#poesia d’amore classica
Explore tagged Tumblr posts
Text
Ho amato te di Beatrice Zerbini: una dichiarazione d’amore senza confini. Recensione di Alessandria today
Una poesia intensa e universale che celebra l’amore in tutte le sue sfumature, tra passione, dolore e devozione.
Una poesia intensa e universale che celebra l’amore in tutte le sue sfumature, tra passione, dolore e devozione. La poesia Ho amato te di Beatrice Zerbini è un capolavoro di emozioni che racchiude l’essenza più pura dell’amore. Con uno stile diretto e una sensibilità straordinaria, l’autrice dà voce a sentimenti che tutti, almeno una volta nella vita, hanno provato. L’amore qui è descritto in…
#Alessandria today#amore caparbio#amore e sacrificio#amore e solitudine#Amore Eterno#amore incondizionato#amore nei versi#amore ostinato#amore senza limiti#Arte poetica#autori di poesia#Beatrice Zerbini#Beatrice Zerbini poesia.#celebrazione dell’amore#dedizione emotiva#dichiarazione d’amore#dichiarazioni poetiche#Emozioni universali#emozioni universali in poesia#Google News#Ho amato te#italianewsmedia.com#Pier Carlo Lava#poesia autentica#poesia che emoziona#poesia che ispira#poesia contemporanea#poesia d’amore classica#poesia d’amore intensa#poesia di resilienza
0 notes
Text
Anna Jencek
esce “Saffosonie - Cantando liriche di Saffo”
Il disco dello spettacolo dedicato alle liriche di Saffo nella traduzione di Salvatore Quasimodo. Un recital teatrale di Alessandro Quasimodo, "Operaio di Sogni", dedicato alla poesia del padre Salvatore, con la regia di Lorenzo Vitalone e la partecipazione di Mario Cei. Ad Anna Jencek il compito di inframmezzare l'interpretazione poetica di Alessandro con siparietti musicali, accompagnando con la chitarra, musicando e cantando alcune liriche di Saffo nella traduzione di Salvatore Quasimodo: «di questo suo lavoro il poeta parlava spesso a noi, allievi affascinati del suo corso di letteratura al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano». Nasce così “Saffosonie” il nuovo disco di Anna Jencek,
«Bisogna ringraziare Saffo: l'invito di Bollani in quella puntata del 5 aprile 2021 del bel programma televisivo di Stefano Bollani, "Via dei Matti n. 0", mi ha spinta a completare quel lavoro appena accennato e a restituire nuovo canto a quei versi d’amore.
D'altronde non sono affatto estranea all'ispirazione di musicare poeti (Goethe, Marc De Pasquali, Cesare Pavese, Shakespeare, Neruda, Arturo Schwarz) formata dall'esperienza entusiasmante, negli anni giovanili della bohème, del comporre canzoni per e con Herbert Pagani, con cui ho condiviso la magia di quel tempo». Anna Jencek
Traduzione: Salvatore Quasimodo Musica: Anna Jencek, Flavio Minardo Orchestrazione: Dario Toffolon Canto: Anna Jencek Voci Recitanti: Matteo Chiarelli, Anna JencekSolisti: Jacopo Dentice (cornamusa) - Flavio Minardo (chitarra e sitar) - Simone Rossetti Bazzaro (viola)
Anna Jencek, artista poliedrica, svolge intensa attività nei settori della musica, del teatro, della danza. Ha studiato pianoforte e canto, nonché chitarra classica al conservatorio G. Verdi di Milano, sotto la guida del M° Ruggero Chiesa, negli anni in cui Salvatore Quasimodo era docente di letteratura italiana. Ha scritto musica per Herbert Pagani, con cui ha condiviso anni di lavoro e di vita, e altri artisti; per spettacoli teatrali e di danza, spot radiofonici e televisivi, ottenendo vari premi e un disco d'oro. Cantautrice, attrice, tiene recitals nei principali teatri milanesi, in Italia e all'estero. Ha diretto stage professionali di canto in cui era docente di interpretazione, tecniche vocali e presenza scenica. È stata vocal coach in talent televisivi. Ha inciso numerosi dischi con sue composizioni. È citata nel dizionario delle compositrici lombarde. Voce di Radio Montecarlo e altre, affronta le prime esperienze di palcoscenico sotto la guida registica del M° Alessandro Brissoni. Ha collaborato con la scuola del Piccolo Teatro. È stata docente di recitazione, commediografa e regista in compagnie filodrammatiche. Ha partecipato come compositrice cantante e attrice nella "Compagnia del lago", diretta da Luigi Chiarelli. Allieva di Ada Franellich nel percorso decennale di "Ginnastica, Ritmica, Danza secondo il metodo Hellerau - Laxenburg", ha studiato all'Istituto Yoga di Carlo Patrian. Danzatrice e coreografa, ha insegnato danza creativa, nei corsi del Comune di Milano e presso la scuola di danza Mara Terzi. È insegnante di yoga. Dal padre, mecenate di artisti, ha appreso il gusto della pittura. La scrittrice Lalla Romano, amica di famiglia, ha guidato i suoi primi passi nella conoscenza di poesia e letteratura, per cui fin da bambina ha ottenuto premi e borse di studio. È stata redattrice editoriale. Ha insegnato attività creative presso le scuole medie statali durante il primo settennato di sperimentazione didattica, avendo ottenuto abilitazione ministeriale. Ha tenuto laboratori di scrittura della memoria e di lingue. Consulente di Assessorati alla Cultura, aveva fondato e diretto l'associazione di servizi culturali "L'albero dell'Arte", per l'ideazione e organizzazione di eventi nei campi dell'arte, dello spettacolo, della cultura, dell'educazione, con all'attivo centinaia di progetti realizzati per enti privati e, soprattutto, pubblici (Vacanze a Milano, Milano d'estate, Carnevale ambrosiano, Folk festival, Cinema nel parco, Celebrazioni mozartiane, Celebrazioni per la Certosa di Pavia, Il giardino dell'Arte: teatro musicale per bambini e ragazze, Centri socio ricreativi, Università della terza età ecc.). La sua discografia ha sempre cercato il connubio tra musica, letteratura e poesia. La sua ultima pubblicazione è “Saffosonie - Cantando liriche di Saffo” per Moletto Edizioni Musicali.
0 notes
Text
[…]A quella guisa, però, che cumuli di terriccio e di materie celavano agli occhi dei Romani e dei forestieri gran parte dei monumenti antichi, sepolti ma non interamente distrutti, così anche nei tempi pìu foschi del medio evo la cultura latina non era totalmente morta, lo spirito della Roma antica non era spento; ma attendeva soltando chi lo ridestasse. Primo grande risuscitatore ne fu Dante, che pìu d’ogni altro senti il fascinio politico di Roma e ne proclamò la potenza universale. Venne il Petrarca, che la chiamò capitale del mondo, la regina dalle città; ed a poco a poco cominciarono a rivivere gli antichi ideali di grandezza e di poesia. Il genio della’antichità tornava ad affascinare gli Italiani. I cuori di molti eruditi arsero d’amore per la civiltà pagana, per il bello classico della’Ellade e di Roma antica. La passione per la latinità diventò una vera mania, un fanatismo, una frenesia. Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Il Platina, Guarino Veronese e cento altri percorrevano i paesi in cerca di manoscritti antichi. In tutta l’Italia si ebbe un ardente desiderio di approfondire il pensiero dei Latini, di imitarlo; e dopo che ai Latini, la mente si rivolse anche ai Greci. Dappertutto era un indefesso lavoro di ricerche, d’erudizione, di traduzione. E tali studi classici non furono soltanto opera d’erudizione, ma ebbero sulla vita e sul pensiero degli Italiani un influsso di ben altra natura e portata. Essi stabilirono il contatto spirituale con l’antichità, riavvicinarono gli Italiani alla cultura classica, alla concezione greco-romana del bello e della vita. Al calore di quell’antica civiltà l’uomo venne ricondotto al pieno e libero svolgimento di tutte le sue facoltà. Nuovi pensieri ravvivarono la speculazione filosofica; la letteratura e l’arte si accostarono alla natura, alla realtà della vita, al culto della bellezza terrena. II. La Roma dei Borgia.
Gustavo Sacerdote, Cesare Borgia: La sua vita, La sua famiglia, I suoi tempi.
#auth: gustavo sacerdote#house borgia#italian renaissance#ancient rome#sacerdote doesn't seem to be much of a fan of paganism and the ancient way of life™ lol#so really bless his heart for writing so beautifully about the rebirth of classical knowledge#and how that deeply influenced the renaissance and ~~la roma~~ that the borgias then lived on#i loved this passage#great stuff#<3
1 note
·
View note
Photo
Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/04/la-poesia-popolare-del-salento-parte-ii/
La poesia popolare del Salento (parte II)
di Cristina Manzo
Anche quando i Longobardi si stanziarono in Italia e vi furono le alterne vicende della lotta tra Bizantini e Longobardi, la penisola salentina fu una delle pochissime terre che restarono legate a Bisanzio, quindi anche allora i legami marini furono più forti di quelli terrestri. E così fino al secolo XI, in cui finalmente la potenza bizantina venne debellata da quella Normanna, una potenza peraltro venuta dal mare.
La penisola Salentina, che aveva mantenuto una continuità di legami prima con la Grecia e poi con Bisanzio, era stata quindi permeata da quella civiltà, lingua, costumi, cultura e continuerà, anche nelle epoche seguenti, a manifestare quella civiltà greca e bizantina, sia nel periodo normanno che in quello svevo e in quello angioino, fino all’aragonese. Dunque il mare per la penisola salentina è un elemento di unione, non di separazione. Da questa realtà sono derivati non solo la storia della penisola e la sua civiltà, ma i caratteri etnici, etnografici linguistici, folklorici.
È questa la causa dello stupore che suscita il Salento come regione pugliese così diversa dalle altre, sia pur vicinissime, che la sua unità e indipendenza dalle sorti e dalla civiltà del resto della Puglia ne fanno una regione a sé.
L’importanza dunque del mare nella vita della penisola salentina è capitale ed è la chiave di volta per la comprensione della civiltà, della realtà storica di essa.
Tutto il folklore salentino testimonia di tale realtà ed è illuminato da tale prospettiva. Dalla lingua, permeata, oltre che nelle forme, nell’atteggiarsi e nel flettersi, di classicismo greco e romano; alla fantasia e all’immaginativa fortemente estetizzanti; alle tradizioni e ai costumi, nei quali si rivela una continuità dalle antichissime epoche della Magna Grecia; alle leggende, in molta parte derivate dalla tradizione classica greca e romana e riecheggianti le varie vicende della regione, sempre legate all’Oriente; alle tradizioni religiose e profane; alle abitudini di vita dei pescatori e contadini; al loro modo di vivere e di poetare; alle manifestazioni d’arte popolare, in cui una raffinatezza di gusto e di genialità fa pensare alla vena artistica greca immessa d’oltremare in questa regione.
immagine tratta da http://www.expopuglia.it/turismo/visita-la-puglia/brindisi-e-provincia/lecce-e-provincia/gallipoli-e-i-gabbiani-lecce-208
La poesia popolare del Salento porta i riflessi del mare in tutte le sue forme e spesso tale riflesso segna i canti salentini di note che li rendono indipendenti dai canti delle altre regioni, tanto da poter fare avanzare l’ipotesi dell’origine locale dei canti stessi. Dalle ninne nanne, versetti: “Nare nare nare / A Caddipuli è bellu stare / Te ‘n facci te li fanésce iti l’onde te lu mare” o Scongiuri; proverbi: “Scerocche kiàre e tramendàne scure / Mittete a mare e nun avè pagùre” o filastrocche: “Lu rùsciu te lu mare è tantu forte”, ai canti d’amore, in cui i termini di paragone, le similitudini per la bellezza della donna amata sono attinti all’esperienza di vita.
Così in alcuni canti raccolti in luoghi marini si trovano più numerosi accenni al mare, termini tecnici marinari, immagini e visioni determinate dall’ambiente: “La ripa te lu mare”, “La nave”, “ L’àncuara”, “Lu pìscatore”5 . (trad. nelle note).
La poesia del Salento non è stata studiata in modo organico nelle sue molteplici espressioni ma, non sono mancate raccolte, alcune più ampie, come quella dell’Imbriani e Casetti, altre più ristrette come quella del Gigli e di altri. In tempi recenti un impulso più vivo e concreto alla raccolta e allo studio sistematico della poesia popolare salentina è stato dato dall’Istituto per le Tradizioni Popolari di Roma, sotto la guida illuminata e dinamica dell’illustre Prof. Paolo Toschi, che ha fatto svolgere ai suoi allievi salentini tesi di laurea e saggi su vari argomenti di poesia e di tradizioni popolari di questa regione.
Attingendo anche da questo prezioso lavoro svolto in precedenza, quindi, è poi stato fatto un tentativo molto faticoso e lungo di raccogliere poesie, filastrocche e canti lirici e popolari riguardo ogni tipo di evento (riti religiosi, funerali, lu cunsulu, credenze pagane, la storia dei tarantati, feste dei santi patroni, Natale, la passione di Cristo, leggende e tragedie, promesse e matrimoni), in un’area non molto vasta attorno a Lecce e cioè: Surbo, Castro e Castrignano del Capo, ponendo attenzione alle significative o, a volte impercettibili, varianti del dialetto e del conseguente significato attribuito alle parole6.
Giovani marittimesi negli anni ’70
Tutte le Strofe o gli Stornelli, anticamente e con frequenza, venivano usati nelle famiglie per comunicare con i bambini, (che li amavano particolarmente quando erano in rima), altresì, venivano narrati o cantati nei campi, per recare sollievo durante le lunghe ore di lavoro; o nascevano come proverbi e “spramenti” (avvertimenti esperienziali, nel senso che solo dopo che se ne è fatta esperienza se ne capisce il significato, a qualsiasi soggetto lo “spramento” sia connesso) riferiti a qualche mestiere faticoso come, per esempio, un canto raccolto a Surbo, che a quanto pare è collegato al lavoro del trappeto (termine salentino che indica il frantoio, dove avviene la spremitura delle olive per produrre l’olio): “Ci vuèi sacci le pene de lu ‘nfièrnu fane ‘nu mese e mìenzu lu trappìtu, la prima notte ‘nde pièrdi lu sennu, l’àutra notte lu sennu e l’appetitu”7. (Trad. nelle note).
A volte nascevano stornelli improvvisati per le strade o nelle piazze; in qualche ritrovo comune come una sala ricreativa, si creava l’occasione di una gara poetica in cui tutti amavano cimentarsi, dai più piccini ai più grandi; inoltre rime e strofe si prestavano molto bene quando si voleva trattare un argomento usando la satira o nelle dichiarazioni amorose. Gli stornelli e le filastrocche popolari, in tutto il Salento erano o narrati o canticchiati, con tonalità, musica e melodia quasi sempre improvvisati, le strofe o il numero dei righi o dei versetti di ogni componimento erano giustificati dall’occasione e dal contesto che li richiedeva.
(continua)
Note
4 Poesia religiosa narrativa, (fa parte dei canti raccolti in Castro), canto recitato da Luigi Schifano detto Lu Tarantinu, nato in Castro, nell’anno 1876, non legge e non scrive. Trad.: La presa che fecero i turchi una di quelle robe caricò. Una caricò più di tutti, portò via un grande tesoro. Capitò in mano a una donna turca che era arrivata ai dodici mesi e non partoriva. Lì si trovava una schiava cristiana, “Questa statua al paese devi rimandare”. La donna che sentiva doglie crudeli dentro un grande vascello avrebbe voluto rimandarla, ma prende una barchetta sconsolata e la butta un mare nell’aria imbrunita. La sera si partì dalla Turchia e in una notte fece tanta strada. Le genti otrantine avvistarono una luce, i marinai si buttano nel mare ma la Madonna indietreggiò. Cambiando capitolo, scese il Bonsignore e la Madonna a terra si tirò. Poi scrisse al Santo Papa per dire che si era trovata una gentile rosa. Il Papa dispensò il Giubileo per perdonare e salvare da ogni peccato, p.389, in La poesia popolare del Salento di I. M. Malecore, 1967.
5 Il mare nel folklore del Salento, di I. M. Malecore, Provincia di Lecce – Mediateca – Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO – Lecce. Traduzione, secondo l’ordine di scrittura dei versetti in vernacolo: “Nuotare, nuotare, nuotare, a Gallipoli è bello stare, ti affacci alla finestra e vedi le onde del mare”. “ Con gli scirocchi chiari e le tramontane scure, mettiti in mare e non avere paure”. “ Il rumore del mare è tanto forte”. “ La riva del mare, la nave, l’ancora, il pescatore”. http://www.culturaservizi.it/vrd/files/ZG1959_mare_folklore_Salento.pdf
6 Irene Maria Malecore, La poesia popolare nel Salento, Leo S. Olschki Editore MCMLXVII, Firenze, 1967. Biblioteca di «Larès», Vol. XXIV.
7 Canto di lavoro,( fa parte dei canti popolari raccolti in Surbo), canto recitato da Caterina Conte detta la Mangorfa, nata in Surbo, nell’anno 1868, contadina, legge e non scrive. Trad.: Se vuoi conoscere le pene dell’inferno fai un mese e mezzo al trappeto, la prima notte ci perdi il sonno, l’altra notte il sonno e l’appetito, p.342 in La poesia popolare nel Salento, di I.M. Malecore, 1967.
3 notes
·
View notes
Photo
New Post has been published on https://www.tempi-dispari.it/2022/11/07/sangu-nuovo-album-del-cantautore-fabio-macagnino/
“Sangu”, nuovo album del cantautore Fabio Macagnino
Il progetto discografico dell’artista porta, quindi, alle estreme conseguenze un percorso musicale che ruota intorno alla musica popolare della Locride, ma attinge a sonorità e ritmiche che, indicando il passato, suggeriscono il futuro, facendosi ispirare dai dialetti. Un album sanguigno, a tratti animalesco e punk, in cui sono presenti strumenti musicali tradizionali – come lira calabrese, mandola, pipita – accostati a strumenti elettrici danno consistenza materica al suono.
L’album, che uscirà in versione fisica a settembre, apre con Eu non perdunu, una canzone dal suono aggressivo: “questa scelta per rimarcare il fatto che, a volte, per superare traumi, conflitti o ferite, vale più lo sdegno e il saper disprezzare onestamente la perfidia, la vigliaccheria di chi sia stato responsabile di un’offesa – spiega Fabio MAcagnino -. Il brano anche ha un tratto leggero e ballabile e fa riferimento alla presa di coscienza, liberatoria, di voler fondare la propria vita su principi che con tale cattiveria e vigliaccheria non abbiano nulla a che vedere.”
Lo sdegno percorre come un fil rouge il progetto e lo ritroviamo anche in CANI LORDU con suono e voce aggressiva. Canzone di denuncia, nei confronti di chi si trasforma da amico a spietato nemico, bilanciata dall’ironia delle parole e dal terzinato sostenuto che spinge al ballo e al movimento liberatorio. Il ballo si trasforma in malinconico con FORTUNA, il cui videoclip uscirà a inizio luglio, che rappresenta il dialogo tra la fortuna e l’innamorato che ne invoca l’intervento, per condizionare le sorti della sua sventurata storia d’amore.
Altro dialogo è quello in TARANTELLA LOCCA che racconta di un anziano maestro di tarantella e di un novello apprendista che vorrebbe imparare il tamburello. Questo è un pretesto per giocare intorno al tema della tradizione che non si rinnova. Tradire la tradizione o restare fedeli ai modi tramandati dai maestri? A questo punto in FIGURATI TU si mette in luce un ironico gioco di parole per mettere a confronto, in modo leggero, due tipi di persone: gli intellettuali saccenti che sanno tutto e che non permettono a nessuno, che non sia dotto, di esprimersi su un argomento e chi, invece, al contrario, utilizzando molti luoghi comuni, si esprime su ogni tematica.
Invece NDRI NDRA èla presa di coscienza liberatoria che la Calabria con la ‘Ndrangheta non ha nulla a che vedere. Sono due cose diverse. Sonorità dal sapore ancestrale: il suono scuro, primitivo, ciclico del terzinato della tarantella, invita ad un ballo rituale liberatorio. JANESTRA MI FICI è una ballata che rivisita la classica serenata.
Mentre CATARINÈè una storia d’amore tra due giovani fidanzati della Locride, un pretesto per evidenziare, con leggera ironia, la cronica mancanza di trasporti. Infatti, da anni si parla invano di un ammodernamento della linea ferroviaria jonica calabrese, che non è mai avvenuto. Il disco di accinge alla conclusione con un gioco: GNIGNARU, nonché l’antico astragalo.
Si tratta di un gioco e questa canzone non ha un significato: si gode della lingua in sé. Infine, SI FUSSI AMURI esprime l’amarezza del non riuscire ad innamorarsi: si preferirebbe la sofferenza per un amore non ricambiato all’assenza di questo sentimento essenziale per la vita. La canzone chiude con una poesia del poeta DANIEL CUNDARI, da lui stesso declamata.
Testi e Musica sono di Fabio Macagnino. Produzione artistica, arrangiamenti a cura di Mujura. A questo nuovo disco di Fabio Macagnino (Chitarra classica, percussioni, voce, cori) hanno collaborato Gabriele Albanese: Lira, Pipita, Marranzano, Zampogna, cori; Gino Giovannelli: Organo, Salvatore Gullace: mandola mandolino bouzuki; Francesco Loccisano: Chitarra classica, chitarra battente; Giuseppe Lucà: Organetto; Mujura: Basso elettrico, chitarre acustiche, chitarra elettrica, mandola, mandoloncello, cori; Federico Placanica: Batteria; Andrea Simonetta: Chitarra battente; Sonia Totaro Voce, cori; Daniel Cundari (voce recitante). SANGU è prodotto da Sveva Edizioni, registrato da Mujura all’Arango Sonic Studio e missato da MUJURA al The Vessel Recording. Il mastering è a cura di Giovanni Versari.
Fabio Macagnino è nato a Hilden in Germania. Cantautore, percussionista, performer teatrale. Per fare il musicista ha studiato architettura. Dottore di Ricerca in Pianificazione e Progettazione della Città del Mediterraneo. Nel 1994 fonda il gruppo Folia, gruppo di musica etnica calabrese col quale partecipa al festival internazionale Arezzo Wave vincendo nel 1997 le selezioni per la Calabria.
Nel 1998 inizia la collaborazione con LʻArlesiana Chorus Ensamble e il Piccolo Teatro Umano come percussionista e attore, eseguendo numerosi concerti e recital in Italia e allʼestero. Nel 2000 fonda il gruppo TaranKhàn, gruppo che affronta lo studio delle radici musicali calabresi con rinnovata energia e che permette al gruppo di tradurre la classica tarantella in forma di “canzone”, trasferendola da una ambientazione tipicamente contadina, sui palchi in forma di concerto.
Nel 2002 è in tournee teatrale con lo spettacolo “Pilato sempre” conAlessandro Haberin qualità di attore percussionista. Nel 2003 inizia la collaborazione con Eugenio Bennato insieme al quale esegue concerti in molti paesi dʼEuropa tra gli altri: Stimmen Festival (Germania), Bardentreffen Norimberga (Germania), Sfinks Festival (Belgio), Teatro Nazionale di Toulon (Francia). Nel 2007 fonda i KarakoloFool, orchestra di musica popolare tradizionale calabrese col quale incide un Cd ed esegue numerosi concerti allʼestero, tra gli altri a Montevideo, al Junction Festival (Irlanda) e a Berlino.
Nel 2008 nasce Scialaruga, progetto che apre a collaborazioni con molti musicisti calabresi con lʼintento di attingere a sonorità e ritmiche che indicando il passato, suggeriscono il futuro, facendosi ispirare dai dialetti, dallʼapporto dal “basso”, ma senza strumentalizzare la musica popolare “tradizionale” anzi, riconoscendone lʼautonomia e lʼirripetibilità, riscattandola dallʼisolamento settoriale e proiettandola su una scena dʼampiezza cosmopolita.
Dal 2009 col progetto ScialaRuga si esibisce in diversi concerti, tra gli altri: apertura del concerto di Noa al Kaulonia Tarantella Festival; concerto contro la ʻndangheta insieme a Il Parto delle nuvole pesanti a Reggo Emilia; a Torino, alla Sala Espace insieme a, Mario Incudine, Gavino Murgia, Pietro Iodice con la direzione artistica di Fabio Barovero; a Genova al Suq Festival insieme a Saba Anglana; in occasione del Transumanze Festival insieme a Peppe Voltarelli; al Roccella Jazz Festival – Rumori Mediterranei. Nel 2011 esce il CD “ScialaRuga” prodotto da Eugenio Bennato e Tarantapower e distribuito da Lucky Planet.
Nel 2012 nasce la consapevolezza di intraprendere la strada solista che sintetizzi il suo percorso musicale, il quale passa negli anni da una fase di rivitalizzazione della tradizione ad una in cui, la lezione ormai appresa di ricerca dʼidentità si può mettere alle spalle come dato acquisito. Dal 2013 esegue diversi concerti da solista e nel 2014 pubblica il libro: “By the Jasmine Coast” il racconto di un viaggio fatto di musica, immagini e parole. Un ʻGrand Tourʼ raccontato con gli occhi distaccati di un uomo nato e cresciuto in Germania ma trasferitosi in Calabria.
Questa doppia anima dà luogo ad una visione apparentemente contrastante della vita che si risolve tra canzoni, racconti e impressioni di viaggio che, come tessere di un mosaico, disegnano lo scenario della Costa dei Gelsomini. Nel 2015 fonda la Macagnino Jasmine Coast Band con la quale tenta di invalidare l’eterno problema della separazione tra musica popolare “regionalista” e musica moderna, ricercando invece una sintesi a più viste, senza soffermarsi sulla questione se sia la musica popolare a influenzare la musica moderna o viceversa.
Con la MJCB esegue numerosi concerti tra gli altri: Calafrika Music Festival; Suoni festival etno jazz; Dea Fest; Palariza; Roccella Jazz Festival. Nel 2016 nasce la collaborazione con Sveva Edizioni, intraprendendo un nuovo percorso musicale e artistico, per la quale esegue un primo concerto il 4 gennaio del 2016 al Teatro Cilea di Reggio Calabria insieme aMarina Mulopulos, Barbara Buonaiuto; Cosmo Parlato e Patrizio Rispo. Da settembre 2016 a giugno 2017 per Sveva Edizioni lavora al nuovo album che rappresenta un’evoluzione decisiva nella carriera musicale.
Le canzoni sono scritte in italiano e calabrese ma quello che interessa è la ricerca di quei pass-partout che fanno riferimento ad un paesaggio sonoro riconoscibile a livello internazionale ma sempre attento al contesto regionale. L’album s’intitola “CANDALÌA” ed è suonato da una band composta da: Lino Cannavacciuolo, Agostino Marangolo, Paolo del Vecchio, Ernesto Vitolo e Luigi Pelosi. Nel gennaio 2017 pubblica una riedizione dell’Album SCIALARUGA per Sveva Edizioni.
Nel gennaio 2019 pubblica per Sveva Edizioni e CNI l’album: COSMOPOLITANA MAMA. Nell’ottobre del 2021 partecipa come cantautore al film in prima serata su Rai 1“Tutta colpa della fata morgana” cantando la canzone: “CANZUNI DUCI” tratto dall’Album CANDALIA. Nel maggio del 2022 pubblica una raccolta di brani pubblicati precedentemente come singoli: Pomodori Calabresi.
0 notes
Photo
Vienna è una sorpresa continua, la magnificenza del suo passato e la modernità che caratterizza la società la rendono una città unica. L’efficienza dei servizi, il rispetto per l’ambiente e la presenza di alcuni dei siti culturali più importanti di tutta Europa la rendono incredibile. Elegante e all’avanguardia, Vienna si presenta al mondo con i suoi parchi curati e verdeggianti, con i musei incredibilmente belli, con riti culturali e storie da conoscere e da raccontare. È una meta perfetta per viaggiatori curiosi e attenti ai dettagli, perché la capitale dell’Austria è proprio questo: una minuziosa ricerca del bello e dell’efficienza unita ad una storia antica. Chiunque sia stato a Vienna è rimasto affascinato dalla città. Non solo viaggiatori ma scrittori, poeti e musicisti. Quando si pensa alla capitale asburgica è impossibile non fare riferimento alla musica classica. Certo poi ci sono i romanzi e i celebri racconti della principessa Sissi ma quella tra Vienna e la musica è la storia d’amore più grande che la città conserva. E allora abbiamo pensato di omaggiare anche noi in qualche modo la capitale austriaca con 5 canzoni che vi porteranno nella magica Vienna. Accendete la radio e alzate il volume, si parte. Vienna di Billy Joel “Quando capirai che Vienna ti sta aspettando”? Incalza Billy Joel nel suo capolavoro dedicato alla capitale asburgica. Il cantante compone Vienna dopo aver fatto visita al padre che si era trasferito in città a seguito della separazione con sua moglie. Il brano nasce non solo per omaggiare la capitale austriaca come simbolo di crocevia culturale, ma per utilizzarla come metafora della vita. Vienna Calling di Falco Se chiamiamo Vienna risponde Falco. Talentuoso e geniale, questo musicista è stato una vera e propria icona musicale dei suoi tempi. Alcune delle sue canzoni hanno scalato le classifiche di tutto il mondo, tra queste Vienna Calling. Brano dedicato alla città natale in cui l’artista ha mosso i primi passi nella musica. Vienna, The Fray Il gruppo musicale statunitense ha dedicato una canzone molto intensa alla capitale asburgica. Vienna è un brano del 2005 estratto dall’album How to Save a Life. Vienna degli Ultravox Vienna è il singolo dall’omonimo album della band musicale Ultravox. Il brano si snoda attraverso i racconti di una malinconia storica, decadente ma romantica che solo una città come Vienna può conservare. Take this Waltz di Leonard Cohen “Ora a Vienna ci sono dieci donne” cantava Leonard Cohen in Take this Waltz, una poesia romantica e irriverente travestita da canzone e dedicata alla capitale austriaca. https://ift.tt/2Upeih5 5 canzoni che ti faranno sentire subito a Vienna Vienna è una sorpresa continua, la magnificenza del suo passato e la modernità che caratterizza la società la rendono una città unica. L’efficienza dei servizi, il rispetto per l’ambiente e la presenza di alcuni dei siti culturali più importanti di tutta Europa la rendono incredibile. Elegante e all’avanguardia, Vienna si presenta al mondo con i suoi parchi curati e verdeggianti, con i musei incredibilmente belli, con riti culturali e storie da conoscere e da raccontare. È una meta perfetta per viaggiatori curiosi e attenti ai dettagli, perché la capitale dell’Austria è proprio questo: una minuziosa ricerca del bello e dell’efficienza unita ad una storia antica. Chiunque sia stato a Vienna è rimasto affascinato dalla città. Non solo viaggiatori ma scrittori, poeti e musicisti. Quando si pensa alla capitale asburgica è impossibile non fare riferimento alla musica classica. Certo poi ci sono i romanzi e i celebri racconti della principessa Sissi ma quella tra Vienna e la musica è la storia d’amore più grande che la città conserva. E allora abbiamo pensato di omaggiare anche noi in qualche modo la capitale austriaca con 5 canzoni che vi porteranno nella magica Vienna. Accendete la radio e alzate il volume, si parte. Vienna di Billy Joel “Quando capirai che Vienna ti sta aspettando”? Incalza Billy Joel nel suo capolavoro dedicato alla capitale asburgica. Il cantante compone Vienna dopo aver fatto visita al padre che si era trasferito in città a seguito della separazione con sua moglie. Il brano nasce non solo per omaggiare la capitale austriaca come simbolo di crocevia culturale, ma per utilizzarla come metafora della vita. Vienna Calling di Falco Se chiamiamo Vienna risponde Falco. Talentuoso e geniale, questo musicista è stato una vera e propria icona musicale dei suoi tempi. Alcune delle sue canzoni hanno scalato le classifiche di tutto il mondo, tra queste Vienna Calling. Brano dedicato alla città natale in cui l’artista ha mosso i primi passi nella musica. Vienna, The Fray Il gruppo musicale statunitense ha dedicato una canzone molto intensa alla capitale asburgica. Vienna è un brano del 2005 estratto dall’album How to Save a Life. Vienna degli Ultravox Vienna è il singolo dall’omonimo album della band musicale Ultravox. Il brano si snoda attraverso i racconti di una malinconia storica, decadente ma romantica che solo una città come Vienna può conservare. Take this Waltz di Leonard Cohen “Ora a Vienna ci sono dieci donne” cantava Leonard Cohen in Take this Waltz, una poesia romantica e irriverente travestita da canzone e dedicata alla capitale austriaca. La storia d’amore tra Vienna e la musica affonda le sue radici nei secoli. Abbiamo scelto 5 canzoni per farvi vivere la magia della capitale asbrugica.
0 notes
Text
"A DISTANZA RAVVICINATA", UN GIALLO "DI COSTIERA"
Bentrovati, cari Sabrina e Daniele! Molti non lo sanno, ma noi tre formiamo un triangolo letterario, al cui vertice c'è Daniele, che ha scritto romanzi e racconti a quattro mani con ciascuno degli altri due. Per questo motivo, mi asterrò da commenti sul vostro "A distanza ravvicinata" (vabbè, se proprio volete saperlo mi è piaciuto moltissimo…), uscito a fine febbraio per "Fratelli Frilli Editore", mantenendo il dovuto distacco nel porre le domande e lasciando che siate soprattutto voi a parlare del vostro lavoro. Siamo d'accordo? Si parte! R: Chi dei due ha avuto l'idea che sta alla base del romanzo, ovvero un'indagine compiuta da una coppia di investigatori che nemmeno si conosce? S: Rino, innanzitutto grazie di cuore per l’ospitalità e l’attenzione! Come talvolta accade anche in questo caso tutto ebbe inizio per … caso! Da uno scambio di ricordi abbiamo scoperto avere un trascorso comune, Daniele ed io, che è quello di aver abitato a Lavagna, io solo in estate mentre Daniele come residente. Ovviamente all’epoca non ci conoscevamo e dalla classica frase magari ci saremo anche incrociati senza saperlo è partita l’idea di una storia che si muovesse su questi presupposti. D: Il triangolo non l’avevo considerato! Buongiorno, Rino. Grazie a te per l’opportunità di questa chiacchierata tra amici, prima ancora che coautori. Direi che la suggestione di partenza è scaturita da Sabrina, che tra l’altro mi ha fatto conoscere una splendida poesia della poetessa Wisława Szymborska intitolata “Amore a prima vista”. Consiglio a tutti di leggerla, è meravigliosa. In questo componimento, la poetessa tesse un meraviglioso affresco poetico attorno ai segni premonitori (non colti) del destino d’amore che lega due persone. Ecco, partendo da questa suggestione, è nata l’idea di due personaggi che non si conoscono, ma lo faranno più avanti nel corso di quella che dovrebbe essere una serie di romanzi, e si ritrovano a sostenere un’indagine parallelamente, partendo da prospettive e situazioni molto distanti, se non addirittura opposte: una ragazzina “detective per caso” e un giovane maresciallo dei carabinieri, che finisce cooptato addirittura in un’inchiesta dei servizi segreti. Lo spunto, infine, è piaciuto all’editore Carlo Frilli, che ringraziamo per la fiducia e il sostegno, e ora eccoci qui. R: Un'altra rilevante caratteristica di "A distanza ravvicinata" è che mescola due generi: il giallo vero e proprio, specie per quanto riguarda la protagonista femminile, a tutti gli effetti una "miss Marple" giovanissima, e la spy story, in una versione insolita per lo sfondo italiano della trama spionistica… S: Assolutamente vero! Nelle pagine sono confluite le passioni mie e quelle di Daniele. Io sono molto vicina per gusti e amor di letture al giallo classico e al thriller; più di tutto mi appassionano i personaggi, scandagliarne i pensieri e i modi, prestare loro suggestioni mie e lasciarmi sorprendere quando la storia ne stimola reazioni per me impensabili fino a poco prima di scriverle. D: In effetti, credo che “A distanza ravvicinata” mescoli più di un genere. Oltre al giallo e alla spy, trovo che ci sia anche qualche spruzzata di “romance”, almeno in alcune scene. E penso di poter dire che, analizzando la parabola dei due protagonisti, sia pure un romanzo di formazione, tant’è vero che Mistral e Pietro, alla conclusione della vicenda, prenderanno decisioni importanti per quella che sarà la loro vita futura. La trama è indubbiamente e fondamentalmente gialla: abbiamo l’omicidio di un’anziana turista tedesca e occorre chiarire chi sia il colpevole e in quali circostanze sia maturata la sua uccisione. Diventa anche una storia spy nel momento in cui si scopre che la donna ha un fratello che si è macchiato di crimini durante l’ultimo conflitto mondiale ed è coinvolto in alcune pagine oscure del dopoguerra in Italia e nell’America centrale. Infatti, l’anziana signora è tenuta d’occhio dai servizi segreti e le cose si complicano parecchio per i nostri due protagonisti. In realtà, credo che l’Italia sia un ottimo scenario per ambientare storie di spionaggio, basti pensare ai romanzi di alcuni eccellenti autori come Leonardo Gori sul versante storico, oppure Secondo Signoroni, Stefano Di Marino o Andrea Carlo Cappi, giusto per citarne solo alcuni e non me ne vogliano coloro che involontariamente sto trascurando. Del resto, se pensiamo alla nostra Storia più o meno recente, le trame spionistiche non mancano di certo. R: Certo: il romanzo ha una spruzzata di "rosa", in quanto Pietro e Mistral sembrano proprio destinati ad avere una storia d'amore. Suppongo ne sapremo di più in seguito... La prossima domanda è inevitabile: le coppie "eterosessuali" di investigatori sono abbastanza rare. A me vengono in mente alcuni esempi cinematografici: Nick e Nora Charles della serie cinematografica dell'"Uomo Ombra", impersonati da William Powell e Mirna Loy; i coniugi Hart della serie televisiva "Cuore e batticuore", cui prestano il volto gli attori Robert Wagner e Stefanie Powers, e soprattutto Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) di X-files... Modelli molto diversi sia di collaborazione investigativa che di rapporto affettivo… Ricordo che gli ultimi due si caratterizzavano per essere lui un intuitivo, e lei una razionale metodica, e che nonostante fossero sentimentalmente attratti l'uno dall'altro mai passarono a una conoscenza biblica… Come si collocano Pietro e Mistal? S: Che bella ed intrigante domanda Rino! Senza svelare troppo posso risponderti che le cose non saranno facili tra loro… ci stiamo divertendo a mettergli un po’ i bastoni tra le ruote sia lavorativamente che sul piano personale… D: Sono personaggi che stanno crescendo e si stanno sviluppando insieme alle storie, quindi potrebbero anche sorprendere noi stessi che li abbiamo creati. Così all’impronta, ti direi che, come qualcuno tra i nostri lettori ha acutamente notato, hanno un po’ il loro destino e le loro caratteristiche nel nome. Mistral è il nome di un vento, che scompiglia, rinfresca, però porta anche tempesta. Pietro è più granitico, duro, anche se la sua corazza ha molte crepe e fragilità. Ecco, sia nella vita privata, sia nell’indagare sono un po’ così. Impetuosa, intuitiva, “irregolare” Mistral; metodico, chiuso, tenace Pietro. Se vogliamo, quindi, in qualche modo potremmo vederlo come un rapporto Mulder-Scully invertito, se mi passi la semplificazione. E ognuno dei due ha ombre e luci interiori con cui fare continuamente i conti. Come dice Sabrina, in più noi gli mettiamo un po’ i bastoni tra le ruote! R: Venendo meno, per un attimo, al proposito di neutralità (ammesso che fosse realistico... ) devo dire che ho molto apprezzato l'ambientazione sulla costa ligure, così ben richiamata dalla copertina. Forse sono stato influenzato dalla mia nota "venerazione" montaliana, ma trovo il paesaggio che fa da sfondo alla storia, quello di una tipica località di villeggiatura ligure in estate, suggestivo quanto emblematico. Il clima che si respira in quei posti in quella stagione è particolare: la vivacità un po' caotica indotta dalla calata dei turisti aggiunge un senso di euforia e voglia di vivere a un contesto di natura che, Montale docet, suscita, nel resto dell'anno, riflessioni esistenziali più profonde, anche più malinconiche… Nel vostro romanzo ho trovato entrambi gli aspetti, rimarcati spesso dalle variazioni meteorologiche… Avete voluto fare del contesto una specie di pedale di sottofondo che accompagna lo sviluppo della trama… Mi sbaglio? S: Non sbagli affatto, hai colto un elemento fondamentale anzi. “A distanza ravvicinata” ha la sua ragione d’essere proprio in relazione al luogo dove si svolge. Oltre a contenere una marea di suggestioni emotive dovute alla lunga frequentazione di Lavagna che ce la fa conoscere così bene, la cittadina è perfetta per risultare abbastanza raccolta da giustificare una distanza … ravvicinata, ma allo stesso tempo non è troppo piccola per renderla impossibile. Per intenderci, un borgo di mare tipo Camogli alla lunga non avrebbe retto alla struttura che abbiamo voluto dare alla storia. Ma c’è di più. Ed è proprio quel sapore montaliano al quale facevi riferimento. Una commistione di elementi che invita a tuffarsi in se stessi anche nel mezzo di una piazza gremita per la Festa rivierasca più popolare e frequentata. D: Ho sempre pensato che il contesto debba risultare un protagonista alla pari degli altri personaggi del romanzo. Come ha detto Sabrina, abbiamo scelto Lavagna perché abbiamo scoperto di avere avuto dei trascorsi comuni in quella località, io addirittura ci sono nato. Le spiagge, il dedalo di stradine del centro, la piazza addobbata per il Palio dei Fieschi, la basilica di Santo Stefano con la sua imponente scalinata, le frazioni dell’entroterra sono immagini che “vivono” dentro di noi, hanno spessore e sostanza, per cui abbiamo cercato di trasmettere questo amore per la nostra terra anche nelle scene di un noir. A ennesima dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che in Italia si possono ambientare ottimamente delle storie di tensione. La Liguria, poi, trovo che sia particolarissima, sotto questo aspetto. Citavi Montale, che ha fatto del paesaggio ligure una struggente metafora dell’esistenza e ti ringrazio per questo nobilissimo - e un po’ impegnativo - accostamento. Sicuramente il carattere ligure si è plasmato nel tempo sulle asprezze di una terra dura, che regala al contempo una bellezza abbagliante. Carlo Lucarelli, uno che se ne intende, definisce Genova una città “bella, ma pericolosa; molto affascinante e contraddittoria” e indubbiamente salta agli occhi come Genova e la Liguria abbiano un’anima impastata nella luce e nell’ombra. Esattamente come il noir. R: Da ultimo una domanda un po' più da addetti ai lavori, anche se so che i lettori sono incuriositi dall'argomento: come lavorate a quattro mani? Spero non bisticciate spesso, eh! Io e Daniele, quando scriviamo insieme, abbiamo felicemente testato un metodo che garantisce la maggior omogeneizzazione stilistica. "A distanza ravvicinata", correggetemi se sbaglio, essendo basato su due differenti angolazioni narrative che si alternano, coincidenti con i due protagonisti, per di più di sesso e dunque con approccio psicologico e visione della realtà diverse, dovrebbe aver richiesto un particolare sforzo per raggiungere la sintonia che si tocca con mano leggendo… S: In realtà devo dire che non c’è stato alcuno sforzo particolare. Ci siamo immediatamente trovati sulla storia che volevamo raccontare, ed essendo forse abituati, conoscendoci bene, a quelle che sono le nostre differenze caratteriali nella vita reale, ci è parso naturale muovere ed “accettare” due personaggi abbastanza diversi tra loro. Detto ciò, lo scambio e l’interazione sono stati continui e divertenti, in particolare ho il ricordo di una scena piuttosto lunga scritta in “presa diretta”, ossia fatta di un dialogo costruito in tempo reale senza sapere l’altro cosa avrebbe risposto, anzi giocando a metterci in difficoltà l’uno con l’altra … D: Chiaramente, anche se imperniato su due personaggi dai registri piuttosto differenti, pure il nostro romanzo ha richiesto un lavoro di amalgama stilistica, che non snaturasse eccessivamente, però, i caratteri dei due personaggi e le peculiarità narrative che offrivano. Lo scambio, quindi, è stato costante perché, come ben sai, scrivere a quattro mani richiede un confronto pressoché continuo. Tecnicamente, anche noi abbiamo fatto ricorso a quello che tu chiami “il nostro bicameralismo perfetto”, ossia il continuo rimando delle parti scritte dall’uno all’attenzione ed eventuale integrazione da parte dell’altro autore. Ritengo che sia anche un modo stimolante di mantenere attiva la sinergia su ogni parte di un progetto comune e in questo la condivisione dei file su Google Drive, per esempio, rappresenta davvero un supporto insostituibile sotto il profilo tecnico. Quanto ai bisticci, si sa… notoriamente io ho un ottimo carattere, impossibile discutere o bisticciare con me! E dopo averla sparata di questo calibro, scappo, non prima però di aver ringraziato te per questa bella chiacchierata e aver salutato i lettori del blog che, spero, diventeranno anche i lettori di “A distanza ravvicinata”! S: Grazie di cuore anche da parte mia! Buone letture a tutti! Rino Casazza GLI ULTIMI LIBRI DI RINO CASAZZA: GUARDA Read the full article
#Adistanzaravvicinata#Coppiediinvestigatori#DanieleCambiaso#FratelliFrillieditore#Narrativapoliziesca#notizie#Romance#SabrinaDeBastiani#spystory
0 notes
Text
REIWA 令和
Un Giappone quello che si è risvegliato in una nuova era questa mattina, quello che spesso chiamo qui, il mio amato Giappone, per amore indefinibile e profondo senso di appartenenza che non si può spiegare ma solo sentire.
Quel Giappone nel quale mi prometto un giorno di saper tornare e per saperci invecchiare come il mio cuore sa, come il mio cuore desidera e vuole.
Quel Giappone mai soltanto un passo avanti ma con il cuore sempre un po’ più “davanti” ma mai davanti alle persone, un cuore davanti piuttosto ai preconcetti, alle piccinerie, alla disunità, alla non inclusione. Un cuore semplicemente proteso verso gli altri, ma gli altri tutti. Un cuore senza mai la pretesa di essere il migliore ma capace di vedere le proprie difficoltà per farsi migliore.
Dalla mezzanotte nel Sol Levante si è dato il benvenuto alla nuova era, che prende il nome di Reiwa.
Shinzo Abe ha spiegato che significa che: “la cultura nasce e si nutre quando le persone si occupano amorevolmente le une delle altre”.
Il termine Reiwa si può tradurre in “decreto” ma anche “auspicio”, “ordine”, “pace” e “armonia”.
Rompendo una tradizione durata 1300 anni è stato utilizzato un nome tratto dalla letteratura giapponese e non da quella cinese, per un Giappone che a mio parere trae sempre ad ogni passo maggiore forza da questo amore del suo popolo, dalla sua fortissima identità e dall’unità del popolo stesso. Un ritorno ad una capacità identitaria sempre più coraggiosa e contagiosa anche per il singolo, anche e soprattutto per il popolo.
Per il termine Reiwa ci si è Ispirati ad un passo tratto dal quinto libro dell’antologia di poesia classica Man’yōshū, “collezione di diecimila foglie” – risalente al settimo secolo, la più antica del Giappone, che raccoglie poesie di ogni tipo di persona e di ceto sociale, dagli aristocratici ai contadini e che parla di natura e delle cose della vita quotidiana.
Il passo da cui viene tratto il nome Reiwa parla di “persone che si riuniscono” che si ritrovano insieme, quasi come nell’hanami (花見 "guardare i fiori" a godere delle bellezze della fioritura della primavera), a mangiare e bere sotto ai pruni e ai ciliegi.
A mio parere un concetto vibrante di un incoraggiamento che sa varcare ogni porta ed ogni distanza. Si intende quindi con questo nome il concetto dell’unità e del ritrovarsi, dello stare insieme, dell’amore, del desiderio che spinge al ritorno e a sorridere di nuovo ma per mano e ancora più insieme, ancora di nuovo insieme.
Tornare dove si è già stati, rifare ciò che si è già fatto, amare ciò che si era già amato ma forse con
maggiore consapevolezza, dopo un maggiore approfondimento, con meno paura e superficialità.
Un insieme più consapevole e coraggioso volto a un bene comune più grande seppur trae la sua forza da un maggiore carattere identitario.
A mio parere è un concetto che ispira a vincere le barriere del cuore e spinge ancor di più al credere al valore dello stare vicini, uniti, complici, del volersi bene, del volersi insieme e dell’adoperarsi per vincere su se stessi e per sapere andare così verso gli altri e verso un concetto del senso del vivere più grande e meno egoistico.
Forse un ritorno a quell’insieme e nel contempo a quella leggerezza, a quell’insieme in leggerezza, a quel tempo, ognuno il proprio di tempo, che ci ricorda che attraverso milioni di tentativi spesso fallimentari, attraverso milioni di cadute spesso dolorose e stremanti, vivere non è mai correre da nessuna parte se non solo lentamente provare a tornare a casa, sotto un cielo quello dove tutto è possibile, il nostro, per mano coraggiosamente a chi più amiamo, così come siamo.
A me, a chi amo, al mio amato Giappone al suo meraviglioso popolo e a tutti ma proprio tutti, felice Reiwa e buon risveglio di vita e d’amore.
Tiziana Cerra
0 notes
Text
"Sogno" di Giovanni Pascoli: un viaggio poetico tra nostalgia e dolcezza. Recensione di Alessandria today
La poesia di Pascoli cattura l’anima con un’intensa riflessione sulla memoria e l’amore familiare
La poesia di Pascoli cattura l’anima con un’intensa riflessione sulla memoria e l’amore familiare Con “Sogno”, Giovanni Pascoli ci regala un breve ma potente frammento poetico che racchiude il cuore del suo universo emotivo: il legame con la famiglia, la perdita e la struggente bellezza del ricordo. Questa poesia è un viaggio interiore, dove passato e presente si intrecciano, creando…
#Alessandria today#amore e perdita in poesia.#amore per la madre#analisi letteraria#analisi poetica Pascoli#analisi Sogno Pascoli#bellezza nella semplicità#capolavori poetici#componimenti nostalgici#dolcezza poetica#Emozioni in poesia#figure familiari in poesia#Giovanni Pascoli#Google News#introspezione e memoria#Introspezione poetica#italianewsmedia.com#legame madre figlio#letteratura italiana#Letture poetiche#lirica introspettiva#lirica italiana classica#lutto e poesia#nostalgia e memoria#Pascoli analisi critica#Pascoli biografia#Pier Carlo Lava#poesia d’amore familiare#poesia del passato#poesia e lutto
0 notes
Text
Michele Fenati - Domani
Il nuovo brano estratto dall’album “Dall’altra parte del mare”
Amore e tempo sono spesso uniti e, altrettanto spesso, in competizione fra loro. L’eterna rincorsa del tempo, delle lancette, delle stagioni «un mese, un anno, la nebbia e il vento», che si intrecciano con una relazione alla fine della sua corsa.
Questo è “Domani”, singolo estratto dall’album “Dall’altra parte del mare” in cui il cantautore romagnolo ha raccontato la parte “inedita” e più intima di sé e del suo rapporto con la musica, attingendo a sonorità classiche, mescolate con sapienza al pop d’autore.
Dicono di “Dall’altra parte del mare”
«“Dall’altra parte del mare”, mette in gioco dodici brani: intensi, superlativi, affascinanti e inimitabili. “Dall’altra parte del mare”, offre un ventaglio di genere incommensurabile: pop, jazz, acustica, elettronico, classico e sfumature di soul e folk. Il disco di Fenati è monumentale anche per il suo canto grintoso, nostalgico e magnetico.» The Music Way Magazine
«Un disco di cantautorato semplice e diretto, a tratti pop a tratti classico con molto sentimento e sentimenti. Dall’altra parte del mare è il tentativo di raccontarsi in maniera intima parlando d’amore, insicurezze, dipendenze, voglia di ricominciare.» Il blog dell’alligatore
«Incontro di due linguaggi questo, antichi nelle radici e apparentemente lontani nella forma ma che qui diviene altro ancora in un disco sostanzialmente di pop d’autore e dagli arrangiamenti puliti e di grande mestiere a firma di Fabrizio Tarroni». Raro più
«Il suo ultimo disco è un lavoro fatto principalmente di pane e cuore, parole che s’intrecciano ed entrano dentro e un pizzico di gioia che non guasta mai.» MusicLetter
Credits Musica: Michele Fenati
Parole: Erika Berti
Etichetta: I dischi di Beatrice
Distribuzione: Believe
Michele Fenati è un artista italiano, conosciuto al grande pubblico per aver tradotto in chiave classica, brani popolari di grande successo, creando una veste originale, attuale e sempre in bilico tra musica colta e musica popolare. La sua alta professionalità e la capacità di gestire il palco tra canzone, poesia e teatro, lo ha portato in questi anni a solcare tantissimi palchi di grandi, medie e piccole città di tutta Europa.
Vienna, Linz, Augsburg, Praga, Klagenfurt, Breslavia… sono solo alcune delle città europee che hanno visto sempre il tutto esaurito. Centinaia di città e piccoli e medi comuni italiani, in piazze e teatri, hanno accolto il concerto di Michele Fenati in questi anni, sempre con formazione voce e chitarra, pianoforte e clavietta, violino e violoncello. Una carriera descritta in numerosi articoli su quotidiani locali e nazionali e partecipazioni importanti come la diretta su Radio24 - Il sole 24 ore, con quattro brani in diretta nazionale, prima del tour europeo, la partecipazione a “L’Italia in diretta” su Rai 2 oppure a “Buongiorno Regione” su Rai 3.
Nel 2014 riceve la lettera del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, prima del tour europeo. Il suo percorso inizia a 9 anni sul palco del Cantagiro Romagnolo presentato da Maria Giovanna Elmi, la reginetta della TV, proseguito al Conservatorio, dove ha studiato violoncello con il Maestro Lauro Malusi e chitarra e canto con l’insegnante Lina Montanari. In questi anni Fenati ha prodotto cinque album (Girotondo, Sicuro son sicuro, Acustico Live, Battisti in Classics e Live in Europe), una importante collaborazione con l’Associazione Bubulina per la raccolta fondi per i bambini malati di leucemia, fino al concerto “Michele Fenati & Friends” nel 2018, al Teatro Rossini di Lugo di Romagna (Ra). Ha collaborato con Andrea Mingardi nella conduzione della trasmissione “Cuore Rossoblu”, tutte le domeniche in diretta su Radio Bruno dallo stadio Dallara, fino allo spettacolo/concerto, nel 2020, a Villa Cacciaguerra Ortolani di Voltana (Ra) per la presentazione del libro di Andrea “Professione Cantante”. Nel 2020 Il concerto di Michele Fenati a Ladispoli (Roma) vede l’autorevole presenza di S.E l’ambasciatrice della Repubblica di Armenia Tsovinar Hambardzumyan, che ne introduce la performance, con una suggestiva presentazione.
Nello stesso anno scrive il brano “E la gente si chiuse in casa” con promozione sui social per raccogliere fondi per l’ospedale Covid di Lugo di Romagna (Ra)
Nel 2021 prende il via il tour estivo in Italia con oltre 40 concerti
, mentre due brani, di vecchie produzioni discografiche entrano nelle classifiche di vendita di Itunes
in Olanda e negli Stati Uniti
. Contemporaneamente iniziano le registrazioni per il nuovo album in uscita nel 2022
. Il 19 novembre 2021 esce il primo singolo con video del nuovo album, “Il mio nome è Aurelio”, dedicato al Maestro Secondo Casadei e al suo capolavoro “Romagna mia”. Il brano raggiunge la 34° posizione nella classifica di gradimento delle radio private italiane.
Il 20 maggio 2022 esce il secondo singolo che anticipa l’album, “Mille Volte Buona Notte”, trasmesso da tantissime radio private e che in brevissimo tempo supera i 50.000 streaming su Spotify, seguito dopo un mese dal video. Anche il 2022 è un anno pieno di concerti live per Michele Fenati sempre in formazione acustica (voce, chitarra, pianoforte, violino e violoncello).
A ottobre 2022 pubblica l’album “Dall’altra parte del mare”.
CONTATTI E SOCIAL SITO - https://michelefenati.it/ FB - https://www.facebook.com/michele.fenati FAN CLUB -
https://www.facebook.com/groups/140436459042 IG -
https://www.instagram.com/michelefenati/ CANALE YOUTUBE -
https://www.youtube.com/channel/UCcAJ7zBbRf97GJwllDDdsxw
0 notes
Photo
Un nuovo post è stato pubblicato qui http://www.staipa.it/blog/la-mia-prima-volta-terza-versione/
La mia prima volta (Terza Versione)
Ricordo la prima volta come se fosse appena accaduta. I suoi capelli erano mossi, castano chiari, ricordo che a far scattare il tutto fu un ricciolo sbarazzino sulla fronte, si staccava dal resto dei capelli per spingersi fiero verso il centro e risalire. Quel ricciolo aveva attratto la mia attenzione, sembrava richiedere tutta la mia attenzione, sembrava volere che la mia attenzione si concentrasse solo su di lui quasi ignorando il resto della figura che lo portava. Avevo tredici anni ed eravamo a scuola nell’aula magna, non ricordo esattamente per cosa fossimo lì perché la mia attenzione era rivolta altrove. Non avevo idea di chi fosse perché era in un altra classe ma quel ricciolo spavaldo era in qualche modo un simbolo nella mia testa, il simbolo che avrebbe scatenato tutto il resto. Ci avevo già provato in passato in maniera meno concentrata e motivata, tre anni prima ma questa volta sarei arrivato fino in fondo anche se non lo sapevo ancora. Non ricordo quanto ci volle per sapere che Chiara fosse il suo nome e che fosse in terza B. Io ero in F se non ricordo male, non ne sono certo ma lei era in B, di questo sono sicuro. Dicono che la prima volta non si scordi mai. Io aggiungo che le sensazioni provate non si scordano mai, l’atto in se purtroppo va perduto nei meandri della mente ricoperto dalla ripetizione ad libitum dell’atto stesso. Mi chiedo se lei invece abbia ancora memoria del risultato visto che durante l’atto non era presente. Le scrissi la mia prima poesia a scuola, durante l’ora di inglese. Non ricordo le parole e mi chiedo se ci siano ancora nel suo diario di allora, se abbia ancora il diario di allora, come in ogni prima volta però ricordo le emozioni provate. Non la scrivevo realmente a lei, ma a quel riccio che ricordo ancora perfettamente più di quanto ricordi il suo viso, e la scrissi a me stesso mentre parlavo di quel riccio. Non partii con una classica poesia d’amore ma con una poesia ad un riccio di capelli. D’altronde non conoscevo altro di lei. Ricordo tutto il riempirsi dentro come di una bolla che si gonfia, come un liquido che sale dal basso fino ad allargarmi il torace, a silenziarmi la gola, ad entrarmi in testa e spingere forte. Le persone che mi stanno accanto l’hanno sempre interpretato come se in quei momenti mi isolassi ed entrassi in una forma tra autismo e depressione, altri in altri modi che non ricordo, per me è solamente parte del processo. Della mia dipendenza se vogliamo. Una delle tante. Ricordo perfettamente la sensazione di estraneazione, di stacco dal mondo, di isolamento non tanto dagli altri quanto da me stesso. Il desiderio spingere. Un desiderio che non avevo idea di da dove venisse ne cosa desiderasse ne dove e come sfogarlo. Presi in mano la penna, una stilografica blu in plastica gialla tutta mangiucchiata e scrissi a quel riccio, che poi quello che scrivevo arrivasse a Chiara era un fattore secondario. Scrissi di getto ma non so cosa scrissi. Alla fine il mio corpo, la mia anima, la mia mente parvero svuotati. Tutto quel liquido accumulato dentro che schiacciava e premeva su ogni mio organo, pensiero, su ogni parte di ciò che ero allontanandomi da me stesso ed ovattando tutto era scomparso. Era scomparso con una forma di piacere quasi fisico che avrei imparato più tardi ad assimilare all’orgasmo. Seppure non fosse la prima volta che usassi la vena creativa per scrivere questa fu la mia prima volta, quella in cui ne compresi il potere terapeutico. Pensai che sarebbe stata comunque l’ultima volta. Cosa mai avrebbe potuto nuovamente scatenarmi una simile sensazione? E cosa avrei potuto scrivere di altrettanto forte? E poi queste cose belle a forza di ripetersi perdono forza, perdono valore ed infine si abbandonano, no? Ne scrissi altre due o tre credo, sempre al ricciolo di Chiara, consegnandole a Chiara perché il ricciolo potesse leggerle mentre le leggeva lei. Credo di averci fatto una passeggiata e ballato un lento e niente altro. Le promisi che un giorno le avrei fatto capire che per me non era solo un gioco, che non l’avrei dimenticata. Ho scritto molto anche sull’incavatura della sua schiena che ho toccato ballando quell’unico lento, Independent Love Song di Scarlet. Ma questo accadde più di quindici anni dopo e ha più a che vedere con il mio modo di scrivere e di pescare nei ricordi che con lei. Come il ricciolo d’altronde. Scrissi dell’altro nell’anno successivo e probabilmente quello dopo ancora. Mi ero illuso che quella sensazione potesse tornare e mi convinsi che il problema fosse non tanto nello scrivere quanto nell’amare. Non ero in grado di provare quello che avevo provato per lei. Per il ricciolo praticamente. Fu quando incontrai il mio primo amore, amore vero, che mi accorsi che il mio scrivere aveva poco a che fare con il mio amare gli umani e che quando mi chiese “Ti è piaciuto?” risposi “Sì, è quasi come scrivere.” Avevo ripreso a scrivere da poco. I cambi, le rivoluzioni, le stranezze dell’adolescenza e degli ormoni stavano facendomi impazzire, ero un adolescente atipico in un mondo tipizzato, dovevo essere ciò che ero mascherandomi da metallaro, o da bravo ragazzo, o da musicista jazz, o da latin lover, o da timidino. Ero già consapevole di chi volevo essere ma la società non era in grado di accettare che lo fossi quindi dovevo raccontarmi a me stesso per avere la mia direzione. Scrivevo. Scrivevo sopratutto a me stesso. Scrivevo rinchiuso nella mia stanza quando tutto si riempiva di quel liquido soffocante che mi obbligava a farlo e ogni volta mi dava piacere uscendo da me attraverso la penna. Iniziai a portare con me un Moleskine, non perché lo avessero fatto Oscar Wilde o Ernest Hemingway ma semplicemente perché era comodo. Potevo scriverci per diminuire il liquido dentro e arrivare fino al momento in cui avrei potuto isolarmi e buttarlo fuori del tutto. Scrivevo sull’autobus, per strada, nei locali davanti ad una birra, nelle pause durante gli allenamenti. Scrivevo. Scrivevo delle cose che può scrivere un adolescente e di qualche altra. Non pensavo sarebbe durato a lungo. Finii di scrivere il mio primo libro nel giro di pochi mesi, era una raccolta di poesie, o quantomeno di pensieri. Aveva un inizio, uno svolgimento ed una conclusione come un romanzo, una storia organica e precisa di crescita. Pensavo non avrei mai più scritto altro. Conoscevo Rimbaud e mi piaceva l’idea di chiudere con la scrittura come aveva fatto lui, il poeta dell’adolescenza. Avevo scartato moltissime poesie che ritenevo buone, alcune ottime. Poesie sulla morte, sul senso della vita, sulle contraddizioni del mondo, poesie troppo sperimentali ma interessanti. Fu in quei giorni che tirai fuori dall’armadio il cappotto di pelle che avevo messo via la stagione precedente, infilandoci una mano in tasca ne trovai una pallina di carta. La aprii e dentro vi trovai scritto “Rievocazione dei sensi”, lo avevo scritto quasi un anno prima in una sera in cui avevo voglia di isolarmi dal mondo. I miei amici avevano preso l’autobus ed erano in centro ad aspettarmi, io avevo deciso di perdere l’autobus e di farmela a piedi anche se in venti minuti sarebbe arrivato il successivo. Attorno c’era nebbia, probabilmente era un novembre o un marzo, un giorno di mezza stagione. Camminavo come ho sempre amato fare nelle parti vietate della zona merci della stazione dei treni. Mi era venuta in mente solo quella frase, avevo una penna, un foglietto ma non il Moleskine. L’avevo scritta e messa in tasca. Poi tra una cosa e l’altra avevo finito per appallottolarla e ritrovarla mesi dopo. Fu una frase profetica e una rivelazione. Iniziò a prendere corpo quello che sarebbe stato il mio secondo libro iniziato anche se ci misi anni a terminarlo e fu probabilmente il mio quarto finito. Iniziò a prendere corpo Contrapposizioni, tra giochi e sperimentazioni e temi alternativi. Senza fretta. Senza volerlo realmente terminare era il coperchio sotto cui poteva stare molto del materiale che avevo scartato in precedenza. Ero convinto non lo avrei mai terminato, e avrei smesso preso di scrivere come Rimbaud, ma ero lontano dai diciannove anni. Il secondo libro lo scrissi di botto, in poche settimane dopo aver chiuso con il primo amore ed averne incontrato un’altro fuggevole ma estremamente provante dal punto di vista personale. Una persona più strana di me, più complicata di me, più estrema di me con cui confrontarsi e chiedermi chi fossi fino al nostro esplodere in una favilla luminosa. Cominciavo a pensare che forse dopo tutto avrei potuto continuare a scrivere un altro po’. Ma presi una pausa. Sembrava non esserci più nulla da scrivere, si era esaurito il filone e forse mi andava bene così. Scrissi un po’ usando la tecnica e non la passione, scrissi altri pezzi di Contrapposizioni fino quasi a completarlo riempiendolo di esperimenti, giochi di parole, tecnica talvolta fredda. Poi come per ogni droga, per ogni dipendenza, per ogni fuga incontrai qualcuno che mi diede una scossa, che mi lanciò nel baratro o me ne estrasse. La prima volta che capii come sarebbe andata a finire fu sul suo letto quando iniziò a leggermi Prevert. Non avevo mai letto Prevert. Parlammo ore di poesia, giorni, mesi. Mi accorsi di come le sperimentazioni che avessi provato non fossero davvero così inutili, leggendole lei mi mise in mano Pessoa. Non avevo mai letto Pessoa e fu una rivoluzione. Ricordai come all’inizio la spinta fossero le poesie di Edgar Poe ma capii come ambissi involontariamente, pur non conoscendolo a Pessoa, ne lessi la prosa e capii che come il mondo fosse più ampio. Fu lei che mi portò a terminare Contrapposizioni, a spingermi fino a farmelo pubblicare. Oggi lo rileggo e nel suo piccolo lo trovo ancora rivoluzionario. Trovo che sia ancora la cosa più bella che io sia mai riuscito a creare. Può non piacere, è ovvio, ma la portata che ha per me, la profeticità dei contenuti per me sono come se il me giovane avesse scritto al me di oggi cose che potrà capire solo il me di domani. Di tutta la mia produzione è stato fino ad oggi l’apice. Scrissi in quel tempo anche un’altra raccolta di poesie, ed un’altra ancora. Dalla prima all’ultima, ad eccezione del solito Contrapposizioni, che prometto non nominerò più, sono stati un percorso collegato, una fine all’inizio successivo, una fine a successivo ed ancora. Ne scrissi cinque con pause più o meno lunghe. Il cammino di un adolescente che cercava di crescere, di superare le paure, di lanciarsi da una rupe convinto di poter volare, di cadere ed infine di riprendersi. Arrivai a schifarmi di quello che scrivevo. A non voler più quella fuga, avrei voluto qualcosa di più, di più forte. Ero dipendente ma l’assuefazione aveva fatto il suo corso dopo più di seicento pezzi scritti e catalogati. Qualunque cosa provassi a scrivere mi risultava vuota, già scritta, già vista, inutile. Cominciai a cercare emozioni di altro genere. Di molti altri generi. E poi ancora una volta incontrai l’amore. Un amore strano e complicato seppure semplice. All’epoca avevo spostato il mio scrivere alla creazione di questo blog. Ci scrivevo già da qualche anno a dire il vero e scriverlo era stato probabilmente il motore per far nascere questo amore, come questo amore fu il motore che quietò apparentemente il mio bisogno. Si spense il blog, si spense tutto. Fu il motivo per cui smisi di scrivere. Scrivere aveva preso a farmi schifo. Se provavo a scrivere e mi leggevo mi sentivo come un alcolizzato che si renda conto di essersi ubriacato contro il proprio volere l’ennesima volta. E tutto ciò che scrivevo mi dava il voltastomaco, era inutile, ripetitivo, vuoto. Ogni tanto pensavo a quel ricciolo di tanti anni prima, e mi dicevo che forse avevo finalmente raggiunto i diciannove anni di Rimbaud. Ne avevo trenta, ma era uguale. Non provavo più l’orgasmo dello scrivere ma sentivo ogni istante me stesso pieno di quel liquido che mi estraniava da me e dal mondo ma incapace di svuotarmene, privo del desiderio di svuotarmene. Mi stavo allontanando da tutto. Poi l’amore finì, come era naturale che fosse, e con esso in qualche modo l’embargo che mi ero imposto. Non che fosse merito della fine dell’amore ma semplicemente fu un cambiamento abbastanza importante da impormi di riprendere in mano le cose. Provai a scrivere nuovamente in poesia schifandomi ancora come sempre e allora decisi di scrivere un romanzo. Avevo scritto racconti negli anni, avevo provato a scrivere racconti lunghi ma non mi era mai riuscito di superare poche pagine. Decisi di scrivere un romanzo su di me, per me, da tenere per me. Una forma di auto analisi. Lo scrissi in pochi mesi, era un romanzo breve e non saprei dire neppure quanto bene fosse scritto ma dopo essere stato mesi a scrivere rinchiuso in casa avevo ritrovato me stesso. Il desiderio, la voglia di buttare fuori tutto, il contatto con il mondo e la realtà. Ed avevo goduto un mondo. Quello è stato il momento in cui il blog è rinato con dodici gradi e con gli altri racconti che da allora mi accompagnano e hanno sostituito le sensazioni di cui un tempo avevo bisogno continuando ad alimentare la mia dipendenza e svuotare il mio dentro dal liquido che lo invade. Ho scritto un altro libro, di racconti da allora o meglio due libri concentrici. E come sempre è quando hai bisogno di qualcosa di più forte che incontri qualcuno in grado di dartene, ho incontrato la persona più importante degli ultimi anni per la mia dipendenza. Mi ha preso per mano e guardato negli occhi dicendo solo io credo in te. Se un giorno i frutti di quello che ho fatto in questi anni si vedranno il merito sarà più suo che di tutta la fatica fatta, che poi non è fatica, in questi anni. Il piacere che ne ho ricevuto, in ogni senso, in ogni modo è stato il più sconfinato e dura ancora ogni giorno anche se non ci credo. Ed ancora ogni volta mi sembra l’ultima. Costringendomi ad iscrivermi alla scuola palomar che avevo scoperto per caso mi ha messo davanti al fatto che era il momento di provare davvero a seguire un sogno. Ho scritto il mio primo romanzo completo, completo di ogni punto fondamentale. Migliorabile forse, ma ho superato il mio limite di non riuscire a scrivere più di un racconto lungo. Quel che ne sarà è da vedersi ma oggi scrivo ancora, mi riempio di quel liquido dal mondo e lo butto fuori. Scrivo su questo blog o altrove ed ogni singola volta mi sembra l’ultima. Guardo ciò che ho scritto e mi chiedo come farà a venirmi in mente qualcosa di nuovo fino alla volta successiva ed ancora ed ancora ed ancora ed ancora. Non so quanto durerà. Se mi fermerò di nuovo infine, ma scrivo ancora ed è ancora tra tutte l’emozione più grande, il piacere più forte. Non importa.
Post Scriptum: Solo dopo aver scritto tutto questo il caso mi ha portato ad un’intervista dello scrittore che stimo di più e che ha segnato maggiormente la mia fantasia. Cercavo su internet “Dipendenza da scrittura” per trovare un’immagine interessante da allegare e come a volte capita è piovuto qualcosa. Mi ricordo quando ero uno studente che scriveva storie e romanzi, alcuni dei quali furono poi pubblicati, altri no. Era come se la mia testa stesse per esplodere, talmente tante cose volevo scrivere in una volta. Avevo un sacco di idee, tutte intasate. Come se avessero bisogno di chiedere il permesso per uscire. C’era questa falda acquifera sotterranea di storie che volevo raccontare e dovevo solo conficcarvi una tubatura per far sì che tutto fiottasse fuori.
I can remember as a college student writing stories and novels, some of which ended up getting published and some that didn’t. It was like my head was going to burst – there were so many things I wanted to write all at once. I had so many ideas, jammed up. It was like they just needed permission to come out. I had this huge aquifer underneath of stories that I wanted to tell and I stuck a pipe down in there and everything just gushed out. Stephen King in un intervista a Rolling Stone.
Visite: 2
Tags: adolescente, Adolescenza, Amicizia, amore, anni, auto, Blog, cambiamento, cammino, Casa, Chiara, consapevolezza, Contrapposizioni, coscienza, crescita, depressione, desiderio, diciannove, dipendenza, dipendenze, dodici gradi, domande, domani, droga, Edgar Poe, emozione, Emozioni, esperienze, esperimenti, fatica, Fernando Pessoa, fine, forza, fuga, giochi, giochi di parole, il tempo, immagine, incontri, inizi, inizio, Jazz, Libri, libro, media, memoria, Mondo, morte, nebbia, occhi, ora, Oscar Wilde, parole, passato, passione, paure, pelle, pensieri, Pensiero, percorso, Persone, piacere, Poesia, Racconti, racconto, Ricordi, romanzo, sangue, scrittura, scrivere, scrivere racconti, Scuola Palomar, sensi, sogno, solitudine, stazione, Stephen King, Storia, Strada, stranezze, tempo, Treni, urla, viaggi, Viaggiare, vista, Vita
#adolescente#Adolescenza#Amicizia#amore#anni#auto#Blog#cambiamento#cammino#Casa#Chiara#consapevolezza#Contrapposizioni#coscienza#crescita#depressione#desiderio#diciannove#dipendenza#dipendenze#dodici gradi#domande#domani#droga#Edgar Poe#emozione#Emozioni#esperienze#esperimenti#fatica
1 note
·
View note
Link
CAGLI – Arriva nelle Marche il tour di presentazione di “Teoria degli affetti”, nuovo progetto discografico di Claudia Fofi, prodotto dall’etichetta Dodicilune, collana editoriale Controvento, distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital.
Venerdì 14 febbraio alle 21.00 al Teatro Comunale di Cagli, la cantautrice, affiancata da una line up di grande qualità composta da Ares Tavolazzi (contrabbasso), Alessandro Gwis (piano), Alessandro Paternesi (batteria) e Paolo Ceccarelli (chitarre), proporrà i brani del disco, altri brani di precedenti produzioni e un inedito ispirato dai versi del poeta portoghese Fernando Pessoa.
L’album racconta una storia fatta di poesia, musica, canzoni, esplorazione vocale, lunghi periodi di sosta, allontanamenti e riavvicinamenti. Canzoni senza tempo, scritte nell’arco di oltre vent’anni e che si incontrano qui, cesellate dalla sensibilità di musicisti che hanno saputo cogliere la complessità del progetto e al tempo stesso la naturalezza di brani che non rispondono a esigenze di struttura o di genere.
L’intero lavoro regala il piacere di un continuo naturale interplay. La scelta della produzione artistica, curata dalla stessa autrice, è stata quella di arrangiare al minimo le canzoni, affidando ai musicisti la libertà di interpretare a proprio modo queste composizioni a tratti spiazzanti, sempre non etichettabili. Con i toni più dolci e un’apparente semplicità la Fofi racconta nei suoi testi una visione del mondo che arriva dritta al cuore, dove a ogni parola corrisponde un senso dato dalla voce, dove ogni respiro è messo lì perché serve. Non c’è mai un “di più” in Teoria degli affetti, nessuna nota di troppo. E non c’è niente di scontato.
Omaggio ai tanti mondi musicali che hanno attraversato la vita di questa cantautrice, dal blues al jazz alla musica classica al rock fino al pop, il disco si apre con una power ballad con riverberi quasi soul, “Se tu”, per passare al blues di “Figlia di un Dio minore” e approdare a “Basso albertino”, dove un accompagnamento settecentesco fa da contrappunto all’impianto destrutturato del pezzo, che va nella direzione di una sperimentazione amorfica.
Una riflessione sul migrare umano come esperienza che ci riguarda tutti è il tema centrale de “La valigia dello straniero”, composta per uno spettacolo teatrale – filo conduttore una famosa poesia di Antonio Machado (Caminante) con una musica che fa pensare a Mozart che suona il flamenco. Di nuovo poesia musicata in “Canto”, una dichiarazione d’amore per la propria arte in cui emerge anche tutta l’inquietudine legata al ruolo dell’artista e al suo limite.
“La mente vuole amore” brano centrale dell’album, con un testo dagli accenti ironici, è stata in parte arrangiata da Ramberto Ciammarughi. L’effetto carillon iniziale di “Ancella del sorriso” serve a introdurre una canzone rivolta e dedicata alla figlia della Fofi, un’esortazione e non cedere alle lusinghe e alle illusioni di una società basata sul conformismo e sul consumismo.
Il testo di “Travolto dalla piena di te stesso”, quasi un tango, è una rielaborazione di alcuni dialoghi tratti dal Cimbelino di Shakespeare, usati per costruire una canzone con un testo assolutamente letterario sul tradimento. Scritta nel 2018, “Italia” è la canzone più recente dell’album. Una specie di marcia funebre con un testo che non fa sconti. “Lasciamo che il vento lavori” è un brano strumentale (con l’inserimento in fase di registrazione di un breve testo) nato durante la gravidanza dell’autrice.
«Suonavo e risuonavo questa musica, giorno dopo giorno, aspettando la nascita di mia figlia. La struttura formale, con l’esposizione, le variazioni, la ripresa finale, mi ha sempre fatto desiderare di provare a orchestrarla. Chissà, magari un giorno lo farò», sottolinea Claudia. Il disco si conclude con “Avessi”, brano nato da un’improvvisazione con Paolo Ceccarelli.
«Volevo inserire in questo album, che è una dichiarazione d’amore per la canzone così come l’ho saputa scrivere nella mia vita, una poesia, un testo non cantato e al tempo stesso un vocalizzo senza parole, che credo costituisca il prossimo passo della mia ricerca», sottolinea la cantautrice. «E questo è il termine dell’album, forse un modo per salutare la forma-canzone, forse per omaggiare la poesia e lo stretto legame che vincola questi due modi dell’espressione umana universale».
Cantautrice, autrice, poetessa, scrittrice ed educatrice vocale, Claudia Fofi inizia a comporre canzoni nel 1995. Nel corso della sua carriera ha conquistato numerosi Premi (Grinzane Cavour, Ciampi, più volte finalista al Premio Ci ttà di Recanati-Musicultura, Canzone di Pace, Premio Logic al Mantova Musica Festival con il progetto Le Core, finale di Arezzo Wave), si è esibita in giro per l’Italia e all’estero tra club, festival e rassegne, ha composto musiche per cinema e teatro, ha pubblicato cd e libri, proponendo anche numerosi concerti&reading poetici.
Ha collaborato come autrice negli album della Med Free Orkestra, con Sara Jane Ceccarelli e Sara Marini (con la quale ha conquistato la finale al Premio Parodi nel 2014). Con la poesia ha esordito nel 2016 con la silloge “Odio le ragioniere”, da cui ha tratto uno spettacolo. Nel 2019 ha pubblicato il suo nuovo libro, “Post-Post”, una raccolta di post di facebook. Tiene seminari sulla voce e sulla scrittura della canzone ed è direttrice artistica del Festival Umbria in voce. Trainer olistico della voce e del suono, musicoterapista, ha messo a punto un proprio approccio di lavoro, Voce Creativa™. “Teoria degli affetti” è il suo terzo album, e nasce a di stanza di sedici anni dalla sua ultima autoproduzione.
L’etichetta Dodicilune, fondata e guidata da Gabriele Rampino (direttore artistico) e Maurizio Bizzochetti (label manager) è attiva dal 1996 e dispone di un catalogo di oltre 250 produzioni di artisti italiani e stranieri. Distribuiti in Italia e all’estero da IRD in circa 400 punti vendita, i dischi Dodicilune possono essere acquistati anche online, ascoltati e scaricati su una cinquantina tra le maggiori piattaforme del mondo grazie a Believe Digital.
Biglietti
Ingresso unico € 10.00
Prevendita online su https://ift.tt/2peJO4k
Prevendita biglietti a Cagli c/o Liveticket Point
– Antica Tabaccheria in Piazza Matteotti, 22 – Tel.0721.781881
Anche con Carta del Docente e 18App
Botteghino del Teatro
Tel. 0721 781341 – e mail: [email protected]
0 notes
Text
New Post has been published on Atom Heart Magazine
New Post has been published on http://www.atomheartmagazine.com/blumosso-in-un-baule-di-personalita-multiple-recensione-e-intervista/22080
Blumosso – In un baule di personalità multiple (Recensione e Intervista)
Una storia d’amore raccontata fase per fase, come il più classico dei romanzi. Inizio, svolgimento, fine. Sembra semplice, ma in realtà non lo è. Perché “In un baule di personalità multiple” è un concentrato di emozioni. Una per ogni pezzo. Dieci, per l’esattezza.
Le emozioni, quindi, il modo migliore per descrivere un amore. Poi ovvio, ogni storia può avere un lieto fine o una fine drammatica. Alcune nemmeno iniziano. Altre iniziano e sono giù finite. Sfumature, queste, tutte presenti nel nuovo album dei Blumosso.
“In un baule di personalità multiple” è un concept album, la cui trama è un amore che inizia speranzoso (In un albergo di Milano) – come tutti, del resto –, che si evolve quasi inaspettatamente e magicamente (Il giorno che ti ho incontrato), ma che poi finisce nel momento in cui il protagonista si accorge che la “Lei” dalle sembianze angeliche immaginata fino a quel momento è solo frutto di un’idealizzazione della stessa (Non eri un angelo). Magia, delusione e quel dolore lasciato da un amore appena trovato eppure già perduto. Perdersi subito dopo essersi trovati, o aver immaginato di farlo.
Ogni attimo viene scandito da una tracklist scorrevole, che ci porta quasi a immedesimarci in chi narra, facendo nostre le sue emozioni e quella rabbia, netta conseguenza della disillusione di chi – nell’enfasi del momento – aveva creduto di aver trovato quell’amore tanto anelato. Allo stesso tempo, però, ci lascia con la speranza che – proprio quello stesso amore – esiste per tutti e, prima o poi, arriverà.
Rompiamo il ghiaccio con la più classica delle domande: perché il nome Blumosso?
La parola è un neologismo: l’ho inventata io, inserendola in una mia poesia, per dare una denominazione al colore del mare quando è in tempesta. Nel momento in cui c’è stato da scegliere il nome da dare a questo progetto; ragionando sulle canzoni – nella maggior parte dei casi inerenti al quotidiano, ai tumulti interiori di ognuno di noi – ho pensato fosse il nome giusto.
Quando e dove si formano i Blumosso?
Ho iniziato a pensare al progetto nel 2016, perché volevo tirare una linea di separazione tra quello che avevo prodotto in passato, e ciò che avrei voluto fare da quel momento in avanti. Poi nell’inverno del 2018 si è formata la band. A “Bemolle” e “RafQu”, miei amici inseparabili da anni, si è unito Roberto Fedele, batterista; con lui si è creato legame e forte intesa dalla prima prova. Da allora abbiamo iniziato a provare, ad arrangiare le canzoni che io scrivevo, e non ci siamo più fermati.
Nel panorama musicale moderno è difficile distinguersi ed essere riconoscibili. Ormai tutti fanno tutto, finendo per suonare come la copia di mille riassunti (cit). Nella vostra musica, al contrario, noto un “marchio” bene definito che vi rende “unici” e riconoscibili. È un pop con sfumature indie che funziona davvero bene. Però, la mia domanda è: voi come vi definireste e in quale “genere” inserireste la vostra musica?
Blumosso è un progetto pop. Non mi vergogno a definire la nostra musica tale, e appartenente a questo genere per anni stigmatizzato.
Spendo due parole, nel mio intento obiettive e senza criticare nessuno: non prendiamoci in giro, quello che tutti, oggi, chiamiamo “Indie”, in realtà è pop. Si è solo trovato un nuovo nome a un genere che abbiamo sempre tutti ascoltato, ma allo stesso tempo, denigrato. Ora tutti possiamo ascoltare il pop, che è divento l’indie, senza paura di essere presi in giro da qualcuno.
PS: grazie per “Unici e riconoscibili”, è una “riflessione” molto gradita.
Spesso, la parte più difficile nella creazione di un album è quella relativa alla scelta del nome. “In un baule di personalità multiple” è senz’altro un titolo che mette curiosità già solo a leggerlo. Com’è nato e cosa significa?
Sapevo di dover chiamare così l’album prima ancora di iniziare le sessioni di registrazione delle canzoni. Il baule di personalità multiple è un riferimento (per chi ne è a conoscenza chiaro) al poeta portoghese Fernando Pessoa. Il disco, se ascoltato in ordine di brano, racconta, fase per fase, la cronaca di una storia d’amore. Molti hanno inteso la storia abbia un lieto fine. In realtà la storia finisce male, e l’ultimo brano è solo un inno alla speranza, la speranza di chi crede ci sia sempre un amore in serbo, anche per il più disilluso degli esseri umani. Il baule è quel posto, dentro di noi, in cui custodiamo tutte quelle sfumature, nostre, che non sappiamo di avere (da qui il concetto di personalità multiple – quando amiamo, ci scopriamo individui altri), e che tiriamo fuori solo nel momento in cui ci si innamora, per poi ricustodirle lì, nel baule, quando qualcosa finisce.
“Non eri un angelo” è forse il testo più disincantato del disco. Una sorta di “Odi et amo” che, però, prende di mira l’idealizzazione di una persona piuttosto che la l’individuo in sé. Ci innamoriamo di qualcuno che esiste solo nella nostra mente, ma quando lo capiamo è difficile abbandonare quell’idea di lei\lui pur non amando (forse) più quella persona. Quanto c’è di autobiografico in questo brano?
La ragazza per cui ho scritto questa canzone esiste davvero. Ha occupato molti dei miei pensieri per anni.
“Il giorno che ti ho incontrato” è il pezzo che mi è rimasto più impresso dell’album e che continuo ad ascoltare in loop. “Lei che combatteva la sua guerra solitaria di cui nessuno sa niente”. La più scontata delle domande è chiedere chi sia questa “Lei” e, quindi, se la protagonista di tutto il concept album esista davvero, oppure si tratti semplicemente di un amore immaginario.
Ho scritto le canzoni di questo disco in fasi diverse del mio percorso. Diciamo che la più “Vecchia” è “In un albergo di Milano” scritta nel 2015. A disco concluso, ragionando sulle canzoni che avevo registrato con la band, mi sono accorto che, messe in un certo modo, raccontavano, come ho già spiegato, le varie fasi di un amore.
In sincerità vi confido che le canzoni di questo disco sono dedicate a due persone diverse, una nel bene (ed è la “lei” alla quale facevi riferimento tu), una nel male, anzi nel “maldamore”.
Ok, vi ho detto il mio pezzo preferito. Adesso tocca a voi che li avete scritti tutti. Sceglietene uno, quello a cui siete più legati, e spiegateci il perché.
Ok. Alle domande sto rispondendo io (Simone), ma conosco i gusti dei miei amici, quindi posso dire che la mia preferita è “Irmã cara” (Anche se, scrivendole io, in realtà non ho una vera preferenza), quella di Bemolle è “All’ultimo secondo”, quella di RafQu e Roberto è la stessa: “Piovere”.
Siamo giunti al termine. Nel salutarvi e ringraziarvi per il tempo che avete concesso a me e ai lettori di Atom Heart Magazine, vi lascio l’ultimo spazio per linkare i vostri contatti sui vari social network e tutto ciò che occorre per rimanere in contatto con voi e la vostra musica?
Siamo molto attivi (ma con regola) su Instagram; lo stesso su Facebook. Abbiamo anche un canale Youtube (Blumosso Musica) dove potrete trovare i nostri videoclip ufficiali.
Alle domande ha risposto Simone Perrone, voce dei Blumosso, che ringrazio.
0 notes
Link
Secondo appuntamento con Burattinarte Summertime 2018!
Programma
Ore 21.30 – Piazza Gribaldi
Partenza della Devil / Dragon Parade che alle ore 22,00 giungerà in piazza Duomo.
Una suggestiva parata nella quale un diabolico dragone luminoso, manovrato dai ragazzi che lo hanno realizzato durante il laboratorio artistico estivo con laC ompagnia Articulate, si snoderà nelle vie del centro per dare inizio al Festival.
Ore 22.00
Compagnia Is Mascareddas (Cagliari), andrà in scena con Areste Paganòs e la farina del diavolo.
Uno spettacolo di burattini ispirato alla tradizione popolare italiana, una storia rocambolesca, di forte impatto visivo, che vede protagonisti il burattino sardo Areste Paganos, figlio di Belzebù e Pulcinella, e due famiglie in perenne lotta tra loro.
Una classica storia d’amore, un’avventura piena di gag, invenzioni sceniche e storie comiche, un intreccio di continue sorprese, colpi di scena, duelli e strane apparizioni, per concludere nel più classico “lieto fine”.
Eventi collaterali:
Parole Cucite. Omaggio a Maria Lai
Durante la giornata sarà possibile visitare la mostra di poesia visiva a cura dei ragazzi della IV A figurativo Liceo Artistico Pinot Gallizio di Alba, allestita sotto i portici di piazza Risorgimento.
Dalle ore 18.30 alle ore 21.30
Verrà portato in piazza dall’Associazione RESPIRO di Belvedere Langhe, il Ludobus, un autobus colorato che trasporta giochi della tradizione e laboratori creativi con materiali di recupero.
Per cena l’Associazione LaCasaRotta (Alba / Cherasco) cucinerà le Frittelle FavolOse: la Bouvette di Burattinarte sarà composta da crepes dolci e salate accompagnate da una fiaba o una filastrocca.
Alle ore 21.00 e alle ore 23.00
Arte inaspettata, visite guidate oltre la baracca dei burattini.
Le studentesse della III e IV A del Liceo Artistivo Pinot Gallizio di Alba, guideranno i curiosi in un percorso per conoscere le opere d’arte della città e per scoprire inaspettati tesori.
Dalle ore 21.30 alle ore 22.00
Parole Volanti – Ombrellone da viaggio / Attaccando bottone
Brevi atti unici (che prendono spunto dall’opera di Maria Lai) in cui gli attori dell’Associazione Magog declameranno parole e versi, letti, cuciti e aggrovigliati sul pubblico.
https://ift.tt/eA8V8J
0 notes
Text
Consiglio del Giorno: Volevo Solo Amore, di Anna Ieva e Anna Grieco
Esce Oggi
Claudia nasconde dentro di sé un segreto di cui ogni giorno porta il peso e che ha condizionato fortemente il suo relazionarsi con gli uomini. Alla soglia dei quarant’anni, tutta la sua vita sembra andare a rotoli: non ha un lavoro fisso, sta divorziando da un marito fedifrago e il figlio maggiore ha deciso di andare a vivere con il padre. La proposta di insegnare in un liceo di Torino sembra la classica manna dal cielo e Claudia non esita ad accettare l’offerta, convinta che un cambio radicale non possa farle che bene.
Ma è qui che il destino entra in gioco, mettendo sulla sua strada Marika Gori.
Marika ha soli sedici anni, ma ha già provato il dolore di una vita intera sulla sua pelle. Da quel momento, Claudia non potrà più restare indifferente: lotterà per la bambina che è stata e alla quale hanno crudelmente strappato l’innocenza e per quella ragazza appena conosciuta che si è già conquistato un posto così speciale nel suo cuore.
Scoprendo che, se anche dimenticare è impossibile, forse perfino dalle ferite più grandi si può guarire.
Grazie all’amore...
Volevo solo amore è un romanzo corale, un vero e proprio inno alla forza delle donne che, nonostante le tante difficoltà e le mille prove che la vita mette loro davanti, trovano sempre e comunque il coraggio di rialzarsi e di lottare per coloro che amano e per ciò in cui credono.
Sono Claudia e Marika le protagoniste assolute di questa storia. Due donne che non potrebbero essere più diverse tra loro, non solo a causa della differenza d’età che le separa, ma anche per l’ambiente sociale in cui sono cresciute e hanno vissuto: Claudia è nata in una famiglia di umili origini; Marika, invece, è stata adottata e appartiene a una delle famiglie più in vista di Torino: i Gori, magnati dell’alta finanza.
Due vite agli antipodi, sembrerebbe, eppure qualcosa le accomuna: un segreto devastante di cui entrambe portano addosso il peso e le cicatrici.
Le strade di Claudia e di Marika si incrociano quando la prima accetta il posto di insegnante in un liceo di Torino, dopo che il suo matrimonio è miseramente naufragato. Per Claudia quel lavoro rappresenta un’altra occasione, un nuovo inizio, un modo per sfuggire ai suoi demoni interiori, ma molto presto la donna scoprirà che non si può fuggire dai fantasmi del proprio passato.
E allora verrà chiamata a compiere una scelta, forse la più difficile di tutta la sua vita: voltarsi dall’altra parte e scappare, come ha fatto per anni, oppure restare e lottare per la bambina che è stata e alla quale hanno strappato l’innocenza, e per Marika, che ha un bisogno disperato del suo aiuto.
Cosa sceglierà Claudia? Non vi resta che leggere il romanzo per scoprirlo….
Estratto 1
«Ciao, Cenerentola, finalmente ci rincontriamo!»
Marika riconobbe immediatamente il giovane che le stava davanti. Era il tipo con cui si era scontrata fuori della scuola quasi un mese prima, ed era ancora più bello di quanto ricordasse.
O volesse ammettere.
Perché più di una volta, in quel lasso di tempo, aveva pensato a lui. L’aveva colpita, inutile negarlo, e non perché le ricordava il principe azzurro delle sue favole o perché l’aveva fatta finire con il culo per terra, questo era sicuro. Indossava dei jeans neri e un maglioncino bianco, a collo alto, che gli stavano da Dio, e i capelli neri li portava sciolti in quel momento. Gli ricadevano davanti al viso in morbide onde simili al velluto, mettendo in risalto quegli occhi di smeraldo che la scrutavano e sembravano voler sapere tutto di lei.
Esattamente la cosa che non poteva permettersi.
«Scusa?» domandò, fredda, determinata a mantenere le distanze, ma le successive parole del giovane mandarono all’aria tutti i suoi piani, cogliendola di sorpresa.
«Credo di avere qualcosa che ti appartiene!» affermò infatti l’altro, sibillino. Si frugò nella tasca dei jeans e tirò fuori qualcosa.
Marika abbassò gli occhi. Sul palmo aperto del ragazzo c’era un braccialetto d’argento.
Estratto 2
Marika scosse il capo per scacciare quei pensieri angoscianti. Le recriminazioni non servivano a nulla, comunque, anche se il rimorso rimaneva sempre lì, a corroderla dentro. «Non ho bisogno della balia…» replicò, asciutta, «ormai sono grande.»
Amedeo le lanciò una lunga occhiata. «Oh sì, questo lo vedo! E diventi ogni giorno più bella.»
Lei non confutò quell’affermazione: sapeva di essere molto carina, glielo diceva ogni giorno la sua immagine riflessa nello specchio del bagno. Cristo, quanto avrebbe voluto che non fosse così! Se fosse stata brutta, lui forse non l’avrebbe voluta, non l’avrebbe costretta a soddisfare le sue schifose voglie.
A volte era stata tentata di radersi a zero i lunghi capelli biondi, di sfregiarsi il volto e deturparsi la pelle del corpo, ma non ne aveva mai avuto il coraggio.
Perché era una vigliacca, quella era la verità!
Lei non era l’eroina di una fiaba e non si meritava nessun principe azzurro, solo l’orco cattivo.
«Vieni qui!» le ingiunse Amedeo con voce roca. Allungò una mano e le circondò i fianchi, poi se la strinse contro con forza.
Marika non protestò. A lui non piaceva quando faceva la difficile, ma quando l’uomo le sfilò la maglia e le afferrò un seno, strizzandole il capezzolo, non poté trattenere un ansito strozzato.
Note bio autrici
Anna Ieva ha 50 anni e vive ad Andria. Amante della poesia, alcuni suoi componimenti sono stati inseriti in un’antologia poetica pubblicata da Emozioni Edizioni. Questa è la prima volta che si cimenta nella scrittura di un romanzo. Ama la natura e i suoi due figli e odia l’ipocrisia. Attenta osservatrice delle problematiche femminili. Anna Grieco, 45 anni, è nata nella ridente Puglia. Editor, madre e moglie a tempo pieno, le sue più grandi passioni sono la scrittura, la cucina, i libri e le serie tv. Ha diverse pubblicazioni al suo attivo, tra romanzi e racconti. Alcuni titoli: la saga La capoclan, edita Harper Collins Italia: (Il filo del tempo, Inscindibili Legami e Indomabile desiderio); la serie Le cronache degli arcangeli, sempre edita Harper Collins Italia: (La cacciatrice, La transizione, Il sacrificio); Vendetta d’amore e Piccante e delizioso, editi Leggereditore; I signori dell’arena, finalista del Premio Letterario La penna blu Edizioni; Vortice di passioni; Changeling; L’ordine delle sette spade; Un principe da (odiare) amare; Sei mia; Blood Moon; Il vaso di Pandora; Desiderio eterno; L’ira di Apollo; Vlad Dracul; Lacrime di sangue; Tenebra e luce; Stavros; La voce del cuore; Spiriti nella cattedrale; Bestia; Cassandra Prophecies; Natale rosso sangue; Speranza; curatrice dell’antologia Storie di dèi e di eroi, edita GDS Edizioni.
from Blogger http://ift.tt/2Fy1Yoa via IFTTT
0 notes
Text
“Dream is over”: elegia per gli 80 anni di John Lennon, morto nel 1980
“Immagina come siamo fioriti dalla nostra fine. Penso che la mia musica sia migliorata di un milione di volte in termini lirici e tutto il resto”.
*
Agli 80 ci sarebbe arrivato quest’anno, a ottobre. Un folle però ha preferito accorciare la storia, o renderle ancora più infinita. New York, dicembre 1980. Siamo a Manhattan, New York, più precisamente davanti al palazzo The Dakota. Un giovane aspetta. Il cielo annotta, è buio. Sono da poco passate le 22.50 quando li vede arrivare. Lo chiama e gli scarica addosso cinque colpi di pistola. “I was shot”. “Mi hanno sparato” sussurra mentre è a terra. Poi perde i sensi. “Hello, Goodbye”.
*
Lo hanno arrestato poco dopo, Mark Chapman. “Ascoltavo quella musica e diventavo sempre più furioso verso di lui, perché diceva che non credeva in Dio e che non credeva nei Beatles. Questa era un’altra cosa che mi mandava in bestia, anche se il disco risaliva a dieci anni prima. Volevo proprio urlargli in faccia chi diavolo si credesse di essere, dicendo quelle cose su Dio, sul paradiso e sui Beatles! A quel punto la mia mente fu accecata totalmente dalla rabbia”.
Pam, pam, pam, pam. Pam.
*
John Lennon è stato il genio puro, il lato più creativo. A Paul McCartney si devono le ballate migliori, quelle d’amore. Al primo i testi più densi, bizzarri, non-sense. Se le “Love song” facevano innamorare le ragazze, i brani cerebrali di Lennon erano linfa per le menti più profonde, quelle assetate di conoscenza, di letteratura. Di commistioni, prestiti, rimandi, citazioni. Un mondo “altro”, alto. Cime innevate accessibili solo a chi scala le rime.
*
Lennon è stato “Fab four” per circa 10 anni o poco meno, dal 1962 al 1970. Poi è diventato “Fab two” ma solo quando la sua immagine ha iniziato a rispecchiarsi negli occhi tagliati di Yoko Ono.
*
Il vertice compositivo della sua prima vita – quella trascorsa assieme a Paul, George e Ringo – è l’allineamento di quattro parole che rimandano ad Alice nel Paese delle Meraviglie. Si intitola I’m the walrus, lì dove “Walrus” è il tricheco.
*
“Non mi passò mai per la testa che Lewis Carroll stesse criticando il sistema capitalista. Per me era solo una poesia carina. Non mi ero mai messo a cercare di interpretare cosa volesse significare veramente, come invece fanno le persone con le canzoni dei Beatles. Poi, ci riflettei e tornai a leggere il poema e realizzai che era il tricheco il cattivo della storia, mentre il falegname era quello buono. Pensai, Oh merda, ho scelto il tizio sbagliato. Avrei dovuto dire: ‘Sono il falegname’. Ma non sarebbe stata la stessa cosa, vero? La prima strofa la scrissi mentre ero in acido un fine settimana. La seconda durante un altro ‘viaggio’ il weekend dopo, e la terminai dopo aver incontrato Yoko. Avevo visto Allen Ginsberg e alcune persone a cui piacevano Bob Dylan e Gesù andare fuori di testa per gli Hare Krishna. Era Ginsberg, in particolare, quello a cui mi riferivo. Le parole ‘Elementary penguin’ stanno a significare che trovavo così naif l’andare in giro tutto il giorno a cantare ‘Hare Krishna’ o riporre tutta la tua fede in un idolo”.
*
La registrazione del brano comprende nella coda strumentale finale uno dei pezzi di improvvisazione più celebri nel canone beatlesiano, con l’introduzione di un estratto di una trasmissione radio della BBC inerente al Re Lear di William Shakespeare che venne aggiunta dallo stesso Lennon registrandola in presa diretta direttamente dalla radio.
*
La sua seconda vita artistica è stata più libera: non doveva strizzare l’occhio ai mercati o alle major. Two Virgins è un delirio anarchico: suoni e rumori della natura. Uccellini, vento, poco altro. A parte la copertina, che vede i due completamente nudi.
*
Certo, Imagine è il brano più noto e indiscutibilmente più nobile. Ma non è il solo: tra il 1971 e il 1980 ha cesellato vasi compositivi di straordinaria bellezza. Molti sono conosciuti – Give peace a chance, Happy xmas (war is over) per esempio – altri meno.
*
Nel disco John Lennon / Plastic Ono Band si incrociano i fasci di luce di tre fari: Mother, Working class hero e God. La prima canzone – che nella versione live diventa un’esplosione di dolore – parla del difficile rapporto con i genitori che si separarono quando John aveva due anni. Il padre, Alfred, lasciò la famiglia quando John era ancora un bambino; Julia, la madre, morì investita da un’automobile guidata un poliziotto ubriaco fuori servizio. Straziante il finale con la ripetizione del ritornello “Mama don’t go, Daddy come home”, cantato a ripetizione finche la voce si fa zebrata, surriscaldata, rassegnata.
La seconda invece è un inno al socialismo più puro eseguito solo con voce e chitarra classica. Il pezzo parla dell’insensibilità provocata dai condizionamenti sociali, affermando che in questa società solo il “conformarsi” è remunerativo. La libertà e una società non più divisa in classi sono miti concepiti allo scopo di oscurare la mancanza di controllo sulle vite delle persone “mentre i media, la religione, la sessualità commercializzata e le droghe cospirano tutte allo stesso modo per smorzare il nostro desiderio di cambiamenti sociali”.
God è musicalmente è un brano lento, quasi maestoso nella sua progressione melodica ripetuta e circolare, mentre il testo è suddiviso in tre sezioni. Nella prima il musicista esordisce con una propria definizione di Dio, immaginata durante una seduta terapeutica e in cui il Creatore viene descritto come un concetto attraverso il quale noi misuriamo il nostro dolore (“God is a concept by which we measure our pain”). La seconda parte del brano è un lungo elenco di idoli, di miti generazionali, in cui John non crede più: la Magia, la Bibbia, Hitler, Gesù, Kennedy, Buddha, Elvis, Dylan, Beatles. E si chiude sul suo presente: “I just believe in me, Yoko and me”. Il sogno è finito. Dream is over.
*
How? si trova nel disco Imagine ed è un pezzo sulla terapia primaria dello psicologo americano Arthur Janov: una serie di domande che il mental coach rivolge per motivare la coppia. John ci pennella la sua risposta: “E il mondo è così duro, certe volte penso di averne abbastanza”.
*
Tristissima e resa ancora più bella nel disco postumo Once Upon a time, la ballata Nobody loves you (when you’re down and out) inserita in Walls and bridges è un’amara e disperata consapevolezza della solitudine. “Ti ho mostrato tutto, non ho niente da nascondere” dice. Ma solo quando capisci che lei non tornerà più.
Alessandro Carli
L'articolo “Dream is over”: elegia per gli 80 anni di John Lennon, morto nel 1980 proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2ZFxvN7
0 notes