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Coldiretti. Alessandria. Etichettatura: Quante Nocciole ci Sono Davvero nella Crema di Nocciole?
Serve una normativa chiara per garantire al consumatore un acquisto consapevole e valorizzare le eccellenze locali come le nocciole piemontesi.
Serve una normativa chiara per garantire al consumatore un acquisto consapevole e valorizzare le eccellenze locali come le nocciole piemontesi. Le nocciole piemontesi e monferrine sono rinomate per la loro eccellenza, costituendo uno degli ingredienti chiave della celebre crema di nocciole. Tuttavia, nonostante la qualità delle nocciole, non esiste ancora una normativa che garantisca al…
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Martedì 27 agosto è arrivato a Mondaino l'ultimo artista selezionato nel contesto del progetto europeo Stronger Peripheries. Si tratta di Hamdi Dridi, artista di origini tunisine che vive tra Tunisi e Montpellier in Francia ma principalmente nomade, come preferisce definirsi beyond borders.
"Mi occupo di coreografia" racconta Hamdi "ma quello che mi interessa per primo è l'incontro con l'altro". Dan(s)e House trio and constellations �� il titolo del progetto a cui sta lavorando: si tratta di un lavoro in cui danza, cucina e musica provano a mescolarsi sulla scena per creare un ambiente accogliente e immersivo per lo spettatore. Per questo, per la scrittura coreografica, Hamdi sta collezionando un archivio di gesti attraverso l'osservazione della preparazione di alcune ricette o particolari cibi che le persone che incontra gli propongono. L'archivio, costituito dai movimenti del corpo, in particolare tronco e braccia, servirà a definire la danza delle tre performer che saranno in scena: Ewa Bielak, Lucia de Oliveira Moreira, Debora N’Jiokou, danzatrici e dj, mixano, preparano le loro ricette tradizionali e danzano su una base hip hop le danze tradizionali dei loro paesi di origine, Polonia, Portogallo e Capo Verde, e le partiture di gesti scritti da Hamdi.
In queste prime giornate di residenza in Italia quindi, dopo aver trascorso nei mesi scorsi un periodo di residenza in Spagna e in Francia confrontandosi con le comunità di quei territori, Hamdi ha iniziato a incontrare alcune persone di Mondaino e dei dintorni per cercare nei loro gesti non solo l'amore per la cucina ma anche per lo stare insieme e condividere un tempo e uno spazio di vita: stare, osservare, raccontarsi e ascoltare.
Così scopriamo che il progetto è ispirato da una parte al ricordo del lavoro del padre e alla ripetizione dell'azione, nel suo caso del dipingere, dall'altro all'amore della madre per la cucina.
Nel giorno del suo arrivo a Mondaino è stato accolto da Elisa ed Erica, due sorelle che si sono trasferite da poco in collina e che hanno aperto un'associazione culturale Sentieri Felici che si occupa principalmente di curare progetti per l'infanzia.
Al nostro arrivo tutto è pronto per accoglierci al meglio. Subito entriamo in cucina ed Elisa ed Erica iniziano a illustrarci quello che ci preparerano di li a poco, cioè cassoni e piadine. E mentre mescolano gli ingredienti facendo scivolare farina e acqua tra le mani ci raccontano l'origine di quella passione per il cibo e il cucinare per qualcuno. La tradizione di famiglia, che è passata dalla nonna alla mamma, è fatta di ristoranti e forni, di gesti ripetuti e di cibi condivisi, di accoglienza e piatti tradizionali.
Nella piccola cucina si muovono agili mentre Hamdi le segue con attenzione, cercando di non perdere nessun frammento dei loro movimenti coordinati, ritmici e ripetuti: il tempo è scandito dalla ripetizione dei gesti, dall'impastare e dal farcire, dall'attesa del riposo dell'impasto alla foratura del cassone "per farlo respirare" fino alla cottura finale.
La condivisione del cibo con tutta la famiglia, i sorrisi dei bambini e i loro sguardi attenti, i profumi e i sapori chiudono per Hamdi la prima intensa giornata di incontro con la comunità.
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"Si tratta", racconta Hamdi, "di comprendere un gesto che diviene ritmico: non è la danza che prende il sopravvento ma è il gesto che nel suo essere grezzo diventa ritmico e le due cose diventano organiche: è il gesto naturale che si fa danza inscrivendosi nei corpi".
Siamo a Marazzano ora, nel comune di Gemmano, e siamo a casa di Ivan Fantini dove ha sede il suo Boscost'orto. Ci accoglie insieme alla sua compagna, la danzatrice Paola Bianchi; poi seduti in giardino attorno a un lungo tavolo Hamdi e Ivan si raccontano, sorseggiando caffè e succo di mele appena fatto.
Ivan è un cuoco eterodosso, dimissionario e anarchico. Di origine romagnola proveniente da una famiglia del sottoproletariato inizia a cucinare in casa, a sette anni, per aiutare la madre e la nonna malate: così apprende la cucina tradizionale. Da qui in avanti non abbandonerà mai il mondo del cibo e della condivisione: dall'istituto alberghiero al primo lavoro a 16 anni in un ristorante famoso della zona, per poi entrare a far parte di un circolo culturale a Rimini, Quadrare il circolo, poi l'esperienza con festival e musei fino alla Biennale Teatro diretta da Romeo Castellucci dove curava installazioni gastronomiche d’arte, che potevano essere viste, toccate, mangiate. Infine un'osteria con cucina dentro un antico mulino prima di abbandonare tutto per ritirasi nella sua casa di Marazzano.
Ci racconta, infatti, come a partire dal 2008 con l'introduzione in Italia dell'HACCP, norma che concerne la sanificazione dei luoghi e degli alimenti, siano iniziati i problemi: Ivan non ha mai accettato di sottostare a quella norma e alle leggi del mercato: non ha voluto acquistare prodotti del mondo globalizzato ma ha continuato a lavorare con i contadini della zona, che ovviamente non potevano sottostare a queste norme e dopo tre anni di multe e una crisi depressiva ha scelto di uscire dal sistema.
Ha abbandonato, si fa per dire, il suo mestiere per fare quello che non sapeva fare. Ha cominciato a scrivere. Ha disboscato un bosco per avere un'autonomia alimentare. Ha iniziato a recuperare lo scarto del capitale, ciò che la comunità non acquista, e a saccheggiare quello che la natura offre vivendo di baratto.
E proprio grazie al baratto, un amico gli ha portato del pesce fresco. Così ci mettiamo in cucina, Ivan inizia a muoversi tra lavello e spianatoia, il dialogo prosegue mentre pulisce e disseziona seppie e sgombri, affetta cipolle, raccoglie foglie di alloro, rametti di rosmarino e scorze di limone per produrre un trito aromatico speciale. Il suo ritmo è serrato e sincopato allo stesso tempo, i gesti ripetuti sono ritmici e sicuri, le mani si muovono veloci e violente.
"Vivo il lusso della povertà: ho relazioni umane e politiche molto potenti in tutta Italia. Sono felice, malgrado quello che accade nel mondo", ci dice. Intanto i suoni e gli odori del cibo iniziano a pervadere lo spazio nonostante siamo all'aperto.
E Hamdi osserva, registra con gli occhi ogni movimento e con le orecchie, grazie anche al supporto di Anouk nella traduzione, le parole: lo sguardo non si arresta, entra ed esce dalla cucina, segue ogni movimento di Ivan.
E si tessono fili.
"La cucina è musica: come reagisce chimicamente la padella è un concerto."
"Conoscere le regole per poterle sovvertire. Opero come fa un musicista jazz che conosce le note e improvvisa."
"La cucina è una danza, un gesto poetico e brutale allo stesso tempo!"
"La cucina come tutto è poetica e politica: quando cucino ho una specie di rabbia".
Così, tra una battuta e l'altra, si arriva al pranzo condiviso in giardino: il lungo tavolo apparecchiato si riempie e ci accoglie. E ce ne andiamo, ricchi di questo nuovo incontro.
#Tandem 11
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On Tuesday, August 27, the last artist selected for the European project Stronger Peripheries arrived in Mondaino. His name is Hamdi Dridi, a Tunisian artist who lives between Tunis and Montpellier in France but is primarily nomadic, as he prefers to define himself beyond borders.
“I work in choreography,” Hamdi explains, “but what interests me most is the encounter with others.” The project he is working on is titled Dan(s)e House Trio and Constellations: it is a work in which dance, cooking, and music try to blend on stage to create a welcoming and immersive environment for the audience. For this, in choreographic writing, Hamdi is collecting an archive of gestures through the observation of the preparation of certain recipes or particular foods proposed by the people he meets. The archive, consisting of body movements, especially torso and arms, will be used to define the dance of the three performers who will be on stage: Ewa Bielak, Lucia de Oliveira Moreira, and Debora N’Jiokou, dancers and DJs who mix, prepare their traditional recipes, and dance traditional dances from their countries of origin—Poland, Portugal, and Cape Verde—on a hip-hop base, along with the gesture scores written by Hamdi.
In these first days of residency in Italy, after spending time in Spain and France in the previous months interacting with communities in those regions, Hamdi has started to meet some people from Mondaino and the surrounding areas to look for not only the love for cooking but also for being together and sharing a time and space of life: being, observing, storytelling, and listening.
We discover that the project is inspired partly by memories of his father’s work and the repetition of the action, in his case painting, and partly by his mother’s love for cooking.
On the day of his arrival in Mondaino, he was welcomed by Elisa and Erica, two sisters who have recently moved to the hills and opened a cultural association, Sentieri Felici, which mainly deals with projects for children.
Upon our arrival, everything is ready to welcome us in the best possible way. We immediately enter the kitchen, and Elisa and Erica begin to show us what they will prepare for us shortly: cassoni and piadine. As they mix the ingredients, letting flour and water slide between their hands, they tell us about their passion for food and cooking for others. The family tradition, passed down from grandmother to mother, is made of restaurants and bakeries, repeated gestures, shared foods, hospitality, and traditional dishes.
In the small kitchen, they move gracefully while Hamdi watches them closely, trying not to miss any part of their coordinated, rhythmic, and repeated movements: time is marked by the repetition of gestures, from kneading and stuffing, from waiting for the dough to rest to puncturing the dough box “to let it breathe” until the final baking.
Sharing the food with the whole family, the smiles of the children, and their attentive gazes, the aromas and flavors close for Hamdi the first intense day of meeting with the community. “It’s about,” Hamdi recounts, “understanding a gesture that becomes rhythmic: it’s not the dance that takes over but the gesture that, in its rawness, becomes rhythmic and the two things become organic: it’s the natural gesture that becomes dance inscribed in the bodies.”
We are now in Marezzano, in the municipality of Gemmano, at Ivan Fantini’s home where his bosco-storto (wooded garden) is located. He welcomes us together with his partner, dancer Paola Bianchi; then seated in the garden around a long table, Hamdi and Ivan share stories while sipping coffee and freshly made apple juice.
Ivan is an unorthodox and anarchic cook. Of Romagnolo origin, coming from a working-class family, he began cooking at home at the age of seven to help his sick mother and grandmother: this is how he learned traditional cooking. From then on, he never left the world of food and sharing: from culinary school to his first job at 16 in a famous local restaurant, then joining a cultural circle in Rimini, Quadrare il Circolo, then working with festivals and museums up to the Biennale Theater directed by Romeo Castellucci, where he curated gastronomic art installations that could be seen, touched, and eaten. Finally, an inn with a kitchen inside an old mill before abandoning everything to retire to his home in Marazzano.
He tells us how, starting from 2008 with the introduction of HACCP in Italy, a regulation concerning the sanitation of places and food, problems began: Ivan never accepted complying with that regulation and market laws: he did not want to buy products from the globalized world but continued to work with local farmers, who obviously could not comply with these regulations, and after three years of fines and a depressive crisis, he chose to leave the system.
He “left,” so to speak, his profession to do what he didn’t know how to do. He began writing. He cleared a forest to achieve food self-sufficiency. He started recovering discarded capital, what the community does not purchase, and to forage what nature offers, living off barter.
And it was thanks to barter that a friend brought him fresh fish. So we enter the kitchen, Ivan starts moving between the sink and the counter, the conversation continues as he cleans and fillets cuttlefish and mackerel, slices onions, gathers bay leaves, rosemary twigs, and lemon peels to make a special aromatic blend. His rhythm is tight and syncopated at the same time, the repeated gestures are rhythmic and sure, his hands move quickly and forcefully.
“I live the luxury of poverty: I have very strong human and political relationships throughout Italy. I am happy, despite what happens in the world,” he tells us. Meanwhile, the sounds and smells of the food begin to fill the space even though we are outside.
And Hamdi observes, recording with his eyes every movement and with his ears, thanks also to Anouk's help with the translation, the words: his gaze does not stop, entering and exiting the kitchen, following every movement of Ivan.
And threads are woven.
“Cooking is music: how the pan reacts chemically is a concert.”
“Knowing the rules to overturn them. I operate like a jazz musician who knows the notes and improvises.”
“Cooking is a dance, a poetic and brutal gesture at the same time!”
“Cooking, like everything, is poetic and political: when I cook, I have a kind of anger.”
So, between one comment and another, we arrive at the shared lunch in the garden: the long table is set and welcomes us. And we leave, enriched by this new encounter.
#Tandem 11
#stronger peripheries#residenza creativa#danzacontemporanea#progetto europeo#Hamdi Dridi#Dan(s)e house
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Il Ciauscolo Marchigiano
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Storia, Tradizione e Gusto Unico Nel cuore delle affascinanti terre marchigiane, un salume tradizionale ha resistito al passare del tempo, portando con sé una storia ricca di tradizione e autenticità. Il Ciauscolo, oggi protetto dall'Indicazione Geografica Protetta (IGP), rappresenta un patrimonio gastronomico legato alle esigenze pragmatiche dei contadini e all'arte di utilizzare ogni parte del maiale. In questo articolo, esploreremo la storia e le caratteristiche di questo salume unico e scopriremo come gustarlo al meglio. L'Origine del Ciauscolo Il nome "Ciauscolo" deriva da "cibusculum," che significa "piccolo pasto" o "spuntino". Era una sorta di barretta energetica ante litteram, creata per sostenere i lavoratori nei campi tra un pasto e l'altro. Questo salume tradizionale è originario dell'entroterra marchigiano, Ascoli Piceno, Fermo, Ancona e Macerata, e nei Monti Sibillini. La sua storia è intrisa di pragmatismo contadino e ingegnosità culinaria. Caratteristiche del Ciauscolo Il Ciauscolo si distingue per la sua morbidezza unica, che lo rende spalmabile, ideale per il pane. Secondo il disciplinare IGP, può variare in peso dai 400 g fino ai 2,5 kg, con un diametro compreso tra i 4,5 e i 10 cm e una lunghezza tra i 15 e i 45 cm. Le razze di suini pesanti italiane che possono essere utilizzate per la sua preparazione sono specifiche, così come la percentuale massima di grasso ammessa. Tuttavia, alcuni piccoli produttori preferiscono seguire la tradizione utilizzando razze locali più piccole, ottenendo così un prodotto più grasso e fedele alla sua storia. Ingredienti e Produzione Il segreto del Ciauscolo risiede nella sua ricetta tradizionale. Si prepara con una percentuale significativa di grasso, solitamente attorno al 40%, che conferisce la sua consistenza cremosa e spalmabile. Viene macinato due o tre volte per ottenere una consistenza fine e omogenea, utilizzando carne di spalla di maiale, rifilature di coscia, lardo e pancetta. Il tutto viene sapientemente insaporito con sale, pepe nero macinato, aglio pestato e vino, prima di essere insaccato in budello naturale. La breve stagionatura (da 15 giorni a 2-3 mesi) mantiene la sua morbidezza e spalmabilità sul pane, mentre la macinatura fine garantisce un livello di umidità costante durante la stagionatura. Il risultato è un gusto sapido, leggermente speziato, mai acido e tendenzialmente dolce. L'Arte dell'Abbinamento Per apprezzare appieno il Ciauscolo, è importante saperlo abbinare. Data la sua origine geografica, un Rosso Piceno DOC o una Lacrima di Morro d'Alba sono scelte eccellenti. Se preferiti i vini bianchi, un Verdicchio di Jesi o di Matelica sarà un compagno ideale. Tuttavia, vale la pena di sperimentare un accostamento insolito con la Vernaccia di Serrapetrona secca, un vino spumante rosso che offre un profumo vinoso unico e un gusto piacevolmente amarognolo. Conservazione e Consumo Una volta acquistato, il Ciauscolo deve essere conservato con cura per mantenere la sua spalmabilità. Dopo l'apertura, riponetelo nella parte bassa del frigorifero avvolto in un panno di cotone pulito. Prima di gustarlo, riportalo a temperatura ambiente. Il Ciauscolo è ideale da gustare da solo, spalmato su pane leggermente tostato, come uno spuntino semplice e gustoso. Ma è anche un ingrediente versatile che può arricchire una salsa per la pasta, un ragù, un risotto o diventare l'elemento distintivo di crocchette, frittate e torte salate. Il Ciauscolo marchigiano è molto più di un semplice salume; è un pezzo di storia culinaria che continua a deliziare i palati con la sua morbidezza, spalmabilità e sapore unico. Questo tesoro gastronomico, protetto dall'IGP, rappresenta un connubio di tradizione e innovazione culinaria che vale la pena di scoprire e apprezzare. La prossima volta che vi troverete nelle affascinanti terre marchigiane, assicuratevi di assaporare questo prelibato dono culinario e scoprire il suo affascinante mondo di gusto. Read the full article
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Come realizzare ed utilizzare uno smudge stick
Come abbiamo detto nel post precedente (https://at.tumblr.com/phaetontheswan/che-cos%C3%A8-uno-smudge-stick-lo-smudge-stick-o/ut9q07rukm59), la scelta degli ingredienti andrebbe basata sul rispetto di tutte le usanze, motivo per il quale sarebbe meglio sostituire piante come la salvia bianca con della salvia comune e il cedro con il ginepro per esempio, per non andare incontro all’appropriazione culturale nei confronti di altre tradizioni. Detto ciò, la realizzazione si divide in:
Raccolta: la pianta va colta fresca; le foglie vanno tagliate solo nella parte superiore della pianta, tralasciando lo stelo e cercando di non scuotere troppo la pianta in modo da non scuotere i fiori e non far cadere i semi.
Legatura: le piante vanno unite formando dei cilindri che vanno dai 10 ai 15 cm di lunghezza, scelte in base allo scopo e legate con dello spago o del filo di origine naturale.
Essicazione: i cilindri creati andranno fatti essiccare per una settimana a testa in giù; se l’essicazione avviene all’aperto, la notte sarà necessario coprirli o in alternativa spostarli al chiuso.
A questo punto gli smudge sticks saranno pronti per essere accesi, preferibilmente con dei fiammiferi, ed utilizzati per i nostri rituali.
#Divinazione#Erbe aromatiche#Erbe officinali#Ginepro#Guarigione#Meditazione#Primavera#Purificazione#Salvia comune#Smudging#Smudge stick#Smudge sticks
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Al Barbaricum abbiamo scoperto alcuni piatti di origine longobarda. Vediamo la ricetta di oggi!
Colomba salata
Anche la colomba ha origine longobarde: una leggenda narra che, durante l’assedio di Pavia una ragazza offrì al temibile re longobardo Alboino un dolce da lei preparato a forma di colomba, simbolo di pace. Il re, notoriamente feroce, estasiato dalla bontà di questa preparazione, graziò la giovane donna e la città.
Ecco una versione salata, molto facile e veloce. Perfetta per un picnic
3 uova
125 ml yogurt bianco
100 ml latte
100 ml olio di semi
300 gr farina
1 bustina di lievito istantaneo per torte salate
sale, pepe, rosmarino tritato
3 cucchiai parmigiano grattugiato
100 gr scamorza a dadini
100 gr prosciutto cotto a dadini
100 gr pancetta a dadini
100 gr olive taggiasche denocciolate
100 gr pomodori secchi tagliati a pezzettini regolari
50 gr di mandorle con la pelle + 50 gr di mandorle pelate
Mescolare in una ciotola tutti gli ingredienti secchi (farina, lievito, parmigiano, sale, pepe, rosmarino) e in un’altra ciotola tutti gli ingredienti umidi (uova, yogurt, latte, olio). Unire gli ingredienti secchi a quelli umidi, amalgamarli velocemente e poi aggiungere i condimenti a cubetti (ad esempio scamorza, prosciutto cotto, pancetta, olive, pomodori secchi,...). Versare l’impasto in uno stampo da colomba, pennellarlo con albume o latte e terminare con le mandorle, una spolverata di parmigiano grattugiato. Cuocere in forno caldo a 180° per circa 60 minuti.
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Buon Ferragosto!!!
Vi risparmio il solito articolo sulla derivazione di questa festività, condivido invece una semplice ricetta per preparare la panzanella toscana e magari portarla sulla spiaggia come spuntino tra un tuffo e l’altro. The Beach litorale pisano La sua origine è antica e risale a tempi in cui si cercava di evitare lo spreco di cibo, utilizzando gli ingredienti disponibili per preparare un pasto…
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#Cacciucco#Contadino#cucina#cultura#Culturale#Eredità#gourmet#Granchio blu#Letterario#Libri#Livorno#Lucca#mare#Pisa#Poesia#Porto#storia#Toscana#Tradizione#turismo#Versilia#Viareggio
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Per essere il N°1 devi avere i numeri…
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Per proteggere i tuoi capelli e la cute dalle aggressioni esterne derivanti dal tatto o dall’aria, o se sei stata a lungo in un ambiente che ha messo a dura prova la salute dei tuoi capelli e occorre fare un trattamento disintossicante, ecco l'accoppiata ideale per il trattamento giornaliero, Shampoo e Balsamo Purificanti per un lavaggio completamente detox.Se vuoi rendere il trattamento detox ancora più efficace ti suggerisco di utilizzare la maschera esfoliante 2 in 1 prima di fare lo shampoo e usare il balsamo purificante di cui ti parlerò qui sotto. Questi articoli sono caratterizzati da un incredibile potere purificante per capelli e cute. Il loro ingrediente chiave è l’Alga Bio di Bretagna, famosa per la sua azione purificante che contribuisce alla riduzione della produzione del sebo ed elimina le impurità
SHAMPOO PURIFICANTE E BALSAMO PURIFICANTE YVES ROCHER
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BENEFICI DELLO SHAMPOO E BALSAMO PURIFICANTE
Lo shampoo lava delicatamente i capelli grassi e normali, purificandoli dalla radice, eliminando le impurità e riducendo l'eccesso di sebo. Il cuoio capelluto è disintossicato, i capelli sono più leggeri, morbidi e brillanti. Il balsamo districa i capelli contribuendo alla purificazione della radice, nutre intensamente i capelli senza appesantirli e dopo il lavaggio risultano più lucenti e freschi, decisamente più resistenti allo sporco e all'unto.
COME UTILIZZARE LO SHAMPOO E BALSAMO PURIFICANTE
Il balsamo può essere applicato anche sulle lunghezze asciutte. Ma il suggerimento è il classico trattamento Shampo + balsamo, ovvero, prima si applica lo shampoo e si lavano i capelli con massaggi delicati sulla cute. Risciacquare e applicare il balsamo su tutte le lunghezze. Dopo qualche istante di posa risciacquare.
ORIGINI E INGREDIENTI DELLO SHAMPOO E BALSAMO PURIFICANTE
Il Balsamo purificante è composto dal 97% di ingredienti naturali e non contiene siliconi. Lo Shampoo purificante Yves Rocher non contiene ne solfati ne siliconi, è composto dal 94% di ingredienti di origine naturale (come l’argilla bianca e l’Alga Bio di Bretagna) ed è testato dermatologicamente. La confezione viene distribuita in flacone di plastica 100% riciclata. Prodotto in Bretagna.
QUANTO COSTA LO SHAMPOO E BALSAMO PURIFICANTE YVES ROCHER E DOVE COMPRARLO
- Lo Shampoo Purificante Yves Rocher nel flacone da da 200ml costa 5.95€ - Il Balsamo Purificante Yves Rocher nel flacone da 200ml cista 6.95€ Se vuoi acquistare i prodotti Yves Rocher compila il form qui sotto (o scrivi a [email protected]) per contattare la nostra Operatrice del benessere e “Consulente di Bellezza Yves Rocher“, non che venditrice autorizzata in Italia Vincenza Mauceri. Non appena riceveremo il tuo numero ti contatteremo direttamente per comunicare più rapidamente, fornirti eventuali risposte o dubbi e procedere in tempi rapidi all’invio di un ordine. Read the full article
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MICCONE
Dell'Oltrepó Pavese / di Stradella
è un pane tipico dell'Oltrepo Pavese fatto di pasta dura di farina di grano tenero a forma di treccia.
La doppia lievitazione fa del pane sfornato nel lembo più a sud della Lombardia un prodotto distintivo.
Si dice a pasta dura perché contiene solo il 35-40% di acqua, in modo che il pane ottenuto possa mantenersi a lungo fragrante in una zona con clima tanto umido.
Il Miccone Pavese è un pane di pasta dura prodotto con farina di grano tenero, in pezzature di circa 1 kg: gli altri ingredienti sono l’acqua, il lievito naturale ed il sale. Il trucco per ottenere un buon Miccone sta nell’uso del lievito naturale e nella lavorazione dell’impasto, che è duro, ossia contenente solo il 35-40% di acqua, in modo che il pane ottenuto possa mantenersi a lungo fragrante in una zona con clima tanto umido (l’obiettivo è quello di ottenere un pane con minor percentuale di umidità).
L’impasto del Miccone Pavese deve essere lavorato a lungo e lasciato lievitare una prima volta, quindi lavorato ancora. Vengono ricavate in seguito delle forme tondeggianti, che sono incise trasversalmente sulla parte superiore, e lasciate lievitare ancora per diverse ore.
Trascorso il tempo di lievitazione il pane può essere infornato. Ne risultano pagnotte sapide, con aroma di pasta lievitata ben distinto, crosta spessa e mollica bianchissima, soffice ed elastica. L’impasto che dà origine a questo tipo di pane è molto faticoso da lavorare e si ritrova, senza grassi, oppure condito con strutto (anche se il Miccone nasce come pane non condito), lungo tutta la valle del Po, seppure con forme diverse.
L’impasto tradizionale viene preparato 48 ore prima, utilizzando il ��carsént”, ossia il crescente, parte di impasto accantonata per far da base ai lieviti. Il carsént era un patrimonio che, in epoche passate, nei periodi di crisi, veniva scambiato tra le famiglie.
Il Miccone Pavese appartiene alla famiglia dei pani fatti per durare più giorni.
Si conserva infatti per oltre una settimana in luogo sano e fresco, ed è molto più buono se si consuma un paio di giorni dopo averlo fatto. Consumato fresco, il Miccone Pavese è di grande piacevolezza ma di poca resa. Da qui nacque il proverbio: “pane fresco e legna verde conducono alla povertà”.
Probabilmente alle origini, questo tipo di pane, veniva fatto con farine di grano tenero unite a farine di grano integrale. Il pane bianco è infatti di nascita recente: a partire dal 1700 i mulini più organizzati furono in grado di produrre farine raffinate e prive di crusca.
Inoltre, la famiglia dei pani bianchi era inizialmente destinata ai ceti più abbienti, solo in seguito il consumo si estese a tutti gli strati sociali. Originariamente, il Miccone era quindi prodotto ad uso e consumo delle popolazioni contadine.
Nelle cascine era tradizione panificare soltanto un giorno alla settimana, stabilendo turni per l’utilizzo del forno, e preparando l’impasto al levare del sole, per favorire una migliore lievitazione (per tradizione il pane si faceva il sabato e doveva durare per tutta la settimana).
ORIGINI MEDIOEVALI
C'é chi fa risalire la tradizione del Miccone dell’Oltrepò addirittura al Medioevo, quando le carovane che percorrevano la via del sale, collegando la Liguria alla Pianura Padana, facevano tappa nelle stazioni di posta sparse lungo la Valle Staffora. Oltre al cambio dei cavalli, i carovanieri si assicuravano le provviste necessarie per svalicare l’Appennino o per raggiungere i grandi centri urbani posti a nord del fiume Po. Il Miccone che si cuoceva nei forni della zona avrebbe già avuto (il condizionale è d’obbligo mancando fonti storiche certe) una caratteristica fondamentale: quella di conservarsi a lungo fresco e fragrante. Proprio grazie a una tecnica affinata dai fornai per generazioni: la doppia lievitazione che assieme all’utilizzo di un frumento adeguato, ne avrebbe garantito già allora una durabilità non comune.
IL DECLINO NEGLI ANNI SETTANTA
E ancora oggi il Miccone che si fa in Oltrepò ha le medesime caratteristiche. È vaporoso, croccante nella crosta ma morbidissimo al suo interno, con una mollica fragrante e sostanziosa. Così i fornai della zona hanno confezionato un pane unico per decenni, o forse secoli, senza saperlo.
Ma a partire dagli anni Settanta, con l’avvento dei forni industriali, il Miccone è finito in un angolo. Troppo laborioso e costoso produrlo.
Riconosciuto dalla Lombardia fra i 269 Pat (Prodotti agroalimentari tradizionali «ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione o stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni»), che hanno ottenuto la certificazione regionale, è uno dei cibi che affondano le radici nella storia alimentare del territorio.
La materia prima non manca: i Molini di Voghera confezionano un’ottima farina 100% Oltrepò, ottenuta da grani locali. Dunque è tutto pronto, basta volerlo fare
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FONTE : casalingodivoghera.it / Maestro Piergiorgio Giorilli, pianetapane.It
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Il ragù alla bolognese è un sugo di carne mista tipico della cucina emiliana, impiegato tradizionalmente come condimento di tagliatelle all'uovo e lasagne al forno. La ricetta originale, depositata il 17 ottobre del 1982 presso la Camera di Commercio di Bologna e aggiornata recentemente dall'Accademia della Cucina Italiana, segue un vero e proprio disciplinare di preparazione, con indicazioni su ingredienti, dosi e procedimento da seguire.
A dispetto di quanto si possa pensare, fare in casa un buon ragù alla bolognese è piuttosto semplice, a patto di seguire alla lettera i consigli della nostra Julia. Per portarlo in tavola, ti basterà rosolare nel burro fuso un trito di carota, sedano e cipolla con la pancetta a cubetti, unire poi al soffritto la polpa macinata di manzo e di maiale e sfumare quindi il tutto con il vino rosso. A questo punto non ti rimarrà che aggiungere in pentola il concentrato e la passata di pomodoro, lasciar sobbollire dolcemente la salsa per circa 2-3 ore e unire quindi a metà cottura un bicchiere di latte fresco: il risultato sarà un ragù ricco e corposo, ottimo da utilizzare per insaporire diversi formati di pasta, sia fresca sia secca, ma anche cannelloni, gnocchi o una porzione di polenta morbida.
Nato in Francia durante il Medioevo come stufato di carne – la parola ragoût viene utilizzata infatti ancora oggi per indicare uno stufato – questo delizioso sugo vanta una storia piuttosto articolata: sembra sia arrivato in Italia già nel 1300, ma fu solo a partire dal 1800 e poi ancor più dai primi del ‘900 che venne riscoperto e perfezionato, tanto da diventare uno dei simboli della cultura gastronomica italiana.
Secondo antiche fonti il ragoût francese avrebbe poi preso "due strade" nel nostro Paese: la prima è quella che lo vede approdare dal Vaticano a Bologna, la seconda si snoda invece nelle cucine delle corti (angioina e borbonica) del Regno di Napoli. Hanno origine così, rispettivamente, il ragù alla bolognese e il ragù alla napoletana, simili nel nome ma con sostanziali differenze: nel secondo la carne è in pezzi, e non macinata, e i tempi di cottura sono molto più lunghi.
Scopri come preparare il ragù alla bolognese seguendo passo passo le spiegazioni e i preziosi consigli di Julia. Se ami il ragù e le sue varianti, prova la nostra selezione di ricette.
Come preparare il ragù alla bolognese
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Fai dorare la pancetta a cubetti nel burro fuso (1).
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Unisci quindi un trito di sedano, carota e cipolla (2) e lasciali appassire.
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Aggiungi al soffritto la polpa macinata di manzo e di maiale e fai rosolare per bene (3).
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Sfuma quindi la carne con 1/2 bicchiere di vino rosso (4).
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Aggiungi il concentrato di pomodoro (5).
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Unisci anche la passata di pomodoro (6), mescola con cura e aggiusta di sale; quindi copri con un coperchio e lascia sobbollire dolcemente per circa 3 ore.
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Dopo circa 1 ora, versa il latte (7) e porta a cottura.
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Al termine dovrai ottenere un ragù denso e corposo (8).
Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Ragù alla bolognese: la ricetta originale emiliana Porta in tavola il ragù alla bolognese e utilizzalo, a piacimento, per condire delle tagliatelle all'uovo (9) o altro formato di pasta, fresca o secca, di tuo gradimento.
Consigli Nel rispetto della tradizione abbiamo aggiunto anche un bicchiere di latte, un ingrediente apparentemente insolito, ma presente anche nella ricetta originale, che conferirà al ragù una consistenza cremosa e avvolgente.
Al posto del vino rosso puoi utilizzare quello bianco mentre, per una resa più leggera, puoi sostituire il burro con l'olio extravergine di oliva e optare poi per il solo macinato di manzo.
Varianti Uno dei piatti simbolo del pranzo domenicale, il ragù alla bolognese viene declinato oggi in tante versioni diverse: c'è chi lo realizza in bianco, chi utilizza solo il concentrato di pomodoro, meglio se triplo, chi omette il latte e chi, ancora, lo allunga in cottura con un po' di brodo vegetale o di carne.
Poi ci sono le varianti, ben lontane dalla ricetta depositata, a base di polpa macinata di anatra o di cinghiale, di verdure miste o di pesce.
Conservazione
Il ragù alla bolognese si conserva in frigo, in un contenitore a chiusura ermetica, per 3-4 giorni massimo. In alternativa, puoi anche congelarlo in piccole monoporzioni, così da averlo pronto all'occorrenza: si manterrà fino a 2 mesi.
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Cucina Regionale: 11 piatti tipici baresi
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Il nostro percorso nella cuna regionale ci fa tornare in Puglia dove vi presenteremo i piatti tipici baresi. Sapete che questa Regione è famosa sia per il suo magnifico territorio che per il cibo e la tradizione culinaria? Scopriamo insieme cosa mangiare almeno una volta nella vita a Bari, capoluogo di Regione.
Bari...l'essenza della tradizione
La Puglia, oltre che essere una terra ricca di monumenti, storia e paesaggi mozzafiato, è anche una terra ricca di importanti tradizioni culinarie e con piatti tipici baresi che tutti ci invidiano. La città per eccellenza della tradizione è Bari che è l'essenza della tradizione pugliese con piatti tipici e gustosi che lasciano sempre un'acquolina in bocca anche solo a sentirne parlare. Quindi chi visita la Puglia, deve assolutamente fare "capolino" nella bellissima Bari per degustare i suoi piatti tipici conosciuti in tutto il mondo. I piatti della cucina barese sono delle prelibatezze che derivano da una lunga tradizione e, spaziano, dai primi ai secondi comprendendo anche spuntini ed "antipasti speciali" di cui solo i baresi conoscono la "soddisfazione" che lasciano in bocca rendendo il palato "felice" di averli assaporati. La cucina barese è semplice, composta da ingredienti genuini e facilmente reperibili, che danno un sapore straordinario ad ogni piatto. In questa categoria potrai trovare tutti i piatti tipici italiani.
Visitare Bari tra le viuzze tipiche
Per conoscere le prelibatezze baresi, bisognerebbe farsi una bella passeggiata per Bari, soprattutto in Bari vecchia, dove il profumo della cucina e del cibo, rimanda indietro ai tempi che furono ed ai ricordi di una volta. Le strade di Bari vecchia "parlano" di tradizione della buona cucina fatta di passione e di amore per la cucina della propria città.
11 piatti tipici baresi
I piatti tipici della tradizione pugliese sono vari ma, sicuramente, ce ne sono alcuni che sono i classici della tradizione conosciuti anche a livello mondiale. Vediamo insieme 11 piatti tipici baresi, quali sono quelli più conosciuti e popolari anche nel mondo: - Le orecchiette: è il piatto simbolo della cucina barese. Si tratta di pasta di grano duro con una forma arrotondata e concava al centro proprio come la forma di un orecchio. Sono chiamate in dialetto barese "récchietèdde (per la somiglianza all'orecchio) o strasc’nat (perchè per dare la forma l'impasto viene trascinato)". La loro storia è molto antica: risale alla dominazione Normanno-sveva... Si possono assaporare con le cime di rapa o con il ragù di cavallo e le braciole; - La tiella patate, riso e cozze: è un piatto della tradizione contadina e si somiglia alla paella spagnola. Si trattava di un piatto veloce da preparare e serviva per far mangiare i contadini dal ritorno dal lavoro nei campi. Inizialmente non si usavano solo le patate, riso e cozze ma anche altri tipi di verdure che si avevano in casa. Infatti era un piatto di recupero per consumare ciò che si aveva unendo terra e mare...; - Gli spaghetti all’assassina: un piatto in voga negli ultimi che ha origine proprio a Bari. Sono stati inventati nel 1967 dal cuoco Enzo Francavilla...si tratta di un piatto dai sapori piccanti da cui ha origine il nome per l'abbondanza del peperoncino con cui il piatto è condito. Vengono cotti in una padella di ferro affinché siano croccanti e bruciacchiati; - La focaccia barese: ottimo spuntino inventato dai Fenici. E' arrivata a Bari durante la colonizzazione greca e, con cui baresi e non, si deliziano tutte le volte che ne hanno voglia. Nel 2001, ha battuto i cibi del McDonald’s, perchè ad Altamura era stata aperta una sede del fast food, accanto al "Panificio Di Gesù", specializzato nella produzione della focaccia. Sapore inconfondibile con il suo impasto fragrante, pomodoro fresco e tanto tanto olio d’oliva, è diventata celebre in tutto il mondo; - Sgagliozze e popizze: si tratta di "finger food" che non mancano mai negli aperitivi baresi. Le sgagliozze sono cubetti di polenta fritti e conditi con una spolverata di sale mentre le popizze sono frittelle dalla forma piccola ed irregolare; - I taralli pugliesi: anche i taralli sono uno spuntino da non perdere in quanto sono una vera bontà. Sono a base di farina, olio d’oliva, sale e vino bianco... Una leggenda narra che furono inventati nel 1400 da una giovane donna che doveva sfamare i suoi figli. Invece, il nome "tarallo", deriva dalla parola greca "daratos" che significa “variante del pane”. Oltre alla variante classica, ci sono anche quelli al peperoncino, alla cipolla, al curry, alla curcuma, ecc.; - Pesce e frutti di mare crudi: per i baresi, questo piatto, è un orgoglio non da poco che più li rappresenta! E' un piatto "patrimonio dell'umanità", che non si potrà non assaggiare. Il crudo di mare, è definito la “colazione dei pescatori”. Il piatto, da consumare assolutamente crudo con un pò di limone, è composto da: cozze, allievi, tartufi, ostriche, ricci di mare e polpo. Quindi, i viaggiatori che vogliono assaporare le tradizioni culinarie baresi, devono godersi questo piatto di fronte al mare con una birra. In questo modo "entreranno" in simbiosi con la cultura e la tradizione barese.
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SHAMPOO DOCCIA VETIVER ERBOLARIO
Shampoo Doccia Vetiver 250 ml con la presenza degli Aminoacidi tensioattivati da Tapioca e da Canna da Zucchero assicura a corpo e capelli una detersione delicata, efficace e confortevole.
La fragranza di Vetiver aggiunge carattere a questa ricetta, perfetta dunque per chi ama coniugare semplicità e praticità al piacere di prendersi cura di sé.
Senza siliconi, parabeni, tensioattivi solfati e petrolati 96% ingredienti di origine naturale. La restante percentuale di ingredienti garantisce infine stabilità e gradevolezza del prodotto.
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Al Barbaricum abbiamo scoperto alcuni piatti di origine longobarda. Vediamo la ricetta di oggi!
Spongata
Il termine spongata si trova per la prima volta nei documenti dell’abbazia di San Colombano di Bobbio (PC), fondata nel 614 in epoca longobarda. Nel 794 Carlo Magno nel Concilio di Francoforte impose che tutti i monasteri benedettini di pertinenza imperiale (come Bobbio) dovessero offrire unam tortam o pain d’hostelage (cioè torta o pane di accoglienza) agli ospiti, ai pellegrini e ai visitatori durante le festività natalizie, la spongata appunto. Ecco la ricetta di oggi.
Ingredienti per il ripieno: 1 kg miele 200 pangrattato o biscotti secchi tritati 200 gherigli di noci 100 mandorle tagliate a fettine 80 gr pinoli 100 gr uvetta 70 gr cedro candito mix di spezie: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero, anice stellato Ingredienti per la pasta: 400 gr farina 180 gr burro 200 gr zucchero 1 tuorlo vino bianco q.b. per impastare
Amalgamare nel miele (sciolto a bagnomaria) il pane o i biscotti tritati, le noci, le mandorle, i pinoli, i canditi, l'uvetta e tutte le spezie. Lasciare riposare il tutto almeno 15 giorni. Nel giorno prefissato preparare la pasta sul tagliere amalgamando tutti gli ingredienti, lasciarla riposare, poi dividerla in due parti e stenderla in due dischi. Foderare una tortiera col primo disco, versare il ripieno e ricoprire col secondo disco di pasta. Sigillare bene i bordi e punzecchiare la superficie con la forchetta. Cuocere in forno caldo a 180° per 25 minuti coprendo la pasta con la carta di alluminio senza lasciare nessuna apertura. A fine cottura spolverare con lo zucchero a velo.
Dal libro “RICETTE E RACCONTI DELLA MIA REGGIO” DI MARTA FERRARI.
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Carne in Scatola Simmenthal Confezione da 90 g Food Service Carne in Scatola Simmenthal 90 g Food Service La carne bovina è di alta qualità in quanto proviene solo da tagli selezionati di muscolo rosso. Simmenthal ha un gusto unico e inconfondibile grazie alla deliziosa gelatina di origine vegetale e miele. Provala sia nei piatti a caldo dove la gelatina sciogliendosi, contribuisce a insaporire il piatto, sia nelle ricette a freddo dove conserva la sua freschezza! Ingredienti Brodo (acqua, miele, piante aromatiche, aromi naturali, spezie), carni bovine cotte 33% equivalente a 59g di carne cruda magra (66% del peso dichiarato), sale, marsala, gelificante: agar-agar, addensante: farina di semi carrube, esaltatore di sapidità: glutammato monosodico, conservante: sodio nitrito.
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Bap, Roma
Questo locale, un poco defilato, rappresenta un'offerta interessante ed originale per quanto riguarda la sua impostazione. Essenzialmente un misto tra uno specialty coffee, una pasticceria, un bar ed un ristorante. È infatti la sua anima multiforme che lo rende un locale che offre la possibilità di una colazione classica con ottimi croissant e pain au chocolat o altri lievitati di ottimo livello oppure una colazione salata con uova che si può trasformare in un brunch. La cucina però permette anche un pranzo o, in certi giorni, una cena con piatti originali e ben preparati.
Alla base una scelta attenta agli ingredienti e un ottima tecnica di cucina. I croissant sono eccellenti e non fanno rimpiangere quelli francesi. Il caffè è mono origine con una piccola ma ottima scelta e la possibilità di avere diversi tipi di estrazione.
Il locale è stretto e lungo con pochi tavoli di legno e prese per offrire la possibilità di connettere i laptop. Lo stile è moderno e dal sapore un poco nordico.
Il personale competente e molto cortese.
Un locale dallo stile internazionale con un ottima offerta e una piacevolissima atmosfera.
https://baproma.com/
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