#radicale trasformazione culturale
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fancypatrosublime · 2 years ago
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Rinascimento ✨🐝💛
Il significato più profondo del Rinascimento risiede nel cambiamento della visione del mondo e dei valori; è una radicale trasformazione culturale che sfida le credenze e le tradizioni medievali dominanti.
Il Rinascimento abbraccia l'interesse per il potenziale umano, l'individualismo e la ricerca della conoscenza; celebra le conquiste umane in vari campi come l'arte, la scienza, la filosofia, la letteratura, il cinema.
Il Rinascimento promuove la curiosità, lo spirito critico, l'esperienza per progredire in varie discipline; incoraggia a mettere in discussione l'ipse dixit, le convenzioni, per una comprensione reale del mondo attraverso la ragione - secondo prove, evidenze.
Il Rinascimento è la rinascita dei principi classici: la riscoperta di testi e visioni greco-romane; di quell'umanesimo che spinge sul valore, la dignità dell'individuo: sulla creatività, la ragione e l'etica che accompagna ogni azione.
Il Rinascimento è espressione intellettuale e artistica che promuove valori umanistici; un percorso di sviluppo della scienza, della filosofia e della cultura - per la modernità.
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magliacal · 28 days ago
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L’Architettura del Successo: Come il Manchester City Ha Trasformato la Sua Casa e la Cultura Calcistica
1. Introduzione
La città di Manchester è da sempre un epicentro di trasformazione, innovazione e passione, non solo per la sua rilevanza industriale, ma anche per il suo contributo alla cultura calcistica globale. L'influenza del Manchester City, uno dei club più prestigiosi del mondo, si estende ben oltre i confini del calcio, modellando l'identità della città e divenendo un simbolo di modernità e successo. Attraverso un perfetto connubio di storia e innovazione, il Manchester City ha saputo incarnare lo spirito della "tradizione moderna" nel panorama calcistico.
Questo articolo esplora come il club, con la sua evoluzione e il suo stile, abbia influenzato non solo il gioco, ma anche l'architettura, la moda e la cultura di Manchester. In particolare, si analizzerà come il modernismo abbia permeato ogni aspetto della sua storia, dalla trasformazione dei suoi stadi alle tendenze calcistiche globali. Inoltre, esamineremo come il club abbia contribuito a definire l'identità sociale di Manchester, facendo del calcio una parte integrante della sua eredità culturale.
Analizzando l'evoluzione del Manchester City, le sue innovazioni nel design delle maglie, il suo impatto sulle infrastrutture e il suo ruolo nel panorama globale, scopriremo come questo club abbia creato una fusione unica di tradizione e modernità. Un viaggio che non solo celebra il calcio, ma anche il dinamismo di una città che ha saputo reinventarsi e ridefinire la propria cultura nel contesto globale.
2. Il Modernismo a Manchester
Manchester, conosciuta come la “città delle due rivoluzioni”, ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo del modernismo, non solo in ambito industriale, ma anche nelle sue espressioni culturali, artistiche e sociali. La sua storia industriale, che ha avuto inizio con la Rivoluzione Industriale nel XIX secolo, ha gettato le basi per una trasformazione radicale che ha influenzato tutti gli aspetti della vita cittadina, incluso il calcio.
La Rivoluzione Industriale e la nascita del modernismo
Nel XIX secolo, Manchester si è affermata come uno dei principali centri industriali mondiali, noto per la produzione di tessuti e per la sua rete di trasporti. Le sue fabbriche, i suoi fiumi e le sue ferrovie hanno dato forma a una città in continuo movimento, che ha creato le condizioni ideali per l’emergere di nuove forme di espressione culturale. Il modernismo a Manchester ha preso piede attraverso la reinvenzione del paesaggio urbano e la nascita di nuove istituzioni culturali.
Questo spirito innovativo ha influenzato profondamente il modo in cui la città si è sviluppata e ha affrontato le sfide del nuovo secolo. Dalle macchine agli stili architettonici, dalla musica alla moda, Manchester è diventata il terreno fertile per il modernismo, che ha permeato ogni aspetto della vita quotidiana. L’industrializzazione, sebbene abbia portato anche difficoltà sociali, ha dato alla città una vitalità unica, alimentando nuove forme di pensiero e creatività.
Manchester come culla del modernismo calcistico
Con l'emergere di un moderno tessuto urbano e industriale, anche il calcio a Manchester ha cominciato a riflettere l’influenza di questi cambiamenti. La nascita di nuove infrastrutture calcistiche, come stadi più grandi e tecnologicamente avanzati, e l'introduzione di un sistema professionistico, sono esempi lampanti dell'incidenza del modernismo sul gioco. Manchester, in particolare, si è distinta per la creazione di spazi dove la passione per il calcio potesse crescere e prosperare.
Il modernismo ha anche influito sul modo in cui i club calcistici, come il Manchester City, si sono strutturati e hanno evoluto il loro approccio al gioco. L’organizzazione dei club e delle squadre è diventata più sofisticata, introducendo tecnologie all’avanguardia per migliorare le prestazioni e l’esperienza del tifoso. In questo contesto, il Manchester City ha rappresentato un perfetto esempio di come il calcio possa sposare la modernità, non solo sul campo da gioco, ma anche nei suoi aspetti più esterni, come il design delle maglie e delle strutture.
L’arte e la cultura visiva del modernismo
Anche le espressioni artistiche di Manchester, come il movimento del Modernismo nelle arti visive, hanno avuto un impatto significativo sullo sviluppo della cultura calcistica cittadina. L’estetica modernista, con la sua enfasi sul minimalismo, sulle linee pulite e sull'uso di nuovi materiali, ha influenzato il design delle maglie, degli stadi e persino delle campagne pubblicitarie legate al calcio. Il Manchester City, attraverso la sua identità visiva, ha adottato alcuni degli stessi principi modernisti: semplicità, innovazione e adattamento ai tempi.
L'influenza del modernismo a Manchester ha anche favorito una fusione tra il calcio e altre forme di cultura popolare, come la musica e la moda. Negli anni '90, con l’ascesa del Britpop e delle culture giovanili, la maglia Manchester City è diventata un simbolo di tendenze e identità, una fusione di sport e stile che ha preso piede a livello globale.
Il modernismo come simbolo di cambiamento e di rinascita
Il Manchester City, attraverso la sua storia, ha incarnato un’altra faccia del modernismo: quella della rinascita e dell’evoluzione. Come la città ha attraversato diverse fasi di trasformazione sociale e industriale, anche il club ha vissuto periodi di crisi e rinascita. La recente ascesa del City, con gli investimenti globali e l'introduzione di tecnologie avanzate, ha simboleggiato la capacità della città di reinventarsi, proprio come il movimento modernista ha fatto nelle arti e nella cultura.
In sintesi, il modernismo a Manchester è stato il catalizzatore di una trasformazione radicale che ha influenzato profondamente la cultura calcistica della città. La continua evoluzione della sua architettura, la nascita di strutture calcistiche moderne e il design innovativo delle maglie riflettono come il calcio, espressione visibile e dinamica di una comunità, possa incarnare lo spirito del modernismo: innovativo, in continuo movimento e sempre alla ricerca di nuove frontiere.
3. Manchester e la Cultura Calcistica
Manchester non è solo una città industriale e culturale, ma anche una delle capitali mondiali del calcio. La cultura calcistica di Manchester è unica, un intreccio di passione, rivalità storiche e innovazione che ha fatto di questa città un simbolo a livello globale. Il calcio a Manchester non è solo uno sport, ma una vera e propria parte integrante dell'identità cittadina, dove le storie dei suoi club si fondono con quelle dei suoi abitanti. Il Manchester City, insieme al suo eterno rivale, il Manchester United, ha plasmato e continua a plasmare la cultura calcistica, sia dentro che fuori dal campo.
La nascita e l'evoluzione del Manchester City
Il Manchester City, fondato nel 1880 con il nome di St. Mark's (West Gorton), è stato un pilastro del calcio inglese fin dalla sua creazione, ma solo nel corso del XX secolo ha raggiunto l'apice della sua fama. La storia del club è segnata da periodi di alti e bassi: dai successi negli anni '60 e '70, alla crisi che lo ha portato a lottare per la sopravvivenza nelle leghe inferiori, fino alla straordinaria ascesa negli ultimi due decenni, grazie a enormi investimenti e una gestione moderna.
Questa evoluzione è il riflesso del cambiamento della città stessa, che ha visto una modernizzazione radicale e un incremento della sua influenza globale. Oggi, il Manchester City non è solo un club calcistico, ma un marchio internazionale che rappresenta la rinascita e l'innovazione. Il calcio a Manchester, dunque, si intreccia profondamente con il cambiamento sociale ed economico che ha caratterizzato la città, facendo del City un punto di riferimento per una cultura calcistica che celebra la modernità e l'evoluzione.
La rivalità tra Manchester United e Manchester City
Un aspetto fondamentale della cultura calcistica di Manchester è la storica rivalità tra il Manchester United e il Manchester City. Questa rivalità, una delle più accese al mondo, non è solo sportiva, ma rappresenta una divisione sociale ed economica che affonda le radici nella storia della città.
Il Manchester United, con la sua lunga tradizione di successi internazionali, è il club che ha incarnato la classe operaia e l'ascesa sociale, mentre il City, spesso visto come il club dei “lavoratori” e dei “sottovalutati”, ha trovato il suo riscatto nel corso degli anni grazie alla moderna gestione e agli investimenti globali. Questa rivalità è una delle più intense e seguite non solo a Manchester, ma in tutto il mondo, ed è spesso descritta come una battaglia tra tradizione e modernità, con il Manchester City che, negli ultimi anni, ha saputo imporsi come simbolo di innovazione e rinnovamento nel calcio.
Il Manchester City come motore di innovazione
Il Manchester City è sempre stato all'avanguardia nell’adozione di nuove tecnologie e nell’evoluzione del gioco. Dalla costruzione del Etihad Stadium, un impianto all'avanguardia che riflette la moderna filosofia del club, alle innovazioni nel campo della preparazione atletica, il Manchester City ha dimostrato un impegno costante nell’adattarsi e nel guidare l’evoluzione del calcio moderno. La filosofia di gioco, caratterizzata da un gioco offensivo e dinamico, è il risultato di anni di studio, analisi e innovazione.
Inoltre, l'approccio del club alla gestione dei dati, attraverso l'uso di software avanzati per monitorare le prestazioni dei giocatori, è uno degli aspetti distintivi che ha reso il Manchester City un esempio di come il calcio moderno possa essere supportato dalla tecnologia. La cultura calcistica della città, quindi, non si limita alla passione per il gioco, ma si arricchisce anche di una componente intellettuale e scientifica che porta il calcio a livelli mai visti prima.
L'influenza del Manchester City sulla moda calcistica
Oltre al gioco stesso, il Manchester City ha avuto un impatto significativo sulla moda calcistica. Le sue maglie sono diventate simboli di stile e appartenenza, particolarmente tra le nuove generazioni. Le divise del City sono un perfetto esempio di come il modernismo abbia influenzato anche l’estetica calcistica: colori brillanti, design minimalisti e un impegno crescente per la sostenibilità dei materiali.
Nel corso degli anni, la maglia del Manchester City è passata da essere un semplice pezzo di equipaggiamento sportivo a un vero e proprio oggetto di culto. Con l'ascesa globale del club, la completini calcio del City è diventata un simbolo riconoscibile, indossato non solo dai tifosi durante le partite, ma anche come parte di uno stile di vita urbano. Il moderno design delle maglie, unito all’attenzione ai dettagli e alle innovazioni tecnologiche, ha consolidato la connessione tra il club e la cultura popolare.
L'impatto del Manchester City sulla cultura popolare
Il Manchester City ha anche contribuito a plasmare la cultura calcistica a livello globale, non solo attraverso i suoi successi sportivi, ma anche attraverso la sua crescente presenza sui social media e la sua interazione con i tifosi. La capacità del club di raggiungere e coinvolgere una fanbase globale ha reso il calcio di Manchester un fenomeno culturale che trascende i confini della città.
Con una forte presenza nei media digitali, il City è diventato un modello di come un club calcistico possa costruire una comunità globale di appassionati, che non si limitano a seguire la squadra durante le partite, ma che partecipano attivamente alla vita del club, creando una cultura calcistica condivisa che va oltre lo stadio.
La cultura calcistica di Manchester e l'identità sociale
Il calcio di Manchester è profondamente legato all'identità sociale e culturale della città. Il calcio non è solo un passatempo, ma un fenomeno che rappresenta la speranza, l’orgoglio e l’unità dei suoi abitanti. La passione per il Manchester City, così come per il Manchester United, è parte di una storia che affonda le radici nella classe operaia, ma che nel tempo ha inglobato nuove realtà sociali e culturali.
La cultura calcistica di Manchester rappresenta quindi una miscela di tradizione e modernità, in cui il legame tra il club e i suoi tifosi è tanto forte quanto l'impatto che il calcio ha avuto sulla vita quotidiana della città. Il Manchester City, in particolare, ha saputo adattarsi ai cambiamenti sociali ed economici, divenendo simbolo di un’era nuova e di un calcio che guarda sempre al futuro.
4. L'Influenza del Modernismo sulla Moda Calcistica
Il modernismo, come movimento culturale, ha avuto un impatto profondo su molte aree della società, dal design all’architettura, dalla musica all'arte. Il calcio, sport che ha da sempre subito il fascino della modernizzazione, non è stato immune a queste trasformazioni. L’influenza del modernismo sul "calcio moderno" è stata una forza trainante nel cambiamento di come il gioco viene percepito, praticato e organizzato, influenzando tutto, dalla preparazione fisica dei giocatori alla tecnologia utilizzata sul campo. E proprio il Manchester City, uno dei club più emblematici nell'adozione di approcci modernisti, si è trovato all'avanguardia in questo cambiamento.
L'integrazione della tecnologia nel calcio
Uno degli aspetti più evidenti dell'influenza del modernismo sul calcio moderno è l'adozione di nuove tecnologie per migliorare ogni aspetto del gioco. L’introduzione di sistemi di analisi dati, l’uso di dispositivi indossabili e la digitalizzazione degli allenamenti sono diventati strumenti fondamentali per i club di successo, e il Manchester City ha sicuramente guidato questa transizione.
Nel calcio di oggi, l’uso della tecnologia non si limita più solo alla registrazione dei punteggi, ma influisce anche sulle strategie, sulle scelte tattiche e sul miglioramento delle prestazioni individuali. Grazie all'adozione di tecnologie moderne come il VAR (Video Assistant Referee), i club hanno potuto perfezionare l’imparzialità delle decisioni arbitrali. A livello più profondo, la video-analisi e i sensori indossabili sono diventati strumenti chiave per monitorare in tempo reale la condizione fisica e le prestazioni tecniche dei giocatori, portando il calcio a un livello di precisione e ottimizzazione che sarebbe stato impensabile solo pochi decenni fa.
Il Manchester City, sotto la guida di figure come Pep Guardiola, ha fatto dell'innovazione tecnologica un marchio di fabbrica. Il club ha investito in data analysis, utilizzando software avanzati per analizzare il gioco, prevedere tendenze e ottimizzare le prestazioni individuali e di squadra. Questa attenzione ai dettagli è un chiaro riflesso della mentalità modernista che persegue l’ottimizzazione e la perfezione attraverso la scienza e la tecnologia.
La preparazione fisica e la scienza sportiva
Il modernismo ha anche cambiato radicalmente l’approccio alla preparazione fisica nel calcio. Negli anni, si è passati da un approccio più “naturale” e poco scientifico alla preparazione atletica a una scienza del movimento in grado di analizzare e ottimizzare ogni singolo gesto. Le sala fitness, le tecniche di recupero e l'uso di biomeccanica e neurologia per migliorare la performance fisica dei calciatori sono il frutto di una mentalità modernista che cerca l’efficienza massima.
Nel Manchester City, la scienza sportiva è diventata una parte fondamentale della strategia del club. I calciatori non sono più solo atleti che si allenano duramente; sono veri e propri laboratori viventi di performance fisica e mentale, con allenamenti personalizzati che si adattano a ciascun giocatore. Tecniche moderne come la palestra funzionale, il massaggio sportivo ad alta tecnologia e il monitoraggio del sonno sono tutte pratiche radicate nell’approccio modernista e adottate dal club per assicurarsi che i suoi atleti possano raggiungere e mantenere i più alti standard.
L’approccio tattico e il gioco del calcio
Il modernismo ha influenzato anche l’evoluzione del gioco stesso. Il calcio è passato da un gioco caratterizzato principalmente da forza e resistenza a uno che richiede intelligenza tattica, controllo tecnico e una grande attenzione alla posizione e al movimento senza palla. Il passaggio da un calcio più fisico a uno che valorizza la gestione della palla e la circolazione veloce ha portato alla nascita di schemi più sofisticati e complessi.
Il Manchester City, sotto la guida di Pep Guardiola, ha incarnato questa trasformazione. L’adozione della filosofia del "tiki-taka", che si basa su passaggi rapidi e precisi e su un possesso palla prolungato, è stata una rivoluzione nel gioco. La squadra ha saputo integrare un calcio moderno, tecnico e spettacolare, che ha non solo cambiato l'andamento delle partite, ma ha anche influenzato i sistemi di gioco in tutto il mondo. Il controllo assoluto della palla e il dominio del campo sono diventati simboli di un calcio che riflette la razionalità e l’efficienza, pilastri del modernismo.
L’estetica e il design delle maglie
Non solo la performance sul campo è cambiata, ma anche l'estetica del gioco è stata influenzata dal modernismo. Le maglie dei club, in particolare quelle del Manchester City, sono diventate vere e proprie dichiarazioni di stile. Il design delle maglie è passato dal semplice utilizzo del colore e dello stemma a un'arte in continua evoluzione, che gioca con linee pulite, materiali innovativi e design minimalisti.
Il Manchester City, che ha una forte connessione con il modernismo urbano, ha introdotto maglie che riflettono l’ estetica contemporanea. Maglie dai colori brillanti, ma con uno stile sobrio e raffinato, che si adattano alla moda e alla cultura urbana globale. Non sono più solo indumenti da gioco, ma veri e propri oggetti di culto, spesso indossati al di fuori del campo come parte di un look quotidiano, dimostrando come il design modernista ha permeato ogni aspetto del calcio.
L'influenza sulla gestione e sull'organizzazione del club
Il modernismo ha anche avuto un impatto sulle modalità di gestione e organizzazione dei club calcistici. La filosofia di gestione del Manchester City, incentrata sull'efficienza, sull'innovazione e sul miglioramento continuo, riflette chiaramente il pensiero modernista. L'adozione di sistemi di gestione integrata, l'utilizzo di tecnologie avanzate per la pianificazione e l'organizzazione delle risorse, e l’attenzione al benessere complessivo dei giocatori sono tutte pratiche che mirano ad ottimizzare ogni singolo elemento per il successo a lungo termine.
Il Manchester City ha adottato un approccio scientifico e modernista anche alla gestione delle risorse umane, implementando strutture di supporto psicologico per i giocatori, e utilizzando data analysis per ogni decisione strategica, dai trasferimenti agli acquisti, fino alla selezione dei giocatori in campo. Questo approccio ha permesso al club di massimizzare i risultati, in linea con le tendenze del modernismo che promuovono l’efficienza, l’organizzazione e l’innovazione.
5. L'Architettura e il Calcio: Stadi e Infrastrutture
Il modernismo non ha solo influenzato il gioco del calcio e le sue pratiche, ma anche l'infrastruttura che lo sostiene. Gli stadi, le strutture di allenamento e le città che ospitano i club sono diventati spazi in cui la funzionalità e il design si incontrano, rispecchiando le idee moderne di efficienza, estetica e sostenibilità. In questo contesto, il Manchester City ha rappresentato una delle esperimentazioni più significative nella progettazione di stadi e infrastrutture che non solo ospitano le partite, ma diventano anche simboli di innovazione e modernità.
La transizione dal Maine Road all'Etihad Stadium
Il viaggio del Manchester City nel campo delle infrastrutture moderne è strettamente legato alla sua evoluzione come club. Nel corso degli anni, il Manchester City ha vissuto una transizione radicale, passando dal tradizionale Maine Road, il vecchio stadio che ha ospitato il club per oltre 80 anni, al moderno Etihad Stadium, che è diventato un'icona di innovazione e tecnologia nel calcio.
Il Maine Road, pur essendo amato dai tifosi, rappresentava un esempio di stadio che si adattava poco alle esigenze della nuova era calcistica. Negli anni '90, quando il club iniziò a soffrire sia sul campo che economicamente, le carenze strutturali dello stadio divennero sempre più evidenti. La decisione di trasferirsi nell'Etihad Stadium nel 2003, in collaborazione con la città di Manchester, fu simbolica di una nuova era per il club, che mirava a diventare una potenza globale, non solo sul campo ma anche a livello infrastrutturale.
L'Etihad Stadium, inaugurato nel 2003, è un esempio di modernismo che unisce funzionalità ed estetica. Lo stadio ha una capacità di circa 53.000 spettatori e presenta caratteristiche all'avanguardia, tra cui sistemi di illuminazione e sonorizzazione all'avanguardia, aree hospitality di lusso e impianti ecocompatibili. L'uso di materiali moderni, come acciaio e vetro, e l’integrazione con il paesaggio circostante lo rendono un punto di riferimento non solo per il calcio, ma per la città stessa.
L’architettura come simbolo di identità e appartenenza
Un aspetto fondamentale del design moderno di stadi come l'Etihad è il modo in cui l’architettura diventa un simbolo di identità e appartenenza. Lo stadio non è solo un luogo dove si gioca a calcio, ma un’area che riflette l’evoluzione della città e del club, rendendo l’esperienza del tifoso più coinvolgente e significativa.
L’architettura moderna ha permesso al Manchester City di creare un impianto che non solo risponde alle esigenze pratiche di un club di alto livello, ma che integra anche valori simbolici. La forma e la struttura dello stadio sono progettate per evocare dinamismo, movimento e fluidità, concetti chiave nel modernismo. La disposizione del pubblico, la visibilità del campo da ogni angolo e la connessione tra tifosi e squadra sono aspetti centrali nell’ideazione dello stadio, che mira a offrire un'esperienza il più coinvolgente e immersiva possibile.
Inoltre, la posizione strategica dell’Etihad Stadium nella East Manchester, una zona che ha visto una rinascita urbana significativa negli ultimi decenni, ha reso lo stadio un motore di sviluppo per tutta la zona. Con l’investimento in strutture di supporto come il City Football Academy e i vari impianti per il calcio giovanile, il Manchester City ha contribuito al rinnovamento e alla crescita della città, rendendo il calcio una forza trainante non solo sul piano sportivo ma anche economico e sociale.
L’importanza delle infrastrutture di allenamento
Se l'Etihad Stadium è il cuore visibile dell’impegno del Manchester City nella modernizzazione delle sue strutture, la City Football Academy rappresenta il cervello che supporta il club dal punto di vista dell’allenamento e dello sviluppo dei giovani talenti. Inaugurata nel 2014, la City Football Academy è una delle strutture di allenamento più avanzate al mondo, progettata per formare non solo i calciatori professionisti, ma anche le nuove generazioni che aspirano a entrare nel mondo del calcio.
La struttura, che si estende su 80.000 metri quadrati, include diversi campi da gioco, un centro medico, una palestra all'avanguardia, oltre a una serie di impianti per l’analisi delle performance fisiche e tecniche. La City Football Academy è un esempio di come le infrastrutture moderne possono essere utilizzate per sviluppare l’aspetto umano, fisico e tecnico di un calciatore, rendendo il club all’avanguardia anche nel campo della formazione.
L’innovazione sostenibile nelle infrastrutture
Un altro aspetto fondamentale della modernità e dell'influenza del modernismo nel calcio è l’adozione di pratiche sostenibili. Con l’aumento della consapevolezza ecologica e la necessità di ridurre l’impatto ambientale delle grandi infrastrutture, il Manchester City ha investito in iniziative di sostenibilità per le sue strutture. L'Etihad Stadium, ad esempio, è stato progettato per ottimizzare l'uso dell'energia, migliorando l'efficienza energetica e implementando soluzioni a basso impatto ambientale. Inoltre, le pratiche di raccolta differenziata dei rifiuti e l'adozione di tecnologie verdi sono diventate parte integrante della gestione dello stadio e delle sue attività.
L’attenzione alla sostenibilità si estende anche al City Football Academy, che è dotata di impianti di irrigazione ad alta efficienza e sistemi di riscaldamento che riducono al minimo l’impatto ambientale. Questo impegno riflette un approccio modernista che non solo mira all'efficienza, ma cerca anche di garantire che il calcio contribuisca positivamente alla comunità e all'ambiente.
Stadi come luoghi di connessione sociale
In un mondo sempre più globale, gli stadi moderni hanno anche un ruolo cruciale come luoghi di connessione sociale. L’architettura degli stadi del Manchester City è pensata non solo per accogliere i tifosi, ma anche per creare spazi di interazione e inclusività. L’Etihad Stadium, con le sue ampie aree di accesso, le zone VIP, i ristoranti e le strutture per i bambini, ha trasformato l’esperienza della partita in un evento sociale che va oltre il calcio stesso. La partecipazione ai match, quindi, diventa una parte integrante della vita quotidiana, con lo stadio che funge da centro di aggregazione per diverse tipologie di persone.
La moderna architettura calcistica del Manchester City, quindi, non solo risponde alle esigenze funzionali e tecniche, ma abbraccia anche i valori di comunità, sostenibilità e inclusività che sono alla base della visione modernista.
6. Cultura Calcistica e Identità Sociale
L'influenza del modernismo sulla cultura calcistica di Manchester non si limita solo agli aspetti estetici e funzionali degli stadi e delle infrastrutture. Piuttosto, essa si estende a un piano più profondo, influenzando la cultura sociale e l'identità che il calcio incarna in una città intrinsecamente legata alla sua storia industriale e alle sue trasformazioni. In questo contesto, la relazione tra il calcio e la cultura sociale è fondamentale per comprendere come il modernismo, attraverso il Manchester City, abbia contribuito a ridefinire l'identità della città, specialmente in un'era di globalizzazione e di rinnovamento urbano.
Il Manchester City come simbolo di rinascita
La storia del Manchester City è strettamente intrecciata con quella della città stessa, che ha attraversato cambiamenti profondi dal punto di vista economico, sociale e culturale. Negli anni '80 e '90, Manchester ha vissuto una serie di difficoltà economiche, legate principalmente al declino dell'industria manifatturiera, che ha portato a una crisi sociale e a un senso di perdita d'identità. In questo contesto, il Manchester City è stato, a volte, simbolo di speranza per la città, ma anche di frustrazione per la sua lunga lotta per il successo.
Tuttavia, il passaggio dal vecchio stadio di Maine Road all'Etihad Stadium nel 2003 ha rappresentato un nuovo capitolo nella storia del club e, per estensione, della città. Il moderno stadio, situato in una zona in fase di rigenerazione urbana nell'East Manchester, è diventato simbolo di una rinascita culturale e sociale. Con il nuovo impianto, il Manchester City non solo ha riacquistato prestigio sul campo, ma ha anche contribuito al risorgere di un'identità cittadina, legata a un'immagine di innovazione e cambiamento.
Il modernismo, con la sua enfasi sull'innovazione e il progresso, ha permesso al club di diventare un motore di trasformazione sociale. Oggi, l'Etihad Stadium è un luogo che attira tifosi e visitatori da tutto il mondo, fungendo da punto di incontro per diverse culture, e da simbolo di una città che ha saputo reinventarsi attraverso il calcio e le sue infrastrutture.
Il ruolo del Manchester City nella costruzione di una cultura globale
Il calcio è diventato, nel corso degli ultimi decenni, uno strumento potente di connessione culturale. Il Manchester City, con la sua crescente popolarità e il suo brand globale, ha utilizzato il calcio per costruire una narrazione che va oltre i confini della città. La sua espansione internazionale è stata alimentata da un perfetto mix di innovazione calcistica, design moderno e marketing intelligente. La presenza di giocatori di fama mondiale, come Sergio Agüero, Kevin De Bruyne e Yaya Touré, ha ulteriormente amplificato l'immagine globale del club, attirando tifosi da ogni angolo del mondo.
Il modernismo, con il suo impulso a superare i limiti e a spingersi verso il futuro, ha permesso al Manchester City di trasformare la sua storia locale in un fenomeno globale. Il calcio, infatti, diventa in questo caso una lingua universale, che abbatte le barriere geografiche e linguistiche, e che contribuisce a dare forma a un'identità sociale globale legata alla passione per il gioco.
L'influenza della squadra sulla cultura cittadina si estende anche attraverso iniziative come i programmi di responsabilità sociale, che mirano a migliorare la qualità della vita nelle zone circostanti al club e a rafforzare i legami tra la comunità e il club. Questi progetti sono radicati nella filosofia modernista di innovazione e miglioramento collettivo, e si riflettono nel costante impegno del Manchester City verso il benessere sociale e il miglioramento delle condizioni di vita per le persone più vulnerabili.
La rivalità cittadina e l’identità sociale
La rivalità tra il Manchester City e il Manchester United è un altro elemento chiave nell'esplorazione della cultura e dell'identità sociale legate al calcio moderno. Sebbene l'United abbia goduto di maggiore successo internazionale, il City ha continuato a costruire una sua identità distintiva, spesso espressa in contrapposizione al suo vicino storico.
Questa rivalità ha radici profonde, alimentate da fattori economici, storici e sociali. Tuttavia, la rivalità stessa è diventata parte dell'identità sociale della città, riflettendo le sfide di una città che si è sempre trovata a bilanciare l'orgoglio del suo passato industriale con le aspirazioni di modernizzazione. Oggi, sia i tifosi del Manchester City che quelli del Manchester United si identificano con le rispettive squadre come espressioni delle loro identità locali e della loro visione del futuro della città.
In un certo senso, il Manchester City ha trasformato la sua posizione da outsider a protagonista, passando da un club relegato ai margini del calcio inglese a uno dei principali attori della Premier League. Questo passaggio è emblematico della rinascita culturale e sociale di Manchester, che, seppur divisa dalla storica rivalità calcistica, ha trovato una nuova coesione nel suo amore per il calcio e nel riconoscimento del potere di trasformazione che questo sport ha portato alla città.
Il Manchester City e l'inclusività
Un altro aspetto che sottolinea l'influenza della cultura socialmente inclusiva è la crescente attenzione del Manchester City alle politiche di diversità e inclusione. Il club si è impegnato in iniziative per promuovere la partecipazione di persone provenienti da tutti i ceti sociali e da tutte le origini etniche. Questo impegno è evidente nella sua accoglienza multiculturale e nell'offerta di opportunità per tutti, indipendentemente dalla loro origine.
Il calcio, sotto l'influenza del modernismo e dei suoi ideali di inclusività, è diventato un veicolo di coesione sociale. Per il Manchester City, ciò significa non solo vincere titoli, ma anche essere un simbolo di come il calcio possa unire le persone, indipendentemente dalle loro differenze. Le iniziative del club, come la promozione del calcio femminile e l’accesso per le persone con disabilità, rappresentano un impegno concreto verso una visione inclusiva e moderna della cultura calcistica.
Conclusioni
Il Manchester City ha rappresentato, e continua a rappresentare, un esempio emblematico di come il calcio possa essere utilizzato per costruire e rafforzare l'identità sociale di una città, pur restando in continua evoluzione. L'influenza del modernismo sul club non si limita agli aspetti estetici o strutturali, ma si riflette in un approccio globale che abbraccia l’innovazione, l’inclusività e la responsabilità sociale. Il calcio moderno a Manchester non è solo uno sport; è un motore di cambiamento culturale, una forza di coesione sociale e un simbolo della capacità della città di reinventarsi continuamente.
7. Il Futuro del Calcio a Manchester
Il calcio di Manchester è da sempre una forza di coesione culturale e sociale, non solo per la città stessa, ma anche per l’intera nazione. La tradizione calcistica della città è intrinsecamente legata alla sua storia industriale, ma ha subito una trasformazione radicale negli ultimi decenni, grazie all’ascesa del Manchester City. Questo capitolo esplorerà come il calcio di Manchester, rappresentato oggi dai due grandi club, il Manchester City e il Manchester United, sia diventato simbolo di tradizione, innovazione e diversità, e come questa evoluzione abbia influenzato la cultura cittadina e nazionale.
La rivalità tra Manchester United e Manchester City
La rivalità tra il Manchester United e il Manchester City è una delle più celebri nel mondo del calcio. Sebbene entrambi i club siano espressioni della passione calcistica di Manchester, le loro storie sono molto diverse, e questa differenza ha alimentato una competizione che si estende ben oltre il campo da gioco. L’United, con la sua lunga e vittoriosa tradizione, ha dominato la scena calcistica inglese per molti decenni, diventando il club simbolo della città a livello mondiale. D’altra parte, il City, per lungo tempo relegato in posizioni meno prestigiose, ha vissuto un periodo di difficoltà, ma ha sempre mantenuto una base di tifosi fedeli che l’hanno sostenuto, nonostante i successi scarsi.
Negli ultimi vent’anni, però, il Manchester City ha vissuto una rivoluzione, passando da una squadra di medio livello a una delle formazioni più dominanti della Premier League. Questo cambiamento radicale è stato facilitato dall’acquisto del club da parte di Abu Dhabi United Group nel 2008, che ha portato ingenti investimenti, permettendo al City di attrarre giocatori di livello mondiale e di rinnovare radicalmente la sua infrastruttura. L’ascesa del Manchester City non solo ha dato nuova linfa alla rivalità cittadina, ma ha anche permesso alla città di riprendersi, economicamente e culturalmente, grazie all’influenza che il club ha avuto sulla rigenerazione di East Manchester, un’area precedentemente degradata.
Il Manchester City come simbolo di cambiamento sociale
Il calcio di Manchester non è solo una questione di sport, ma un mezzo potente attraverso il quale la città esprime il suo spirito di cambiamento sociale. Il Manchester City, in particolare, ha utilizzato il suo successo per promuovere iniziative di responsabilità sociale che vanno ben oltre il campo da gioco. Attraverso progetti che vanno dalla sostenibilità ambientale all’inclusione sociale, il club ha cercato di essere una forza positiva per la città.
Uno degli esempi più significativi di questo impegno è il Manchester City Football Academy, un centro che non solo si occupa di formare giovani calciatori, ma offre anche opportunità educative e sociali per i giovani provenienti da famiglie svantaggiate. In questo modo, il calcio diventa un canale per combattere la disuguaglianza e offrire un futuro migliore a coloro che vivono in aree socialmente e economicamente svantaggiate.
Anche il club ha cercato di influenzare positivamente il tessuto sociale della città attraverso l’organizzazione di eventi comunitari, come partite benefiche, iniziative per il supporto alle persone con disabilità, e progetti di educazione calcistica per ragazze e donne. Queste azioni sono parte di un progetto più ampio che cerca di legare il calcio alla crescita e alla prosperità della città stessa, sottolineando l’importanza del calcio come strumento di cambiamento sociale.
Il calcio e l’identità culturale di Manchester
Il calcio ha sempre giocato un ruolo fondamentale nell’identità culturale di Manchester. Storicamente, il calcio rappresentava l’espressione di una classe operaia che cercava in questo sport una forma di svago e di unione sociale. La passione per il gioco ha sempre attraversato le classi sociali e le etnie della città, contribuendo alla creazione di un’identità calcistica che non si limita solo ai tifosi dei due club, ma è parte integrante della vita quotidiana di chiunque viva a Manchester.
La cultura calcistica della città ha anche giocato un ruolo cruciale nel superare le divisioni sociali. Sebbene il calcio sia stato a lungo visto come un elemento che separava i tifosi in fazioni contrapposte, esso ha anche servito da terreno di incontro per persone di diverse origini, culturen e tradizioni. L’evoluzione del Manchester City da una squadra di successo a un gigante globale ha, di fatto, amplificato il senso di orgoglio cittadino e ha contribuito a consolidare l'immagine di Manchester come città cosmopolita e progressista.
Il calcio come motore economico e culturale
La trasformazione del Manchester City ha avuto un impatto diretto sull'economia locale, contribuendo alla creazione di nuovi posti di lavoro, alla rigenerazione urbana e al rafforzamento del turismo. L’Etihad Stadium, sede del club, è diventato un’icona non solo per gli appassionati di calcio, ma anche per i visitatori internazionali, attratti dalla storia e dalla modernità del club. La tourism economy di Manchester ha beneficiato enormemente del successo del Manchester City, che ha portato milioni di tifosi a visitare la città, assistere alle partite e partecipare agli eventi organizzati dal club.
Inoltre, la crescita del City ha portato alla creazione di un vero e proprio business calcistico globale, con il club che ha esteso la sua influenza oltre i confini nazionali, utilizzando il suo brand per attrarre sponsorizzazioni da multinazionali e aumentando la propria visibilità internazionale. Questo ha posto il calcio di Manchester al centro di una nuova economia sportiva, che abbraccia non solo il calcio stesso, ma anche l'industria dell'intrattenimento e delle tecnologie digitali.
Conclusioni
Il calcio di Manchester, e in particolare l’ascesa del Manchester City, ha avuto un impatto significativo sulla città, non solo in termini sportivi, ma anche sociali, culturali ed economici. Il City, con la sua storia recente di successo, ha riscritto la narrativa calcistica della città, passando da outsider a protagonista globale. La rivalità tra il Manchester City e il Manchester United, pur restando uno degli aspetti più affascinanti del calcio cittadino, è diventata anche un simbolo di una città in continuo cambiamento, che non smette mai di reinventarsi. Oggi, il calcio a Manchester non è solo un gioco, ma un catalizzatore di cambiamento sociale, innovazione culturale e identità cittadina.
8. Conclusioni
L’influenza del Manchester City sulla cultura calcistica di Manchester va ben oltre il semplice successo sportivo. La trasformazione del club, da una squadra tradizionalmente in difficoltà a una delle potenze globali, è un riflesso del cambiamento culturale, sociale ed economico che la città ha attraversato negli ultimi decenni. La rinascita del Manchester City ha ridisegnato l’identità calcistica della città, mettendo in luce non solo la passione dei tifosi, ma anche la capacità del club di influenzare in maniera positiva il tessuto sociale ed economico di Manchester.
Il modernismo che ha permeato l’architettura della città, l'urbanistica e l'approccio alla rigenerazione urbana ha trovato una perfetta espressione nei nuovi stadi e nelle infrastrutture che hanno visto il City come protagonista. La trasformazione di East Manchester, il rinnovamento del Etihad Stadium e la creazione della Manchester City Football Academy sono esempi tangibili dell'impatto che il calcio può avere su un intero sistema urbano e sociale.
La cultura calcistica di Manchester, influenzata dalle radici storiche industriali, si è adattata ai cambiamenti imposti dalla globalizzazione, dall'inclusività e dall’innovazione tecnologica, con il Manchester City che ha fatto da catalizzatore in questo processo. La rivalità tra il City e il Manchester United è diventata simbolo di una città che, pur nella sua competizione, si unisce attorno alla passione per il calcio, con il gioco che funge da elemento di coesione sociale tra le diverse generazioni e culture.
Il calcio a Manchester, e in particolare l’ascesa del Manchester City, ha ridefinito ciò che significa essere una città calcistica moderna, utilizzando il successo sportivo per alimentare iniziative sociali, culturali ed economiche. Con la sua presenza internazionale, il Manchester City ha reso Manchester non solo un centro calcistico di eccellenza, ma anche un esempio di come lo sport possa essere un potente strumento di cambiamento sociale e innovazione urbana.
L’Architettura del Successo: Come il Manchester City Ha Trasformato la Sua Casa e la Cultura Calcistica
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alephsblog · 7 months ago
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Per sgomberare il terreno da malintesi, vorrei innanzitutto ricordare che le donne, fino agli anni ‘70 e per talune cose addirittura fino agli anni ‘90, non avevano gli stessi diritti legali degli uomini e che gran parte delle donne della mia generazione, in famiglia, non erano trattate allo stesso modo dei fratelli, né per noi esistevano le stesse aspettative e libertà. Qualunque donna italiana che oggi abbia più di 50 anni è nata in una posizione subordinata. Lo imponeva la cultura e lo diceva la legge.
Chi scrive aveva un padre che era una gran brava persona ed aveva un gran cuore. Eppure, nel corso della mia infanzia era un patriarca a tutti gli effetti: era lui a sedere a capotavola, a battere il pugno sul tavolo e ricordarci a tutti che il capo famiglia era lui e che in casa comandava lui. Amava nostra madre ma spesso la trattava come una serva; voleva bene a noi figlie femmine, ma il futuro a cui guardava era soprattutto quello di nostro fratello. Frasi come “quando ti sposerai, a queste cose ci penserà tuo marito” erano all’ordine del giorno perché per quanto ci spronasse a studiare, il “futuro” era sempre e solo percepito attraverso quello di un marito, non il nostro.
Era un despota da colpevolizzare? No. Non si possono giudicare comportamenti passati estrapolandoli dal contesto. Nostro padre agiva in un contesto culturale e sociale, sulla base dell’educazione ricevuta (famiglia patriarcale del Meridione e scuole fasciste) e cercava di rispondere alle aspettative della società e del ruolo che essa gli imponeva.
‪La cultura patriarcale è esistita come struttura sociale, una struttura che poneva gli uomini ai vertici. Questo non significa che tutti gli uomini erano “colpevoli”. Al suo interno molti uomini erano essi stessi vittime di quella struttura e del ruolo che dovevano ricoprire, volenti o nolenti.‬
Negli anni ’80, quando ero adolescente, le leggi erano state modificate, la cultura stava cambiando e, al passo con i tempi, la trasformazione di nostro padre fu radicale. Posso dire di avere avuto due padri: il patriarca della mia infanzia e il femminista della mia adolescenza. E certo, non è che si fosse sbarazzato del suo retaggio dall’oggi al domani, ma ci provava, a volte lo faceva goffamente ma ci provava.
Come ci si era arrivati? Grazie alle battaglie femministe e sociali che avevano imposto una virata culturale; che avevano fatto anche cambiare le leggi. Nel giro di uno o due decenni, la mia generazione (di uomini e donne), nata in pieno patriarcato, si ritrovò ad agire in un nuovo scenario.
E ora torniamo al punto di partenza. Fanatismo è quello che crea una lotta tra i sessi e colpevolizza facendo di un’erba un fascio; è quello che non cerca di analizzare i fenomeni, ma si ferma alla superficie; è quello che giudica senza comprendere; è quello che offre la scappatoia ad altri nel negare le basi di una problematica. Quello, appunto, è fanatismo, ed è sempre e solo stata la frangia più radicale.
Ridurre delle lotte reali alle frange più radicali è al tempo stesso una forma di fanatismo. Un po’ come chi riduce la sinistra al comunismo (anche quella socialdemocratica) e la destra al fascismo (anche quella liberista). Non è che se in un movimento ci sono alcune frange radicali che colpevolizzano, tutto il movimento è nato per colpevolizzare. Cerchiamo di essere un po’ più razionali e più profondi di così e soprattutto proviamo a non cercare di sfruttare il fanatismo per liquidare una questione ancora molto reale.
Condannare il femminismo come un movimento illiberale e sessista è una scappatoia, anche se alcuni gruppi femministi sono così. È un modo per liquidare una questione con il classico: “oggi il patriarcato non esiste più, c’è la parità dei sessi e abbiamo anche un PdC donna, cosa vogliono le donne di più?” La pietra tombale sulle problematiche.
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doscimaya · 8 months ago
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Il significato più profondo del Rinascimento risiede nel cambiamento della visione del mondo e dei valori; è una radicale trasformazione culturale che sfida le credenze e le tradizioni medievali dominanti.
Il Rinascimento abbraccia l'interesse per il potenziale umano, l'individualismo e la ricerca della conoscenza; celebra le conquiste umane in vari campi come l'arte, la scienza, la filosofia, la letteratura, il cinema.
Il Rinascimento promuove la curiosità, lo spirito critico, l'esperienza per progredire in varie discipline; incoraggia a mettere in discussione l'ipse dixit, le convenzioni, per una comprensione reale del mondo attraverso la ragione - secondo prove, evidenze.
Il Rinascimento è la rinascita dei principi classici: la riscoperta di testi e visioni greco-romane; di quell'umanesimo che spinge sul valore, la dignità dell'individuo: sulla creatività, la ragione e l'etica che accompagna ogni azione.
Il Rinascimento è espressione intellettuale e artistica che promuove valori umanistici; un percorso di sviluppo della scienza, della filosofia e della cultura - per la modernità.
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e-o-t-w · 1 year ago
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Eyes on the world #168
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Dopo una settimana di pausa, ripartiamo dove avevamo lasciato. Con 15° in meno.
Ovviamente si ricomincia dalla guerra in corso tra Israele e Hamas, giunta – probabilmente – a una svolta. Seguono corposi aggiornamenti dall’Italia e dagli USA.
Visto che intro breve? Cominciamo 👇
🇮🇱 ISRAELE-HAMAS: OSPEDALI PRESI DI MIRA, ATTACCO AL CAMPO DI JABALIA, LE PAROLE DI HEZBOLLAH
(1) Due intere settimane di guerra in #Israele da recuperare. Proviamo ad andare spediti. Eravamo rimasti all’inizio delle ostilità via terra iniziate dall’esercito israeliano alla fine di ottobre, con le comunicazioni via internet e telefoniche ridotte al minimo che hanno reso molto complicato capire da subito cosa stesse succedendo. Gli scontri più cruenti si sono concentrati principalmente nel nord di #Gaza, mentre civili e soccorritori erano impegnati a cercare feriti e corpi sotto le macerie. Nel frattempo sono continuati a transitare all’interno della #Striscia aiuti umanitari con acqua, cibo e medicine (ma niente carburante). Uno degli episodi più eclatanti ha riguardato l’assalto ai danni di un aereo proveniente da Tel Aviv nell’aeroporto internazionale di #Machačkala, la capitale dello stato russo del Daghestan: secondo le ricostruzioni, una folla di persone di religione musulmana ha fatto irruzione nell’aeroporto e ha circondato il suddetto velivolo (anche se i passeggeri erano stati fatti sbarcare in precedenza) con l’intenzione di chiedere ai passeggeri di condannare la guerra in corso. 150 rivoltosi sono stati poi identificati e 60 di questi arrestati, rei di aver portato avanti una campagna d’odio da settimane e “premeditato” l’attacco. Tornando a Gaza, una delle situazioni più delicate l’ha vissuta l’ospedale #alQuds, al quale Israele ha chiesto l’evacuazione – con scarsi risultati, per ovvi motivi – per via della sua trasformazione in “zona militare” (pur essendo rifugiati al suo interno un elevato numero di civili). L’esercito israeliano, all’inizio della scorsa settimana, ha proseguito l’avanzata all’interno di Gaza, bombardando più volte anche il campo profughi di #Jabalia (il più grande presente a Gaza, situato a nord e abitato da oltre 116 mila persone); secondo Al Jazeera ne sarebbero state uccise almeno 50. Israele ha giustificato l’attacco – tramite il portavoce dell’esercito Daniel Hagari – affermando di aver ucciso un importante comandante di #Hamas, diversi membri del gruppo e danneggiato tunnel sotterranei, depositi di armi e postazioni per lanciare razzi. Lo scorso mercoledì inoltre una nave missilistica ha fatto la sua comparsa nel Mar Rosso, mentre le comunicazioni telefoniche e internet sono state nuovamente interrotte. Tuttavia, per la prima volta dall’inizio del conflitto, oltre 1.000 persone sono state evacuate attraverso il varco di Rafah per raggiungere l’#Egitto (poco meno di 100 erano state autorizzate per via delle ferite riportate). Nella giornata di giovedì 2, l’esercito israeliano ha comunicato ufficialmente di aver circondato la città di Gaza, alla quale si stava avvicinando da giorni. Intanto ha detto per la prima volta la sua sul tema anche il leader del gruppo radicale libanese #Hezbollah, Hassan Nasrallah, alleato di Hamas e dell’Iran contro Israele. In un discorso molto concitato, ha accusato gli #StatiUniti di essere i principali artefici di ciò che sta accadendo e di dover essere puniti per questo, intanto che al confine tra i due stati (Libano e Israele appunto) gli scontri non si sono mai placati. Venerdì a essere nuovamente bombardate sono state le zone limitrofe agli ospedali al Shifa e al Quds, mentre il premier israeliano #Netanyahu ha ribadito come l’unico cessate il fuoco potenzialmente accolto sarebbe da barattare solo con la liberazione degli oltre 200 ostaggi di Hamas. A far discutere sono state invece le parole del ministro israeliano per il Patrimonio culturale, Amichay Eliyahu, che in un’intervista radiofonica ha definito “una possibilità” sganciare una bomba atomica sulla Striscia di Gaza, trovando l’immediata smentita del premier.
🇮🇱  ISRAELE-HAMAS: CHIUSO IL VARCO DI RAFAH, CONFLITTO IN PAUSA 4 ORE AL GIORNO PER FACILITARE GLI AIUTI
(2) In tutto ciò, domenica l’#OMS ha reso noto che Israele ha compiuto oltre 100 attacchi diretti a strutture sanitarie nella Striscia di Gaza, in totale violazione dell’articolo 18 della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra. Nella stessa giornata, Hamas ha accusato Israele di aver bombardato il campo profughi di Maghazi, nella zona centrale della Striscia (ci sarebbero almeno 51 morti). Lo scorso weekend ha fatto ritorno in Medioriente anche il Segretario di Stato americano Antony #Blinken, passando da Israele, Giordania, Cisgiordania e Iraq per chiedere delle “pause umanitarie” (mai un cessate il fuoco totale) ed evitare che il conflitto si allarghi a nuove nazioni. Delle “pause” sono effettivamente state concesse da Israele, che ha aperto per poche ore un passaggio per evacuare la popolazione dal nord della Striscia verso sud, prima di entrare ufficialmente – secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant – nella città di Gaza. Hamas ha accusato l’esercito di aver bombardato abitazioni civili, mentre dall’altra parte non sono arrivati commenti di nessun tipo su alcuna operazione (presumibilmente per non dare alcun indizio ad Hamas sulle prossime mosse). Mercoledì i ministri degli Esteri del #G7 si sono riuniti a Tokyo e hanno diffuso un comunicato chiedendo a gran voce “pause” del conflitto e l’apertura di corridoi umanitari per aiutare i civili intrappolati a Gaza. In serata invece è stato chiuso il varco di #Rafah per non meglio precisati “motivi di sicurezza”. Qui è giunto anche l'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che ha accusato sia Israele che Hamas di aver compiuto crimini di guerra. Giovedì l’esercito israeliano – via social – ha fatto sapere di essere disposto a garantire pause tattiche localizzate al fine di far arrivare aiuti umanitari ai civili di Gaza, mentre la situazione nei pressi degli ospedali è sempre più complicata, oltre che pericolosa (diverse esplosioni sono state segnalate nella zona dell’ospedale al Shifa di Gaza, mentre l’al Rantisi è presidiato dall’esercito israeliano). Il portavoce del consiglio di Sicurezza nazionale statunitense John Kirby ha poi fatto sapere che Israele avrebbe accordato a istituire una pausa quotidiana di 4 ore dagli attacchi nel nord della Striscia di Gaza (in zone sempre diverse) per consentire l’evacuazione dei civili presenti nell’area.
🇮🇹 MALTEMPO, “PREMIERATO” E IMMIGRAZIONE I TEMI CENTRALI DELLA SETTIMANA ITALIANA. I DETTAGLI
(3) Passiamo all’#Italia, dove questa settimana si è parlato di diversi provvedimenti prossimi all’approvazione (o quasi) e di importanti accordi sul tema #immigrazione. Ma non possiamo non cominciare dall’ondata di #maltempo che ha investito il nostro paese da nord a sud nell’ultima decina di giorni. I disagi più grandi hanno riguardato prevalentemente il centro-nord, Toscana in primis, al punto da costringere il governo a dichiarare lo stato d’emergenza per numerose province. C’è stato un primo stanziamento da 5 milioni di euro per intervenire in modo urgente sulle necessità maggiori, a partire dal ripristino della funzionalità dei servizi pubblici. Almeno 8 persone hanno perso la vita a causa dei nubifragi e del forte vento. Il Consiglio dei ministri, a cavallo tra questa e la scorsa settimana, ha approvato anche un disegno di legge di riforma costituzionale, che avrebbe come obiettivo principale quello di introdurre il cosiddetto “#premierato”. Il provvedimento in questione, che – come dice il nome stesso – consisterebbe in una modifica della #Costituzione, è costituito da 5 articoli, ognuno dei quali con un argomento ben specifico. Si parla dell’eliminazione della nomina dei senatori a vita (eccetto per gli ex presidenti della Repubblica) e della facoltà del presidente della Repubblica di sciogliere una sola delle due camere (azione che nessun capo di stato ha mai messo in atto), fino appunto alla possibilità di eleggere il presidente del Consiglio attraverso le classiche #elezioni politiche, che di norma servono esclusivamente a rinnovare il #Parlamento (mentre è il presidente della Repubblica che indica poi la figura del premier, in base alla maggioranza che può ottenere). Una delle modifiche più importanti della riforma entrerebbe in atto in caso di caduta del governo o dimissioni del premier: in questo caso infatti, il capo di stato dovrebbe conferire l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un suo collega di partito o coalizione, ma tale procedimento potrà avvenire solo una volta per legislatura. La norma comunque dovrà seguire un iter molto lungo per essere approvata ed è probabile che subisca parecchie modifiche.
La notizia più importante della settimana ha però riguardato il nuovo accordo siglato con l’#Albania a tema immigrazione. Lunedì la premier Giorgia #Meloni e l’omologo albanese Edi Rama hanno firmato un protocollo d’intesa per gestire parte dell’immigrazione in modo sinergico. In sostanza, in Albania verranno realizzate due strutture che accoglieranno #migranti in arrivo in Italia, che l’Italia stessa gestirà a proprie spese e sotto la sua giurisdizione. Saranno 3.000 al massimo le persone che i due centri potranno accogliere tutte insieme e, in base a quanto dichiarato dalla premier Meloni, tra queste non potranno esserci minori, donne incinte e persone definite vulnerabili (non vi è tuttavia traccia di quest’ultimo punto nella versione finale del documento ufficiale, né appare chiara la modalità con cui questa distinzione possa avvenire nella pratica). Una delle due strutture funzionerà come un classico Centro di permanenza per i rimpatri (CPR), anche se – in base alle leggi italiane ed europee – i migranti possono essere trattenuti in strutture governative solo in casi eccezionali, mentre sembra che in questo caso trattenerli possa essere la prassi per le persone non idonee al diritto di asilo. La premier ha anche parlato di procedure accelerate per esaminare le richieste di asilo (28 giorni al massimo), pur essendo i tempi medi attuali ben più lunghi. L’Albania – che tra le altre cose non è nemmeno uno stato dell’Unione Europea – dal canto suo collaborerà con le forze di polizia e la sorveglianza esclusivamente all’esterno delle strutture (dalle quali i migranti non potranno uscire), oltre a fornire gratuitamente gli spazi dove verranno costruiti i centri. Tra i tanti problemi evidenziati da esperti e analisti, risalta quello che obbliga – secondo il diritto internazionale sul tema – la conclusione nel più breve tempo possibile del soccorso in mare, diretto verso il porto sicuro più vicino (sicuramente non in Albania, partendo dal #Mediterraneo centrale). Il protocollo ha una durata di 5 anni e sarà rinnovato automaticamente a meno che – 6 mesi prima della scadenza – una delle parti non comunichi il dissenso. I centri, in base a quanto dichiarato, dovrebbero entrare in funzione entro la primavera del 2024, ma i dubbi sul loro funzionamento sono molteplici.
🇺🇸 USA, ELECTION DAY: DEM TRIONFANTI IN DIVERSI STATI. OK IL DIRITTO ALL’ABORTO IN OHIO. INTANTO TRUMP…
(4) Andiamo infine negli #USA, dove nell’ultima settimana c’è stata qualche novità degna di nota. Partiamo innanzitutto dicendo che manca meno di un anno alle elezioni per eleggere il nuovo presidente americano (si vota il 5 novembre 2024) e, a questo proposito, il New York Times ha pubblicato un sondaggio che ha fatto suonare ben più di un allarme all’attuale capo di stato Joe #Biden. Il Partito Democratico da lui rappresentato (e che, al 99,9%, lo vedrà come candidato principale nel 2024) sta raccogliendo meno consensi del previsto, soprattutto nei cosiddetti “stati in bilico”, ovvero quelli interessati dal sondaggio e che – di norma – decidono le elezioni. In 5 di questi 6 Biden è indietro di diversi punti rispetto al primo indiziato a rappresentare il Partito Repubblicano, l’ex presidente Donald #Trump. Il vantaggio accumulato va dai 4 ai 10 punti percentuali in Arizona, Georgia, Michigan, Nevada e Pennsylvania, mentre solo in Wisconsin Biden è in leggero vantaggio. Allo scorso giro, nel 2020, l’attuale presidente trionfò in tutti e 6 gli stati. A preoccupare gli elettori è – molto probabilmente – l’età avanzata di Biden e l’attuale gestione dell’economia americana. Il calo dei consensi per i Democratici è stato rintracciato soprattutto nello zoccolo duro degli elettori DEM, ovvero i giovani e le persone non bianche. Trump al momento ha invece ben altre gatte da pelare, come i processi a suo carico. Lunedì ha testimoniato a New York nell’ambito di una causa civile per truffa per la quale è imputato insieme ai 3 figli e ad alcuni dirigenti della sua Trump Organization, mettendo in piedi un vero e proprio spettacolo. L’ex presidente ha parlato a più riprese di persecuzione politica e accanimento giudiziario, ha accusato il giudice di essere prevenuto e ha risposto in modo evasivo alle domande a lui poste. Nel frattempo sono andate in scena delle importanti votazioni su temi particolarmente caldi per l’opinione pubblica. In Ohio, con l’ausilio di un referendum, è stato inserito nella costituzione dello stato un emendamento che sottolinea l’impossibilità dello stato a interferire sulle “decisioni riproduttive” delle persone, garantendo quindi il diritto all’#aborto (una decisione simile è stata già presa in altri 6 stati, tra cui il Kansas, tradizionalmente Repubblicano) e non solo. Contemporaneamente, con un altro referendum, è stata legalizzata la marijuana a scopo ricreativo. Non è tutto. A capo del Kentucky è stato confermato il governatore Democratico Andy Beshear, mentre in Mississippi resterà nelle mani del Repubblicano Tate Reeves. Il partito Democratico ha infine ottenuto un’altra importante vittoria in Virginia, dove si è votato per rinnovare il Congresso dello stato e il partito ha ottenuto la maggioranza in entrambe le camere, nonostante a governare lo stato sia il Repubblicano Glenn Youngkin. Il partito ha ottenuto lo stesso risultato anche nelle elezioni legislative in New Jersey.
Alla prossima 👋
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orizoncontrols · 2 years ago
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GUARDA LE NOVITÀ DI CRESTRON AL MODERN WORK SUMMIT 2023
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È in atto anche un cambiamento culturale radicale: la trasformazione digitale ha fatto riflettere sul mondo in cui si sta evolvendo il posto di lavoro e su come le persone si adattano meglio a questa trasformazione digitale. Crestron da sempre si è impegnata nel trovare soluzioni che soddisfino le esigenze nel settore professionale in risposta alle trasformazioni digitali.Il recente lavoro di Crestron con Microsoft per creare una versione di Crestron AirMedia® Connect Adapter che si integri con il software Microsoft Teams® Rooms è un eccellente esempio di questo tipo di partnership. Microsoft ha capito che c'era una crescente domanda di opzioni BYOD ("Bring Your Own Device") che funzionassero con il loro software nel moderno ambiente di lavoro ibrido e Crestron li ha aiutati a sviluppare uno strumento proprio a tale scopo.
Pianificazione dalla scrivania: The Desk Touch e Desk Q
Se i dipendenti non hanno bisogno di una scrivania dedicata cinque giorni alla settimana, perché non condividerla tra più dipendenti?Crestron sta affrontando queste esigenze lanciando una soluzione di pianificazione della scrivania che sarà disponibile in due forme: Desk Touch e Desk Q. Il Desk Touch, con uno schermo da 3,5" integrato nel dispositivo, è progettato per spazi esecutivi di fascia alta, mentre Desk Q è un dispositivo economico (sfruttando i codici QR) costruito per essere distribuito su larga scala. La cosa più importante, tuttavia, è che entrambi i prodotti forniscono alle organizzazioni e ai loro dipendenti i dati di cui hanno bisogno per trovare rapidamente uno spazio di lavoro e far sapere all'IT quali spazi vengono utilizzati e quando.Ciò è reso possibile dalla piattaforma di gestione delle operazioni della tecnologia Crestron XiO® Cloud, che si integra perfettamente con i dispositivi Desk Scheduling. Queste soluzioni riguardano l'ottimizzazione del flusso di lavoro e il ritorno in ufficio il più agevole possibile.
Crestron Flex Pods
Il sistema Crestron Flex Pods è una soluzione in due parti: c'è un hub che si collega tramite USB al software Microsoft Teams® Room, alla videoconferenza Zoom Rooms® o alla piattaforma AirMedia® e l'hub fornisce quindi audio bidirezionale in modalità wireless a Crestron Flex Pods. I Crestron Flex Pod sono dotati di altoparlanti e microfoni all'avanguardia che coprono efficacemente un raggio di due metri. Puoi guidare fino a quattro pod con un singolo hub, creando un modo flessibile e veloce per coprire uno spazio con connettività audio.
Crestron Videobar 70
Per le soluzioni di conference con sound/videobarr all in one, Crestron presenta la nuova Videobar 70 che è progettata per spazi più ampi ed è una soluzione che può essere implementata su larga scala con un'infrastruttura minima. Le quattro videocamere 4K di questo dispositivo Android™, dotate di video intelligente in grado di tracciare un singolo oratore, possono fornire un'immagine di una nitidezza impareggiabile a una distanza non inferiore a 9 metri. Uno schermo per la privacy automatizzato e un audio con altoparlanti eccellenti e non meno di 24 microfoni completano l'esperienza.Guarda il summit di crestron con la presentazione dei nuovi prodotti per lo smart working:https://vimeo.com/822795743 Se desidri avere informazioni sui prodotti Crestron per le conferenze, videoconferenze, meeting, condivisione degli spazi di lavoro e altro ancora, non esitare a Contattarci, Orizon è Elite Partner ufficiale di Creston.Orizon S.r.l. - Domotica San Donà di Piave - System Integrators per l'automazione dei sistemi intelligenti domotici, multimediali e professionali come il Building Management System, connessi all'IOT. Read the full article
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gregor-samsung · 6 years ago
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La vicenda delle foibe costituiva uno strumento cruciale nella strategia di riabilitazione e di normalizzazione del MSI - Destra nazionale, e poi di Alleanza Nazionale. L’area triestina e una parte del mondo degli esuli dalle terre annesse alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale avevano sempre rappresentato un bacino elettorale privilegiato del MSI. Ma, al di là di considerazioni di natura elettoralistica, la vicenda delle foibe permetteva al MSI di presentarsi senza lo stigma della collaborazione con il nemico germanico. Anzi, in questo caso il MSI poteva presentarsi come il difensore della causa degli italiani, anche di quelli antifascisti, vittime della furia omicida del nemico «slavo», dei «titini», con la complicità dei comunisti italiani e l’indifferenza dei democristiani. Questo tipo di discorso narrativo non perse forza col passare degli anni, ma al contrario ne acquistò. Diversi fattori concorrevano nel dare maggiore credibilità a questa trasformazione dell’immagine della destra radicale italiana. E troppo facile ridurli a uno dei tanti effetti della cosiddetta «fine della prima Repubblica» (che spiega tutto e nulla nel contempo). A scanso di equivoci, non è neppure il caso di spiegare tutto con un complotto politico-mediatico per la riabilitazione della destra italiana. Al contrario, il MSI non avrebbe mai potuto realizzare questa riscoperta e revisione del giudizio storico e pubblico sulle foibe senza il ruolo attivo delle altre forze politiche italiane, e in particolare di quello che era oramai diventato l’arcipelago delle sinistre italiane. Il PCI (e i suoi partiti successori, PDS, DS, e via dicendo) accolse con grande facilità la legittimazione reciproca e simultanea di quelli che erano stati i due estremi dell’arco politico. In questa decisione confluivano diversi ordini di motivi. Il primo era l’idea (rivelatasi poi ingenua) di una facile vittoria delle sinistre alla prima prova elettorale della cosiddetta “seconda Repubblica”, e cioè le elezioni politiche del 1994, che per l’appunto portarono all’elezione di un governo di centrodestra o di destra. Il secondo era il desiderio di lasciarsi definitivamente alle spalle le eredità del passato comunista. Quale migliore modo di farlo, se non quello di riconoscere, una volta per tutte, la propria «colpa», in una vicenda così sensibile come quella delle foibe, che aveva dato ombra a quella certificazione di patriottismo sempre ricercata dal PCI (come da quasi tutti i partiti comunisti al di fuori dell’area sovietica). Fin dal 1935, dall’epoca del 7º Congresso dell’Internazionale comunista e dell’avvio dell’epoca dei Fronti popolari, i partiti comunisti occidentali avevano quasi sempre cercato di cancellare il sospetto di «nichilismo nazionale». Questa tendenza era particolarmente marcata nel PCI, che cercò ogni occasione per rimarcare la propria lealtà allo Stato nazionale italiano (ad esempio, sottolineando che Palmiro Togliatti era stato interventista, fatto che in precedenza sarebbe stato considerato imbarazzante per un comunista). A fattori di questo genere si aggiungeva una nota più specifica, che riguardava la cultura politica di sinistra dell’area del versante italiano del Litorale: la progressiva, ma inarrestabile disgregazione di una cultura comunista triestina «internazionalista», che aveva rappresentato una delle forme (non l’unica, beninteso) di integrazione sociale tra italiani e sloveni a Trieste. Questa cultura aveva certamente subito incrinature nel corso degli anni compresi tra il 1943 e il 1955 (l’anno della riconciliazione tra comunisti jugoslavi e sovietici), ma era rimasta una cultura politica significativa nella regione. La fine del comunismo esteuropeo e poi della Federazione jugoslava accelerarono il processo di disgregazione di questa cultura internazionalista, con una profonda lacerazione del tessuto politico e culturale nel mondo della sinistra triestina. In tal modo, l’operazione di riorientamento del discorso storico e politico sulla questione delle foibe, che culminò nell’incontro tra Luciano Violante e Gianfranco Fini a Trieste, nel 1998, incontrò meno ostacoli di quelli che avrebbe trovato in precedenza. Il fatto che l’occasione fosse stata promossa da Giampaolo Valdevit, a lungo figura di spicco dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, era emblematico.
Guido Franzinetti, Le riscoperte delle «foibe»; saggio raccolto in:
Jože Pirjevec (con la collaborazione di Gorazd Bajc, Darko Dukovski, Guido Franzinetti, Nevenka Troha), Foibe. Una storia d’Italia, Giulio Einaudi editore, 2009.
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mmnt17 · 6 years ago
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Brenton Tarrant è uno di noi
da Modena antifascista
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L’autore del manifesto politico dietro la strage di Christchurch non è un folle,  è il figlio legittimo, integrato e coerente, del tempo in cui viviamo: il tempo della crisi.
Crisi – nel suo significato originario di trasformazione radicale – che non è solamente materiale, ovvero di decadenza di un intero ciclo di egemonia ed accumulazione capitalistica, ma anche politica e sociale, che sconquassa le categorie e i rapporti su cui si sono retti patti e conflitti, e che sconvolge aspetti culturali, antropologici, esistenziali – collettivi e individuali – che si erano dati lungo tutto un arco storico.  
Brenton Tarrant, come del resto qualsiasi jihadista cresciuto nelle metropoli d’Europa, parla la nostra lingua. Ha 28 anni, è cresciuto con internet e la sua cultura, dentro l’atomizzazione della forma di vita neoliberista, giusto in tempo per assistere alla decomposizione dell’ordine liberale. Depressione e disperazione, meme e cinica postironia nichilista, disintermediazione politico-culturale e catastrofe ecologica planetaria. Un senso della fine che, dentro un eterno presente senza storia e senza futuro, si compenetra con la fine del senso, sprigionando energia distruttiva. Che non trova niente a incanalarla verso fini progressivi. E per questo va a scorrere, inevitabilmente spinta dalla forza di gravità, sui solchi già tracciati nel terreno.
Come Anders Breivik e Luca Traini prima di lui, Brenton Tarrant infatti ha semplicemente cristallizzato in atto ciò che è quotidianamente diffuso a livello liquido e gassoso nelle nostre società, non solo occidentali. Ciò che respiriamo ogni giorno. Ciò che è stato sciolto nei pozzi da cui ci abbeveriamo. Il manifesto che ha mosso i fucili mitragliatori degli stragisti sulla folla inerme in preghiera si intitola, paradigmaticamente, “The Great Replacement”: La Grande Sostituzione. Parole, concetti diventati moneta comune in occidente, che ritornano. Ma che hanno un origine precisa. La sostituzione etnica, il genocidio – culturale e biologico – della razza bianca, la grande paranoia contemporanea dell’uomo occidentale: dal grezzo cospirazionsimo suprematista a fine teoria della Nouvelle Droite (dice niente il best seller di Renaud Camus “Le Grand Remplacement”?), dalla marginalità degli ambienti neonazisti a strumento di campagna elettorale del governo. In Italia, dalla copertina del Primato Nazionale alla tv in prima serata, fino al Ministero dell’Interno.
Brenton Tarrant, che si è filmato mentre uccideva cinquanta persone disarmate, si definisce un fascista. Lo è. Ma le sue parole sembrano appena uscite dal telegiornale della cena. Da un qualsiasi talk show televisivo in prima serata. Dall’intervista alla radio di qualche rappresentante delle istituzioni, magari “oltre la destra e la sinistra”. Dal tweet di qualche politico che si dichiara contro i poteri forti ma di buon senso, populista ma non razzista, Dalla Vostra Parte ma prima gli italiani bianchi. L’omogeneità etnica e l’organicità nazionale come valori in sé. L’immigrazione come un complotto contro gli autoctoni. L’uomo bianco sotto attacco, devirilizzato, sterilizzato, come vittima. La decadenza dell’occidente, l’invasione islamica, il razzismo differenzialista. L’etnonazionalismo mascherato da identitarismo, la guerra civile-razziale. Tutto ciò è perfettamente compatibile con la democrazia liberale. La tragedia non è soltanto l’orrenda strage, ma la legittimità sociale, il senso comune, l’integrazione culturale e la nobiltà politica che sono state conferite agli assiomi che l’hanno portata a compimento.
Il passaggio dalla metapolitica, ovvero dalla costruzione di egemonia culturale, alla lotta armata di lupi sempre meno solitari e sempre più organizzati, sul modello di Daesh, alla guerra civile. Dentro questo ampio spettro, la strage di Christchurch porta allo scoperto, attraverso la loro coerente estremizzazione e come un presagio, le matrici di processi di lungo periodo in atto già da tempo nelle nostre società, dentro cui specifiche forze stanno operando per determinarne una possibile direzione e un tendenziale sbocco. Dentro questo spettro si rimodula il potere sovrano, se esso è colui che decide sullo stato di eccezione.
Dentro a tutto ciò, a partire da tutto ciò, le categorie che abbiamo utilizzato fino ad ora paiono inermi, non più efficaci, limitate a comprenderne la portata. Le bussole antropologico-politiche di un intero arco di civilizzazione si stanno riorientando: vediamo il movimento, non riusciamo a coglierne appieno la direzione d’approdo.
Dentro a tutto ciò, di fronte a tutto ciò, il senso di quello che chiamiamo un antifascismo per il XXI secolo è tutto da ricercare, costruire, sviluppare, necessariamente, crediamo, travalicando i limiti dell’antifascismo stesso.
Questa la porta stretta entro cui, necessariamente, passare.
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Lina Mangiacapre artista femminista
https://www.unadonnalgiorno.it/lina-mangiacapre/
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“…Sono andata via e sono sempre più radicata, collegata, invisibile, presente oltre ogni limite di sole nero, in tutta la mia energia solare, con Partenope, con tutte voi, con il mare, il Vesuvio, la disperazione, la follia, l’amore.”
Lina Mangiacapre è stata una straordinaria protagonista del femminismo napoletano.
Ha lasciato una vasta produzione come pittrice, romanziera, poeta, regista di cinema e di teatro, indicando percorsi originali per la libertà delle donne.
Filosofa, giornalista, scrittrice, musicista, ha composto le musiche dei suoi spettacoli e di quasi tutti i suoi film. Ha scritto romanzi, poesie e collaborato per quotidiani e riviste, tra cui L’Unità, Paese Sera, Quotidiano donna, Effe, Femmes en Mouvement.
Concepiva l’arte e la creatività come forma di lotta politica.
I suoi grandi occhiali a farfalla e i suoi fantasiosi abiti androgini resteranno impressi nella memoria del movimento femminista partenopeo e non solo.
Nata a Napoli nel 1946, è stato durante gli anni universitari che ha incontrato la contestazione studentesca e la rivolta femminista. Dopo la laurea in filosofia ha iniziato a dipingere firmando le sue opere con lo pseudonimo Màlina.
Nel 1970 ha fondato il gruppo femminista Le Nemesiache che si cimentava in differenti forme espressive. Partendo dall’analisi del mito, esplorava la nascita del ‘concetto’, per capire la ragione dell’eliminazione di un sistema cosmico precedente al patriarcato.
Nel 1972 ha composto la sua prima opera teatrale femminista Cenerella, diventata successivamente il soggetto di un film con lo stesso titolo.
Con l’intento di affermare la creazione artistica femminile, ha fondato la cooperativa culturale Le tre Ghinee.
Nel 1987 ha creato il premio cinematografico Elvira Notari (la prima regista italiana della storia), assegnato, fino al 2001, da una giuria da lei presieduta alla Mostra di Venezia, all’opera maggiormente capace di mettere in rilievo l’immagine della donna protagonista nella storia. Dopo la sua morte, è diventato Premio Lina Mangiacapre.
Ha fondato e diretto Manifesta, rivista trimestrale di cinema, teoria, cultura.
Ha scritto vari libri, spesso diventati soggetti cinematografici, e partecipato all’iter costitutivo della Casa Internazionale delle donne a Roma. È stata tra le curatrici del premio di scrittura femminile Il Paese delle donne.
Sintesi della sua composita attività artistica è stata la Videomostrapersona Io/Il Mistero/Le S, a Castel dell’Ovo di Napoli nel 1986, performance in cui coesistevano le sue creazioni in musica, teatro, pittura, cinema, videoarte.
Al suo genio inarrestabile si deve anche l’ideazione della Rassegna del Cinema femminista di Sorrento ‘L’altro sguardo’, primo festival del genere in Europa.
Nel 1990, la Presidenza del Consiglio dei Ministri le ha assegnato il Premio per la Cultura.
Per la celebrazione dei 50 anni del voto alle donne, nel 1996, ha realizzato lo spot Da elettrici ad elette per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Numerose le sue partecipazioni a mostre collettive e personali, l’ultima è stata a Munster, in Germania, nel 1999.
Ha lasciato la terra il 23 maggio 2002 a Napoli lasciando incompiuti vari progetti, soprattutto film  a cui stava lavorando.
Poliedrica e complessa pensatrice, per tutta la sua esistenza ha rifiutato gli schemi, le strutture precostituite, le gabbie, i comportamenti catalogabili dentro una corrente di pensiero politico o filosofico.
Lina Mangiacapre ha messo a disposizione il suo genio per una trasformazione radicale delle soggettività di oggi e di domani, a partire dalle radici, dalla storia e dalla sua reinterpretazione.
Creatività e trasgressività erano il suo vissuto quotidiano: “il gruppo di cui facevo pare era soprattutto senso di libertà, orgoglio di rottura degli schemi, contestazione di qualunque limite rispetto all’arte. Tutto è politica, si diceva. Il nostro discorso era: tutto deve essere arte, la stessa politica deve diventare arte. Il concreto lo incontravi continuamente in una città come Napoli. Napoli è per un’artista pane quotidiano”.
Nel 2015 è uscito il documentario biografico Lina Mangiacapre – Artista del femminismo,  diretto da Nadia Pizzuti, che ne ricostruisce pensiero e opera attraverso materiali di repertorio.
Il primo aprile 2017 il Comune di Napoli le ha intitolato il belvedere di via Posillipo.
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doscimaya · 2 years ago
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I miei valori rinascimentali.
Il significato più profondo del Rinascimento risiede nel cambiamento della visione del mondo e dei valori; è una radicale trasformazione culturale che sfida le credenze e le tradizioni medievali dominanti.
Il Rinascimento abbraccia l'interesse per il potenziale umano, l'individualismo e la ricerca della conoscenza; celebra le conquiste umane in vari campi come l'arte, la scienza, la filosofia, la letteratura, il cinema.
Il Rinascimento promuove la curiosità, lo spirito critico, l'esperienza per progredire in varie discipline; incoraggia a mettere in discussione l'ipse dixit, le convenzioni, per una comprensione reale del mondo attraverso la ragione - secondo prove, evidenze.
Il Rinascimento è la rinascita dei principi classici: la riscoperta di testi e visioni greco-romane; di quell'umanesimo che spinge sul valore, la dignità dell'individuo: sulla creatività, la ragione e l'etica che accompagna ogni azione.
Il Rinascimento è espressione intellettuale e artistica che promuove valori umanistici; un percorso di sviluppo della scienza, della filosofia e della cultura - per la modernità.
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lapolani · 3 years ago
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Modernità e Postmodernità. Le sorelle decrepite | 2021 © Lapo Lani
La modernità è l’epoca in cui viene portato a termine il distacco con il pensiero della tradizione filosofica, il quale, durante questo periodo, viene definitivamente emarginato e rimosso. In termini più generali, la modernità [1] è la condizione antropologica, la cultura e l'esperienza estetica della società industriale fondata su quella particolare forma di produzione capitalistica capace di imporre la propria "razionalità strumentale" [2] a tutti i livelli della vita sociale.
Secondo la tradizione filosofica, per vivere in armonia con il Mondo - la Natura della terra, del mare e dei cieli [3] - bisognava essere virtuosi, e la virtù era imprescindibilmente legata alla dimensione metafisica: gli dèi, Dio, il Destino [4], la Provvidenza [5], la Verità [6]. Le virtù [7] stabilite dalle culture storiche originarie della civiltà dell'Occidente (giudaica, greca, romana, cristiana) possedevano un'essenza metafisica.
In antichità l'uomo aveva fede nel mito [8], unico strumento per sconfiggere la sofferenza, il dolore e la morte; ma quando questo rimedio non fu più sufficiente a placare la massima paura, l'uomo iniziò, prima, a confidare nella Verità incontrovertibile indicata dalla filosofia, poi, quando il concetto di epistème fu messo in crisi dal sapere controvertibile della scienza moderna, ad avere fiducia sulla propria potenza di trasformare il mondo. La modernità libera radicalmente e definitivamente il divenire da qualsiasi dimensione trascendentale, aprendo uno scenario in cui, non essendo più presenti le supremazie del passato - gli dèi, Dio, il Destino, la Provvidenza, la Verità -, capaci di anticipare e finalizzare ogni evento, l'uomo può diventare massimamente potente per dominare il mondo. Tuttavia, affinché possa esserci la massima libertà di azione, è necessario che il pensiero filosofico abiti un adeguato contesto: deve poter "credere" - e questa è la ragione per la quale i filosofi parlano di “fede” - che le cose del mondo siano liberamente trasformabili e dominabili. La cultura moderna rappresenta l'apice di questo assetto intellettuale, chiamato anche "nichilismo", ossia quella fede secondo la quale le cose nascono dal Nulla per poi ritornarvi. Tutto ciò che viene considerato determinante dalla cultura moderna riguarda il modo di "fare" per poter "modificare" le cose e gli eventi, mentre questi oscillano tra il Nulla da cui derivano, e il Nulla a cui sono promessi. L'uomo vuole essere "potente" quanto più possibile; quel tanto necessario a dominare quanto più radicalmente possibile il mondo delle cose temporaneamente sfuggito al Nulla. Questa è l'unica condizione per poter sconfiggere la sofferenza, il dolore e la morte. E così la modernità si è liberata di tutte quelle forze che avrebbero limitato la potenza di trasformazione, rendendo il mondo un luogo aperto e sterminato, senza ostacoli, in cui la storia è niente di più che un cimitero: «L'uomo si aggira come un turista nel giardino della storia, considerandolo un deposito di maschere teatrali che può liberamente indossare e abbandonare» [9]. Si apre così una prateria sconfinata che può essere cavalcata in groppa alla scienza e alla tecnica, gli strumenti più potenti che l’uomo abbia mai posseduto per modificare e dominare le cose e gli eventi. Con la smobilitazione radicale dell’intera dimensione metafisica, le vecchie virtù, ossia le qualità che l'uomo doveva possedere per bene interpretare il mondo e le potenze che lo presiedevano e governavano, vengono sostituite con altre [10], le quali, avendo perso la relazione con la dimensione eterna, immutabile e incontrovertibile, non possono che avere un’essenza provvisoria, mutabile e controvertibile. La conoscenza moderna, quindi, ha un carattere ipotetico, problematico, transitorio, perfettibile, revisionabile, falsificabile. (Dietro questo pensiero si potrebbero intravedere le scintillanti intuizioni del Romanticismo (movimento culturale nato alla fine del XVIII secolo e sviluppato nel XIX secolo) [11], scaturite dal contrasto intellettuale con l'Illuminismo (sviluppato nel XVIII secolo).) La scienza, dopo Galileo, è diventata una conoscenza ipotetica-deduttiva, per la quale dati certi postulati, per mezzo di certe regole di trasformazione, si deducono certe conseguenze; la scienza è quel sapere che riconosce il proprio carattere falsificabile, provvisorio, probabilistico, fondato su strumenti logici incoerenti o irrisolvibili [12]; quel sapere che cerca la validità, non la verità (epistème). «La scienza è fede?! Sì. Per avere potenza sul mondo, la scienza ha rinunciato da tempo a essere "verità", nel senso attribuito a questa parola dalla tradizione filosofica. La scienza è divenuta sapere ipotetico. Sa di non essere sapere assoluto ("verità", appunto) - e in questo senso non è fede ma dubbio -; tuttavia, per avere potenza nel mondo deve aver fede nella propria capacità di trasformarlo; ed è all'interno di questa fede che essa elabora, risolve e conferma i propri dubbi» [13]. Anche la tecnica [14], basata sulla scienza moderna, è uno strumento di potenza sul mondo. Ambedue - scienza e tecnica -, per essere potenti, hanno dovuto abbandonare la verità, e questo processo annuncia, come evidenzia una parte della filosofia moderna e contemporanea, il loro inevitabile futuro tramonto. Così la modernità si risolve in un'esperienza estetica discontinua e disgregante, abitatrice di un tempo fuggevole e provvisorio, di uno spazio fugace e illimitato, costretta a tracciare traiettorie fortuite e arbitrarie. L'esperienza nel mondo in cui viviamo possiede, oramai, solo una dimensione transitoria e casuale. Il sentimento di un destino preordinato, di un già compiuto, si realizza non più in un unico luminoso epilogo, così come volevano il destino o la provvidenza della tradizione filosofica, ma in ogni singolo momento, o in nodi relativi e trascurabili. Tuona nuovamente la voce di Friedrich Nietzsche: «Dammi un maschera, ti prego, un’altra maschera ancora» [15].
Il sistema di pensiero nichilistico che sta alla base della modernità - il cui unico scopo è il dominio dell'uomo sul mondo attraverso la massima libertà di trasformare le cose e gli eventi - comporta inevitabilmente una precisa forma politica, la Democrazia procedurale [16], e un preciso sistema economico, il Capitalismo [17] liberista [18]. A sua volta, il capitalismo implica la forma del consumismo come mezzo più potente per poter raggiungere il proprio scopo, ovvero il massimo incremento del profitto privato. È in questo clima che avviene la metamorfosi della modernità in postmodernità [19]. Le dimensioni planetarie dell'economia capitalistica liberista e dei mercati finanziari comporta l'invadenza dei mezzi di comunicazione di massa, l'ingombrante e aggressiva presenza dei messaggi pubblicitari, il continuo e invadente flusso delle informazioni commerciali sulle reti telematiche e sulle piattaforme informatiche. E così, come la modernità si era liberata della tradizione filosofica, troncando la relazione con la Natura madre e con le potenze metafisiche, adesso la postmodernità si libera dei grandi progetti dalla modernità, elaborati a partire dall'Illuminismo: il mito chimerico della "massima potenza" fa cadere anche gli ultimi impicci ideologici. La condizione antropologica e culturale della postmodernità è caratterizzata da una dimensione intellettuale ed estetica chiusa nella più algida artificialità, quella dimensione che non ha più alcuna relazione con la Natura intesa come Creato trascendentale, e modello eterno e immutabile di virtù. In questo scenario culturale - detto anche cultura di massa o pop - viene abolita ogni residua distinzione tra i prodotti "alti" e i prodotti di massa. In quest'ottica, scompare anche qualsiasi distanza tra la creazione naturale - misteriosa e incontrollabile forza ciclica distruttrice e creatrice - e la produzione artificiale [20].
Il passaggio che segna la metamorfosi della cultura moderna in postmoderna si può riassumere nella frase «tanto più l'uomo è alienato, tanto più è libero», in cui il concetto di alienazione [21] corrisponde a un processo imprescindibilmente legato a una logica razionale, basata su un'implicita immagine geometrica: dal soggetto si stacca una parte che, una volta divisa dal corpo originario, diventa più forte, fino a dominarlo. I pensatori moderni [22] considerarono l'alienazione, così come descritta, una grave minaccia alla libertà collettiva e individuale. Ma l’uomo postmoderno diventerà libero se egli stesso sarà nella sua interezza oggetto di alienazione, ovvero se sarà integralmente alienato (non possiederà parti con qualità migliori di altre, le quali, se scisse e proiettate in un’altra dimensione, prenderebbero il sopravvento; potremmo chiamare questa impostazione "feticismo del soggetto"). Così viene evitato il “feticismo delle merci” definito da Karl Marx, per il semplice motivo che adesso l’uomo si aliena totalmente, diventando feticcio, cioè feticista di se stesso; diventando una "cosa", caratterizzata da una specifica essenza: essere uscita dal Nulla e destinata a ritornarci. Gli individui, essendo integralmente alienati, diventano “reificati”, cioè cose tra le cose. Così agisce la postmodernità: l’uomo non è alienato dalla televisione o da un dispositivo mobile, semplicemente perché sta dalla loro stessa parte: non c’è più un soggetto che osserva e un oggetto-feticcio che viene osservato; ci sono due feticci, uno di fronte all'altro. Il dispositivo mobile non viene utilizzato per osservare qualcosa di esterno a sé che possiede virtù eterne e immutabili - come era la Natura per la tradizione filosofica -, ma è uno strumento che crea, produce virtù (estetiche); l'utente non è più un osservatore esterno al dispositivo-strumento, ma ne fa parte, ed egli è, al tempo stesso, produttore e prodotto. La natura non è più un modello che possiede qualità metafisiche e trascendentali, ma è una cosa liberamente trasformabile e dominabile - questa è la sua nuova virtù -, e la tecnica, guidata dalla scienza moderna, indica il modo più efficace per farlo. Se l'uomo è un feticcio, la contemporaneità non può che essere caratterizzata da una spinta all'individualismo esibizionista. L'esibizione sottintende la massima possibilità di trasformare se stessi in quanto cosa; significa relazionarsi con le cose stando all'interno dello stesso palcoscenico. (In questo clima filosofico e culturale, gli individui sono inclini a comportamenti sadici e masochistici, capaci di esaltare la libertà di "produrre" una trasformazione dell'individuo-oggetto-feticcio. La violenza imposta a se stessi o agli altri è una forma di dominio.)
Solo se l’alienazione è massima, la libertà è massima; e la massima libertà corrisponde alla massima potenza, quindi al massimo dominio: «Muovetevi anche stando fermi! Non cessate di muovervi! Fate rizoma e non radice, non piantate mai! Non seminate, iniettate! Non siate né uno né molteplici, siate delle molteplicità! Fate la linea e mai il punto! Siate rapidi anche stando sul posto!» [23].
Ma la cultura postmoderna va ancora oltre: la storia e il futuro, definitivamente sottratti a ogni finalismo, appaiono in maniera del tutto disincantata; uno scenario in cui personaggi senza racconto si muovono con traiettorie casuali e incontrollabili, calpestando un suolo metallico sgombero delle stigmate della modernità - i concetti di "valore", "senso" e "coscienza" -, ultimi barbagli della tradizione filosofica. Gli individui postmoderni restano alienati da tutto tranne che dalle particolari ossessioni che hanno sviluppato per rendere più sopportabile l'alienazione [24].
La natura non è più la grande Madre, il ciclo sacro che tutto distrugge e tutto crea. La realtà è l'immagine di una "cosa", e non può essere interpretata perché non possediamo più un modello originario - eterno, immutabile, vero - capace di decifrarla.
C'è abbondanza di quelle cose che aiutano a vivere, ma non trasformano la vita in destino; sempre sospese tra esaurimento e ricchezza, tra morte e felicità.
Lapo Lani Milano, dicembre 2021
Note:
[1] - L’inizio della Modernità può essere identificato con la seconda rivoluzione industriale e la nascita del positivismo, corrente di pensiero che interpreta i fenomeni della realtà con un atteggiamento scientifico e tecnico.
[2] - Il concetto di "razionalità strumentale" viene introdotto da Max Weber (1864-1920), e definito come l'impiego della logica razionale per esercitare un controllo sull’uomo, e per conoscere e dominare la natura; è una razionalità che, nata per potenziare l’apparato produttivo, diventa totalizzante, andando a modificare la struttura dell'intelletto collettivo, e a invadere gli apparati della società - le strutture familiari, gli ordinamenti giuridici, politici ed economici, la scienza e le attività creative e artistiche.
[3] - I primi filosofi greci, i presocratici, usano il termine Natura (in greco “φύσις”, “phýsis”) con il significato di principio generativo di tutte le cose, soggette a nascita, accrescimento, degenerazione e morte. La Natura ha un andamento ciclico senza fine, in cui tutte le cose e gli eventi appartengono a un ininterrotto andamento circolare di produzione e distruzione, composto di punti eterogenei. Questo movimento viene eseguito “secondo necessità” (come dicono Eraclito, Anassimandro e Parmenide). Il punto privilegiato del circolo si chiama arché (in greco “ἀρχή”, che significa “principio”, “origine”), il principio di tutte le cose che compongono la natura. L’arché è il modello rispetto al quale tutto si genera e tutto si annulla. Quindi il principio delle cose è la dimensione in cui esse esistono all’origine. Solo la specificità delle cose, la singolarità, non la loro essenza, proviene dal nulla e nel nulla ritorna. La conoscenza dell’arché consente di comprendere le cose indipendentemente dalla loro manifestazione reale.
[4] - Il Destino è quella forza immutabile, incontrastabile e imperscrutabile nei confronti della quale nulla possono gli dèi e Dio; è la forza che definisce il fine ultimo di tutti gli eventi.
[5] - La Provvidenza è il destino se governato dagli dèi o da Dio. Questo concetto, posteriore a quello di destino, è stato pensato dallo stoicismo, scuola filosofica fondata nel III-II secolo a.C.
[6] - I greci antichi chiamavano la verità "epistème", parola che deriva dal greco (ἐπιστήμη) ed è composta dalla preposizione epì- (“su”) e dal verbo histemi (“stare”); quindi “stare sopra”. L'epistème designa la conoscenza certa e incontrovertibile delle cause e degli effetti del divenire, ovvero quel sapere che intende porsi “al di sopra” di ogni possibilità di dubbio attorno alle ragioni degli accadimenti. Platone contrapponeva l'epistème a "dòxa" (opinione soggettiva).
[7] - Il termine virtù, di origine latina, ha derivazione greca, “areté”, termine con la stessa radice di “àriston” (il migliore) e “àristos” (l’ottimo). Le virtù nella cultura della Grecia antica erano "kalòs kai agathòs" ("bello" e il "buono"; la bellezza era concepita come una virtù eterna e immutabile, donata dagli dèi agli uomini; per Platone il bello era la causa dell'azione morale, quindi strettamente legata al buono. Plotino scrive nelle "Enneadi": «Al bene bisogna risalire, a quel bene cui ogni anima agogna […], e sa in che modo sia bello»), “kalokagathìa” (concetto derivato da "kalòs kai agathòs", identificava l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo, virtù dell'uomo ottimo), “eusébeia” (la devozione, la riverenza, il profondo rispetto verso il Destino, gli dèi, gli antenati e la famiglia), “areté” (forza d'animo, vigore morale e fisico; il concetto di areté esprimeva un modo perfetto, "giusto mezzo" di essere; possedere l'areté significava riuscire a esprimere il proprio talento; areté ha la stessa radice del termine latino "ars", ovvero capacità di costruire, di fabbricare, di creare), “epistème” (la conoscenza della verità incontrovertibile [4]). Le virtù nella cultura della Roma antica, molte delle quali furono ereditate dal pensiero greco, erano "fides" (fedeltà e lealtà del cittadino verso il suolo patrio di Roma e il suo assetto gerarchico e legislativo), "pietas" (il concetto corrisponde al concetto greco di eusébeia), "majestas" (dignità e appartenenza alla civiltà romana), "virtus" (lealtà nel dimostrare il proprio valore attraverso le proprie azioni), "gravitas" (dignità, serietà e autorevolezza). Le virtù nella cultura cristiana erano il rispetto e l'amore verso Dio, la "compassione" (la predisposizione a condividere la sofferenza e il dolore di un'altra persona, o di un gruppo di persone; la pietà cristiana è un concetto radicalmente diverso rispetto alla pietas romana e a eusébeia greca), la "misericordia" (il patto di carità; la predisposizione a condividere la miseria altrui), la "carità" (l'amore che, attraverso Dio, unisce gli uomini tra loro e con Dio), l'"umiltà" (consapevolezza della propria dipendenza nei confronti di Dio e del prossimo).
[8] - Alleanza tra l'uomo e le forze più potenti di lui: la Natura, gli dèi, Dio, il Destino, la Provvidenza.
[9] - Friedrich Nietzsche (1844-1900), "Considerazioni inattuali", raccolta di saggi scritti tra il 1873 e il 1876. (Rusconi Libri, 2020.)
[10] - Le nuove virtù sono le qualità che caratterizzano le forze in grado di trasformare il mondo. Quindi, non più bello, buono, santo, sacro, giusto, pietoso, compassionevole, misericordioso..., ma efficace, efficiente, produttivo, affidabile, durevole...
[11] - Il movimento culturale del Romanticismo considera il mondo delle cose (la realtà) - a fronte della cognizione di pluralità, di inesauribilità, del carattere imperfetto di tutte le risposte e ordinamenti umani; della cognizione che, nella vita come nell'arte, nessuna risposta che si pretenda vera e perfetta può, per motivi di principio, essere vera e perfetta - un mito, in quanto solo il mito riesce a esprimere l'inesprimibile. La virtù per la cultura Romantica non è l'accesso alle qualità metafisiche e trascendentali, ma la capacità di creare, produrre virtù. A differenza del pensiero illuminista, l'arte si crea senza modelli, e dal nulla. Si creano virtù come gli artisti creano le opere d'arte. Il nostro mondo non è quello che è, o quello che appare alla scienza, ma quello che noi creiamo, che produciamo. Il Romanticismo fu una svolta verso il sentimento e l'emotività, e accese un improvviso interesse per il primitivo, il mistero (tutto ciò che non è possibile penetrare con la logica razionale) e il remoto - remoto nel tempo e remoto nello spazio -; accese un’incontrollata passione nei confronti dell’infinito e dell’inafferrabile.
[12] - I due teoremi di incompletezza di Kurt Gödel (1906-1978), pubblicati nel 1931, dimostrano che ogni teoria formale basata su un sistema di assiomi, come per esempio  l’aritmetica, è incompleta (cioè contiene proposizioni indecidibili) o non coerente (cioè la coerenza non è dimostrabile nell’ambito di quel sistema di assiomi).
[13] - Emanuele Severino (1929-2020), "Le fedi e la lotta per il potere", Corriere della Sera, 24 maggio 2007.
[14] - La tecnica è una forma di organizzazione di mezzi per produrre un unico scopo, cioè l’incremento indefinito della produzione degli scopi. Gli scopi della tecnica non coincidono necessariamente con quelli dell’uomo, né, tantomeno, con il bene di questo.
[15] - Friedrich Nietzsche (1844-1900), “Al di là del Bene e del male”. (Adelphi, 1977.)
[16] - Hans Kelsen (1881-1973) definisce così la democrazia procedurale in "I fondamenti della democrazia": «Esercizio di un governo poggiante su decisioni prese a maggioranza da un'assemblea popolare o da uno o più gruppi di individui, designati attraverso un'elezione basata sul suffragio universale, libero e segreto». (Il Mulino, 1981.)
[17] - Sistema economico in cui il capitale - denaro, mezzi intellettuali e strumenti di produzione - è di proprietà privata, e il cui unico scopo è creare profitto privato.
[18] - Sistema economico basato sulla libertà di mercato, in cui lo stato si limita a garantire la libertà economica con un ordinamento giuridico, provvedendo esclusivamente ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa privata; questo sistema, a differenza del protezionismo, garantisce la libertà del commercio internazionale.
[19] - Metamorfosi della condizione antropologica e culturale avvenuta a partire dagli anni 1960 circa, conseguente alla crisi della modernità.
[20] - La produzione industriale matura, con il suo alto livello di artificialità, ha portato la cultura moderna ad accantonare il modo di vedere la Natura della tradizione filosofica, paradigma della dimensione metafisica, sopprimendo l'idea di "Legge naturale" e di "Diritto naturale". I prodotti industriali non hanno più alcuna relazione con la Natura intesa come creato degli dèi o di Dio. L'arte moderna e postmoderna hanno un solo scopo: distruggere e sbarazzarsi definitivamente dell'immagine tradizionale della Natura.  
[21] - Processo per cui ciò che originariamente appartiene all’uomo ed è opera sua gli diviene alieno ed estraneo, finendo, da ultimo, col dominarlo e asservirlo.
[22] - Secondo Ludwing Feuerbach (1804-1872), la religione è un processo di alienazione in quanto l'uomo viene sottomesso dalle proprie qualità, una volta sottratte alla propria caducità e trasferite nella dimensione eterna di Dio. Secondo Karl Marx un'altra forma di alienazione riguarda i prodotti industriali, i quali possiedono delle qualità che non traducono l'attività affettiva di chi li ha creati (operaio, proletario, salariato).       
[23] - Gilles Deleuze (1925-1995) e Félix Guattari (1930-1992), “Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia”. (Orthotes, 2017.)
[24] - Pensiero moderno avrebbe capovolto i termini: la loro integrale alienazione è una conseguenza delle loro ossessioni.
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Copertina: "Autoritratto”, disegno di Lapo Lani. Fotomontaggio ripreso con acrilici e successivamente elaborato con processi digitali. Anno: dicembre 2021. Collezione privata.
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erik595 · 4 years ago
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La scuola obbligatoria, la scolarità prolungata, la corsa ai diplomi, l'università di massa: differenti aspetti di quel medesimo falso progresso che consiste nella preparazione di studenti orientati al consumo di programmi scolastici e di merci culturali studiate per imporre il conformismo sociale, l'obbedienza alle sue istituzioni e ai suoi manager. Anche la strutturazione del profilo degli insegnanti, per promuovere una didattica basata sul modello della trasmissione delle conoscenze, ha lasciato l'uomo della società dell'informazione e dei consumi privo di strumenti e ancora più esposto al rischio di una mistificazione strumentale delle sue qualità migliori. A tutto ciò, Ivan Illich aveva opposto la sua visione, una quarantina di anni fa, con un testo che è una pietra miliare del pensiero occidentale alle prese con la grande trasformazione culturale e tecnologica in atto. E con un'idea di scuola ben precisa. Descolarizzare la società vuol dire, per il suo autore, sostituire un'educazione autentica ai rituali dell'educazione di massa per imparare finalmente a vivere attraverso la propria vita e nell'incontro con l'altro. Non si tratta solo di una rottura radicale e necessaria con un sistema di poteri e di saperi, ma di restituire all'uomo il gusto di inventare, creare e sperimentare la propria vita partecipando alla sfida della vivibilità del pianeta in questo tempo. . . . . . #ivanillich #illich #libro #libri #libros #libreria #consiglidilettura #librodaleggere #libroconsigliato #librodelgiorno #book #books #bookstagram #bookstagramitalia #filosofo #scrittore #filosofia #saggistica #pagine #scuola #educare #educazione #civiltà #società #societàmalata #descolarizzazione (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CQQPmb3FS41/?utm_medium=tumblr
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gandol · 4 years ago
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Il progetto di Biden richiede una trasformazione radicale anche della società, delle abitudini, ad esempio sostituire milioni di auto a benzina con veicoli elettrici. Alcuni repubblicani hanno bollato il piano come irrealizzabile.
«Non serve una rivoluzione sociale né culturale, ma una trasformazione logistica. Per quanto riguarda il Congresso, non si può ottenere nulla a meno di non aggirarlo, come d’altra parte è accaduto per il piano di aiuti Covid».
Non avevamo alcun dubbio che la sua posizione fosse questa, signor Foer. D’altra parte a che serve il Congresso quando c’è già il miglior Presidente che potremmo desiderare, in grando di piegare l’Universo Mondo ai propri voleri?
Vedrà che prima della fine del mandato le fa anche il decretino contro chi mangia carne.
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marino222 · 4 years ago
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Ecologia integrale La terza parola è ecologia integrale. L’aggettivo integrale sottolinea come il ripensamento radicale del nostro rapporto con la natura debba essere esteso a tutti gli ambiti della vita, a cominciare da quello sociale e relazionale. La crisi che stiamo vivendo non è solo una crisi sanitaria ed economica, è prima di tutto una crisi sociale e culturale. Non se ne esce senza una profonda trasformazione etica, un cambiamento del nostro rapporto col mondo, con gli altri, con noi stessi. Perciò questa deve essere non una transizione – cioè un semplice passaggio – ma una conversione ecologica. Conversione laica, alla portata di tutti: si tratta di rivolgere il cuore e la coscienza a un ambiente che stiamo ciecamente sfruttando e saccheggiando. Ciecamente perché ne siamo parte. Lo sfruttamento, il saccheggio e la devastazione sono non solo distruttivi ma autodistruttivi.
https://lavialibera.libera.it/it-schede-379-luigio_ciotti_sei_parole_per_il_2021
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kommunalka-blog · 4 years ago
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RUSSIA E IDENTITÀ NAZIONALE. VITTORIO STRADA. “(...) la componente russa (dell’Unione Sovietica), prevalente sul piano linguistico perché il russo non poteva non essere la lingua unificante dell’amministrazione dell’insieme multinazionale e multilinguistico sovietico, fornì il maggiore ingrediente di quell’amalgama ideopolitico che il regime bolscevico seppe elaborare, variandolo nel corso del suo sviluppo e imponendolo a tutta la sua sfera di dominio non solo interna, ma anche nella sua area di egemonia nel movimento comunista e dei suoi fiancheggiatori. A soffrire di questa situazione fu in particolare la cultura russa usata strumentalmente, ma depurata da ogni elemento ideologicamente indesiderabile per il regime, quello religioso, ad esempio, e contaminata dalla miscela marxista-leninista. (...) Per questo, dopo il crollo dell’URSS, mentre la altre sue parti nazionali, diventate autonome, hanno potuto trovare una loro identità (...) la Russia, liberata dall’impero, attraversa, invece, una forte crisi di identità nazionale e a fatica ripensa oggi il suo passato storico, segnato non soltanto dalla cesura delle riforme di Pietro il Grande, ma soprattutto dalla più grave frattura provocata dalla rivoluzione del 1917 e dal successivo regime totalitario. (...) Per l’autocrazia la Russia era oggetto di una colonizzazione primaria che permetteva la colonizzazione secondaria delle altre parti dell’impero e, a partire da Pietro il Grande, era oggetto di una modernizzazione che, con alterne vicende e varia intensità, durò tre secoli sino alla vigilia della fine dell’autocrazia, quando la Russia andava acquistando una sempre più netta e moderna coscienza nazionale di sé avviandosi a passare da nazione culturale a nazione politica. (...) Per la storia russa il punto di debolezza fu che la modernizzazione venne attuata solo parzialmente (nel campo produttivo e culturale) e con straordinario ritardo (nel campo politico-istituzionale), con una carenza di Tempo, mentre lo Spazio cresceva a dismisura, appesantendo enormemente l’organismo imperiale, che alla fine, in un momento di crisi generale, cedette di colpo. La traumatica galvanizzazione dell’impero operata dai bolscevichi con la loro pseudomodernizzazione comunista, assieme alla sua trasformazione radicale, prolungò di tre quarti di secolo la fine dell’impero nella sua nuova ipostasi marxista-leninista (...) (...) Va rilevata l’antitesi tra i due momenti di rottura della continuità nella storia russa, nel senso che il processo di modernizzazione iniziato dalle riforme petrine e continuato dai suoi eredi portò la Russia a diventare una potenza europea nel pieno senso del termine, sempre più vicina ai criteri politici occidentali, mentre il rivolgimento del 1917 spezzò questo processo, rovesciandolo anzi in una direzione opposta. (...) (...) la linea del messianismo illuministico-giacobino e poi marxista-rivoluzionario. Questa linea, non priva di una coloritura pseudoreligiosa, aveva sopraffatto la linea del riformismo liberale e del socialismo democratico, anch’essa non meno russa e non meno europea, ma travolta nel caos delle catastrofi in cui la Russia precipitò nel 1917, e poi cancellata del tutto da un potere totalitario in confronto al quale persino l’autocrazia zarista cominciò ad apparire meno odiosa poiché, almeno nel suo ultimo periodo, questa rispettava regole della civiltà cristiana europea e si dimostrava capace, sia pure con un fatale ritardo, di trasformazioni evolutive”. Vittorio Strada, Europe, 2014  
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iltrombadore · 4 years ago
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28 Marzo 1965: quando l’Unità stroncò il ‘piccolo borghese’ Alberto Asor Rosa...
Alberto Asor Rosa (1933) divenne famoso per il libro “Scrittori e popolo” (1965) in polemica con gli scrittori e i critici letterari, ispirati o seguaci delle idee di Gramsci, messi all’indice per avere peccato di ‘populismo’ invece di esercitare il metodo marxista di una mai ben chiarita ‘critica di parte operaia’. 
Da quel tempo lontano, con il sussulto del 1968, Asor Rosa ha fatto un carrierone nell’ università, e poi nel PCI, tanto da diventare un astro della cultura di sinistra nazionale; e oggi si vede premiato da un volume dei ‘Meridiani’ della Mondadori che presenta una “sfaccettata rappresentazione del suo ingegno versatile”, come assicurano i curatori del volume, Massimo Cacciari e Corrado Bologna. 
Sarà. Ma io di Asor Rosa ricordo solo che fu il cattivo maestro di un comunismo di sinistra radicale in radicale contrasto con la cultura storicista del PCI togliattiano assai vicino, con il Gramsci dei ‘Quaderni’, alla tradizione democratica nazionale.
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Da allora Asor Rosa ha riempito  tonnellate di carta scritta, ma non risulta che abbia mai fatto persuasiva ammenda autocritica degli spropositi contenuti nel suo giovanile pamphlet. 
Ci pensò invece all’epoca il non dimenticato Carlo Salinari –eroe della Resistenza, responsabile culturale del PCI negli anni 50, e valente universitario, storico della letteratura italiana- il quale sull’Unita stroncò senza mezzi termini “Scrittori e popolo” con argomenti che a me paiono ancora oggi validi, una volta ripuliti della polvere di un linguaggio attempato e da certo ideologismo marxista decisamente meno fuorviante, tuttavia, di quello propinato da Asor Rosa.
Oggi, per molti giovani impegnati nella politica e nella cultura, un tipo come Carlo Salinari risulta poco più di un Carneade. Asor Rosa sale invece alla vetta dei ‘Meridiani’. Restano i loro testi a fare confronto. Per le menti che abbiano voglia di scavare  oltre la superficie e ragionare di testa loro.
 Pubblico dall’archivio storico de l’Unità il testo di Salinari con il corredo del titolo di redazione:
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L’Unità 28 marzo 1965
A proposito del libro “Scrittori e popolo” di Alberto Asor Rosa
UN PICCOLO-BORGHESE SUL PIEDISTALLO
Gli sterili artifici di una pretesa critica ‘di parte operaia’ al pensiero di Gramsci e allo sviluppo dello spirito pubblico in Italia dopo la Resistenza.
Non è questo un libro (Alberto Asor Rosa-Scrittori e popolo. Saggio sulla letteratura populista in Italia-Samonà e Savelli, pp.580, l.4800) che debba essere trattato con diplomazia (se pure esistono libri verso cui sia giusto usare prudenti sorrisi): e del resto lo stesso Asor Rosa sarebbe molto più offeso da mezze critiche, mezzi riconoscimenti, mezze ammissioni o mezzi silenzi che dall’esposizione chiara o senza reticenze del nostro completo dissenso. Perché il libro a mio parere è sbagliato: sbagliato nella sua struttura generale anche se per avventura possono trovarsi qua e là giudizi esatti e talvolta anche acuti. Vediamo.
L’oggetto del libro non è tanto il ‘populismo’ in senso stretto, quanto il modo in cui nell’ultimo secolo si è venuto configurando in Italia il rapporto tra intellettuali e popolo e in particolare tra scrittori e popolo. La conclusione del libro è che tale modo non esce mai dall’ambito di schemi borghesi, anzi piccolo borghesi; che di conseguenza si possono mettere accanto “populisti di origine democratica, nazionalista, fascista, socialfascista, antifascista, resistenziale e gramsciana”; che, infine, a questo populismo “va attribuita la responsabilità di molta parte del moderatismo letterario italiano tra l’Otto e il Novecento”. L’articolazione del libro è data da tre capitoli dedicati rispettivamente al populismo italiano risorgimentale e postrisorgimentale fino alla prima guerra mondiale, a quello del ventennio fascista e a quello resistenziale e gramsciano. Il volume si chiude con due saggi su Cassola e Pasolini.
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Asor  Rosa nell’introduzione ci dice che il suo discorso è stato nelle varie parti “congegnato in modo da precipitare tutto verso le sue ultime conseguenze, cioè verso la letteratura dell’ antifascismo, della Resistenza e del gramscianesimo”, perché lontana dalle sue intenzioni era l’esigenza di una “ricostruzione storica pura”. Ci dice anche che tale discorso è “politico” e che l’obbiettivo ultimo della sua ricerca è la “critica di parte operaia” a un aspetto assai importante della letteratura italiana dell’ultimo secolo.  Forse questi avvertimenti non erano necessari perché dalla lettura appare molto evidente che il punto di partenza ideale del libro (indipendentemente dai tempi in cui sono stati scritti i vari capitoli) è proprio la parte dedicata al secondo dopoguerra e la critica alla politica di unità svolta dal movimento operaio.
Così i luoghi comuni della critica “da sinistra” della politica del movimento operaio che ci siamo sentiti ripetere da varie parti negli ultimi venti anni, sono tutti raccolti in queste pagine: la Resistenza è stata un fatto popolare, e non di classe; il movimento operaio ha realizzato una politica di unità nazionale e, quindi, ha rinunciato alle sue proprie aspirazioni; gli obbiettivi che la classe operaia si è dovuta porre per mantenere tale fronte largamente unitario sono quelli di  “una democrazia rappresentativa, nutrita di forti preoccupazioni sociali: libertà, giustizia, superamento delle strozzature tradizionali in campo economico e politico” e non, quindi, gli obbiettivi della trasformazione socialista del paese, si è snaturata la classe operaia attribuendole una funzione nazionale (e Asor Rosa sembra rimproverare persino il salvataggio delle fabbriche nel ’45) si è imposta al movimento operaio una strategia, quella della via italiana al socialismo, come necessariamente legata all’attuazione della Costituzione e delle riforme borghesi.
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Sul piano culturale questo ha comportato in primo luogo il richiamo a una tradizione e non, quindi, la rottura con la cultura borghese; in secondo luogo la caratterizzazione della cultura progressista “come protesta e denuncia dell’arretratezza socio-economica dell’Italia” come “forte indignazione morale, ribellione ideale” e non quindi come critica “di parte operaia” della società capitalistica; in terzo luogo l’attribuzione alla letteratura di un compito direttamente sociale (il cosiddetto impegno); in quarto luogo il collegamento dell’impegno sociale con l’impegno nazionale e, quindi, la incapacità di uscire dal solco della nostra letteratura ottocentesca e di collegarsi con le grandi esperienze della letteratura europea.
Personalmente ritengo che tutte le posizioni indicate da Asor Rosa come errori furono profondamente giuste e che la politica di unità e la ripresa delle bandiere della libertà e della democrazia furono l’unico modo per la classe operaia di fare “storia” (altrimenti sarebbe davvero rimasta nel frigorifero ad aspettare non so bene che cosa):ritengo che senza quella unità non ci sarebbe stata in Italia la Resistenza, che rimane una svolta decisiva della nostra storia anche se Asor Rosa sembra considerarla uno sbaglio, e ritengo che anche oggi quell’unità e quegli obbiettivi democratici siano essenziali per uno sviluppo del nostro paese verso il socialismo.
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Ma non è di questo che voglio discutere. Voglio discutere il fatto che partendo da simili premesse  Asor Rosa doveva necessariamente scrivere un libro sbagliato. Non solo perché sono sbagliate le premesse, ma soprattutto (ed è questa la cosa più grave almeno in sede di storiografia letteraria) perché tutta la storia è costruita in funzione della conferma di quelle premesse, e gli autori nella maggioranza dei casi, sono cavie, pretesti, oggetto di “esercitazioni” per avvalorare un’ipotesi che già in partenza si considera giusta. Si segue in questo libro un metodo che è il contrario del metodo scientifico: del metodo cioè che dall’esame il più possibile obbiettivo dei fatti ricava un’ipotesi di lavoro e lascia aperta tale ipotesi in modo che possa essere sminuita, sostituita e anche capovolta, finché non si arrivi a una verifica definitiva. Non c’è da stupirsi, di conseguenza, se nel primo frettoloso capitolo (che ci porta in cento pagine da Berchet alla prima guerra mondiale) sfuggono alcuni nodi decisivi come l’elaborazione del tema della questione meridionale e la corruzione del concetto di “nazione” operatasi negli ambienti crispini (per cui, sotto questo concetto, non è possibile, come fa antistoricamente Asor Rosa, raccogliere scrittori e posizioni radicalmente antitetiche).
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Non c’è da stupirsi se prendendo come metro di misura la critica “di parte operaia” (nell’accezione che abbiamo visto prima) la letteratura italiana si trasforma in un cimitero, da cui si salvano solo tre o quattro nomi e si rimprovera al populismo persino di aver impedito la formazione di una vera letteratura “grande borghese”. Non c’è da stupirsi se viene liquidato in poche pagine ( e sempre nella stessa chiave con cui si era liquidata l’esperienza postrisorgimentale) un nodo storico così complesso e così poco studiato (almeno dal punto di vista degli orientamenti dello spirito pubblico) quale la prima guerra mondiale; non c’è da stupirsi se quasi non ci si accorge del filone gobettiano che permane tenace durante tutto il ventennio e così via. Non voglio insistere perché si potrebbe continuare per molte pagine. Voglio però rilevare ancora alcune contraddizioni o affermazioni che mostrano l’inconsistenza di questa critica “di parte operaia” nel significato che vuol darle il nostro autore. Asor Rosa si dichiara persuaso che non c’è un rapporto necessario tra consapevolezza ideologica e riuscita artistica e poi imposta tutta la sua analisi sul fatto che l’ideologia populista portava anche a scelte stilistiche che mortificavano la nostra letteratura.
Asor Rosa ci dice che il marxismo “non implica una concezione del mondo che impone alla letteratura e alla poesia”, confonde quello che noi chiamiamo “asse ideologico” con la ideologia professata dall’autore o con la concezione del mondo, e dimentica che il marxismo, se non impone una concezione del mondo, non può non ispirare una letteratura “antagonista” a quella borghese. Asor Rosa, pur facendo una critica “di parte operaia”, mantiene intatta la scala dei valori fissata dalla critica borghese per quanto riguarda il nostro Novecento (quello del provincialismo e della sprovincializzazione) non accorgendosi che proprio il movimento neorealista ha portato nello stesso tempo all’approfondimento di aspetti importanti della società nazionale e all’assimilazione compiuta e critica delle scoperte stilistiche delle avanguardie europee (basta pensare al cinema o a Pavese e Vittorini).
Asor Rosa, che pretende di fare una critica “di parte operaia”, ci fa sapere che la questione metodologica è un falso problema ideologico e che per lui è indifferente  usare il metodo “stilistico o quello sociologico, quello storico o quello cosiddetto genetico-ideologico”: sposa in tal modo la tesi del revisionismo crociano di questo dopoguerra e, a conferma, della sostanziale anti-scientificità di tutto il suo discorso, ci confessa, “come nel gioco che è a questo livello la critica letteraria, l’uno valga l’altro: può essere divertente, anzi, utilizzarli tutti, l’uno dopo l’altro, così come viene”.
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Se mettete insieme tutti questi elementi e cercate di coglierne il tratto comune, vi accorgete che questa pretesa critica “di parte operaia” è una critica (essa si) tipicamente piccolo borghese. Piccolo borghese la volontà di isolare la classe operaia in una sua pretesa purezza, piccolo borghese il massimalismo degli obbiettivi , piccolo borghese il gusto della strage e della stroncatura. Piccolo borghese il rispetto dei canoni della critica borghese, piccolo borghese il trovar provinciale tutto ciò che è nazionale, piccolo borghese il rispetto indiscriminato dell’avanguardia, piccolo borghese il tono di disprezzo e di sufficienza e la volontà di fare scandalo con cui è costruito tutto il volume. C’è una pagina particolarmente rivelatrice: è quella sulla speranza. “Se il popolo è ricettacolo di valori umani perenni, la speranza è fra di questi esattamente il cardine, intorno a cui ruota tutto il sistema. Essa è la virtù principe del progressismo. Sostituisce nel popolo l’incapacità a giudicare razionalmente il mondo e l’impotenza ad agire in senso rivoluzionario. Sentimento naturalmente compromissorio e gradualista, e proiezione di un oggettivo immobilismo storico-sociale in una dimensione prettamente ideologica…L’invito a sperare è sempre invito a ignorare. Non spera chi conosce”. E’ la pennellata finale del ritratto del piccolo borghese. Asor Rosa sale su un piedistallo per sembrare più alto, vuol essere solo e senza alleati, ama la parola rivoluzione, disprezza coloro che agiscono nella storia perché soggetti e compromessi, gli piace scandalizzare e provocare, e mostra orgogliosamente al colto e all’inclita il suo cuore senza speranza.
Mi scusi Asor Rosa ma l’immagine non vuol essere offensiva (e del resto tutto il mio discorso non vuole essere tale). Vuole solo sottolineare l’assolutezza del nostro discorso. E richiamarlo alla coscienza della sterilità della sua posizione. Noi abbiamo commesso numerosi errori (ed una critica ben più profonda, a mio parere, dei limiti anche ideologici del neorealismo l’abbiamo fatta molto prima di Asor Rosa in un convengo dell’Istituto Gramsci). Ma pure qualche cosa abbiamo realizzato: la Resistenza, ad esempio, e il neorealismo che, con tutti i suoi difetti, rimane a tutt’oggi l’unica proposta di una cultura “antagonista” alla cultura borghese italiana. Egli con questo libro ci riporta indietro, sul piano ideologico e su quello scientifico. Indietro forse di cinquant’ anni. E quel che è peggio senza alcun risultato.
Carlo Salinari
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