#poetica delle immagini
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Una poetica della profondità
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La Poetessa dell'Ignoranza: Una Riflessione Profonda di Anne Sexton. Recensione di Alessandria today
La lotta tra corpo e spirito: poesia come confessione e redenzione
La lotta tra corpo e spirito: poesia come confessione e redenzione Anne Sexton, una delle poetesse più intime e iconiche del XX secolo, ci offre con “La Poetessa dell’Ignoranza” un componimento che esplora l’essenza della condizione umana, la sofferenza e la ricerca incessante di significato. La sua scrittura è un dialogo aperto con il dolore, una confessione che si snoda tra disperazione e…
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Storia Di Musica #329 - Diaframma, Siberia, 1984
Nella scatola ritrovata in soffitta, questo disco stava sotto un altro, con la copertina leggermente rovinata dall'umidità (e che sarà protagonista di una prossima Storia di Musica). All'interno c'era il bigliettino da visita di un negozio di dischi, Data Records 93, Via dei Neri, Firenze. Il disco di oggi è l'inizio di una delle più intense e importanti storie musicali italiane degli ultimi 40 anni nel nostro paese. Tutto inizia a Firenze, fine anni '70, quando l'onda punk in Europa è al massimo livello: in un liceo si formano i CFS, con Federico Fiumani alla chitarra e due suoi amici, Gianni Cicchi (batterista) e Salvatore Susini (bassista). Suonano cover delle band punk rock britanniche, nel 1980 Susini se ne va e viene sostituito dal fratello di Cicchi, Leandro, e nascono così i Diaframma, nome scelto per la comune passione dei tre per la fotografia (il diaframma fotografico è il meccanismo usato in ottica per regolare la quantità di luce che deve attraversare un obiettivo). Sin da subito, si appassionano alle sonorità post punk che in quegli anni saranno chiamate darkwave, ispirati a gruppi leggendari come i Joy Division o i primissimi The Cure di Robert Smith. Nel 1981 conoscono Nicola Vannini, un giovane cantante, e gli propongono di entrare nel gruppo: pubblicano in pochi mesi due canzoni unite in un singolo, Pioggia/Illusione Ottica e poi Circuito Chiuso (1982) e Altrove (1983). Vannini non si ambienterà mai del tutto, e poco prima delle registrazione del loro primo disco, viene sostituito da Miro Sassolini. Nelle stesse settimane, vengono scritturati da una neonata casa editrice musicale, la IRA Records di Firenze: fondata da Alberto Pirelli insieme alla moglie Anne Marie Parrocel diviene una delle etichette più attive e creative del panorama italiano. Ne è esempio il primo disco prodotto, Catalogue Issue, una compilation con alcune delle più interessanti band del territorio, tra cui oltre che i Diaframma si ricordano i Litfiba, i Moda, ed gli Underground Life. Pirelli coniò lo slogan nuova musica italiana cantata in italiano, dando consistenza all'impegno delle 4 band sull'utilizzo della lingua italiana nella musica alternativa del nostro paese, contro l'anglofila e l'alglofonia dominante di quegli anni.
Tutto è pronto per il primo disco: scritto tutto da Federico Fiumani, prodotto da Ernesto De Pascale (che fu anche grande giornalista di musica) Siberia esce nel Dicembre del 1984. È un album in cui l'eleganza e la forza espressiva della musica incontra la poetica decadente di Fiumani, che nella voce di Sassolini trova un interprete perfetto del suo pensiero musicale e artistico. 8 brani che sono una carrellata di immagini che regalano sensazioni fredde, pungenti, dominate dalle falciate chitarristiche tipiche della musica del periodo e dal ritmo sincopato della batteria, e illuminati dai testi romantici e decadenti di Fiumani. Siberia, che apre il disco, è già l'emblema: una chitarra malinconica, il basso dai toni ombrosi ed un elegante sassofono accompagnano una voce tenebrosa rendendo il brano misterioso, Aspetterò questa notte pensandoti,\nascondendo nella neve il respiro,\poi in un momento diverso dagli altri\io coprirò il peso di queste distanze…\di queste distanze… di queste distanze. Non da meno Neogrigio, angosciante, turbinante, ventosa, capolavoro per i più sconosciuto. Impronte è una dolente poesia ritmata (Ho preferito andare prima di esser lasciat\Prima che il cuore da solo scivolasse nel buio\Insieme ai ventagli ingialliti\Resti un lampo intravisto oltre i vetri del treno\Nello spazio improvviso sopravvive in un sogno), e arriva un altro capolavoro: Amsterdam, dal leggendario ritornello (Dove il giorno ferito impazziva di luce\Dove il giorno ferito impazziva di luce) è una speranza di uscita dal dolore, e l'anno dopo, nel 1985, diventerà un formidabile duetto con i Litfiba di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, band amica\nemica di quei tempi e destinata d un futuro radioso. Delorenzo è una ode baudeleriana, incentrata su un asfissiante basso, Memoria è un altro brano di discesa nell'oscurità, potente e misterioso, Specchi D'Acqua dal ritmo incalzante e quasi galoppante, è una fuga dagli incubi (Forse non sento le voci\Che mi allontanano\Sempre più in fretta\Dal ricordo latente\Di quei giorni sofferti), chiude il disco Desiderio Dal Nulla, trepidante, spasmodica, che continua nei suoi testi decadenti a raccontare il disagio.
Il disco fu osannato dalla critica dell'epoca, ma vista anche la dimensione indipendente del progetto, vendette poco. I Diaframma si fanno però un nome nella scena musicale alternativa italiana: è meno cupo ma altrettanto bello 3 Volte Lacrime, del 1986 e dopo Boxe (1988), un po' deludente, Fiumani scioglie il gruppo e lo riforma prendendo le redini anche del canto: pubblicherà con i nuovi Diaframma In Perfetta Solitudine (1990), che segnerà la sua volontà di continuare una carriera solista, tra cantautorato e musica rock, incisiva a volte a tratti scostante, con in primo piano la sua poesia dei testi, mai mancata.
Questo disco verrà ripubblicato in cd per la prima volta nel 1992, con aggiunta di altri due brani Elena e Ultimo Boulevard e nel 2001 con Amsterdam cantata con i Litfiba e numero brani live. Nel 2012, per il suo centesimo numero dell'edizione italiana, la rivista Rolling Stone Italia lo inserisce nella classifica del 100 migliori dischi italiani addirittura al 7.mo posto. È una riscoperta per almeno due generazioni: persino io lo comprai, non conoscendoli e non sapendo che nella soffitta di casa era, integro e impolverato, uno dei dischi più compiuti, affascinanti e belli non solo della stagione new wave post punk degli anni '80, ma dell'intera musica italiana.
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Questo volume, nato dall’incontro tra lo scrittore Christian Bobin e il fotografo Edouard Boubat, presenta il sapiente dialogo tra la parola poetica dello scrittore e le immagini in bianco e nero scattate da uno dei più rinomati fotografi a livello internazionale. Due sguardi differenti ma con una sensibilità affine si sono misurati in un progetto comune, ciascuno dando voce al suo personale alfabeto. Il risultato è quindi il frutto dei viaggi del fotografo, che ha attraversato il pianeta per catturare attimi di vita, e dell’ispirazione dello scrittore germinata dall’abbandonarsi all’osservazione attenta delle fotografie. Il libro, pubblicato per la prima volta in Francia da Gallimard, sarà una sorprendente scoperta sia per i lettori affezionati alla scrittura di Bobin, sia per coloro che apprezzano la ricerca fotografica di Boubat.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
GLI STRATI DEL TEMPO
«Fino alla nascita dei décollage, nel 1953, io facevo della pittura neo-geometrica. Avevo studiato tutti gli stili e tutti i più grandi maestri, da Kandinskij a Mondrian, da Picasso a Matisse. Poi mi trasferii per due anni negli Stati Uniti, e realizzai una mostra anche lì. Quando tornai in Italia, non volevo più dipingere, perché ero giunto alla conclusione che tutto ormai, in pittura, fosse stato fatto. Una mattina del ’53, mi trovavo nel centro di Roma, e osservavo i muri completamente tappezzati di manifesti pubblicitari lacerati. Ciò mi colpì moltissimo, e pensai: ‘Ecco le nuove immagini che io devo dare al pubblico’. Nessuno aveva mai fatto questo. Così è nato il décollage: è stata una sorta di… illuminazione zen. Allora uscivo di notte dal mio studio e rubavo i manifesti dai muri. Una sera venne a vedere i miei lavori un critico giovane e molto intelligente, un filologo, Emilio Villa. Fu entusiasta, e mi disse: ‘Tu stai inventando una nuova forma d’arte, che va al di là della pittura’. Mi invitò ad allestire una mostra con sei pittori romani sul Tevere. All’inaugurazione c’era un critico americano, il quale sostenne nella sua recensione che l’unico a proporre un nuovo messaggio ero io. Mi definì ‘neo-dadaista’.».
Con queste parole Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 – Milano, 8 gennaio 2006) rievocava la nascita del "decollage", intuizione capace d'innovare il linguaggio artistico del secondo Novecento, inserendosi nella scia della Pop Art, dell'Informale, del Nouveau Réalisme, del NeoDada.
Tuttavia, gli schemi non raccontano.
Indicano un percorso, delle assonanze, dei richiami.
Non bastano: gli artisti fanno storia a sé.
La libertà in quegli anni convulsi è massima.
La tecnica diviene essa stessa fenomeno creativo, così prorompente da ribaltare il tradizionale rapporto tra significante e significato, fino a una semiosi inaspettata, controversa.
Eppure dotata di una poetica profonda, ammessa, come nel caso di Rotella, all'antico mistero del tempo e delle sue infinite narrazioni.
Lo "strappo" diventa scoperta.
E quanto rimane è rappresentazione artistica di un divenire che annulla le distanze, saldando passato e presente.
Suggestione del perenne.
Nascosto.
Svelato.
- Mimmo Rotella, "Europa di notte", 1961, Mumok, Vienna
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Walker Evans. Parte terza: grandezza e contraddizioni
di Paolo Felletti Spadazzi
--- Un nuovo modo di vedere
-- Quando ci narra la storia della fotografia in America, Susan Sontag (Sontag 2004) inizia con una citazione di Walt Whitman (1819-1892), il padre della poesia americana, secondo il quale "ogni oggetto o condizione o combinazione o processo esprime una sua bellezza". Secondo Sontag "la fotografia americana è passata dall'affermazione all'erosione e da questa alla parodia del programma di Withman. Il più edificante personaggio di questa storia è Walker Ewans", la cui poetica."deriva ancora da Whitman, e precisamente dall'abbattimento delle discriminazioni tra bello e brutto, tra importante e banale". Questo modo di vedere ricorda una citazione del Talmud che Guido Guidi ama ripetere: “Ovunque tu guardi c’è qualcosa da vedere”. Walker Evans ci insegna a vedere in modo diverso le cose di ogni giorno, un po' come fece la pop art negli anni '60, usando oggetti quotidiani come le bottiglie di Coca Cola o le lattine di zuppa al pomodoro.
A sinistra: Walker Evans, Griglia per camion, Connecticut (1973). A destra:. Robert Rauschenberg, Auto con telone (1979)
Anche il famoso illustratore Saul Steinberg (1914-1999) avrebbe affermato che Evans ha insegnato a vedere a tutta una generazione (Katz 1971).
John Szarkowski, nella sua introduzione alla retrospettiva su Evans esposta al MoMA nel 1971, scrive: "Le immagini di Evans hanno ampliato il nostro senso della tradizione visiva utilizzabile e hanno influenzato il modo in cui ora vediamo non solo altre fotografie, ma anche cartelloni pubblicitari, discariche, cartoline, stazioni di servizio, architettura vernacolare, strade principali e pareti delle stanze."
Nel 1933 il Museum of Modern Art espone "Walker Evans: Photographs of 19th Century Houses", che è la prima mostra fotografica personale allestita da un importante museo negli Stati Uniti.
Nel 1938, in occasione della celebre personale di Evans, American Photographs, sempre al MoMA, Thomas Mabry, direttore del Museo, osservava che Evans era ritenuto dai suoi ammiratori uno dei più grandi fotografi americani viventi.
Tuttavia, un incremento ancora maggiore della popolarità di Evans derivò dalla mostra retrospettiva del 1971 e dalla relativa pubblicazione, entrambe curate per il MoMa da John Szarkowski.
1971. Copertina della monografia su Walker Evans curata da John Szarkowski insieme alla omonima esposizione allestita al MoMA
A tale proposito Lewis Baltz afferma che “a metà degli anni settanta il prestigio di Evans era così assoluto da far pensare che in America non fosse possibile intraprendere alcuna ambiziosa attività fotografica senza invocarne il nome [...] Per moltissimi fotografi americani Evans è quello che Cartier-Bresson è per i francesi: un artista con un retaggio inesauribile”
Numerosi altri storici e critici collocano Evans fra i fotografi più influenti e famosi del 20° secolo (Hilton Kramer, Bruce Jackson, David Campany, Philippe De Montebello e Maria Morris Hambourg).
In particolare Hilton Kramer (1928-2016), noto critico e saggista statunitense, nella sua introduzione alla biografia di Walker Evans redatta da James Mellow (Mellow 2001), afferma che "è stato riconosciuto da lungo tempo che Walker Evans è stato in America il più grande fotografo della sua generazione. Ciò che viene riconosciuto meno spesso è che è stato anche una delle figure emblematiche nell'arte e nella cultura del suo periodo storico".
Naturalmente una personalità di spicco come quella di Evans non poteva che dividere le opinioni del suo pubblico, in particolare all'inizio della sua carriera. Ad esempio, il fotografo Ansel Adams scrisse che le fotografie di Evans gli avevano fatto venire un'ernia (Rathbone 1995).
Tra i fotografi italiani che riconoscono l'importanza di Evans per la propria formazione ricordiamo Luigi Ghirri (Ghirri 2021), che scrive "Evans è l’autore che ho amato, amo e stimo più di ogni altro e che sento più vicino. Ho visto le fotografie di Evans nel 1975, e ritengo sia stato fondamentale per il mio lavoro, per quello che avevo fatto e stavo facendo e per il suo successivo sviluppo” (Ghirri 2021).
Gabriele Basilico, parlando di Evans, affermò: “penso sia stato il mio vero grande maestro segreto, un riferimento etico e estetico che ha molto influenzato il mio lavoro” (Gasparini 2016).
Michele Smargiassi, che ha curato una recente monografia su Evans (Smargiassi 2021), lo definisce "il più misterioso, sfuggente, contraddittorio (azzardiamo: anche il più grande) dei fotografi americani".
B/N o colore?
Secondo Oscar Wilde "La fedeltà è per la vita sentimentale ciò che la coerenza è per la vita intellettuale: semplicemente la confessione di un fallimento". E l'attività di Evans, coronata da indubbio successo, non è stata certo esente da aspetti contraddittori che accenneremo di seguito.
Consideriamo dapprima il rapporto di Evans con la fotografia a colori.
Evans sosteneva che la pellicola a colori può essere usata validamente quando la caratteristica di un soggetto è la sua volgarità e quando il colore proviene dalla mano dell’uomo.
1958. Architectural Forum, Color Accidents
Anche se le fotografie più conosciute di Evans sono in bianco e nero, occorre ricordare che realizzò, tra il 1945 e i 1965, ben nove memorabili portfolio con fotografie a colori per la rivista Fortune e la serie "Color Accidents", tutta imperniata sul colore, per la rivista Architectural Forum.
Però, in un'intervista del 1971, quando Paul Cummings gli chiese se era mai stato interessato dalla fotografia a colori, Evans rispose che aveva fatto fotografie a colori in alcune occasioni, ma non lo approvava molto. E soggiunse "Perché credo che il colore non sia ancora veritiero. Inoltre credo che non ce ne sia bisogno. E che non sia nemmeno durevole".
In un'altra occasione disse che uno degli aspetti positivi del colore è la sua deperibilità.
Quando, a partire dal 1973, cominciò ad utilizzare compulsivamente una Polaroid SX-70, ebbe a dire: "Un anno fa avrei detto che la fotografia a colori era volgare. Il paradosso è una mia abitudine. Ora mi dedicherò con grande cura al mio lavoro a colori" (Mora 2004).
Niente politica
Altri aspetti contraddittori possono essere osservati nel rapporto di Evans con la politica e, in particolare, con l'establishment americano dell'epoca, di cui si è fatto cenno anche nella seconda parte.
Evans espresse più volte le sue riserve nei confronti della fotografia che pretende di cambiare il mondo.
Tuttavia, nel 1933, all'inizio della sua carriera, Evans accetta un lavoro con rilevanti aspetti politici. L'editore J. B. Lippincott chiede a Evans di realizzare le fotografie per un libro del giornalista radicale Carleton Beals (The Crime of Cuba) che costituisce una violenta accusa agli interessi del capitalismo nordamericano, che proteggevano la brutale dittatura del presidente cubano Gerardo Machado. Alcune delle 31 fotografie che vengono scelte da Evans per la pubblicazione, tra le centinaia di scatti eseguiti, sembrano riflettere l'impegno politico del libro.
1933 L'ultima fotografia di The Crime of Cuba. Compaiono le scritte Abbasso la guerra Imperialista e Appoggiamo lo sciopero dei lavoratori di sigari
Due anni dopo Evans viene reclutato dalla Resettlement Administration, divenuta in seguito Farm Security Administration (FSA). La principale finalità della sezione Storica della FSA, dove viene arruolato Evans, è di documentare, ai politici e a tutti i cittadini americani, la povertà rurale seguita alla grande depressione del '29, anche per giustificare i conseguenti interventi governativi di sostegno. Una nota redatta a mano da Evans in tale occasione, nella quale elenca le richieste da fare al suo nuovo datore di lavoro, si conclude con la frase "NO POLITICS whatever" (Niente politica, in nessun modo).
Infine, nel 1938, in una nota introduttiva (non pubblicata) al proprio libro fotografico American Photograph, ritiene necessario precisare che le fotografie "sono presentate senza sponsorizzazioni o collegamenti con le direttive, estetiche o politiche, di nessuna tra istituzioni, pubblicazioni o agenzie governative per le quali è stato svolto parte del lavoro".
Si registra quindi un continuo tentativo da parte di Evans di dimostrare di aver effettuato le riprese in modo totalmente indipendente dalle finalità del proprio committente, anche se in certi casi come quello di Cuba, il risultato finale è stato evidentemente utilizzato anche con fini politici.
Nonostante questa asserita disaffezione per la politica, nel 1971, quando fu intervistato da Leslie Katz, Evans affermò: "All'epoca ero davvero antiamericano. (al ritorno da Parigi 1927-1930) L'America era un grande business e volevo scappare. Mi ha nauseato. La mia fotografia è stata una reazione semiconscia contro il retto pensiero e l'ottimismo; era un attacco all'establishment" (Katz 1971).
A quanto pare, quello che Lewis Baltz definisce "il più americano dei fotografi" (Baltz 2014), potrebbe forse essere stato, allo stesso tempo, il più antiamericano di essi.
Bibliografia
Baltz, Lewis (2014). Il più americano dei fotografi, in Scritti, Monza: Johan & Levi (ed. or. 2013)
Beals, Carleton (1933). The Crime of Cuba. Philadelphia: J. B. Lippincott,.
Cummings, Paul (1971), Oral history interview with Walker Evans, Oct. 13-Dec. 23, Archives of American Art, Smithsonian Institution https://www.aaa.si.edu/download_pdf_transcript/ajax?record_id=edanmdm-AAADCD_oh_212650
Evans, Walker (2012). American Photographs, New York: Museum of Modern Art (ed.or. 1938)
Gasparini, Laura (a cura di) (2016). Walker Evans. Italia, Milano: Silvana Editoriale
Ghirri, Luigi (2021). Niente di antico sotto il sole, (scritti e interviste a cura di Francesco Zanot), Macerata: Quodlibet.
Katz, Leslie (1971) in Bertrand, Anne ed. (2017). Walker Evans. Le Secret del la Photographie. Entretien avec Leslie Katz, Parigi, Centre Pompidou parzialmente riportata in: https://americansuburbx.com/2011/10/interview-an-interview-with-walker-evans-pt-1-1971.html
Mellow, James R. (2001). Walker Evans, New York, Basic Books
Mora, Gilles; Hill, John T. (2004), Walker Evans: The Hungry Eye, LondonThames & Hudson (prima ed. 1993)
Rathbone, Belinda (1995). Walker Evans: A Biography, Boston: Houghton Mifflin Harcourt
Smargiassi, Michele (ed.) (2021). Walker Evans, Roma: Roberto Koch Editore
Sontag, Susan (2004). Sulla fotografia, Torino: Einaudi, (ed. or. 1973)
Szarkowski, John (1971). Walker Evans, New York: MoMA
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Saiyuki Graffiti
Premessa
Prima di mettere i “Saiyuki Graffiti”,con tanto di traduzione,vorrei fare un sentito ringraziamento a Code.Veronica (1) per avermi fornito il collegamento al suo blog (in cui ci sono anche le illustrazioni che metterò sempre grazie a lei) e a Elfsoto per le traduzioni in inglese. La traduzione dall'inglese sarà basata dal blog KonnyakuHonyaku mentre le immagini che vedrete sono tratte da questa pagina del blog di Cod.Veronica, dove potrete anche ammirare e leggere la sua traduzione ben più dinamica e poetica della mia che vi dico fin da subito che è più scarna e letterale, quindi ribadisco GRAZIE PER LA VOSTRA GENTILEZZA E DISPONIBILITÀ
Bene ora passiamo all'opera vera e propria.
02. La luna precipita, gli uccelli piangono e siamo un tutt'uno col cielo gelato. Alle lampare che dormono dolorosamente nel fiume sotto l'acero, dal freddo tempio di montagna fuori dell'antico castello, la voce della campana di mezzanotte arriva alla barca passeggeri.-Nagatsugu
03. La punta della scopa di bambù incontra leggermente il terreno,le foglie cadute gridano con un secco, frusciante suono. L'uomo ascoltava, seduto da solo su un corrimano nel corridoio del tempio principale. Da lì, ancora non riusciva a vedere il giovane ragazzo che scopava il cortile del tempio.
Il Sole si chinò e nubi cumuliformi coprirono facilmente lo sbiadito cielo viola. Sembrava un pesce gigante che nuotava dall'autunno fino all'inverno. Aspettando il ragazzo che sarebbe apparso qui a poco, l'uomo cercava parole informali di saluto.
Non poteva sperare di catturare il viola gradualmente sempre più profondo del cielo,così come quei puri e magnifici occhi.
In quel lontano giorno, caduto nel cielo orientale.
04. Questi dolcetti di riso al mio fianco, lasciateli soli e fuori da qui.
05. Con chi diavolo pensate di parlare voi? Vi ammazzo!…Non stiamo esprimendo molta differenza dal solito.
06. Uccello senza casa, verso quale oscurità vai, mentre piangi un invito al nulla?
07. Quella dolce, dolce caramella era sempre offerta dalla manica dell'uomo; per questo motivo il ragazzo credeva fosse una tasca magica.
Ti mostrerò che posso fare qualsiasi cosa tu mi insegni sempre meglio. L'uomo socchiuse gli occhi già socchiusi in un sorriso e disse soavemente belle parole mentre mise della caramelle in carta colorata da regalo nella piccola mano del ragazzo. Erano dolci abbastanza sulla lingua del ragazzo, come un arcobaleno in frantumi, da fargli dimenticare i dolori del suo corpo.
“Sono una delle tue caramelle, se urti la tasca il biscotto si rompe. Se urti più e più volte si trasforma in briciole e quando soffia il vento,addio.”
Dolce e doloroso, più oscuro dell'oscurità, il sapore del cioccolato è come una droga.
08. “Questa voce non raggiungerà nessuno.”
09. “��-Ci vediamo. Continua a vivere, Gojyo.”
Sussurò, apparentemente senza un briciolo di senso di colpa, e se ne andò a passo leggero nella città di sera. Anche se aveva trascorso un anno lontano, questo era il posto dove era abituato a vivere; scegliendo il suo sentiero, sarebbe stato in grado di uscire dalla città senza essere visto da nessuno. L'uomo infallibilmente si diresse verso un vicolo stretto, facendo scivolare il suo corpo esile come un gatto.
Mentre camminava, frugò nella sua tasca posteriore,ma ricordandosi che aveva già buttato via la scatola vuota si morse la lingua.–All'improvviso il calore salì lungo il suo fianco. Senza nemmeno il tempo di girarsi, il coltello che lo ha colpito affondò nella carne brutalmente. Respirò in modo affannoso per 2 o 3 secondi, quindi senza dire una parola, cadde per terra. La schiena di un uomo dal piccolo corpo, in fuga, entrò nella sua visuale per un momento ma non era nessuno che ricordava. Per il metodo era probabilmente un qualche ragazzo esperto assunto per soldi. A proposito di…..cosa era succeddo alla ragazza dello yakuza di un anno fa? Non faceva differenza. Proprio così, nulla conta ora per me. Si dibattè nella pozza di sangue caldo per alzarsi,senza pensare; alla fine crollò rivolto verso l'alto. Stava ancora sorridendo, formando un sorriso con gli angoli di quella rossa, rossa bocca. Hyuuu..una leggera brezza urlò a intermittenza. È stato il vento proveniente dalla gola dell'uomo. “—jyo.” Al posto della sillaba sorda,piccole bolle rosse erano sorte e scoppiate.
“……Dammi una…..sigaretta, si?”
Lentamente le punte delle dita si protesero verso il vuoto, ma la luce di una sigaretta non ardeva lì.
Cattive compagnie
10. Legame
Se esiste uno stile di vita che esalta la libertà, allora deve anche esistere uno stile di vita che protegge ciò a cui sei legato.
11. Questo confortevole dolore che lega il mio petto mi dice,quando sono orgoglioso di me stesso, che sicuramente posso diventare più forte di chiunque altro.
12. Il ripido sentiero di montagna continuava. Tuttavia il giovane uomo che camminava davanti a me non voltava il suo bellissimo viso,continuava solo a camminare. A differenza del continente occidentale dove era nato e cresciuto, la maggior parte di questa terra non era lastricata. Io, col mio corpo che non sentiva più “le avversità"sono un caso a parte, ma è chiaro che per il giovane uomo dal corpo delicato questo viaggio era considerevolmente difficile. Così dicendo, quando cercavo in modo maldestro di preoccuparmi e dargli una mano, lui si arrabiava. "Che azioni inutili…..tutto quello che devi fare è guardarmi le spalle.” Quando rimanevo in silenzio, incerto del reale significato delle sue parole,il giovane uomo sussurrava,ancora con la sua sottile schiena verso di me,“Essere sorvegliati da qualcuno–il tuo cuore non si romperà in questo modo”. Quelle parole erano,alla fine,dure e in un qualche modo autoironiche. Non intendeva dire “È confortante avere qualcuno accanto.”; intendeva dire che, colui il quale non trovava nulla di più imbarazzante che mostrare fatti imbarazzanti agli altri, sommetteva il suo orgoglio sulla sicurezza al fine di evitare di perdere davanti a se stesso.
Se fosse stato meglio che non mi trovassi qui,non m'importa.
Se ha detto di vegliare, io lo farò finché questo corpo non decadrà e sparirà. Solo quando c'è bisogno di me—allora queste braccia che hanno perso il loro calore vitale, possono attraversare quella distanza.
Il destino cade senza suono.
13. Ultimamente la routine dell'uomo è stata quella di scambiare parole senza significato con la donna nella cella del seminterrato. Da qualche giorno si sarebbe recato nel seminterrato per quello che lui chiamava “ammazzare il tempo”; si divertiva a prendere il tè mentre le donne, tenute come giocattoli, singhiozzavano e si disperavano. Ma fin dall'inizio quella donna era in qualche modo diversa. “Hey mi sto annoiando. Perché non parliamo?” Quella fu la prima volta che l'uomo era usato per “ammazzare il tempo”. Anche se la donna si lamentava, non ha mai implorato per la sua vita; invece avrebbe posto un indovinello,usando parole o numeri oppure tirando fuori un ricordo senza senso. Se avesse mostrato anche il più piccolo interesse lei sarebbe apparsa trionfante come se si fosse presa la rivincita. Innumerevoli volte si chiedeva se dovesse ammazzarla, ma per qualche ragione non riusciva a metterlo in atto.—C'era un nome che la donna spesso pronunciava. Impassibilmente diceva che quello era il nome del suo fidanzato,il suo fratello gemello più giovane. Quando chiedeva se suo fratello le assomigliasse lei rispondeva “La sua faccia probabilmente si. Lo incontrerai anche. Lui è quasi qui, dopotutto.” lei sorrise brillantemente abbastanza da far venire un brivido lungo la schiena dell'uomo. Quando domandò che cosa avrebbe fatto il fratello una volta giunto, la risposta venne tra due sottili dita bianche premute contro le labbra cremisi: probabilmente solo una cosa. Era il cenno che la donna faceva quando stava risolvendo un indovinello.
“—Ahh, quindi la donna è morta?” chiamò l'uomo verso la schiena insanguinata del giovane rannicchiato a terra, perduto. È tutto allo scopo di continuare quella conversazione senza significato.
Reminiscenze di burattini.
16. Dopo
Sono grata che non troppo tempo fa mi è stato chiesto di fornire un “opuscolo” di tutti. A causa dei miei problemi personali fisici, la creazione e la distribuzione sono stati entrambi terribilmente ritardati e chiedo umilmente il perdono di tutti a causa di questo inconveniente. Tutte le immagini pubblicate in questo “opuscolo” sono state realizzate mentre ero in congedo….in altre parole sono state disegnate dopo essere stata dimessa dall'ospedale. Avevo già creato prima molti schizzi inchiostrati per l'uso di questo pamphlet, ma ogni volta che pensavo di continuare a disegnare il Manga di “Sayiuki”, volevo lottare e affrontare i miei problemi in modo corretto e così ho ridisegnato tutto da zero. Personalmente mi sono divertita a disegnarli e se qualcuno li apprezzerà anche solo un po', ne sarò felice. Da ora in poi spero che tifiate per questi personaggi di Saiyuki. Kazuya Minekura, un dì di Agosto, 2007.
Note:
(1) Purtroppo il blog di VeronicaCode non c'è più in quanto la piattaforma non è più online almeno dal 2019-20. Scoprirlo mi ha rattristata molto perché amavo il suo blog e c'erano sempre chicche bellissime su Saiuyki. Per fortuna ho ancora i suoi contatti e posso chiederle se ha salvato il materiale (come ho fatto il con saiyukiiyalia) e se pianifica di metterlo in altre piattaforme.
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Darreire l’Ourisount: Oltre l’Orizzonte della Cultura Alpina
Darreire l’Ourisount” (Oltre l’orizzonte) è un’opera cinematografica di Sandro Gastinelli che celebra la straordinaria avventura della Escolo del Magistre Sergio Arneodo, una scuola che ha rappresentato il cuore pulsante di un riscatto culturale e sociale per le comunità delle valli di Cuneo. Il film, un tributo alla cultura alpina, cattura l’anima di un’esperienza educativa unica nel suo genere, che ha trasformato una piccola scuola di montagna in un laboratorio didattico e letterario riconosciuto a livello europeo.
La Scuola di Coumboscuro: un Faro di Cultura
Nel dopoguerra, sulle Alpi occidentali, la scuola di Coumboscuro divenne un simbolo di rinascita. Qui, un gruppo di ragazzi guidati dal loro maestro, Sergio Arneodo, riscoprirono la lingua e l’identità provenzale alpina, dando vita a un movimento culturale che ha coinvolto intere comunità. “Darreire l’Ourisount” racconta questa avventura condensandola in un solo anno scolastico, da settembre a giugno, durante il quale le vite di una ventina di ragazzi si intrecciano con quella del loro “Magistre”. È un viaggio che va oltre il tempo, esplorando la memoria, la lingua, la poesia e, soprattutto, la cultura delle Alpi.
La Regia di Sandro Gastinelli: Una Narrazione Poetica
Sandro Gastinelli, regista e uomo di montagna, ha dedicato la sua vita alla documentazione e valorizzazione della cultura alpina. Attraverso immagini toccanti e una narrazione lirica, Gastinelli porta lo spettatore “oltre l’orizzonte”. La sceneggiatura è arricchita dalle voci di grandi personalità della cultura italiana, come Paolo Conte, Toni Servillo, Lella Costa e Giovanni Lindo Ferretti, che recitano poesie nel patois provenzale delle valli. Questi contributi artistici, uniti alla colonna sonora della formazione musicale Milladoiro, creano un’esperienza immersiva e coinvolgente.
Un Tributo alla Cultura delle Valli di Cuneo
Le valli di Cuneo, con la loro storia, lingua e cultura, sono le vere protagoniste di questo film. “Darreire l’Ourisount” è stato girato nel 2009, ma è stato presentato al pubblico solo nel 2023, in occasione del decennale della scomparsa di Sergio Arneodo. Le proiezioni si sono svolte nei luoghi simbolo delle Alpi occidentali, come Vinadio, Bellino ed Elva, coinvolgendo comunità che condividono lo stesso entusiasmo identitario.
Letteratura, Teatro e Poesia: il Cuore della Cultura Alpina
La narrazione di “Darreire l’Ourisount” si basa sulla letteratura pura e limpida, che rappresenta la cultura delle Alpi. I dialoghi, curati con attenzione, e le scene evocative creano un legame tra passato e presente, rendendo omaggio alla creatività dei ragazzi dell’Escolo. Il film si presenta come un mosaico di poesia, teatro e vita quotidiana, che celebra la dignità di una cultura spesso trascurata.
Un’Opera Senza Tempo per la Cultura delle Alpi
“Darreire l’Ourisount” non è solo un film, ma un manifesto per la cultura alpina. Esso restituisce dignità e valore a una civiltà ricca di tradizioni, mostrando come la lingua e l’identità possano essere strumenti di riscatto sociale. La scuola di Coumboscuro, con la sua visione innovativa, ha dimostrato che anche una piccola comunità può avere un impatto globale, se guidata da passione e determinazione.
La Cultura Come Ponte tra Generazioni
L’opera cinematografica di Sandro Gastinelli è un invito a riflettere sul ruolo della cultura nella società moderna. Attraverso la riscoperta della lingua provenzale e delle tradizioni alpine, il film dimostra che la cultura non è solo memoria, ma anche un ponte verso il futuro. Questo messaggio universale ha trovato risonanza in Italia e all’estero, coinvolgendo spettatori di tutte le età.
Conclusione: Oltre l’Orizzonte della Cultura
“Darreire l’Ourisount” è un viaggio che porta lo spettatore oltre l’orizzonte, alla scoperta di una cultura autentica e resiliente. È un omaggio alla scuola di Coumboscuro, ai suoi ragazzi e al loro maestro, che hanno trasformato un’esperienza locale in una storia universale. Grazie a questa opera, la cultura alpina continua a vivere e a ispirare nuove generazioni, ricordandoci che il futuro si costruisce partendo dalle nostre radici.
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Forse è per via di Pitagora.
E - per converso - di Agostino.
Forse è per questo che Gianpia Affaitati scrive:
"Scuoto le catene del Tempo ma non mi fanno passare".
Ergo:
le scuote, Gianpia, perché anela superare il pitagorico concetto del tempo come ordine, e lo fa poiché, per Agostino il tempo è misura dell'estensione dell'anima.
Quindi, scuotere per dilatare, per espandere.
E cosa intravede, Gianpia, nella sua poetica ribellione?
Sapete, avrei potuto chiedere, a Gianpia, cosa c'è sullo sfondo delle catene.
E cosa, oltre la rete.
Al solito, non lo faccio.
Perché inseguo mia propria emozione, nel rimirare le sue due oniriche palpitanti immagini.
Oltre la rete, un passaggio.
Non un varco, un rapido trasversale passaggio.
O dell'innafferrabilità, e della condizione di passiva osservazione, al di qua della rete.
Sullo sfondo delle catene, è qui che la mia suggestione, tremebondamente intensa, si dispiega.
Tremebondamente intensa, per quanto è sgomenta.
Sì, vedo viso di venusiano, lassù.
In alto a destra dell'ultimo scuro anello di catena, lo vedo.
Indi, suo corpo.
Clavicole sporgenti - le hanno, le clavicole gli abitanti di Venere? - e gambe divaricate.
L'una termina a piede d'elefante, con l'interno fatty cushion ad allargare la pianta.
La catena è sì scossa, ma non serve a liberare il venusiano, che è infatti in procinto d'articolare un munchiano urlo.
Grazie Gianpia per questa drammatica esplorazione.
Suscitare, muovere, colpire.
Questo riesce alla Fotografia, quando l'esito - come qui - è elevato.
All rights reserved
Claudio Trezzani
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The Bikeriders: bulli, pupe e quell'America dal respiro cinematografico
Gli Stati Uniti del mito e della libertà nell'epopea immaginifica di Jeff Nichols, tra utopie e violente gentrificazioni sociali.
The Bikeriders di Jeff Nichols ha la capacità di raccontare il duplice volto degli Stati Uniti d'America, accavallando un passaggio generazionale che riflette solidamente il respiro cinematografico voluto dal regista. Nel farlo, Nichols predilige soprattutto le immagini. Sembra una banalità, eppure The Bikeriders è un'opera estremamente cinematica (nel senso stretto del termine), che parte da un contesto di per sé iconico rispetto all'immaginario umano e geografico che abbiamo rispetto agli USA. L'ispirazione, che odora di Marlboro, birra calda e libertà, arriva dall'omonimo fotolibro di Danny Lyon che nel 1968, attraverso diversi scatti (che influiscono sulla messa in scena di Nichols), raccontava l'ascesa dei Vandals MC, un club motociclistico facente parte degli Outlaws MC. Una contro-cultura su due ruote nata sulla Route 66 e rafforzata poi da Marlon Brando, che nel 1954 sarà l'emblema dei motociclisti grazie al suo Johnny Strabler de Il Selvaggio.
Austin Butler è Benny in The Bikeriders
Ho aperto con una digressione riassuntiva ma in qualche modo propedeutica, che aiuta (o aiuterebbe) a capire (ed apprezzare) meglio lo spirito del film. La valenza, come detto, è doppia: l'epopea poetica e dolente di un gruppo di bikeriders (esaltata da una galvanizzazione che parte proprio dalle immagini), e poi l'aspetto sociale e politico (su cui il regista si sofferma nella seconda parte, quella meno istintiva e più quadrata) che le loro gesta hanno generato, scaturendo a loro volta l'archetipo che struttura la fascinazione per un certo tipo di suggestioni, iniziate con la Beat Generation di Jack Kerouac e culminate con Easy Rider di Dennis Hopper. Un film manifesto che segnerà - come vediamo alla fine di The Bikeriders - l'inizio della fine dei gruppi motociclistici americani.
The Bikeriders: sulle ali della libertà
Jodie Comer e Austin Butler sul set del film
Per certi versi, The Bikeriders, scritto dallo stesso Jeff Nichols, è una sorta di film-reportage, che gioca di montaggio e di incroci, facendo brillare il senso del racconto che segue le parole (importantissime nell'economia del film) di Kathy, interpretata da Jodie Comer. È lei che ricuce la storia dei Vandals, grazie alle interviste che rilascia a Danny Lyon (Mike Faist), reporter in erba deciso a seguire le gesta dei motociclisti lungo tutto il Midwest alla fine degli Anni Sessanta. Kathy (ci) racconta di suo marito Benny (Austin Butler, che recita più con gli occhi che con la voce), giacca di pelle e sigaretta sempre accesa, in sella alla sua motocicletta. Simbolo di coraggio e libertà. Gli stessi ideali che confluiscono nel leader dei Vandals, Johnny (Tom Hardy, vero protagonista insieme alla Comer), un outsider ancorato ad una nobiltà d'animo che lo renderà inadatto alla brutalità delle nuove generazioni, segnate dal Vietnam e dall'individualità.
La gentrificazione del mito americano
The Bikeriders funziona soprattutto nella costruzione dei personaggi, uniti ad archetipi precisi, ed inseriti in un contesto immaginifico di grande spessore (su cui lavora bene l'estetica fotografica di Adam Stone). C'è l'America figlia della frontiera, che mal sopporta le regole e diventa famiglia disfunzionale nel concetto più limpido di "branco". Avallando un'amicizia maschia sorretta da significativi e rivelatori silenzi. Nel film di Jeff Nichols, dunque, troviamo le stesse inflessioni di un'opera western, per una rivoluzione che parte da un non-luogo che esiste solo nei film del passato (e quindi, esiste solo nella nostra memoria di spettatori o lettori).
Tom Hardy e Austin Butler, migliori amici nel film di Jeff Nichols
In questo caso, è chiaro quanto lo scavalcamento generazionale (violento) sia fondamentale nella storia, applicandosi al mutamento che, da perdigiorno bonari, invisi alle regole e allo status quo, trasformerà i Vandals in una gang di criminali. Una sorta di infezione, di idealizzazione, e di gentrificazione umana, sviluppatasi parallelamente alla Guerra del Vietnam e all'affermarsi del Capitalismo moderno. Sarà proprio questo il centro sommesso che Nichols finirà per rimodulare, affievolendo metaforicamente il rombo delle motociclette che riempie il sound design del film (un colpo di classe). Di conseguenza ampliando lo spettro sociologico e politico, per una disillusione che creperà l'essenza stessa della libertà e della felicità (che risuona nella Costituzione Americana).
Austin Butler e Jodie Comer, protagonisti di The Bikeriders
Se oggi gli States, vittima di una crisi narrativa, sono sull'orlo dell'implosione avendo perso la peculiare capacità di rigenerare la propria mitologia (di cui fanno parte le Harley-Davidson), The Bikeriders (ri)spolvera proprio quel mitico immaginario, rendendoci parte attiva di una conflittualità riconducibile all'amore e all'amicizia (tra il sangue e il sudore, tra l'ardore e l'ossessione). Un'ambivalenza che predomina nella scrittura, ritrovandovi il feeling giusto legata a quella mitologia di cui oggi sentiamo una terribile mancanza.
Conclusioni
In conclusione la mitologia americana su due ruote nell'epopea di Jeff Nichols, che per The Bikeriders sceglie un cinema immaginifico, è strettamente funzionale alla storia raccontata. Potrebbe risultare inespresso (almeno a tratti), eppure la pellicola, sorretta dal cast (Tom Hardy, Jodie Comer, Austin Butler, e poi il sempre eccezionale Michael Shannon) diventa uno spaccato ben definito, che illumina intelligentemente un accavallamento generazionale: da una parte l'America delle illusioni, dall'altra quella della violenza e dell'individualità.
👍🏻
La storia, innanzitutto.
La scelta fotografica del regista.
Le tre interpretazioni, e la presenza di Michael Shannon.
Una mitologia americana ben definita.
👎🏻
Potrebbe risultare a tratti inespresso.
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Si è chiusa lo scorso sabato 28 settembre la quinta edizione del progetto Eretici. Le strade dei teatri. Violetta Cottini con Roberta e Alessandra Idolfi hanno presentato una prima prova aperta del loro Do fairies have a tail?
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Lo spazio è completamente avvolto nel nero, un silenzio profondo e un buio che sembrano dilatarsi all'infinito. Dopo un tempo indefinito, suoni sottili iniziano a dare forma a ciò che è invisibile: una luce rossa intermittente emerge, disegnando i contorni di rami e di corpi indefiniti che lentamente si sollevano dalla notte. L’oscurità sembra farsi materia, e in quei primi attimi in cui tutto è indistinto, mi tornano alla mente le sequenze di Minuscule - La vallée des fourmis perdues: suoni accelerati e stranianti che evocano i frenetici inseguimenti e le lotte tra formiche rosse e nere in quel microcosmo animato.
Poi, lentamente, una nebbia si diffonde nello spazio portando con sé due figure, Alessandra e Roberta Indolfi. Le loro presenze si muovono all'unisono, quasi fossero un corpo solo, per poi separarsi, ciascuna alla ricerca di un proprio percorso. Il loro movimento è fluido: una cede spazio all'altra per poi ritrovarsi sincronizzate con le loro stesse immagini fantasmatiche proiettate sullo schermo in fondo alla scena. Strisciano a terra, si avvolgono su se stesse, saltano a quattro zampe, per poi fermarsi, tremanti, prima di alzarsi e vestire ali pesanti di legno.
Le proiezioni luminose fanno eco al suono della pioggia che batte, allo scricchiolio di un vetro che si frantuma, allo stridore di una catena di ferro. Questi suoni, quasi tangibili, guidano il nostro sguardo attraverso la bruma: l'occhio si ambienta in questo altrove notturno e misterioso e il buio così si dissolve e rivela forme e presenze fino a quel momento nascoste.
In questo dispositivo scenico multiforme tutto diventa coreografia: i corpi delle performer, i video, il fumo, i tulle, i rami sospesi e il tappeto sonoro. Ogni elemento concorre a definire uno spazio immersivo in cui lo spettatore non è semplicemente un osservatore, ma attraversa una soglia invisibile, entrando in un mondo altro, abitato da esseri antropomorfi che fluttuano tra realtà e immaginazione. Sono corpi o simulacri? Ombre che appaiono e si dissolvono, lasciandoci in bilico tra presenza e illusione.
A un certo punto, il fondale della black box si squarcia, e come in un effetto ronconiano – come suggerito da Gerardo Guccini – la visione si frammenta e si moltiplica oltre il palcoscenico e il video, portando la scena oltre il teatro stesso. Lo spettatore è invitato a compiere un ultimo passo: attraversare il palco, varcare quel limite per entrare nella realtà, che ospita un’installazione fatta di materiali di ricerca e creazione, frutto di cinque mesi di lavoro delle artiste tra La Corte Ospitale di Rubiera e L'Arboreto di Mondaino.
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Nello stesso weekend si è chiuso anche il progetto parallelo a quello di Eretici che è Custodi delle residenze, un gruppo di giovani spettatori e spettatrici che seguono dentro le residenze l'artista selezionato dal bando, in questo caso Violetta, Alessandra e Roberta. Arrivati venerdì a Mondaino i e le Custodi hanno visitato il paese con la guida di Alberto Giorgi e incontrato il direttore dell'Arboreto Fabio Biondi che li ha guidati dentro l'origine poetica e politica del fenomeno delle residenze in Italia. Poi insieme a Francesca Giuliani e Silvia Ferrari si sono dedicati alla costruzione della restituzione del percorso: raccolti pensieri e materiali hanno strutturato infine il loro personale e allo stesso tempo collettivo racconto del processo di incontro e dialogo con le artiste. A partire dal leitmotiv che hanno individuato come filo rosso che tiene insieme tutti i loro sguardi, cioè "rendere visibile l'invisibile", hanno creato un'installazione visiva e auditiva in sintonia perfetta con il processo creativo delle artiste. Di seguito una piccolissima parte del lavoro, la descrizione del percorso installativo e la parte sonora.
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Recensione di "Altrove" di Fernando Pessoa: Un Viaggio Onirico Verso l’Immortalità. A cura di Pier Carlo Lava
Un invito poetico di Fernando Pessoa a esplorare l’ignoto attraverso i versi sognanti di “Altrove”.
Un invito poetico di Fernando Pessoa a esplorare l’ignoto attraverso i versi sognanti di “Altrove”. “Altrove” di Fernando Pessoa è un’opera di pura magia poetica, in cui il poeta portoghese ci invita a un viaggio verso un luogo ideale, l’“Altrove”, dove tutto è bellezza, serenità e libertà. Attraverso i suoi versi, Pessoa evoca un mondo senza tempo, una dimensione di sogno dove la luna, le…
#Alberto Caeiro#Alessandria today#altrove#amore immortale#Anima#anima e poesia#Álvaro de Campos#bellezza e serenità#Contemplazione#contemplazione della vita#desiderio di libertà#esistenza umana#eteronimi#evasione poetica#Fernando Pessoa#Google News#introspezione#italianewsmedia.com#Letteratura del Novecento#letteratura mondiale#lettura consigliata#Libertà#Lisbona#miti letterari#mondo ideale#mondo immaginario#parole e immagini#Pier Carlo Lava#Poesia dell&039;anima#poesia e mito
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Rora - Il nuovo singolo “Naked”
Il brano della cantautrice sugli stores digitali e dal 14 giugno nelle radio
“Naked” è il nuovo singolo della poliedrica artista e cantautrice Rora, sui principali stores digitali e dal 14 giugno nelle radio italiane in promozione nazionale. Produzione curata nei minimi dettagli su cui scivola una esecuzione vocale impeccabile dell’artista che dona al tutto un forte impatto emotivo.
“Naked” è un brano dalle influenze R&B e soul-blues in cui la cantautrice si rivolge al suo partner, invitandolo a non spaventarsi delle sue emozioni intense e a non approfittare delle sue fragilità. Solo così potranno entrambi lasciarsi andare completamente, senza paura e senza doversi difendere. Tuttavia, la canzone non si rivolge solo al suo amante, ma ha anche un secondo destinatario: la musica stessa. Per la cantautrice, mostrarsi per quello che si è davvero, con le proprie imperfezioni, ed esprimere le proprie emozioni in musica senza paura è ciò che si avvicina di più al concetto di libertà.
“Potersi finalmente mettersi a nudo in musica può suscitare paura, ma anche liberazione.” Rora
Ascolta il brano
Storia dell’artista
Laura Fatato, in arte Rora, è una cantautrice siciliana della provincia di Messina. Sin da piccola sente l’esigenza di esprimere la propria anima attraverso la musica. Cresciuta circondata da musicisti e assecondata dal padre, polistrumentista, registra di piccole demo di cover e canzoni inedite. Rora impara a suonare da autodidatta la chitarra che diventa lo strumento con cui si accompagna e compone. Dopo aver terminato il liceo, inizia a cantare in diverse band locali di genere rock e pop. Numerose sono le apparizioni teatrali, dove Laura Fatato ha curato il lato musicale ispirandosi alla musica siciliana e portando alcune sue interpretazioni di Rosa Balistreri (tra queste: “Le Dindon”, “Andreuccio Fiordaliso e altre storie”, “L’eredità”, “Il vitalizio”). Si laurea in Lingue e Letterature straniere e insegna inglese, giapponese e spagnolo. Partecipa nel 2023 alla finale del contest Cantagiro come corista della cover band dei Pink Floyd: Eclipse Floyd Legend.
Il progetto “Rora” ha inizio durante la pandemia, conta quattro canzoni in inglese dalle nuances dream-pop, country-rock, soul, blues, le cui demo autoprodotte sono state registrate presso lo studio Geko-sound di Messina con arrangiamenti ed esecuzioni a cura di Laura Fatato, Simone Bombaci (batteria), Nello Fatato (basso), Nello Amante (chitarre). RORA collega musica e parole mescolando le lingue che conosce e raccontando, come in un diario, scenari di vita quotidiana che trasforma in immagini e atmosfere, prendendo ispirazione dalla malinconia nostalgica e poetica di Lana del Rey, l’aria country-folk alla Sheryl Crow, il soul-blues di Amy Winehouse, pop-rock alla KT Tunstall e le nuances della musica folk stile The Head and the Heart. Il 12 gennaio 2024 pubblica “Even exist”, un brano folk-pop, in cui risalta una ricerca di leggerezza, di amore, di conforto dai problemi che caratterizzano le nostre giornate e la paura che questi prendano il sopravvento, e si trasformino in buio totale. Attualmente in promozione nazionale con il nuovo singolo “Naked”.
Instagram: https://www.instagram.com/rora_fatato/
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCfcrd5XBl1lJ-byngbUr-eA
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
LO STRAPPO DIVENTA SCOPERTA
«…Fino alla nascita dei décollage, nel 1953, io facevo della pittura neo-geometrica. Avevo studiato tutti gli stili e tutti i più grandi maestri, da Kandinskij a Mondrian, da Picasso a Matisse. Poi mi trasferii per due anni negli Stati Uniti, e realizzai una mostra anche lì. Quando tornai in Italia, non volevo più dipingere, perché ero giunto alla conclusione che tutto ormai, in pittura, fosse stato fatto. Una mattina del ’53, mi trovavo nel centro di Roma, e osservavo i muri completamente tappezzati di manifesti pubblicitari lacerati. Ciò mi colpì moltissimo, e pensai: ‘Ecco le nuove immagini che io devo dare al pubblico’. Nessuno aveva mai fatto questo. Così è nato il décollage: è stata una sorta di… illuminazione zen. Allora uscivo di notte dal mio studio e rubavo i manifesti dai muri. Una sera venne a vedere i miei lavori un critico giovane e molto intelligente, un filologo, Emilio Villa. Fu entusiasta, e mi disse: ‘Tu stai inventando una nuova forma d’arte, che va al di là della pittura’. Mi invitò ad allestire una mostra con sei pittori romani sul Tevere. All’inaugurazione c’era un critico americano, il quale sostenne nella sua recensione che l’unico a proporre un nuovo messaggio ero io. Mi definì ‘neo-dadaista’...».
Con queste parole Mimmo Rotella (Catanzaro 1918 - Milano, 8 gennaio 2006) rievocava la nascita del "decollage", intuizione capace d'innovare il linguaggio artistico del secondo Novecento, inserendosi nella scia della Pop Art, dell'Informale, del Nouveau Réalisme, del NeoDada. Tuttavia, gli schemi non raccontano. Indicano un percorso, delle assonanze, dei richiami. Non bastano: gli artisti fanno storia a sé. La libertà di quegli anni convulsi è massima: la tecnica diventa fenomeno creativo che ribalta il tradizionale rapporto tra significante e significato, dando vita ad una semiosi inaspettata, controversa. Eppure dotata di una poetica profonda, annessa, come nel caso di Rotella, all'antico mistero del tempo e delle sue infinite narrazioni. Lo "strappo" diventa scoperta. E quanto rimane è rappresentazione artistica di un divenire che annulla le distanze saldando passato e presente. Suggestione del perenne.
- Mimmo Rotella, “Europa di notte”, décollage su tela, 1961, Museum Moderner Kunst Foundation Ludwig, Vienna
- Sulla copertina del libro: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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Gaetano Buttaro Secret speck a cura di Edoardo Di Mauro.
Gaetano Buttaro è artista di già lunga e consolidata esperienza. La sua vena creativa lo ha recentemente portato ad un aggiornamento importante del linguaggio, formulato in maniera tale da costituire un naturale proseguimento di poetica, da sempre centrata sull'essenzialità formale. L'onda di questa originaria e coerente ispirazione si infrange felicemente e permea di sé i lavori ultimi, dove si intrecciano con originalità la maggioranza delle dominanti estetiche dell'oggi, formulate con una freschezza espressiva tale da scacciare le noiose ricorrenze del "già visto". Vi è innanzitutto, come componente centrale, un omaggio alla ritrovata poetica "fredda" del corpo, da Buttaro sviluppata con modalità simbolica e devozionale, distante mille miglia da certe recenti performances grandguignolesche. L'artista propone una parte per il tutto, le mani come elemento in grado di sottendere non solo la fisicità , ma soprattutto la spiritualità dell'individuo. Con il tramite di questa fondamentale porzione anatomica Buttaro si cimenta in svariati intrecci, vere e proprie costruzioni formali tali da sfociare in immagini polisignificanti. A questo punto entra in scena l'ausilio tecnologico, adoperato nell'accezione migliore di integrazione estetica e non di autonomo e totalizzante strumento di poetica. La descrizione dei vari passaggi tecnici è tutto sommato superflua. Quanto conta è il risultato finale, ottenuto grazie alle notevoli possibilità offerte attualmente dalla pittura digitale e dalle pratiche di stampa, in grado davvero di portare a nuove frontiere in termini di definizione dell'immagine. Quindi l'artista si avvale strumentalmente dei ritrovati tecnologici per arricchire la sua possibilità di stupirci e di disorientare con la proposta di un'iconografia dal sapore antico ed atemporale, rafforzata, quanto a fascino visivo e forza evocativa, da queste nuove opzioni, con un sapiente connubio che sottolinea la forza del linguaggio dell'arte e le sue infinite possibilità . Partendo da un presupposto figurativo l'immagine scivola docilmente verso la china dell'astrazione, esaltata dalla potenza dei timbri cromatici, autentica cifra stilistica di queste spiazzanti ed originali composizioni. Edoardo Di Mauro, 2020
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