#poesia sulla natura umana
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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Wanda Lombardi, Tempi inquieti, Guido Miano Editore, Milano 2024. Recensione di Marco Zelioli
Wanda Lombardi torna a far sentire la sua voce poetica con una breve ma intensa raccolta, Tempi inquieti, per Guido Miano Editore: venticinque nuove poesie, seguite dalla riproposizione di altre quattordici già pubblicate e raccolte sotto il significativo
Wanda Lombardi torna a far sentire la sua voce poetica con una breve ma intensa raccolta, Tempi inquieti, per Guido Miano Editore: venticinque nuove poesie, seguite dalla riproposizione di altre quattordici già pubblicate e raccolte sotto il significativo titolo Perché nulla vada perduto. Il tutto conferma quanto la poetessa sia ‘presente’ al nostro tempo, pur così travagliato; e la sua ricca…
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klimt7 · 2 years ago
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STANOTTE
HO SCOPERTO UN BLOG
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IL CARATTERE
DEI ROMAGNOLI
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E niente, volevo dirvelo...
stanotte ho scoperto un Blog.
Un blog che all'inizio non gli daresti un soldo, perchè non ha proprio nulla di particolarmente moderno o tecnologico. Non c'è infatti nemmeno un briciolo di Intelligenza artificiale (A.I.), quella che si scorge è interamente intelligenza e sensibilità U-MA-NA !
Completamente umana.
Come dire? Umanamente si tratta di un prodotto D.OC. E' un blog scoperto per caso alle 4 di notte durante una fase di insonnia conclamata, assai comprensibile dopo l'alluvione che ci ha colpito.
Quindi lo ripeto, se vi aspettate numeri da circo o effetti speciali tecnologici vi dico di no. Non fa al caso vostro.
Da questo punto di vista, siete fuori strada sul blog, di questo, finora sconosciuto, (almeno per me), Francesco Satanassi da Forlì!!
🤷🏻‍♂️
Eppure io, lì dentro, ci sento come una intera miniera d'oro.
E vi leggo tutto il carattere, la forza indomita, la fierezza, l'anarchica indipendenza di giudizio, tipica dei romagnoli fra i suoi Post.
Perchè lì io sento le radici.
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Le radici di quella pianta bellissima che si chiama " ROMAGNA ".
La solida concretezza e la passionalità dei miei conterranei, che quando credono in certi valori...È PER SEMPRE.
E poi percepisco la medesima qualità, la stessa saggezza antica e contadina dei miei nonni. La loro dignità e la capacità di sentirsi ugualmente in armonia con la Terra, la Natura, con la Storia e con la semplicità e il piacere del vivere attraverso l'assaporare e l'apprezzare ogni tipo di emozione.
In estrema sintesi : il vivere senza freni, a perdifiato.
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Avverto nelle parole di questo Blogger di Forlì, la consapevolezza di non voler mai dimenticare il sacrificio e l' altruismo di chì è venuto prima di noi. Di chi ha saputo scegliere con coraggio e si è schierato per una causa ben precisa: l'antifascismo e la libertà, fino a sacrificare la propria piccola vita a favore di un bene e di valori ben più grandi del proprio misero egocentrismo. E ancor di più, ritrovo la schiettezza tipica delle persone dirette, che vanno dritte al cuore delle cose, perchè apprezzano la semplicità e la poesia e la verità che si nasconde nelle piccole cose concrete .
Così come emerge cosa sia davvero sacro: l'onorare con la nostra memoria i nostri antenati. Così come la capacità di diventare noi stessi "Storia", incarnandola con la passione che esprimiamo coi nostri giorni e col nostro corpo.
Sapere da dove veniamo, e cosa abbia attraversato chi è venuto prima di noi sul pianeta.
Ecco, se oggi penso, agli "angeli del fango" di Cesena e della Romagna intera, ai volontari che senza preavviso sono spuntati come funghi, per venirci ad aiutare nello spalare il fango in ogni cortile, in ogni scantinato, in ogni garage, ritrovo intero il carattere deila gente di Romagna.
Se penso ai ragazzi delle Superiori, agli Universitari che hanno scelto di scendere in strada, in autentici "battaglioni della solidarietà", ecco che io la ritrovo subito la continuità fra i nostri antenati e i romagnoli di oggi e ritrovo nel contempo, tutti i valori che esprime un Blog come " HANNO DETTO CHE PIOVE " di Francesco Satanassi.
Io lo vedo benissimo il filo di continuità che esiste in tutto questo.
È il filo dell'avere i piedi ben piantati per terra! Anzi, nel fango e nella melma. Ma starci dentro, per esserci, per contare, per mostrare alle persone più fragili, agli anziani, a chi ha perso la casa o tutto quel che c'era dentro, che la presenza e la solidarietà, non sono solo vuote parole sulla bocca del Politico di turno, che si lancia nella consueta "marchetta politica" con promesse sconsiderate, ma una pratica diffusa e collettiva. L'attitudine di una intera comunità di persone sensibili e responsabili.
Questi valori devono farsi musica, canzoni, condivisione!
Canzoni da cantare tutti insieme, in coro, non cercando l'impossibile unisono, ma raggiungendo un altro risultato miracoloso che è la coesione sociale, il sentirsi tutti parte di un unico essere, a cui diamo il nome di "collettività".
L'esempio della canzone "ROMAGNA MIA", cantata in mezzo al fango, ai rifiuti e ai detriti dell'alluvione, è illuminante.
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Pur non considerandola un capolavoro nè da un punto di vista poetico nè tantomeno musicale, quella canzone è però una "bomba atomica" dal punto di vista emotivo!
Una bomba di energia sociale, tutte le volte che inspiegabilmente permette l'aggregazione di centinaia di persone che si trovano a lavorare, senza tregua e senza compenso, perchè tutti insieme e ognuno individualmente, si avverte la comune responsabilità di dare una mano alla comunità a cui si appartiene.
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Penso ai volontari giunti da Amatrice, oppure a quelli arrivati da Reggio Emilia ( a cui avevamo dato una mano noi in occasione del terremoto dell'Emilia del 2012 ), o ancora, ai volontari giunti da L'aquila.
Mi coinvolge questa idea: una sorta di " fratellanza nella sventura ".
Avverto in tutte queste persone, al di là della provenienza da una determinata terra, proprio l'appartenenza ad una precisa tipologia umana, ad una "tempra" di cui io stesso, sento di essere parte.
"Chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo" come canta il poeta-cantautore Francesco De Gregori nella sua sublime "Santa Lucia".
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Chi vive sporgendosi continuamente verso gli altri, affacciato verso l'universo dell'altro da una comune inquietudine umana ed esistenziale. Chi insomma vive e non ha paura della generosità, della gratuità, del dare aiuto senza chiedere nulla in cambio, e sempre, difendendo il valore del "restare umani" anche nelle situazioni più drammatiche della Storia.
È come avvertire un sangue comune che circola nelle vene di tutte queste persone: dai giovani romagnoli ai meno giovani, dai volontari del posto, a quelli arrivati dalle altre città. Tutte persone che "più li butti giù e più si rialzano" e più energia e carica umana, sono capaci di trasmetterti, consapevoli tutti quanti del valore del lavorare tutti per una buona causa.
Per tutto questo, mi sento grato anche a Francesco e al suo Blog per testimoniare cosa ci sia dietro la "Romagnolità".
Per darci con le sue parole intense e sentite, una lezione di umanità e di passione civile.
Per restituirci il buon sapore di tuttò ciò che è sentito e vissuto con l'anima, che poi é molto simile al sapore del pane caldo, appena sfornato, al suo profumo di buono.
Sono i valori che fanno della nostra comunità, un meraviglioso popolo che sa cos'è la fatica, l'impegno costante e la responsabilità verso gli altri, e insieme verso la propria coscienza di cittadini con gli occhi aperti.
Per noi in fondo è questo ciò che importa: il rimboccarsi le maniche tutti i santi giorni e lavorare finchè un lavoro, un'opera, un'impresa non sia finita, compiuta, realizzata.
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valentina-lauricella · 10 months ago
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Scrive Luigi Settembrini: "Nel fondo della sua anima c'era la fede, come c'era l'amore e il desiderio ardentissimo della vita, della bellezza, e di tutte le illusioni tanto care all'uomo, e necessarie, e reali per l'uomo. Chi oserebbe dire che il Leopardi è ateo, o sensista, o materialista? Egli è come Giobbe, che maladice il giorno che è nato, e grida che il suo dolore è troppo e non ha scopo; egli bestemmia Dio perchè lo crede, ma lo dice un essere malefico, un brutto potere che ascoso a comun danno impera, una mano che flagellando si colora nel mio sangue innocente. Non avere una colpa, e sofferire tanto, perchè? Perch�� questa ragione spietata che mi toglie tutte le illusioni, e mi fa dimandare a tutti gli esseri, perché? e nessuno mi sa rispondere? Per qual fine, per quale necessità, per qual bene altrui io debbo essere straziato sì fieramente dal dolore? Io non so qual uomo potrebbe dargli una risposta ragionevole." È quindi Settembrini a istituire un paragone esplicito tra Leopardi e Giobbe (quantunque vi abbia accennato il Leopardi stesso nei Nuovi Credenti), ma egli ne fa, a mio avviso arbitrariamente, piuttosto un bestemmiatore che un ateo: sta qui agendo la censura cattolica e ideologica del pensiero leopardiano? Le stesse illusioni, a mio avviso, hanno ragion d'essere sullo sfondo di un "reale" nulla; non nella prospettiva della realtà divina, in cui sarebbero sostanze, e non nomi, come la virtù (vedi Bruto e Teofrasto - ti tenni per una sostanza, ed eri una parola - e la "vendetta sulla virtù" che vorrebbe prendersi il Leopardi). E sempre in quest'ottica riduttiva della portata del pensiero leopardiano, procede poche pagine più in là Settembrini: "Io vi esorto, o giovani, a tener cara la memoria di Giacomo Leopardi, e studiarne amorosamente le opere; ma guardatevi dal ripeterne i pensieri e dall'imitarlo nella dolorosa poesia, perchè egli fu una misera eccezione della natura umana." Come volevasi dimostrare: innanzitutto si amplifica il lamento leopardiano, fino a renderlo, pur nella sua tragicità, querulo e pretestuoso, al punto di provocarne un istintivo rigetto; poi si procede al consueto affondo, sentenziando che egli fu "una misera eccezione della natura umana". Siete sicuri che il vostro amato Leopardi, che nella Ginestra dice "nobil natura è quella…", sia contento di essere ricordato così? Abbiate ali, abbiate trivelle per concepire anche solo un briciolo della grandezza del suo pensiero; staccatevi da voi stessi (o dalla vostra maschera), disarmatevi, andategli incontro, e vi porterà a nuove profondità e altezze: rendetegli davvero "cara" la memoria che egli tiene presso gli uomini, per vostro mezzo. Non difendetevi da Leopardi: egli non vuole convincervi di nulla. Non vi porterà via Dio, Gesù Cristo, l'aldilà; paradossalmente, vi porterà dappresso a questi concetti meglio di un santo cattolico, in quanto egli è portatore di onestà, amore per gli altri, intelligenza. State tranquilli: Leopardi non è un'eccezione della natura umana. Grazie al cielo.
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immaginepoesia · 3 months ago
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ILLUMINANTE CREATIVITA' di Lidia Chiarelli- by Ana Stjelja on ARTSMAGAZINE
Lidia Chiarelli, artista e poetessa italiana, porta con sé una ricca eredità che va oltre il suo impressionante lavoro. Figlia del celebre Guido Chiarelli, ingegnere e innovatore responsabile della rivoluzione dell’illuminazione pubblica a Torino, è cresciuta in un ambiente impregnato di creatività, innovazione e profondo apprezzamento per le arti.
Guido Chiarelli non è stato solo un maestro del suo mestiere, ma anche un pioniere nel trasformare Torino in una città di luci durante il dopoguerra. Il suo contributo è stato fondamentale per modernizzare il sistema di illuminazione pubblica della città e gli è valso il riconoscimento di leader nel suo campo. Il paesaggio urbano di Torino, illuminato dai suoi progetti, divenne un simbolo di progresso e modernizzazione, riflettendo la miscela di precisione ingegneristica e sensibilità artistica che caratterizzava il lavoro di Guido Chiarelli.
Lidia ha ereditato questa duplice passione per l’arte e l’innovazione, scegliendo di incanalarla in percorsi più creativi. Figura di spicco nel mondo dell’arte, è nota soprattutto per il suo coinvolgimento nel movimento letterario e artistico internazionale Immagine & Poesia, di cui è stata co-fondatrice nel 2007. Questo movimento cerca di unire l’arte visiva e la poesia, creando una sintesi di espressione artistica che colmi il divario tra parole e immagini.
Il suo stile artistico è decisamente surreale e simbolico, spesso caratterizzato dai temi della natura, dei sogni e delle emozioni umane. Attraverso la sua arte visiva, Lidia Chiarelli trasmette un senso di bellezza e introspezione senza tempo, invitando lo spettatore a esplorare strati di significato più profondi. Le sue opere sono spesso integrate dalla sua poesia, creando un’esperienza multisensoriale che riflette la sua convinzione dell’interconnessione di diverse forme d’arte.
Lidia Chiarelli ha anche dato un contributo significativo al Dylan’s Day, una celebrazione internazionale del poeta Dylan Thomas. Attraverso il suo coinvolgimento, Lidia Chiarelli onora l’eredità di Thomas fondendo la sua arte visiva con la poesia, facendo eco allo spirito di fusione creativa dell’evento. Le sue opere d’arte e le sue poesie ispirate a Dylan Thomas sono spesso presenti in mostre e pubblicazioni dedicate alla giornata, consolidando ulteriormente il suo ruolo nella promozione dell’interconnessione tra arte visiva e letteraria attraverso piattaforme globali.
Oltre ai suoi contributi come artista visiva e poetessa, Lidia continua a onorare l’eredità del padre, non solo attraverso il suo lavoro, ma anche incarnando lo stesso spirito innovativo che ha segnato la vita di Guido Chiarelli. Laddove lui usava la luce per trasformare il mondo fisico, Lidia usa l’arte e le parole per illuminare l’esperienza umana.
Attraverso mostre, pubblicazioni e collaborazioni internazionali, Lidia Chiarelli si è affermata come una moderna donna del Rinascimento, fondendo i mondi dell’arte e della letteratura, proprio come suo padre fece con l’ingegneria e l’innovazione. Lidia Chiarelli è la testimonianza del potere duraturo della creatività, portando avanti l’eredità della sua famiglia e forgiando al contempo un percorso unico nella scena artistica contemporanea.
Il suo percorso di artista, arricchito dal suo patrimonio, ci ricorda la profonda influenza che la famiglia, la storia e l’innovazione possono avere sulla produzione creativa di una persona. Così come Guido Chiarelli illuminava le strade di Torino, Lidia continua a brillare nel mondo dell’arte, diffondendo la sua luce al pubblico di tutto il mondo.
ANA STJELJA, Dubai-based, internationally acclaimed writer, editor, and digital artist
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lamilanomagazine · 8 months ago
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La Spezia, "Voce del verbo: futuro!" è il tema di Libriamoci 2024: a presentarlo il sindaco Pierluigi Peracchini
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La Spezia, "Voce del verbo: futuro!" è il tema di Libriamoci 2024: a presentarlo il sindaco Pierluigi Peracchini.  Un programma senza precedenti per la 14a edizione di Libriamoci. Leggere ovunque, leggere comunque è stato annunciato mercoledì mattina in conferenza stampa dal Sindaco Pierluigi Peracchini, dalla dirigente ai Servizi Culturali Rosanna Ghirri e dal coordinatore artistico Alessandro Maggi. La rassegna dedicata alla promozione della lettura organizzata dal Sistema Bibliotecario Urbano del Comune della Spezia sarà protagonista indiscussa del panorama culturale per tutto il 2024 con un programma di risonanza nazionale che si snoderà da maggio a novembre e che coinvolgerà più luoghi della Città come il Teatro Civico, la Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso", gli spazi interni ed esterni delle biblioteche civiche, solo per citarne alcuni. "Una quattordicesima edizione sotto il coordinamento  artistico di Alessandro Maggi con tante novità. Da maggio a novembre – dichiara il Sindaco – avremo incontri, laboratori e attività che sapranno istruire, divertire e senza dubbio confermare il profondo valore della lettura. Siamo orgogliosi che la principale rassegna letteraria spezzina cresca ogni anno di più e sappia coinvolgere i grandi autori nazionali, ma anche quelli locali o emergenti con iniziative ad hoc e sia capace di attrarre un pubblico sempre più eterogeno". "Voce del verbo: futuro!" è il tema di Libriamoci 2024, una vera e propria esortazione a conoscere le sfide del futuro attraverso le vie della letteratura, della poesia, delle nuove tecnologie e del rapporto con la natura in particolare con quello del mare. Il futuro è un tempo che non ha ancora avuto luogo e negli ultimi anni l'umanità si è accorta che è anche un luogo non ancora raggiunto dal tempo, il cui destino coinvolge tutti. Così è diventato sempre più urgente interrogarsi su quanto la specie umana incida, con la sua stessa esistenza, sulla vita della Terra e come anche il modo di pensare ed esprimersi attraverso il linguaggio poetico e letterario debba trovare una nuova forma. Le mie poesie non cambieranno il mondo, diceva Patrizia Cavalli, eppure continuiamo ad ambirlo attraverso l'esercizio intellettuali e delle arti, con modalità che attraverso Libriamoci saranno portate alla luce. Libriamoci è una rassegna che riflette l'idea di leggerezza di Italo Calvino, non intesa come superficialità ma come una modalità di planare sulle cose dall'alto, senza avere macigni sul cuore. La promozione della lettura, quindi, rimane il fondamento indiscusso della rassegna che guarda al libro e al dialogo con gli scrittori come ad occasioni di profonda riflessione ma anche di grande leggerezza. Nel 2024 Libriamoci si suddividerà in tre grandi momenti: "Libriamoci Primavera" con tre giornate di grandi autori a Maggio; "Libriamoci autori del Golfo" con una stagione estiva dedicata agli autori locali e "Libriamoci. Leggere ovunque, leggere comunque 14a edizione" come da tradizione nel periodo autunnale a Novembre con una settimana densi di appuntamenti. "Libriamoci Primavera" Venerdì 17, sabato 18 e domenica 19 maggio saranno le tre giornate con cui si inaugurerà Libriamoci con grandi nomi fra i quali Giovanni Solimine, Raffaella Romagnolo candidata al Premio Strega 2024, Alessandra Sarchi, Dario Vergassola, Mario Tozzi e Lorenzo Baglioni, Federica Iacobelli. In "Libriamoci Primavera" non ci saranno soltanto presentazioni di libri di importanti autori con un ventaglio di grandi case editrici del panorama italiano, triangolazioni di voci attraverso le quali esplorare le sfide del futuro, laboratori per i più piccoli, le celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Paolo Volponi, film tratti da libri al Cinema Odeon e spettacoli al Teatro Civico, ma sarà anche lanciato un concorso di scrittura per le scuole primarie, secondarie e superiori del territorio e il "Premio Miglior Lettore Adulto" e il "Premi Miglior Lettore Bambino" riservato agli iscritti del Sistema Bibliotecario Urbano che hanno preso a prestito il maggior numero di libri e che vedranno a Novembre le premiazioni. "Libriamoci autori del Golfo". Nelle giornate di Maggio si svelerà tutto il programma del resto dell'anno, senza fermarsi qui: "Libriamoci autori del Golfo" proseguirà da giugno a ottobre con presentazioni di libri di autori locali che risponderanno alla manifestazione d'interesse lanciata dall'Amministrazione entro fine aprile e pubblicata sul sito istituzionale del Comune della Spezia e sul sito della rassegna, un'occasione per gli scrittori residenti nella provincia della Spezia di presentare le proprie opere letterarie pubblicate fra il 2023 e il 2024 da case editrici attraverso un dialogo con un interlocutore. Libriamoci offrirà loro una sede istituzionale dove presentare l'opera e la comunicazione all'interno dei canali social e dei siti internet istituzionali. In sede dell'evento, saranno presenti le librerie per la vendita di libri. "Libriamoci. Leggere ovunque, leggere comunque 14a edizione". Dal 10 al 17 novembre si darà il via ufficialmente alla 14a edizione di Libriamoci. Leggere ovunque, leggere comunque che avrà il grande onore di essere il primo evento ad inaugurare la riapertura del rinnovato Teatro Civico con le nuove poltroncine. Il programma sarà svelato a Maggio ma alcuni grandi nomi possono già essere annunciati oggi: Daniele Mencarelli e Cristina Dell'Acqua, Ilaria Gaspari, Sabrina Mugnos, Stefano Bartezzaghi e Stefano Maragoni. Durante la 14a edizione di Libriamoci di novembre sarà confermata una giornata dedicata esclusivamente al fumetto che si svolgerà presso la Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" dal titolo "Aerofumetto del Golfo", che richiama in modo forte la tradizione della Spezia, a cura di Filippo Conte. Nella giornata ci saranno focus con grandi fumettisti italiani e la partecipazione di forti etichette indipendenti che hanno legami con il territorio. Non solo, saranno previsti anche laboratori per giovanissimi. Continua anche quest'anno nel solco della tradizione di Libriamoci la partecipazione diretta delle case editrici locali e delle librerie del territorio. Tutti gli eventi sono gratuiti ad accesso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Sarà comunque possibile prenotare dal primo maggio il proprio posto attraverso il sito www.libriamocisp.it .   IL PROGRAMMA Venerdì 17 maggio Inaugurazione Anteprima Libriamoci 2024 – 14a  edizione Ore 17.30 – Salone della Provincia della Spezia Saluti istituzionali del Sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini Presentazione di Alessandro Maggi del programma Libriamoci 2024 Ore 18.00 – Salone della Provincia della Spezia Lectio Magistralis di Giovanni Solimine, "Esercizi di lettura futura" Ore 19.00 – Salone della Provincia della Spezia Raffaella Romagnolo presenta "Il cedro del Libano", Aboca Edizioni. Dialoga con l'autrice Antonio Riccardi, direttore editoriale di Aboca Edizioni. A seguire aperitivo letterario Ore 21.00 – Teatro Civico Mario Tozzi e Lorenzo Baglioni, Al clima non ci credo Sabato 18 maggio Ore 10.30 – Biblioteca Civica "P. M. Beghi"  "Che spettacolo la lettura – Le storie del mare", laboratorio didattico per bambini a cura di Dario Apicella. Consigliato per bambini dai 0 ai 6 anni. Il laboratorio ha una durata di circa un'ora e mezza. Evento in collaborazione con l'Associazione Nati per Leggere. Ore 10.30 – Museo del Ciclismo "A. Cuffini" Massimo Calandri presenta "Non puoi fidarti di gente così", edizioni Mondadori. Dialoga con l'autore Luca Natale. Ore 17.30 – Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" Federica Iacobelli presenta la collana "I Gabbiani" di Edizioni Primavera e dialoga con Alessandro Berti, autore del libro "Le vacanze", Edizioni Primavera. Lancio del premio di scrittura "Il futuro" rivolto alle scuole di ogni ordine e grado. Ore 18.30 – Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" Alessandra Sarchi presenta "Il ritorno è lontano", Bompiani Editore. Dialoga con l'autrice Debora Lambruschini. A seguire aperitivo letterario. Ore 21.00 – Cinema Odeon, Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" "Le mie poesie non cambieranno il mondo", un ritratto cinematografico intimo, ironico e libero di Patrizia Cavalli. Domenica 19 maggio Ore 10.30 – Biblioteca Civica "P. M. Beghi" "Libri all'angolo", laboratorio didattico per bambini a cura di Alfonso Cuccurullo. Consigliato per bambini dai 6 ai 12 anni. Il laboratorio ha una durata di circa un'ora e mezza. Ore 17.30 – Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" Dario Vergassola presenta "Liguria, terra di mugugni e di bellezza. Guida ironico – sentimentale", Mondadori Electa. Ore 19.00 – Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" Lectio Magistralis di Alessio Torino, "Omaggio a Paolo Volponi nel centenario della nascita". A seguire aperitivo letterario. Ore 21.00 – Cinema Odeon, Mediateca Regionale Ligure "S. Fregoso" Viva Volponi: videomemoria e testimonianze sull'uomo e lo scrittore, documentario su Paolo Volponi   BIO AUTORI "ANTEPRIMA LIBRIAMOCI"   DARIO APICELLA Narratore, attore, promotore culturale, formatore e attore, Dario Apicella si è formato presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Dal 2001 si occupa di promozione alla lettura e teatro proponendo percorsi di lettura, spettacoli e performance. Organizza eventi per le scuole e per le famiglie presso musei, orti botanici e presidi culturali. Conduce laboratori e percorsi di formazione e aggiornamento per insegnanti, educatori, professionisti, operatori culturali, volontari e genitori.  E' membro del Coordinamento Nati per Leggere Liguria e formatore accreditato di volontari Nati per Leggere.  E' Dottor Sogni per la Fondazione Theodora e come artista lavora presso i reparti degli ospedali pediatrici. Cura la direzione artistica di rassegne di teatro per l'infanzia.  È autore di storie, filastrocche e canzoni per bambini: La nuvola piccolina e altre storie da leggere e da cantare (KC edizioni); La nuvola rock! E il treno delle storie (KC edizioni); La scuola notturna dei piccoli mostri (La Cicala editore), Se avessi incontrato Gianni Rodari (La Cicala editore).   LORENZO BAGLIONI Lorenzo Baglioni, classe 1986, è cantante, attore e matematico. Ha fatto confluire queste tre abilità in una vocazione: semplificare, ridurre ai minimi termini, con l'aiuto dell'ironia e della musica, i temi più ostici: uno per tutti, il congiuntivo, presentato al Festival di Sanremo del 2018.   ALESSANDRO BERTI Alessandro Berti è attore, regista e drammaturgo, vincitore nel 2021 del Premio Riccione per l'innovazione drammaturgica. Dopo la scuola del Teatro di Genova fonda con Michela Lucenti "L'Impasto Comunità Teatrale", per cui scrive e dirige tutti gli spettacoli. Nel 2002 vince il premio Gherardi con Teatro in versi. Dal 2006 avvia un percorso di ricerca sul monologo che dà vita a Confine (2006), Pietra, pianta (2009), L'abbandono (2010), Combattimento spirituale davanti a una cucina Ikea, (2011, Premio I Teatri Del Sacro), Un cristiano (2014). Con i successivi Fermarsi (2015) e Leila della Tempesta (2016), dialogo a due su religioni, laicità e Costituzione, approfondisce l'interesse per le tematiche sociali, al centro anche della trilogia Bugie Bianche, un percorso sulla storia e l'attualità del rapporto tra maggioranza bianca e minoranza nera nelle società occidentali che comprende Black Dick (2018), Negri senza memoria (2020) e Blind Love (2022), i cui testi escono in un unico volume per Luca Sossella Editore nel 2022. Nel 2022 pubblica Le vacanze nella collana i gabbiani e lo mette in scena con produzione ERT e nel 2023 è attore in Trilogia della città di K. di Federica Fracassi e Fanny&Alexander. È fondatore di Casavuota, associazione che si occupa di intervento culturale (in particolare nella città metropolitana di Bologna) con il coinvolgimento dei cittadini e delle cittadine attraverso l'arte – teatro, scrittura, arti visive – intesa come motore di riflessione pubblica sui temi fondamentali del presente.   MASSIMO CALANDRI Giornalista di Repubblica, Massimo Calandri ha vinto il Premio Letterario Sportivo Panathlon International Distretto Italia 2023 per il libro "Non puoi fidarti di gente così", il racconto della Nazionale italiana di rugby che nel 1973, in piena apartheid, accetto di fare una tournée in Sudafrica.   ALFONSO CUCCURULLO Dagli anni Novanta svolge la sua attività di attore e dal 2003 conduce laboratori teatrali, di narrazione e di lettura ad alta voce nelle scuole e nelle biblioteche. Nel 2007 ha dato vita a "La piccola bottega dei libri sonanti" realizzando spettacoli di narrazione con musica e canto dal vivo. Dal 2008 è formatore ed animatore riconosciuto dal Coordinamento Nazionale del progetto "Nati per leggere" e intensifica il suo impegno nell'ambito della promozione della lettura, in particolare per la fascia d'età 0 – 5 anni, conducendo corsi di sensibilizzazione e formazione per genitori ed educatori. Si dedica alla realizzazione di audiolibri e collabora con esperti di letteratura per l'infanzia.   FEDERICA IACOBELLI Federica Iacobelli, laureata in lettere classiche e specializzata in giornalismo e in sceneggiatura, lavora come scrittrice, sceneggiatrice e drammaturga. Insegna sceneggiatura all'ISIA U di Urbino nel modulo cinema d'animazione del biennio specialistico in Illustrazione e tiene corsi di scrittura drammaturgica in strutture di alta formazione e scuole di eccellenza come la Scuola Normale Superiore di Pisa. Le sue opere, specie quelle per i lettori più giovani, nascono spesso dall'incontro con la memoria di vite vere e il linguaggio di arti diverse. I romanzi La città è una nave (collana "gli anni in tasca", Topipittori 2011) e Storia di Carla (collana 'i chiodi', Pendragon 2015); i racconti lunghi Uno studio tutto per sé (MottaJunior 2007, Premio Pippi Scrittrici per Ragazzi), Il portico più lungo del mondo (Minerva 2019, illustrato da Teresa Sdralevich), Lev della radura (rueBallu 2020, illustrato da Pia Valentinis) e Un posto obliquo (start edizioni 2022, illustrato da Gioia Marchegiani); gli albi Mister P (con Chiara Carrer, Topipittori 2009) e Giulietta e Federico (con Puck Koper, Camelozampa 2020) sono solo alcune delle sue pubblicazioni. Autrice dal 2005 ad oggi di testi teatrali (alcuni dei quali pubblicati in Francia e vincitori di premi internazionali) e di soggetti e script per l'animazione, la tv e il cinema documentario, ha lavorato di recente allo sviluppo di una miniserie televisiva live action e di un lungometraggio d'animazione. Dal 2019 dirige e cura la collana di letteratura teatrale per giovani lettori 'I Gabbiani' (Edizioni Primavera), che ha anche ideato e che ha vinto nel 2023 il premio Andersen alla miglior collana italiana.   ANTONIO RICCARDI Nato a Parma ma originario di Cattabiano, ha conseguito la laurea in Filosofia all'Università degli Studi di Pavia. Per le sue opere ha ricevuto, fra gli altri, il Premio Dessi, il Premio Brancati, il Premio Mondello e il Premio LericiPea. E' stato direttore della Mondadori e direttore editoriale della Società Editrice Milanese, fondata da Riccardo Cavallero. Dal 2019 è direttore editoriale della casa editrice Aboca. RAFFAELLA ROMAGNOLO Raffaella Romagnolo è nata a Casale Monferrato nel 1971 e vive a Rocca Grimalda. Ha scritto La masnà (Piemme, 2012, ora Oscar Mondadori) e Tutta questa vita (Piemme, 2013). È stata finalista al premio Strega nel 2016 con La figlia sbagliata (Frassinelli), poi vincitore del premio Società Lucchese dei Lettori 2016, mentre Respira con me (Pelledoca) è stato finalista al premio Strega Ragazze e Ragazzi 2020. Nel 2018 è uscito Destino (Rizzoli) e nel 2021 Di luce propria (Mondadori), vincitore del premio Pisa. I suoi libri sono tradotti in sette lingue.   ALESSANDRA SARCHI Alessandra Sarchi è nata a Reggio Emilia nel 1971, vive a Bologna. Ha una formazione di storica dell'arte e ha lavorato al museo Civico Medievale di Bologna e alla Fondazione Zeri. Con l'Istituto veneto di Scienze, lettere ed arti ha pubblicato la monografia Antonio Lombardo (2008). È autrice dei romanzi usciti con Einaudi, "Violazione", (2012) vincitore del premio Paolo Volponi, opera prima; "L'amore normale" (2014) vincitore del premio internazionale "Scrivere per Amore"; "La notte ha la mia voce" (2017) premio Mondello opera italiana, selezione della giuria del Premio Campiello e premio Wondy; Il Dono di Antonia (2020). Con Bompiani è uscito Il ritorno è lontano (2024), sempre con Bompiani ha pubblicato il saggio La felicità delle immagini il peso delle parole. Cinque esercizi di lettura di Moravia, Volponi, Pasolini, Calvino, Celati. È autrice di due raccolte di racconti: Segni sottili e clandestini (Diabasis 2008) e Via da qui, Minimum Fax nel 2022. Ha scritto il podcast Vive! interpretato con Federica Fracassi, diventato poi un libro, Vive! storie di eroine che si ribellano al loro tragico destino (Harper Collins nel 2023). Ha tradotto Quel fantastico peggior anno della mia vita di Jesse Andrews (Einaudi 2016, Distanza ravvicinata di Annie Proulx (Minimum Fax nel 2019) e L'autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein (Marsilio 2021). Collabora con La Lettura e Sette del "Corriere della Sera".   GIOVANNI SOLIMINE Giovanni Solimine, professore emerito dell'Università di Roma Sapienza, è presidente della Fondazione Bellonci-Premio Strega e dell'Istituzione Biblioteche Centri Culturali del Comune di Roma. Autore del blog La conoscenza rende liberi (www.giovannisolimine.it), si occupa di consumi digitali e delle dinamiche della partecipazione culturale. I suoi volumi più recenti sono L'Italia che legge (2010), Senza sapere: il costo dell'ignoranza in Italia (2014), La cultura orizzontale (2020, con Giorgio Zanchini), Cervelli anfibi, orecchie e digitale. Esercizi di lettura futura (2023).   ALESSIO TORINO Alessio Torino, nato a Cagli nel 1975, ha esordito nella narrativa nel 2010 per Italic Pequod con "Undici Decimi" (Premio Bagutta Opera Prima e Premio Frontino-Montefeltro). Ha successivamente pubblicato per Minimum Fax i romanzi "Tetano" (2011, Premio Lo Straniero), Urbino, Nebraska (2013, Premio Letterario Metauro e Premio Subiaco Città del Libro), Tina (2016) e, per Mondadori, Al centro del Mondo (2020, Premio Mondello) e "Cuori in piena" (2023, Premio Procida). Insegna Letteratura Latina e Scrittura Creativa all'Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. E' direttore artistico del Festival Letterario "Urbino Città del Libro".   MARIO TOZZI Mario Tozzi è geologo, ricercatore del CNR, che da anni in TV, radio e attraverso i suoi libri predica agli amministratori, ai politici e alla gente l'importanza di un comportamento consapevole e oculato per preservare il pianeta dai cataclismi ingenerati dallo sfruttamento irresponsabile delle risorse.   DARIO VERGASSOLA Nato alla Spezia, Dario Vergassola è comico, cantautore, scrittore ed attore. Ha partecipato a innumerevoli programmi televisivi fra i quali il��Maurizio Costanzo Show, Zelig, Le Iene, Parla con me con Serena Dandini e pièce teatrali. Si avvicina al mondo dello spettacolo da giovane, partecipando a Professione comico, manifestazione diretta da Giorgio Gaber: ottiene sia il premio del pubblico sia della critica. Nel 2014 scrive il suo primo romanzo La ballata delle acciughe. Nel 2024 scrive un libro sulla Liguria, per raccontarne misteri e bellezze, abitanti e natura, cibo e leggende, attraverso itinerari meravigliosi che la attraversano da Ponente a Levante con affilata ironia.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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cinquecolonnemagazine · 10 months ago
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I sonetti di William Shakespeare: quali sono i più famosi?
I sonetti di William Shakespeare rappresentano una delle massime espressioni della poesia lirica del Rinascimento inglese. Questi 154 poemi sono carichi di emozione, bellezza e complessità, esplorando temi come l'amore, il tempo, la bellezza e la mortalità. Alcuni di questi sonetti hanno raggiunto una notorietà che li colloca tra le opere più celebri della letteratura mondiale. Sonetti di William Shakespeare: i più famosi Il Sonetto 18 è forse il più celebre di tutti. Con il suo incipit "Shall I compare thee to a summer's day?" ("Dovrei paragonarti a un giorno d'estate?"), Shakespeare esplora la bellezza eterna, superiore persino alla bellezza naturale che è soggetta al cambiamento e al decadimento. Il poeta assicura l'immortalità del suo amato attraverso la potenza della sua poesia, che sopravviverà al passare del tempo. Altrettanto famoso è il Sonetto 116, una meditazione sull'essenza dell'amore vero e costante che non "altera quando trova alterazione" o vacilla "anche se rovina il suo vero centro". Il sonetto è spesso citato nelle cerimonie nuziali per il suo ideale di amore incondizionato e immutabile. Il Sonetto 130 sfida le convenzioni dei sonetti d'amore del tempo, prendendo in giro la tendenza dei poeti a usare iperboli e confronti esagerati per descrivere la loro amata. Invece, Shakespeare descrive la sua dama con termini realistici, sostenendo che il suo amore è speciale proprio per la sua autenticità e la sua "vera" bellezza. Tempo e perpetuità Un altro tema ricorrente è il conflitto tra il tempo e la perpetuità. Nel Sonetto 60, Shakespeare contempla la natura effimera dell'esistenza umana, paragonando la vita all'onda che si infrange sulla riva, destinata a scomparire. Tuttavia, c'è anche una sfida al tempo, poiché la poesia stessa diventa un mezzo per superare la mortalità e preservare la memoria. Il Sonetto 73 tocca il tema dell'invecchiamento con immagini potenti di autunno, tramonto e fuoco morente. È una riflessione sulla fugacità della vita e offre una visione commovente di come la consapevolezza della mortalità può intensificare l'amore e l'apprezzamento degli altri nei confronti dell'individuo. I sonetti di Shakespeare non sono solo testimonianze d'amore, ma anche di sofferenza, gelosia e persino di rimorso, come mostrato nel Sonetto 29. Qui, il poeta esprime la sua depressione e la sua invidia verso la fortuna altrui, ma poi trova sollievo e redenzione nel pensiero dell'amore del suo amato. Maestria linguistica La forma del sonetto, con la sua struttura rigorosa di 14 versi divisi in tre quartine e un distico finale, offre a Shakespeare un frame entro cui svolgere la sua maestria linguistica. La rima e il metro (generalmente l'iambic pentameter) creano un ritmo che sottolinea l'arguzia e la profondità dei pensieri del poeta. In conclusione, i sonetti di Shakespeare rimangono un pilastro della poesia inglese non solo per la maestria della loro forma, ma anche per la loro universale risonanza emotiva. Da letture scolastiche a letture private, da matrimoni a commemorazioni, questi sonetti continuano ad affascinare, ispirare e commuovere lettori di ogni epoca. Foto di WikiImages da Pixabay Read the full article
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scienza-magia · 1 year ago
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Il ritorno alla magia nel pensiero di Plotino Porfirio e Proclo
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Con l’affermarsi del neo platonismo nel mondo antico greco la magia e l’irrazionalità riacquistarono importanza grazie anche all’influenza di Plotino che interpretò in modo allegorico la grande poesia omerica seguendo la tradizione pitagorica. I grandi poeti del passato vennero reinterpretati da Plotino secondo un simbolismo esoterico che esprimeva la convinzione che la natura amava nascondersi. Secondo Plotino la filosofia poteva svolgere un ruolo simile a quello assegnato un tempo solo alle iniziazioni misteriche, restituendo all’anima la perfezione perduta. Secondo Plotino l’ultimo stadio del percorso conoscitivo poteva essere compiuto solo raggiungendo la fusione con l’Uno. Anche se tale unione mistica non può essere definita propriamente magia per altri neoplatonici come Porfirio e Proclo essa poteva essere raggiunta solo attraverso la teurgia. A questo punto riteniamo opportuno esporre il pensiero di Porfirio e Proclo. Porfirio filosofo greco del III secolo a.C. ha elaborato una teoria sulla magia che si basa sulla distinzione tra due tipi di magia. In primo luogo la magia naturale che consiste nell’utilizzo della conoscenza delle leggi naturali per ottenere determinati risultati. In secondo luogo la magia divinatoria che consiste nell’utilizzo di pratiche divinatorie per prevedere il futuro o ottenere informazioni sulle persone o sugli eventi. In generale Porfirio considerava la magia un’attività che andava contro la natura poiché cercava di manipolare gli elementi naturali per ottenere determinati risultati. Egli sosteneva che le pratiche magiche avessero un effetto negativo sulla mente umana in quanto tendevano a farci credere che potessimo controllare le forze della natura e il destino quando in realtà esse erano aldilà del nostro controllo. Nell’ambiente sincretistico in cui si sviluppò il neoplatonismo fare riferimento a tradizioni antiche significava farsi legittimare da molteplici fonti spesso molto diverse tra loro. Porfirio si inscrisse in tradizioni molto antiche dai caldei ai romani dagli ermetici ai mitriasti prendendo anche in considerazione gli antichi teologi del mondo greco. Porfirio giunse alla conclusione che l’anima doveva essere in grado di riconoscere le diverse strade sempre rigorosamente iniziatiche che portavano al mistero presente in ogni cosa creata. La via privilegiata per comprendere il mistero presente in ogni cosa era appunto la teurgia: la filosofia il logos la religione e la magia si univano per Porfirio in un unico quadro di significato. Secondo Porfirio alla luce di tale unico quadro di significato la realtà fenomenica e la verità sopra sensibile diventano una cosa sola. Secondo la metafora e l’antro di Porfirio l’anima umana è come una caverna oscura e misteriosa piena di immagini e di voci che risuonano al suo interno. Questa caverna rappresenta il mondo interiore dell’individuo dove risiedono tutte le sue emozioni i suoi desideri e le sue paure. La magia consiste nel manipolare queste immagini e queste voci al fine di influenzare il mondo esterno. Per esempio un mago potrebbe cercare di evocare un immagine di prosperità e di benessere nella propria mente con la speranza di attirare la ricchezza e il successo nella vita reale. Secondo Porfirio è fondamentale perciò un’adeguata preparazione psicologica per poter manipolare efficacemente la caverna dell’anima. Egli consiglia di praticare la meditazione la purificazione dell’anima e la concentrazione mentale al fine di raggiungere uno stato di coscienza elevato e di aprire la porta alla magia. Porfirio non solo attribuisce grande importanza alla teurgia ma anche alle tradizioni religiose provenienti da varie regioni con particolare riguardo alla Persia. Presso i Persiani come ricorda lo stesso filosofo l’antro era il luogo di culto lo spazio sacro in cui si celebravano i riti magici di purificazione quindi lo spazio sacro per eccellenza. Anche Proclo sviluppò una dottrina basata su un concetto di vita inteso come intelligenza che guidava tutto l’universo ed eliminava ogni separazione tra la dimensione fenomenica e quella più profonda. Per quanto riguarda Proclo dobbiamo dire che egli ha sviluppato una teoria della magia basata sulla nozione di simpatia. Secondo questa teoria tutti gli elementi dell’universo sono interconnessi in modo simile alle parti di un organismo vivo e quindi possono influenzarsi reciprocamente. Per Proclo quindi la magia è l’arte di manipolare queste connessioni per ottenere un certo risultato. Per il filosofo greco il mondo è composto da tre livelli: il mondo divino il mondo animale e il mondo materiale. L’uomo è un essere che appartiene a tutti e tre i livelli in quanto un corpo materiale un anima e uno spirito divino. La magia è l’arte di manipolare queste tre componenti dell’essere umano per ottenere un certo effetto. Inoltre il filosofo sosteneva che le arti magiche non sono un arte tecnica ma anche una forma di culto religioso. Proclo vedeva fantasmi luminosi e praticava riti magici di purificazione provenienti dai caldei. Inoltre per il filosofo greco la magia è uno strumento per comunicare con gli dei e per ottenere la loro assistenza nelle questioni terrene. Possiamo dire che in un certo senso Proclo si rifà alla concezione della magia che avevano i maghi egiziani. I maghi egizi sostenevano che l’energia magica era la forza che permea l’universo e che può essere manipolata dalla volontà del mago. Questa energia magica è presente in tutti gli esseri e oggetti ma può essere accumulata in modo particolare in alcune piante in alcuni minerali e in alcuni oggetti sacri. Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso su Plotino Porfirio e Proclo importanti esponenti dell’antica Grecia. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
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carmenvicinanza · 1 year ago
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Nina Cassian
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Mi è toccato questo volto strano, triangolare, questo pan di zucchero o questa polena degna di navi corsare e capelli lunghi, lunari, sulla cresta…
E solo quando grido perché sbatto e solo quando il freddo si promana e solo quando il tempo di peccato m’imbratta, mi chiamano bella. Mi riconoscono umana.
Nina Cassian è una delle più importanti autrici romene del Novecento. 
Espressiva e potente, ha scritto oltre quaranta opere tra raccolte poetiche, libri per l’infanzia e traduzioni.
Nata col nome di Renée Annie Cassian-Mătăsaru, il 27 novembre 1924 a Galaṭi, figlia di uno stimato traduttore di classici, trascorse l’infanzia in Transilvania, per poi trasferirsi a Bucarest a metà degli anni Trenta. Nella capitale aveva studiato recitazione, pittura e pianoforte, affermandosi nell’avanguardia artistica del modernismo, di cui è stata un’importante esponente.
Nel 1945 ha pubblicato la sua prima poesia sul giornale România liberă, seguita a due anni di distanza dal volume La scară 1/1 definito decadente dalla critica ufficiale comunista che le impose, in un certo modo, di adeguarsi allo stile encomiastico richiesto dal regime.
Solo nel 1957 è tornata a una poesia svincolata dalla celebrazione ideologica.
Nel 1969 ha ricevuto il Premio dell’Unione degli Scrittori di Romania.
Nel 1985, invitata a tenere un corso di scrittura creativa all’Università di New York, decise di chiedere asilo politico perché era stata presa di mira dalla Securitate, la polizia segreta del dittatore Ceauşescu, per aver trascritto alcuni suoi versi compromettenti nel diario di un amico dissidente.
Dopo il trasferimento, la sua casa venne messa sotto sigilli, opere, documenti, dipinti furono requisiti e il suo nome venne cancellato dai libri di scuola, dalle storie letterarie e dalle antologie.
In una sua lirica aveva scritto, “pur se verrò sepolta in una terra aliena, risorgerò un giorno nella lingua romena“, ricordando il periodo in cui aveva maturato la dolorosa decisione di riparare oltreoceano dove ha vissuto da esule come altri e altre connazionali.
È morta a New York, il 15 aprile 2014, a seguito di un attacco cardiaco.
Nei suoi testi compare una vitalità poetica, una furia creativa caratterizzata da estremizzazioni, parossismi, inventiva. Descrive scenari surreali ma anche ordinari momenti di quotidianità. Compartecipano e collaborano a edificare la sua architettura poetica gli oggetti, gli elementi della natura, i sentimenti, gli animali, molto più che le persone.
I suoi toni sono caustici, arguti, ironici, sempre diretti, spesso malinconici. Colpisce l’atteggiamento di cupo e lucido disincanto e una concezione cinica dell’esistenza.
In Italia la sua opera compare in qualche antologia e solo due suoi libri sono stati tradotti: Inverno e C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007.
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whileiamdying · 1 year ago
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Abbas Kiarostami e la necessità di riequilibrare i rapporti di forza tra uomo e natura
di Tommaso Zerbi
Nei film e nelle opere del regista iraniano, morto a Parigi sei anni fa, l’essere umano è comparsa e non protagonista: domina il paesaggio. Assieme al professor Marco Dalla Gassa abbiamo approfondito il lavoro e la mentalità di un visionario che ha lasciato il segno.
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Cosiman Scavolini / LaPresse 13 Agosto 2022
Nel cinema del visionario regista e sceneggiatore (ma anche poeta, pittore) Abbas Kiarostami, nato a Teheran nel 1940 e morto a Parigi nel 2016, il paesaggio e la specie umana sono due elementi che coesistono nonostante si trovino in costante tensione fra loro. Entrando nel vivo di alcune scene dei suoi film, si può riconoscere il suo impegno rispetto al tema dell’ecologia.
Per approfondire il suo lavoro e la sua mentalità ci siamo rivolti a Marco Dalla Gassa, professore associato di Cinema e Culture visuali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha avuto la preziosa occasione di conoscere Kiarostami nel 2003, quando il regista è stato insignito di una laurea honoris causa proprio nel capoluogo veneto. In conversazione con Linkiesta, l’esperto ha parlato del rapporto diretto tra le produzioni del regista e l’emergenza ambientale, facendo particolare riferimento a due film – “Il sapore della ciliegia” (1997) e “E la vita continua” (1992) – e all’installazione “Foresta senza foglie”, che è stata esposta al Victoria and Albert Museum nel 2005. 
Nel film “Il sapore della ciliegia” spiccano i dialoghi e le citazioni di Badi, un uomo sulla cinquantina ateo che sta pensando di suicidarsi. Nella pianificazione dell’atto fatale, Badi chiede un aiuto a due persone, che non sono disposte ad “aiutarlo”. All’improvviso, poi, appare un vecchio sul ciglio del marciapiede: il signor Bagheri. L’impressione è che quest’ultimo voglia collaborare – si scopre che è disposto solo in cambio di un compenso – a distanza di pochi attimi dal loro incontro iniziale. Tuttavia, l’anziano spende due parole nel tentativo di far cambiare l’idea a Badi. Tutto grazie al gelso.
«C’era una piantagione di gelso vicino alla nostra casa. Era buio. Ho gettato varie volte la corda […] Sono salito sull’albero e lì ho sentito una cosa sulla mano, un gelso. E che gelso. Dolcissimo, il primo l’ho mangiato […] A un certo punto ho visto il cielo che si stava schiarendo, Che bel sole, che vista, quanto verde. A quel punto ho sentito le voci dei ragazzi, i ragazzi andavano a scuola. Quando hanno visto che io mangiavo i gelosi hanno detto: “Scuoti l’albero”. Io scossi l’albero e loro hanno mangiato. Loro mangiavano e io ero contento. Poi ho scelto un po’ di gelsi li ho raccolti in una foglia e li ho regalati a mia moglie al suo risveglio. Anche lei li ha mangiati, anche lei li ha gustati. Ero andato a suicidarmi e sono ritornato con i gelsi. Capito? Mi ha salvato un gelso».
Nell’esibizione della natura all’interno dei suoi film è possibile registrare alcune similitudini tra la regia di Kiarostami e la poesia iraniana. Anch’essa infatti fa uso di alcune icone evocative derivanti dal paesaggio. 
È come se il contesto della natura di Kiarostami condizionasse i ragionamenti delle persone. L’amore verso i paesaggi naturali permette di raggiungere una nuova forma di intimità. L’uomo che è ispirato dai colori e dalle forme da cui è circondato è più consapevole persino della propria dimensione sociale e delle sue angosce.
Secondo Dalla Gassa, «tutti i lavori del regista trovano ispirazione – direttamente o indirettamente – dalla lirica persiana di cui Kiarostami era raffinato conoscitore. E nella lirica persiana, come in quella di Hadez, la natura tramite alcune sue immagini iconografiche come l’albero ha da sempre una funzione centrale nel rapporto tra l’essere umano e il trascendente». 
I personaggi del film vivono ognuno secondo la propria sfumatura caratteriale. Seguono il flusso degli eventi. Tuttavia, si nota un brusio di sottofondo come a suggerire che qualcosa sta andando storto, e che si dovrebbe intervenire il più in fretta possibile. Lo spazzino della spiaggia, che raccoglie la plastica buttata sul litorale in un sacco consegnandolo a una fabbrica in cambio di un compenso. La miseria, allacciata al tema dello sconforto interiore, impatta sulla dimensione quotidiana dei personaggi: nemmeno le meravigliose colline di Teheran riescono a consolarli. 
In questo quadro drammatico, si identifica quella che potremmo definire come una sorta di connessione metafisica fra la dimensione umana e quella naturale per cui nessuna delle due parti non può fare a meno di invadere l’altra per mezzo della propria presenza. 
Esiste un fil rouge che unisce gli altri lavori di Kiarostami. Come spiega dalla Gassa, «tutti i lavori del regista includono una serie di citazioni alla poesia iraniana del passato  L’uso meticoloso delle immagini prese direttamente dalla natura denota come la poesia stessa sia una fonte d’ispirazione per Kiarostami».
Parlando di “E la vita continua”, il film uscito nel 1992, va sottolineato il significato del trauma come elemento poetico all’interno della narrativa. Il lungometraggio è stato girato nel Gilan, una regione nord occidentale dell’Iran devastata da un terremoto nel 1990. A partire dalle prime scene, si nota come le memorie dei personaggi siano segnate da questa catastrofe. ricordi del disastro segnano fisicamente la vegetazione, invadendo persino i dialoghi interpersonali.
Kiarostami si è cimentato nella creazione di documentari, di video sperimentali, di installazioni, di fotografie, di film realizzati con programmi grafici. Un artista poliedrico. Degna di nota è anche l’installazione “Foresta senza foglie”, composta tubi giganti su cui vengono proiettate le simulazioni fotografiche degli alberi e dei loro tronchi, senza la chioma. Quest’opera sovverte la maniera in cui ci approcciamo ai paesaggi, provocando negli spettatori un nuovo istinto nei confronti della natura (di cui ci prendiamo cura sporadicamente). 
L’opera sembra voler provocare una domanda su tutte: l’uomo, a causa delle sue attività, è la causa di tutti i mali della natura? L’albero spoglio ne è la testimonianza fisica, la prova tangibile del nostro atteggiamento superficiale. La retorica di Kiarostami è suggestiva ed ecologista. Il regista, che ha approfondito temi per molto attuali, ha spesso dato priorità alla poesia, usandola come proprio manifesto. Nei film e nell’installazione, l’uomo diventa comparsa e non protagonista. Perché a dominare è la natura. Tutti questi elementi, pur trovandosi ad altitudini diverse, dipendono gli uni dagli altri. Quello che rimane è che la decadenza della nostra specie e l’inspiegabile ripudio per le cose semplici e naturali sono due temi rilevanti del regista.
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spettriedemoni · 4 years ago
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La foce del Pescara
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Immagine 1: “La Foce del Fiume Pescara” – Paolo De Cecco.
Dei tanti artisti che fecero la storia del rinascimento abruzzese di fine ‘800, Paolo De Cecco fu senz’altro uno dei piu’ talentuosi, anche se tra i meno conosciuti. Nato nel 1843 a Città Sant’Angelo, Paolo trascorse gli anni della gioventù a Napoli, ove frequentò il locale Istituto di Belle Arti e conobbe il collega F. P. Michetti. Nel 1880, assieme a G. d’Annunzio, F. P. Tosti, C. Barbella e lo stesso Michetti, fu tra i fondatori del “Cenacolo Michettiano”, la più prolifica collaborazione di intellettuali che l’Abruzzo abbia mai visto. Le opere di De Cecco, sconosciute alla maggioranza dei pescaresi, sono oggi ammirate in numerosi musei / collezioni private in Spagna, Germania, Regno Unito e nella stessa Pescara. Ed è proprio la nostra città la protagonista nell’opera più famosa dell’artista: “La Foce del Fiume Pescara”. Come una macchina del tempo, questo capolavoro ci apre uno scorcio sulla bellezza malinconica e sfuggente della Pescara di 115 anni fa. Al centro della tela ammiriamo le coloratissime vele latine issate dai pescatori di ritorno verso casa. Sulla parte destra, contempliamo la natura selvaggia ed intatta della sponda sud, mentre uomini, donne e bambini riparano le reti nella luce del tardo pomeriggio (una scena che a volte capita di vedere ancora oggi). A sinistra, infine, si staglia la mole di un edificio di proprietà dei baroni de Riseis, produttori di vino, la cui grande villa andò distrutta nella catastrofe del 1943. Certo, il confronto con la visuale presente è sorprendente, difficile negarlo. La guerra e l’avidità umana hanno cancellato quasi ogni traccia della poesia, natura e colori del luogo. Eppure non tutto è andato perduto: le tradizioni marinare sono dure a morire, i lupi di mare pescaresi conservano ancora l’identità fiera, l’amore per il loro mestiere. Le loro barche solcano ancora, notte e giorno, gli stessi flutti di allora. E infine ci siamo noi. Ancora qui, ad ammirare Pescara come era, come è, e ad immaginare come sarà. Per recuperare la nostra identità, rimediare agli errori del passato e renderla ancor più bella di prima.
Immagine 2: veduta odierna.
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(Pescara Segreta su Facebook).
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pier-carlo-universe · 4 days ago
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Ai piedi della montagna. Al calar della sera di Publio Casali: radici, riflessioni e connessione con la Terra. Recensione di Alessandria today
Un viaggio letterario tra introspezione, natura e il significato profondo delle radici umane e universali.
Un viaggio letterario tra introspezione, natura e il significato profondo delle radici umane e universali. Recensione di “Ai piedi della montagna. Al calar della sera” “Ai piedi della montagna. Al calar della sera” di Publio Casali è un’opera che si pone al confine tra riflessione filosofica, osservazione naturalistica e lirismo poetico. Attraverso i suoi scritti, Casali invita il lettore a…
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valentina-lauricella · 10 months ago
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C'è un che di crudele nel pretendere che "Giacomino", dall'aldilà, si esprima in versi, come se fosse un pappagallino ammaestrato, conchiuso nel suo ruolo di "poeta", ovvero nelle nostre anguste attese. Giacomo è immenso e ha bisogno di "interminati spazi" per essere. Il potere del suo pensiero è il più grande umanamente concepibile. Esso non si misura sulla base, soltanto, della parola scritta; il valore della sua parola si amplia, e risiede in gran parte, in ciò che essa richiama di non scritto perché indicibile. Chi conosce Giacomo sa che egli stesso non si riteneva un poeta, e che mai avrebbe potuto esserlo "di mestiere", giacché la sua poesia non soggiaceva ai comandi altrui, ma solo a una misteriosa "ispirazione". Per questo dico che chiedergli versi dall'aldilà sia crudele. È metterlo in difficoltà. È chiuderlo in una soffocante scatola.
Negli anni '70, quando le sedute spiritiche andavano di moda e costituivano persino un passatempo di società, non si era ancora edotti sul fatto che le anime si esprimessero, nel loro ambiente e per loro natura, in linguaggio non formale, ovvero privo di elementi grammaticali, sintattici e, in definitiva, linguistici. Immagino quale sia stato il senso di libertà di Leopardi, sentendo il proprio pensiero spogliato dalle briglie linguistiche.
Credeva, il giovane Leopardi, che pensiero e linguaggio nascessero insieme, e che non potesse esistere l'uno senza l'altro. Rievoca con straordinaria memoria e lucidità l'affacciarsi del suo primo pensiero formale, concomitante con l'apprendimento del nome di una pera. Sì, avete capito bene, il suo primo pensiero formale fu: ecco una pera moscardella. E tutti sappiamo quanto studio gli costò il formarsi un proprio stile, districandosi dalle pastoie di pedanti traduzioni di autori greci e latini della decadenza (vedi, a tal proposito, gli Studi leopardiani di F. Montefredini, che ci presentano un Leopardi in nuce ma irriconoscibile, dallo stile impacciato e involuto, ai limiti dell'imbarazzante). Tutti, parimenti, sappiamo che il Leopardi deve il massimo suo successo a quei Canti in cui è più chiaro e comprensibile, direi riposato, e come le malattie e la disillusione totale dell'ultimo periodo napoletano lo facessero precipitare nell'oscurità e durezza di taluni versi dei Paralipomeni della Batracomiomachia, che De Sanctis definì pressoché insoffribili.
Tutto, nella vita di Leopardi, fu scontro, contrasto, passione e sacrificio. Anche l'ascesa verso la vetta della più alta espressione linguistica fu per lui un calarsi nelle oscure e aspre profondità della materia umana. Dopo che si è temprato, compresso, messo a prova da ogni lato, lasciamo che risplenda di luce assoluta, questo diamante. Non chiediamogli versi.
Non chiediamo forma a chi è alle soglie della pace suprema, sul limite della comprensione e padronanza della realtà, che nella sua sostanza è non formale.
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diceriadelluntore · 5 years ago
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(in foto, Chirone che insegna a suonare la lira ad Achille, affresco proveniente dagli scavi di Ercolano e conservato al Museo Archeologico di Napoli).
Mentre arieggio casa approfittando dello splendido sole marzolino di oggi, con sottofondo McCoy Tyner (The Real McCoy, Blue Note, 1999) mi arriva un messaggio di un amico con il titolo in prima pagina di un quotidiano che accusava non tanto velatamente che per le carenze del nostro sistema sanitario il numero di morti, comparato a quelli della Corea del Sud, pur se uguali in totale di contagiati, è molto superiore.
Ho notato che @kon-igi, che io stimo molto, ha risposto ad una domanda sullo stesso tema, basandosi sui dati e le evidenze mediche. Quindi lascio alla sua risposta la parte tecnica della questione.
A me invece, per quegli strani meccanismi della mente umana, ha fatto venire in mente una figura del Mito classico che ha a che fare con la medicina: il centauro Chirone.
La sua figura è uno degli archetipi più forti del Mito, abbracciando tantissimi aspetti della cultura classica, definendo le caratteristiche dell’eroe e dell’uomo saggio.
Era un centauro in quanto metà uomo e metà cavallo, ma a differenza degli altri centuari non nacque dalla sacrilega unione di Issione, re dei Lapiti, e una sosia della dea Era, Nefele, da cui nacque, appunto, Centauro, un essere deforme che si accoppiò con le giumente del Monte Pelio ed originò una razza di creature ibride, metà uomini e metà cavallo, ma dall’unione che Crono ebbe con Filira, che per conquistarla si trasformò in cavallo. Nacque in una grotta sul Monte Pelio, tra atroci sofferenze per la madre, che vedendo quell’essere mostruoso lo abbandonò. Fu salvato da una capra e dal cane di un pastore, e poi portato dall’uomo al tempio di Pallade Atena, dove la dea lo curò con Apollo. Questo è un passaggio fondamentale: fu istruito all’arte lirica, all’uso dell’arco, alla medicina e all’arte del combattimento e alla caccia. Essendo figlio di Crono, era immortale. Rispetto agli altri Centauri, rozzi, aggressivi e volgari, Chirone era saggio, amabile con gli uomini e dispensatore di saggezza. Così sul monte Pelio costruì un’Accademia dove furono suoi allievi i più grandi eroi greci:  Telamone e suo figlio Aiace il Grande, Aristeo, Atteone, Ceneo, Enea, Fenice, Giasone, Oileo, Palamede,Teseo, Peleo e suo figlio Achille, Eracle e Asclepio. 
Particolare fu il suo rapporto con Achille: Peleo e Teti ebbero sette figli, ma siccome solo Teti era immortale, ad ogni nascituro lei imponeva un rituale per renderli immortali: li ustionava su una pira magica e li ricopriva di ambrosia per renderli immortali e farli ascendere con lei sull’Olimpo. Fatto sta che Peleo si gettò sulla pira divina e ritirò il bimbo, che sul tallone non ebbe l’ustione divina e si ferì solamente. Teti sdegnata abbandonò Peleo, il quale portò il bimbo al centauro Chirone, che operò la prima operazione chirurgica: infatti dissotterrò un osso del piede del Gigante Damiso, famoso per la corsa, e a quel bambino, che si chiamava Liginore  (=il piangente), siccome non ebbe mai succhiato dal seno materno, cambiò nome in Achille (cioè “senza labbra” e divenne in seguito il piè veloce eroe degli Achei). Achille imparò a suonare la lira, a comporre poesia ma soprattutto le ricette della farmacopea da Chirone: una delle piante che Plinio descrive come usate da Achille per curare le ferite fu denominata Achillea da Linneo. 
Sfortunata fu la morte del buon centauro: una freccia scagliata di Eracle (secondo alcuni durante un matrimonio, secondo altre fonti durante una battaglia contro i Centuari, Ovidio nelle Metamorfosi parla addirittura di una freccia che per caso cade dalla faretra dell’eroe) la cui punta è avvelenata dal sangue dell’Idra di Lerna, ferì al piede Chirone: essendo immortale gli procurava non la morte, ma atroci sofferenze. Desiderando la morte, Chirone riuscì ad ottenerla scambiando la sua immortalità con Prometeo: Zeus, al quale il centauro era particolarmente caro, lo volle comunque vicino a sé nel cielo, trasformandolo nella costellazione del Centauro.
Oltre la mitologia, che è sempre affascinante dal mio punto di vista, Chirone da saggio e medico affronta durante la sua vita:
 - il distacco emotivo sia rispetto alla sua natura (l’abbandono della madre Filira, che per il dolore di aver partorito un essere così mostruoso morì e fu trasformata in albero di Tiglio, usato poi dallo stesso Chirone per le sue proprietà calmanti) sia rispetto alla sua professione: tutti gli eroi sui allievi ebbero un rapporto tragico con la conoscenza e il dolore, quasi a sottolineare come la dimensione dell’accrescimento culturale oltre che dare onori e gloria dia anche sofferenze e dolori;
- la dimensione del medico, in lui distinta come chirurgo (di cui il Mito fa di Chirone il fondatore) e come clinico, la cui disciplina dal punto di vista filologico si fa mitologicamente iniziare con Asclepio, suo allievo, in quanto per etimologia clinica è l’arte di curare il malato a letto; quindi (…)  la parte delle scienze mediche indirizzata allo studio diretto del malato e al conseguente trattamento terapeutico (fonte. Vocabolario Treccani);
- il vulnus del curare ma del non curarsi, metafora della sua ferita insanabile.
Proprio quest’ultimo punto mi porta a dedicare un pensiero a chi sta lavorando tanto, e nell'aiutarli seguendo le ormai notorie norme di comportamento.
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Vicenza, La Bertoliana omaggia il premio Nobel Seamus Heaney a 10 anni dalla sua scomparsa
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Vicenza, La Bertoliana omaggia il premio Nobel Seamus Heaney a 10 anni dalla sua scomparsa Ricorre quest'anno il decennale della scomparsa del poeta nordirlandese Seamus Heaney (1930-2013), premio Nobel per la letteratura nel 1995. Per l'occasione la Biblioteca civica Bertoliana, con Rossella Pretto e Monica Centanni, propone giovedì 30 novembre, alle 18 nella sala Dalla Pozza di Palazzo Cordellina, la presentazione del libro "Speranza e storia. Le quattro versioni sofoclee" di Heaney, a cura di Sonzogni, Guzzo, Pretto, Zanetti (Il Convivio Editore, 2022). La Bertoliana - con la Fondazione Pordenonelegge.it, il Centro culturale di Milano e l'Università di Catania - partecipa infatti al progetto "Le pietre parlano - Heaney e l'Italia", ideato e curato da Francesco Napoli e Rossella Pretto per ripercorrere e riflettere sulla grande attualità della poesia di Heaney e sul suo pensiero letterario e linguistico, tenuto conto del forte legame del poeta irlandese con l'Italia, derivato in particolare dallo studio di Dante, Virgilio e Giovanni Pascoli. "Speranza e storia" raccoglie per la prima volta in traduzione italiana tutte le versioni sofoclee di Seamus Heaney. Le riscritture integrali del "Filottete. La cura a Troia" (1990) e dell' "Antigone. La sepoltura a Tebe" (2004) sono accompagnate da un passo dell'"Edipo a Colono. Quanto accadde a Colono" (2004) e da un passo dell'"Aiace. Testimonianza: il caso di Aiace" (2004). Queste versioni documentano due aspetti fondamentali della poetica del premio Nobel: quello della traduzione letteraria come spazio "originale" per arricchire la propria scrittura e quello della rilettura dei classici come spazio "ideale" per riflettere e far riflettere sulla natura umana tra passato, presente e futuro. Rossella Pretto è poetessa, traduttrice e redattrice di riviste letterarie. Il suo primo poemetto, "Nerotonia", ispirato al Macbeth, è uscito nel 2020 (Samuele Editore). Con Marco Sonzogni ha curato "Memorial di Alice Oswald" (Archinto, 2020) e "Speranza e Storia. Le quattro versioni sofoclee di Seamus Heaney" (Il Convivio Editore, 2022). Ha curato inoltre "La Terra desolata" di T.S. Eliot per la riedizione della traduzione di Elio Chinol (InternoPoesia, 2022). Suoi articoli sono apparsi su "Alias-Il Manifesto", "Poesia", "L'Ottavo", "Journal of Italian Translation", "Studi Cattolici" e "L'Estroverso". Monica Centanni, filologa classica, grecista e accademiaca olimpica, insegna Lingua e letteratura greca all'Università Iuav di Venezia. È studiosa del teatro antico (drammaturgia, strutture, funzione politica della tragedia greca; riprese del dramma classico nel Novecento), di civiltà tardo antica (il romanzo ellenistico e il passaggio tra paganesimo e cristianesimo), di storia della tradizione classica nella cultura artistica e letteraria, dall'antico al contemporaneo. Su questi temi ha curato mostre ed eventi teatrali, ed è autrice di studi e monografie. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per informazioni: [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Poeti moderni italiani: alla ricerca di un nuovo linguaggio
I poeti moderni italiani, e con moderni intendiamo quanti hanno scritto nel secolo scorso, hanno espresso stili molto diversi tra loro. Sintomo della grande vivacità del panorama poetico del Novecento. D'altronde non poteva essere che così per un secolo attraversato da due guerre mondiali e da profondi cambiamenti politici e culturali. Nella poesia del Novecento ritroviamo molte istanze tutte diverse tra loro: la sperimentazione linguistica che porta, tra l'altro, alla rottura con la metrica tradizionale; una forte componente soggettiva e introspettiva, attraverso la quale i poeti hanno esplorato i loro stati d'animo, le emozioni, le esperienze personali e la psicologia individuale; l'attenzione a problematiche sociali e l'impegno politico. Tutto questo supportato dalla ricerca di un nuovo linguaggio. Oggi accendiamo un piccolo faro su tre grandi poeti del Novecento: Giorgio Caproni, Mario Luzi e Alda Merini. Poeti moderni italiani: Giorgio Caproni Nato il 7 gennaio 1912 a Livorno e morto il 22 gennaio 1990 a Roma, Giorgio Caproni è considerato uno dei maggiori poeti italiani moderni. La sua carriera poetica ebbe inizio negli anni '30, ma la sua opera matura si sviluppò, appunto, negli anni '40 e '50, con la pubblicazione delle raccolte "Le città e la memoria" nel 1946 e "Il seme del piangere" nel 1956. Nel corso della sua vita, Caproni pubblicò altre importanti raccolte di poesie, come "Tutti i poeti sono giovani" nel 1973 e "Il sesto senso" nel 1984. Nei primi anni, è influenzato dal neorealismo e dalla poetica di Ungaretti, ma in seguito sviluppa uno stile personale caratterizzato da un linguaggio essenziale e una grande capacità di sintesi. La sua opera poetica è caratterizzata da una grande attenzione ai dettagli e da una riflessione acuta sulla condizione umana. Caproni esplora temi come il tempo, la memoria, l'amore, l'esistenza e la solitudine, cercando di dare un senso alle contraddizioni e alle complessità della vita. La sua scrittura è caratterizzata da un linguaggio essenziale, preciso e ricco di immagini evocative. Nonostante la sua grande maestria poetica, Caproni non godette di un grande successo commerciale durante la sua vita. Tuttavia, fu apprezzato e riconosciuto dalla critica letteraria, che lo considerava uno dei poeti più autentici e originali del suo tempo. Solo negli ultimi anni della sua vita ottenne un maggiore riconoscimento pubblico e diversi premi letterari, come il Premio Viareggio nel 1987 e il Premio Montale nel 1989. Oltre alla sua attività di poeta, Giorgio Caproni ha lavorato come traduttore, critico letterario e insegnante. Ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l'Università di Roma La Sapienza. La sua opera ha influenzato molti poeti successivi e continua a essere studiata e apprezzata per la sua profondità e originalità. Il significato dell'esistenza umana: Mario Luzi Nato il 20 ottobre 1914 a Castello, un piccolo paese in provincia di Siena, e morto il 28 febbraio 2005 a Fiesole, vicino a Firenze, Mario Luzi ha lasciato anch'egli un'impronta significativa sulla letteratura italiana. Anche per Luzi la carriera poetica ebbe inizio negli anni '30, con le prime opere pubblicate sulle riviste letterarie dell'epoca, ma la sua opera matura si sviluppò negli anni '50 e '60, quando pubblicò importanti raccolte come "Avvento notturno" nel 1957, "Al fuoco della controversia" nel 1963 e "Nella cruna del tempo" nel 1979. Nel corso della sua vita, Luzi ha anche scritto saggi critici e opere in prosa. La sua poesia si caratterizza per una profonda riflessione sulla condizione umana, sul senso dell'esistenza e sulla relazione tra l'uomo e la natura. Luzi era particolarmente attento alle sfumature e alle complessità del linguaggio, e la sua scrittura è caratterizzata da una grande precisione e ricercatezza formale. Oltre che poeta, Mario Luzi è stato membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Accademia della Crusca e del comitato scientifico della Fondazione Lorenzo Valla. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Feltrinelli per la poesia nel 1963 e il Premio Viareggio nel 1995. Il dolore e la solitudine: Alda Merini Nata il 21 marzo 1931 a Milano e morta il 1º novembre 2009 nella stessa città, Alda Merini considerata una delle voci più significative della letteratura contemporanea italiana. La sua vita fu segnata da esperienze complesse e sofferenti. Sin dalla giovane età, infatti, Alda Merini soffrì di problemi mentali e trascorse periodi in diverse istituzioni psichiatriche. Possiamo dire che la sua esperienza di sofferenza e di lotta con la malattia mentale sia il centro della sua poesia, caratterizzata da una profonda introspezione, dalla ricerca della libertà e dal desiderio di trasmettere emozioni intense. La sua carriera poetica ha inizio negli anni '50, ma il successo arriva a partire dagli anni '80. Alda Merini ha pubblicato numerosi libri di poesie, tra cui "La presenza di Orfeo" nel 1953, "La Terra Santa" nel 1971 e "Vuoto d'amore" nel 1991. La sua poesia affronta temi universali come l'amore, la morte , la sofferenza e la ricerca del senso della vita. Nel 1996, le è stato assegnato il Premio Librex-Guggenheim Eugenio Montale, e nel 1997 ha vinto il prestigioso Premio Viareggio per la poesia. Nel corso degli anni, ha anche tenuto numerosi corsi e conferenze sul tema della poesia e della creatività. Oltre che come poetessa, Alda Merini è stata molto apprezzata anche come persona. La profonda umanità e il coraggio di aver parlato apertamente dei suoi problemi mentali l'hanno resa un personaggio simbolo del suo tempo. In copertina foto di giselaatje da Pixabay Read the full article
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intotheclash · 5 years ago
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Pasolini: Ungaretti, secondo lei esiste la normalità e l’anormalità sessuale? Ungaretti: Ogni uomo è fatto in un modo diverso, dico nella sua struttura fisica è fatto in un modo diverso. Fatto anche in un modo diverso nella sua combinazione spirituale, quindi tutti gli uomini sono a loro modo anormali. Tutti gli uomini sono in un certo senso in contrasto con la natura e questo sin dal primo momento, con l’atto di civiltà, che è un atto di prepotenza umana sulla natura. E’ un atto contro natura. Pasolini: Le chiedo di dirmi qualcosa a proposito di norme e trasgressione della norma, sulla sua esperienza intima e personale. Ungaretti: Sono un poeta e incomincio col trasgredire tutte le leggi facendo della poesia. Ora sono vecchio e non rispetto più che le leggi della vecchiaia, che purtroppo sono le leggi della morte.
Pasolini intervista Ungaretti, da "Comizi d'amore"
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