#quarant’anni
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“ Valentina smettila con tutti questi malesseri che i quarant’anni arrivano in un attimo e te lo dico che se continui così sarai una zitella con venti gatti”
Buongiorno anche a te, mamma, quanta delicatezza alle 8.00 del mattino
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Jannik today beware followers of his tag. I’m about to act a fool
#tennis#jannik sinner#madrid open#ho aspettato per questo momento per quarant’anni (è stato come una settimana)
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"Da almeno quarant’anni, dal tempo di «corri a casa in tutta fretta c’è un Biscione che ti aspetta», l’egemonia culturale è saldamente in mano alla destra. Nel senso che l’individualismo, il familismo, la ritirata nel privato cominciata all’inizio degli anni 80 non sono mai finiti. Non a caso il fondatore delle tv private è diventato presidente del Consiglio, e anche da morto esercita una notevole influenza sulla vita pubblica italiana. Pure la storica casa editrice della sinistra italiana, l’Einaudi, è di Berlusconi. Dove vede, gentile signor Salini, l’egemonia culturale della sinistra? Nel fatto che si giri qualche film «de sinistra»? Ma i cinema sono vuoti, la gente è a casa davanti alla tv se ha più di cinquant’anni, o davanti al telefonino. Nel fatto che ci sia ancora qualche antifascista? Ma la scelta tra il nazifascismo e i suoi oppositori non è una scelta tra destra e sinistra, bensì tra barbarie e civiltà."
Aldo Cazzullo
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La prima volta con mio zio
Scorrettissimi, immorali, vergogna totale. Peccato mortale. Non avremmo dovuto proprio farlo; sei il marito della sorella più giovane di mamma. Però non me ne pento. Assolutamente. Sei bono da morire: un fusto, un atletico maschio di quarant’anni o poco più. L’età più attraente, per una donna. Un uomo dai molti interessi. E un sorriso che mi fa bagnare da sempre la passera. Hai sempre cercato di mantenere le giuste distanze e i rapporti tra zio e nipote entro i margini della correttezza.
Ma purtroppo è da quando ho cominciato a sviluppare che ti sbavo dietro. Sono figlia unica e mio padre se n’è andato di casa quando avevo dieci anni. Quindi tu sei sempre stato un riferimento, una vera guida e un aiuto sostanziale, per me. Ho tentato in tutte le maniere di farti cedere ma senza esito. Sino a oggi, giorno in cui sono finalmente riuscita nell’intento. Abitiamo in case attigue e io mi intrufolavo in casa vostra continuamente, spiando i vostri movimenti con pazienza. Ero certa di non destare troppi sospetti. Almeno credo. Cercavo di trovarti da solo, senza zia e i miei cugini tra le scatole.
Quidi poco fa l’attacco finale: ti sono saltata addosso letteralmente. Ero truccatissima, profumata e bona da morire. Quando m’hai vista entrare balbettavi e ho capito che stavi per crollare. Era quasi ora, caspita! M’avrebbe scopata pure un santo, o un monaco votato alla castità. Mi sentivo una vera puttana, una di quelle che scopa perché deve mangiare. Perciò senza più scrupoli t’ho slacciato i pantaloni e tu finalmente ti sei arreso.
Non ne potevi più neanche tu, lo capivo chiaramente e quasi scoppiavo di gioia! Zia, quella troia rifatta, non m’ha mai potuta sopportare, per il mio palese interesse nei tuoi confronti. Ma al richiamo sessuale non sfugge nessuno e il tuo desiderio massimo per me mi era evidente da qualche tempo. Lo capivo dal gonfiore nei tuoi calzoni, che aumentava improvvisamente ogni volta che ti avvicinavo. Oggi quindi, sebbene tu cercassi debolmente di respingermi, io sono stata più forte di te.
Eppure sei un uomo forte, robusto, in gioventù campione di kickboxing. Non ti sarebbe stato difficile avere ragione di una ventenne neanche troppo atletica come me. Era, la tua, una pura resistenza formale, di coscienza. E ora ti bacio, poi ti prenderò anche in fica. Poi d’improvviso ti ordinerò di uscire dalla mia passera e te la farò leccare a lungo. Tu obbedirai diligente alle mie mani che guideranno la tua testa! Non mi sembra ancora vero: forse sto sognando.
Farò di te quello che vorrò. Dio, quanto mi piaci! E quanto sei bono da nudo! Che odore e che gusto meraviglioso adesso nella mia bocca golosa ed esigente di giovanissima puttana! Sapore d’uomo sexy. Fra un po’ sborrerai dentro la mia gola, perché voglio proprio che tu lo faccia nella mia bocca, la prima volta. Desidero conoscere il sapore più intimo dell'uomo che mi piace e da cui mi faccio scopare.
Voglio inghiottirti per sancire la nostra unione segreta, per suggellare il fatto che ormai sei mio, in mio potere. Un maschio come te, carico di testosterone, da poter scopare quando voglio. E so già che mi cercherai spesso. Per le mie tette sode, per entrarmi in culo con forza e padronanza. Per sfondarmi la fichetta stretta. Mi spiace per zia e le grandi corna che dovrà portare con dignità. Ma la natura chiama e io voglio te. Non mi ferma nessuno. Sono perfida e troia, si.
Ti voglio e ti prendo. Nessuno scrupolo. Non mi frega nulla di tutto il resto. Ascolta la mia preghiera d’amore laica: da oggi, mio Signore, per favore ama me, prendi me, scopa me, sborra dentro di me. Scopa pure zia ogni tanto, se lei ti vorrà dentro. Succhia pure dalle sue tette cadenti pensando alle mie. Incula le sue chiappe flaccide, se vuoi. Ma nella tua mente pensa solo a me. Non farti più alcuna sega: ti scongiuro.
Chiamami ogni volta che hai un’esigenza, a qualsiasi ora e io correrò ovunque tu sarai. Mi spoglierò e come antipasto ti offrirò le mie piccole, saporite tette da succhiare e leccare, come segno della mia mia sottomissione totale. Poi mi inginocchierò davanti a te e ti darò il pieno controllo sul mio corpo.
Mi infilerai l’uccello in bocca. Io ti lascerò entrare in me come e per quanto tempo vorrai. Sarò golosa e non vedrò l’ora di bere dalla tua dolcissima fontana, zio mio adorato e gentile, sensibile e meraviglioso uomo finalmente mio. Quando ti va, legami e puniscimi pure. Se questo ti toglierà un po’ di sensi di colpa di dosso. Fammi pure soffrire, se lo ritieni giusto. Fammi male. Tanto. Fammi piangere: dal dolore e dalla gioia di averti in me.
Ah, l’ultima cosa: non farti troppi scrupoli per zia, che non è proprio il caso. Sono anni che lei ti tradisce con chiunque le capiti a tiro ed è proprio ora che tu lo sappia, finalmente. Io invece ti sarò fedelissima, vedrai. E se vuoi ti darò anche un figlio. Aaaah…. era ora che crollassero tutte le barriere, tra te e me… mi baci appassionatamente: sento la vera intimità tra noi due. Sta nascendo l’amore. Non è solo sesso.
Mi infili il cazzo tra le labbra. Lo faccio entrare man mano tutto. Ecco che ora piangendo di rabbia aumenti il ritmo e sborri per la nostra prima volta nella mia bocca, dai…. ecco… siiiii…. finalmente mio. Quanto prezioso e saporito seme mi regali…. dai continua: riempimi pure. Ti consolerò e ti darò tanta di quella fica che dimenticherai di avere una moglie bastarda.
RDA
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Persona in questione ha quasi quarant’anni e fa la nomad alle Canarie per azienda tedesca. Bestemmia consentita? Sì? No?
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Dipinto "Il gile' rosso" 1955
di Françoise Gilot
L’unica donna che lasciò Picasso
Era il 1943 e Françoise Gilot stava pranzando insieme a un’amica. Pablo Picasso la vide e rimase folgorato dalla sua bellezza. Le offrì un cestello pieno di ciliegie rosse. La giovane Françoise aveva quarant’anni meno di Picasso (lei ne aveva 21, lui 61), ma s’innamorò di lui e divenne la sua amante e musa. Rimase accanto al pittore per dieci anni, ne ebbe due figli, Claude e Paloma, ma alla fine decise di averne abbastanza del suo ego smisurato e lo lasciò. Fu l’unica delle donne di Picasso ad avere il coraggio di troncare la relazione. Nel 1953 Gilot se ne andò, ma prima il pittore le rivolse una minaccia: «Se pensi che la gente avrà interesse per te, ti sbagli di grosso: nessuno si curerà di te in quanto tale, saranno solo curiosi della persona che ha condiviso la mia vita». In realtà Picasso si sbagliava: Gilot è, tutt’ora, una pittrice nota negli ambiente artistici. E ha pure raccontato gli anni trascorsi insieme a Picasso in un libro, La mia vita con Picasso, libro di cui il pittore cercò in tutti i modi di bloccare l’uscita
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Nostos
C’era un melo nel cortile –
saranno forse
quarant’anni fa – dietro,
solo prati. Ciuffi
di croco nell’erba umida.
Stavo a quella finestra:
fine aprile. Fiori di primavera
nel cortile del vicino.
Quante volte, davvero, l’albero
è fiorito nel giorno del mio compleanno,
il giorno esatto, non
prima, non dopo? L’immutabile al posto
di ciò che si muove, di ciò che evolve.
L’immagine al posto
della terra inarrestabile. Che cosa
so di questo luogo,
il ruolo dell’albero per decenni
preso da un bonsai, voci
che vengono dai campi da tennis –
Terreni. L’odore dell’erba alta, tagliata di fresco.
Quello che uno si aspetta da un poeta lirico.
Guardiamo il mondo una volta, da piccoli.
Il resto è memoria.
- Louise Glück
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" Restammo ancora a guardarci, io ben convinto a non porre per primo nessunissima domanda. Finché: «Io sono la zia» si decise riducendo la voce. «Lui dice che sono soltanto una cugina, ma in effetti sarei come e più di una zia, perché chi ha accudita la sua povera mamma fino all’ultimo se non io? Per sua fortuna è mancata prima di dover soffrire il peggio. Poi tutto è stato così difficile, nessuno potrà mai averne idea. Fino al giorno della disgrazia lo conoscevo poco, lui. Sempre stato in giro per il mondo, collegi accademia caserme. Ma da allora ho dovuto occuparmene io, si vede che così comandava il destino in Cielo. E sono ormai nove anni, sa?» Finii il caffè, rimasi con il bicchiere in mano. Il vetro era ancora fresco. «Nove anni» riprese in cantilena, quella sua voce sempre più sottile, «oggi è niente, ma in principio: oh, non voglio neanche ricordarlo il principio. Un giovane come lui, perdere gli occhi e una mano. Così: solo perché Nostro Signore non vuole nessuno contento a questo mondo. Alle manovre, giocando con una bomba. Dico giocando perché cosa sono poi queste manovre al giorno d’oggi?
Dia a me quel bicchiere.» «Il mio comandante mi ha spiegato» dissi. Per darmi un tono fissavo le mattonelle del pavimento. Ogni quattro formavano un disegno azzurro, una specie di arzigogolato fiore su fondo bianco. Dalle tende trasparenti alla finestra la luce si posava su quei fiori a raggera rilevandone l’esilità. «Un uomo come lui» seguitava adagio via via raggrinzendo e distendendo le rughe del volto. «Anche abbastanza ricco, sì. Lui ricco, mica io. Lo straccio d’una pensione di vedova, io. Ma lui: ricco. Neanche quarant’anni. Sano come un leone. E solo al mondo.» Schiacciai accuratamente la cicca nel piattino che mi aveva offerto come posacenere. «Gli stia ben dietro in questi giorni, mi raccomando» disse ancora. «Non deve mai lasciarlo solo. Lo sa, vero? E abbia pazienza, figlio mio, tanta santa pazienza. Non lo contraddica, non discuta per carità, gli dia sempre ragione, che lui parli o straparli. L’unica salvezza è rispondergli sempre sì. Sì e sissignore. Capito?» «Certo, signora.» "
Giovanni Arpino, Il buio e il miele, Baldini & Castoldi (collana Romanzi e Racconti, n° 5), 1993 [Edizione originale: 1969]; pp. 10-11.
#Giovanni Arpino#Il buio e il miele#Profumo di donna#Scent of a Woman#letture#leggere#libri#citazioni letterarie#narrativa#romanzi#letteratura italiana del '900#XX secolo#amicizia#amici#invalidità#cecità#Torino#Genova#Roma#Napoli#Italia#scrittori piemontesi#viaggio#servizio militare#amore#devozione#passione#innamoramento#fedeltà#guerra
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.... gli posa la mano sul ginocchio e dice, lo sai quanto ti voglio bene, figlio mio? Sì, papà. Forse non te lo dico abbastanza. Me lo dici, me lo dici. Ti voglio bene fino al cielo, fino alle stelle Papà, basta. Perché basta? Che fastidio ti dà se .. Non sono più un bambino, papà. Sto per compiere quarant’anni. E allora? Il problema è proprio questo, a una certa età i genitori smettono di dire ai figli quanto gli vogliono bene e poi tutto comincia ad andare in malora.
Eshkol Nevo – Legami
Ph Richard Hill Studio
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Sono una ex insegnante di scuola elementare e dopo quarant’anni dal giorno del mio ingresso nel ruolo magistrale, mi accorgo di avere lavorato, a mia insaputa, a favore di quel potere che, solo oggi, riconosco per quello che è e di avere contribuito a diffondere, mio malgrado, delle aberrazioni scientifiche di cui non sapevo nulla e che non riconoscevo come tali.
Sui Social Network circola la foto della pagina di un libro per bambini dal titolo: “Progetto per… Scoprire In Fondo al Mare 3” di Virginia Grandinetti – Loredana Pepe, Editore “Il Capitello”. Una delle letture proposte nel testo è intitolata: “PIOGGIA DA DOVE VIENI” con la relativa spiegazione: “Oggi per ottenere la pioggia, i piloti del servizio meteorologico volano sopra le nuvole e spargono speciali sostanze chimiche che fanno gelare le minuscole gocce di acqua delle nuvole e le trasformano in pezzetti di ghiaccio così pesanti che cadono. Quando i pezzetti di ghiaccio, cadendo, passano attraverso l’aria calda, si sciolgono in grosse gocce d’acqua: Ecco dunque la pioggia!”.
Nelle mie conferenze faccio notare che, se per noi adulti le scie chimiche debbono essere una bufala e veniamo derisi e sbeffeggiati se le denunciamo, per i nostri figli a scuola invece vengono raccontate come vere e, prima o poi, ci sentiremo raccontare da loro quello che ora ci proibiscono di capire.
La sQuola.
#scuola#istituzioni#propaganda#bambini#insegnanti#formazione#genitori#figli#zombie#società#società malata#svegliatevi#sistema#aprite gli occhi#manipolazioni#schiavi#controllo#responsabilità#discernimento#dittatura#bugie#storia
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“Diciamo, ad esempio: “Lo sa la tua testa, non il cuore.” Fra la testa e il cuore c’è una distanza straordinaria, una distanza di dieci, venti, trent’anni o di tutta una vita. Si può infatti sapere con la testa, per quarant’anni, qualcosa che può non aver mai toccato il cuore. Si comincia ad accorgersene, però, soltanto quando se ne prende coscienza nel cuore.”
(C.G.Jung – La Psicologia del Kundalini Yoga)
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Il problema che affligge noi giovani - o che per lo meno io ho sentito da quando più o meno ho cominciato a pensare - è questo pensiero inconscio col quale cresciamo circa il fatto di non dover puntare troppo in alto. Ché se hai delle aspirazioni poco sopra la media i genitori, le persone che ti circondano, cominciano a guardarti con quell’aria paternalista del tipo “ma dai, rimani coi piedi per terra”. Ed uno cresce effettivamente pensando addirittura che so, che fare l’insegnante (perché effettivamente ormai è difficile pure questo), sia chissà che aspirazione infantile, tipo fare l’astronauta.
Io mi chiedo: a vent’anni, uno a che cazzo deve aspirare? È del tutto fisiologico puntare in alto, anche per strade completamente assurde e strampalate, ché si fa sempre in tempo ad aggiustare la mira, a rendersi conto che forse forse bisogna ridimensionare un attimo le aspettative. Partire però già rassegnati, frustrati, per arrivare a quarant’anni col rimorso del “se avessi fatto…”, è terribile.
Io voglio diventare medico. L’ho capito a 24 anni. Ogni volta che lo dico la gente mi guarda strano; ora, è oggettivamente una strada complessa, ma mica ho detto che voglio lavorare nella NASA. Voglio diventare m e d i c o. Una professione come tante altre. Eppure, per la società odierna, è equiparabile al dire di voler diventare una pop star; se mi fermo a pensare alle aspirazioni delle persone a me vicine costrette quasi a doverne parlare sommessamente perché per gli standard di oggi sembri pure imbecille se vuoi studiare mi rendo conto come tutto sia completamente schizoide, scoraggiante, e fuori di testa. Ma soprattutto come forse, tutto sommato, questo sia un problema italiano, perché magari in altri paesi occidentali si arriva a comprendere l’ovvio concetto per cui i giovani di oggi sono il futuro di domani, e ci si investe, e non ci si guarda con quel paternalismo lì.
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Uno dei monologhi più belli che mi hanno colpito, quello conclusivo del film “The Big Kahuna”
Goditi potere e bellezza della tua gioventù.
Ma non ci pensare. Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Credimi, tra vent’anni guarderai quelle tue vecchie foto e in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi.
Non eri per niente grasso come ti sembrava.
Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati, ma sapendo che ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un’equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente.
Di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa’ una cosa, ogni giorno che sei spaventato: canta.
Non esser crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perder tempo con l’invidia. A volte sei in testa. A volte resti indietro.
La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti. Se ci riesci veramente, dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d’amore, butta i vecchi estratti conto.
Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco, ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant’anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche. Le tue scelte sono scommesse. Come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi. Senza paura e senza temere quel che pensa la gente. È il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla. Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza. Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori. Non puoi sapere quando se ne andranno per sempre. Tratta bene i tuoi fratelli. Sono il migliore legame con il passato e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.
Renditi conto che gli amici vanno e vengono. Ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita.
Perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po’, ma lasciala prima che t’indurisca.
Vivi anche in California per un po’, ma lasciala prima che ti rammollisca.
Non fare pasticci coi capelli, se no quando avrai quarant’anni sembreranno di un ottantacinquenne.
Sii cauto nell’accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio… per questa volta.
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L’invenzione del nemico
Credo che molti si siano chiesti perché l’Occidente, e in particolare i paesi europei, cambiando radicalmente la politica che avevano perseguito negli ultimi decenni, abbiano improvvisamente deciso di fare della Russia il loro nemico mortale. Una risposta è in realtà senz’altro possibile. La storia mostra che quando, per qualche ragione, vengono meno i principi che assicurano la propria identità, l’invenzione di un nemico è il dispositivo che permette – anche se in maniera precaria e in ultima analisi rovinosa – di farvi fronte. È precisamente questo che sta avvenendo sotto i nostri occhi. È evidente che l’Europa ha abbandonato tutto ciò in cui per secoli ha creduto – o, almeno, ha creduto di credere: il suo Dio, la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, la giustizia. Se nella religione – con la quale l’Europa si identificava – non credono più nemmeno i preti, anche la politica ha perduto ormai da tempo la capacità di orientare la vita degli individui e dei popoli. L’economia e la scienza, che hanno preso il loro posto, non sono in grado in alcun modo di garantire un’identità che non abbia la forma di un algoritmo. L’invenzione di un nemico contro il quale combattere con ogni mezzo è, a questo punto, il solo modo di colmare l’angoscia crescente di fronte a tutto ciò in cui non si crede più. E non è certo prova di immaginazione aver scelto come nemico quello che per quarant’anni, dalla fondazione della NATO (1949) alla caduta del muro di Berlino (1989), ha permesso di condurre sull’intero pianeta la cosiddetta guerra fredda, che sembrava, almeno in Europa, definitivamente sparita.
Contro coloro che cercano stolidamente di ritrovare in questo modo qualcosa in cui credere, occorre ricordare che il nichilismo – la perdita di ogni fede – è il più inquietante degli ospiti, che non soltanto non si lascia addomesticare con le menzogne, ma non può che portare alla distruzione chi lo ha accolto nella sua casa.
31 maggio 2024
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La mia preghiera laica
Ti scrivo senza vergogna, senza pudore. Spinta soltanto dalla passione che provo per te. Scrivo perché di persona le cose che devo dirti non riuscirei a tirarle fuori. Senti: ormai possiamo dire che stiamo insieme. Ci sei riuscito: ti voglio. Quindi io ti regalerò benessere, rispettabilità, eleganza. Tu in cambio non avere troppi riguardi per la mia condizione di donna di potere e di classe, una che è ben introdotta negli ambienti che contano. Molto ricca e abituata al lusso, al meglio e alla continua riverenza. Non far caso alla nostra enorme differenza di censo e fottimi senza pietà: buttami sul letto o su un tappeto.
Scopami in macchina o su un divano; sporcami i vestiti, fammi colare il trucco e la passera. Non avere scrupoli. Tienimi ben ferma sotto di te, fammi urlare. Fammi godere di quel piacere grasso ed egoista che provavano le donne diecimila anni fa. Quando, piene di paura e temendo i giudizi del gruppo di cui facevano parte, formalmente si negavano sempre. In fatto di sesso, ciascuna era abbandonata a sé stessa, e doveva lottare con tutte le sue forze piangendo, tremando e infine fuggendo dal maschio della sua tribù che la voleva fottere.
Erano sostanzialmente femmine da monta, che nell'intimo erano probabilmente contente, perché comunque si sentivano desiderate. Finalmente non più bambine, ma donne adulte: quindi importanti. Sapevano di essere destinate soprattutto alla riproduzione. Perché inevitabilmente appena sviluppavano venivano rincorse, prese senza alcuna delicatezza, gettate sulla paglia in una grotta o sotto un albero e fottute fino a farle urlare di rabbia, dolore iniziale e segretissimo piacere poi. Campavano magari trentacinque o quarant’anni al massimo. Ma la loro vita era piena di cazzi, di sesso e di seme maschile: nel ventre, nella gola e nel culo. Di continuo.
Venivano scopate, godute e messe incinta più e più volte, durante la loro vita. E più scappavano, più si opponevano, più venivano considerate ambite. Quindi inevitabilmente e finalmente prese e fottute. Ancora e ancora. Tu fai sentire una fattrice anche me. Voglio essere per te solo la tua femmina da montare. E da riempire di seme. Tanto. Di continuo. Tu fottimi e montami con prepotenza. Fatti strada tra le mie gambe con la forza e infilami più volte al giorno: ogni volta che vuoi. Dove vuoi. Anche se sarò di cattivo umore e non mi andasse. Quindi magari ti urlerò contro di rabbia. Tu mettimi incinta. Provaci già da stasera. Fallo di continuo.
Allargami per bene la fica ed entrami col tuo sacro uccello nella fregna con prepotenza. Sborrami dentro soprattutto nel culo, bene in profondità. Perché tu desideri di continuo assolutamente rompermelo: lo vedo nei tuoi occhi quando me lo guardi. Dio se mi piace sapere che adori il mo culo! Possiedimi come deve fare un maschio con la sua femmina. Comandami di succhiarti l'uccello: mettimelo sotto al naso.
Fammelo temere, rispettare, adorare, leccare e poi ficcamelo con forza in gola. Ordinami di aumentare il tiraggio e poi, quando starai per sborrare, ordinami di ingoiare tutto il tuo sacro succo. Ne ingoierò a litri, per te. E poi la mia lingua ti pulirà il cazzo con devozione e cura. Ti leccherò lungamente le palle, grata. Tienimi la testa ferma per i capelli, premuta forte contro il tuo inguine, mentre ti succhio e man mano divento sempre più esperta nel trattenimento del tuo pene in gola. Una puttana doc.
Trattami come fossi una macchina per mungere o un orinatoio. Mettimi al mio posto, in riga. Se ti scappa, pisciami pure nelle viscere o nella fica. Godrò e sarò lusingata dal fatto di essere considerata da te lo sfogo della tua vescica. Fammi capire che mi vuoi solo per le mie tette e per le mie chiappe; queste mie natiche mozzafiato, tutte da venerare, da allargare con forza, odorare, leccare e poi sfondare. Tu fottimi. Tanto. Sempre. Riempimi con la tua sborra. Farciscimi. Inizia da stasera, da quando verrò al nostro primo appuntamento dedicato a fare finalmente sesso. Lo desideravi da tanto. Non avere riguardi. Se ti va, pochissime parole tra noi due: è tutto detto qui, in questo scritto. Non appena ci vedremo portami subito in campagna. Troveremo un casolare abbandonato e sporchissimo. O se vuoi buttami da qualche parte in mezzo alla natura e fottimi. Non ti devi staccare mai dal mio culo.
RDA
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Il mio omaggio a #Outlander
Ho finito Outlander, non ne avrò più di nuovo fino a Novembre, oltretutto è finito su un cliffhanger devastante, e io in questo momento, in preda a una vera e propria sensazione di astinenza come mi era successa soltanto con qualche libro da giovane, vorrei potermi smemorizzare come un hard disk.
Invidio chiunque di voi là fuori, anime affini, che non l’abbia ancora visto.
Probabilmente non è pane per i denti di tutti - ad esempio per me la scintilla non è mai scattata con Game of Thrones, e nemmeno con quel freddissimo capolavoro di Boardwalk Empire, per citare alcune serie che scaldano il cuore dei più ma non il mio- ma se amerete Outlander come l’ho amato io in questo mese, in cui mi ha tenuta calda la sera prima di dormire, come avevano potuto fare soltanto i libri della mia infanzia, state per godervi una delle storie più appassionanti degli anni duemila.
Claire (pure il nome!), infermiera militare britannica reduce di guerra, abituata agli orrori dell’ultimo conflitto mondiale sui fronti orientali e africani e nelle retrovie del D-Day, nel 1945, mentre tutti festeggiano la vittoria, è già straniera in patria e nel suo stesso mondo interiore.
Irrequieta e vivacissima, intelligente e piena di bontà, ormai cambiata dal dolore e segretamente colpita da stress post traumatico che si manifesta soprattutto con i forti rumori, Claire non ha più confidenza con il marito Frank, anche lui militare britannico dopo tanta guerra e tanta lontananza.
I due decidono, per cercare di salvare il proprio matrimonio, di passare una “seconda luna di miele” in Scozia, in una vacanza nei pressi del borgo medievale di Inverness, sulle montagne del nord del paese, per tornare a riconoscersi.
Qui Claire, durante una passeggiata solitaria per raccogliere alcuni fiori, viene attratta come da una calamita da un antico cerchio di pietre su un colle, dove la notte precedente lei e suo marito, storico militare, avevano assistito a una danza di un gruppo di persone del luogo che avevano salutato l’alba con un rito druidico.
Claire non lo sa, ma è una “viaggiatrice”: la storia non lo spiega ma qualche rara persona, forse per un retaggio magico e soprannaturale, per qualche lascito genetico extraterrestre o fatto della stessa essenza della Scozia immortale, può entrare in una sorta di risonanza con certi cerchi di pietre che sono veri e propri portali verso il passato.
A Craigh na Dun, nel cerchio di pietre, Claire, ipnotizzata dal loro canto, che solo lei può sentire, si appoggia ad una di esse e improvvisamente viene catapultata indietro di 200 anni, nel bel mezzo delle guerre tra Inghilterra e Scozia per la successione confessionale del trono tra Stuart e Hannover (gli odierni Windsor).
Da questo inizio sorprendente parte un’avventura alla “Angelica” che attraversa quarant’anni di storia europea e americana, vista attraverso gli occhi puri di Claire, eroina indomita e indimenticabile, pronta ad attraversare tempo e spazio per restare fedele al suo cuore e a quella che è, sempre in dubbio se poter cambiare la storia che lei conosce, o lasciare che le cose (e il dolore che ne deriva) facciano il loro corso ineluttabile.
Outlander è una storia indefinibile, non bene inquadrabile e molto originale, nessuno aveva mai pensato di ambientare un’opera sostanzialmente di fantascienza classica (c’è tutto Herbert G.Wells) nell’ambito delle guerre continentali tra settecento e primi dell’Ottocento, rappresentate come in un romanzo storico più che in un romance di costume e in costume.
L’originalità è la pausa di vent’anni tra i due ritorni “al passato” con la protagonista che si laurea in medicina, diventa un abile chirurgo, cresce la figlia e vive sostanzialmente una vita dissociata (lei è *sempre* straniera, “outlander”, “sassenach”, ovunque e in qualsiasi tempo si trovi) nella Boston della Golden age del secondo dopoguerra, poi torna dal suo grande amore, il buio e violento, e insieme tenerissimo Highlander Jamie nel settecento, ma vent’anni dopo, ed entrambi hanno già qualche filo grigio tra i capelli.
Si tratta di una rivisitazione elegantissima del classico romanzo d’appendice, ma di una qualità stellare.
Con momenti anche di stanca (avrei evitato sia la storia del pirata nella quinta stagione sia quella dello stupro di gruppo, c’è qualche scena d’amore sessuale di troppo per i miei gusti, io sono per il vedo non vedo), ma anche momenti di poesia purissima - l’episodio dello schiavo nella piantagione americana salvato da Claire soltanto per poi doverlo poi consegnare, il vecchio crudele abbandonato nella cabina dalla sua moglie bambina; le prime stagioni (meravigliose) che vedono “in diretta” la fine di un mondo ancora quasi medievale come quello delle highlands, in cui si usavano ancora le spade seicentesche di Toledo, per forza di quelli (gli inglesi) che erano a tutti gli effetti degli oppressori, le scene di battaglia nel nuovo mondo e tutto il filone sulla rivoluzione americana, le scene caraibiche degne di Stevenson e i suoi tesori nascosti, le traversate degne di Patrick O’Brian se non di Conrad, il mistero delle pietre e il “rumore” che sentono soltanto “i viaggiatori”, il personaggio struggente di Lord John, capo militare inglese, nobilissimo e puro di cuore, che amerà e rispetterà Jamie per tutta la vita sapendo di non poterlo mai avere, la potenza della medicina del novecento che deve districarsi nel segreto tra le superstizioni del settecento (Claire, medico del novecento, rischierà più volte di finire al rogo come strega)… come sempre non è quello che si prende dall’immaginario collettivo ma è dove lo si porti, come dice Jodorowsky. E in questo Ronald Moore (Battlestar Galactica) e Toni Graphia (Dr.Quinn, Medicine Woman) sono maestri.
Elegantissimo pastiche (polpettone? Polpettone sia), Outlander per me resta una delle cose più belle di sempre, degna dei miei libri di bambina, e del ricordo della mia mamma che per prima me li ha messi in mano.
Anche solo per quanto questa storia straordinaria mi abbia fatto pensare a lei, ne è valsa davvero la pena.
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