#poetica delle immagini
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Una poetica della profondità
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Pensiero d'Amore di Rosetta Sacchi: Una lirica di struggente bellezza e introspezione. Recensione di Alessandria today
Un viaggio poetico tra ricordi, speranze e il ciclico mutare delle stagioni della vita
Un viaggio poetico tra ricordi, speranze e il ciclico mutare delle stagioni della vita La poesia “Pensiero d’Amore” di Rosetta Sacchi si presenta come un toccante intreccio di emozioni e riflessioni, capace di catturare il lettore con immagini evocative e una profondità lirica che scava nell’anima. Con il suo stile elegante e il linguaggio raffinato, Sacchi esplora i temi del tempo, del ricordo…
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Storia Di Musica #329 - Diaframma, Siberia, 1984
Nella scatola ritrovata in soffitta, questo disco stava sotto un altro, con la copertina leggermente rovinata dall'umidità (e che sarà protagonista di una prossima Storia di Musica). All'interno c'era il bigliettino da visita di un negozio di dischi, Data Records 93, Via dei Neri, Firenze. Il disco di oggi è l'inizio di una delle più intense e importanti storie musicali italiane degli ultimi 40 anni nel nostro paese. Tutto inizia a Firenze, fine anni '70, quando l'onda punk in Europa è al massimo livello: in un liceo si formano i CFS, con Federico Fiumani alla chitarra e due suoi amici, Gianni Cicchi (batterista) e Salvatore Susini (bassista). Suonano cover delle band punk rock britanniche, nel 1980 Susini se ne va e viene sostituito dal fratello di Cicchi, Leandro, e nascono così i Diaframma, nome scelto per la comune passione dei tre per la fotografia (il diaframma fotografico è il meccanismo usato in ottica per regolare la quantità di luce che deve attraversare un obiettivo). Sin da subito, si appassionano alle sonorità post punk che in quegli anni saranno chiamate darkwave, ispirati a gruppi leggendari come i Joy Division o i primissimi The Cure di Robert Smith. Nel 1981 conoscono Nicola Vannini, un giovane cantante, e gli propongono di entrare nel gruppo: pubblicano in pochi mesi due canzoni unite in un singolo, Pioggia/Illusione Ottica e poi Circuito Chiuso (1982) e Altrove (1983). Vannini non si ambienterà mai del tutto, e poco prima delle registrazione del loro primo disco, viene sostituito da Miro Sassolini. Nelle stesse settimane, vengono scritturati da una neonata casa editrice musicale, la IRA Records di Firenze: fondata da Alberto Pirelli insieme alla moglie Anne Marie Parrocel diviene una delle etichette più attive e creative del panorama italiano. Ne è esempio il primo disco prodotto, Catalogue Issue, una compilation con alcune delle più interessanti band del territorio, tra cui oltre che i Diaframma si ricordano i Litfiba, i Moda, ed gli Underground Life. Pirelli coniò lo slogan nuova musica italiana cantata in italiano, dando consistenza all'impegno delle 4 band sull'utilizzo della lingua italiana nella musica alternativa del nostro paese, contro l'anglofila e l'alglofonia dominante di quegli anni.
Tutto è pronto per il primo disco: scritto tutto da Federico Fiumani, prodotto da Ernesto De Pascale (che fu anche grande giornalista di musica) Siberia esce nel Dicembre del 1984. È un album in cui l'eleganza e la forza espressiva della musica incontra la poetica decadente di Fiumani, che nella voce di Sassolini trova un interprete perfetto del suo pensiero musicale e artistico. 8 brani che sono una carrellata di immagini che regalano sensazioni fredde, pungenti, dominate dalle falciate chitarristiche tipiche della musica del periodo e dal ritmo sincopato della batteria, e illuminati dai testi romantici e decadenti di Fiumani. Siberia, che apre il disco, è già l'emblema: una chitarra malinconica, il basso dai toni ombrosi ed un elegante sassofono accompagnano una voce tenebrosa rendendo il brano misterioso, Aspetterò questa notte pensandoti,\nascondendo nella neve il respiro,\poi in un momento diverso dagli altri\io coprirò il peso di queste distanze…\di queste distanze… di queste distanze. Non da meno Neogrigio, angosciante, turbinante, ventosa, capolavoro per i più sconosciuto. Impronte è una dolente poesia ritmata (Ho preferito andare prima di esser lasciat\Prima che il cuore da solo scivolasse nel buio\Insieme ai ventagli ingialliti\Resti un lampo intravisto oltre i vetri del treno\Nello spazio improvviso sopravvive in un sogno), e arriva un altro capolavoro: Amsterdam, dal leggendario ritornello (Dove il giorno ferito impazziva di luce\Dove il giorno ferito impazziva di luce) è una speranza di uscita dal dolore, e l'anno dopo, nel 1985, diventerà un formidabile duetto con i Litfiba di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, band amica\nemica di quei tempi e destinata d un futuro radioso. Delorenzo è una ode baudeleriana, incentrata su un asfissiante basso, Memoria è un altro brano di discesa nell'oscurità, potente e misterioso, Specchi D'Acqua dal ritmo incalzante e quasi galoppante, è una fuga dagli incubi (Forse non sento le voci\Che mi allontanano\Sempre più in fretta\Dal ricordo latente\Di quei giorni sofferti), chiude il disco Desiderio Dal Nulla, trepidante, spasmodica, che continua nei suoi testi decadenti a raccontare il disagio.
Il disco fu osannato dalla critica dell'epoca, ma vista anche la dimensione indipendente del progetto, vendette poco. I Diaframma si fanno però un nome nella scena musicale alternativa italiana: è meno cupo ma altrettanto bello 3 Volte Lacrime, del 1986 e dopo Boxe (1988), un po' deludente, Fiumani scioglie il gruppo e lo riforma prendendo le redini anche del canto: pubblicherà con i nuovi Diaframma In Perfetta Solitudine (1990), che segnerà la sua volontà di continuare una carriera solista, tra cantautorato e musica rock, incisiva a volte a tratti scostante, con in primo piano la sua poesia dei testi, mai mancata.
Questo disco verrà ripubblicato in cd per la prima volta nel 1992, con aggiunta di altri due brani Elena e Ultimo Boulevard e nel 2001 con Amsterdam cantata con i Litfiba e numero brani live. Nel 2012, per il suo centesimo numero dell'edizione italiana, la rivista Rolling Stone Italia lo inserisce nella classifica del 100 migliori dischi italiani addirittura al 7.mo posto. È una riscoperta per almeno due generazioni: persino io lo comprai, non conoscendoli e non sapendo che nella soffitta di casa era, integro e impolverato, uno dei dischi più compiuti, affascinanti e belli non solo della stagione new wave post punk degli anni '80, ma dell'intera musica italiana.
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Questo volume, nato dall’incontro tra lo scrittore Christian Bobin e il fotografo Edouard Boubat, presenta il sapiente dialogo tra la parola poetica dello scrittore e le immagini in bianco e nero scattate da uno dei più rinomati fotografi a livello internazionale. Due sguardi differenti ma con una sensibilità affine si sono misurati in un progetto comune, ciascuno dando voce al suo personale alfabeto. Il risultato è quindi il frutto dei viaggi del fotografo, che ha attraversato il pianeta per catturare attimi di vita, e dell’ispirazione dello scrittore germinata dall’abbandonarsi all’osservazione attenta delle fotografie. Il libro, pubblicato per la prima volta in Francia da Gallimard, sarà una sorprendente scoperta sia per i lettori affezionati alla scrittura di Bobin, sia per coloro che apprezzano la ricerca fotografica di Boubat.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
GLI STRATI DEL TEMPO
«Fino alla nascita dei décollage, nel 1953, io facevo della pittura neo-geometrica. Avevo studiato tutti gli stili e tutti i più grandi maestri, da Kandinskij a Mondrian, da Picasso a Matisse. Poi mi trasferii per due anni negli Stati Uniti, e realizzai una mostra anche lì. Quando tornai in Italia, non volevo più dipingere, perché ero giunto alla conclusione che tutto ormai, in pittura, fosse stato fatto. Una mattina del ’53, mi trovavo nel centro di Roma, e osservavo i muri completamente tappezzati di manifesti pubblicitari lacerati. Ciò mi colpì moltissimo, e pensai: ‘Ecco le nuove immagini che io devo dare al pubblico’. Nessuno aveva mai fatto questo. Così è nato il décollage: è stata una sorta di… illuminazione zen. Allora uscivo di notte dal mio studio e rubavo i manifesti dai muri. Una sera venne a vedere i miei lavori un critico giovane e molto intelligente, un filologo, Emilio Villa. Fu entusiasta, e mi disse: ‘Tu stai inventando una nuova forma d’arte, che va al di là della pittura’. Mi invitò ad allestire una mostra con sei pittori romani sul Tevere. All’inaugurazione c’era un critico americano, il quale sostenne nella sua recensione che l’unico a proporre un nuovo messaggio ero io. Mi definì ‘neo-dadaista’.».
Con queste parole Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 – Milano, 8 gennaio 2006) rievocava la nascita del "decollage", intuizione capace d'innovare il linguaggio artistico del secondo Novecento, inserendosi nella scia della Pop Art, dell'Informale, del Nouveau Réalisme, del NeoDada.
Tuttavia, gli schemi non raccontano.
Indicano un percorso, delle assonanze, dei richiami.
Non bastano: gli artisti fanno storia a sé.
La libertà in quegli anni convulsi è massima.
La tecnica diviene essa stessa fenomeno creativo, così prorompente da ribaltare il tradizionale rapporto tra significante e significato, fino a una semiosi inaspettata, controversa.
Eppure dotata di una poetica profonda, ammessa, come nel caso di Rotella, all'antico mistero del tempo e delle sue infinite narrazioni.
Lo "strappo" diventa scoperta.
E quanto rimane è rappresentazione artistica di un divenire che annulla le distanze, saldando passato e presente.
Suggestione del perenne.
Nascosto.
Svelato.
- Mimmo Rotella, "Europa di notte", 1961, Mumok, Vienna
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Saiyuki Graffiti
Premessa
Prima di mettere i “Saiyuki Graffiti”,con tanto di traduzione,vorrei fare un sentito ringraziamento a Code.Veronica (1) per avermi fornito il collegamento al suo blog (in cui ci sono anche le illustrazioni che metterò sempre grazie a lei) e a Elfsoto per le traduzioni in inglese. La traduzione dall'inglese sarà basata dal blog KonnyakuHonyaku mentre le immagini che vedrete sono tratte da questa pagina del blog di Cod.Veronica, dove potrete anche ammirare e leggere la sua traduzione ben più dinamica e poetica della mia che vi dico fin da subito che è più scarna e letterale, quindi ribadisco GRAZIE PER LA VOSTRA GENTILEZZA E DISPONIBILITÀ
Bene ora passiamo all'opera vera e propria.
02. La luna precipita, gli uccelli piangono e siamo un tutt'uno col cielo gelato. Alle lampare che dormono dolorosamente nel fiume sotto l'acero, dal freddo tempio di montagna fuori dell'antico castello, la voce della campana di mezzanotte arriva alla barca passeggeri.-Nagatsugu
03. La punta della scopa di bambù incontra leggermente il terreno,le foglie cadute gridano con un secco, frusciante suono. L'uomo ascoltava, seduto da solo su un corrimano nel corridoio del tempio principale. Da lì, ancora non riusciva a vedere il giovane ragazzo che scopava il cortile del tempio.
Il Sole si chinò e nubi cumuliformi coprirono facilmente lo sbiadito cielo viola. Sembrava un pesce gigante che nuotava dall'autunno fino all'inverno. Aspettando il ragazzo che sarebbe apparso qui a poco, l'uomo cercava parole informali di saluto.
Non poteva sperare di catturare il viola gradualmente sempre più profondo del cielo,così come quei puri e magnifici occhi.
In quel lontano giorno, caduto nel cielo orientale.
04. Questi dolcetti di riso al mio fianco, lasciateli soli e fuori da qui.
05. Con chi diavolo pensate di parlare voi? Vi ammazzo!…Non stiamo esprimendo molta differenza dal solito.
06. Uccello senza casa, verso quale oscurità vai, mentre piangi un invito al nulla?
07. Quella dolce, dolce caramella era sempre offerta dalla manica dell'uomo; per questo motivo il ragazzo credeva fosse una tasca magica.
Ti mostrerò che posso fare qualsiasi cosa tu mi insegni sempre meglio. L'uomo socchiuse gli occhi già socchiusi in un sorriso e disse soavemente belle parole mentre mise della caramelle in carta colorata da regalo nella piccola mano del ragazzo. Erano dolci abbastanza sulla lingua del ragazzo, come un arcobaleno in frantumi, da fargli dimenticare i dolori del suo corpo.
“Sono una delle tue caramelle, se urti la tasca il biscotto si rompe. Se urti più e più volte si trasforma in briciole e quando soffia il vento,addio.”
Dolce e doloroso, più oscuro dell'oscurità, il sapore del cioccolato è come una droga.
08. “Questa voce non raggiungerà nessuno.”
09. “—-Ci vediamo. Continua a vivere, Gojyo.”
Sussurò, apparentemente senza un briciolo di senso di colpa, e se ne andò a passo leggero nella città di sera. Anche se aveva trascorso un anno lontano, questo era il posto dove era abituato a vivere; scegliendo il suo sentiero, sarebbe stato in grado di uscire dalla città senza essere visto da nessuno. L'uomo infallibilmente si diresse verso un vicolo stretto, facendo scivolare il suo corpo esile come un gatto.
Mentre camminava, frugò nella sua tasca posteriore,ma ricordandosi che aveva già buttato via la scatola vuota si morse la lingua.–All'improvviso il calore salì lungo il suo fianco. Senza nemmeno il tempo di girarsi, il coltello che lo ha colpito affondò nella carne brutalmente. Respirò in modo affannoso per 2 o 3 secondi, quindi senza dire una parola, cadde per terra. La schiena di un uomo dal piccolo corpo, in fuga, entrò nella sua visuale per un momento ma non era nessuno che ricordava. Per il metodo era probabilmente un qualche ragazzo esperto assunto per soldi. A proposito di…..cosa era succeddo alla ragazza dello yakuza di un anno fa? Non faceva differenza. Proprio così, nulla conta ora per me. Si dibattè nella pozza di sangue caldo per alzarsi,senza pensare; alla fine crollò rivolto verso l'alto. Stava ancora sorridendo, formando un sorriso con gli angoli di quella rossa, rossa bocca. Hyuuu..una leggera brezza urlò a intermittenza. È stato il vento proveniente dalla gola dell'uomo. “—jyo.” Al posto della sillaba sorda,piccole bolle rosse erano sorte e scoppiate.
“……Dammi una…..sigaretta, si?”
Lentamente le punte delle dita si protesero verso il vuoto, ma la luce di una sigaretta non ardeva lì.
Cattive compagnie
10. Legame
Se esiste uno stile di vita che esalta la libertà, allora deve anche esistere uno stile di vita che protegge ciò a cui sei legato.
11. Questo confortevole dolore che lega il mio petto mi dice,quando sono orgoglioso di me stesso, che sicuramente posso diventare più forte di chiunque altro.
12. Il ripido sentiero di montagna continuava. Tuttavia il giovane uomo che camminava davanti a me non voltava il suo bellissimo viso,continuava solo a camminare. A differenza del continente occidentale dove era nato e cresciuto, la maggior parte di questa terra non era lastricata. Io, col mio corpo che non sentiva più “le avversità"sono un caso a parte, ma è chiaro che per il giovane uomo dal corpo delicato questo viaggio era considerevolmente difficile. Così dicendo, quando cercavo in modo maldestro di preoccuparmi e dargli una mano, lui si arrabiava. "Che azioni inutili…..tutto quello che devi fare è guardarmi le spalle.” Quando rimanevo in silenzio, incerto del reale significato delle sue parole,il giovane uomo sussurrava,ancora con la sua sottile schiena verso di me,“Essere sorvegliati da qualcuno–il tuo cuore non si romperà in questo modo”. Quelle parole erano,alla fine,dure e in un qualche modo autoironiche. Non intendeva dire “È confortante avere qualcuno accanto.”; intendeva dire che, colui il quale non trovava nulla di più imbarazzante che mostrare fatti imbarazzanti agli altri, sommetteva il suo orgoglio sulla sicurezza al fine di evitare di perdere davanti a se stesso.
Se fosse stato meglio che non mi trovassi qui,non m'importa.
Se ha detto di vegliare, io lo farò finché questo corpo non decadrà e sparirà. Solo quando c'è bisogno di me—allora queste braccia che hanno perso il loro calore vitale, possono attraversare quella distanza.
Il destino cade senza suono.
13. Ultimamente la routine dell'uomo è stata quella di scambiare parole senza significato con la donna nella cella del seminterrato. Da qualche giorno si sarebbe recato nel seminterrato per quello che lui chiamava “ammazzare il tempo”; si divertiva a prendere il tè mentre le donne, tenute come giocattoli, singhiozzavano e si disperavano. Ma fin dall'inizio quella donna era in qualche modo diversa. “Hey mi sto annoiando. Perché non parliamo?” Quella fu la prima volta che l'uomo era usato per “ammazzare il tempo”. Anche se la donna si lamentava, non ha mai implorato per la sua vita; invece avrebbe posto un indovinello,usando parole o numeri oppure tirando fuori un ricordo senza senso. Se avesse mostrato anche il più piccolo interesse lei sarebbe apparsa trionfante come se si fosse presa la rivincita. Innumerevoli volte si chiedeva se dovesse ammazzarla, ma per qualche ragione non riusciva a metterlo in atto.—C'era un nome che la donna spesso pronunciava. Impassibilmente diceva che quello era il nome del suo fidanzato,il suo fratello gemello più giovane. Quando chiedeva se suo fratello le assomigliasse lei rispondeva “La sua faccia probabilmente si. Lo incontrerai anche. Lui è quasi qui, dopotutto.” lei sorrise brillantemente abbastanza da far venire un brivido lungo la schiena dell'uomo. Quando domandò che cosa avrebbe fatto il fratello una volta giunto, la risposta venne tra due sottili dita bianche premute contro le labbra cremisi: probabilmente solo una cosa. Era il cenno che la donna faceva quando stava risolvendo un indovinello.
“—Ahh, quindi la donna è morta?” chiamò l'uomo verso la schiena insanguinata del giovane rannicchiato a terra, perduto. È tutto allo scopo di continuare quella conversazione senza significato.
Reminiscenze di burattini.
16. Dopo
Sono grata che non troppo tempo fa mi è stato chiesto di fornire un “opuscolo” di tutti. A causa dei miei problemi personali fisici, la creazione e la distribuzione sono stati entrambi terribilmente ritardati e chiedo umilmente il perdono di tutti a causa di questo inconveniente. Tutte le immagini pubblicate in questo “opuscolo” sono state realizzate mentre ero in congedo….in altre parole sono state disegnate dopo essere stata dimessa dall'ospedale. Avevo già creato prima molti schizzi inchiostrati per l'uso di questo pamphlet, ma ogni volta che pensavo di continuare a disegnare il Manga di “Sayiuki”, volevo lottare e affrontare i miei problemi in modo corretto e così ho ridisegnato tutto da zero. Personalmente mi sono divertita a disegnarli e se qualcuno li apprezzerà anche solo un po', ne sarò felice. Da ora in poi spero che tifiate per questi personaggi di Saiyuki. Kazuya Minekura, un dì di Agosto, 2007.
Note:
(1) Purtroppo il blog di VeronicaCode non c'è più in quanto la piattaforma non è più online almeno dal 2019-20. Scoprirlo mi ha rattristata molto perché amavo il suo blog e c'erano sempre chicche bellissime su Saiuyki. Per fortuna ho ancora i suoi contatti e posso chiederle se ha salvato il materiale (come ho fatto il con saiyukiiyalia) e se pianifica di metterlo in altre piattaforme.
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La cantautrice Rora con il nuovo singolo “Gomenasai”
Un percorso di crescita che mescola diverse culture
La cantautrice Rora pubblica il suo nuovo singolo Gomenasai (Perdonami, in giapponese), disponibile dal 15 novembre 2024 sugli stores digitali e nelle radio in promozione nazionale. Si tratta di un viaggio intimo di crescita personale, tra dubbi, incertezze e la volontà di migliorarsi. I versi alternano lingue e culture, riflettendo la complessità delle emozioni e l’universalità delle esperienze umane. Le parole esprimono la lotta interiore di chi è giovane e consapevole, alla ricerca di un equilibrio tra l’accettazione di sé e l’auto-miglioramento. Il testo, pervaso da una delicata vulnerabilità, riconosce la propria forza, pur con la consapevolezza dei limiti e delle cadute. Il ritornello, con il sincero “Gomenasai por lo que soy” (Scusami per ciò che sono), rivela un dialogo interiore tra colpa e perdono nei confronti di sé stessi, un desiderio di autenticità che sfida la tendenza a nascondersi dietro le apparenze. La frase “I try to be better as I can” è un impegno a migliorarsi, senza mai perdere la propria essenza. L'alternanza tra inglese, spagnolo e giapponese è come un “ponte” che unisce le diverse parti dell’identità dell’artista. Un brano pieno di riflessioni, che racconta la forza di chi cade e trova la via per rialzarsi, mantenendo intatta quella “luce radiante” che emerge anche tra le ombre.
Ascolta il brano
Storia dell’artista
Laura Fatato, in arte Rora, è una cantautrice siciliana della provincia di Messina. Sin da piccola sente l’esigenza di esprimere la propria anima attraverso la musica. Cresciuta circondata da musicisti e assecondata dal padre, polistrumentista, registra di piccole demo di cover e canzoni inedite. Rora impara a suonare da autodidatta la chitarra che diventa lo strumento con cui si accompagna e compone. Dopo aver terminato il liceo, inizia a cantare in diverse band locali di genere rock e pop. Numerose sono le apparizioni teatrali, dove Laura Fatato ha curato il lato musicale ispirandosi alla musica siciliana e portando alcune sue interpretazioni di Rosa Balistreri (tra queste: “Le Dindon”, “Andreuccio Fiordaliso e altre storie”, “L’eredità”, “Il vitalizio”). Si laurea in Lingue e Letterature straniere e insegna inglese, giapponese e spagnolo. Partecipa nel 2023 alla finale del contest Cantagiro come corista della cover band dei Pink Floyd: Eclipse Floyd Legend.
Il progetto “Rora” ha inizio durante la pandemia, conta quattro canzoni in inglese dalle nuances dream-pop, country-rock, soul, blues, le cui demo autoprodotte sono state registrate presso lo studio Geko-sound di Messina con arrangiamenti ed esecuzioni a cura di Laura Fatato, Simone Bombaci (batteria), Nello Fatato (basso), Nello Amante (chitarre). RORA collega musica e parole mescolando le lingue che conosce e raccontando, come in un diario, scenari di vita quotidiana che trasforma in immagini e atmosfere, prendendo ispirazione dalla malinconia nostalgica e poetica di Lana del Rey, l’aria country-folk alla Sheryl Crow, il soul-blues di Amy Winehouse, pop-rock alla KT Tunstall e le nuances della musica folk stile The Head and the Heart. Il 12 gennaio 2024 pubblica “Even exist”, un brano folk-pop, in cui risalta una ricerca di leggerezza, di amore, di conforto dai problemi che caratterizzano le nostre giornate e la paura che questi prendano il sopravvento, e si trasformino in buio totale. Il 14 di giugno pubblica il suo secondo singolo “Naked”, un brano dalle influenze R&B e soul-blues in cui la cantautrice si rivolge al suo partner, invitandolo a non spaventarsi delle emozioni intense che lei prova e a non approfittare delle sue fragilità.
Instagram: https://www.instagram.com/rora_fatato/
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCfcrd5XBl1lJ-byngbUr-eA
TikTok: https://www.tiktok.com/@rora0752?_t=8jMDlm90uEC&_r=1
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Darreire l’Ourisount: Oltre l’Orizzonte della Cultura Alpina
Darreire l’Ourisount” (Oltre l’orizzonte) è un’opera cinematografica di Sandro Gastinelli che celebra la straordinaria avventura della Escolo del Magistre Sergio Arneodo, una scuola che ha rappresentato il cuore pulsante di un riscatto culturale e sociale per le comunità delle valli di Cuneo. Il film, un tributo alla cultura alpina, cattura l’anima di un’esperienza educativa unica nel suo genere, che ha trasformato una piccola scuola di montagna in un laboratorio didattico e letterario riconosciuto a livello europeo.
La Scuola di Coumboscuro: un Faro di Cultura
Nel dopoguerra, sulle Alpi occidentali, la scuola di Coumboscuro divenne un simbolo di rinascita. Qui, un gruppo di ragazzi guidati dal loro maestro, Sergio Arneodo, riscoprirono la lingua e l’identità provenzale alpina, dando vita a un movimento culturale che ha coinvolto intere comunità. “Darreire l’Ourisount” racconta questa avventura condensandola in un solo anno scolastico, da settembre a giugno, durante il quale le vite di una ventina di ragazzi si intrecciano con quella del loro “Magistre”. È un viaggio che va oltre il tempo, esplorando la memoria, la lingua, la poesia e, soprattutto, la cultura delle Alpi.
La Regia di Sandro Gastinelli: Una Narrazione Poetica
Sandro Gastinelli, regista e uomo di montagna, ha dedicato la sua vita alla documentazione e valorizzazione della cultura alpina. Attraverso immagini toccanti e una narrazione lirica, Gastinelli porta lo spettatore “oltre l’orizzonte”. La sceneggiatura è arricchita dalle voci di grandi personalità della cultura italiana, come Paolo Conte, Toni Servillo, Lella Costa e Giovanni Lindo Ferretti, che recitano poesie nel patois provenzale delle valli. Questi contributi artistici, uniti alla colonna sonora della formazione musicale Milladoiro, creano un’esperienza immersiva e coinvolgente.
Un Tributo alla Cultura delle Valli di Cuneo
Le valli di Cuneo, con la loro storia, lingua e cultura, sono le vere protagoniste di questo film. “Darreire l’Ourisount” è stato girato nel 2009, ma è stato presentato al pubblico solo nel 2023, in occasione del decennale della scomparsa di Sergio Arneodo. Le proiezioni si sono svolte nei luoghi simbolo delle Alpi occidentali, come Vinadio, Bellino ed Elva, coinvolgendo comunità che condividono lo stesso entusiasmo identitario.
Letteratura, Teatro e Poesia: il Cuore della Cultura Alpina
La narrazione di “Darreire l’Ourisount” si basa sulla letteratura pura e limpida, che rappresenta la cultura delle Alpi. I dialoghi, curati con attenzione, e le scene evocative creano un legame tra passato e presente, rendendo omaggio alla creatività dei ragazzi dell’Escolo. Il film si presenta come un mosaico di poesia, teatro e vita quotidiana, che celebra la dignità di una cultura spesso trascurata.
Un’Opera Senza Tempo per la Cultura delle Alpi
“Darreire l’Ourisount” non è solo un film, ma un manifesto per la cultura alpina. Esso restituisce dignità e valore a una civiltà ricca di tradizioni, mostrando come la lingua e l’identità possano essere strumenti di riscatto sociale. La scuola di Coumboscuro, con la sua visione innovativa, ha dimostrato che anche una piccola comunità può avere un impatto globale, se guidata da passione e determinazione.
La Cultura Come Ponte tra Generazioni
L’opera cinematografica di Sandro Gastinelli è un invito a riflettere sul ruolo della cultura nella società moderna. Attraverso la riscoperta della lingua provenzale e delle tradizioni alpine, il film dimostra che la cultura non è solo memoria, ma anche un ponte verso il futuro. Questo messaggio universale ha trovato risonanza in Italia e all’estero, coinvolgendo spettatori di tutte le età.
Conclusione: Oltre l’Orizzonte della Cultura
“Darreire l’Ourisount” è un viaggio che porta lo spettatore oltre l’orizzonte, alla scoperta di una cultura autentica e resiliente. È un omaggio alla scuola di Coumboscuro, ai suoi ragazzi e al loro maestro, che hanno trasformato un’esperienza locale in una storia universale. Grazie a questa opera, la cultura alpina continua a vivere e a ispirare nuove generazioni, ricordandoci che il futuro si costruisce partendo dalle nostre radici.
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Forse è per via di Pitagora.
E - per converso - di Agostino.
Forse è per questo che Gianpia Affaitati scrive:
"Scuoto le catene del Tempo ma non mi fanno passare".
Ergo:
le scuote, Gianpia, perché anela superare il pitagorico concetto del tempo come ordine, e lo fa poiché, per Agostino il tempo è misura dell'estensione dell'anima.
Quindi, scuotere per dilatare, per espandere.
E cosa intravede, Gianpia, nella sua poetica ribellione?
Sapete, avrei potuto chiedere, a Gianpia, cosa c'è sullo sfondo delle catene.
E cosa, oltre la rete.
Al solito, non lo faccio.
Perché inseguo mia propria emozione, nel rimirare le sue due oniriche palpitanti immagini.
Oltre la rete, un passaggio.
Non un varco, un rapido trasversale passaggio.
O dell'innafferrabilità, e della condizione di passiva osservazione, al di qua della rete.
Sullo sfondo delle catene, è qui che la mia suggestione, tremebondamente intensa, si dispiega.
Tremebondamente intensa, per quanto è sgomenta.
Sì, vedo viso di venusiano, lassù.
In alto a destra dell'ultimo scuro anello di catena, lo vedo.
Indi, suo corpo.
Clavicole sporgenti - le hanno, le clavicole gli abitanti di Venere? - e gambe divaricate.
L'una termina a piede d'elefante, con l'interno fatty cushion ad allargare la pianta.
La catena è sì scossa, ma non serve a liberare il venusiano, che è infatti in procinto d'articolare un munchiano urlo.
Grazie Gianpia per questa drammatica esplorazione.
Suscitare, muovere, colpire.
Questo riesce alla Fotografia, quando l'esito - come qui - è elevato.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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The Bikeriders: bulli, pupe e quell'America dal respiro cinematografico
Gli Stati Uniti del mito e della libertà nell'epopea immaginifica di Jeff Nichols, tra utopie e violente gentrificazioni sociali.
The Bikeriders di Jeff Nichols ha la capacità di raccontare il duplice volto degli Stati Uniti d'America, accavallando un passaggio generazionale che riflette solidamente il respiro cinematografico voluto dal regista. Nel farlo, Nichols predilige soprattutto le immagini. Sembra una banalità, eppure The Bikeriders è un'opera estremamente cinematica (nel senso stretto del termine), che parte da un contesto di per sé iconico rispetto all'immaginario umano e geografico che abbiamo rispetto agli USA. L'ispirazione, che odora di Marlboro, birra calda e libertà, arriva dall'omonimo fotolibro di Danny Lyon che nel 1968, attraverso diversi scatti (che influiscono sulla messa in scena di Nichols), raccontava l'ascesa dei Vandals MC, un club motociclistico facente parte degli Outlaws MC. Una contro-cultura su due ruote nata sulla Route 66 e rafforzata poi da Marlon Brando, che nel 1954 sarà l'emblema dei motociclisti grazie al suo Johnny Strabler de Il Selvaggio.
Austin Butler è Benny in The Bikeriders
Ho aperto con una digressione riassuntiva ma in qualche modo propedeutica, che aiuta (o aiuterebbe) a capire (ed apprezzare) meglio lo spirito del film. La valenza, come detto, è doppia: l'epopea poetica e dolente di un gruppo di bikeriders (esaltata da una galvanizzazione che parte proprio dalle immagini), e poi l'aspetto sociale e politico (su cui il regista si sofferma nella seconda parte, quella meno istintiva e più quadrata) che le loro gesta hanno generato, scaturendo a loro volta l'archetipo che struttura la fascinazione per un certo tipo di suggestioni, iniziate con la Beat Generation di Jack Kerouac e culminate con Easy Rider di Dennis Hopper. Un film manifesto che segnerà - come vediamo alla fine di The Bikeriders - l'inizio della fine dei gruppi motociclistici americani.
The Bikeriders: sulle ali della libertà
Jodie Comer e Austin Butler sul set del film
Per certi versi, The Bikeriders, scritto dallo stesso Jeff Nichols, è una sorta di film-reportage, che gioca di montaggio e di incroci, facendo brillare il senso del racconto che segue le parole (importantissime nell'economia del film) di Kathy, interpretata da Jodie Comer. È lei che ricuce la storia dei Vandals, grazie alle interviste che rilascia a Danny Lyon (Mike Faist), reporter in erba deciso a seguire le gesta dei motociclisti lungo tutto il Midwest alla fine degli Anni Sessanta. Kathy (ci) racconta di suo marito Benny (Austin Butler, che recita più con gli occhi che con la voce), giacca di pelle e sigaretta sempre accesa, in sella alla sua motocicletta. Simbolo di coraggio e libertà. Gli stessi ideali che confluiscono nel leader dei Vandals, Johnny (Tom Hardy, vero protagonista insieme alla Comer), un outsider ancorato ad una nobiltà d'animo che lo renderà inadatto alla brutalità delle nuove generazioni, segnate dal Vietnam e dall'individualità.
La gentrificazione del mito americano
The Bikeriders funziona soprattutto nella costruzione dei personaggi, uniti ad archetipi precisi, ed inseriti in un contesto immaginifico di grande spessore (su cui lavora bene l'estetica fotografica di Adam Stone). C'è l'America figlia della frontiera, che mal sopporta le regole e diventa famiglia disfunzionale nel concetto più limpido di "branco". Avallando un'amicizia maschia sorretta da significativi e rivelatori silenzi. Nel film di Jeff Nichols, dunque, troviamo le stesse inflessioni di un'opera western, per una rivoluzione che parte da un non-luogo che esiste solo nei film del passato (e quindi, esiste solo nella nostra memoria di spettatori o lettori).
Tom Hardy e Austin Butler, migliori amici nel film di Jeff Nichols
In questo caso, è chiaro quanto lo scavalcamento generazionale (violento) sia fondamentale nella storia, applicandosi al mutamento che, da perdigiorno bonari, invisi alle regole e allo status quo, trasformerà i Vandals in una gang di criminali. Una sorta di infezione, di idealizzazione, e di gentrificazione umana, sviluppatasi parallelamente alla Guerra del Vietnam e all'affermarsi del Capitalismo moderno. Sarà proprio questo il centro sommesso che Nichols finirà per rimodulare, affievolendo metaforicamente il rombo delle motociclette che riempie il sound design del film (un colpo di classe). Di conseguenza ampliando lo spettro sociologico e politico, per una disillusione che creperà l'essenza stessa della libertà e della felicità (che risuona nella Costituzione Americana).
Austin Butler e Jodie Comer, protagonisti di The Bikeriders
Se oggi gli States, vittima di una crisi narrativa, sono sull'orlo dell'implosione avendo perso la peculiare capacità di rigenerare la propria mitologia (di cui fanno parte le Harley-Davidson), The Bikeriders (ri)spolvera proprio quel mitico immaginario, rendendoci parte attiva di una conflittualità riconducibile all'amore e all'amicizia (tra il sangue e il sudore, tra l'ardore e l'ossessione). Un'ambivalenza che predomina nella scrittura, ritrovandovi il feeling giusto legata a quella mitologia di cui oggi sentiamo una terribile mancanza.
Conclusioni
In conclusione la mitologia americana su due ruote nell'epopea di Jeff Nichols, che per The Bikeriders sceglie un cinema immaginifico, è strettamente funzionale alla storia raccontata. Potrebbe risultare inespresso (almeno a tratti), eppure la pellicola, sorretta dal cast (Tom Hardy, Jodie Comer, Austin Butler, e poi il sempre eccezionale Michael Shannon) diventa uno spaccato ben definito, che illumina intelligentemente un accavallamento generazionale: da una parte l'America delle illusioni, dall'altra quella della violenza e dell'individualità.
👍🏻
La storia, innanzitutto.
La scelta fotografica del regista.
Le tre interpretazioni, e la presenza di Michael Shannon.
Una mitologia americana ben definita.
👎🏻
Potrebbe risultare a tratti inespresso.
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Si è chiusa lo scorso sabato 28 settembre la quinta edizione del progetto Eretici. Le strade dei teatri. Violetta Cottini con Roberta e Alessandra Idolfi hanno presentato una prima prova aperta del loro Do fairies have a tail?
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Lo spazio è completamente avvolto nel nero, un silenzio profondo e un buio che sembrano dilatarsi all'infinito. Dopo un tempo indefinito, suoni sottili iniziano a dare forma a ciò che è invisibile: una luce rossa intermittente emerge, disegnando i contorni di rami e di corpi indefiniti che lentamente si sollevano dalla notte. L’oscurità sembra farsi materia, e in quei primi attimi in cui tutto è indistinto, mi tornano alla mente le sequenze di Minuscule - La vallée des fourmis perdues: suoni accelerati e stranianti che evocano i frenetici inseguimenti e le lotte tra formiche rosse e nere in quel microcosmo animato.
Poi, lentamente, una nebbia si diffonde nello spazio portando con sé due figure, Alessandra e Roberta Indolfi. Le loro presenze si muovono all'unisono, quasi fossero un corpo solo, per poi separarsi, ciascuna alla ricerca di un proprio percorso. Il loro movimento è fluido: una cede spazio all'altra per poi ritrovarsi sincronizzate con le loro stesse immagini fantasmatiche proiettate sullo schermo in fondo alla scena. Strisciano a terra, si avvolgono su se stesse, saltano a quattro zampe, per poi fermarsi, tremanti, prima di alzarsi e vestire ali pesanti di legno.
Le proiezioni luminose fanno eco al suono della pioggia che batte, allo scricchiolio di un vetro che si frantuma, allo stridore di una catena di ferro. Questi suoni, quasi tangibili, guidano il nostro sguardo attraverso la bruma: l'occhio si ambienta in questo altrove notturno e misterioso e il buio così si dissolve e rivela forme e presenze fino a quel momento nascoste.
In questo dispositivo scenico multiforme tutto diventa coreografia: i corpi delle performer, i video, il fumo, i tulle, i rami sospesi e il tappeto sonoro. Ogni elemento concorre a definire uno spazio immersivo in cui lo spettatore non è semplicemente un osservatore, ma attraversa una soglia invisibile, entrando in un mondo altro, abitato da esseri antropomorfi che fluttuano tra realtà e immaginazione. Sono corpi o simulacri? Ombre che appaiono e si dissolvono, lasciandoci in bilico tra presenza e illusione.
A un certo punto, il fondale della black box si squarcia, e come in un effetto ronconiano – come suggerito da Gerardo Guccini – la visione si frammenta e si moltiplica oltre il palcoscenico e il video, portando la scena oltre il teatro stesso. Lo spettatore è invitato a compiere un ultimo passo: attraversare il palco, varcare quel limite per entrare nella realtà, che ospita un’installazione fatta di materiali di ricerca e creazione, frutto di cinque mesi di lavoro delle artiste tra La Corte Ospitale di Rubiera e L'Arboreto di Mondaino.
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Nello stesso weekend si è chiuso anche il progetto parallelo a quello di Eretici che è Custodi delle residenze, un gruppo di giovani spettatori e spettatrici che seguono dentro le residenze l'artista selezionato dal bando, in questo caso Violetta, Alessandra e Roberta. Arrivati venerdì a Mondaino i e le Custodi hanno visitato il paese con la guida di Alberto Giorgi e incontrato il direttore dell'Arboreto Fabio Biondi che li ha guidati dentro l'origine poetica e politica del fenomeno delle residenze in Italia. Poi insieme a Francesca Giuliani e Silvia Ferrari si sono dedicati alla costruzione della restituzione del percorso: raccolti pensieri e materiali hanno strutturato infine il loro personale e allo stesso tempo collettivo racconto del processo di incontro e dialogo con le artiste. A partire dal leitmotiv che hanno individuato come filo rosso che tiene insieme tutti i loro sguardi, cioè "rendere visibile l'invisibile", hanno creato un'installazione visiva e auditiva in sintonia perfetta con il processo creativo delle artiste. Di seguito una piccolissima parte del lavoro, la descrizione del percorso installativo e la parte sonora.
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In punta di piedi di Silvia De Angelis: una danza poetica tra nostalgia e natura. Recensione di Alessandria today
Un viaggio delicato tra le sfumature dell’autunno, sospeso tra il rimpianto e la leggerezza di un respiro poetico.
Un viaggio delicato tra le sfumature dell’autunno, sospeso tra il rimpianto e la leggerezza di un respiro poetico. In punta di piedi di Silvia De Angelis è una poesia che invita il lettore a immergersi in un’atmosfera malinconica e contemplativa. Con una delicatezza sorprendente, l’autrice dipinge un paesaggio autunnale che diventa metafora del tempo che scorre e del rimpianto per ciò che è…
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Gaetano Buttaro Secret speck a cura di Edoardo Di Mauro.
Gaetano Buttaro è artista di già lunga e consolidata esperienza. La sua vena creativa lo ha recentemente portato ad un aggiornamento importante del linguaggio, formulato in maniera tale da costituire un naturale proseguimento di poetica, da sempre centrata sull'essenzialità formale. L'onda di questa originaria e coerente ispirazione si infrange felicemente e permea di sé i lavori ultimi, dove si intrecciano con originalità la maggioranza delle dominanti estetiche dell'oggi, formulate con una freschezza espressiva tale da scacciare le noiose ricorrenze del "già visto". Vi è innanzitutto, come componente centrale, un omaggio alla ritrovata poetica "fredda" del corpo, da Buttaro sviluppata con modalità simbolica e devozionale, distante mille miglia da certe recenti performances grandguignolesche. L'artista propone una parte per il tutto, le mani come elemento in grado di sottendere non solo la fisicità , ma soprattutto la spiritualità dell'individuo. Con il tramite di questa fondamentale porzione anatomica Buttaro si cimenta in svariati intrecci, vere e proprie costruzioni formali tali da sfociare in immagini polisignificanti. A questo punto entra in scena l'ausilio tecnologico, adoperato nell'accezione migliore di integrazione estetica e non di autonomo e totalizzante strumento di poetica. La descrizione dei vari passaggi tecnici è tutto sommato superflua. Quanto conta è il risultato finale, ottenuto grazie alle notevoli possibilità offerte attualmente dalla pittura digitale e dalle pratiche di stampa, in grado davvero di portare a nuove frontiere in termini di definizione dell'immagine. Quindi l'artista si avvale strumentalmente dei ritrovati tecnologici per arricchire la sua possibilità di stupirci e di disorientare con la proposta di un'iconografia dal sapore antico ed atemporale, rafforzata, quanto a fascino visivo e forza evocativa, da queste nuove opzioni, con un sapiente connubio che sottolinea la forza del linguaggio dell'arte e le sue infinite possibilità . Partendo da un presupposto figurativo l'immagine scivola docilmente verso la china dell'astrazione, esaltata dalla potenza dei timbri cromatici, autentica cifra stilistica di queste spiazzanti ed originali composizioni. Edoardo Di Mauro, 2020
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
LO STRAPPO DIVENTA SCOPERTA
«…Fino alla nascita dei décollage, nel 1953, io facevo della pittura neo-geometrica. Avevo studiato tutti gli stili e tutti i più grandi maestri, da Kandinskij a Mondrian, da Picasso a Matisse. Poi mi trasferii per due anni negli Stati Uniti, e realizzai una mostra anche lì. Quando tornai in Italia, non volevo più dipingere, perché ero giunto alla conclusione che tutto ormai, in pittura, fosse stato fatto. Una mattina del ’53, mi trovavo nel centro di Roma, e osservavo i muri completamente tappezzati di manifesti pubblicitari lacerati. Ciò mi colpì moltissimo, e pensai: ‘Ecco le nuove immagini che io devo dare al pubblico’. Nessuno aveva mai fatto questo. Così è nato il décollage: è stata una sorta di… illuminazione zen. Allora uscivo di notte dal mio studio e rubavo i manifesti dai muri. Una sera venne a vedere i miei lavori un critico giovane e molto intelligente, un filologo, Emilio Villa. Fu entusiasta, e mi disse: ‘Tu stai inventando una nuova forma d’arte, che va al di là della pittura’. Mi invitò ad allestire una mostra con sei pittori romani sul Tevere. All’inaugurazione c’era un critico americano, il quale sostenne nella sua recensione che l’unico a proporre un nuovo messaggio ero io. Mi definì ‘neo-dadaista’...».
Con queste parole Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 - Milano, 8 gennaio 2006) rievocava la nascita del "decollage", intuizione capace d'innovare il linguaggio artistico del secondo Novecento, inserendosi nella scia della Pop Art, dell'Informale, del Nouveau Réalisme, del NeoDada. Tuttavia, gli schemi non raccontano. Indicano un percorso, delle assonanze, dei richiami. Non bastano: gli artisti fanno storia a sé. La libertà di quegli anni convulsi è massima: la tecnica diventa fenomeno creativo che ribalta il tradizionale rapporto tra significante e significato, dando vita ad una semiosi inaspettata, controversa. Eppure dotata di una poetica profonda, annessa, come nel caso di Rotella, all'antico mistero del tempo e delle sue infinite narrazioni. Lo "strappo" diventa scoperta. E quanto rimane è rappresentazione artistica di un divenire che annulla le distanze saldando passato e presente. Suggestione del perenne.
- Mimmo Rotella, “Europa di notte”, décollage su tela, 1961, Museum Moderner Kunst Foundation Ludwig, Vienna
- Sulla copertina del libro: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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Accrochage
“Il problema della nostra epoca è che è tutta piena di cartelli e priva di destinazioni” questo l’appunto trovato a bordo pagina di quaderno e, come spesso mi succede, senza autore o riferimenti: fiducia in una memoria che è da tempo vagabonda. La cosa particolare è che alcuni giorni fa, in tempi perfetti per questo progetto, un’amica me l'ha suggerito involontariamente inviandomi un link che riportava la citazione completa di autore… coincidenze. Ma tant’è. A ben vedere però farei una piccola, ma significativa, variante al testo di Kronenberger e direi piuttosto che “Il problema della nostra epoca è che è tutta piena di cartelli che indicano destinazioni”. Personalmente preferisco gli indizi alle indicazioni: quanto poco spazio resta altrimenti all’attenzione, all’intuito e alla scoperta se si segue una traccia certa. Meglio perdersi un poco lungo il percorso. Del resto Walser, amato maestro dell’eterno vagabondare nella natura così come nella vita e nell’arte, mi ha insegnato, senza mai deludermi, che in “… un’avventura nomade, dissociata e abbandonata agli incontri più incongrui, casuali e sorprendenti, si abbraccia ogni particolare del circostante e insieme lo si osserva da una invalicabile distanza … “
E questo pensiero mi ha condotta attraverso Accrochage: non volevo dare o avere indicazioni, passare un filo di lettura orientato, ma piuttosto mischiare le carte e dare l’opportunità ad autori diversi tra loro per ricerca ed espressione, di convivere, di confrontarsi e di unirsi in imprevisti incontri. Del resto questo è il tempo o il modo delle espressioni contemporanee, mutanti e aperte, nel quale i confini tra i vari linguaggi sono sempre più labili, difficili da definire e capire, perché si trasformano in continuazione. Accrochage, quindi, un bisticcio o schermaglia, un confronto di lingue, pensieri e poetiche, che rappresenta nel suo insieme una parte dell’espressione artistica attuale, acuta e presente a dispetto di alcuni vuoti propositivi che ci circondano.
Difficile costruire i limiti di una mostra con l’intenzione di non volerla improntare seguendo un tema specifico. Come definire un limite del campo all’interno del quale poter rappresentare l’ordine o il disordine del senso del discorso? Ho scelto di dare un ruolo fondamentale all’insieme cercando di evitare di racchiudere le opere di ogni artista in una situazione di definizione ed invitando artisti in grado di attraversare liberamente ogni contesto espressivo, abbattere generi di appartenenza o correnti e creare una sorta di rebus nel quale poter rintracciare una soluzione, possibile solo tenendo conto dell’ insieme.
Ho chiesto espressamente agli artisti invitati di partecipare con più lavori e su un formato contenuto per poter realizzare un’onda multiforme di immagini che andasse ad invadere in maniera serrata lo spazio, li ho invitati a lasciare andare un’ immediata leggibilità personale per puntare sulla forza di una coralità a più voci.
Un’opera unica, quindi, ad occupare i limiti fisici del locale in una proposizione senza soluzione di continuità tra un autore e l’altro, tra una tecnica e l’altra. Più di sessanta artistia rappresentare pittura, fotografia, grafica, illustrazione, installazione, video, mail art e quanto nasce dalla contaminazione dei singoli ambiti.
Un flusso continuo che contenga , spavaldo, dissonanze e armonie di questa modalità nomade e inquieta . E da questo flusso bisogna lasciarsi assorbire, prestargli attenzione, dare senso e presenza ad ogni singolo passaggio ad ogni frame che lo compone. Del resto le relazioni e le intersezioni si possono strutturare solo attraverso il dettaglio o il frammento, appunto. E qui naturalmente si entra nel merito dei singoli lavori, dell’opera nella sua unicità, nel filo armonico della poetica di ogni singolo artista che possiamo riconoscere e rintracciare, come una voce amata, all’interno del coro di commistioni di segni e linguaggi.
La partecipazione così numerosa rende impossibile dedicarmi con parole ad ogni singola presenza senza cadere in una sintesi parziale e vaga; solo la visione accurata delle opere stesse può accompagnarci in questa conoscenza. E se l’incessante bombardamento di immagini e di informazioni spesso portano la vista ed insieme il pensiero ad essere distratti e superficiali, qui, forse, le dissonanze possono esserci d’aiuto: farci da inciampo per condurci a rallentare il movimento e salvarci dal battere il naso contro la disattenzione.
Patti Campani, maggio 2013
ACCROCHAGE un progetto a cura di Patti Campani
Partecipano:
Claudio Alba, Marco Ara, Aseret Marille, Giampaolo Atzeni, Angelo Barile, Pietruccia Bassu, Lancillotto Bellini, Mauro Bellucci, Davide Bonazzi, Barbara Bonfilio, Carmine Calvanese, Silvia Camagni, Totò Cariello, Daniele Carnovale, Luna Cesari, Daniele Contavalli, Corti Manuela, Michele D’Agostino, Laura della Gatta, Federica De Ruvo, Luca Di Martino, Fernando Di Nucci, Roberta Fanti, Fathi Hassan, Massimo Festi, Roberta Filippelli, Maria Grazia Galatà, Alberto Gallingani, Marina Gasparini, Anna Girolomini, Vittorio Gui, Piotr Hanzelewicz, Holly Demetra Heuser, Gabriele Lamberti, Marco Lavagetto, Paolo Maggi, Bruno Mangiaterra, Luigi Mastrangelo, Viviana Mauriello, Antonella Mazzoni, Gianfranco Milanesi, Mauro Molle, Monalisa Tina, Daniela Montanari, Sabrina Muzi, Emilio Nanni, Nieddu Gianni, Marilena Pasini, Simone Ponzi, Loredana Raciti, Nicola Rotiroti, Mauro Sambo, Gianfranco Sergio, Mike Michele Sigurtà, Gabriele Talarico, Elettra Tam Vania, Danilo Vaiz, Vittorio Valente, Samantha Vichi, Stefano Scheda, Sozzi Valentina, Xel, Roberto Zizzo
Opening: sabato 8 giugno dalle 19 alle 23
Fiorile+spazioUN1CO, via baruzzi 1\2 Bologna
8 - 18 giugno
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