#omicidi mafia
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bigarella · 3 months ago
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Ostia e Acilia esprimono le frange più agguerrite della criminalità romana sin dai tempi della banda della Magliana
Il caso di OstiaPrima di analizzare la storia che ha caratterizzato la criminalità organizzata ad Ostia è bene specificare le peculiarità del territorio. Il X Municipio, di cui Ostia fa pare insieme Acilia, Casal Palocco, Castel Porziano, Infernetto, Malafede e Ostia Antica, si disloca lungo la costa, alla periferia della Capitale, per circa 10 chilometri. La bonifica della foce del Tevere inizia…
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adrianomaini · 3 months ago
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Ostia e Acilia esprimono le frange più agguerrite della criminalità romana sin dai tempi della banda della Magliana
Il caso di OstiaPrima di analizzare la storia che ha caratterizzato la criminalità organizzata ad Ostia è bene specificare le peculiarità del territorio. Il X Municipio, di cui Ostia fa pare insieme Acilia, Casal Palocco, Castel Porziano, Infernetto, Malafede e Ostia Antica, si disloca lungo la costa, alla periferia della Capitale, per circa 10 chilometri. La bonifica della foce del Tevere inizia…
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bagnabraghe · 3 months ago
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Ostia e Acilia esprimono le frange più agguerrite della criminalità romana sin dai tempi della banda della Magliana
Il caso di OstiaPrima di analizzare la storia che ha caratterizzato la criminalità organizzata ad Ostia è bene specificare le peculiarità del territorio. Il X Municipio, di cui Ostia fa pare insieme Acilia, Casal Palocco, Castel Porziano, Infernetto, Malafede e Ostia Antica, si disloca lungo la costa, alla periferia della Capitale, per circa 10 chilometri. La bonifica della foce del Tevere inizia…
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collasgarba · 3 months ago
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Ostia e Acilia esprimono le frange più agguerrite della criminalità romana sin dai tempi della banda della Magliana
Il caso di OstiaPrima di analizzare la storia che ha caratterizzato la criminalità organizzata ad Ostia è bene specificare le peculiarità del territorio. Il X Municipio, di cui Ostia fa pare insieme Acilia, Casal Palocco, Castel Porziano, Infernetto, Malafede e Ostia Antica, si disloca lungo la costa, alla periferia della Capitale, per circa 10 chilometri. La bonifica della foce del Tevere inizia…
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curiositasmundi · 2 days ago
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Palermo torna a pullulare di mafiosi responsabili di efferati omicidi, che sempre più spesso hanno accesso a benefici penitenziari pur non avendo mai aperto bocca sui loro pesanti trascorsi criminali. Nelle ultime settimane, a ottenere la semilibertà sono stati infatti lo “strangolatore” dell’Acquasanta Raffaele Galatolo e lo spietato killer di mafia Paolo Alfano, mentre sono stati elargiti permessi premio allo storico reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù, Ignazio Pullarà, nonché ad altri importanti mafiosi come Franco Bonura, Gaetano Savoca e Tommaso Lo Presti. Alla rimpatriata palermitana manca solo Giovanni Formoso, punito con l’ergastolo per aver caricato l’autobomba utilizzata nell’attentato di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, che causò 5 morti. Anche lui ha ottenuto la semilibertà – è la prima volta per un boss mafioso condannato per strage e mai pentitosi –, ma, almeno per ora, ha il divieto di tornare in Sicilia.
Il caso di Giovanni Formoso è sicuramente quello più altisonante. Il boss è stato infatti condannato all’ergastolo tra gli esecutori materiali della strage di via Palestro, uno degli attentati che, nel 1993, insanguinarono l’Italia nella cornice di una “strategia eversiva” che vide Cosa Nostra in prima linea. Esplodendo nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea, l’autobomba causò la morte di cinque persone. Formoso era uomo dei fratelli Graviano, registi della stagione delle stragi del ’93, nonché organizzatori dell’attentato in via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino insieme ai membri della sua scorta. Anche Raffaele Galatolo, tornato a Palermo, è un profilo di peso: fu uno dei membri di spicco della nota “camera della morte” di Vicolo Pipitone, dove all’inizio degli anni Ottanta venivano uccisi i nemici mafiosi del capo di Cosa Nostra Totò Riina. Centro nevralgico delle attività di Cosa Nostra, il luogo – come emerso dalle testimonianze di molti pentiti – sarebbe stato il punto di incontro tra i mafiosi e vari esponenti dei servizi segreti, tra cui Bruno Contrada, Arnaldo La Barbera e Giovanni Aiello, alias “Faccia da Mostro”. Un altro nome autorevole tra quelli dei mafiosi che hanno ottenuto benefici penitenziari è quello di Ignazio Pullarà, che sarebbe il custode dei segreti sui legami tra l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi e i boss di Cosa Nostra. Nella sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo condannò il braccio destro dell’ex premier per concorso esterno in associazione mafiosa, si legge infatti che Vittorio Mangano – il famoso “stalliere” della villa di Arcore, boss mafioso della famiglia di Porta Nuova – fra il 1988 e il 1989 aveva manifestato lamentele a un altro mafioso per il «comportamento, che aveva giudicato scorretto, tenuto nei suoi confronti da parte di Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù, che si era appropriato delle somme che erano state versate da Berlusconi e che Mangano riteneva spettassero a lui». Altro mafioso ergastolano che è potuto rientrare nel capoluogo siciliano è poi Paolo Alfano. Condannato a 17 anni di carcere al Maxiprocesso e successivamente all’ergastolo per due omicidi, era ritenuto da Falcone e Borsellino «uno dei killer più fidati e spietati della famiglia di corso dei Mille».
Questo scenario trae origine da un approccio giurisprudenziale molto più permissivo rispetto al passato per i mafiosi che non si pentono, segnato da dirimenti sentenze da parte della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Costituzionale. Nel 2019, la Corte Europea dei Diritti Umani ha infatti affermato che l’Italia dovesse «riformare la legge sull’ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora con la giustizia». Nello specifico, l’ergastolo ostativo – introdotto in seguito alle stragi di Capaci e Via D’Amelio – consiste in un particolare regime carcerario, delineato dall’art. 4 Bis dell’Ordinamento Penitenziario, che esclude dalla possibilità di godere dei benefici penitenziari coloro che hanno subito condanne all’ergastolo per reati particolarmente gravi, tra cui l’associazione mafiosa e il terrorismo. La Consulta si è subito adeguata alla pronuncia della CEDU, sancendo che anche i mafiosi possono accedere ai permessi premio «pure in assenza di collaborazione con la giustizia». Nonostante il decreto con cui il governo Meloni è intervenuto sulla materia abbia eretto dei paletti molto “stringenti” per la concessione dei benefici penitenziari, la strada è segnata: come dimostrano le cronache, infatti, il divieto di permessi premio e libertà condizionale per la mancata collaborazione con la giustizia non è più assoluto, dovendo invece i Tribunali di Sorveglianza valutare caso per caso. Per i mafiosi, dunque, collaborare con la giustizia è sempre meno conveniente.
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nonamewhiteee · 2 years ago
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11:22 di un anonimo venerdì di primo marzo: sono al terzo drummino girato in una pausa richiesta. ho ansia, un attacco come non succedeva da un pezzo, una pressione come un'incudine sul petto che non mi lascia respirare. il mio tutto non esiste ma nonostante questo mi ha stancato. la mia debolezza mi fa a pezzi, il vivere in una città di merda che sembra essere uscita dagli anni '80 per i recenti fatti di cronaca (tra mafia, omicidi, coca e ragazzini che si svendono per una dose), la società malata mi fanno sentire inadatto alla vita. so di esserlo, come so che non posso fare un bel niente per cambiare le cose, e tutto mi fa sentire un inutile ingranaggio malfunzionante. la testa fa male, respiro male e a stenti, vorrei un abbraccio o una spalla su cui poter piangere, finisco gli ultimi tiri sperando passi in modo da rientrare. scusatemi.
#me
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danzameccanica · 2 years ago
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Anche se i Darkthrone avevano abbandonato il mondo del death metal già dal precedente A Blaze in the Northern Sky, solo nel 1993 diventano una vera entità duale, ermetica e paradigmatica. L’ex bassista Dag Nilsen sarà d’accordo nel registrare le linee di basso ma di non comparire più nelle foto della band; destino identico, ma che ritarderà di poco, spetterà per il chitarrista Zephyrous, il quale sparerà perfino un assolo di rimembranza death in “Summer of the Diabolical Holocaust” e un altro dell’omonimo brano, ma poi anch’egli si distaccherà dal resto del gruppo e si renderà conto del nuovo percorso intrapreso da Fenriz e Nocturno Culto, sempre più chiusi a doppia mandata nel loro mondo. La produzione di Under a Funeral Moon è ancora più grezza dell’album precedente, estremamente casalinga e connotata da un eco di fondo che emette ancora più gelo e  desolazione. Con i Darkthrone di questo periodo (e in parte coi contemporanei Satyricon) si stilerà il profilo dell’ascoltatore perfetto di black metal; quello che non deve esagitarsi ai concerti, che deve rimanere schivo, solitario e possibilmente non parlare con nessuno. Qualsiasi atteggiamento di socializzazione indicava implicitamente la voglia di divertimento e quindi distogliersi dal culto della nera fiamma (tutti epiteti nati intorno a questo periodo dei Darkthrone); con questo disco si inizia a parlare di “black metal mafia” parteggiando in maniera abbastanza chiara con chi ha commesso i più importanti omicidi e crimini dell’epoca (Vikernes, Faust, Samoth).
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“To Walk the Infernal Fields” è l’unico brano in mid-tempo, caratterizzato dallo stesso modo di fare riff di Burzum mentre il resto dei brani sarà quasi sempre in blast-beat con degli accenni atmosferici esclusivamente dati dal rallentamento delle chitarre e della batteria (in stile “Freezing Moon”dei Mayhem). Alcuni riff risultano incomprensibili, come il primo di “Summer of Diabolical Holocaust”, altri riprendono i classici Bathory, Celtic Frost/Hellhammer come matrici di ispirazione – come l’omonima iconica traccia - mentre altri hanno già il germe di Transilvanian Hunger o di Panzerfaust (come la conclusiva “Crossing the Triangle of Flame”); “Inn i dype skogen favn” è il primo brano declamato completamente in norvegese e accentuerà ancora di più questa élite esclusiva e circoscritta; alcuni la chiameranno Inner Circle altri Black Metal Mafia. Sostanzialmente il cantato nella propria lingua, per quanto da un lato significhi una maggior libertà compositiva per quel che riguarda i testi, dall’altro lato suggerisce una chiusura esclusiva, un’autoconservazione radicale e rendere ancora più esclusiva la comunicazione musicale.
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Musicalmente parlando le composizioni sono scarne; la struttura è composta da una manciata di riff che si alternano; i microfoni della batteria sono ben distribuiti e si sentono tutti i pezzi delle pelli ma, non si può proprio parlare di “produzione” a tutti gli effetti. I mezzi tecnici si riducono ad un 16-tracce che vuole dare una qualità appena sufficiente e appena sopra la qualità di una rehersal. Da questo album i Darkthrone smetteranno di fare interviste per almeno cinque anni, calando se stessi in un’aura di mistero, irriverenza e rozza creatività che andava a forgiare i nuovi modi di pensare, di comporre e di come comportarsi. È inimmaginabile pensare alla quantità di band che nascono col preciso intento di replicare questo album, anche solo nel demo-tape; e sono immense le influenze che, benché la scarsa qualità sonora, questo album riesce ad elargire a band anche contemporanee - pensiamo ad esempio ai Marduk, ma a tutta la scena in generale… Pensate se potessimo fare un’operazione di pulizia sulle rispettive produzioni di queste band, oltre i trigger, oltre la dimensione bombastic del suono, oltre i synth e la post-production, sotto a tutto questo, spesso ci sarà l’impronta di Under a Funeral Moon.
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pettirosso1959 · 2 years ago
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Utilissimo ricordare cosa e come avvennero i fatti, pare che con questa polemica di oggi (Alfonso Bonafede-Nino Di Matteo), si ricalchi esattamente quello che successe tanti anni fa:
Oggi non è la ricorrenza della Strage di Capaci. Ma quello che successe il 19 gennaio di trent’anni fa fu una delle tappe che portarono all’isolamento di Giovanni Falcone. Uno dei tanti atti di ostilità e di gelosia che annunciarono pubblicamente la sua condanna a morte, raramente ricordati durante le commemorazioni e per questo necessari da ricordare.
Il Maxiprocesso era finito: la sentenza del 16 dicembre 1987 condannava la mafia per la prima volta nella storia d’Italia. Giovanni aveva vinto, ma era diventato “il morto che cammina”.
Come raccontato da Giovanni Brusca, l’uomo che avrebbe premuto il pulsante che fece detonare l’esplosivo allo svincolo per Capaci, Ignazio Salvo, un altro mafioso, gli disse che c’erano amici più in alto che avrebbero pensato a delegittimare Falcone, a cercare di ostacolarne la carriera. Che forse non ci sarebbe stato bisogno di ucciderlo.
Ad attaccare Falcone ci aveva già pensato Sciascia sul Corriere della Sera, in prima pagina, il 10 gennaio 1987, nel mezzo del Maxiprocesso, scatenando contro i giudici del Pool la celeberrima polemica dei “professionisti dell’antimafia”.
Antonino Caponnetto, allora anziano capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo e guida del Pool, conclusosi il Maxiprocesso decise di tornare a Firenze, avendo ricevuto rassicurazioni sul fatto che il suo erede naturale, Giovanni Falcone, avrebbe meritatamente preso il suo posto.
Ma le promesse non vennero mantenute, e le parole di Ignazio Salvo si rivelarono come una profezia: Falcone non avrebbe ottenuto quel posto. Partito Caponnetto si aprì il concorso per l’Ufficio Istruzione e a un uomo anziano con diverse e più grandi ambizioni venne chiesto di candidarsi per quel posto destinato a Falcone.
Antonino Meli non era un corrotto. Aveva però tutti i requisiti per essere il candidato ideale per soffiare il posto a Falcone: vent’anni di anzianità in più, ma sopratutto non capiva niente di mafia. Il tradizionale criterio dell’anzianità di servizio fu anteposto a quello del merito. Palermo in quegli anni aveva il più alto tasso di omicidi tra le città delle democrazie occidentali: nessuna ragione dunque per non applicare inflessibilmente quei tradizionali criteri di selezione basati sull’età.
Il 19 gennaio 1988 il CSM votò: 10 voti a favore di Giovanni Falcone, 14 a favore di Antonino Meli. Vanno ricordati tutti, uno a uno.
A favore di Meli votarono Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo della Rocca, Paciotti, Suraci, e Tatozzi.
A favore di Falcone Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d’Ayala, Racheli, Smuraglia, Ziccone.
Astenuti: Lombardi, Mirabelli, Papa, Pennacchini, Sgroi.
Come disse in seguito Borsellino, “il CSM mi fece un bel regalo di compleanno…“. Pochi mesi dopo, il Pool antimafia cessò di esistere.
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notiziariofinanziario · 2 months ago
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Ricorre oggi l'anniversario della morte in un agguato mafioso di Carlo Alberto dalla Chiesa
Carlo Alberto dalla Chiesa è stato un uomo di punta nella lotta contro il terrorismo, dopo l’omicidio del deputato comunista Pio La Torre e l’approvazione della legge sull’associazione a delinquere di stampo mafioso, fu nominato prefetto di Palermo con pieni poteri.  Alle 21:15 del 3 settembre 1982, a meno di un mese dal suo 62mo compleanno, la A112 sulla quale viaggiava e guidata dalla moglie, fu affiancata in via Isidoro Carini a Palermo da una Bmw Serie 5 guidata da Calogero Ganci con a fianco Antonino Madonia dalla quale furono esplose 30 raffiche di Kalashnikov AK-47. Per la coppia non ci fu scampo. L'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del Prefetto, venne a sua volta crivellata da una motocicletta Honda Cb, guidata da Giuseppe Lucchese con alle sue spalle Giuseppe Greco. Russo morì dopo dodici giorni di agonia all'ospedale di Palermo. Per i tre omicidi furono condannati all'ergastolo come mandanti i vertici di Cosa nostra: i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Giorgia Meloni: “Coraggio e dedizione” "Nell'anniversario della strage di Via Carini, ricordiamo con commozione il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo. Il loro sacrificio ci ricorda l'importanza di non abbassare mai la guardia nella lotta contro la criminalità organizzata e di difendere con fermezza i valori di legalità e giustizia". Così sui social il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che aggiunge: "Il coraggio e la dedizione del Generale dalla Chiesa, che ha combattuto senza sosta contro il terrorismo e la mafia, sono per noi un esempio e una guida. È nostro dovere onorare la sua memoria continuando con determinazione il suo impegno. L'Italia non dimentica". Read the full article
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lamilanomagazine · 5 months ago
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Vibo Valentia, droga, armi, omicidi ed estorsioni: arrestate 14 persone
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Vibo Valentia, droga, armi, omicidi ed estorsioni: arrestate 14 persone Nella mattinata odierna, 21 giugno 2024, i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Vibo Valentia con il supporto in fase esecutiva dei militari dei Comandi Provinciali Carabinieri di Reggio Calabria, Pescara, Chieti e Torino, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, nei confronti di 14 indagati, sulla base della ritenuta sussistenza di gravi indizi in ordine ai delitti, rispettivamente ipotizzati nei loro confronti, di associazione di tipo mafioso armata, omicidio plurimo, concorso esterno in associazione mafiosa, e altri gravi reati, aggravati dalle modalità e finalità mafiose, quali estorsione, coltivazione di sostanze stupefacenti, concorrenza illecita, turbata libertà degli incanti, rapina, reati in materia di armi. In particolare, dei 14 indagati, n. 13 sono raggiunti dalla misura di custodia cautelare in carcere e n. 1 è destinatario della misura degli arresti domiciliari. L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro e condotta dai Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Vibo Valentia, si è sviluppata mediante attività tecnica, servizi di OCP (L'osservazione controllo pedinamento) per i riscontri “sul campo”, acquisizioni e analisi di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, corroborate dai relativi riscontri, e anche con l’attivazione degli strumenti della cooperazione internazionale, tra cui la Squadra Investigativa Comune con le autorità elvetiche, e con il coordinamento di EUROJUST e quello di EUROPOL. Gli elementi indiziari acquisiti hanno consentito di delineare (nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) il protrarsi, nonostante precedenti provvedimenti giudiziari, dell’operatività, nell’area delle “Preserre” vibonesi, della cosca di ‘ndrangheta ricompresa nel “locale dell’Ariola”, con proiezioni economico-criminali in Piemonte, Abruzzo, Svizzera e Germania. La gravità indiziaria ha riguardato l’attuale assetto del sodalizio, determinatosi all’esito di un cruento scontro con altro gruppo, nell’alternanza degli equilibri criminali, anche con riti di affiliazione avvenuti durante lo stato di detenzione, dimostrando in tal modo la perseverante capacità di penetrazione della ‘ndrina all’interno degli istituti carcerari. In tale contesto, la gravità indiziaria conseguita, allo stato, sul piano cautelare, attraverso gli articolati e complessi approfondimenti investigativi, ha riguardato anche il triplice omicidio di mafia, commesso il 25 ottobre 2003 a Gerocarne (Vivo valentia) e noto come “Strage dell’Ariola”, inserito all’interno di una lunga faida sanguinosa tra famiglie rivali che si contendevano l’egemonia criminale sul territorio. Nell’ordinanza cautelare, nei confronti degli indagati, attinti dalle misure adottate, è stata ritenuta, allo stato, la gravità indiziaria, tra l’altro, con riferimento, rispettivamente, a plurime condotte illecite di estorsione, coltivazione di sostanze stupefacenti, concorrenza illecita, turbata libertà degli incanti, rapina, reati in materia di armi, aggravati dalle modalità e finalità mafiose. Contestualmente all’esecuzione della ordinanza cautelare, si è dato esecuzione a plurimi decreti di perquisizione nei confronti di ulteriori soggetti per i quali si è ipotizzato il coinvolgimento nelle vicende illecite investigate, alcuni dei quali dimoranti in altre regioni del territorio nazionale (Abruzzo e Piemonte) e taluni anche in Svizzera, procedendosi per questi ad attivare gli strumenti della cooperazione internazionale. Il procedimento per le fattispecie di reato ipotizzate è attualmente nella fase delle indagini preliminari.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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delectablywaywardbeard-blog · 7 months ago
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«A Torino c'è la mafia nigeriana». E guadagna grazie a droga, prostituzione e stupri di gruppo
Hanno saluti ben precisi e un ordine gerarchico che parte dal “Vaticano” e scende al Valhalla Marine, l’organizzazione che comanda a Torino. Dove commette omicidi e violenze contro i clan rivali, gestisce il traffico di droga e la prostituzione, per cui vengono arruolate le “Belle”: donne che entrano nel clan solo dopo una violenza sessuale di gruppo. E’ così che funzionano i Viking, gruppo…
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b0ringasfuck · 2 months ago
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Veramente la statistica dice che appena anche solo si sospetta di un crimine uno che non è bianco, parte la carica de "eh visto era nero, pene esemplari".
E allora vi si ricorda che siete delle facce da culo.
Per dire... Salvini mica ha detto un cazzo di quello che s'è barricato a San Candido, nemmeno di Nicoletta Rotaru.
Per altro l'attenzione di voi fasci è concentrata su stupri, omicidi, furti in appartamento. Quando si tratta di ndrangheta, mafia, corruzione, caporalato, voto di scambio, morti sul lavoro... la qualunque che riguardi potenti, colletti bianchi... non so, non ho visto, non c'ero e se c'ero dormivo...
Poi se manca una TAC in un ospedale e un sacco di gente rimane in carrozzina o peggio o se un operaio finisce in un macchinario, o se la ndrangheta sparge diossina per un'intera provincia... le descrizioni efferate si fanno solo per lo stupro o l'omicidio commesso da neri... gli altri salutavano sempre.
Poi "i poteri fooorti..." il "deep state"... e limonate con Musk.
Per i medioman più boccaloni fedeli alla linea, gli assassini possono essere di due sole tipologie: maschi bianchi autoctoni oppure "a nessuno dovrebbe importare delle origini".
Così come per gli stessi fenomeni esistono due tipologie situazionali di vittime femminili: per femminicidio oppure (se l'autore non è maschio bianco autoctono) "si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato". Fatalismo.
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unita2org · 10 months ago
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LE STRAGI E GLI OMICIDI SELETTIVI CONTRO IL PCI E LA COSTITUZIONE
tratto da malgradotutto.blog https://www.youtube.com/watch?v=9g8_5SmvyYg&t=40s Registrazione video della presentazione del libro «Chi ha ucciso Pio LaTorre. Omicidio di mafia o politico? di Paolo Mondani e Armando Sorrentino (Castelvecchi), registrato a Palermo venerdì 28 ottobre 2022 – Dibattito organizzato da Castelvecchi Editore.Sono intervenuti: Aaron Pettinari (caporedattore della rivista…
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claudio1959 · 11 months ago
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ex Allievi in evidenza: ROMA. INTERVISTA AL COMANDANTE GENERALE DELL'ARMA DEI CARABINIERI TEO LUZI
(articolo di sul QN Quotidiano Nazionale)
Il generale Luzi: "All’estero ci apprezzano. Teniamo alta la guardia contro il terrorismo"
Generale Teo Luzi, comandante generale dei carabinieri, quali sono i risultati conseguiti dall’Arma nell’anno che si chiude?
“Il 2023 è stato un anno di grande impegno. Con le altre Forze di Polizia abbiamo fatto il massimo per garantire la sicurezza degli italiani. Sono state implementate le relazioni con polizie estere, l’andamento dei reati è sotto controllo e la sicurezza è complessivamente migliore rispetto a tanti Stati europei. È stato scoperto il 96% dei 320 omicidi (che sono molti di meno di quelli consumati nella sola città di New York).
Siamo però consapevoli che la percezione della sicurezza da parte dei cittadini resta critica. Il 2023 è stato anche un anno straordinario nella lotta alla mafia, iniziato il 16 gennaio con la cattura di Matteo Messina Denaro, proseguito con l’arresto di oltre 500 mafiosi e il sequestro di circa 600 milioni di beni illecitamente accumulati. Ricordo che nell’anno sono rimasti feriti in servizio 1.700 carabinieri.
La disponibilità del governo di assegnare importanti risorse finanziarie per il rinnovo del contratto del personale contribuirà a elevare la motivazione nello svolgimento del servizio”.
Anche il web è teatro di frequenti reati.
“Per questo abbiamo costituito una rete nazionale dedicata alle investigazioni informatiche, incluse quelle nel dark web o in siti criptati”.
La tensione internazionale ha alzato il livello di allarme nelle missioni all’estero?
“L’Italia gode all’estero di grande considerazione, frutto anche dell’impegno nella costruzione della pace da parte delle nostre Forze armate in contesti internazionali fortemente critici. Questo abbassa la soglia di rischio. Tuttavia insieme con le altre componenti della sicurezza abbiamo elevato la capacità difensiva e di prevenzione...”.
Che compiti svolgono i due ufficiali dell’Arma inviati a Gerusalemme?
“Si tratta di due colonnelli esperti della questione arabo-israeliana. Svolgono un’attività di intermediazione tra le polizie palestinese e israeliana, a supporto del Comando statunitense che opera come coordinatore per la sicurezza tra Israele e l’Autorità palestinese.
L’’Arma gode di grande considerazione perché da oltre nove anni è impegnata a Gerico nell’addestramento delle forze di polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Ad oggi abbiamo formato oltre 4.800 operatori”.
I carabinieri in quante missioni estere sono presenti oggi e con che compiti?
“A sostegno dell’azione diplomatica italiana, abbiamo rapporti di collaborazione con polizie di 73 Paesi. Siamo fisicamente presenti in 16 missioni, che spaziano dal Cile al Messico, dai Balcani al confine est europeo, dal Niger alla Somalia, dalla Libia all’Iraq. Abbiamo stretti legami con gendarmerie di Paesi essenziali per la politica energetica italiana, tra cui Algeria e Qatar.
Inoltre, sono circa 400 i carabinieri che svolgono sostegno a forze di sicurezza locali. Ad esempio in Kosovo, dove nell’ambito della missione Nato opera un nostro Reggimento che favorisce il dialogo tra le etnie albanese e serba. O in Iraq dove addestriamo la polizia federale.
Sono collaborazioni che portiamo avanti anche in Italia, a Vicenza, presso il Centro di Eccellenza per la Polizia di Stabilità: qui, a partire dal 2005, abbiamo addestrato circa 14.000 dirigenti di polizia di oltre cento Paesi. Altri 500 carabinieri presidiano le Ambasciate italiane per le esigenze di sicurezza”.
C’è un pericolo effettivo di terrorismo arabo-palestinese in Italia?
“La minaccia è alta anche se ora non ci sono specifici elementi di allarme. Il dispositivo di prevenzione, che coinvolge tutte le componenti del sistema di sicurezza nazionale, è ben preparato per intercettare eventuali segnali di minaccia.
Il nostro livello di attenzione, in particolare da parte del Ros, è molto elevato. Si va dal ‘pattugliamento su internet’ alle unità antiterrorismo sul terreno e non viene sottovalutato il rischio di possibile attivazione di ‘lupi solitari’. Per quanti sforzi si possano fare, rimane comunque sempre un margine di imprevedibilità”.
Cosa nostra è ridimensionata dopo l’arresto e la morte di Messina Denaro?
“Messina Denaro rappresenta l’ultimo esponente di spicco della stagione stragista dei Corleonesi, catturato con uno straordinario impegno investigativo di Magistratura e Forze di Polizia. Il successo del Ros chiude una pagina, ma non abbassa l’attenzione su Cosa nostra siciliana e sulle altre mafie, anche attraverso l’ aggressione dei patrimoni illeciti. Cosa nostra, insieme alla ‘ndrangheta, resta un’organizzazione molto pericolosa e, pur ridimensionata, ha cambiato modello comportamentale.
Punta a gestire l’economia del territorio senza ricorrere necessariamente alla violenza”.
Quali sono le regioni del Nord Italia più inquinate dalle cosche?
“Ci sono aree del centro-nord nelle quali l’attività delle mafie è dimostrata con sentenze definitive. Penso alle nostre operazioni ‘Minotauro’ in Piemonte e ‘Aemilia’ in Emilia Romagna dove, insieme alle Procure Antimafia, sono stati svelati forti intrecci mafiosi.
È necessario sviluppare una nuova cultura nella società civile, per alimentare la consapevolezza che il condizionamento delle cosche è presente anche dove non si spara. Non ci sono zone franche”.
Per recuperare alla legalità zone degradate come Caivano cosa serve oltre alle operazioni di carabinieri e polizia?
“I carabinieri operano a Caivano con una Compagnia. L’azione di contrasto rappresenta un momento importante, ma non sufficiente, per riportare le aree degradate a condizioni dignitose.
Per questo si deve investire, come si sta facendo, nel rafforzare la prevenzione e la socialità. Questo è compito di tutti gli attori intermedi della società civile: enti territoriali, scuola, parrocchie, associazioni. Il Decreto Caivano è un ottimo punto di partenza”.
Quali sono i reati comuni che oggi più preoccupano?
“Oggi abbiamo che fare col frequente fenomeno dei femminicidi, riguardo al quale c’è sempre maggior consapevolezza che rappresenti una sconfitta sociale. L’Arma in questo settore ha fatto molto, avviando anche una campagna di formazione del proprio personale. Sono oltre 700 i marescialli e brigadieri specializzati nel contrasto della “violenza di genere”.
Presso le caserme sono state realizzate 175 “stanze rosa” dedicate all’ascolto protetto delle vittime e dei loro figli.
Gli altri reati che preoccupano la popolazione sono furti, rapine e scippi, spesso connessi con la diffusione di droghe.
Con le altre Forze di polizia abbiamo in atto piani coordinati per la prevenzione.
Uno dei fenomeni più odiosi e al quale ci stiamo dedicando con forza è quello delle truffe agli anziani contro cui svolgiamo anche campagne di sensibilizzazione”.
Come si educano i giovani sul concetto di legalità?
“L’Arma porta avanti un programma di diffusione della cultura della legalità nelle scuole e in altri luoghi di aggregazione giovanile. Due temi sono centrali: l’uso di stupefacenti e dell’alcol, sempre più diffusi. Nei quartieri più disagiati di alcune città, penso a Scampia di Napoli o allo Zen di Palermo, le nostre stazioni, che vivono sul territorio, sostengono anche le associazioni di zona o le parrocchie per togliere i ragazzi dalla strada.
Facciamo pure educazione stradale e ambientale. La tematica della legalità viene proposta anche con gli atleti dei nostri centri sportivi, come persone da emulare, perché lo sport è fatto di regole e sacrificio”.
Quale ruolo hanno i Carabinieri nella tutela dell’ambiente?
“Con l’unificazione dell’Arma con il Corpo Forestale i carabinieri sono diventati la maggiore forza di polizia ambientale del mondo. Tuteliamo gli ecosistemi e la biodiversità.
Abbiamo anche costituito un Centro di eccellenza ambientale a Sabaudia, sotto egida Onu, per sostenere i Paesi in via di sviluppo. E collaboriamo con la Fao per combattere la desertificazione e favorire le coltivazioni alimentari”... ben fatto 🎄🇮🇹⭐️🎄🇮🇹👍🎄🇮🇹 #UnaAcies
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campadailyblog · 4 months ago
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Giuseppe Calò: il boss della mafia siciliana
Giuseppe Calò, noto come “Pippo”, è un nome importante nella criminalità organizzata siciliana. Nato a Palermo nel 1931, si affiliò alla famiglia mafiosa di Porta Nuova all’età di 23 anni. Il suo giuramento fu preso da Tommaso Buscetta. Nel 1963, Calò divenne il nuovo capo della famiglia di Porta Nuova dopo la morte di Gaetano Filippone. In quell’anno, fu accusato di essere parte di una…
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curiositasmundi · 1 year ago
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Un personaggio sempre sullo sfondo di vicende misteriose, che appare e scompare, di quelli che non finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma il cui nome affiora più volte negli atti giudiziari degli ultimi trent’anni. A volte perché accostato alla mafia siciliana, più di recente alla ‘ndrangheta. L’uomo di cui parliamo ha quasi ottant’anni, è nato in Libia ma vive a Catania.
Si chiama Francesco Rapisarda e nel corso della vita ha stretto relazioni pericolose che – seppure non abbiano mai portato a imputazioni per associazione mafiosa – hanno contribuito ad alimentare sul suo conto ombre e misteri. Alcuni dei quali intrecciati con la massoneria. Ora che è al centro di inchieste dell’antimafia, il modo migliore per conoscerlo è risalire la linea del tempo.
Per ultimo il suo nome è comparso nell’inchiesta della procura di Catanzaro che, a inizio luglio, ha riacceso i riflettori sul villaggio Sayonara di Nicotera (Vibo Valentia), passato alla storia per avere ospitato, nell’estate ’92, uno dei summit in cui le ‘ndrine decisero di aderire alla strategia stragista inaugurata da Cosa nostra con le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che, l’anno dopo, avrebbe portato le bombe a Firenze, Roma e Milano.
Per i magistrati, tre decenni dopo quella riunione, il Sayonara era ancora in mano alla ‘ndrangheta. E a dimostrarlo sarebbe proprio la presenza al suo interno di Rapisarda. Sayonara simbolo di un’alleanza duratura tra le organizzazioni mafiose divise dallo Stretto di Messina.
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Per gli inquirenti, Rapisarda sarebbe arrivato al Sayonara forte di alcune referenze mafiose. In particolar modo da parte della famiglia Santapaola-Ercolano, che a Catania rappresenta Cosa nostra.
A sostegno di questa ipotesi, citano i fatti che nel 2016, l’anno prima di prendere la conduzione del lido, avevano portato Rapisarda e il fratello ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta Brotherood. Al centro dell’indagine erano finiti i punti di contatto tra esponenti della famiglia Ercolano e alcuni appartenenti a una loggia massonica di cui proprio Francesco Rapisarda era il sovrano.
Grazie a tali convergenze l’uomo, che è anche rappresentante di un’associazione che rimanda all’organo di governo del Rito Scozzese Antico ed Accettato, sarebbe riuscito a turbare un’asta giudiziaria e rientrare in possesso di un complesso industriale. Vicende per le quali Rapisarda è stato condannato a due anni e otto mesi in appello, dopo essere stato assolto in primo grado.
Per spiegare perché la vicinanza agli Ercolano avrebbe rappresentato un buon biglietto da visita agli occhi di Mancuso, i magistrati ricordano invece l’amicizia che lega il boss di Limbadi ad Aldo Ercolano, nipote del capomafia Nitto Santapaola e condannato all’ergastolo per diversi omicidi, tra cui quello del giornalista Giuseppe Fava.
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l capitolo più misterioso della biografia di Francesco Rapisarda risale, però, a tempi più remoti. Si tratta di una vicenda in cui, in prima battuta, venne tirato in ballo insieme al fratello Carmelo, per poi uscire di scena: il duplice delitto della Megara.
È il 30 ottobre 1990 quando, nella zona industriale di Catania, l’auto su cui viaggiavano Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio – amministratore e dirigente della più grande acciaieria di Sicilia – viene crivellata di colpi da un commando che, per gli investigatori dell’epoca, agì con «tecniche quasi militari».
Ad oggi non esistono colpevoli e l’indagine per tre volte è finita sul binario morto della richiesta di archiviazione. L’ultima attende il responso del gip, chiamato a valutare l’opposizione dei parenti delle vittime, convinti che non tutto il possibile sia stato fatto.
Sullo sfondo di questa storia c’è posto non solo la criminalità organizzata. Il 5 novembre 1990 una telefonata all’Ansa di Torino annunciò l’esecuzione di Rovetta e Vecchio per conto della Falange Armata, la sigla che ha accompagnato parte dei misteri italiani dagli anni Novanta in poi – dai delitti della Uno Bianca alle stragi – e che sarebbe sorta all’interno della settima divisione del Sismi, il servizio segreto militare. Di fatto, il duplice omicidio della Megara fu la seconda rivendicazione nella storia della Falange.
A mancare finora è stato anche il movente. L’acciaieria da tempo era nella morsa del racket e, con all’orizzonte una ristrutturazione miliardaria, Cosa nostra avrebbe avuto tutto l’interesse a evitare il clamore di un delitto eccellente.
È tra questi punti interrogativi che, a metà anni Novanta, compaiono sulla scena i fratelli Rapisarda: entrambi attivi nell’indotto della Megara, a citarli è il collaboratore di giustizia Giuseppe Ferone. Secondo il quale, Vecchio sarebbe stato ritenuto colpevole della riduzione di commesse a favore di una delle loro ditte e per questo destinatario di un’estorsione da parte degli emissari di un clan locale, a loro volta vicini ai Rapisarda.
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