che si dichiara contro i poteri forti ma di buon senso, populista ma non razzista, Dalla Vostra Parte ma prima gli italiani bianchi. L’omogeneità etnica e l’organicità nazionale come valori in sé. L’immigrazione come un complotto contro gli autoctoni. L’uomo bianco sotto attacco, devirilizzato, sterilizzato, come vittima. La decadenza dell’occidente, l’invasione islamica, il razzismo differenzialista. L’etnonazionalismo mascherato da identitarismo, la guerra civile-razziale. Tutto ciò è perfettamente compatibile con la democrazia liberale. La tragedia non è soltanto l’orrenda strage, ma la legittimità sociale, il senso comune, l’integrazione culturale e la nobiltà politica che sono state conferite agli assiomi che l’hanno portata a compimento.
Il passaggio dalla metapolitica, ovvero dalla costruzione di egemonia culturale, alla lotta armata di lupi sempre meno solitari e sempre più organizzati, sul modello di Daesh, alla guerra civile. Dentro questo ampio spettro, la strage di Christchurch porta allo scoperto, attraverso la loro coerente estremizzazione e come un presagio, le matrici di processi di lungo periodo in atto già da tempo nelle nostre società, dentro cui specifiche forze stanno operando per determinarne una possibile direzione e un tendenziale sbocco. Dentro questo spettro si rimodula il potere sovrano, se esso è colui che decide sullo stato di eccezione.
Dentro a tutto ciò, a partire da tutto ciò, le categorie che abbiamo utilizzato fino ad ora paiono inermi, non più efficaci, limitate a comprenderne la portata. Le bussole antropologico-politiche di un intero arco di civilizzazione si stanno riorientando: vediamo il movimento, non riusciamo a coglierne appieno la direzione d’approdo.
Dentro a tutto ciò, di fronte a tutto ciò, il senso di quello che chiamiamo un antifascismo per il XXI secolo è tutto da ricercare, costruire, sviluppare, necessariamente, crediamo, travalicando i limiti dell’antifascismo stesso.
Questa la porta stretta entro cui, necessariamente, passare.
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Milano, nuova Biblioteca Europea di Informazione e Cultura
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Milano, nuova Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Non più una biblioteca tradizionale, dove custodire i tesori di una cultura già consolidata, piuttosto un laboratorio per produrre cultura contemporanea. La Nuova BEIC - Biblioteca Europea di Informazione e Cultura - intende innovare i significati tradizionalmente attribuiti al termine, a partire dall'involucro. Compatto, semplice e sobrio, pensato per la massima efficienza energetica e acustica, sarà composto da due volumi principali uniti al piano terra, due navate a sezione trapezoidale interamente rivestite in metallo e vetro, a comporre una figura esplicitamente industriale, tra la serra, la stazione e la fabbrica, armonico rispetto all'ambiente in cui è inserito. È stato presentato questa mattina a Palazzo Marino, alla presenza del Sindaco di Milano Giuseppe Sala e del Presidente della Fondazione BEIC Francesco Paolo Tronca, il progetto vincitore del concorso internazionale per la realizzazione del polo culturale di nuova generazione a Porta Vittoria, che diventerà il centro funzionale dell'intero sistema bibliotecario dell'area metropolitana milanese. A firmarlo, è il raggruppamento italiano formato dai progettisti Angelo Raffaele Lunati (capogruppo con Onsitestudio), Manuela Fantini, Marcello Cerea, Giacomo Summa, Francesca Benedetto, Luca Gallizioli, Giancarlo Floridi, Davide Masserini, Antonio Danesi, dai consulenti Silvestre Mistretta, Giuseppe Zaffino, Fabrizio Pignoloni e dalla collaboratrice Florencia Collo. "Il progetto - si legge tra le motivazioni della Commissione giudicatrice, che ha svolto il lavoro di valutazione degli elaborati, selezionando 5 tra le 44 proposte progettuali arrivate per l'unico grado del Concorso - risponde al contesto urbano, alla complessità del programma funzionale e ai valori di pregnanza formale e sostenibilità ambientale richiesti dal tema con una soluzione semplice e convincente da tutti i punti di vista”. La Commissione, presieduta da Stefano Boeri, membro rappresentante della Fondazione BEIC, era composta anche da Jocelyn Helen Froimovich Hes, rappresentante dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano, da Rosa Maiello e Cino Zucchi in rappresentanza del Comune di Milano, da Jhionny Pellicciotta per l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano. L'area interessata, ora in disuso e sottratta all'utilizzo pubblico, è quella che insiste tra viale Molise a est, via Cervignano a ovest con la fermata del passante ferroviario, via Monte Ortigara a sud e un complesso residenziale di recente costruzione a nord. Poco oltre, un altro pezzo di città in via di radicale trasformazione, quello dell'ex Macello. Il nuovo edificio, molto razionale soprattutto per la chiarezza distributiva degli spazi, avrà una superficie complessiva di circa 30mila mq e sarà localizzato nella parte sud del lotto, verso via Monte Ortigara, lasciandone quindi buona parte libera a verde per la realizzazione di una nuova, ampia piazza alberata. Il progetto di realizzazione, come da indicazioni concorsuali, si sviluppa sulla base di quattro essenziali direttrici: una forte integrazione tra dimensione fisica e digitale; un nuovo punto di equilibrio tra fruizione e produzione culturale; un inedito ruolo per le collezioni; l'utente al centro. Il grande corridoio verde del nuovo parco pubblico contiguo di quasi 30mila mq, sul quale la Nuova BEIC affaccerà e con il quale formerà un unicum di orizzonti e fruibilità, porterà a nord alla piazza, da cui si diramano i principali accessi ai volumi.  All'ingresso, accessibile a tutti, quella che viene chiamata la Promenade e che arriva in una spaziosa sala a pianta rettangolare inondata di luce, alta 8 metri e popolata da padiglioni con spazi espositivi, commerciali, una caffetteria e le stazioni di restituzione dei volumi, uno spazio che attraversa l'edificio in tutta la sua lunghezza. Da qui si apre la biblioteca vera e propria per la consultazione, lo studio, la lettura: concepita come un luogo di produzione culturale, di espressione della creatività, di sviluppo delle capacità critiche, sarà una sorta di piattaforma aperta, adatta a favorire il protagonismo dei cittadini e a coinvolgere la comunità. Il piano terra sarà uno spazio aperto, e sosterrà i due volumi principali, identici, di 27 x 75 metri di impronta a terra e 33 metri di altezza, per 6 piani fuori terra oltre a 2 interrati. Al vetro e metallo dell'esterno, si aggiungeranno all'interno elementi in legno. Si connetterà con il terzo padiglione che conterrà l'Imaginarium, la parte articolata su due livelli interamente dedicata ai bambini e pensata anche per ospitare giochi, esperimenti didattici, rappresentazioni, e l'Auditorium, una sala interrata raggiungibile con ascensori o attraverso una scala a volume cilindrico, che potrà accogliere 300 persone per conferenze, concerti, spettacoli e incontri pubblici, e garantirà le migliori condizioni acustiche. In uno dei volumi principali, quello a nord, si svilupperà il Forum, un luogo anch'esso per la consultazione dei volumi ma dotato di sale polifunzionali e quindi aperto anche a chi non frequenta la biblioteca per motivi di studio. L'altro volume ospiterà invece i Dipartimenti, le aree con le sezioni documentali, comprese quelle digitali, articolate per argomenti, le collezioni e le sale di lettura, oltre agli uffici, le sale riunioni, le postazioni di lavoro. Alla sua sommità, il volume a nord culminerà con una grande serra, quello a sud si aprirà in una terrazza dove troverà spazio la sala di lettura aperta tutto il giorno. Il deposito robotizzato sarà interrato al centro dell'edificio, progettato per accogliere 2,5 milioni di volumi e servire tutte le parti della biblioteca, protetto dalla luce naturale e sigillato per garantire la protezione antincendio e ridurre al minimo la penetrazione delle polveri. La localizzazione urbana della Nuova BEIC, individuata già nel 2001 nell'area dell'ex stazione di Porta Vittoria, è baricentrica rispetto alle principali sedi universitarie, collocata sulla fermata Porta Vittoria del passante ferroviario, vicina alla prossima fermata Dateo della nuova linea metropolitana M4 che congiungerà il centro della città con l'aeroporto di Linate, e dunque connessa con le linee metropolitane e ferroviarie regionali. Il Concorso internazionale, in un unico grado a procedura aperta e in forma anonima, è stato pubblicato sulla piattaforma Concorrimi lo scorso 25 marzo e si è chiuso il 22 giugno con la consegna di 44 elaborati. Il progetto della Nuova BEIC conta su un finanziamento di 101,574 milioni già previsti nel bilancio dello Stato nell'ambito del PNRR (disposto con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri l'8 ottobre 2021), che potrà essere integrato con ulteriori risorse pubbliche o private.. Dopo la consegna dei progetti definitivi ed esecutivi, si potrà procedere alla gara d'appalto e quindi all'avvio dei lavori veri e propri, in calendario a partire dal 2024 per terminare entro il 2026.... Read the full article
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Lina Mangiacapre artista femminista
https://www.unadonnalgiorno.it/lina-mangiacapre/
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“…Sono andata via e sono sempre più radicata, collegata, invisibile, presente oltre ogni limite di sole nero, in tutta la mia energia solare, con Partenope, con tutte voi, con il mare, il Vesuvio, la disperazione, la follia, l’amore.”
Lina Mangiacapre è stata una straordinaria protagonista del femminismo napoletano.
Ha lasciato una vasta produzione come pittrice, romanziera, poeta, regista di cinema e di teatro, indicando percorsi originali per la libertà delle donne.
Filosofa, giornalista, scrittrice, musicista, ha composto le musiche dei suoi spettacoli e di quasi tutti i suoi film. Ha scritto romanzi, poesie e collaborato per quotidiani e riviste, tra cui L’Unità, Paese Sera, Quotidiano donna, Effe, Femmes en Mouvement.
Concepiva l’arte e la creatività come forma di lotta politica.
I suoi grandi occhiali a farfalla e i suoi fantasiosi abiti androgini resteranno impressi nella memoria del movimento femminista partenopeo e non solo.
Nata a Napoli nel 1946, è stato durante gli anni universitari che ha incontrato la contestazione studentesca e la rivolta femminista. Dopo la laurea in filosofia ha iniziato a dipingere firmando le sue opere con lo pseudonimo Màlina.
Nel 1970 ha fondato il gruppo femminista Le Nemesiache che si cimentava in differenti forme espressive. Partendo dall’analisi del mito, esplorava la nascita del ‘concetto’, per capire la ragione dell’eliminazione di un sistema cosmico precedente al patriarcato.
Nel 1972 ha composto la sua prima opera teatrale femminista Cenerella, diventata successivamente il soggetto di un film con lo stesso titolo.
Con l’intento di affermare la creazione artistica femminile, ha fondato la cooperativa culturale Le tre Ghinee.
Nel 1987 ha creato il premio cinematografico Elvira Notari (la prima regista italiana della storia), assegnato, fino al 2001, da una giuria da lei presieduta alla Mostra di Venezia, all’opera maggiormente capace di mettere in rilievo l’immagine della donna protagonista nella storia. Dopo la sua morte, è diventato Premio Lina Mangiacapre.
Ha fondato e diretto Manifesta, rivista trimestrale di cinema, teoria, cultura.
Ha scritto vari libri, spesso diventati soggetti cinematografici, e partecipato all’iter costitutivo della Casa Internazionale delle donne a Roma. È stata tra le curatrici del premio di scrittura femminile Il Paese delle donne.
Sintesi della sua composita attività artistica è stata la Videomostrapersona Io/Il Mistero/Le S, a Castel dell’Ovo di Napoli nel 1986, performance in cui coesistevano le sue creazioni in musica, teatro, pittura, cinema, videoarte.
Al suo genio inarrestabile si deve anche l’ideazione della Rassegna del Cinema femminista di Sorrento ‘L’altro sguardo’, primo festival del genere in Europa.
Nel 1990, la Presidenza del Consiglio dei Ministri le ha assegnato il Premio per la Cultura.
Per la celebrazione dei 50 anni del voto alle donne, nel 1996, ha realizzato lo spot Da elettrici ad elette per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Numerose le sue partecipazioni a mostre collettive e personali, l’ultima è stata a Munster, in Germania, nel 1999.
Ha lasciato la terra il 23 maggio 2002 a Napoli lasciando incompiuti vari progetti, soprattutto film  a cui stava lavorando.
Poliedrica e complessa pensatrice, per tutta la sua esistenza ha rifiutato gli schemi, le strutture precostituite, le gabbie, i comportamenti catalogabili dentro una corrente di pensiero politico o filosofico.
Lina Mangiacapre ha messo a disposizione il suo genio per una trasformazione radicale delle soggettività di oggi e di domani, a partire dalle radici, dalla storia e dalla sua reinterpretazione.
Creatività e trasgressività erano il suo vissuto quotidiano: “il gruppo di cui facevo pare era soprattutto senso di libertà, orgoglio di rottura degli schemi, contestazione di qualunque limite rispetto all’arte. Tutto è politica, si diceva. Il nostro discorso era: tutto deve essere arte, la stessa politica deve diventare arte. Il concreto lo incontravi continuamente in una città come Napoli. Napoli è per un’artista pane quotidiano”.
Nel 2015 è uscito il documentario biografico Lina Mangiacapre – Artista del femminismo,  diretto da Nadia Pizzuti, che ne ricostruisce pensiero e opera attraverso materiali di repertorio.
Il primo aprile 2017 il Comune di Napoli le ha intitolato il belvedere di via Posillipo.
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doscimaya · 2 years ago
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I miei valori rinascimentali.
Il significato più profondo del Rinascimento risiede nel cambiamento della visione del mondo e dei valori; è una radicale trasformazione culturale che sfida le credenze e le tradizioni medievali dominanti.
Il Rinascimento abbraccia l'interesse per il potenziale umano, l'individualismo e la ricerca della conoscenza; celebra le conquiste umane in vari campi come l'arte, la scienza, la filosofia, la letteratura, il cinema.
Il Rinascimento promuove la curiosità, lo spirito critico, l'esperienza per progredire in varie discipline; incoraggia a mettere in discussione l'ipse dixit, le convenzioni, per una comprensione reale del mondo attraverso la ragione - secondo prove, evidenze.
Il Rinascimento è la rinascita dei principi classici: la riscoperta di testi e visioni greco-romane; di quell'umanesimo che spinge sul valore, la dignità dell'individuo: sulla creatività, la ragione e l'etica che accompagna ogni azione.
Il Rinascimento è espressione intellettuale e artistica che promuove valori umanistici; un percorso di sviluppo della scienza, della filosofia e della cultura - per la modernità.
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lapolani · 3 years ago
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Modernità e Postmodernità. Le sorelle decrepite | 2021 © Lapo Lani
La modernità è l’epoca in cui viene portato a termine il distacco con il pensiero della tradizione filosofica, il quale, durante questo periodo, viene definitivamente emarginato e rimosso. In termini più generali, la modernità [1] è la condizione antropologica, la cultura e l'esperienza estetica della società industriale fondata su quella particolare forma di produzione capitalistica capace di imporre la propria "razionalità strumentale" [2] a tutti i livelli della vita sociale.
Secondo la tradizione filosofica, per vivere in armonia con il Mondo - la Natura della terra, del mare e dei cieli [3] - bisognava essere virtuosi, e la virtù era imprescindibilmente legata alla dimensione metafisica: gli dèi, Dio, il Destino [4], la Provvidenza [5], la Verità [6]. Le virtù [7] stabilite dalle culture storiche originarie della civiltà dell'Occidente (giudaica, greca, romana, cristiana) possedevano un'essenza metafisica.
In antichità l'uomo aveva fede nel mito [8], unico strumento per sconfiggere la sofferenza, il dolore e la morte; ma quando questo rimedio non fu più sufficiente a placare la massima paura, l'uomo iniziò, prima, a confidare nella Verità incontrovertibile indicata dalla filosofia, poi, quando il concetto di epistème fu messo in crisi dal sapere controvertibile della scienza moderna, ad avere fiducia sulla propria potenza di trasformare il mondo. La modernità libera radicalmente e definitivamente il divenire da qualsiasi dimensione trascendentale, aprendo uno scenario in cui, non essendo più presenti le supremazie del passato - gli dèi, Dio, il Destino, la Provvidenza, la Verità -, capaci di anticipare e finalizzare ogni evento, l'uomo può diventare massimamente potente per dominare il mondo. Tuttavia, affinché possa esserci la massima libertà di azione, è necessario che il pensiero filosofico abiti un adeguato contesto: deve poter "credere" - e questa è la ragione per la quale i filosofi parlano di “fede” - che le cose del mondo siano liberamente trasformabili e dominabili. La cultura moderna rappresenta l'apice di questo assetto intellettuale, chiamato anche "nichilismo", ossia quella fede secondo la quale le cose nascono dal Nulla per poi ritornarvi. Tutto ciò che viene considerato determinante dalla cultura moderna riguarda il modo di "fare" per poter "modificare" le cose e gli eventi, mentre questi oscillano tra il Nulla da cui derivano, e il Nulla a cui sono promessi. L'uomo vuole essere "potente" quanto più possibile; quel tanto necessario a dominare quanto più radicalmente possibile il mondo delle cose temporaneamente sfuggito al Nulla. Questa è l'unica condizione per poter sconfiggere la sofferenza, il dolore e la morte. E così la modernità si è liberata di tutte quelle forze che avrebbero limitato la potenza di trasformazione, rendendo il mondo un luogo aperto e sterminato, senza ostacoli, in cui la storia è niente di più che un cimitero: «L'uomo si aggira come un turista nel giardino della storia, considerandolo un deposito di maschere teatrali che può liberamente indossare e abbandonare» [9]. Si apre così una prateria sconfinata che può essere cavalcata in groppa alla scienza e alla tecnica, gli strumenti più potenti che l’uomo abbia mai posseduto per modificare e dominare le cose e gli eventi. Con la smobilitazione radicale dell’intera dimensione metafisica, le vecchie virtù, ossia le qualità che l'uomo doveva possedere per bene interpretare il mondo e le potenze che lo presiedevano e governavano, vengono sostituite con altre [10], le quali, avendo perso la relazione con la dimensione eterna, immutabile e incontrovertibile, non possono che avere un’essenza provvisoria, mutabile e controvertibile. La conoscenza moderna, quindi, ha un carattere ipotetico, problematico, transitorio, perfettibile, revisionabile, falsificabile. (Dietro questo pensiero si potrebbero intravedere le scintillanti intuizioni del Romanticismo (movimento culturale nato alla fine del XVIII secolo e sviluppato nel XIX secolo) [11], scaturite dal contrasto intellettuale con l'Illuminismo (sviluppato nel XVIII secolo).) La scienza, dopo Galileo, è diventata una conoscenza ipotetica-deduttiva, per la quale dati certi postulati, per mezzo di certe regole di trasformazione, si deducono certe conseguenze; la scienza è quel sapere che riconosce il proprio carattere falsificabile, provvisorio, probabilistico, fondato su strumenti logici incoerenti o irrisolvibili [12]; quel sapere che cerca la validità, non la verità (epistème). «La scienza è fede?! Sì. Per avere potenza sul mondo, la scienza ha rinunciato da tempo a essere "verità", nel senso attribuito a questa parola dalla tradizione filosofica. La scienza è divenuta sapere ipotetico. Sa di non essere sapere assoluto ("verità", appunto) - e in questo senso non è fede ma dubbio -; tuttavia, per avere potenza nel mondo deve aver fede nella propria capacità di trasformarlo; ed è all'interno di questa fede che essa elabora, risolve e conferma i propri dubbi» [13]. Anche la tecnica [14], basata sulla scienza moderna, è uno strumento di potenza sul mondo. Ambedue - scienza e tecnica -, per essere potenti, hanno dovuto abbandonare la verità, e questo processo annuncia, come evidenzia una parte della filosofia moderna e contemporanea, il loro inevitabile futuro tramonto. Così la modernità si risolve in un'esperienza estetica discontinua e disgregante, abitatrice di un tempo fuggevole e provvisorio, di uno spazio fugace e illimitato, costretta a tracciare traiettorie fortuite e arbitrarie. L'esperienza nel mondo in cui viviamo possiede, oramai, solo una dimensione transitoria e casuale. Il sentimento di un destino preordinato, di un già compiuto, si realizza non più in un unico luminoso epilogo, così come volevano il destino o la provvidenza della tradizione filosofica, ma in ogni singolo momento, o in nodi relativi e trascurabili. Tuona nuovamente la voce di Friedrich Nietzsche: «Dammi un maschera, ti prego, un’altra maschera ancora» [15].
Il sistema di pensiero nichilistico che sta alla base della modernità - il cui unico scopo è il dominio dell'uomo sul mondo attraverso la massima libertà di trasformare le cose e gli eventi - comporta inevitabilmente una precisa forma politica, la Democrazia procedurale [16], e un preciso sistema economico, il Capitalismo [17] liberista [18]. A sua volta, il capitalismo implica la forma del consumismo come mezzo più potente per poter raggiungere il proprio scopo, ovvero il massimo incremento del profitto privato. È in questo clima che avviene la metamorfosi della modernità in postmodernità [19]. Le dimensioni planetarie dell'economia capitalistica liberista e dei mercati finanziari comporta l'invadenza dei mezzi di comunicazione di massa, l'ingombrante e aggressiva presenza dei messaggi pubblicitari, il continuo e invadente flusso delle informazioni commerciali sulle reti telematiche e sulle piattaforme informatiche. E così, come la modernità si era liberata della tradizione filosofica, troncando la relazione con la Natura madre e con le potenze metafisiche, adesso la postmodernità si libera dei grandi progetti dalla modernità, elaborati a partire dall'Illuminismo: il mito chimerico della "massima potenza" fa cadere anche gli ultimi impicci ideologici. La condizione antropologica e culturale della postmodernità è caratterizzata da una dimensione intellettuale ed estetica chiusa nella più algida artificialità, quella dimensione che non ha più alcuna relazione con la Natura intesa come Creato trascendentale, e modello eterno e immutabile di virtù. In questo scenario culturale - detto anche cultura di massa o pop - viene abolita ogni residua distinzione tra i prodotti "alti" e i prodotti di massa. In quest'ottica, scompare anche qualsiasi distanza tra la creazione naturale - misteriosa e incontrollabile forza ciclica distruttrice e creatrice - e la produzione artificiale [20].
Il passaggio che segna la metamorfosi della cultura moderna in postmoderna si può riassumere nella frase «tanto più l'uomo è alienato, tanto più è libero», in cui il concetto di alienazione [21] corrisponde a un processo imprescindibilmente legato a una logica razionale, basata su un'implicita immagine geometrica: dal soggetto si stacca una parte che, una volta divisa dal corpo originario, diventa più forte, fino a dominarlo. I pensatori moderni [22] considerarono l'alienazione, così come descritta, una grave minaccia alla libertà collettiva e individuale. Ma l’uomo postmoderno diventerà libero se egli stesso sarà nella sua interezza oggetto di alienazione, ovvero se sarà integralmente alienato (non possiederà parti con qualità migliori di altre, le quali, se scisse e proiettate in un’altra dimensione, prenderebbero il sopravvento; potremmo chiamare questa impostazione "feticismo del soggetto"). Così viene evitato il “feticismo delle merci” definito da Karl Marx, per il semplice motivo che adesso l’uomo si aliena totalmente, diventando feticcio, cioè feticista di se stesso; diventando una "cosa", caratterizzata da una specifica essenza: essere uscita dal Nulla e destinata a ritornarci. Gli individui, essendo integralmente alienati, diventano “reificati”, cioè cose tra le cose. Così agisce la postmodernità: l’uomo non è alienato dalla televisione o da un dispositivo mobile, semplicemente perché sta dalla loro stessa parte: non c’è più un soggetto che osserva e un oggetto-feticcio che viene osservato; ci sono due feticci, uno di fronte all'altro. Il dispositivo mobile non viene utilizzato per osservare qualcosa di esterno a sé che possiede virtù eterne e immutabili - come era la Natura per la tradizione filosofica -, ma è uno strumento che crea, produce virtù (estetiche); l'utente non è più un osservatore esterno al dispositivo-strumento, ma ne fa parte, ed egli è, al tempo stesso, produttore e prodotto. La natura non è più un modello che possiede qualità metafisiche e trascendentali, ma è una cosa liberamente trasformabile e dominabile - questa è la sua nuova virtù -, e la tecnica, guidata dalla scienza moderna, indica il modo più efficace per farlo. Se l'uomo è un feticcio, la contemporaneità non può che essere caratterizzata da una spinta all'individualismo esibizionista. L'esibizione sottintende la massima possibilità di trasformare se stessi in quanto cosa; significa relazionarsi con le cose stando all'interno dello stesso palcoscenico. (In questo clima filosofico e culturale, gli individui sono inclini a comportamenti sadici e masochistici, capaci di esaltare la libertà di "produrre" una trasformazione dell'individuo-oggetto-feticcio. La violenza imposta a se stessi o agli altri è una forma di dominio.)
Solo se l’alienazione è massima, la libertà è massima; e la massima libertà corrisponde alla massima potenza, quindi al massimo dominio: «Muovetevi anche stando fermi! Non cessate di muovervi! Fate rizoma e non radice, non piantate mai! Non seminate, iniettate! Non siate né uno né molteplici, siate delle molteplicità! Fate la linea e mai il punto! Siate rapidi anche stando sul posto!» [23].
Ma la cultura postmoderna va ancora oltre: la storia e il futuro, definitivamente sottratti a ogni finalismo, appaiono in maniera del tutto disincantata; uno scenario in cui personaggi senza racconto si muovono con traiettorie casuali e incontrollabili, calpestando un suolo metallico sgombero delle stigmate della modernità - i concetti di "valore", "senso" e "coscienza" -, ultimi barbagli della tradizione filosofica. Gli individui postmoderni restano alienati da tutto tranne che dalle particolari ossessioni che hanno sviluppato per rendere più sopportabile l'alienazione [24].
La natura non è più la grande Madre, il ciclo sacro che tutto distrugge e tutto crea. La realtà è l'immagine di una "cosa", e non può essere interpretata perché non possediamo più un modello originario - eterno, immutabile, vero - capace di decifrarla.
C'è abbondanza di quelle cose che aiutano a vivere, ma non trasformano la vita in destino; sempre sospese tra esaurimento e ricchezza, tra morte e felicità.
Lapo Lani Milano, dicembre 2021
Note:
[1] - L’inizio della Modernità può essere identificato con la seconda rivoluzione industriale e la nascita del positivismo, corrente di pensiero che interpreta i fenomeni della realtà con un atteggiamento scientifico e tecnico.
[2] - Il concetto di "razionalità strumentale" viene introdotto da Max Weber (1864-1920), e definito come l'impiego della logica razionale per esercitare un controllo sull’uomo, e per conoscere e dominare la natura; è una razionalità che, nata per potenziare l’apparato produttivo, diventa totalizzante, andando a modificare la struttura dell'intelletto collettivo, e a invadere gli apparati della società - le strutture familiari, gli ordinamenti giuridici, politici ed economici, la scienza e le attività creative e artistiche.
[3] - I primi filosofi greci, i presocratici, usano il termine Natura (in greco “φύσις”, “phýsis”) con il significato di principio generativo di tutte le cose, soggette a nascita, accrescimento, degenerazione e morte. La Natura ha un andamento ciclico senza fine, in cui tutte le cose e gli eventi appartengono a un ininterrotto andamento circolare di produzione e distruzione, composto di punti eterogenei. Questo movimento viene eseguito “secondo necessità” (come dicono Eraclito, Anassimandro e Parmenide). Il punto privilegiato del circolo si chiama arché (in greco “ἀρχή”, che significa “principio”, “origine”), il principio di tutte le cose che compongono la natura. L’arché è il modello rispetto al quale tutto si genera e tutto si annulla. Quindi il principio delle cose è la dimensione in cui esse esistono all’origine. Solo la specificità delle cose, la singolarità, non la loro essenza, proviene dal nulla e nel nulla ritorna. La conoscenza dell’arché consente di comprendere le cose indipendentemente dalla loro manifestazione reale.
[4] - Il Destino è quella forza immutabile, incontrastabile e imperscrutabile nei confronti della quale nulla possono gli dèi e Dio; è la forza che definisce il fine ultimo di tutti gli eventi.
[5] - La Provvidenza è il destino se governato dagli dèi o da Dio. Questo concetto, posteriore a quello di destino, è stato pensato dallo stoicismo, scuola filosofica fondata nel III-II secolo a.C.
[6] - I greci antichi chiamavano la verità "epistème", parola che deriva dal greco (ἐπιστήμη) ed è composta dalla preposizione epì- (“su”) e dal verbo histemi (“stare”); quindi ���stare sopra”. L'epistème designa la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che intende porsi “al di sopra” di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti. Platone contrapponeva l'epistème a "dòxa" (opinione soggettiva).
[7] - Il termine virtù, di origine latina, ha derivazione greca, “areté”, termine con la stessa radice di “àriston” (il migliore) e “àristos” (l’ottimo). Le virtù nella cultura della Grecia antica erano "kalòs kai agathòs" ("bello" e il "buono"; la bellezza era concepita come una virtù eterna e immutabile, donata dagli dèi agli uomini; per Platone il bello era la causa dell'azione morale, quindi strettamente legata al buono. Plotino scrive nelle "Enneadi": «Al bene bisogna risalire, a quel bene cui ogni anima agogna […], e sa in che modo sia bello»), “kalokagathìa” (concetto derivato da "kalòs kai agathòs", identificava l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo, virtù dell'uomo ottimo), “eusébeia” (la devozione, la riverenza, il profondo rispetto verso il Destino, gli dèi, gli antenati e la famiglia), “areté” (forza d'animo, vigore morale e fisico; il concetto di areté esprimeva un modo perfetto, "giusto mezzo" di essere; possedere l'areté significava riuscire a esprimere il proprio talento; areté ha la stessa radice del termine latino "ars", ovvero capacità di costruire, di fabbricare, di creare), “epistème” (la conoscenza della verità incontrovertibile [4]). Le virtù nella cultura della Roma antica, molte delle quali furono ereditate dal pensiero greco, erano "fides" (fedeltà e lealtà del cittadino verso il suolo patrio di Roma e il suo assetto gerarchico e legislativo), "pietas" (il concetto corrisponde al concetto greco di eusébeia), "majestas" (dignità e appartenenza alla civiltà romana), "virtus" (lealtà nel dimostrare il proprio valore attraverso le proprie azioni), "gravitas" (dignità, serietà e autorevolezza). Le virtù nella cultura cristiana erano il rispetto e l'amore verso Dio, la "compassione" (la predisposizione a condividere la sofferenza e il dolore di un'altra persona, o di un gruppo di persone; la pietà cristiana è un concetto radicalmente diverso rispetto alla pietas romana e a eusébeia greca), la "misericordia" (il patto di carità; la predisposizione a condividere la miseria altrui), la "carità" (l'amore che, attraverso Dio, unisce gli uomini tra loro e con Dio), l'"umiltà" (consapevolezza della propria dipendenza nei confronti di Dio e del prossimo).
[8] - Alleanza tra l'uomo e le forze più potenti di lui: la Natura, gli dèi, Dio, il Destino, la Provvidenza.
[9] - Friedrich Nietzsche (1844-1900), "Considerazioni inattuali", raccolta di saggi scritti tra il 1873 e il 1876. (Rusconi Libri, 2020.)
[10] - Le nuove virtù sono le qualità che caratterizzano le forze in grado di trasformare il mondo. Quindi, non più bello, buono, santo, sacro, giusto, pietoso, compassionevole, misericordioso..., ma efficace, efficiente, produttivo, affidabile, durevole...
[11] - Il movimento culturale del Romanticismo considera il mondo delle cose (la realtà) - a fronte della cognizione di pluralità, di inesauribilità, del carattere imperfetto di tutte le risposte e ordinamenti umani; della cognizione che, nella vita come nell'arte, nessuna risposta che si pretenda vera e perfetta può, per motivi di principio, essere vera e perfetta - un mito, in quanto solo il mito riesce a esprimere l'inesprimibile. La virtù per la cultura Romantica non è l'accesso alle qualità metafisiche e trascendentali, ma la capacità di creare, produrre virtù. A differenza del pensiero illuminista, l'arte si crea senza modelli, e dal nulla. Si creano virtù come gli artisti creano le opere d'arte. Il nostro mondo non è quello che è, o quello che appare alla scienza, ma quello che noi creiamo, che produciamo. Il Romanticismo fu una svolta verso il sentimento e l'emotività, e accese un improvviso interesse per il primitivo, il mistero (tutto ciò che non è possibile penetrare con la logica razionale) e il remoto - remoto nel tempo e remoto nello spazio -; accese un’incontrollata passione nei confronti dell’infinito e dell’inafferrabile.
[12] - I due teoremi di incompletezza di Kurt Gödel (1906-1978), pubblicati nel 1931, dimostrano che ogni teoria formale basata su un sistema di assiomi, come per esempio  l’aritmetica, è incompleta (cioè contiene proposizioni indecidibili) o non coerente (cioè la coerenza non è dimostrabile nell’ambito di quel sistema di assiomi).
[13] - Emanuele Severino (1929-2020), "Le fedi e la lotta per il potere", Corriere della Sera, 24 maggio 2007.
[14] - La tecnica è una forma di organizzazione di mezzi per produrre un unico scopo, cioè l’incremento indefinito della produzione degli scopi. Gli scopi della tecnica non coincidono necessariamente con quelli dell’uomo, né, tantomeno, con il bene di questo.
[15] - Friedrich Nietzsche (1844-1900), “Al di là del Bene e del male”. (Adelphi, 1977.)
[16] - Hans Kelsen (1881-1973) definisce così la democrazia procedurale in "I fondamenti della democrazia": «Esercizio di un governo poggiante su decisioni prese a maggioranza da un'assemblea popolare o da uno o più gruppi di individui, designati attraverso un'elezione basata sul suffragio universale, libero e segreto». (Il Mulino, 1981.)
[17] - Sistema economico in cui il capitale - denaro, mezzi intellettuali e strumenti di produzione - è di proprietà privata, e il cui unico scopo è creare profitto privato.
[18] - Sistema economico basato sulla libertà di mercato, in cui lo stato si limita a garantire la libertà economica con un ordinamento giuridico, provvedendo esclusivamente ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa privata; questo sistema, a differenza del protezionismo, garantisce la libertà del commercio internazionale.
[19] - Metamorfosi della condizione antropologica e culturale avvenuta a partire dagli anni 1960 circa, conseguente alla crisi della modernità.
[20] - La produzione industriale matura, con il suo alto livello di artificialità, ha portato la cultura moderna ad accantonare il modo di vedere la Natura della tradizione filosofica, paradigma della dimensione metafisica, sopprimendo l'idea di "Legge naturale" e di "Diritto naturale". I prodotti industriali non hanno più alcuna relazione con la Natura intesa come creato degli dèi o di Dio. L'arte moderna e postmoderna hanno un solo scopo: distruggere e sbarazzarsi definitivamente dell'immagine tradizionale della Natura.  
[21] - Processo per cui ciò che originariamente appartiene all’uomo ed è opera sua gli diviene alieno ed estraneo, finendo, da ultimo, col dominarlo e asservirlo.
[22] - Secondo Ludwing Feuerbach (1804-1872), la religione è un processo di alienazione in quanto l'uomo viene sottomesso dalle proprie qualità, una volta sottratte alla propria caducità e trasferite nella dimensione eterna di Dio. Secondo Karl Marx un'altra forma di alienazione riguarda i prodotti industriali, i quali possiedono delle qualità che non traducono l'attività affettiva di chi li ha creati (operaio, proletario, salariato).       
[23] - Gilles Deleuze (1925-1995) e Félix Guattari (1930-1992), “Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia”. (Orthotes, 2017.)
[24] - Pensiero moderno avrebbe capovolto i termini: la loro integrale alienazione è una conseguenza delle loro ossessioni.
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Copertina: "Autoritratto”, disegno di Lapo Lani. Fotomontaggio ripreso con acrilici e successivamente elaborato con processi digitali. Anno: dicembre 2021. Collezione privata.
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erik595 · 4 years ago
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La scuola obbligatoria, la scolarità prolungata, la corsa ai diplomi, l'università di massa: differenti aspetti di quel medesimo falso progresso che consiste nella preparazione di studenti orientati al consumo di programmi scolastici e di merci culturali studiate per imporre il conformismo sociale, l'obbedienza alle sue istituzioni e ai suoi manager. Anche la strutturazione del profilo degli insegnanti, per promuovere una didattica basata sul modello della trasmissione delle conoscenze, ha lasciato l'uomo della società dell'informazione e dei consumi privo di strumenti e ancora più esposto al rischio di una mistificazione strumentale delle sue qualità migliori. A tutto ciò, Ivan Illich aveva opposto la sua visione, una quarantina di anni fa, con un testo che è una pietra miliare del pensiero occidentale alle prese con la grande trasformazione culturale e tecnologica in atto. E con un'idea di scuola ben precisa. Descolarizzare la società vuol dire, per il suo autore, sostituire un'educazione autentica ai rituali dell'educazione di massa per imparare finalmente a vivere attraverso la propria vita e nell'incontro con l'altro. Non si tratta solo di una rottura radicale e necessaria con un sistema di poteri e di saperi, ma di restituire all'uomo il gusto di inventare, creare e sperimentare la propria vita partecipando alla sfida della vivibilità del pianeta in questo tempo. . . . . . #ivanillich #illich #libro #libri #libros #libreria #consiglidilettura #librodaleggere #libroconsigliato #librodelgiorno #book #books #bookstagram #bookstagramitalia #filosofo #scrittore #filosofia #saggistica #pagine #scuola #educare #educazione #civiltà #società #societàmalata #descolarizzazione (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CQQPmb3FS41/?utm_medium=tumblr
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gandol · 4 years ago
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Il progetto di Biden richiede una trasformazione radicale anche della società, delle abitudini, ad esempio sostituire milioni di auto a benzina con veicoli elettrici. Alcuni repubblicani hanno bollato il piano come irrealizzabile.
«Non serve una rivoluzione sociale né culturale, ma una trasformazione logistica. Per quanto riguarda il Congresso, non si può ottenere nulla a meno di non aggirarlo, come d’altra parte è accaduto per il piano di aiuti Covid».
Non avevamo alcun dubbio che la sua posizione fosse questa, signor Foer. D’altra parte a che serve il Congresso quando c’è già il miglior Presidente che potremmo desiderare, in grando di piegare l’Universo Mondo ai propri voleri?
Vedrà che prima della fine del mandato le fa anche il decretino contro chi mangia carne.
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marino222 · 4 years ago
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Ecologia integrale La terza parola è ecologia integrale. L’aggettivo integrale sottolinea come il ripensamento radicale del nostro rapporto con la natura debba essere esteso a tutti gli ambiti della vita, a cominciare da quello sociale e relazionale. La crisi che stiamo vivendo non è solo una crisi sanitaria ed economica, è prima di tutto una crisi sociale e culturale. Non se ne esce senza una profonda trasformazione etica, un cambiamento del nostro rapporto col mondo, con gli altri, con noi stessi. Perciò questa deve essere non una transizione – cioè un semplice passaggio – ma una conversione ecologica. Conversione laica, alla portata di tutti: si tratta di rivolgere il cuore e la coscienza a un ambiente che stiamo ciecamente sfruttando e saccheggiando. Ciecamente perché ne siamo parte. Lo sfruttamento, il saccheggio e la devastazione sono non solo distruttivi ma autodistruttivi.
https://lavialibera.libera.it/it-schede-379-luigio_ciotti_sei_parole_per_il_2021
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kommunalka-blog · 4 years ago
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RUSSIA E IDENTITÀ NAZIONALE. VITTORIO STRADA. “(...) la componente russa (dell’Unione Sovietica), prevalente sul piano linguistico perché il russo non poteva non essere la lingua unificante dell’amministrazione dell’insieme multinazionale e multilinguistico sovietico, fornì il maggiore ingrediente di quell’amalgama ideopolitico che il regime bolscevico seppe elaborare, variandolo nel corso del suo sviluppo e imponendolo a tutta la sua sfera di dominio non solo interna, ma anche nella sua area di egemonia nel movimento comunista e dei suoi fiancheggiatori. A soffrire di questa situazione fu in particolare la cultura russa usata strumentalmente, ma depurata da ogni elemento ideologicamente indesiderabile per il regime, quello religioso, ad esempio, e contaminata dalla miscela marxista-leninista. (...) Per questo, dopo il crollo dell’URSS, mentre la altre sue parti nazionali, diventate autonome, hanno potuto trovare una loro identità (...) la Russia, liberata dall’impero, attraversa, invece, una forte crisi di identità nazionale e a fatica ripensa oggi il suo passato storico, segnato non soltanto dalla cesura delle riforme di Pietro il Grande, ma soprattutto dalla più grave frattura provocata dalla rivoluzione del 1917 e dal successivo regime totalitario. (...) Per l’autocrazia la Russia era oggetto di una colonizzazione primaria che permetteva la colonizzazione secondaria delle altre parti dell’impero e, a partire da Pietro il Grande, era oggetto di una modernizzazione che, con alterne vicende e varia intensità, durò tre secoli sino alla vigilia della fine dell’autocrazia, quando la Russia andava acquistando una sempre più netta e moderna coscienza nazionale di sé avviandosi a passare da nazione culturale a nazione politica. (...) Per la storia russa il punto di debolezza fu che la modernizzazione venne attuata solo parzialmente (nel campo produttivo e culturale) e con straordinario ritardo (nel campo politico-istituzionale), con una carenza di Tempo, mentre lo Spazio cresceva a dismisura, appesantendo enormemente l’organismo imperiale, che alla fine, in un momento di crisi generale, cedette di colpo. La traumatica galvanizzazione dell’impero operata dai bolscevichi con la loro pseudomodernizzazione comunista, assieme alla sua trasformazione radicale, prolungò di tre quarti di secolo la fine dell’impero nella sua nuova ipostasi marxista-leninista (...) (...) Va rilevata l’antitesi tra i due momenti di rottura della continuità nella storia russa, nel senso che il processo di modernizzazione iniziato dalle riforme petrine e continuato dai suoi eredi portò la Russia a diventare una potenza europea nel pieno senso del termine, sempre più vicina ai criteri politici occidentali, mentre il rivolgimento del 1917 spezzò questo processo, rovesciandolo anzi in una direzione opposta. (...) (...) la linea del messianismo illuministico-giacobino e poi marxista-rivoluzionario. Questa linea, non priva di una coloritura pseudoreligiosa, aveva sopraffatto la linea del riformismo liberale e del socialismo democratico, anch’essa non meno russa e non meno europea, ma travolta nel caos delle catastrofi in cui la Russia precipitò nel 1917, e poi cancellata del tutto da un potere totalitario in confronto al quale persino l’autocrazia zarista cominciò ad apparire meno odiosa poiché, almeno nel suo ultimo periodo, questa rispettava regole della civiltà cristiana europea e si dimostrava capace, sia pure con un fatale ritardo, di trasformazioni evolutive”. Vittorio Strada, Europe, 2014  
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