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Ho amato te di Beatrice Zerbini: una dichiarazione d’amore senza confini. Recensione di Alessandria today
Una poesia intensa e universale che celebra l’amore in tutte le sue sfumature, tra passione, dolore e devozione.
Una poesia intensa e universale che celebra l’amore in tutte le sue sfumature, tra passione, dolore e devozione. La poesia Ho amato te di Beatrice Zerbini è un capolavoro di emozioni che racchiude l’essenza più pura dell’amore. Con uno stile diretto e una sensibilità straordinaria, l’autrice dà voce a sentimenti che tutti, almeno una volta nella vita, hanno provato. L’amore qui è descritto in…
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Storia di Musica #335 - The Clash, Sandinista!, 1980
Il punto esclamativo finale di questa piccola carrellata tra i dischi che lo hanno nel titolo arriva ad uno dei più famosi dischi degli anni ’80. Protagonista una band che nasce dal calderone del punk britannico della seconda metà degli anni ’70, ma che grazie ad un percorso per molti versi unico e virtuoso, è arrivata ad essere, giustamente, considerata come una delle più importanti rock band d tutti i tempi. Joe Strummer è figlio di un alto funzionario del Ministero degli Esteri Britannico, tanto che nasce in Turchia nel 1952. Quando ha 20 anni, fonda un gruppo, i 101’ers con Clive Tiperlee e Richard Dudanski. Suonano con discreto successo nei pub londinesi e registrano persino qualche canzone. Nel loro giro c’era un altro gruppo, I London SS, che erano noti poiché non suonavano quasi mai con la stessa formazione, in una sorta di gruppo aperto: tra coloro che più spesso ne facevano parte c’erano Mick Jones, Paul Simonon, Tory Crimes e Nicky “Topper” Headon. I primi tre si uniscono a Strummer e per qualche mese al chitarrista Keith Levine (che suonerà pochi anno dopo nei PIL di Johnny Rotten) e fondano un proprio gruppo, che prima si chiama Heartdrops, e poi The Clash. La prima, storica, esibizione è allo Screen On The Green di Islington, il 26 Agosto 1976. Inizia qui la loro storia: agli esordi sono una delle punte di diamante del punk di quegli anni, espressione più matura e politicamente sensibile del periodo storico economico di quei tempi. Ne è esempio il primo grande successo, White Riot, uscito nel Marzo 1977, ispirato agli scontri tra polizia e giovani neri al carnevale di Notting Hill nel 1976. Sono il punto di incontro della visione politica più matura e curiosa, lontano dall’anarchismo furbetto dei Sex Pistols o dall’apatia politica disinteressata dei Damned. Il loro esordio discografico è fragoroso: The Clash esce nell’anno Uno del Punk Britannico, il 1977, e piazza canzoni mito come I Fought The Law e (White Man) In Hammersmith Palais, unendo i ruvidi stilemi del punk a ritmi giamaicani del dub e del reggae. Il successo li carica, e il successo lavoro è leggenda: London Calling (1979) è il primo disco in studio cui Topper Headon prende posto dietro i piatti della batteria (dopo aver suonato già nel tour post primo disco), ma soprattutto è il racconto del rapporto odio-amore con gli Stati Uniti, fonte delle musiche vitali per loro stessi ma anche dell’ipocrisia, dei complotti. È un doppio disco che mostra la personale e infinita voglia di contaminare la musica di suoni e colori differenti: album pietra miliare per le musiche (l’incandescente title track), i temi (la violenza urbana di Guns Of Brixton, il terrorismo basco di Spanish Bombs), la copertina (che riprende la grafica dei primi dischi di Elvis con la foto di Simenon che distrugge il basso sul palco).
L’idea successiva, dopo un tour che li portò in mezzo mondo a suonare e una ormai consolidata fama di band impegnata, era piuttosto bizzarra: dopo aver imposto alla CBS il prezzo politico per London Calling di disco singolo pur essendo doppio, la band progettò la pubblicazione di 12 singolo uno per mese. Negata l’idea, ottenne di poter registrare per una settimana i mitici Electric Ladyland Studios di New York. Registrano di tutto, e tornano con una montagna di materiale a Londra. Inclusi vari remix dub di idee e canzoni. Mettono un po’ a posto tutto, e decidono di pubblicare tutto quello che avevano registrato, 36 canzoni, un triplo disco. La CBS non vorrebbe pubblicarlo, poi si accorda con la band: se volete anche stavolta il prezzo “politico imposto” dovete rinunciare ai diritti per le prime 200 mila copie. La band accettò.
Sandinista! è un omaggio al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, un movimento rivoluzionario e partito politico nicaraguense protagonista nel 1979 del crollo del regime dittatoriale di Anastasio Somoza Debayle: deve il suo nome all’ispirarsi alle teorie di Augusto César Sandino, rivoluzionario nicaraguense, nonché uno dei conduttori della resistenza rivoluzionaria alla presenza militare statunitense in Nicaragua tra il 1927 e il 1933. Tra l’altro leggenda vuole che Margareth Thatcher odiasse profondamente il termine e avesse avuto l’idea di proibirlo in Gran Bretagna. Il disco allarga a dismisura l’osservazione del mondo, proprio perché, e le interviste dopo la pubblicazione lo confermeranno, i concerti li avevano portati dove non erano mai stati, potendo così vedere quello che non avevano mai visto. La musica non è mai stata così piena di influenze, di idee, tanto che i fan della prima ora lo criticarono aspramente, accusandolo di aver perso tutta la spontanea violenza del punk. Ma a ben vedere, i nostri non hanno affatto perso lo sguardo critico e potente sulle cose, lo hanno solo voluto esprimere in modi diversi. Bastano i 6 monumentali, e storici, minuti di The Magnificent Seven per spiegare tutto: primo brano di rap bianco, Mick Jones a New York rimase ipnotizzato dai primi lavori della Sugarhill Gang e dei Grandmaster Flash & The Furious Five, è il viaggio nella testa di un operaio che si alza alle sette di mattina per andare al lavoro, che lavora per comprare regali alla sua fidanzata, ma che è anche un grande affondo alla realta del consumismo contemporaneo. Hitsville Uk è un brano che sa di gospel e di soul (il titolo è un omaggio alla Motown). C’è il Blues di Junco Partner e la sua versione dub in Version Pardner. Ivan Meets G.I. Joe è la cronaca surreale dell'incontro-scontro a ritmo di disco music tra un soldato americano e uno sovietico su una pista da ballo, in un tripudio di suoni da videogioco. The Call Up si apre con i cori dei Marines statunitensi, perché la chiamata del titolo è proprio un riferimento al servizio militare, dato che nel 1980 il Congresso ripristinò l'obbligo per gli uomini di età compresa tra 18 e 25 anni di registrarsi al Selective Service System. C’è persino un valzer, Rebel Waltz, Charlie Don't Surf è tratto da una celebre battuta del film Apocalypse Now, Police On My Back, divenuta famosissima, è una cover di un vecchio brano di Eddy Grant contro il regime dell'apartheid in Sudafrica. Il tutto con remix, versioni dub, riferimenti alle rivoluzioni in America Latina, perfino la voce di una bimba, Maria, figlia di Mick Gallagher che dà una bella mano a suonare nel disco, che canta in modo stentato alcune strofe di Guns of Brixton accompagnata al pianoforte dal padre.
Ridondante, eccessivo, imperfetto, eppure spargerà fertilità ovunque e per decenni. Ricordo un ultima curiosità: non si sa se per caso o perché i Clash lo imposero, ma il numero di catalogo del triplo era 'FSLN1', stesso acronimo di Frente Sandinista de Liberación Nacional. Un ultimo riferimento magico ad un disco leggendario.
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KAKINOMOTO NO HITOMARO
IL ROMBO DEL TUONO
Il rombo del tuono
nel cielo nuvoloso
forse pioverà.
E, quando accadrà resterai con me?
Il rombo del tuono
nel cielo nuvoloso
e anche se non piovesse
resterò con te.
(da Man'yōshū, Vol. 11, versi 2513 e 2514)
.
Il giardino delle parole è un breve film di animazione giapponese - o “anime” – realizzato da Makoto Shinkai nel 2013. A legare inizio e fine della storia – l’amicizia tra uno studente quindicenne e una donna ventisettenne che si incontrano in un giardino giapponese nei giorni di pioggia – c’è questo doppio tanka di Kakinomoto no Hitomaro, tratto dal Man'yōshū, ovvero la Raccolta delle diecimila foglie, antologia poetica compilata nella seconda metà dell’VIII secolo: una classica domanda e risposta in cui ci si dichiara amore eterno.
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"I ricordi,
le sue parole
animano la fugacita'del mio tempo
rendendo eterno ogni istante.
Ho riportato nei miei versi
il mio senso di Lei,
riservando alla parola amore
il privilegio d'appartenerle.
Perche'amare una Donna
e'reinventarsi ogni giorno una vita,
e'riuscire a immaginarsi mai cosi'vicini all'infinito,
e'non aver paura del proprio cuore che si ribella
all'ingiallire di una quotidianita'
quasi fosse una foglia di un autunno che non sa finire.
Io amo una Donna
e Lei e'il sogno diverso
che vorro' nelle mie notti mentre
guardero'ad occhi aperti
i colori dell'immaginazione,
le dita che disegneranno su quel vetro il mio nome
mentre sono giu' e la citta'dorme
ed io sollevero'il capo guardando quella finestra
dove incontrero'i suoi occhi,
l'ovale perfetto del suo viso,
quella camicia che le va cosi'grande
e che mi rimembra perche'
non so smettere di desiderare le sue mani
sul mio petto."
Sergio Guglielmino ©
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I BALCONI DI TAORMINA
I balconi cercano nell’azzurro del cielo la luce e i colori della vita così come gli uomini cercano nel tempo la loro fragile felicità. Per i primi, albe e tramonti gli sguardi dei curiosi l’ombra dolce dei vicoli i voli gioiosi delle rondini. Con i loro occhi di vetro cercano nell’orizzonte il velo rosato dell’aurora i rossi, gli arancioni di fuoco di tramonti immortali. Gli occhi degli uomini invece ansiosi e insicuri cercano lì dove il cielo finisce la pace già tradita i sogni ormai perduti il tepore di essere amati l’aurora della speranza gli affetti ormai passati. Come balconi protesi nel vuoto gli uomini freneticamente cercano nei versi di una canzone nei sogni che li illudono nei desideri che li stordiscono nel silenzio che spegne i cuori in tutto quello già desiderato in tutto quello già amato gli uomini ostinatamente cercano quanto dona serenità quanto vince i dolori dell’anima stordisce le paure della vita. Gli uomini disperatamente cercano il loro sguardo in altri occhi ai loro eguali cercano risposte assolute cercano una fragile gioia che per il vuoto che li divora stringono forte al cuore cercano l’istante di un amore un desiderio che resti eterno un’illusione che non si spenga una carezza che mai finisca un abbraccio che cambi la vita un bacio che la riempia I balconi si sporgono verso il mondo cosi come gli uomini si sporgono verso la vita desiderando e sognando odiando e amando tra la pioggia che li lava e le cicale che li cullano
The balconies seek, in the blue of the sky, the light and colors of life, just as men seek their fragile happiness in the passage of time. For the former, sunrises and sunsets, the glances of the curious, the sweet shade of the alleys, the joyful flights of the swallows. With their glass eyes, they search the horizon for the rosy veil of dawn, the reds, the oranges of fire, of immortal sunsets. The eyes of men, however, anxious and insecure, seek, where the sky ends, the peace already betrayed, the dreams now lost, the warmth of being loved, the dawn of hope, the affections now gone. Like balconies jutting out into the void, men frantically search in the verses of a song, in the dreams that delude them, in the desires that stun them, in the silence that extinguishes hearts, in everything already desired, in everything already loved, men stubbornly they seek what gives serenity, what overcomes the pain of the soul it stuns the fears of life. Men desperately seek their gaze, in other eyes of their equals, seek absolute answers, seek a fragile joy who, due to the emptiness that devours them, hold tightly to the heart, seek the moment of a love, a desire that remains eternal, an illusion that never goes out, a caress that never ends, a hug that changes your life, a kiss that fills it. The balconies lean out towards the world, just as men lean out towards life, desiring and dreaming, hating and loving, between the rain that washes them, and the cicadas that cradle them
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"Vi ricordate questi versi: «Amor, ch'a nullo amato amar perdona?»
Sono i versi più famosi della Divina Commedia, ma vi siete mai chiesti cosa significano? Ecco, Dante è all’Inferno e a un tratto note due amanti, Paolo e Francesca, abbracciati assieme, anche nel tormento. Di cosa parla la storia di Paolo e Francesca? Dell’incontro di due innamorati, del desiderio bruciante, della tenerezza, dell’attesa. «La bocca mi baciò tutto tremante,» così Francesca descrive il suo l’amore per Paolo. Quando il marito di Francesca li scopre, trafigge entrambi gli amanti con la propria spada. E Francesca, ricordando quel momento, pronuncia queste parole:
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona
Ma che cosa vi sta dicendo Dante? Che l’Amore non «perdona» nel senso di “non risparmia” nessuno. Nessun uomo può sottrarsi alla forza dell’amore. Qualcuno obietterà: Dante non ha niente da insegnarci, mette Paolo e Francesca all’inferno perché entrambi si erano macchiati di adulterio. È un’idea antiquata questa? Certo che lo è! Dante apparteneva a un’epoca diversa dalla nostra, sarebbe assurdo pretendere che non sia così. Ma non è questa la cosa importante.
Vedete, la storia di Paolo e Francesca è la storia di due anime legate in vita da un amore indissolubile, un amore che è sopravvissuto perfino alla morte. Ecco, oggi c’è gente che dopo qualche minuto dimentica di averti conosciuto; le relazioni sono «usa e getta», sembra che la gente abbia vergogna di usare la parola amore e che veda nei sentimenti una debolezza. Si gettano nei centri commerciali, non fanno che inseguire piaceri e divertimenti per compensare la mancanza di compassione, amicizia e amore. Non posso fare a meno di domandarmi cosa abbia reso la gente tanto distratta, tanto superficiale e impermeabile al sentimento. Ed ecco perché leggere la Divina commedia mi fa stare bene: in una società sempre più arida ed anaffettiva mi ricorda che cose come il sentimento, la passione e l’amore sono la ricchezza più grande."
G.Middei
Professor X
#istruzione #cultura #letteratura #dante
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[✎ ITA] Weverse Magazine : Recensione : Le Canzoni, il Ballo e la Strada di j-hope | 04.05.24⠸
🌟 Weverse Magazine 🗞
Le Canzoni, il Ballo e la Strada di j-hope
__ Una recensione di HOPE ON THE STREET VOL.1 __
__ di KANG ILKWON | 04. 05. 2024
Twitter | Orig. KOR
Nonostante la sua ascesa al successo da superstar globale insieme ai BTS, l'identità di j-hope continua fondamentalmente a gravitare attorno la street dance. L'ultimo album dell'artista, HOPE ON THE STREET VOL.1, è testimonianza dell'incrollabile connessione che ancora lo lega al mondo del ballo. Il rilascio di questo progetto è pubblicizzato come “special album (album speciale)” e la scelta del format in cui si presenta non poteva essere più azzeccata. L'album comprende sia nuove tracce che nuove versioni di alcune delle canzoni più amate tra quelle già rilasciate, come la versione solista di “on the street”—che era, in origine, una collaborazione con J. Cole—ed un remix di “what if…”
Per gli estimatori sia di nuove versioni e remix di brani pubblicati in precedenza che di tracce nuove di zecca, quest'album presenta la tracklist perfetta.
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La traccia che probabilmente susciterà più interesse è “NEURON”, in collaborazione con i talentuosissimi artisti hip hop coreani, Gaeko e yoonmirae i quali aggiungono un ulteriore, allettante strato di rap al brano. J-hope apre la traccia con il suo roco rap, catturando immediatamente l'attenzione di chi ascolta, con punte maestrali da parte di Gaeko - con la sua flow fitta e tagliente – ed il rap euforizzante di yoonmirae, in chiusura.
Il titolo, “NEURON”, è un triplo gioco di parole che allude 1) ai neuroni, le cellule del sistema nervoso, 2) al nome della crew di ballo di cui faceva parte j-hope e, 3) alle parole “New run” che troviamo nel testo – a loro volta allusione ad un nuovo inizio.
La produzione del brano ha un che di mozzafiato. In apparenza, è simile a “on the street”, ma l'arrangiamento, più ricco, riesce a distinguerla con il suo connubio di sound boom bap – tipico dell'hip hop della East Coast degli anni '90 e 2000 – e pop rap melodico. Nel ritornello troviamo anche la talk box, un sound comunemente tipico dell'hip hop della West Coast. Non mancano poi intriganti variazioni ritmiche e di flow nei versi che precedono il rap di yoonmirae. Grazie a questi e molti altri accenti coinvolgenti – come i riff di tastiera che, a cascata, scivolano via dal ritornello pop accompagnando il passaggio ad un nuovo beat - questo singolo è un'impareggiabile lettera d'amore di j-hope per l'hip hop.
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“i wonder…”, in cui troviamo anche il collega dei BTS, JungKook, è un magistrale mix di funk ed electro-pop. Supportati da una produzione ed un sound allegri e ritmati, il rap cantato in autotune da j-hope e la voce melodiosa di JungKook esprimono con risolutezza il loro amore e la loro fiducia per le/i fan, nonché – rafforzato dal viaggio musicale affrontato insieme, l'affetto per il gruppo, in quello che è un tributo particolarmente toccante a tuttə coloro che li hanno seguiti finora.
Subito dopo questa traccia, troviamo “lock / unlock” (with benny blanco and Nile Rodgers) e la sua disposizione nella tracklist è un vero colpo di genio perché tale collocazione enfatizza la base funk che caratterizza i due brani.
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Sebbene “lock / unlock” sia più ballabile, nonché più vicina a ciò che comunemente viene definito funk, le due tracce trovano un punto di incontro nell'orchestrazione delle sezioni ritmiche, le quali riescono a dare l'impressione che i due brani non siano altro se non due parti di una stessa canzone, tratteggiando per�� atmosfere diverse attraverso ritmi differenti.
La voce del poliedrico artista Benny Blanco e la chitarra di Nile Rodgers, leggenda vivente del soul/funk, complementano perfettamente il cantato di j-hope, rendendo la traccia particolarmente adrenalinica. Queste due canzoni, collocate una di seguito all'altra, contribuiscono ad incrementare gradualmente il ritmo dell'album, fino a culminare nel brano successivo, “i don’t know” with HUH YUNJIN of LE SSERAFIM. La patinata perfomance deep house di j-jope e l'incantevole monologo francese nonché voce di HUH YUNJIN sono splendidi.
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Le nuove versioni incluse in quest'album regalano agli ascoltatori scelte sonore che solo un progetto come questo – così diverso dai soliti album in studio—poteva presentare.
La versione solista di on the street” che troviamo nel VOL.1 vede j-hope colmare la strofa di J. Cole con nuovi, geniali versi rap, i quali permettono all'artista di amplificare ancor più il suo messaggio. La versione solista è un omaggio alla street dance, ovvero le radici di j-hope in quanto idol, le tappe superate lungo il percorso, l'ispirazione che continua a spingerlo verso nuovi obiettivi, nonché un omaggio alla strada in quanto maestra di vita; tutto questo confezionato in una nuova versione che dà così alle/i fan l'opportunità di ri-sperimentare un brano cui hanno già dimostrato tanto amore. Il verso più eccezionale ci è offerto proprio da quelle nuove parti di testo: “Conoscere il cammino e percorrerlo è diverso”. A volte, nel corso della nostra vita, pensiamo di sapere come raggiungere ciò che vogliamo—come realizzare i nostri sogni—ma, di fatto, mettere in pratica quei progetti è tutta un'altra storia. È un verso molto breve, ma rimane nel cuore.
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L'amatissima “What if…”, già rilasciata nel 2022 nell'album Jack In The Box, trova qui nuova vita sotto forma di dance mix grazie alla ri-masterizzazione dell'iconico sample “Shimmy Shimmy Ya” di Ol’ Dirty Bastard in un botta e risposta giocato tra hip hop in stile New Yorkese ed elettronica sopra le righe, senza tuttavia discostarsi dall'alta tensione offerta dalla traccia originale. La novità, in questo remix, è rappresentata dal contributo del cantautore e produttore JINBO, le cui aggiunte sono sì di supporto alla visione creativa di j-hope, ma rappresentano anche un a-parte fresco ed inedito. Ma prendiamoci qaualche istante per approfondire un po' di più la conoscenza di JINBO. Quest'ultimo è uno dei pochissimi artisti coreani che ha davvero saputo cogliere ed interpretare il neo soul e l'hip hop e che ha saputo trarne il massimo, incorporandoli in una carriera musicale costantemente a cavallo tra hip hop/R&B e K-pop. La sua voce, morbida e ricca di sentimento, serve ad alleggerire la parte conclusiva di una canzone fino a quel momento caratterizzata dai velocissimi rap di j-hope e da un beat grintoso e graffiante.
HOPE ON THE STREET VOL.1 è un esempio magistrale di come sia possibile arrivare ad un pubblico di massa pur esplorando a fondo generi solitamente più di nicchia.
I messaggi che l'ambizioso j-hope ha voluto trasmetterci attraverso quest'album sono fondamentalmente semplici, testimonianza della sua sincerità— l'eterno amore per le sue radici nella street dance, l'orgoglio per il suo status di ballerino, il rispetto e la dedizione per il rap/hip hop nonché il profondo affetto nutrito per le/i fan che l'hanno sempre supportato—Ne è, infatti, intrisa ogni nota in ognuna delle canzoni contenute nell'album, forti di quelle sue umili aspirazioni.
E subito ci torna in mente Bong Joon Ho, quella volta che, notoriamente, ha citato Martin Scorsese durante gli Oscar: “Più una cosa è personale più sarà creativa.” L'intenzione di j-hope non è ostentare il suo apprezzamento per la street dance o l'hip hop, ma l'artista non dimentica mai quali sono le sue origini e non fa che ricordare a se stesso—gioiosamente, apertamente e in tutta onestà—qual è il tipo di percorso che sta affrontando.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
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Tu sei per me una creatura triste, un fiore labile di poesia, che, nell’istante stesso che lo godo e tento inebriarmene, sento fuggire lontano tanto lontano, per la miseria dell’anima mia, la mia miseria triste. Quando ti stringo pazzamente al cuore e ti suggo la bocca, a lungo, senza posa, sono triste, bambina, perché sento il mio cuore tanto stanco di amarti così male. Tu mi dài la tua bocca e insieme ci sforziamo di godere il nostro amore che sarà mai lieto perché l’anima in noi è troppo stanca dei sogni già sognati. Ma sono io sono io il vile, e tu sei tanto in alto che, quando penso a te, non mi resta che struggermi d’amore per quel poco di gioia che mi dài, non so se per capriccio o per pietà. La tua bellezza è una bellezza triste quale avrei mai osato di sognare, ma, come tu mi hai detto, è solo un sogno. Quando ti parlo le cose più dolci e ti stringo al mio cuore e tu non pensi a me, hai ragione, bambina: io sono triste triste e tanto vile. Ecco, tu sei per me null’altro che una fragile illusione dai grandi occhi di sogno, che per un’ora mi si stringe al cuore e mi ricolma tutto di cose dolci, piene di rimpianto. Così mi accade quando stancamente mi struggo a infondere nei versi lievi un mio spasimo triste. Un fiore labile di poesia, nulla di più, mio amore. Ma tu non sai, bambina, e mai saprai ciò che mi fa soffrire. Continuerò, piccolo fiore biondo, che hai già tanto sofferto nella vita, a contemplarti il viso che ti piange anche quando sorride – oh la dolcezza triste del tuo viso! non saprai mai, bambina – continuerò a adorare accanto a te le tue piccole membra melodiose che han la dolcezza della primavera e son tanto struggenti e profumate che io quasi impazzisco al pensiero che un altro le amerà stringendole al suo corpo. Continuerò a adorarti, e a baciarti e a soffrire, finché tu un giorno mi dirai che tutto dovrà essere finito. E allora tu non sarai più lontana e non mi sentirò più stanco il cuore, ma urlerò dal dolore e ribacerò in sogno e mi stringerò al petto l’illusione svanita. E scriverò per te, per il tuo ricordo straziante pochi versi dolenti che tu non leggerai più. Ma a me staranno atroci inchiodati nel cuore per sempre.
Cesare Pavese
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Eppur si muove... Diceva un tale Non è vero Che non c'è più spazio Tra l' infinito e le sue stelle. Una voce decanta in versi La sua nenia, carezza il vento Mi han sempre detto Non ti innamorar di chi è gentil Chi ti carezza il capo Non ti conosce affatto! Eppur io mi chiedo Perché son lucidi i miei occhi Ogni qualvolta una leggiadra Penombra, di dolce tenerezza Mi nota, tra la gente? Ho sentito angeli cantar E il petto mi vibrava forte Trattenevo per orgoglio Per mantenere integra Una composta dignità. Poi l' ho capito... Non sono le carezze Che mi mancano E neppure le parole Io per prima conosco Profondamente Quanto possano ingannare. Ciò che commuove la mia scorza dura È un invisibile gesto di umanità Nessuno a questo mondo Merita un Isolamento Tanto duro. Da non toccar mai più L' amore puro. Rugiada nei mie occhi Laccio emostatico Stringe forte il petto Non c'è motivo di disperar Ho amato troppo Il sale che intensamente Nutre la mia bocca Rifiutata sempre fino alla morte! Che ti hanno fatto? Me lo chiedo e non mi do' risposta Nessuno più di me Conosce la mia storia. Il niente mi ha trapassata Fino a sfinire le mie membra. Non c'è dolor più infame Che sentir perennemente La nullità, che devasta il mio Star bene sempre. Io non ho niente! È questo il mio dolor.
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IO SE FOSSI DIO (Gaber)
"Il testo di quella canzone mi venne fuori in poco più di un’ora. Buttai giù quindici paginette fitte fitte, scritte a mano di getto, quasi senza correzione. Me la prendevo con tutti, dai borghesi ai giornalisti, dai politici ai brigatisti. C’erano versi lunghi, altri brevissimi e praticamente senza struttura: una specie di scempio della metrica che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di mettere in musica".
Io se fossi Dio
E io potrei anche esserlo
Sennò non vedo chi
Io se fossi Dio
Non mi farei fregare dai modi furbetti della gente
Non sarei mica un dilettante
Sarei sempre presente
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
O meglio ancora a criticare
Appunto cosa fa la gente
Per esempio il piccolo borghese
Com'è noioso
Non commette mai peccati grossi
Non è mai intensamente peccaminoso
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
E pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda
Lui pensa che l'errore piccolino
Non lo conti o non lo veda
Per questo
Io se fossi Dio
Preferirei il secolo passato
Se fossi Dio
Rimpiangerei il furore antico
Dove si odiava e poi si amava
E si ammazzava il nemico
Ma io non sono ancora
Nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato
Nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio
Non sarei così coglione
A credere solo ai palpiti del cuore
O solo agli alambicchi della ragione
Io se fossi Dio
Sarei sicuramente molto intero e molto distaccato
Come dovreste essere voi
Io se fossi Dio
Non sarei mica stato a risparmiare
Avrei fatto un uomo migliore
Sì, vabbe', lo ammetto
Non mi è venuto tanto bene
Ed è per questo, per predicare il giusto
Che io ogni tanto mando giù qualcuno
Ma poi alla gente piace interpretare
E fa ancora più casino
Io se fossi Dio
Non avrei fatto gli errori di mio figlio
E sull'amore e sulla carità
Mi sarei spiegato un po' meglio
Infatti non è mica normale che un comune mortale
Per le cazzate tipo compassione e fame in India
C'ha tanto amore di riserva che neanche se lo sogna
Che viene da dire
"Ma dopo come fa a essere così carogna?"
Io se fossi Dio
Non sarei ridotto come voi
E se lo fossi io certo morirei per qualcosa di importante
Purtroppo l'occasione di morire simpaticamente
Non capita sempre
E anche l'avventuriero più spinto
Muore dove gli può capitare e neanche tanto convinto
Io se fossi Dio
Farei quello che voglio
Non sarei certo permissivo
Bastonerei mio figlio
Sarei severo e giusto
Stramaledirei gli inglesi come mi fu chiesto
E se potessi
Anche gli africanisti e l'Asia
E poi gli americani e i russi
Bastonerei la militanza come la misticanza
E prenderei a schiaffi
I volteriani, i ladri
Gli stupidi e i bigotti
Perché Dio è violento!
E gli schiaffi di Dio
Appiccicano al muro tutti
Ma io non sono ancora
Nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato
Nei vostri sfaceli
Finora abbiamo scherzato
Ma va a finire che uno
Prima o poi ci piglia gusto
E con la scusa di Dio tira fuori
Tutto quello che gli sembra giusto
E a te ragazza
Che mi dici che non è vero
Che il piccolo borghese è solo un po' coglione
Che quell'uomo è proprio un delinquente
Un mascalzone, un porco in tutti i sensi, una canaglia
E che ha tentato pure di violentare sua figlia
Io come Dio inventato
Come Dio fittizio
Prendo coraggio e sparo il mio giudizio e dico:
Speriamo che a tuo padre gli sparino nel culo, cara figlia
Così per i giornali diventa
Un bravo padre di famiglia
Io se fossi Dio
Maledirei davvero i giornalisti
E specialmente tutti
Che certamente non sono brave persone
E dove cogli, cogli sempre bene
Compagni giornalisti avete troppa sete
E non sapete approfittare delle libertà che avete
Avete ancora la libertà di pensare
Ma quello non lo fate
E in cambio pretendete la libertà di scrivere
E di fotografare
Immagini geniali e interessanti
Di presidenti solidali e di mamme piangenti
E in questa Italia piena di sgomento
Come siete coraggiosi, voi che vi buttate
Senza tremare un momento
Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti
E si direbbe proprio compiaciuti
Voi vi buttate sul disastro umano
Col gusto della lacrima in primo piano
Sì, vabbe', lo ammetto
La scomparsa dei fogli e della stampa
Sarebbe forse una follia
Ma io se fossi Dio
Di fronte a tanta deficienza
Non avrei certo la superstizione della democrazia
Ma io non sono ancora
Nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato
Nei vostri sfaceli
Io se fossi Dio
Naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente
Nel regno dei cieli non vorrei ministri
Né gente di partito tra le palle
Perché la politica è schifosa e fa male alla pelle
E tutti quelli che fanno questo gioco
Che poi è un gioco di forza ributtante e contagioso
Come la lebbra e il tifo
E tutti quelli che fanno questo gioco
C'hanno certe facce che a vederle fanno schifo
Che sian untuosi democristiani
O grigi compagni del Pci
Son nati proprio brutti
O perlomeno tutti finiscono così
Io se fossi Dio
Dall'alto del mio trono
Vedrei che la politica è un mestiere come un altro
E vorrei dire, mi pare Platone
Che il politico è sempre meno filosofo
E sempre più coglione
È un uomo a tutto tondo
Che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo
Che scivola sulle parole
Anche quando non sembra o non lo vuole
Compagno radicale
La parola compagno non so chi te l'ha data
Ma in fondo ti sta bene
Tanto ormai è squalificata
Compagno radicale
Cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino
Ti muovi proprio bene in questo gran casino
E mentre da una parte si spara un po' a casaccio
Dall'altra si riempiono le galere
Di gente che non c'entra un cazzo
Compagno radicale
Tu occupati pure di diritti civili
E di idiozia che fa democrazia
E preparaci pure un altro referendum
Questa volta per sapere
Dov'è che i cani devono pisciare
Compagni socialisti
Ma sì, anche voi insinuanti, astuti e tondi
Compagni socialisti
Con le vostre spensierate alleanze
Di destra, di sinistra, di centro
Coi vostri uomini aggiornati
Nuovi di fuori e vecchi di dentro
Compagni socialisti, fatevi avanti
Che questo è l'anno del garofano rosso e dei soli nascenti
Fatevi avanti col mito del progresso
E con la vostra schifosa ambiguità
Ringraziate la dilagante imbecillità
Ma io non sono ancora
Nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato
Nei vostri sfaceli
Io se fossi Dio
Non avrei proprio più pazienza
Inventerei di nuovo una morale
E farei suonare le trombe per il Giudizio universale
Voi mi direte: perché è così parziale
Il mio personalissimo Giudizio universale?
Perché non suonano le mie trombe
Per gli attentati, i rapimenti
I giovani drogati e per le bombe
Perché non è comparsa ancora l'altra faccia della medaglia
Io come Dio, non è che non ne ho voglia
Io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili
O addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili
Ma come uomo come sono e fui
Ho parlato di noi, comuni mortali
Quegli altri non li capisco
Mi spavento, non mi sembrano uguali
Di loro posso dire solamente
Che dalle masse sono riusciti ad ottenere
Lo stupido pietismo per il carabiniere
Di loro posso dire solamente
Che mi hanno tolto il gusto di essere incazzato personalmente
Io come uomo posso dire solo ciò che sento
Cioè solo l'immagine del grande smarrimento
Però se fossi Dio
Sarei anche invulnerabile e perfetto
Allora non avrei paura affatto
Così potrei gridare, e griderei senza ritegno
Che è una porcheria
Che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia
Ecco la differenza che c'è tra noi e gli innominabili:
Di noi posso parlare perché so chi siamo
E forse facciamo più schifo che spavento
Di fronte al terrorismo o a chi si uccide c'è solo lo sgomento
Ma io se fossi Dio
Non mi farei fregare da questo sgomento
E nei confronti dei politicanti sarei severo come all'inizio
Perché a Dio i martiri
Non gli hanno fatto mai cambiar giudizio
E se al mio Dio che ancora si accalora
Gli fa rabbia chi spara
Gli fa anche rabbia il fatto che un politico qualunque
Se gli ha sparato un brigatista
Diventa l'unico statista
Io se fossi Dio
Quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio
C'avrei ancora il coraggio di continuare a dire
Che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia cristiana
è il responsabile maggiore
Di vent'anni di cancrena italiana
Io se fossi Dio
Un Dio incosciente, enormemente saggio
C'avrei anche il coraggio di andare dritto in galera
Ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
Quella faccia che era
Ma in fondo tutto questo è stupido
Perché logicamente
Io se fossi Dio
La Terra la vedrei piuttosto da lontano
E forse non ce la farei ad accalorarmi
In questo scontro quotidiano
Io se fossi Dio
Non mi interesserei di odio e di vendetta
E neanche di perdono
Perché la lontananza è l'unica vendetta
È l'unico perdono
E allora
Va a finire che se fossi Dio
Io mi ritirerei in campagna
Come ho fatto io
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"Questo odore marino: l'inebriante poesia di Giorgio Caproni". Recensione di Alessandria today
Un viaggio tra memoria e sensazioni attraverso i versi evocativi di Giorgio Caproni.
Un viaggio tra memoria e sensazioni attraverso i versi evocativi di Giorgio Caproni. Recensione: Il profumo della memoria “Questo odore marino” di Giorgio Caproni è una poesia che si dispiega come una sinfonia di ricordi e sensazioni. Attraverso immagini olfattive e visive, il poeta cattura l’essenza di un momento intimo, un frammento di vita che si collega indissolubilmente all’odore del…
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Storia Di Musica #300 - Miles Davis, Live-Evil, 1971
Quando si ascoltò questo disco per la prima volta, i critici ebbero un profondo senso di smarrimento: Come bisogna definirlo? Cosa è? È jazz? È rock? È qualcosa di altro? In parte era lo scopo del suo creatore, in parte perfino a lui, genio incontrastato delle rivoluzioni musicali, qualcosa "sfuggì di mano", divenendo addirittura qualcosa di altro dalla sua idea primigenia. Questo è un disco che parte da un percorso iniziato qualche anno prima, quando Miles Davis e il suo storico secondo quintetto iniziano ad esplorare le possibilità che gli strumenti elettrici e le strutture della musica rock possono dare al jazz. I primi esperimenti con Miles In The Sky (1968), poi con quel capolavoro magnetico che è In A Silent Way (1969), il primo con la nuova formazione elettrica, la quale sviluppa a pieno quella rivoluzione che va sotto il nome di jazz fusion con il fragoroso, e irripetibile, carisma musicale rivoluzionario che fu Bitches Brew (1970, ma registrato qualche giorno dopo il Festival di Woodstock, nell'Agosto del 1969). Davis è sempre stato curioso e non ha mai avuto paura di guardarsi intorno dal punto di vista musicale, ne è testimone la sua discografia. E nell'idea che il jazz stesse morendo, era sua intenzione innestarlo di nuova vitalità contaminandolo con altri generi, non solo il rock, ma anche il funk, il soul, la musica sperimentale europea. A tutto ciò, per la prima volta nel jazz (e questa fu l'accusa più viva di eresia), il ruolo del produttore, del suo fido e sodale Teo Macero, è proprio quello di cercare tra le sessioni di prove le parti migliori, o come amava dire Davis "le più significative", e metterle insieme in un lavoro sorprendente e meticoloso di collage musicale, che in teoria elimina la componente espositiva solista del musicista jazz, ma che allo stesso tempo regala una nuova filosofia musicale ai brani, del tutto inaspettata. Decisivo fu, nel 1970, il compito che fu affidato a Davis di curare la colonna sonora del film documentario A Tribute To Jack Johnson, di Bill Cayton, sulla vita del pugile che nel 1908 divenne il primo pugile di colore e il primo texano a vincere il titolo del mondo di boxe dei pesi massimi, quando sconfisse il campione in carica Tommy Burns. Per questa ragione fu considerato una sorta di simbolo dell'orgoglio razziale della gente di colore all'inizio del ventesimo secolo, soprattutto poiché nel periodo erano ancora in vigore le leggi Jim Crow, leggi che di fatto perpetuarono la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di "separati ma uguali" per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi razziali diversi dai bianchi, attive dal 1875 al 1965.
Il disco di oggi somma tutte queste istanze, in maniera unica e per certi versi selvaggia, divenendo di fatto una sorta di manifesto che Il Signore Delle Tenebre ostenta alla sua maniera, cioè nel modo più sfavillante possibile. Live-Evil esce nel Novembre del 1971, ma è frutto di storiche serate live al The Cellar Dome di Washington DC, dove la band di Davis si esibì per diverse serate nel Dicembre del 1970, e una parte di registrazioni in studio sotto lo sguardo attento di Teo Macero, presso gli studi della Columbia di New York. Con Davis, nelle esibizioni al Cellar Dome, che come prima pietra dello scandalo usa la tromba elettrica, infarcita di pedali di effetti e di wah wah (amore trasmessogli da Jimi Hendrix) c'erano Gary Bartz (sassofono), John McLaughlin (chitarra elettrica), Keith Jarrett (piano elettrico), Michael Henderson (basso elettrico), Jack DeJohnette (batteria) e Airto Moreira (percussioni) e in un brano solo, come voce narrante, l'attore Conrad Roberts. Nelle sessioni in studio di aggiungono altre leggende, tra cui Herbie Hancock e Chick Corea (con lui nei precedenti dischi citati), Billy Cobham, Joe Zawinul e il fenomenale musicista brasiliano Hermeto Pascoal, la cui musica e i cui brani saranno centrali in questo lavoro. Tutto il magma creativo di queste idee sfocia in un doppio disco dalla forza musicale devastante, tanto che oggi alcuni critici lo definiscono un heavy metal jazz, che parte dalle origini più profonde ma sfocia in una musica caotica e sfacciatamente meravigliosa, trascinante e indefinibile, che gioca tutto sulle dissonanze, sugli ossimori, sui palindromi simbolici e musicali. E manifestazione più chiara ne è la copertina, bellissima, di Mati Klarwein, artista francese autore di alcune delle più belle copertine musicali, tra cui quella di Bitches Brew: lasciato libero di creare da Davis, pensò alla copertina con la donna africana incinta, come simbolo di creazione "primordiale", ma fu lo stesso Davis, a pochi giorni dalla pubblicazione, una volta deciso il titolo, che gli chiese un nuovo disegno, che accostasse il "bene" al "male" attraverso una rana. Klarwein in quel momento aveva una copertina della rivista Time che raffigurava il presidente Hoover, che fu presa come spunto per la rana del male, che campeggiò sul retro della copertina, e che vi faccio vedere:
Musicalmente il disco si divide in brani autografi di Davis, che diventano lunghissime jam session di sperimentazione, di assoli di chitarra, sfoghi di batteria, con la sua tromba elettrica che giganteggia qua e la, che raccolgono quel senso di rivoluzione, anche giocata sulla sua storica abilità di comunicazione (Sivad e Selim, che sono il contrario di Davis e Miles, la seconda scritta per lui da Pascoal, languida e dolcissima), il medley Gemini/Double Image, scritta con Zawinul, e le lunghissime e potentissime What I Say, quasi una dichiarazione di intenti, Funky Tonk, rivoluzionaria e la chiusura con Inamorata And Narration by Conrad Roberts, che è quasi teatro sperimentale, e le altre composizioni di Pascoal, Little Church e Nem Um Talvez, musica che stupì tantissimo lo stesso Davis, che considerava Pascoal uno dei più grandi musicisti del mondo: il brasiliano, polistrumentista, arrangiatore, produttore, è una delle figure centrali della musica sudamericana, e essendo albino è da sempre soprannominato o bruxo, lo stregone. Tutti brani vennero "perfezionati" da Macero, e addirittura nelle ristampe recenti è possibile leggere nelle note del libretto l'esatta costruzione dei brani, ripresi dalle sessioni live e dalle registrazioni in studio. Di quelle leggendarie serate al The Cellar Dome, nel 2005 la Columbia pubblicò un inestimabile cofanetto, di 5 cd, The Cellar Door Sessions 1970 con le intere esibizioni del Dicembre 1970: le parti usate in Live-Evil sono nel quinto e sesto disco, nei precedenti ulteriori esplorazioni musicali da brividi, per una delle serie di concerti storicamente più importanti del jazz.
Il disco verrà considerato il capolavoro che è solo dopo anni, in un periodo, quello degli anni '70, dove Davis accettò apertamente di sfidare la critica con la sua musica. Da allora però, per quanto in parte ancora enigmatico e "difficile", è considerato l'ennesimo pilastro della leggenda Davis, in uno dei suoi capitoli musicali che ebbe più fortuna, poichè buona parte dei fenomenali musicisti che contribuirono a questo disco erano in procinto, o già alle prese, con esperienze musicali che partendo dalla lezione del Maestro, ne approfondiranno i contenuti, e ne esploreranno i limiti: sarà quest'ambito che legherà le altre scelte di Novembre e questo omaggio, che come i precedenti numeri miliari (1,50,100,150,200,250) è dedicato al formidabile uomo con la tromba.
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ETAT LIBRE D'ORANGE - SOUS LE PONT MIRABEAU - Eau de Parfum - Novità 2023 -
P+P what a terrific alchemy. Poems + Perfumes. Is there anything better than that to shake your S+S? Senses and Soul reply right away.
.
Che stupefacente alchimia quando le fragranze scuotono la curiosità e sono ganci di riflessione su quanto si è appreso nella vita, soprattutto sui testi scolastici, sulle buone letture fatte nel tempo, su quanto certe esperienze si siano poi trasformate in una trama fitta di passione e condivisione.
Ritrovare Guillame Apollinaire in questa nuova fragranza di Etat Libre d'Orange - Sous le Pont Mirabeau - è stato come aprire un varco di luce nella memoria.
Apollinaire è uno dei grandi della poesia moderna, coniò il termine 'esprit nouveau' dando significato alle avanguardie artistiche francesi d'inizio 900.
La sua poesia multisensoriale vive nella sostanza del ricordo, affrancata dai confini del tempo, ne contrasta la forza dissipatrice per divenire incorruttibile.
Nei versi della sua celeberrima ‘Le Pont Mirabeau’, cui la fragranza si ispira, scorre la malinconia per un amore perduto, la nostalgia di un tempo che non conosce futuro e quella speranza violenta e timida che fu cara a Baudelaire.
E questa sensazione di fluire, del moto perpetuo e sincopato delle acque della Senna traspare da rigorosi accordi acquatici e minerali.
La sensazione in apertura è di freschezza acidula brumosa rubata alle luci dell'imbrunire, di sentori terrosi e metallici sostenuti dalla forza calma dei legni, sandalo e cedro.
Sono aromi sospesi e lenti, meditativi nel solenne evaporare dell'incenso, nel prolungato riverbero ozonato, rischiarati dagli accenti erbacei delle foglie di violetta, dalla poetica rima dell'ambra grigia.
E ancora, come a voler trattenere in circolo le sensazioni di attesa e speranza, riemergono i legni, più confortanti e magnetici nel loro levarsi dal fraseggio distensivo di vaniglia e muschi.
É indossare una poesia.
Creata da Mathieu Nardin.
Eau de Parfum 100 ml. In selezionati p.v.
©thebeautycove @igbeautycove
IL PONTE MIRABEAU Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna E i nostri amor Che io me ne sovvenga La gioia mai mancò dopo il dolor Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora Le mani nelle mani restando faccia a faccia Lasciam che giù Sotto l’arcata delle nostre braccia D’eterni sguardi passi l’onda lassa Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora L’amore se ne va come va la corrente L’amore va Come la vita è lenta E come la Speranza è violenta Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora Giornate e settimane il tempo corre Né più il passato Né più l’amore torna Sotto il ponte Mirabeau la Senna scorre Venga la notte rintocchi l’ora I giorni se ne vanno io non ancora
•••••
Il ponte Mirabeau deve parte della sua fama a questa celeberrima poesia di Apollinaire. Costruito nel biennio1895/97 ha una struttura a tre arcate in acciaio e collega la riva sinistra del 15°arrondissement alla destra del 16°. Quattro imponenti sculture in bronzo, poste alla base dei pilastri di sostegno, rappresentano l'abbondanza, la navigazione, il commercio e la città di Parigi. E' uno dei ponti più romantici della Ville Lumière, da sempre cantato e celebrato da artisti e letterati.
Elogio in fragranza al poeta Guillaume Apollinaire, che coniò il termine “esprit nouveau” per rappresentare l’avanguardia dei tempi moderni. Apollinaire aveva in se la genialità dell'innovatore, fu un visionario nell'approcciare le nuove correnti artistiche e il primo a riconoscere la valenza della pittura metafisica.
Il ponte Mirabeau è una delle sue poesie più belle, tratta dalla raccolta Alcools del 1913, in cui l'autore applica ai versi i principi della pittura cubista, le liriche non servono uno schema, non presentano un soggetto ricorrente ma, soprattutto, sono libere e non costrette in spazi limitati dalla punteggiatura.
Il ponte ha per Apollinaire una profonda valenza simbolica, è metafora del sentimento amoroso, luogo che induce a riflettere su sentimenti e tempo. Malinconia e visione onirica si fondono palesando il tratto distintivo dello stile del poeta, la sua poesia non è solo parola, è anche tattile, udibile, percepibile con i cinque sensi, qui sta la sua straordinarietà.
C'è il riferimento alla Senna, all’acqua che scorre veloce come il tempo, alle cose smarrite in esso, all'amore perduto per la pittrice Marie Laurencin, il ricordo e la nostalgia, la consapevolezza di ciò che non potrà tornare, l' abisso di solitudine e malinconia. Tutto passa, la giovinezza e la felicità spazzate via per sempre e la citazione alla 'speranza violenta' di Baudelaire è più che appropriata, poichè la tristezza ha per lui lo stesso significato, di violenza e timidezza congiunte.
E se il tema del tempo è cruciale in quest'opera, la protagonista assoluta è la poesia stessa. Tutto ciò che resiste all’azione distruttrice e implacabile del tempo è il dono di queste parole. Il dolore della separazione viene lenito dalla bellezza, dallo splendore del verbo poetico, che possiede la stessa funzione salvifica della memoria.
©thebeautycove
#etat libre d'orange#sous le pont mirabeau#perfume#niche perfumes#scent2023#livelovesmell#thebeautycove
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Non sei troppo esigente, vuoi solo che sia reciproco (com’è giusto)
(premesso che parlo sia di amicizia che di amore)
il fatto è che io sono una persona molto scostante nei rapporti, anche qui sopra chi mi ha conosciuto sa che sono uno che raramente scrive per primo, che scompaio per larghi periodi ecc. perché ho questo carattere socievole ma molto schivo, che viene meno quando mi affeziono a qualcuno e in quel caso invece sono super disponibile, presente e tutto, anche troppo forse, il problema è che succede di rado ma quando succede poi inizio ad avere bisogno di essere ricambiato e il punto è che ho sempre la percezione di non avere qualcuno che è pronto a tutto per avermi nella propria vita, non sono mai stato uno per cui la gente si fa in 4, se ho un problema me lo risolvo io, se mi manca qualcosa la trovo da solo, se mi serve un supporto sono io a darmi una pacca sulla schiena, a me è sempre mancata una figura di riferimento (al di fuori di mia madre) e questa cosa per certi versi va bene perché sono solido obiettivamente ma allo stesso tempo mi sembra una vita vissuta a metà, se non hai qualcuno con cui condividere la tua storia al 100% ce l’ha davvero un senso viverla?
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Mi sono chiuso dentro i miei pensieri come un pauroso cavaliere dentro il suo castello e vivo dei miei ricordi stantii, armato di silenzi e rimpianti. Così, la mia anima è un castello dalle spesse mura, una lussuosa prigione dove ho chiuso i miei sogni e simulando una felicità inutile e vago di camera in camera dicendomi che ho bisogno di me stesso, che i miei silenzi hanno quanto mi manca e che negli angoli bui delle stanze, vivono i miei desideri. Non è cosi, lo so per istinto. Le stanze sono solo abitate da fantasmi, ombre senza volto, vestiti senza corpo, perché ho fermato il fluire della vita ed essa ristagna nella mia anima imputridendo. Oltre le mura il mare si gonfia con il maestrale o si acquieta con lo scirocco, il vento passa tra i filari di uva portando loro il gusto dell’ebrezza, stelle nel cielo si accendono di note e si vestono d’azzurro di giorno nascondendosi nella loro stessa luce; deserti infiniti divorano carovane e migranti uccisi dalla speranza, bombe esplodono e foreste si accendono di nuove gemme, nuvole portano vita, altre la portano via, tutto è un continuo essere e cambiare, mutare e rinascere. Ma io resto chiuso nelle mie stanze silenziose ed immobili, incerto, insicuro, a tutto vulnerabile e di tutto annoiato. Dimentico i colori dei boschi in autunno, il canto vetroso della lava nel suo infuocato scorrere, la luce della schiuma del mare illuminata dal sole, il profumo delle olive schiacciate, quello del pane appena sfornato, dimentico ogni parte del mondo che racchiude un mio ricordo- I miei ricordi diventano sottili ed invisibili e come le vecchie ragnatele fermano solo la polvere. Non bisognerebbe mai far morire un amore, mai non si dovrebbe mai scrivere la propria anima sulla pelle di chi si ama descrivendola con versi carnali scritti per una provvisoria eternità, non si dovrebbe mai nascondere nei sogni i propri giorni e domani se poi li si affida al vento che muore sul mare.
I locked myself inside my thoughts like a fearful knight inside his castle and I live on my stale memories, armed with silences and regrets. Thus, my soul is a castle with thick walls, a luxurious prison where I have closed my dreams and, simulating a useless happiness, I wander from room to room telling myself that I need myself, that my silences have what I miss and that in the dark corners of the rooms, my desires live. It's not like that, I know instinctively. The rooms are inhabited only by ghosts, faceless shadows, clothes without bodies, because I have stopped the flow of life and it stagnates in my soul rotting away. Beyond the walls the sea swells with the mistral or calms down with the sirocco, the wind passes between the rows of grapes bringing them the taste of inebriation, stars in the sky light up with notes and dress in blue by day, hiding in the their own light; infinite deserts devour caravans and migrants killed by hope, bombs explode and forests light up with new gems, clouds bring life, others take it away, everything is a continuous being and changing, mutating and being reborn. But I remain closed in my silent and motionless rooms, uncertain, insecure, vulnerable to everything and bored with everything. I forget the colors of the woods in autumn, the glassy song of the lava in its fiery flow, the light of the sea foam illuminated by the sun, the scent of crushed olives, that of freshly baked bread, I forget every part of the world that contains a memory of mine - My memories become thin and invisible and like old cobwebs they only stop the dust. A man should never let a love die, a man should never write his soul soul on the skin of who he loves describing it with carnal verses written for a temporary eternity, a man should never hide his days in dreams and tomorrow if one entrusts them to the wind that dies on the sea.
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Qualcosa di Buono
Può mai nascere qualcosa
di buono da un cuore ferito,
vuoto, maltrattato,a farmi capire,
cosa si cela nel fondo.
Ho ripreso quei fogli ingialliti
li ho riletti, ho trovato scritto
propositi e versi, qualche
accenno al futuro, ho rivisto
silenzi, illusioni e piccoli
acciacchi.
Le mie speranze riposte
con cura tra il fiori di loto,
una foto, io e te abbracciati,
nei versi ghirigori una freccia
e due cuori.
Ora in questo cuore qualcosa
sta nascendo a poco a poco,
una piccola gemma si affaccia
alla vita, anche io ho bisogno
di cure, qualcuno che accarezzi
i miei sogni e mi faccia capire com nasce un amore.
Giuseppe BuroQualcosa di Buono
Può mai nascere qualcosa
di buono da un cuore ferito,
vuoto, maltrattato,a farmi capire,
cosa si cela nel fondo.
Ho ripreso quei fogli ingialliti
li ho riletti, ho trovato scritto
propositi e versi, qualche
accenno al futuro, ho rivisto
silenzi, illusioni e piccoli
acciacchi.
Le mie speranze riposte
con cura tra il fiori di loto,
una foto, io e te abbracciati,
nei versi ghirigori una freccia
e due cuori.
Ora in questo cuore qualcosa
sta nascendo a poco a poco,
una piccola gemma si affaccia
alla vita, anche io ho bisogno
di cure, qualcuno che accarezzi
i miei sogni e mi faccia capire com nasce un amore.
Giuseppe Buro
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