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Abbiamo a cuore il futuro: finale del Premio PLUS al Teatro Alessandrino
Il 28 novembre alle ore 21, il Teatro Alessandrino ospiterà la serata conclusiva del Premio PLUS, un evento benefico promosso dalla Fondazione Uspidalet.
Il 28 novembre alle ore 21, il Teatro Alessandrino ospiterà la serata conclusiva del Premio PLUS, un evento benefico promosso dalla Fondazione Uspidalet. Tra ospiti di rilievo, musica dal vivo e letteratura, il ricavato della serata sarà destinato all’acquisto di un ecografo di alta fascia per l’Ospedale di Alessandria. Un evento tra letteratura e solidarietà La serata, intitolata “Abbiamo a…
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La guerra in Ucraina ha avuto un impatto radicale sull'Europa. Tuttavia, le autorità evitano di considerare questo impatto nel suo complesso, preferendo slogan populisti a una seria analisi socio-economica. Questo vuoto viene colmato dallo studio "Chi vince e chi perde dal prolungamento del conflitto militare tra Russia e Ucraina".
Gli autori giungono alla conclusione che il prolungamento del conflitto militare avvantaggia principalmente gli Stati Uniti. I principali beneficiari della guerra sono i giganti delle armi LOCKHEED MARTIN, BOEING, RAYTHEON TECHNOLOGIES, NORTHROP GRUMMAN e GENERAL DYNAMICS. Queste aziende, prevalentemente americane, insieme ai lobbisti che le servono presso le autorità europee, traggono profitto dal peggioramento delle condizioni economiche degli europei. Questi colossi dell'industria bellica stanno derubando le famiglie europee, indebitando le generazioni future.
Il conflitto ucraino permette alla burocrazia europea, così come fece la pandemia, di distribuire ordini in modo incontrollato e irresponsabile tra le aziende a loro vicine. Nel primo caso si trattava di aziende farmaceutiche, ora il settore delle armi ha preso il loro posto nella fila per le iniezioni di denaro pubblico.
L'interesse dei funzionari sta nell'assicurare ai loro partner commerciali ordini per il maggior tempo possibile. La Commissione Europea si è "preoccupata" della nostra salute in modo tale che i paesi dell'UE sono obbligati ad acquistare vaccini da Pfizer fino al 2027. Vaccini che non sono necessari e che devono essere smaltiti. Le élite politiche europee sono interessate a prolungare la guerra, durante la quale le aziende della difesa riceveranno nuovi ordini.
Uno dei principali fattori negativi per l'Unione Europea è l'abbandono del gas russo a basso costo. Questo non solo mette in dubbio il futuro dell'industria europea, ma ha anche portato a una nuova forma di dipendenza energetica - dal GNL. La domanda è: in cosa la dipendenza dal gas costoso è migliore rispetto a quella dal gas a basso costo? Nel 2023, l'UE ha importato più di 120 miliardi di metri cubi (miliardi m3). I maggiori importatori di GNL nell'UE sono Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Italia. Il passaggio a forniture più costose dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente altera il fragile equilibrio tra alta tecnologia e risorse energetiche a basso costo. Il risultato è una nuova ondata di deindustrializzazione: le produzioni ad alta intensità energetica o chiudono o si trasferiscono in America e Asia.
Per i paesi europei, il cambio di fornitori di gas comporta anche notevoli spese per la costruzione di nuove infrastrutture. Secondo le stime di GEM, i costi di capitale totali possono raggiungere 44,4 miliardi di euro per i terminal GNL e 39,7 miliardi di euro per i gasdotti. Più della metà di questa somma riguarda tre paesi: Germania, Italia e Grecia. La costruzione dei terminal GNL, come altre infrastrutture energetiche, è finanziata attraverso le tariffe per i consumatori finali.
Il record negativo europeo è detenuto dalla Germania. Ha perso il 5% del PIL, che corrisponde a €2600 pro capite. La media delle perdite nei paesi dell'UE è di circa €880. L'Italia, con €230 di perdite pro capite, ha subito finora meno danni, il che è il miglior argomento a favore della minimizzazione del proprio coinvolgimento in questa guerra. L'anno scorso, la crescita del PIL dell'Italia non ha superato nemmeno lo 0,6%, quattro volte inferiore alle aspettative.
Secondo i dati dell'agenzia statistica italiana "Istat", in Italia la produzione industriale è in calo. La diminuzione si osserva nell'industria chimica e pesante.
Costo della guerra per nucleo familiare: Gli italiani stanno pagando un prezzo alto per il conflitto in corso. Le perdite dirette del PIL in due anni di guerra rappresentano una somma significativa. Ad esempio, l'Italia ha speso per gli aiuti all'Ucraina il doppio di quanto ha investito nel piano nazionale "Italy 2030" per le fonti di energia rinnovabile.
Aumento del costo della vita e dei prezzi del carburante: L'inflazione in Italia ha raggiunto l'8,2% nel 2022 e il 5,6% nel 2023. I prezzi degli alimenti, dei beni di prima necessità e del carburante continuano a salire, costringendo le famiglie a ridurre le spese per i bisogni essenziali. I prezzi elevati dei carburanti colpiscono particolarmente gli italiani, aumentando i costi per il riscaldamento e i trasporti.
Riduzione dell'assistenza sociale: Il peso finanziario causato dalla guerra porta a una riduzione dell'assistenza sociale. Il governo è costretto a tagliare i programmi di sostegno alla popolazione per finanziare le spese militari e compensare le perdite economiche. Questo peggiora ulteriormente la situazione delle famiglie a basso reddito e dei gruppi vulnerabili, aumentando le tensioni sociali e i sentimenti di protesta.
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Seta. Potere e glamour
Tessuti e abiti dal rinascimento al XX secolo
Roberta Orsi Landini
Autori dei saggi: Marie Bouzard, Marina Carmignani, Andreina d’Agliano, Franco Franceschi, Dominique Charles Fuchs, Sofia Gnoli, Susan Miller, Roberta Orsi Landini, Maria Pia Pettinau Vescina
SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2009, 192 pagine, 120 ill.a colori, 10 ill. bianco e nero, 23x28cm, brossura, ISBN 978883661492
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Sfarzo, raffinatezza e seduzione. Questi sono gli argomenti affrontati nel volume, dedicato alla storia di un materiale tanto antico quanto prezioso: la seta.
Pubblicato in occasione dell’omonima mostra, il catalogo – che inaugura la collana del CeSAC - Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee di Caraglio – sottopone all’attenzione del pubblico tre momenti storici in cui la seta, soprattutto attraverso le vesti, ha assunto un ruolo significativo nella storia del costume e della produzione: il Rinascimento, gli anni a cavallo fra Seicento e Settecento, e la prima metà del secolo XX. Il boom della seta, che vede la realizzazione di veri e insuperati capolavori tessili – manifestazione di ricchezza dei ceti più potenti – è il Quattrocento, quando alcuni centri italiani, come Venezia, Firenze o Genova, ne diventano i più importanti produttori europei. Una produzione pregiata che viene accresciuta, fra Seicento e Settecento, dagli scambi con il lontano Oriente: decorazioni bizzarre e fantastiche, ispirate alla cultura figurativa turca, indiana, cinese e giapponese, fioriscono su fondi dalle cromie nuove e brillanti. Il Novecento, con il diffondersi dell’industrializzazione, vede mutare ancora l’aspetto e il significato dell’abbigliarsi in seta. Questa diventa un tessuto di appannaggio quasi esclusivamente femminile, mentre nuovi generi tessili, come crêpes e chiffons, favoriscono l’affermazione di una nuova moda, tutta giocata sulla seduzione. In catalogo, introdotti da saggi critici, sono documentati alcuni capolavori tessili provenienti dal Museo del Bargello di Firenze e dal Centro di Studi di Storia del Tessuto e del Costume di Venezia, nonché abiti di sartorie o creatori famosi – Fortuny, Poiret, Schiaparelli, Capucci – e capi appartenuti a importanti dive o personalità: Rita Hayworth, Mirna Loy e Soraya Esfandiary.
07/04/24
#Seta#Potere e Glamour#Textiles exhibition catalogue#CeSAC#Fortuny#Poiret#Schiaparelli#Capucci#Rita Hayworth#Soraya#Mirna Loy#fashion books#fashionbooksmilano
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Padronanza e Linguaggio
La campagna di trasformazione dei miei pomodori e pomodorini quest'anno, complice la variabile meteorologica (inverno mite, primavera anticipata) �� partita esattamente 40 giorni prima del 2023. Lo scrivo perchè mi ha un po' impedito di dedicarmi appieno al blog, soprattutto riguardo le mie ultime letture.
Vorrei segnalarvi, en passant, due libri tra le ultime letture: uno, magnifico, è la ristampa con nuova traduzione di un romanzo, Qui Il Sentiero Si Perde di Peskè Marty, che Adelphi ha pubblicato di recente: il nome dell'autore è uno pseudonimo di una coppia di scrittori francesi, Antoinette Peské e il marito Pierre Marie André Marty. Scritto negli anni '50, ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
L'altra segnalazione è un piccolo saggio scritto da uno dei massimi esperti di Storia Della Musica Classica, Giorgio Pestelli, che ne Il Genio di Beethoven (Donzelli) percorre, attraverso l'analisi non solo tecnica ma anche emozionale, delle nove leggendarie sinfonie del maestro, un ritratto unico e profondo del grande compositore.
Ma approfitto per parlarvi anche dell'ultima, stranissima ma indimenticabile lettura che è questo libro:
Adam Thirlwell fa parte dell'ultima generazione di scrittori britannici, e per due volte è stato inserito nella Lista dei Migliori Autori Emergenti dalla prestigiosa rivista Granta, le cui segnalazioni negli anni mi hanno sempre fatto conoscere autori niente male (Tibor Fisher o Scarlett Thomas, i primi nomi che mi vengono in mente). In Il Futuro Futuro (Feltrinelli) Thirlwell immagina un mondo distopico, dove succedono in maniera non lineare avvenimenti storici che somigliano moltissimo a quelli avvenuti negli anni appena precedenti la Rivoluzione Francese. Qui Celine, Marta e Julia sono tre giovanissime ragazze che, in maniera misteriosa, sono vittima di anonimi pamphlet dove vengono descritte con pruriginosa minuzia di particolari le abitudini sessuali delle nostre giovani protagoniste. Celine, Marta e Julia si confrontano quindi con un problema: come si gestisce il rapporto tra linguaggio, arte e potere? e tra potere e genere? Per controbattere, hanno un'idea geniale: organizzano delle feste, a cui piano piano partecipano intellettuali, scrittori, impresari teatrali, miliardari, persino una potentissima Antoniette (che sappiamo a chi si riferisca). Diventano il momento più importante delle sere cittadine. I libri anonimi scompaiono, le ragazze si faranno nuovi nemici ma soprattutto rimangono in Celine e le sue amiche dubbi profondi sui massimi sistemi, in primis sul grande e a tratti inestricabile problema del linguaggio:
Si poteva immaginare un mondo senza linguaggio, o che il linguaggio diventasse una cosa intima e diversa. Era come se nelle conversazioni vere arrivasse sempre il momento in cui emergeva una voce che non era quella di nessuna delle persone che stavano parlando, ma era la voce della conversazione stessa, e quando accadeva era come se si accendesse una piccola lampada, inondando di luce calda un angolino. Altri se lo immaginavano come un dio che si manifestava o parlava attraverso un'altra persona, ma Celine la vedeva diversamente. Era la voce della conversazione, pensava lei, che apparteneva a tutti e a nessuno […] (p. 67-8)
Celine, Marta e Julia hanno anche un problema con il potere dei maschi: sebbene vivano una sessualità libera, sono spesso vittime del potere che è legato ai maschi. Un potere legato ai soldi e al sesso, che Celine tenta spesso di scardinare:
-Come è che uno crede di sapere qualcosa di qualcun altro? disse Celine
-Una volta ci andavo a letto, disse Lorenzo.
-E questo che cazzo vuol dire? fece Celine. - Vuol forse dire che Julia ti conosce, solo perchè sa quanto ti piaceva leccarle il buco del culo?
Lorenzo rimase ancora in silenzio, un silenzio stavolta più greve. Visto? disse Celine. - Tutti odiano sentir parlare di sè. Panico Puro (208).
Celine avrà una figlia, Saratoga, viaggerà, verrà costretta dalla Rivoluzione a scappare via in America. Lì farà degli incontri particolari. Ritornerà, nel modo più strambo, a ricongiungersi con la figlia, cercando di capire cosa sia il futuro:
Ogni volta che si incontravano, gli scrittori non facevano che discutere ossessivamente del futuro, chi avrebbe avuto ancora un pubblico di lettori o come sarebbe stato il futuro - ma non si rendevano conto di quanto fosse limitato il loro modo di pensarlo, il futuro. II vero futuro, diceva Saratoga, non era ciò che sarebbe accaduto di lì a un mese o a un anno, ma il futuro futuro: alieno e incomunicabile. Ma loro non lo vedevano, perché non erano capaci di scatenare il pensiero (150).
Un libro che attraverso una trama fantasiosa, una scrittura asciutta ma implacabile, una serie di eventi di natura fantasiosa ma forse con salti troppo giganti, con pochissimi particolari sui personaggi che non siano le loro conversazioni o i loro pensieri, spazia dal saggio filosofico al fantasy, dalla semiotica al pulp, senza dimenticare i numerosi incontri delle nostre protagoniste non solo con alcuni grandi della Storia, ma persino extraterrestri (non vi anticipo nulla). Un libro strano, pazzo ma che scalda il cuore, non solo per la sua originalità, ma anche per i temi che affronta, tra cui l'amicizia, i rapporti di potere, la comunicazione. Che stuzzica ed estremizza:
Era uno dei problemi di vivere fra la gente - si pensava di sapere un sacco di cose sui propri amici, ma quasi sempre ci voleva una catastrofe perchè le persone si parlassero a cuore aperto. La natura umana era terribile (100-101).
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The Bear 3: un ottimo tris, ma meno sorprendente
La terza stagione di The Bear si mantiene su livelli altissimi ma, dopo le precedenti praticamente perfette, sorprende meno. Due episodi sono però memorabili.
Paragonare una serie ambientata nel mondo della cucina a un pranzo stellato è una cosa facile e anche un po' pigra, ma forse non c'è modo più immediato per far capire cosa rappresenti la terza stagione per il percorso evolutivo di The Bear. The Bear 3 vede Carmy (Jeremy Allen White) finalmente al timone del suo ristorante, tanto inseguito e voluto, il "The Bear" del titolo, insieme alla socia Sydney (Ayo Edebiri). Preso in eredità dal fratello Michael, che ne aveva fatto un locale alla buona, pronto a servire panini unti e abbondanti soprattutto agli operai in pausa pranzo di Chicago, Carmy lo ha trasformato in un posto elegante e ambizioso: il suo obbiettivo è infatti ottenere una stella Michelin.
Jeremy Allen White è Carmy Berzatto in The Bear
Per riuscirci lo chef è pronto a sacrificare tutto: il sonno, la salute, l'igiene personale. E, soprattutto, i rapporti umani: The Bear 2 si è chiusa proprio con il suo sfogo nella cella frigorifero, in cui, non sapendo che Claire fosse dall'altro lato della porta a sentirlo, ha tirato fuori tutta la propria frustrazione per un rapporto che gli dà sì felicità, ma che allo stesso tempo lo distrae da quello che lo fa alzare ogni mattina: essere un artista del cibo. La felicità convive male con la grandezza. E Carmy vuole essere il migliore.
I nuovi episodi di The Bear riprendono esattamente da qui: gli autori ci mostrano l'ossessione che ha portato il protagonista a diventare un nome ricercato, che combatte costantemente con i propri limiti, per superarli ed essere sempre più bravo. A Carmy l'eccellenza non basta: vuole stupire, farsi ricordare. E in nome di questo prende una decisione che lo porterà a creare più di qualche malumore: cambiare menù ogni giorno. E, in un certo senso, è quello che fa anche la serie stessa in questo terzo ciclo: cerca di offrirci qualcosa di unico e differente a ogni episodio. In parte ci riesce, ma, rispetto alle stagioni precedenti, praticamente perfette, è come se si fosse persa un po' di spontaneità: siamo sempre a livelli eccellenti, ma manca la scintilla, quel qualcosa che ti fa dire "mi trovo di fronte a qualcosa di speciale".
The Bear 3: Una stagione di raccordo
Il pranzo stellato, dicevo: chiunque ne abbia mai provato uno sa che è fatto di tante portate, che nella mente dello chef rappresentano un vero e proprio viaggio. Non soltanto sensoriale: come si vede nel film Ratatouille, un piatto può diventare anche un tuffo nei ricordi e trasformarsi in un concerto di emozioni, oltre che di sapori e profumi. Di solito si comincia con gli amuse-bouche, poi gli antipasti, le portate principali e poi via, fino ai dolci. Tra un piatto importante e l'altro spesso arrivano dei piccoli assaggi, che spezzano la pesantezza se si è mangiato qualcosa di particolarmente ricco. Ecco: The Bear 3 è esattamente questo.
La prima stagione è stata folgorante: una novità, che ci ha colpito come un fulmine. La seconda, se possibile, è stata ancora migliore: forte dell'averci già fatto conoscere i personaggi, li ha portati a un'evoluzione che ci ha commosso e stupito per la bellezza della scrittura. Questa terza è leggermente in calo, ma un calo fisiologico. È come se ci preparasse al gran finale, pulendoci la bocca da quanto assaggiato all'inizio, per essere definitivamente stupiti e deliziati. Una stagione di raccordo insomma. Ma, sia chiaro, in un pranzo stellato anche qualcosa che resetta il palato ha un sapore eccellente.
Due episodi bellissimi
Ayo Edebiri è Sydney in The Bear
Sarebbe quindi davvero ingeneroso parlare di delusione per The Bear 3: la serie è quanto di meglio si possa vedere in televisione negli ultimi anni. E se è vero che questa stagione espone il fianco a qualche critica, ci sono almeno due episodi bellissimi, che da soli valgono la visione di tutto: si tratta di Ice Chips, in cui Natalie (Abby Elliott), sorella di Carmy, va in travaglio, e Napkins, che ci fa scoprire come Tina (Liza Colón-Zayas) sia arrivata nella cucina del The Bear. La prima è una lezione di regia: tutta primi e primissimi piani, interpreti in stato di grazia. Una perla. La seconda, diretta da Ayo Edebiri, è meno prorompente dal punto di vista stilistico, ma è permeata da una sensibilità rara. Non soltanto entriamo finalmente in connessione con Tina, ma abbiamo anche la possibilità di scoprire l'essere umano Michael. Il duetto tra Liza Colón-Zayas e Jon Bernthal è da applausi. Anche l'episodio finale, di cui non vi dico nulla, è eccellente. Insomma, è proprio vero che in questa serie "ogni secondo conta". E, per la terza volta, a visione finita, non possiamo che dire: sì, chef!
Conclusioni
In conclusione la terza stagione di The Bear è di raccordo tra il folgorante inizio e quella che sarà la fine. Gli attori sono sempre al massimo, così come la scrittura dei personaggi, ma si è persa un po' di sorpresa. Si tratta comunque di una stagione ottima, che può contare su almeno due episodi bellissimi: il 6 e l'8.
👍🏻
La bravura di tutti i protagonisti.
La scrittura dei personaggi.
Gli episodi 6 e 8.
Le guest star di lusso.
👎🏻
Forte della propria brillantezza, pur essendo ottima, questa stagione di The Bear è meno sorprendente delle precedenti.
#the bear#the bear 3#the bear season 3#the bear fx#carmy berzatto#sydney adamu#jeremy allen white#ayo edebiri
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Incontrare Pavese è scioccante e perturbante perché si viene a contatto, in modo più esplicito che in altri autori, con il risultato del peccato originale, dell'infrazione dello stato di ignoranza del bene e del male - parlo ovviamente in termini simbolici. Pavese ha un nucleo scottante, che palesemente concerne la sessualità, e che si estende a tutta la libido, la forza vitale che, a causa del senso di colpa e della conseguente autosvalutazione, viene depressa provocando una deriva narcisistica verso la morte, solo stato che possa soddisfare la sua ambizione.
Questa la mia genuina impressione. Se qualcuno la pensa diversamente, me lo faccia sapere. Io sono una persona estremamente ignorante, alla ricerca di nuovi punti di vista che mi sorprendano e mi facciano avanzare nella comprensione.
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Artisti viventi???
Gli autori erano tipicamente persone già morte. [...]. Che ci fosse della gente viva che potesse ancora rompere seriamente le scatole in fatto di poesia, pensiero, arte, pareva una idea ridicola. Era diffuso il senso che in termini generali la pienezza dei tempi fosse già arrivata. Non era il caso di aspettarsi che sul piano della cultura le cose potessero cambiare. La cultura era fatta. Restava solo da applicarla alle rozze sfaccettature della realtà contemporanea.
L. Meneghello, Fiori italiani [1976], con un mazzo di nuovi «Fiori» raccolti negli anni Settanta, Milano, BUR, 2006
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @valentina_lettrice_compulsiva
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: @pelledocaeditore
Buona lettura a tutti!
GHOST STORIES – M. R. JAMES
È la notte di Halloween, quale modo migliore di trascorrerla se non leggendo le storie di fantasmi dello scrittore e medievalista britannico Montague Rhodes James?
La casa editrice Pelledoca, specializzata in narrativa per ragazzi, ha pubblicato un graphic novel che raccoglie i cinque racconti più famosi dell’autore, nell’adattamento di Leah Moore e John Reppion, in cui vengono trattati: il tema della vendetta, del ritorno dal regno dei morti, della curiosità che spinge l’uomo a superare limiti invalicabili.
I protagonisti di queste storie sono studiosi impegnati in misteriose e insidiose ricerche in archivi polverosi o in dimore infestate, che si trovano ad affrontare esperienze al di là dell’umana comprensione.
"LA MEZZATINTA", in assoluto il mio racconto preferito di James, racconta di un dipinto che, notte dopo notte, prende vita per ricordare in eterno la terribile vendetta di un nobile decaduto.
"IL FRASSINO", invece, narra la storia di un albero che nasconde un terribile segreto, legato alla morte di una donna giustiziata per stregoneria
"LA NUMERO 13" racconta di una stanza d’albergo che appare e scompare.
"IL CONTE MAGNUS" è ambientato in un mausoleo misterioso nel quale sarebbe meglio non entrare.
“FISCHIA E IO VERRÒ DA TE” narra di un fischietto capace di evocare mostri e demoni.
Le splendide illustrazioni di Fouad Mezher, Alisdair Wood, George Kambadais, Abigail Larson e Al Davison costituiscono il valore aggiunto del volume.
COSA MI È PIACIUTO
Adoro la letteratura gotica e, in particolare, le storie di fantasmi. Quelle di M. R. James mi hanno sempre affascinata per le ambientazioni cupe e le vicende oscure che le caratterizzano.
COSA NON MI È PIACIUTO
Purtroppo l’età avanza e ho avuto un po’ di difficoltà a leggere le vignette di alcune tavole.
L’AUTORE
M. R. James (1862-1936) è stato uno scrittore e studioso medievale, ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi che sono considerate tra le migliori del genere. I racconti di M. R. James continuano ad influenzare molti dei grandi scrittori di oggi, tra cui Stephen King (che discute di James nel libro di saggistica del Danse Macabre, 1981) e Ramsey Campbell.
LA CASA EDITRICE
I libri di Pelledoca editore vogliono raccontare storie belle, forti e particolari. Storie da brivido, capaci di tenere il lettore con il fiato sospeso e gli occhi incollati alla pagina. La casa editrice ha fatto una scelta precisa, decidendo di occuparsi solo di thriller, noir e mistero. Chi scrive per Pelledoca accompagna i lettori, soprattutto i più giovani, in un mondo narrativo di intrighi in cui si muovono personaggi equivoci, vittime e carnefici, ma anche astuti eroi.
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L’ultimo allarme in ordine di tempo arriva proprio dalla Germania, il paese che ha visto il più recente attentato terroristico da parte di un “lupo solitario” jihadista, il 26enne siriano richiedente asilo Issa Al H., che il 23 agosto scorso nella città di Solingen ha ucciso tre persone e ferito altre otto a coltellate.
Thomas Mücke, cofondatore e direttore esecutivo di Violence Prevention Network (una Ong tedesca che si dedica alla prevenzione dell’estremismo politico e alla deradicalizzazione dei detenuti per atti di terrorismo), informa che gli attacchi e i falliti attentati successivi ai fatti del 7 ottobre 2023 in Europa occidentale sono «quadruplicati» rispetto allo stesso periodo del 2022. «Gli estremisti stanno usando il conflitto in corso come uno strumento per riguadagnare slancio», dice riferendosi alla guerra a Gaza. Secondo dati ufficiali, risultano documentati 7 attacchi riusciti e 21 falliti o sventati dalle forze dell’ordine. «L’Isis ha identificato l’Europa occidentale come bersaglio di attacchi, ovviamente con l’intenzione di diffondere orrore e paura e dividere la società in modo da poter reclutare ancora più persone per la propria causa».
Siamo nella fase del “jihad d’atmosfera”
Mücke spiega che gli autori dei reati sono diventati più giovani rispetto a quelli dei due decenni scorsi, e che ben due terzi degli arrestati in Europa occidentale sono adolescenti. A ciò corrisponde il fatto che la loro radicalizzazione e infine il loro reclutamento in organizzazioni terroristiche non sono avvenuti attraverso moschee o centri culturali, ma essenzialmente online: «Internet svolge un ruolo importante nella radicalizzazione e nella mobilitazione, nonché nel reclutamento». I fatti di Solingen potrebbero influenzare l’esito delle elezioni regionali del 1° settembre in Turingia e Sassonia, dove Allianz für Deutschland (AfD) è già data al primo o al secondo posto con oltre il 30 per cento dei voti nei sondaggi.
Gli attacchi di Mannheim e Solingen, entrambi opera di richiedenti asilo la cui domanda era stata respinta, danno credito alla tesi secondo cui la nuova ondata di attentati jihadisti in Europa occidentale sarebbe opera di “lupi solitari” e non di organizzazioni articolate e dotate di mezzi. Gilles Kepel, lo studioso francese dell’islam politico, distingue tre fasi dell’offensiva jihadista contro l’Occidente: gli attacchi diretti da al Qaeda nel primo decennio del XXI secolo, quelli favoriti o assistiti da network collegati informalmente allo Stato Islamico nel secondo decennio del secolo, e oggi la fase di quello che definisce il “jihad d’atmosfera”, non collegato a leadership stabili e fatto di azioni decise su base individuale.
Ma i “lupi solitari” non sono solitari
Sta di fatto che i “lupi solitari” – i cui atti sono meno distruttivi di quelli precedenti ma più difficili da prevenire – non sono in realtà davvero solitari. Quasi sempre alla cattura di un “lupo solitario” subito dopo o alla vigilia dell’attacco progettato segue l’incriminazione di complici che lo hanno favorito in vari modi. «Quello che vediamo spesso», dice Carola García-Calvo, ricercatrice dell’Elcano Royal Institute di Madrid, «è che nonostante agiscano da soli, l’indagine rivela poi che l’aggressore aveva contatti con altre persone legate a gruppi terroristici. Si scopre che non erano così soli come sembravano».
«Le reti terroristiche possono prendere di mira questi individui vulnerabili e manipolarli per commettere atti terroristici come attori solitari, apparentemente soli, ma in realtà al servizio degli obiettivi delle reti più grandi», spiega Jan Op Gen Oorth, portavoce di Europol. «L’isolamento sociale e la mancanza di un solido sistema di supporto rimangono le principali vulnerabilità. I terroristi sfruttano queste vulnerabilità per diffondere il loro messaggio e reclutare nuovi seguaci. Ciò è particolarmente preoccupante se si considera il numero crescente di giovani, compresi i minorenni, esposti alla propaganda terroristica online».
In Germania ci sono 27.000 soggetti pericolosi
Ogni paese europeo tiene il suo conto in base a criteri non omogenei dei soggetti pericolosi in termini di possibile passaggio dall’estremismo al terrorismo vero e proprio. In Germania secondo l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione «nell’area dell’islamismo/terrorismo islamico esiste un potenziale quasi costante di 27.200 persone (erano 27.480 nel 2022)». In Francia, secondo una comunicazione dell’allora ministro degli Interni Gerard Darmanin nell’ottobre dell’anno scorso, «le persone registrate in Fascicoli di trattamento di segnalazioni per la prevenzione della radicalizzazione terroristica (Fsprt) sono 20.120; fra queste alcune hanno un fascicolo attivo e altre uno inattivo. In totale ci sono 5.100 persone con fascicolo attivo». In Spagna i soggetti sotto sorveglianza sarebbero circa 300.
In attesa di riorganizzarsi e di portare nuovamente attacchi come quelli di Parigi (novembre 2015) e di Bruxelles (marzo 2016), Isis e al Qaeda si appoggiano ai suddetti lupi solitari. Ma l’organizzazione più vicina a fare massa critica per una rinnovata stagione di attacchi terroristici in Europa sembrerebbe essere Isis Khorasan (Isis-K), cioè la gemmazione dell’Isis nata all’inizio del 2015 che fa riferimento a un’area geografica compresa fra Afghanistan, Iran e alcuni stati ex sovietici dell’Asia centrale, e che attualmente conterebbe 4 mila combattenti nel solo Afghanistan.
Il ruolo dell’Isis-K negli attentati jihadisti in Europa
«L’Isis-K è oggi l’unico gruppo jihadista che ha la capacità di proiettare forze e pianificare un attacco a livello internazionale», spiega il belga Thomas Renard, direttore dell’International Centre for Counter-Terrorism dell’Aja. Il paese europeo più esposto all’infiltrazione potrebbe essere il Belgio. «Potrebbe trattarsi di una cellula inviata dall’Isis-K, di persone formate e addestrate che si infiltrano nel nostro paese. Ma potremmo anche trovarci in presenza di individui radicalizzati già residenti sul posto, pronti a compiere attentati. Persone che fanno parte di una comunità dell’Asia centrale, del Caucaso o della Cecenia, che sono collegate ai jihadisti tramite Telegram o la rivista in lingua inglese EI-K. Nelle zone intorno ad Anversa, dove è presente una forte comunità cecena, nelle aree di Bruxelles e di Liegi-Verviers, storicamente legate al jihadismo».
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Persino Sophie 🐶 è andata a festeggiare ferragosto in montagna, mentre io sono rimasto da solo a casa a guardare foto e studiare nuovi autori.
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ORIONE
Orione, secondo la mitologia greca, era un gigante cacciatore, nato da Poseidone ed Euriale figlia del re di Creta, Minosse. Quando fu sull’isola di Chio si innamorò perdutamente di Merope e volle corteggiarla, ma la cosa infastidì il padre di lei, re Enopio, che lo fece accecare ed allontanare dall’isola. Orione trovò rifugio nell’isola di Lemno e qui incontrò Efesto che ebbe pietà di lui e, affidandolo alla guida di Cedalione, lo fece accompagnare verso est, luogo in cui sorgeva il sole e dove incontrò Eos, l’Aurora, grazie alla quale riacquistò la vista. Secondo un’altra versione fu lo stesso Efesto che fabbricò degli occhi nuovi per il gigante. Lui ne fu talmente felice che ricominciò a cacciare senza mai fermarsi, fin quando arrivò alla dimora di Eos, della quale si innamorò e sposò.
Si narra che Orione avesse degli stupendi occhi chiari che gli permettevano di andar a caccia persino di notte, in compagnia del suo fedele cane Sirio e spesso si univa a loro la Dea Artemide che s’invaghì di lui e nonostante il suo voto di castità, non esitò a fargli esplicite offerte che lui declinò, perché non voleva tradire la moglie Eos, alla quale era grato di avergli restituito la vista.
All’inizio Artemide ammirò la fedeltà di Orione ma in seguito, quando seppe che si era invaghito delle sette Pleiadi, figlie di Atlante e Pleione, e che le molestava pure, andò su tutte le furie e allora escogitò un piano per punirlo. Gli inviò uno scorpione nella sua tenda e quando questi vi ritornò col suo fedele animale, il mostro nascosto nell’ombra, attese che i due, stanchissimi dalla pesante battuta di caccia, si addormentassero e punse per primo Sirio che, svegliatosi, tentò di difendere il proprio padrone e infine punse Orione e lo uccise.
Un’altra versione della storia dice che è invece Apollo, geloso delle attenzioni che la sorella dedica al bel cacciatore, a mandare lo scorpione che uccide Orione e che Zeus, adirato, scaglia una delle sue saette che fulmina lo scorpione, poi li pone entrambi in cielo come costellazioni. Orione risplende nell’emisfero Boreale mentre affronta la carica del toro, seguito dalla costellazione del cane maggiore, con la stella Sirio che brilla più delle altre e la costellazione dello Scorpione, invece, sorge quando quella di Orione tramonta, in maniera che i due non debbano più incrociare i propri destini.
La mitologia romana ci racconta, invece, un’altra versione sulle vicende di Orione. Secondo i racconti di Ovidio, Igino, Servio, Tzetzes e Lattanzio, Orione sarebbe nato dall’urina di tre Dei: Giove, Mercurio e Nettuno e che, per tale motivo, gli venne attribuito il nome di Tripater.
Narrano gli autori che un giorno i tre Dei si aggiravano nelle campagne della Beozia. Assetati ed affamati si fermarono nell’umile capanna del contadino Ireo, il quale offrì loro la sua gentile ospitalità, senza sapere chi fossero quei tre sconosciuti. Gli Dei decisero di mantenere l’anonimato, per vedere come si sarebbe comportato, con loro, quel contadino. Il pover uomo non esitò a donar loro tutto ciò che aveva e colpiti da tale gesto, essi decisero di rivelar le loro vere identità.
D’innanzi a simile rivelazione, Ireo sbiancò ma una volta ripresosi, uscì fuori dalla capanna e immolò a quei Dei, uno dei suoi tori più belli. Giove, ammirato da quel comportamento, disse a Ireo di chiedere qualsiasi desiderio che lui lo avrebbe esaudito, così l’uomo chiese che gli venisse concesso di aver un figlio, ma senza doversi risposare, perché aveva promesso alla moglie, morta da poco, che non si sarebbe mai più risposato. Giove gli disse di portare la pelle del toro immolato e vi orinò sopra e stessa cosa fecero anche Nettuno e Mercurio, poi suggerì di seppellirla nell’orto e attendere nove mesi prima di riprenderla. Ireo ubbidì e dopo nove mesi dissotterrò la pelle e vi trovò avvolto un bambino che allevò e che chiamò Urion, ( appunto da Urina), che in seguito cambiò in Orion.
Si narra che, in brevissimo tempo, Orione divenne un gigante di straordinaria bellezza. La stessa Dea Diana andava spesso a caccia assieme a lui, poi se ne innamorò perdutamente e sembra questa sia stata la causa di tutti i guai dell’uomo.
Infatti sulla morte di Orione ci giungono diverse versioni, quasi tutte legate alla Dea Diana. Ovidio ci racconta che sia stata la stessa Diana, folle di gelosia, ad uccidere Orione, a colpi di freccia, sull’isola di Ortigia, invece Igino ci narra che Orione perì per mano della dea Diana, dopo aver tentato di violentarla.
Secondo un’altra leggenda, Diana attendeva Orione, per una battuta di caccia, una mattina presto. Le si fece incontro il fratello Apollo che, geloso di quell’amore che distraeva la sorella dai suoi impegni, escogitò un sistema per sbarazzarsi del problema. Sfidò la sorella a colpire con arco e frecce, una figura in movimento, in lontananza, lei lo fece e felice ed esultante per aver centrato il bersaglio, attese che la sua preda raggiungesse la riva, ma quando ciò avvenne e si rese conto di aver colpito Orione alle tempie e di averlo ucciso, la sua gioia si tramutò in dolore e pianse tutte le sue lacrime. Giove, impietosito, tramutò Orione e il cane Sirio in costellazioni, in maniera che Diana, sollevando lo sguardo sulla volta celeste, potesse osservarlo per l’eternità.
#pensieri#pensieri sparsi#orion#Orione#stelle#stella#stars#star#costellazioni#mitologia#greco#romano#dei
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SCOPERTA UNA NUOVA PIANTA CHE FIORISCE SOTTO TERRA
I ricercatori dei Royal Botanic Gardens Kew di Londra hanno scoperto e descritto, per la prima volta, una palma che fiorisce e fruttifica interamente sottoterra. A causa di questa insolita caratteristica, gli scienziati hanno chiamato la nuova specie Pinanga subterranea.
Sebbene la pianta fosse già nota agli indigeni del Borneo, la Pinanga è stata finora completamente sconosciuta dalla comunità scientifica. Secondo i ricercatori ciò evidenzia la necessità di collaborare più strettamente con le comunità indigene e la loro complessa conoscenza del paesaggio e delle foreste. “Un caso estremamente raro di geofloria, cioè la fioritura sotterranea, e il primissimo esempio conosciuto del suo genere nell’intera famiglia delle palme. È davvero una scoperta irripetibile” ha dichiarato Benedikt Kuhnhäuser del RBG Kew.
La stragrande maggioranza delle piante da fiore (angiosperme) si è evoluta per sviluppare fiori e frutti fuori terra, il che aiuta a facilitare l’impollinazione e la dispersione dei semi. Un piccolo sottoinsieme di piante, tuttavia, si è evoluto per fiorire e fruttificare sottoterra, processi noti rispettivamente come geofloria e geocarpia. La fruttificazione e la fioritura interamente sotterranee sono un fenomeno estremamente raro e, a conoscenza degli autori, è stato osservato finora solo nel genere delle piccole orchidee Rhizanthella. Questo comportamento insolito ha interrogato gli scienziati in quanto apparentemente ostacola la capacità di una pianta di impollinare e diffondere con successo i semi, e non è mai stato osservato prima nella famiglia delle palme. La scoperta apre nuovi orizzonti e molti nuovi spunti per la conoscenza dell’evoluzione, impollinazione e dispersione delle piante.
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Fonte: Royal Botanic Gardens Kew
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Heavy Mental Detector
Non ho parlato molto ultimamente. Ho lasciato spazio agli altri, ai loro racconti. Sono stato una settimana ad ascoltare credo proprio perché negli ultimi mesi mi sono rinchiuso in un bunker mentale creato dalla scrittura e ascoltare voci e problemi altrui è stato come spalancare le finestre e cambiare aria. C'era puzza di stantio nel mio cranio. I personaggi della mia storia sono cresciuti, hanno fatto i loro casini, si sono ammazzati a vicenda e ora li ho dovuti lavare via con giornate intere di ascolto. Quando torno in Italia è sempre come prendere in mano un vecchio videogioco iniziato tantissimo tempo prima e su cui ci sono delle missioni che devi ancora finire e altre che mai finirai. Ascolto, cerco di capire in che direzione andare, aggiorno. Chi è morto nel frattempo. Chi ha lasciato chi e ora sta con cosa. Mi piacciono i personaggi che non escono dal ruolo a cui sono stati assegnati decenni prima. Ho amici che non fanno altro che invecchiare e drogarsi e non accennano a smettere e un giorno una delle due cose smetterà di proseguire ed eliminerà di conseguenza l'altra. Mi sembravano tutti in crisi e io pensavo solo a salire su un treno e tornare a stare solo. Questa esperienza di concentrarmi sulla scritta mi ha cambiato e sto bene come non sono mai stato.
Non potevo fare altro che ascoltare. Tutti avevano bisogno di fare rumore e rendermi partecipe di quello che era accaduto. Ho scoperto pure che si gioca ancora al calcio e con mia grande sorpresa la squadra che tifo non fa schifo come una volta! Aspetta che lo dico a mio fratello e mio nipote. Non ci crederanno. Oppure lo sanno già dato che hanno quel servizio di streaming che cade sempre quando vuoi vedere una partita decente ma a cui tutti sono abbonati.
Mi è stato chiesto poco "come stai?" e credo sia per questo che non ho mai risposto come stavo sul serio, quando qualche coraggioso l'ha detto. "Ho avuto periodi peggiori, quindi credo che questo non sia poi così male". Da ora in avanti darò solo questa risposta standard. Fa credere che ci sia una profonda riflessione dietro e non la totale mancanza di voler comunicare.
La sala era gremita di persone e su 11 autori io ero l'unico di madrelingua italiana. Ero l'elemento esotico che dava un tocco avventuroso all'ambiente. Sono stato invitato per leggere qualcosa e ho colto l'occasione al balzo per scoperchiare il primo capitolo del romanzo breve. Avevo 5 minuti di tempo e a me quando danno uno spazio striminzito mi prende male e non riesco ad allargarmi quindi ho letto solo metà del capitolo e pure velocemente. Ero nervoso. Ero uscito allo scoperto, avevo smesso di stare dentro la scrittura e ora ero solo, senza protezione, a leggere e sentirmi nudo. Non ho idea di come sia andata ma qualcuno ha riso, altri hanno applaudito, in molti non hanno capito dato che erano anni che non sentivano qualcuno parlare in italiano. Ho pensato a chissà come sarebbe andare in un luogo dove tutti capiscono quello che dici. O funziona oppure vengo ricoperto di insulti e magari la smetto di credermi chissà chi. Ah, magari c'è qualcuno interessato, ho messo i primi due capitoli del romanzo breve sul mio sito, c'è chi l'ha già letto e non ha smesso di parlarmi quindi penso non sia così terribile. Oppure è perché faccio pena.
Adesso non so cosa fare con le prossime giornate. Mal che vada dovrò trovarmi davvero un lavoro anche perché non so quali altre spese tagliare dato che ho già eliminato un pasto al giorno unendo un tardivo pranzo a una precoce cena. Ho pensato a dei nuovi hobby che potrebbero affascinarmi. Uno è andare in giro con un metal detector. Mi ci vedo a indossare i cuffioni, legarlo al braccio, andare sull'isola del Danubio e biiip biiiip biiiip camminare finché non arriva un biiiiiiiiiiip e allora tiro fuori la paletta, scavo, uso la carotona per trovare il punto esatto nel terreno ed estrarre probabilmente un tappo. Magari una moneta. Vorrei andare con mio nipote, secondo me anche lui si divertirebbe. Ma non so se servano permessi! Poi sono sicuro che io sarei capace di rinvenire una bomba inesplosa e non voglio disturbare le autorità allora cercherei tutorial su youtube per disinnescarla da solo. L'altro hobby a cui penso è il magnet fishing. Un magnete gigantesco legato a una fune, vai sopra a un ponte o vicino a un canale e lo lanci e tiri su quello che si aggancia. Principalmente biciclette o monopattini ma anche coltelli, pistole, armi gettate in acqua da rapinatori in fuga. Bombe a mano perché no. Questo hobby mi sembra più pericoloso del precedente. Poi però vorrei anche un compressore ad acqua per pulire i vialetti o un tagliaerba e andare in giro a sistemare i giardini. Tutto pur di non tornare a lavorare.
Dopo aver inviato il manoscritto mi sono sentito perso e sono crollato negli abissi di tiktok (dove sono bombardato da video su metal detector, magnet fishing, gente che pulisce cose col compressore e gente che taglia l'erba) e ho dovuto nuovamente fare i conti con la sessualità forzata che mi viene gettata in faccia. Mio caro algoritmo, io lo so che ti faccio strano inquanto maschio bianco etero prossimo alla quaratina proprietario di un gatto e che passa molto tempo da solo ma davvero, più video sensuali mi mandi e più mi scende la voglia di cercare nuovamente contatto con un essere femminile. Sto bene così, a guardare i tappeti che diventano puliti (che poi davvero come cazzo fai a sporcare in quel modo un tappeto fai schifo al mondo dovresti morire) e scoprire che alla fine tutti sanno fare lavoretti di manutenzione e tutti, ma proprio tutti tutti, anche io ahimé, si credono capaci di cucinare.
Alla persona che mi ha detto "Fai così perché non hai ancora conosciuto la persona giusta" mi sono permesso di dire che in reltà di persone giuste ne ho conosciute almeno sette e che poi le cose sono andate male. O bene, dipende dai punti di vista. Mi piace ricevere consigli non richiesti e frasi del cazzo perché li colleziono e li metto tutti in una bottiglia che un giorno seppellirò e probabilmente verrà ritrovata da qualcuno con un metal detector.
Tra scrivere, pulire casa, pensare a Ernesto, andare in ospedale, fare visite, incontrare dottori per la nuova terapia, cucinare una sola volta, giocare con Ernesto per evitare mi distrugga casa, uscire per fare una merda di passeggiata per la mia merda di salute mentale, leggere o guardare un film, stare con mio nipote e insegnargli a mangiare senza mani, ascoltare i discorsi degli sconosciuti, guardare i piccioni che volano fuori dalla finestra insieme a Ernesto, cioè, dove lo infilo un lavoro?
Metterò un cartello "Ti ascolto. Dieci minuti dieci euro. Non sono uno psicologo e non rilascio consigli e frasi del cazzo." così potrò finanziarmi il metal detector e poi annoterò tutte le paranoie riversate nelle mie orecchie in piccoli bigliettini che seppellirò in giro per il mondo e non dovremo mai più averci a che fare. Ecco una bellissima occupazione.
Dovrò chiudere le finestre a breve, perché sto tornando a Vienna e lì la primavera è ancora lontana. Ha fatto bene lasciarle spalancate per un po'. Adesso posso sistemare un paio di cose e fare spazio a qualche nuova passione. Addirittura a una persona.
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Fotografia italiana di 5 decenni fa, élite negletta: Geri Della Rocca de Candal
di Carlo Maccà
Dedico l’articolo a Gustavo Millozzi, grande amico e maestro da più di mezzo secolo. Lasciandomi come sempre piena libertà, ne ha seguito tutta la gestazione ed è scomparso proprio al momento della conclusione.
Ai tempi antichi, nel millennio passato, la fotografia era analogica. Ogni immagine fotografica era il risultato di un processo che oggi apparirebbe lentissimo. Il sensore era costituito da uno strato di gelatina contenente sali d’argento depositato su una pellicola. La luce liberata dallo scatto dell’otturatore produceva all’interno del materiale sensibile un embrione, che attraverso fasi fisico-chimiche successive (sviluppo e stampa) si concretizzava materialmente in una immagine partorita sulla superficie di un supporto solido, generalmente cartaceo. Solamente allora l’immagine entrava effettivamente nella vita reale, poteva ricevere un nome, vivere in una cornice appesa a una parete o dormire all’interno di un album, essere mostrata a parenti e amici, alla comunità fotografica, e, attraverso i media, alla società e al mondo intero. La speranza di vita dell’oggetto poteva facilmente superare quella dei suoi contemporanei umani, compreso il presente autore. [1]
Alla selezione della immagini che meritavano di essere conosciute e divulgate nell’internazionale fotografica provvedevano soprattutto alcuni Annuari di editori specializzati, per lo più Americani o Britannici. Anno per anno, professionisti e amatori evoluti, giovani o maturi, nuovi o affermati, inviavano agli editori stampe, sciolte o in portfolio, sperando che almeno una di queste selezionata e il proprio nome comparisse nell’indice degli autori accettati seguito dal numero della pagina in cui avrebbero ritrovato l’immagine o dal numero d’ordine di questa. Se di quei numeri ne compariva più di uno, l’autore poteva considerarsi - o vedersi confermato – “Autore” coll’A maiuscola.
Figura 1. Geri Della Rocca deCandal -Sulla spiaggia. Ferrania XXI/7, luglio 1967, p.3.
Per Fotopadova immagini relative all'articolo
Per questa via, dalla metà degli anni ’60 cominciarono a farsi conoscere e apprezzare nel mondo fotografico internazionale alcuni dei nostri futuri Maestri, che già contribuivano ad animare e a svecchiare la fotografia italiana. Conservo con devozione alcuni di quegli annuari e ogni tanto li ripercorro con piacere (e qualche nostalgis). Per esempio, nel britannico Photography Year Book [2] del 1967 si rivedono Gianni Berengo Gardin con 4 fotografie (2 in doppia pagina), e Mario Giacomelli con 2 (fra cui l’iconico ritratto della madre colla vanga); con 2 immagini anche Cesco Ciapanna (futuro fondatore del mensile Fotografare, innovativo per l’ambiente fotografico italiano), e con una ciascuno Cesare Colombo e Michelangelo Giuliani. Via via negli anni si ritrovano anche altri autori italiani tuttora amati e apprezzati, assieme ad altri che hanno lasciato qualche memoria alla fotografia italiana.
Fra fotografi italiani che nei pochi Photograpy Year Book dei primi anni ’70 a disposizione già a quel tempo avevano destato la mia attenzione per la qualità delle immagini e per i commenti che le presentano, soltanto uno, che portava un nome facilmente ricordabile : Geri Della Rocca deCandal, non sembra aver trovato ricordi permanenti nella nostra comunità fotografica. Nella pubblicista fotografica italiana di quegli anni parsimoniosamente tramandata fino ai nostri giorni sembra essersene occupata soltanto la rivista Ferrania [3], che nel numero di luglio 1967 presenta un ispirato articolo di Giuseppe Turroni [4] dal titolo La consolazione dell’occhio. L’autore, autorevole critico cinematografico e fotografico, scrittore e pubblicista notissimo in quegli anni, promuove alcuni giovani autori part-time che nella loro opera si distinguano per "chiarezza, onestà, purezza, spontaneità, e/o linearità di espressione". Doti che in uno di loro riconosce accompagnate da una spiccata sensibilità formale, che diremmo “classica”. Ecco come lo introduce.
“Un giovane di Milano, studente in Fisica, Geri Della Rocca deCandal, ricerca un dilettantismo quasi prezioso, che può sembrare fuori moda e che anche per la scelta del soggetto non indulge alle convenzioni dei tempi. Ma in quanti siamo a stabilire l’esatta portata di un lavoro al di là degli aspetti formali o linguistici che ci suggestionano? Anche Geri Della Rocca de Candal ha spirito libero e introspettivo. Le sue foto ”artistiche” hanno un’impronta ovviamente diversa da quella che distingueva la produzione amatoriale italiana di lontana memoria. Sono centrate nel gusto formale del momento e nello stesso tempo riescono a tradurre un simbolo di realtà, per i nostri occhi abbacinati da tanta, da troppa cronaca che finisce per non dirci più niente, anzi per guastarci il sapore della realtà.” [4] Turroni accompagna questo testo con ben 5 immagini, certificando che il giovane, in Fisica ancora studente, in Fotografia ha già raggiunto un livello magistrale.
Da qualche anno la Fondazione 3M offre, oltre alla collezione completa digitalizzata della rivista sopra citata, anche i files delle fotografie originali depositate presso il ricco Archivio Ferrania. Due immagini, una presumibilmente degli anni ’60, l’altra del 1974, presenti nel fondo Lanfranco Colombo sono evidenti tracce di una mostra del giovane Geri a Il Diaframma, la prima galleria in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica [5], e fanno pensare a una attività espositiva importante. Soltanto le fonti finora citate possono suggerire all'ambiente italiano l’esistenza di un Autore da non trascurare.
Figura 2. Lower Manhattan Skyline - New York City, 1968. APERTURE, SPRING 1972.
Infatti rimane insoddisfatto chi, come noi, cerca di approfondire quelle notizie per la via più agevole, la Rete, che al giorno d’oggi segnala qualsiasi evento grande o piccolo e ne preserva la memoria, e perciò è indotto a supporre che l’attività fotografica del Nostro si sia conclusa in patria prima dell’avvento di Internet. Che però non si trattasse di cosa trascurabile, e che si espandesse anche all’estero, lo si può dedurre da altre tracce che attraverso Internet si reperiscono in archivi digitali della stampa specializzata straniera: per esempio, negli elenchi nominativi dei fotografi con opere presenti in raccolte fotografiche museali, in mostre antologiche dedicate all’eccellenza dell’arte fotografica mondiale o, infine, negli archivi di riviste fotografiche straniere fra le più autorevoli. Tracce lasciate in tutto il mondo, dalla Norvegia all’Australia e dagli anni ’70 fino a tempi recenti. In qualche caso contengono anche riproduzioni di opere. La figura 2, per esempio, è tratta da un articolo dedicato al nostro Autore dalla rivista Aperture [6] nel 1972.
Dalle opere così identificate si poteva già dedurre che Della Rocca de Candal conducesse nel bianco e nero ricerche sulle forme nello spazio parallele a quelle che Franco Fontana e Luigi Ghirri portavano avanti nel colore. Ma nell’accostarsi ai due coloristi a lui contemporanei, Geri manifestvaa ancor più evidente l’eredità dall’arte italiana dei periodi più classici: dalle scansioni spaziali dei pittori del 400 come Piero Della Francesca e Paolo Uccello, alla profondità della prospettiva aerea di Leonardo, ed infine al perfetto equilibrio in cui sono quasi sospese le architetture più compiute di Andrea Palladio. Spazialità tutta di tradizione italiana, da secoli ammirata (e superficialmente imitata) nei paesi anglosassoni.
Figura 3. The Brooklin Bridge, NYC. 1968. Amon Carter Museum, Fort Worth, Texas.
Il nostro interesse per Geri Della Rocca de Candal si è meglio focalizzato quando, reperito qualche altro numero di quegli anni del Photography Year Book sopra citato, abbiamo trovato ripetutamente il suo nome, a conferma d’una produzione significativa, che si è imposta all’estero più durevolmente che da noi, e che ci è apparsa meritevole di meglio rivisitata.
Figura 4. Fellers, Swiss Alps. Photography Year Book 1972, Fig. 141.
Nello Year Book del 1972, nel quale si affermano ancora Berengo Gardin con due immagini da un servizio sulle celebrazioni della Pasqua a Siviglia, e Giorgio Lotti con quattro storiche fotografie per la rivista EPOCA [7] sugli effetti dell’inquinamento delle acque e dell’aria in alta Italia, Geri figura autorevolmente in doppia pagina coll’immagine di un villaggio delle Alpi Svizzere (Figura 4). Nel 1974, 3 pagine del Photography Year Book presentano un saggio d’un suo progetto pluriennale (BN e colore) dedicato alla tradizionale sfilata delle signore newyorkesi, con vistosi copricapi e accompagnate dai loro pets, nel giorno di Pasquetta lungo la 5th Avenue appositamente chiusa al traffico (Easter Parade, gia all’attenzione con diverso approccio del franco-ungherese Brassaï nel 1957 [8]).
Tuttavia mancava ancora la possibilità di inquadrare compiutamente la figura di Geri Della Rocca de Candal e la sua attività fotografica. Questa opportunità si è avverata soltanto molto recentemente per una fortunosa coincidenza. Compare inaspettatamente in rete un omonimo, fresco di dottorato in discipline umanistiche presso l’Università di Oxford e collaboratore di un gruppo oxoniano di ricerca sul primo secolo di storia del libro a stampa. Il giovane studioso si rivela essere il figlio del nostro obiettivo, e ci dà la possibilità di contattare il padre. Questi accetta di metter mano per noi al proprio archivio fotografico, da decenni lasciato a dormire, e di rivisitarlo con affettuoso distacco.
L’autore stesso ci fornisce un buon numero di files ottenuti da stampe analogiche eseguite personalmente per mostre e pubblicazioni. Molti sono di immagini per noi nuove, altri sostituiscono vantaggiosamente parte di quelli ricavati dalle fonti a noi già note. Tutti insieme saranno di valido aiuto ad interpretare correttamente secondo la dell’Autore pe le immagini ricavate da atre fonti.
Figura 5. Easter Sunday Fashion Parade, NY. Photography Year Book 1974 fig.133 .
Infine i suoi cenni autobiografici, seppure scarni, ci salveranno da induzioni ed esercizi di fantasia di precedenti commentatori [9] e ... nostri. E così possiamo raccontare che il giovane amatore (n. 1944), dopo un primo periodo di partecipazioni e successi in concorsi e mostre collettive, del quale rimase rara testimonianza l’articolo di Turroni sopra riportato, venne effettivamente "scoperto" da Lanfranco Colombo, che nel 1970 gli consentì la sua prima mostra personale presso la Galleria Il Diaframma [5]. Ben presto Geri interruppe gli studi universitari di Fisica per dedicarsi completamente alla professione di fotografo free-lance per la stampa internazionale. Fotografie realizzate nel corso dei suoi viaggi venivano pubblicate su quotidiani, settimanali riviste e libri negli Stati Uniti e in molti paesi europei (in Italia, per esempio, su Il Mondo). Contemporaneamente condusse un’intensa attività espositiva quasi esclusivamente all’estero, con mostre personali e partecipazioni a collettive in Europa e fino ai quattro angoli del mondo, dagli U.S.A. all’Australia e dal Brasile alla Cina. Considerato uno dei più rappresentativi fra i giovani fotografi Italiani del momento, sue opere vennero acquistate da musei stranieri. Ma all'inizio degli anni '80 Geri dovette occuparsi personalmente delle attività legate agli interessi di famiglia, tanto da abbandonare, prima gradualmente e poi del tutto, la fotografia. Le sue ultime apparizioni dirette non vanno oltre il 1984, ma sue opere continuano a comparire in ulteriori mostre dedicate alla più rappresentativa fotografia Italiana dei decenni in cui egli ha operato.
Figura 6. Venezia, 1977 (bacino di S. Marco visto da S. Giorgio Maggiore)
Una fotografia dello scaffale in cui sono allineati gli annuari, i cataloghi e altri fascicoli occasionali in cui sono riprodotte le sue opere ci ha permesso di arricchire la documentazione figurativa, completando la serie di Photography Year Book degli anni fra il 1972 e il 1980, in ognuno dei quali compare almeno una sua opera. La loro successione ci ha aiutato a formulare una traccia sulla quale restituire l’evoluzione dell’Autore.
Sua caratteristica costante è la sapienza della composizione, distribuita nello spazio con equilibrio di stampo classico, anche quando la prospettiva geometrica è forzata coll’impiego di un grandangolo spinto (fino al 20 mm), e quando si combina con quella forma particolare di prospettiva aerea ottenuta coll’aiuto di foschie e nebbie (figura 6), che già si notava nelle foto dei primi anni (figure 1 e 2). A mano a mano si accentua la ricerca d’una geometria severa, rafforzata da forti contrasti con bianchi puri e neri intensi o addirittura chiusi. Tuttavia il facile rischio dell’aridità viene evitato dalla presenza della persona umana o da dettagli che la richiamano, spesso con una ironia garbata e benevola (figure 7 e 8).
Figura 8. His, Hers (per Lui, per Lei). Photography Year Book 1980 fig.58.
Il bordino nero con cui l’autore costantemente racchiude l’immagine stampata (e nelle stampe da esposizione isola l’immagine entro un largo campo bianco) appare dettato, piuttosto che da una pretesa di eleganza, dall’intenzionale affermazione della compiutezza della composizione.
Figura 8. Silhouettes. PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1977.
Nelle diapositive a colori l’impatto grafico è mediato da una forte saturazione del colore (Figura 9), che possiamo ritenere frutto d’una leggera sottoesposizione del Kodachrome in fase di ripresa.
Figura 9. Storage closets. PHOTOGRAPHIE (CH) Juli 1978.
Varie mostre di successo e i frequenti portfolio ospitati da riviste fotografiche a grande diffusione portano la prova della sua popolarità. “Le sue frequenti permanenze negli Stati Uniti hanno dato alle immagini un’impronta, che per la fotografia europea risulta innovativa” (PHOTOGRAPHIE, Winthertur, Svizzera. Luglio 1978, editoriale). Reciprocamente, per i Nord-americani l’occhio con cui il loro paese è stato fotografato dall'ospite italiano era uno specchio insolito, rivelatore di aspetti da loro mai notati (o mai voluti prendere in considerazione, sebbene meno imbarazzanti di quelli bruscamente esibiti da altri stranieri come Robert Frank, Svizzero, o William Klein, Newyorkese ma culturalmente parigino e autodefinitosi straniero in patria).
Figure 10 e 11. Dalla serie Bars (Sbarre) PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1978.
NOTE
[1] Superfluo il confronto colla invadente, fugace, evanescente fotografia della nostra epoca digitale; ovvio e banale ogni commento. Sì, anche cumuli ben distribuiti di elettroni possono essere finalizzati a partorire immagini analogiche; ma ciò nella realtà avviene solo per frazioni fantastilionesimali di quelli partoriti dalle apposite strutture tecniologiche. Nonostante tutte le riviste di moda o di viaggi e gli album di matrimonio.
[2] In Italia fino agli anni ’60 quel poco che esisteva di editoria e pubblicistica fotografica era orientato quasi esclusivamente alla divulgazione e all’aggiornamento in materie tecniche, e gli orizzonti artistici erano assolutamente provinciali. Chi voleva rimanere informato sulla fotografia nel resto del mondo poteva reperire soltanto in rare librerie più accorte (a Padova, la Libreria Internazionale Draghi) qualche periodico internazionale, come il mensile statunitense Popular Photography e il suo Annuario, o il britannico Photography Year Book. Coll’arrivo di Gustavo Millozzi, qui immigrato da Venezia e La Gondola, i frequentatori del Fotoclub Padova potevano prenotare il mensile svizzero Camera, principale punto di riferimento internazionale per la fotografia.
[3] La rivista Ferrania [ https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_(periodico) ], fondata nel 1947 e cessata nel 1967, era sponsorizzata dalla storica industria italiana omonima, che fu per vari decenni la produttrice di apparecchiature e materiali fotografici e cinematografici dominante sul nostro mercato. Memorabile la sua pellicola P30, matrice del bianco e nero del Neorealismo cinematografico italiano. La storia dell’azienda, conclusa definitivamente e infelicemente in questo millennio, si può trovare riassunta in https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_Technologies . I PDF di tutti i numeri della rivista sono liberamente consultabili in Rete sul sito https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php .
[4] Giuseppe Turroni, La consolazione dell’occhio,Ferrania XXI/7, luglio 1967 pagina 2.
[5] La Galleria Il Diaframma di Milano, fondata e diretta da Lanfranco Colombo, la prima in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica, presentava molti maestri stranieri e giovani innovatori nostrani, esercitando così un’azione fondamentale per lo svecchiamento della fotografia italiana.
[6] APERTURE magazine è un periodico con cadenza trimestrale nato a New York nel 1952 per opera d’un gruppo di fotografi (Ansel Adams, Minor White, Dorothea Lange e altri) al fine di promuovere la fotografia d’arte. Si è presto affermato come il più importante interprete della cultura fotografica mondiale assieme al più antico Camera. Nelle sue pagine hanno trovato slancio o conferma molti dei più apprezzati fotografi delle successive generazioni, come Diane Arbus, Robert Frank e tanti altri. La rivista è ancora attiva, disponibile anche in formato digitale assieme all’archivio di tutti i numeri dalla nascita; soluzione particolarmente conveniente in Italia dove recentemente sono state “perdute” per le strade postali la metà delle copie cartacee d’un costoso abbonamento biennale.
[7] Il settimanale Epoca della Arnoldo Mondadori Editore, nato nel 1950 sul modello dell’americano LIFE, faceva ampio uso di servizi fotografici, molti dei quali sono rimasti nella storia.
[8] Brassaï, 100 photos pour la liberté de presse. Reporters Sans Frontieres, 2022.
[9] Vatti a fidare delle informazioni reperibili in rete. Esempio:Amazon presenta così Incontri con fotografi illustri, Ferdinando Scianna, 2023: “Scianna ha realizzato migliaia di ritratti: i contadini duri e dignitosi di Bagheria, le donne estasiate durante le processioni siciliane, l’amico e coinquilino (sic) Leonardo Sciascia”. In evidenza la massima, ma non unica, baggianata contenuta in quella frase, nel suo insieme atta a disorientare l’ignaro compratore sul reale contenuto del libro.
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Apologies. Well ... Star trek è un music hall (Star Trek: Strange New Worlds- S02e09). I nostri eroi, incontrano un'anomalia e invece di parlare normalmente, sono costretti a cantare. 32 minuti di musica. Ok l'idea è cretina enough, ma gli attori sono simpy, le canzoni sono ben scritte e uno vede questa prima scena e si dice l'idea è cretina, dove è finito il mio serial tv di FS preferito?!, ma le canzoni sono catchy e continui ad ascoltarle. Gli autori non sono nuovi a queste uscite "stravaganti". Qualche puntata fa due personaggi della serie a cartoni animati sono stati risucchiati in questa realtà fisica, e ok ma quella era una idea cretina davvero.
Però gli attori sono bravi a farti digerire anche queste scemenze d'autore. Si divertono e si vede. Non parliamo della nurse chapel, charmy as hell. E del medico più serio e umano di tutte e 16 le versioni di Star Trek, Joseph M'Benga interpretato da Babs Olusanmokun, una vera chicca di personaggio, pieno di sfumature. Il capitano Pike, poi è il mio preferito, la sua cabina che è grande tre volte il mio appartamento, contiene una cucina - cucina sempre - e fa una carbonara che mmmm--- c'è un camino e un intero salotto per riceve gli ospiti. E poi che chioma. Lol Poi si torna alla normalità, dalla puntata successiva.
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