#pitture e disegni
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Il costume in Lombardia
Grazietta Butazzi
Electa Editrice, Milano 1977, 156 pagine, 26,5x35cm, 270 illustrazioni in nero e a colori nel testo e a piena pagina
euro 50,00
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This work surveys fashion, costume and textile production in Milan and the Italian region of Lombardy from the the fourteenth to the nineteenth century. The accompanying illustrations are almost entirely paintings and drawings, rather than surviving materials.
Libro sulla produzione di moda, costume e tessuti a Milano e in Lombardia dal quattordicesimo al diciannovesimo secolo. Le illustrazioni del libro sono quasi interamente pitture e disegni .
20/12/23
#Costume in Lombardia#Grazietta Butazzi#costume dal 1400 al 1800#pitture e disegni#produzione moda costumi tessuti#fashion books#fashionbooksmilano
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Il volto umano è una forza vuota, un campo di morte.
La vecchia rivendicazione rivoluzionaria di una forma che non ha mai corrisposto al suo corpo, che era nato per essere altra cosa dal corpo.
È perciò assurdo rimproverare di essere accademico a un pittore che si ostina tuttora a riprodurre i tratti del volto umano così come sono; perché così come sono essi non hanno ancora trovato la forma che indicano e designano; e sono ben altro che semplici schizzi, ma dal mattino alla sera, e nel mezzo di diecimila sogni, pestano come nel crogiolo di una palpitazione passionale mai stanca.
Ciò significa che il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia e che sta al pittore procurargliela.
Ma questo significa che la faccia umana così com’è la si cerca ancora con due occhi, un naso, una bocca e le due cavità auricolari che corrispondono ai buchi delle orbite come le quattro aperture della tomba della morte prossima.
Il volto umano porta in effetti una specie di morte perpetua sul suo volto che sta proprio al pittore salvarlo restituendogli i suoi propri tratti.
Dopo mille e mille anni infatti che il volto umano parla e respira si ha ancora come l’impressione che non abbia ancora cominciato a dire quello che è e quello che sa.
E io non conosco un pittore nella storia dell’arte, da Holbein a Ingres, che, questo volto d’uomo, sia riuscito a farlo parlare. I ritratti di Holbein o di Ingres sono muri spessi, che non spiegano niente dell’antica architettura mortale che s’inarca sotto gli archi di volta delle palpebre, o s’incastra nel tunnel cilindrico delle due cavità murali delle orecchie.
Soltanto van Gogh ha saputo trarre da una testa umana un ritratto che sia il detonatore esplosivo del battito di un cuore scoppiato.
Il suo.
La testa di van Gogh con il cappello floscio rende nulli e inesistenti tutti i tentativi di pitture astratte che potranno essere fatte dopo di lui, sino alla fine delle eternità.
Perché quel volto di macellaio avido, scagliato come un colpo di cannone sulla superficie più estrema della tela,
e che all’improvviso si vede fermato
da un occhio vuoto,
e rivoltato verso l’interno,
esaurisce completamente tutti i segreti più ingannevoli del mondo astratto di cui la pittura non figurativa può compiacersi,
è per questo che nei ritratti che ho disegnato
ho evitato prima di tutto di dimenticare il naso, la bocca, gli occhi, le orecchie o i capelli, ma ho cercato di far dire al volto che mi parlava
il segreto di una vecchia storia umana che è passata come morta nelle teste di Ingres o di Holbein.
A volte ho fatto venire, accanto alle teste umane, oggetti, alberi o animali perché non sono ancora sicuro dei limiti ai quali il corpo dell’io umano può fermarsi.
Del resto ho rotto definitivamente con l’arte, lo stile o il talento in tutti i disegni che si vedranno qui. Voglio dire, peggio per chi li considererebbe opere d’arte, opere di simulazione estetica della realtà.
Nessuno di essi è propriamente un’opera.
Sono tutti abbozzi, cioè colpi di sonda o di spatola dati in tutte le direzioni dal caso, dalla possibilità, dalla fortuna o dal destino.
Non ho cercato di curarvi i miei tratti o i miei effetti,
ma di manifestarvi delle specie di verità lineari evidenti che valgono tanto per le parole, le frasi scritte, quanto per il grafismo e la prospettiva dei tratti.
È per questo che numerosi disegni sono mescolanze di poesie e di ritratti, di interiezioni scritte e di evocazioni plastiche di elementi, di materiali, di personaggi, di uomini o di animali.
È così che bisogna accogliere questi disegni nella barbarie e nel disordine del loro grafismo «che non si è mai preoccupato dell’arte» ma della sincerità e della spontaneità del tratto.
Antonin Artaud, Quaderno 316, giugno - agosto 1947
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Galileo Chini e Oriente
Venezia Bangkok Salsomaggiore
a cura di Maurizia Bonatti Bacchini, prefazione di Rossana Bossaglia
P.P.S Editrice, Parma 1995, 200 pagine,130 ill.colori, 24x34cm, ISBN 2021010180603
euro 45,00
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Mostra Salsomaggiore 20 maggio-20 giugno 1995
Albero Nodolini direttore artistico
Nato a Firenze nel 1873 e dieci anni dopo già orfano di madre e di padre - un sarto abilissimo suonatore di flicorno - Galileo Chini fu adottato dallo zio Dario, che lo introdusse nella propria bottega d’arte dove imparò a lavorare nella ceramica, grafica, pittura e scenografia. Nel centenario dell'inaugurazione delle Terme Berzieri da lui decorate - che oggi la società QC, con il sostegno di Cassa Depositi e Prestiti intende rilanciare all’interno di un progetto urbano firmato da Emilio Faroldi del Politecnico di Milano -, Salsomaggiore gli sta dedicando una mostra a cura di Maurizia Bonatti Bacchini e Valerio Terraroli, già allievo di Rossana Bossaglia, maggiore esperta del Liberty. Vasi, piatti, decorazioni di ceramiche, gres, disegni, pitture, manifatture…120 pezzi di ciò che un tempo si chiamava artigianato artistico fanno bella mostra a Palazzo Tommasini e Palazzo dei Congressi di Salsomaggiore, testimonianze parlanti della vita e dell’opera - stravagante - di Chini.
04/10/24
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“ Invece di seguire il programma di austerità del suo predecessore Hoover, il presidente del New Deal, come ha notato Barbara Spinelli su «la Repubblica», «aumentò ancor più le spese federali. Investì enormemente sulla cultura, la scuola, la lotta alla povertà». Purtroppo, aggiunge la Spinelli, «non c’è leader in Europa che possegga, oggi, quella volontà di guardare nelle pieghe del proprio continente e correggersi. Non sapere che la storia è tragica, oggi, è privare di catarsi e l’Italia, e l’Europa». Già: addirittura una «catarsi». Ma è proprio quello che ci vorrebbe. Roosevelt, infatti, non mise solo i disoccupati a scavare buche e a riempirle, come tanto spesso si dice. Tre dei più importanti progetti della Works Progress Administration, i più singolari, innovativi e duraturi, furono quelli compresi nel cosiddetto Progetto Federale numero 1, altrimenti noto come Federal One, che sponsorizzò per la prima volta piani di lavoro per insegnanti, scrittori, artisti, musicisti e attori disoccupati. Il Federal Writers’ Project, il Federal Theatre Project e il Federal Art Project misero al lavoro per qualche anno più di ventimila knowledge workers (come li chiameremmo oggi), tra i quali c’erano Richard Wright, Ralph Ellison, Nelson Algren, Frank Yerby, Saul Bellow, John A. Lomax, Arthur Miller, Orson Welles, Sinclair Lewis, Clifford Odets, Lillian Hellman, Lee Strasberg (il fondatore del mitico Actors Studio) ed Elia Kazan. Non si trattò di elemosina: checché. Oltre a produrre opere d’arte (migliaia di manifesti, disegni, murales, sculture, pitture, incisioni...), gli artisti plastici e figurativi vennero impiegati nella formazione artistica e nella catalogazione dei beni culturali, e crearono e resero vivi anche un centinaio di community art centres e di gallerie in luoghi e regioni in cui l’arte era completamente sconosciuta. In tre anni, nella sola New York, più di dodici milioni (12.000.000!) di persone assistettero agli spettacoli teatrali incentivati dal Federal Theatre Project. Quanto al Writers’ Project, che costò ventisette milioni di dollari in quattro anni, produsse centinaia di libri e opuscoli, registrò storie di vita di migliaia di persone che non avevano voce e le classificò in raccolte etnografiche regionali, ma soprattutto, con le American Guide Series, contribuì a ridare forma all’identità nazionale degli Stati Uniti, che la Grande Depressione aveva profondamente minato, fondandola su ideali più inclusivi, democratici ed egualitari. E scusate se è poco. Tuttavia anche lì, e anche allora, non mancavano i sostenitori dell’idea che la cultura è un lusso e, soprattutto, un lusso di sinistra. Dal maggio del 1938, sotto la guida di due «illuminati statisti» come Martin Dies e J. Parnell Thomas, la Commissione della Camera contro le attività antiamericane non smise di accusare i tre progetti di essere al soldo di Mosca e non si arrese fino a quando non furono fermati. Poi, venne la guerra e molti sogni si infransero. Ma intanto, con quel solido lavoro culturale alle spalle, le fondamenta di una nuova consapevolezza di sé e di una nuova idea di futuro erano comunque gettate. E da lì, dall’idea di fondo della necessità dell’intervento statale per vivificare la cultura e modificare così la specializzazione produttiva di un Paese, partirà, già durante la guerra, un altro liberale illuminato, Vannevar Bush, consigliere di Roosevelt, per elaborare il famoso rapporto Science: the Endless Frontier, che rappresenta un po’ il manifesto della politica culturale e scientifica – e a ben vedere anche economica – che avrebbero seguito gli Stati Uniti nei successivi decenni fino a Barack Obama. “
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
#Bruno Arpaia#Pietro Greco#La cultura si mangia#saggistica#intellettuali italiani#economia#Giulio Tremonti#la Repubblica#Franklin Delano Roosevelt#New Deal#Barbara Spinelli#FDR#knowledge workers#Italia#Europa#disoccupazione#XX sec#Works Progress Administration#Storia del '900#Federal One#Federal Writers’ Project#Federal Theatre Project#America#Commissione contro le attività antiamericane#Saul Bellow#Federal Art Project#Arthur Miller#Orson Welles#Elia Kazan#Sinclair Lewis
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Il lavoro più strano che hai mai fatto?
Non credo di aver fatto lavori strani, sai? Prima di questo lavoro ho fatto progettazione di interni, progettazione di arredi, tanta grafica (loghi, locandine, cataloghi, grafiche per eventi dai manifesti alle targhette del wc, copertine di libri, ecc ecc ), progettazione del verde, terrazzi, giardini, disegnato gioielli, fatto disegni tecnici e prototipi per una ditta, cose così. La cosa più "strana" che mi è capitata forse è stata fare la correzione delle bozze di un libro, io che ho problemi con la grammatica italiana. O quando sono stata con un banco da Eataly a fermare la gente per proporre le pitture per la casa che si potevano anche mangiare, con tanto di prova pratica.
Ovviamente parlo solo di lavori pagati perché se dovessi parlare dei lavori non pagati fatti per amici si aprirebbe un mondo molto più bello, interessante e strano.
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Dopo aver visitato moltissime mostre, vogliamo condividere i nostri suggerimenti per organizzare al meglio una visita e renderla un'esperienza unica da vivere senza preoccupazioni.
Nel nostro post abbiamo raccolto 10 consigli per visitare una mostra, con una guida completa da scaricare!
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The carvings pertain to the Basilica Neptuni, hence the dolphins; it should be the so called "Porticus Argonautarum" ^^
Si tratta della parte retrostante il Pantheon e, per essere più precisi, via della Palombella, che correndo proprio alle spalle del tempio di Minerva congiunge Santa Maria Sopra Minerva allo splendido scorcio della facciata di Sant'Eustachio.

La Basilica Neptuni fu eretta da Marco Vipsanio Agrippa per celebrare le vittorie navali proprie e di Augusto. Addossato alla parte retrostante del Pantheon, probabilmente ne era separato da un portico, detto degli Argonauti, dotato di colonne corinzie con decorazioni a tema marino e abbellito da pitture murarie. Il porticato degli Argonauti proseguiva poi lungo il lato che oggi corre tra il lato del Pantheon e la piazza sopra Minerva, costituendo il perimetro della cosiddetta Saepta Iulia, ampia piazza porticata ad uso elettorale che occupava la zona su cui oggi insistono Santa Maria Sopra Minerva e gli edifici attigui. Basilica era un termine che indicava normalmente strutture ad uso civile, ma è ipotizzabile che, lungo il Portico degli Argonauti, si dovesse trovare anche un'ara (altare) a Nettuno. Circa l'aspetto della basilica (che fu rimaneggiata, come il Pantheon, da Adriano, per cui ci giungono documenti e resti di quest'ultimo assetto più tardo), Wikipedia ci viene in aiuto: "La pianta, attestata da disegni di Andrea Palladio e confermata dagli scavi archeologici, era rettangolare, con due nicchie rettangolari praticate nei lati corti e due profonde absidi semicircolari sui lati lunghi, intervallate da nicchie semicircolari più piccole. La copertura era composta da tre volte a crociera, sostenute da quattro colonne corinzie per lato, che avevano un fregio decorato con motivi marini". Una dettagliata analisi dell'edificio si trova sul sito Romano Impero.
Avventurosa la vicenda di queste meravigliose rovine: dopo la distruzione causata dall'incendio neroniano e le ricostruzioni di Tito ed Adriano, la struttura finì con il crollare per incuria sotto il papato di Niccolò V (Papa Parentucelli, in carica dal 1397 al 1455). Nonostante Niccolò fosse forse il primo papa cui si adatti la definizione di "umanista" (assunse come notaio Lorenzo Valla, l'autore dell'erudito falso noto come Donazione di Costantino) tuttavia anche lui, come i suoi predecessori, si limitò a saccheggiare i materiali di spoglio. Non trovo molto sui secoli che corrono tra il papato niccoliano e il 1715, data in cui si menziona il "forno della Palombella": forse è quello che Roma Sparita indica come costruito un secolo dopo, addossato al fianco del Pantheon, licenza alla famiglia Cuccumos, sulla quale ecco il link a questa appassionante ricerca della studiosa Irene di Paola.
Sappiamo poi (ci aiuta info.roma) che, nel 1843 - ma chissà da quanto tempo questa pratica era in uso - un tale Antonio Vischetti aveva occupato le arcate della Basilica utilizzandole come stalle per le sue vacche. Del resto, parlando di piazza del Biscione abbiamo già visto che le "grotte" e i ruderi ancora utilizzabili venivano adibiti a botteghe o reimpiegati nelle fondamenta di nuovi edifici. Di questi esempi Roma è assolutamente satura, e sono del resto la ragione del suo fascino, la prova della sua capacità di reimpastarsi in eterno con farine vecchie e nuove.



Relief carving with aggressive dolphins (well, they have teeth.)
Exterior of the Pantheon, Rome.
#basilica neptuni#neptune#marcus vipsanius agrippa#augustus#ottaviano augusto#pantheon#via della palombella#roma sparita
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UOMO IN MARE. Disegni e pitture di STEFANO ORSETTI
A 11 anni dalle stragi di immigrati naufraghi in mare nell’ottobre 2013 l’artista Portogruarese Stefano Orsetti le ricorda con una mostra per Emergency
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Paolo Buzzi LITTLE GARDEN OF PARADISE
essays by Massimiliano Fabbri and Gabriele Salvaterra
Lugo (RA), Palazzo Cassa di Risparmio e Fondazione Del Monte
28th September - 27th October 2024
with exhibition catalogue
Una mostra personale di Paolo Buzzi con sculture, disegni e pitture. Ad accompagnare il progetto espositivo un catalogo con testi di Gabriele Salvaterra e Massimiliano Fabbri.
Paolo Buzzi utilizza la metodologia dell’innesto, componendo fiori impossibili attraverso un attento montaggio di parti disparate provenienti da piante diverse, tanto nelle sculture quanto nei calchi che, pur nascendo dalla visione dell’artista, danno vita a organismi che hanno la qualità dell’immediatezza e sembrano essere stati prodotti in quella forma dalla più spontanea delle nature. Anche il fioraio ha la sua dose di insegnamento quando si incontrano composizioni parietali complesse in cui le corolle dai vari profili si alternano a punti di luce e colore costituiti da dipinti, che pausano con la loro presenza assente, l’abbondanza vitale e diversificata del floreale. GS
Paolo Buzzi pianta altissimi girasoli nel suo giardino di campagna. Quei girasoli che una volta secchi, dopo essere stati appesi per bene a testa in giù come stoccafissi, fuori e dentro lo studio, diventeranno sculture filiformi ed esplose grazie a bagni e pelli stratificate di resina bianca. Fiori e gambi e foglie che assumono sembianze di ossa. O conchiglie. Fragili pelli indurite che si adattano alle curve belle e agli andamenti ritorti. Ai filamenti e accartocciamenti vegetali. Petali. Riempimenti e vetrificazioni. Nuclei irradianti e rosoni rotanti. MF
#paolo buzzi#massimiliano fabbri#gabriele salvaterra#lugo#romagna#exhibition#sculptures#nature#art#installation#flowers
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Alla Galleria Planetario di Trieste un "Omaggio a Bruno Chersicla"
A 11 anni dalla prematura scomparsa dell’artista, la Galleria Planetario di Trieste dedica un “Omaggio a Bruno Chersicla” con una rassegna di sculture. pitture e disegni, nel segno della lunga collaborazione, avviata nel 2000 e proseguita fino alla scomparsa nel 2013, con l’esposizione delle personali nel 2002 e nel 2008 e la comune partecipazione a tante esposizioni (Toronto nel 2004, cui…

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Cettina Bucca a/i 20-21,“Fiabe”: narrate dagli abiti, narratrici di emozioni

"Io credo questo: le fiabe sono vere.
Ora il viaggio tra le fiabe è finito, il libro è fatto, scrivo questa prefazione e ne son fuori: riuscirò a rimettere i piedi sulla terra? Per due anni ho vissuto in mezzo ai boschi e palazzi incantati […] E per questi due anni a poco a poco il mondo intorno a me veniva atteggiandosi a quel clima, a quella logica, ogni fatto si prestava a essere interpretato e risolto in termini di metamorfosi e incantesimo […] Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un'allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell'unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere. Le fiabe sono nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte della vita che appunto è il farsi di un destino”.

Così testimoniava la scrittura gentile di Italo Calvino ad introduzione di quella sua sorprendente avventura letteraria che compì con “Fiabe Italiane”, la raccolta pubblicata nel 1956: e questa lunga introduzione non è affatto una mera citazione intellettuale. Bensì una benevola dimostrazione felice di come quella certezza meravigliata che di Calvino sigillava il termine del viaggio interiore, oggi sia il punto d’avvio meraviglioso di un viaggio esteriore che prosegue in modo simile ma squisitamente personale, e per questo speciale, nelle creazioni che Cettina Bucca ha raccolto per l’a/i 2020-21: e ha intitolato “Fiabe”.
“Siamo partiti dalle fiabe e dalla loro grande importanza dal punto di vista esoterico, spirituale e simbolico: leggendo tra le righe si trovano in esse soluzioni alternative per il proprio percorso di vita”. Così narra, infatti, la voce gentile di Cettina Bucca ad introduzione della collezione: per chi ha già avuto la gioia di imbattersi in lei e nel suo itinerario biografico caleidoscopico, che da biologa l’ha riallacciata al sogno realizzato di stilista di couture emozionale in cui ogni capo nasce come via d’espressione sincera e sartoriale per la femminilità, ecco non c’è stupore che la cura profonda che Cettina ripone in ogni scelta d’ispirazione, in ogni gesto di creazione e in ogni selezione di materiale e decorazione sia approdata al valore prezioso e senza tempo che le fiabe ci riservano, sempre.

Bensì c’è la fiducia confermata nella generosità entusiasta di Cettina e nella sua conoscenza stratificata dell’animo umano, grazie anche all’antroposofia che ha saldato in lei la dote d’interprete saggia e delicata di desideri e necessità che nascosti dentro l’animo giungono fuori a vestire il corpo. Or dunque, Cettina Bucca, come Italo Calvino, è giunta alla certezza che sì, le fiabe sono vere: sono l’occasione pregiata per scoprire la nostra identità, decifrare gli indizi che i mondi di fantasia ci offrono per superare le prove che il mondo reale ci presenta, e così per abbracciare il nostro destino con consapevolezza. E bellezza: sempre.

La collezione “Fiabe”, dunque, offre la possibilità di vestirci di questa stessa certezza e di gustarne i benefici dalla pelle alle emozioni: iniziando dal sollazzo delle illustrazioni, nate da disegni e pitture originali perché ideati nel mondo di Cettina Bucca, divenute stampe che ritraggono animali ed oggetti fiabeschi, scarpette cenerentolesche, il grillo parlante e l’oca, specchi magici e piante fatate, e li distribuiscono su abiti morbidi che scendono fin quasi alla caviglia. Il Bianconiglio si tramuta nel pattern protagonista sull’abito chemisier, stesso destino spetta alla volpe ritratta come miniatura giocosa, mentre l’happy ending d’amore del principe che salva la principessa cavalcando il bianco destriero si svolge sul nero velluto elegante.

Sempre loro, i grandi protagonisti delle fiabe e innanzitutto delle nostre vicende interiori, tornano sui pullover realizzati a mano: la principessa, specchio delle emozioni bramose che prendono il sopravvento e conducono nei guai, e lil principe, ovvero l’io che si ricongiunge alle emozioni per salvare l’armonia.
È una storia di armonia anche la scelta della palette: che per la prima volta accoglie il nero a simbolo del buio malefico e il bianco segno di luce benefica, messi a contrasto reciproco e orchestrati col rosso luminoso della gioia di vivere, il verde brillante e il turchese del cielo, il rosa e il violetto genziana che son i gusti tocchi fatati.

Le stoffe continuano a raccontare una storia di naturalezza sostenibile: velluti lisci e a coste, viscose, sete, lane mohair e alpaca, cotoni invernali, insieme alle palette luccicanti come bagliori di magia. Le silhouette continuano a narrare una storia di sincerità verso la ricca complessità della personalità femminile: abiti dagli ampi volumi, dalle strutture consistenti o arricchite di tulle e balze per chi ama sentirsi principessa, capi più asciutti e brevi per chi desidera un’altra fiaba, e per tutte la sveltezza dei pantaloni dritti, e la morbida avvolgenza nei capispalla esatti ma col piccolo vezzo delle tasche staccabili.

Tra le Fiabe narrate nella collezione a/i 20-21 compaiono due nuove, bellissime storie: i foulard in pura seta che raccontano fiabe uniche attraverso stampe originali e ricche di colori brillanti, e le calzature realizzate in armonia bellissima con Sergio Amaranti, anch’esso marchio d’eccellenza e mondo di stile generoso verso la femminilità. Una sinergia da cui han preso vita stivaletti e décolleté dal tacco ricurvo, slip on e ballerine, in pelle e nello stesso velluto stampato degli abiti, con lo stesso stupore fantastico dei particolari unici e mai uguali.
Se il viaggio di Calvino nelle fiabe era terminato con la compiutezza del libro, il nostro grazie alle Fiabe di Cettina Bucca è appena iniziato: buon viaggio fiabesco a tutte!
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
#Cettina Bucca#Sicilia#storiedaindossare#couture emozionale#modaindipendente#Italo Calvino#fiabe#modaecultura#modasostenibile#artigianatoresponsabile#nuovoMadeinItaly#fashion writing#webelieveinstyle
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In occasione della Giornata Mondiale degli Alberi, Villa del Grumello celebra il proprio patrimonio naturalistico, 19 novembre 2023
Al Grumello si celebra la Giornata Mondiale degli Alberi: disegni/pitture botaniche, passeggiate alla scoperta del patrimonio naturalistico del Parco, letture, note itineranti e narrazioni teatralizzate per i più piccoli Per l’occasione saranno inaugurate le targhe di riconoscimento degli alberi monumentali del Parco storico del Grumello donate da Regione Lombardia domenica 19 novembre 2023 Via…

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Mirò ancora protagonista della nuova mostra al Mastio della Cittadella di Torino

Dopo ben due mostre in Piemonte, più precisamente nella provincia di Cuneo, tra la fine del 2022 e i primi giorni di quest'anno, Mirò è ancora protagonista della nuova mostra al Mastio della Cittadella di Torino, in programma dal 28 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024. In esposizione, nelle sale del Mastio, ci sono circa 100 opere, tra dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche provenienti da musei francesi e collezioni private. Completano l'esposizione "Omaggio a Mirò" una serie di opere grafiche, libri, documenti e una sezione multimediale. La Fondazione Miró, creata dallo stesso artista in vita, cataloga circa 10.000 opere. Il curatore della mostra su Joan Miró a Torino sarà Achille Bonito Oliva, uno dei critici d'arte italiani e internazionali più stimati, con la collaborazione di Maïthé Vallès-Bled, già direttrice di musei francesi, e Vincenzo Sanfo, esperto d'arte e organizzatore di grandi mostre internazionali. La sede è assolutamente prestigiosa ed è una delle chicche poco conosciute e frequentate della città. In questo periodo triste di guerre, entrare in un museo di Artiglieria lascia molte emozioni supplementari. È stato possibile visitarne solo una piccola parte poiché le aree espositive principali sono in fase di ristrutturazione ma saranno presto riaperte al pubblico. La mostra cade non a caso nel 130° anniversario della nascita e nel 40° della morte dell'artista. Il nucleo di opere che troverà casa nel capoluogo piemontese quest'autunno e inverno copre un periodo di sei decenni della carriera dell'artista catalano, esponente della corrente surrealista: dal 1924 al 1981, con un focus particolare sulla trasformazione dei linguaggi pittorici che Miró iniziò a sviluppare nella prima metà degli anni '20, documentando così le sue metamorfosi artistiche. Miró ha attraversato i più importanti movimenti artistici del Novecento, dedicando il suo impegno a una continua sperimentazione. Sebbene fosse amico dei famosi connazionali Picasso e Dalì, si distinse da loro per una vita meno esposta al gossip dei rotocalchi dell'epoca. La costante sperimentazione lo portò poi a lavorare con la ceramica e le maioliche, e persino il bronzo, ottenuto fondendo materiali di scarto, unendo così la più nobile tradizione con una forma di economia circolare ante litteram. Siamo negli anni '60. Con la ceramica, diede vita a opere monumentali, tra cui i celeberrimi murales del sole e della luna per la sede Unesco di Parigi (1954/56). Spirito libero, Joan Miró i Ferraz (il suo nome completo), si distaccò ben presto dalla corrente surrealista, giudicandola schematica anche tecnicamente. Dopo questa sua prima stagione parigina (1924/29), trasse ispirazione dalle pitture rupestri, dalla cultura africana e persino da aspetti particolari del cattolicesimo catalano. Importante fu anche il suo rapporto con la musica e le culture orientali. Un'altra fonte di ispirazione furono due artisti del nord Europa, lontani quattro soli fra loro: Bosch e Munch. Durante un primo viaggio negli Stati Uniti, nel primo dopoguerra, incontrò Pollock, da cui trasse nuove ispirazioni che mise in atto negli ultimi anni di vita, ad esempio bruciando e lacerando le tele prima di dipingerle. Da segnalare è anche un grande arazzo realizzato dalla celebre arazziere Scassa di Asti, unica al mondo a ricreare le opere commissionate filo su filo con una ricerca dei colori originali tendente alla perfezione. Il suo tratto distintivo rimane la semplicità formale, tendente alla creazione di un linguaggio universale e comune. Il periodo più cupo, con una certa involuzione stilistica, fu quello della fine degli anni Trenta, quando la Spagna, che si era salvata dal conflitto del '14-'18, fu coinvolta in una sanguinosa guerra civile. Il percorso espositivo, suddiviso in sette aree tematiche (Ceramiche, Poesia, Litografie, Pittura, Derrière le Miroir, Manifesti, Musica), è accompagnato da una importante sezione fotografica e da alcuni video inediti che raccontano il privato e il pubblico del grande maestro del surrealismo europeo. Alcuni degli scatti sono stati realizzati da alcuni tra i più importanti fotografi, tra cui Man Ray. Inoltre, viene proposta un'installazione multimediale per offrire una suggestiva esperienza immersiva nei colori e nell'opera di Joan Miró. Molto apprezzabile è stata la presentazione di uno dei curatori, Valerio Sanfo, che ha illustrato le opere senza pedanteria, evitando gli stucchevoli convenevoli reciproci tra vari personaggi più o meno autorevoli sul palco. Informazioni: Dal 28 Ottobre 2023 al 14 Gennaio 2024 Orario: 09:30 - 19:30 Dal lunedì al venerdì, dalle ore 9:30 alle ore 19:30; Sabato, domenica, festivi, dalle 9:30 alle 20:30. Giorni Speciali: 1 novembre, 8 dicembre, 26 dicembre, 6 gennaio 2024, dalle 9:30 alle 20:30; 25 dicembre e 1 gennaio, dalle 15:00 alle 20:30. Organizzazione: www.navigaresrl.com Email per prenotazioni: [email protected] Telefono: 351.8403634 Mastio della Cittadella Corso Galileo Ferraris, 0 - Torino Prezzo: Biglietto intero a partire da 14,50 €, biglietto ridotto a partire da 11,50 €. Il biglietto ridotto è valido. Articolo di ERRECI Read the full article
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GLI SCAVI
XVI secolo: nel 1506, scavando una vigna del colle Oppio, si rinvenne il gruppo del Laocoonte, che era posta con le statue bronzee dei Galati vinti, più tardi trasferite nel Tempio della Pace di Vespasiano, ad ornamento della domus di Tito. Tali statue sono un saggio delle bellezze che Nerone pose nella Domus Aurea.
1550, 6 gennaio. R. IV. IN TELLVRE Tommaso Cosciari loca a Lucrezio Corvini parte delle rovine della Domus aurea, nel sito dell'Orto delle Mendicanti.
XVIII secolo: Pietro Sante Bartoli liberò dalla terra alcune stanze della Domus e pubblicò una serie di disegni tratti dalle decorazioni pittoriche. Verso la metà del '700 papa Clemente XIII ordinò i primi scavi regolari nella Domus Aurea. Nel 1774 l’antiquario romano Mirri fece sgombrare dalla terra sedici stanze, pubblicando un album di sessanta incisioni sui disegni delle decorazioni.
XIX secolo: nela prima metà dell'800 vennero effettuati gli scavi dall’architetto Antonio De Romanis, che liberò dalla terra una cinquantina di stanze, pubblicando una planimetria e una relazione.
XX secolo: Antonio Munoz, direttore della Regia Soprintendenza ai Monumenti del Lazio e Abruzzi fa realizzare negli anni 30 il Parco del Colle Oppio, in cui i ruderi delle Terme di Traiano vengono ambientati nei giardini, trascurando completamente le strutture sottostanti.
Gli scavi nella Domus Aurea ripresero nel 1939, sotto la direzione della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, e successivamente negli anni 1954-1957. Nel 1969 la Soprintendenza Archeologica di Roma esplorò il piano superiore e impermeabilizzò le volte.
Agli inizi degli anni Ottanta, la Domus Aurea venne chiusa al pubblico per la sicurezza delle strutture murarie, il degrado delle pitture e degli stucchi, e i pericoli delle acque piovane. Il grandioso complesso viene riaperto completamente al pubblico, ma nel 2001 crolla una parte del soffitto a causa delle forti piogge.
La riapertura di una parte del complesso, chiuso subito dopo il crollo, era prevista per il gennaio 2007, ma il monumento restava a rischio, per il traffico, le radici degli alberi del giardino sovrastante e un campo di calcio che impedisce lo scavo. Terminati i lavori finalmente oggi la Domus Aurea è di nuovo visitabile.
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