#non l'ho mai visto ma ne ho sempre sentito parlare bene
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È un po' una paraculata mandare questo film adesso lo sappiamo sì?
#non l'ho mai visto ma ne ho sempre sentito parlare bene#e poi auroragiovinazzo my beloved#però#sono consapevole che sia una paraculata
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Al primo ciao, io mica lo sapevo che mi avresti resa meno paranoica e meno sola, più felice e coraggiosa. Io mica lo sapevo che saresti stata la persona che avrebbe passato con me giornate intere al mare, che è con me che avrebbe deciso dove fare il prossimo viaggio, a mettere i bagagli in macchina e partire per un’altra meta. Io mica lo sapevo che saresti stata la persona con cui avrei fatto colazione la mattina, che saresti stata tu la persona con cui avrei passato le sere d’estate sul divano a guardare la TV e a tenersi la mano come i bambini. Al primo ciao che mi hai detto, io mica lo sapevo che il tempo, da quel giorno, non lo avremmo più sentito passare, anche se invece passava pure un sacco veloce. Mica lo sapevo che da quel giorno, ogni mattina saresti stata la prima persona che avrei voluto vedere, che è con te che avrei conosciuto la felicità, la rabbia, le paranoie e la meraviglia di svegliarmi e sapere che avrei visto i tuoi occhi, e che di certo mi sarebbero bastati per sentirmi felice. Mica lo sapevo che l'amore esisteva davvero. Sai, io ti ho voluto bene da sempre e so che penserai che è impossibile voler bene ad una persona che nemmeno si conosce, ma io ti ho voluto bene da quando hai detto quel primo ciao così simile a tutti gli altri ciao che ho sentito per abitudine, da quando ho visto quella disarmante fragilità che si leggeva nei tuoi occhi, da quando mi raccontavi di te. Ti ho voluto bene dalle prime risate, dai primi sorrisi, dalle prime serate insieme, dal primo abbraccio. Le prime volte che ti ho visto ho pensato che ero uno normale, una persona comune, insomma, niente di speciale. Ma poi hai parlato, ti sei mosso. Ti muovevi in un modo un po’ impacciato che a me piaceva da morire, hai fumato e hai detto cose che nessun altro avrebbe potuto pensare e finalmente ho capito che gli altri non avevano niente a che fare con te, che non è vero che non sei niente di speciale. Semmai, niente è speciale quanto te. Tu sei la persona più importante per me
te lo dico spesso, se mi guardi con attenzione
te lo dico tutti i giorni, ma senza parlare
ce l'ho scritto dentro agli occhi. Tu sei la persona più importante per me perché mi conosci come nessuno mai, perché non mi giudichi e mi accetti così, perché sogni insieme a me, perché se ti chiamo mi raggiungi all'istante, perché non mi hai mai trattato come una cosa qualunque ma solo e sempre come la migliore delle scelte possibili, perché ti prendi cura di me, perché hai visto il buono, tutto il buono che c'è in me e poi invece hai visto lo schifo, tutto lo schifo che mi porto dentro e non ti ha fatto poi così schifo: mi hai aiutato a lavarlo. Tu sei la persona più importante per me perché senza di te sarei persa completamente, non avrei niente, non saprei come fare a sentirmi migliore quando tutto sembra andare a puttane, perché sai sempre come farmi sorridere, perché sai rendermi felice, perché sai farmi stare bene.
Io voglio dirti che sei la persona più importante per me nel senso che non c'è niente che mi importi di più di te. Sei l'unico sorriso che vorrei vedere per tutta la vita, sei l'unica alternativa in un mare di cose tutte uguali ed inutili, l'unico sguardo che se lo vedo guardo lontano. E mi vedo insieme a te. Tu per me sei la persona più importante di tutte
e non ne devi dubitare, perché ti giuro che questa cosa non potrà mai cambiare. Ti prometto che niente e nessuno potrà mettere fine al nostro rapporto, ti prometto che non ti lascerò, sei l'unica cosa migliore che ho. Io che faccio fatica a tenermi strette le persone, io che le lascio andare per legittima difesa, non riesco a trattenere ma tu, tu sei l'unica cosa che non lascerò. Ti prometto che ci sarò quando vorrai, quando il mondo sembrerà crollarti addosso, quando sembrerà più cattivo. Ci sarò anche quando non avrai niente da offrirmi, quando non avrai voglia di parlare, quando avrai bisogno di una spalla su cui piangere. Ti prometto che ci sarò e che saprò non lasciarti andare mai. Voglio poter immaginare il mio futuro insieme a te avendo la certezza che sarà esattamente come lo immagino, con te al mio fianco. Io che ho sempre pensato sai che palle stare con la stessa persona tutta la vita per sempre, che è sempre lei che ti sveglia e lei che t'addormenta, che è con lei che esci in macchina il sabato e che è lei che viene con te ad annoiarsi a morte ai matrimoni e alle comunioni. Sai che palle, mi dico, l'ho sempre pensato che quasi mi disgusta soltanto immaginare di vedere sempre dal balcone arrivare lo stesso volto innocuo, che nella mia testa guarda caso è praticamente sempre il tuo. Se ci penso insomma, dico, cioè se immagino me tutta la vita e sempre con una sola persona e basta, allora non so perché quella persona lì sei tu. E da una parte l'idea non mi dispiace, anzi, chissa perchè quando si tratta di te io sono felice. Ho l'impressione che io e te potremmo essere felici insieme felici tipo come quelli che non si accorgono del tempo che passa e quando capiscono ch'è passato si sorprendono un casino perché se lo scordano, un po’, il tempo e certe volte se lo scordano del tutto. Ho l'impressione che io e te insieme potremmo essere felici tipo come chi non crede di dover dare spiegazioni a nessuno e allora vive e basta e pensa proprio poco e quello che possiede gli basta e sorride di continuo, senza fermarsi mai. Ho come l'impressione da un pò, che io e te potremmo essere felici insieme ed è solo un'impressione, però di solito io c'ho sempre ragione. Ho voluto mettermi in gioco e sei stata l'unica cosa per la quale ne è valsa la pena. L'unica a cui spesso mi sono aggrappata quando le cose non andavano bene. L'unica cosa che capiva senza spiegazioni, che sapeva ascoltare, che non giudicava, che mi accettava così. L'unica cosa che prestava attenzione, perché voleva capire e si sforzava e ti entrava dentro senza far forza, ma chiedendoti il permesso. L'unica cosa che non mi lasciata andare ed, anzi, ha combattuto e lo fa tuttora per tenermi al suo fianco. Sei stata l'unica cosa che mi ricordava che anche io, nonostante l'insicurezza, potevo superare i miei limiti, che potevo essere speciale o quantomeno lo potevo essere per te, e mi bastava da morire. E per tutto questo, ti dico grazie. E grazie per tutte le volte che mi hai tenuta sveglia con le tue parole, che mi hai tirata su quando nemmeno avevo voglia di parlare. Grazie per tutte le volte che mi hai fatta ridere, che mi hai guardata dentro e quello che hai visto non ti ha fatto paura, per tutto quello che mi hai offerto in tutto questo tempo e per tutto quello che mi offri senza saperlo. Grazie per tutte quelle volte che mi hai chiesto scusa anche se non era giusto ma semplicemente perché sapevi essere più maturo dei miei capricci infantili, perché non sopportavi vedermi triste. Ti dico grazie, perché continui a farlo, perché mi rendi felice. Grazie perché quando parlo tu mi ascolti sul serio e tenti di capire quello che intendo dire davvero e non ti annoi anche se sono piena di paranoie, anche se ti riempio la testa di film mentali e nonostante questo non vorresti mai essere altrove. Grazie che sopporti quello che sono ed è già tanto, che non credi mai sia troppo dovermi sopportare. Grazie perché hai sempre le parole giuste, perché sai calmarmi, perché sai rendere il mondo un posto migliore, sai renderlo meno cattivo anche quando le cose non vanno bene. Ti dico grazie perché resti, perché mi vuoi bene. Ed io te ne voglio altrettanto, perché quando sono insieme a te non ho paura di niente, perché mi fai desiderare di stare proprio dove sto ogni volta che sto con te. Ma la verità è che ti voglio bene perché non riesco proprio a non volertene. Ti va di essere l’unico al mondo a vedermi debole? Potrai vedermi cadere, piangere, mentre mangio cioccolate in pigiama sul divano a casa, senza trucco e con i capelli grassi e vedermi consumare tutti i fazzoletti. Ti va di essere l’unico al mondo a rendermi felice? Potrai vedermi cucinare torte, per poi bruciarne alcune, sporcando mezza cucina e sporcando pure te. Potrai sentirmi cantare quando non mi accorgerò della tua presenza e vedermi ballare mentre passa la mia canzone preferita alla radio. Ti va di essere la persona con la quale possa essere ancora infantile come una bambina? Di essere la persona con la quale possa ancora mostrare le mie paure più sciocche? Ti va di essere la persona con con cui possa fare scherzi stupidissimi e battute stupidissime? Di essere la persona con la quale non abbia mai timore di mettermi a nudo? Ti va di essere tu la persona che io possa svegliare la notte? Ché gli incubi non mi lasciano sognare in pace. Ti va di essere tu la persona a cui possa sempre rompere il cazzo, per il resto della mia vita?
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Amore al tempo dei social
"Hai mai sentito, chiese, che ti manca qualcuno che non hai mai incontrato?". Ho letto questa frase in un post, a me è venuto istintivo rispondere sì, l'ho anche scritto nei commenti, spero non m'abbiano preso per matto, poi ci ho pensato su e mi sono chiesto: perchè ho detto si? Ok, siamo nell'era dei social, esiste quindi l'amico, quello d'infanzia, il vicino di casa, poi c'è l'amico di facebook, il cui significato è ancora ben lontano dal venir compreso. Bene, supponiamo, e penso sia capitato a molti di noi, di vedere su FB la foto di una donna bellissima, talmente bella da togliere il fiato. A me è successo tempo addietro, e credetemi, non avevo mai visto una donna così bella, immaginatela cosi: capelli raccolti e tenuti su da un fazzoletto, semplice canottiera bianca, gonnellina dal gusto sbarazzino in tinta con il fazzoletto, classico abbigliamento per le pulizie di casa. Continui a guardare, ti soffermi ad ammirarle le gambe, bellissime giuro, talmente belle che sfiderei Michelangelo a riprodurle, talmente perfette che non ci riuscirebbe mai. Le mani arricciate a mò di pugno a sollevare leggermente la gonnellina, quasi a sfidare la tua mascolinità e con la certezza che ormai tutto il tuo essere è concentrato sulla sua figura. Te la immagini consapevole di ciò, e il timore di non essere all'altezza di un qualcosa di così bello ti porta a dimenticare, ad annullare ciò che sei e che sei stato, quasi come un nuovo nato, e devi re-imparare, tutto, da zero. Mi ci sono sentito così, e non è piacevole. Nella quotidianità torni ad essere chi sei, anche se ogni tanto, giusto per un momento ti torna in mente quella figura. Torni su FB e ovviamente che fai? vai a vedere quella foto, può esserti sfuggito qualche particolare, bisogna controllare e ricontrollare e mentre scorri la cronologia ti rendi conto che tutto è successo in automatico, non ci hai pensato, è stata la tua mente, il tuo inconscio a portarti lì. La guardi, noti le scarpe, che in quel turbinio di emozioni ti eri perso, scarpe aperte, estive, calzate con semplicità e talmente tanto garbo da farla sembrare quasi sospesa. Ma il tuo sguardo si concentra sui lembi della gonnellina, ne osservi il lento movimento, e nella tua mente quella figura, pian piano, prende vita. Ti ritrovi passivo spettatore di una piece teatrale di cui non hai pagato il biglietto, stai lì, seduto, ad ammirarla, aspettando con ansia il momento in cui poserà il suo sguardo su di te. Ma realizzi che ciò non può accadere, e per un attimo torni ad essere te stesso. E ti rendi conto che quella persona ti è ormai quasi familiare. Cominci ad associare ciò che traspare dai post a quella figura, che pian piano inizia ad assumere una personalità, quasi a diventare un'abituale interlocutrice, e cominci a chiederti se nella vita reale tutto ciò può avere un senso. Ti rendi conto che ne vuoi sapere di più, la tua mente vaga cercando di immaginare cosa proveresti nel guardarla negli occhi, poterle parlare, poter osservare il movimento delle sue labbra, ammirare i suoi gesti semplici, il suo sguardo che fugge per un istante per poi tornare sui tuoi, facendoti sperare che quel momento duri per sempre, ma sai che non è così, e appena realizzi questo, ti rendi conto che sì, quella persona ti manca.
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Sto ancora cercando un certo tipo di chiusura. Le relazioni più belle che ho avuto finora sono tutte state o bloccate sul nascere o mai iniziate perché impossibili. E credo di aver scelto di essere in questa situazione, perché non potessi più passare quello che è già successo. Ripenso ai pochi volti che sono venuti dopo il suo e sinceramente nessuno di questi sorrisi mi ha mai fatto l'effetto che mi faceva lei. Stanotte l'ho sognata. Eravamo in classe insieme, faceva caldissimo, lei era con uno dei suoi pigiami pelosi con 35 gradi all'ombra, si è alzata per chiudere la finestra perché faceva troppo freddo. Mi sono alzato e l'ho spalancata ancora più di prima, girandomi di lei e facendole il dito, con tutto il braccio, bello calcato contraendo la mano e il muscolo, deciso, arrabbiato. E così è stato anche quando ci sono passato di fronte un altro paio di volte mentre puliva per terra. Non riuscivo a non farlo con rabbia, anche se cinque secondi prima ero felice, appena la vedevo saliva su di nuovo tutta la rabbia, finché non abbiamo cominciato a parlarne. Cosa che nella realtà non è mai successa perché è più semplice chiudere senza dare spiegazioni dal vivo, è molto più semplice scriversi per messaggio o parlarsi al telefono, evitando ogni tipo di confronto, ogni tipo di contatto, ogni tipo di fatica e di dolore. Anche per questo ora odio tutte le morose dei miei amici, tutte, odio il fatto che prendano i miei migliori amici per loro stesse e a volte li cambino, rendendoli diversi, facendoli tornare a casa prima, venendo con noi anche quando siamo solo maschi, costringendomi a evitare di parlare di serate che ho passato perché altrimenti la tipa si incazza visto che non è stata avvertita o che credeva fossi a letto o boh, che cazzo ne so. Io quando guardo negli occhi le loro morose rivedo me e Angelica e temo che un giorno possano dover passare tutta la schifezza che ho dovuto passare io. Quando guardo in volto una ragazza e le parlo, non voglio più provarci con lei, ma sto distante, mi avvicino solo dopo anni e se sono sicuro che non accadrà nulla, per qualche assurda ragione finora è stato così. Ma allora che cazzo vuol dire il dito medio spalancato, parlare con lei, sentirmi un po' meglio perché si chiariscono alcune cose, si toglie dalle mie spalle l'enorme peso dell'odio. È già successo di parlare con lei, e come si potrebbe immaginare è andata pure bene, alla fine stavo bene ma poi non ho più sentito la necessità di rifarlo. È come parlare con un diplomatico che per lavoro non deve dimostrare emozioni e, per l'appunto, deve essere diplomatico. Ma apatica è la definizione più vicina. Insensibile. Nei miei sogni la discussione fa trasparire un velo di sensibilità che non c'è mai stato quando ci siamo lasciati, un comportamento trattenuto ma umano. E così anche l'appetito sessuale è andato a puttane, per tanto tempo l'unico pensiero che ti fa eccitare è sempre lo stesso, poi non puoi più, ma l'unica esperienza che hai avuto per riimmaginare le sensazioni si limita a lei e a qualche cazzata, allora ti senti fottuto perché pure quando prendi "del tempo per te stesso" lei si intromette e rovina tutto. Forse quando riuscirò a provare quella fame vorace verso un'altra donna riuscirò a fare uno step avanti, ma finché tengo le distanze con tutte e mi schifo all'idea di una relazione non possono esserci molti avanzamenti.
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Quella Notte nel bosco
29/11/2022
È molto difficile scrivere quello che provo. Non so davvero cosa discrivere, non so bene cosa mi sia successo. È strano pensare a come sia arrivato qui in questo esatto momento. Mi fa quasi male scrivere, perché, perché mi rendo conto di essere come lei, o almeno una parte di me lo è e lo è stata. Un blog per tenerti ancorato alla realtà. Dio mio che bastardata. Sono molto confuso e probabilmente questo post tra qualche tempo sembrerà solo una grande confusione mentale, perché effettivamente è quello che è, un abisso di pensieri scaturiti da un gioco che mai pensavo mi avrebbe fatto questo effetto.
Ho giocato Night in the woods, erano anni che volevo giocarlo, ne avevo sempre sentito e visto parlare bene, ma non avevo la MINIMA idea di che cosa mi aspettasse in quel gioco. È stato uno schiaffo in faccia, forte come difficilmente se ne prendono. Un mondo vivo, fatto di persone che devono combattere problemi di tutti i giorni, avere a che fare con i propri demoni emotivi e i sacrifici di una vita.
20 anni, 20 anni e sentirsi il peso del mondo addosso come se non ci fosse più un domani, come se le scelte fatte in quel momento siano definitive per la nostra intera vita. Siamo così infantili e neanche ce ne rendiamo conto.
Come si fa ad andare avanti quando l'unica cosa che senti è il vuoto? Come si esce da quel buco nero senza fondo? Ci sono giorni che ancora me lo chiedo, e non so se in parte io ci sia mai uscito. Una cosa l'ho capita però, non ho mai veramente lasciato andare le mie emozioni, perché avevo paura del dolore, avevo paura di sentire di nuovo quei dolori dentro me stesso che tanto mi trascinavano giù nel mare di melma della mia testa.
Night in the woods è stato un'opera che mi ha fatto rivivere alcune parti della mia adolescenza di orma 5 anni fa. Cazzo, sembra incredibile che mentre io stavo male questo gioco è uscito. É terribile pensare che in quel periodo io stavo come Mae, in un baratro di distaccamento dalla realtà e che mi portava a voler scrivere un diario per cercare di mette a posto i pensieri troppo confusi per poter essere ascoltati uno alla volta.
Forse Mae ha ragione, io sono stanco di voler evitare di provare dolore, è questo quello che mi spaventa, è il dolore che provo ogni giorno stando dove sono, ho paura del dolore. Ho paura di provare dolore perché non riesco a sopportarlo, non riesco più ad andare avanti se lascio uscire il dolore.
E se invece, non so, magari mi sbaglio, in questo momento non sono lucido, ma se invece mi aprissi di più? Se lasciassi andare il dolore, lo lasciassi fluire e uscire fuori?
Voglio sentire qualcosa, e non mi importa se quella cosa fa male. Voglio fare in modo di stare di nuovo bene con me stesso, voglio tornare a capire me stesso, e non vedere più le persone come esseri distaccati che potrebbero farmi del male, non voglio farmi del male e non voglio far del male a nessuno.
È giusto stare male, fa bene stare male. IO VOGLIO STARE MALE, VOGLIO SENTIRE IL DOLORE FLUIRE FUORI DI ME. Quel dolore che ti fa piangere quando muore una persona cara, quel dolore che sento ogni volta che ripenso ad un cane che per 17 anni è stato con me e che mi ha tenuto compagnia. Non voglio più trattenere le lacrime, voglio che sgorghino un passo alla volta, piano piano, e lascino andare tutto quello che negli anni ho tenuito dentro di me.
Voglio tornare a sentire. Voglio tornare ad abbracciare senza paura. Voglio tornare a piangere senza avere paura del dolore e del giudizio.
Voglio tornare.
Gianni
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Alle persone più importanti della mia vita, io ho associato una canzone. Non sempre gliel’ho detto, non sempre gliel’ho dedicata davvero. Alle volte è solo un ritornello che avevo in testa in un momento condiviso. Il mio migliore amico, ad esempio, per me è Those nights degli Skillet; mio fratello True love di P!nk. Beh ecco, tu non lo sai, ma per te io ho fatto una playlist intera. Ho ritrovato te, noi in troppe canzoni. Non me ne sono neppure accorta, l’ho fatta inconsciamente; senza cercarle, senza sforzarmi. Dapprima erano solamente due (Superclassico e Ferma a guardare), che ho ascoltato a ripetizione per settimane; poi se ne sono aggiunte altre, nuove, che volevo sentire subito dopo quelle. Così, in un battito di ciglia, si è creata una vera e propria raccolta. E sai, non sono canzoni inglesi, nonostante io ami i testi stranieri, ne cerchi il significato quando mi sfugge e poi le impari a memoria per saperle cantare correttamente. Sono tutte canzoni italiane; di nuovo, è stato probabilmente il mio subconscio ad agire per me, pensando che avresti colto la bellezza e i riferimenti di quei testi solo se li avessi compresi. E visto che tanto non avrò mai modo di dedicartele, ascoltarle con te sottolineando una frase particolare o cantarle assieme, ho deciso che raccoglierò qui le strofe più belle. Ma anche quelle che sono un pugno nello stomaco ogni volta.
Superclassico, Ernia “Ora che fai? Mi hai fregato, così non si era mai sentito. Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata. Vorrei scappare che sei bella incasinata... Ma poi ti metti sopra me e mi metti giù di forza, Sembra che balli ad occhi chiusi, sì, sotto alla pioggia. Poi stai zitta improvvisamente... Ti chiedo, «Che ti prende?» Tu mi rispondi, «Niente» Dio, che fastidio.”
Ferma a guardare, Ernia ft. Pinguini Tattici Nucleari “Poi lo facevamo forte, in piedi sulle porte Dici: «Non ti fermare» Però io guardo le altre E so che d'altra parte Non lo puoi perdonare. Sotto il tuo portone tu m'hai chiesto se ci sto A salire ed era solo il primo appuntamento. Nello stesso punto dopo mesi io ti do Dispiaceri e tu mi stai mandando via dicendo «Non mi fare mai più del male. Ora non voglio più parlare Perché non so restare Ferma a guardare Te che scendi giù dalle scale e te ne vai»”
Pastello bianco, Pinguini Tattici Nucleari “Ti chiedo come stai e non me lo dirai, Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai Perché un addio suona troppo serio E allora ti dirò bye bye. Seduti dentro un bar poi si litigher�� Per ogni cosa, pure per il conto da pagare. Lo sai mi mancherà, na-na-na-na.”
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari “E non ho voglia di cambiarmi, Uscire a socializzare... Questa stasera voglio essere una nave in fondo al mare. Sei stata come Tiger: Non mi mancava niente E poi dentro m'hai distrutto Perché mi sono accorto che mi mancava tutto. Però tu fammi una promessa Che un giorno quando sarai persa Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi.”
Nonono, Pinguini Tattici Nucleari “E spettinata resti qua Perché la più grande libertà È quella che ti tiene in catene. I pugni in faccia che mi dai Li conservo nell'anima Accanto a tutti i "ti voglio bene". Ieri mi sono svegliato (no, no, no) Erano circa le tre. Quando il telefono non ha squillato, Io l'ho capito che eri te. Hai detto: «Impara a vivere da solo» (No, no, no) Ma solo ci sapevo stare. La mia solitudine era un mondo magico Che io ti volevo mostrare.”
L’odore del sesso, Ligabue “Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così. Io non so se è proprio amore Faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via. Forse ti ricordi... ero roba tua. Non va più via L'odore del sesso, che hai addosso. Si attacca qui All'amore che posso, che io posso... E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue. Tu che dentro sei perfetta Mentre io mi vado stretto. Tu che sei la più brava a rimanere, Maria, Forse ti ricordi, sono roba tua.”
Andrà tutto bene, 883 “Io e te chi l'avrebbe mai detto. Io che avevo giurato che non avrei fatto Mai più il mio errore di prendere e via Buttarmi subito a capofitto In un'altra storia impazzire per la gloria, Io no. Mi spiace ho già dato E l'ho pagato. Però sta di fatto che adesso son seduto con te In un'auto a dirti all'orecchio che Andrà tutto bene non può succedere Niente di male mai a due come noi.”
Ad occhi chiusi, Marco Mengoni “Da quando ci sei tu Non sento neanche i piccoli dolori. Ed oggi non penso più A quanto ho camminato per trovarti. Resto solo adesso, mentre sorridi e te ne vai Quanta forza che mi hai dato non lo sai e spiegarlo non è facile. Anche se non puoi tu sorridimi; Sono pochi, sai, i miracoli Riconoscerei le tue mani in un istante. Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me.” Sai che, Marco Mengoni “Eravamo davvero felici con poco, Non aveva importanza né come né il luogo. Senza fare i giganti E giurarsi per sempre... Ma in un modo o in un altro Sperarlo nel mentre.” Sembro matto, Max Pezzali “Il tempo si ferma quando siamo assieme Perché è con te che io mi sento bene. Voglio quei pomeriggi sul divano In cui mi stringevi e respiravi piano. Ho perso te e la mia armatura di vibranio. Sembro strano... Sembro matto, matto. Come un tornado hai scompigliato tutto, Mentre dormivo lì tranquillo a letto Hai fatto il botto, dopo l'impatto.” La paura che, Tiziano Ferro “La lacerante distanza Tra fiducia e illudersi È una porta aperta E una che non sa chiudersi. E sbaglierà le parole Ma ti dirà ciò che vuole. C'è differenza tra amare Ed ogni sua dipendenza. "Ti chiamo se posso" O "Non riesco a stare senza". Soffrendo di un amore raro Che più lo vivo e meno imparo. Ricorderò la paura che Che bagnava i miei occhi Ma dimenticarti non era possibile e Ricorderai la paura che Ho sperato provassi, provandola io Che tutto veloce nasca e veloce finisca.”
Vivendo adesso, Francesco Renga “A te che cerchi di capire E che provi a respirare aria nuova. E non sai bene dove sei. E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa. Amami ora come mai, Tanto non lo dirai. È un segreto tra di noi. Tu ed io in questa stanza d'albergo A dirci che stiamo solo vivendo adesso.”
Duemila volte, Marco Mengoni “Vorrei provare a disegnare la tua faccia Ma è come togliere una spada da una roccia. Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi Per poi sognare finchè siamo stanchi. Vorrei trovare l'alba dentro questo letto, Quando torniamo alle sei, mi guardi e mi dici che Vuoi un'altra sigaretta, una vita perfetta Che vuoi la mia maglietta. Che vuoi la mia maglietta. Ho bisogno di perderti, per venirti a cercare Altre duemila volte, Anche se ora sei distante. Ho bisogno di perdonarti, per poterti toccare Anche una sola notte.”
Ma stasera, Marco Mengoni “Senza di te nei locali la notte io non mi diverto. A casa c'è sempre un sacco di gente ma sembra un deserto. Tu ci hai provato a cercarmi persino negli occhi di un altro, Ma resti qui con me.”
Dove si vola, Marco Mengoni “Cosa mi aspetto da te? Cosa ti aspetti da me? Cosa sarà ora di noi? Cosa faremo domani? Potremmo andarcene via, dimenticarci Oppure giocarci il cuore, rischiare. Fammi respirare ancora, Portami dove si vola, Dove non si cade mai. Lasciami lo spazio e il tempo E cerca di capirmi dentro. Dimmi ogni momento che ci sei. Che ci sei, che ci sei.”
Venere e Marte, Marco Mengoni “Certe storie brilleranno sempre ed altre le dimenticherai. Ci sono cose che una volta che le hai perse poi non tornano mai. E se già ti dico porta le tue cose da me Non dirmi è troppo presto perché Io ti prometto che staremo insieme, senza cadere, E ogni mio giorno ti appartiene. Ti prometto che inganneremo anche gli anni Come polvere di stelle filanti. E sarà scritto in ogni testo Che niente può cambiare tutto questo. Incancellabile... ogni volta che mi guardi. Posso farti mille promesse o ingoiarle come compresse E mandare giù queste parole senza neanche sentirne il sapore. Questo mondo da soli non è un granché; sì ma neanche in due. Però con te è un po' meno buio anche quando il cielo è coperto di nuvole. E aspettavi smettesse di piovere, ma sei rimasta tutto il giorno, Io speravo piovesse più forte perché è bello riaverti qui intorno. Certe storie diventano polvere, non ti resta nemmeno un ricordo. Altre invece nonostante il tempo ti restano addosso.”
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Goblin
Logica, dove sei?
COMMENTO CON SPOILER
Ho sempre sentito parlare benissimo di questo drama. E quando dico benissimo, intendo che ne ho sempre sentito parlare come se fosse un mezzo o totale capolavoro. Questo mi ha sempre incuriosita, ma per qualche motivo non ho mai sentito l'hype e non ho mai alzato le aspettative nei confronti di questo drama.
Anche perché ho imparato che le aspettative è meglio tenerle terra terra.
Inoltre, una cosa che mi è sempre sembrata un po' strana è il fatto che io abbia sentito quasi sempre quasi soltanto complimenti ed eccitazione per questo drama. Il che mi ha spinta a pensare "come è possibile? Questo drama non ha difetti? È davvero tutto così bello?"
Dopo aver sentito i pareri di @alessiavincenzi, io sono partita con zero aspettative. Il che non significa che sono partita in negativo o prevenuta. Sono partita nel modo più neutrale possibile e dicendomi "sono curiosa, vediamo cosa ne penserò io".
Ecco, la mia neutralità è andata a farsi benedire con la visione del primo episodio, quando mi è partito quello che credo sia il più grande WTF dell'anno ed è esploso nel mio cervello un senso di totale e imbarazzante no sense.
Non sto qui a scrivere la storia di questo drama e non mi va di scrivere un commento "fatto bene". Lascerò soltanto i miei pensieri sparsi:
(Please non odiatemi)
Mi spiegate per quale fottuto motivo quel cristo del lead viene condannato ad essere Goblin? Perché io non l'ho proprio capito. La spiegazione della serie: perché ha ucciso tanti nemici in battaglia. Io: PRONTO SIAMO NELL'EPOCA GORYEO, se dobbiamo punire tutti quelli che hanno ucciso tanto, penso che si salverebbero soltanto i bambini e pochi altri. Ma che cavolo di motivazione è??? E io già lì mi sono detta: partiamo MALISSIMO. E ammetto che da lì mi è rimasto il nervoso per tutta la serie.
Per tutto il drama ci ripetono che estrarre la spada dal goblin è l'unico modo per porre fine alla sua maledizione, e che una volta fatto lui scomparirà, morirà. MORTE, OK? FINE. CIAO. Bene, alla fine del tredicesimo episodio lei gli estrae la spada e lui... vaga nelle neve e nel deserto per anni, poi lei lo richiama sulla terra e lui torna come goblin, poteri e immortalità compresi. Per sempre.
.....
Ma vi siete fumati un cannone di droga che vi ha fatto dimenticare la logica? Prima create un mondo fantasy fatto in un certo modo e con certe regole, e poi in corso d'opera cambiate le regole che voi stessi avete dato a seconda di come volete che vada la storia? Ma io cosa ho visto per tredici episodi? Una presa in giro? Ho avuto la sensazione non solo di essere stata presa in giro, ma di aver proprio sprecato il mio tempo. E non mi capita spesso questa cosa.
Non vogliatemene, ma a me il personaggio del goblin non è proprio piaciuto. A parte l'incoerenza dal punto di vista fantasy, ma proprio come personaggio, la sua psicologia, è la cosa meno interessante che abbia mai visto. E dire che degli spunti interessanti ce li aveva, la sua storia iniziale non era male, ma non ci hanno giocato per niente. Non con lui. Col Triste Mietitore l'hanno fatto. Il Goblin è privo di spessore e sfacettature, ed è anche assurdo e ridicolo. Questo tizio in vita era un generale che passava il tempo ad ammazzare gente e poi ha vissuto centinaia di anni vedendone di cotte e di crude, e poi si spaventa per un film horror al cinema. Io giuro che in quella scena mi sono vergognata per lui. Per 900 e passa anni non si è mai innamorato e quando succede diventa un ragazzino che va in panico perché non sa come vestirsi: un quindicenne alla prima cotta sarebbe stato meno imbarazzante. E per tutto il drama tutto ciò a cui è legato questo personaggio è la lead e la storia d'amore.
Ah no. Giusto. C'è anche la sorella ritrovata. Sorella che non ha cagato di striscio quando si è beccata una freccia nel cuore, che ha lasciato dietro di sé con una certa indifferenza e di cui non ha mai fatto parola o pensato per gran parte della serie, si ricorda di lei soltanto quando viene fuori. A quel punto è tutto un "sorellina mi sei mancata tanto, ti voglio tanto bene". Non l'hai cagata quando è morta e non l'hai cagata per novecento anni, bastardo.
Io comunque non ho mai capito bene i poteri riguardanti il futuro di questo goblin. Certe cose le vedeva, certe cose no. Boh.
Piccola nota: mi dispiace perché in Coffee Prince mi era piaciuto, ma qui l'attore del goblin non mi ha convinta. Non ho avuto l'impressione che abbia dato il 100% e sopratutto negli ultimi episodi la sua recitazione mi è sembrata un po' spenta. Forse è solo una mia impressione, forse colpa della scrittura del personaggio, chi lo sa.
La bromance tra il goblin e il triste mietitore mi è piaciuta ma non sono innamorata. Carini e simpatici, ma non mi hanno mai regalato chissà quali emozioni. A me è mancata molto una vera e propria costruzione del loro rapporto. Ma ammetto di aver riso molto in questa scena:
Contrariamente al parere di molti, la lead mi è piaciuta un sacco, sia il personaggio che l'attrice. Il suo carattere allegro e puccioso è stato per me una boccata d'aria fresca. È vero che non abbia chissà quale spessore psicologico, ma forse quello che mi è proprio piaciuto di lei è che sia una ragazza normale che si comporta come si potrebbe tranquillamente comportare una diciannovenne. Alla fine io tutto questo infantilismo non l'ho visto. Infantile perché si fa comprare le cose dal goblin? Ma siamo seri, chi non l'avrebbe fatto? E poi non è che si sia fatta comprare il reparto donna di Gucci. Infantile per il suo modo di fare? Boh, io posso accettare che questo non sia simpatico a tutti, però non l'ho mai vista come una ragazzina stupida o immatura. Mi è poi piaciuta molto la recitazione dell'attrice: l'ho trovata estremamente naturale, era come se fosse proprio nel personaggio. Ed è anche stata l'unica in tutta la serie ad avermi commossa: quando piange di fronte alla sparizione del goblin. L'unica cosa che mi ha trattenuta in quel momento è che stavo in treno e non volevo mettermi a piangere davanti a tutti, ma se fossi stata da sola nella mia cameretta avrei lasciato scorrere le lacrime senza vergogna. Cosa che poi ho fatto.
Mi sono piaciute le ambientazioni. Mi è venuta voglia di andare in Canada.
Ho adorato la colonna sonora e le ost. Non tutte, alcune non mi hanno detto niente. Ma in generale la musica è una delle mie cose preferite di questa serie.
Quanto minutaggio inutile! Ragà, va bene tutto, ma io posso vedermi minuti su minuti dei due lead che camminano nella neve con aria depressa?? Ed è solo per fare un esempio.
Il Triste Mietitore mi è tutto sommato piaciuto. Non sono innamorata, ma è un personaggio chiaro e lineare, oro che cola in confronto al suo collega. Ho anche apprezzato molto che abbiano spiegato come e perché si diventa tristi mietitori (avrei gradito la stessa cosa anche riguardo il goblin!). Difetti? Troppo depresso, troppo piagnone, e assurdo che non sappia nemmeno cosa sia un cellulare o un biglietto da visita!
Riguardo Sunny non ho mai capito una cosa: perché a inizio serie cercava un dipendente part-time se non aveva clienti? Cioè a me pare che non ne avesse. Io capisco che lei e la lead si dovessero incontrare, ma bo, io ricordo che all'inizio in quel ristorante non ci fosse anima viva.
Mi ha dato davvero fastidio il modo in cui la serie abbia cambiato le cose o si sia inventata stratagemmi per far andare le cose come volevano loro. Come Sunny che non perde i ricordi. Da film Disney poi come la lead si ricorda del goblin grazie alla forza del vero amore.
Tra le due storie d'amore in scena, anche se non mi hanno conquistata nessuna delle due, preferisco quella di Sunny e del mietitore. Perché? Perché è più semplice e lineare. Perché non possono stare insieme a causa del dolore e di certi errori del passato, mentre tra i due lead hanno creato un'angst FATTA TROPPO AD HOC. Il Goblin deve farsi estrarre la spada dalla sua Sposa per porre fine alla sua maledizione (cosa che si è poi rivelata non vera ma vabbè, e comunque, davvero espediente narrativo degno di una fiaba Disney), e tra tutte le donne al mondo, in novecento anni di vita, di chi si va a innamorare??? Della sua Sposa!! LE COINCIDENZE DELLA VITA. E a quanto pare lei era COSTRETTA a innamorarsi del goblin, non poteva essere altrimenti, perché a quanto pare lei riesce a impugnare la spada soltanto quando è innamorata di lui. Prima non ci riesce. Quindi è una storia d'amore che hanno impregnato di tragedia di proposito. E io posso ancora capire che questo faccia parte della punizione di lui (che poi punizione di cosa? Vabbe ormai stendo un velo pietoso), ma lei cosa c'entra? Cosa ha fatto di male questa ragazza per dover soffrire così??
Mi dovete spiegare cosa succederà quando la lead avrà finito le sue vite. Cosa farà il goblin? Depressione forever?
Non mi è piaciuto il villain della serie: uno stereotipo vivente privo di spessore.
Un grazie sincero al personaggio del re del passato. Un personaggio umano, che ama in modo sbagliato, che commette errori e che tocca il picco della sua stessa tragedia con il suicidio. È un uomo che non approvo ma che comprendo, e questi per me sono i personaggi migliori, perché sono credibili. Il Goblin che invece se ne va in giro a fare il buon samaritano nonostante tutto il dolore e la tragedia della sua vita, non so quanto sia realistico o interessante. Sarebbe stato molto più bello se fosse arrivato a questo dopo un'evoluzione di tutta la serie, magari poteva partire come un personaggio arrogante, egoista, o magari poteva essere davvero un traditore, e poi compiere un cambiamento nel corso della storia. Lo avrei apprezzato molto di più. Ma a quanto pare Goblin è molto scarso con il discorso evoluzioni: non esistono. L'unica nota positiva è una bella e dolorosa presa di consapevolezza da parte del Triste Mietitore.
Quello che mi ha lasciata questo drama è un grosso mah, tuttavia non penso che sia da buttare.
Voto: 6.5
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Ai drammi di un sedicenne non c'è nulla che può curare se non la comprensione.
Un contorno che non torna, una maglietta che si è stretta in lavatrice, uno specchio che non voglio guardare, una ferita che non voglio riaprire, scusi avete una L in magazzino?, cuffiette in testa e dritto sino alla meta, mamma no non lo mangio il filo di pasta in più, no sono sazio, mamma si sto bene.
Poi arriva il primo colpo di fulmine, e tutto si ferma, senti irrompere su di te lo specchio delle imperfezioni, la lista dei difetti che hai colpa di avere e che lui noterà su di te, se ti noterà. E tu ti senti così imperfetto.
Perché ti sei sentito e ti senti tutt'ora grasso, perché invece di offrirti comprensione ti hanno semplicemente offerto dei tranquillanti naturali, io non l'ho ritenuto giusto per me stesso. Avrei potuto prenderli, ma non avrei risolto il problema.
Come se avessi le fondamenta marce, mi capisci? Come puoi costruirci sopra? Chiudendo il cantiere?
Ma tu hai capito che ha tuo figlio? Oggi mi ha risposto veramente male, io non ci posso parlare, non mi rispetta. Pensaci tu.
Certo che viene meno il dialogo, perché non c'è comprensione, c'è segreto, c'è rancore per le frasi sbagliate, c'è male nel rapporto. E poi tu mi dici che devo mostrarmi sorridente, uccidere i miei dubbi e far nascere falsità. Tutto questo perché ho voluto mentire su un pride a cui andai per ben due volte anni fa e in cui mi resi conto che non sono solo in questa battaglia e che devo procedere con altri.
A saperlo che non ero solo. Ho visto buio per così tanto tempo e non era colpa mia, lo giuro. Io ho cercato aiuto, forse non da chi di professione, però l'ho fatto, forse anche per paura di ritorsioni, sai com'è, ancora non c'è una legge che mi tuteli.
Ma in fondo cosa potevo saperne io che la mia vita mi voleva così guerriero, ma soprattutto così... Sofferente. Non ho mai compreso il perché di tanto male nella mia vita, ma il sole smise di essere giallo, e piombai in un terribile bianco e nero senza fine.
Cinque anni fa andai con la bici, e lo trovai coi suoi amici, andai via subito. Mi feci 10 km per vederlo, tutto questo per buttare uno sguardo, pure sfocato perché sono miope, e scappare a gambe levate. Cosa volevo ottenere? Io che mi vergogno di salutare i sassi. Io che per anni mi sono cucito la tela di Penelope senza che ce ne fosse il motivo, più che chiamarlo inganno, io la chiamerei semplicemente ingenuità.
Oggi, quando parla il sedicenne sovversivo io lo ascolto, lo rispetto. Ebbe un grande coraggio quel giorno, quando decise di restare fermo e il treno arrivò. Io ti rispetterò per sempre, e se potessi ti regalerei anche un libro, però bianco, così ci scrivi tutti i pensieri che hai per la testa, e soprattutto non li metti in atto! E poi, se vorrai citarmi, parla del mio passaggio e che, volente o nolente, se sono qui hai superato quel muro che non riuscivi a superare, e non ho neanche troppe cicatrici, guardami le mani.
Grazie per avercela fatta.
❤️
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Tornammo al campo base. Antonio ci accompagnò fino in piazza, poi si congedò, salì sul furgoncino e se ne tornò al lavoro. Lui ce l'aveva un lavoro vero. Quella giornata era un regalo grandioso. All'inizio, si era prospettata una chiavica, ora invece avevamo un mondo di possibilità nelle nostre mani. C'era solo da inventarsele. Non avevamo alternative: dovevamo per forza divertirci. C'era solo da decidere come. Il Maremmano non aveva ancora detto una parola. Niente, neanche mezza. Non è che fosse un fatto così insolito, era, per natura, un taciturno. Quando ci si impegnava, qualcosina la diceva ed era anche divertente, ma, se non lo spronavi, era capace di starsene muto come un pesce per tutto il tempo. Era arrivato il momento di coinvolgerlo. Era un giorno speciale. E ce lo eravamo meritato tutti. “Cosa ti andrebbe di fare, Pietro?” Gli chiesi, abbracciandolo e tirandolo in mezzo al gruppo. “Non saprei. Decidete voi, a me, sta bene tutto.” “Che ne dici di una bella partita al campo sportivo?” Disse con sarcasmo il Tasso. Quel giorno, era in forma il testa piatta. Lo guardammo con gli occhi pieni di rimprovero, ma il Maremmano non fece una piega, sorrise, addirittura. “Beh? Che sono quelle facce? Che cazzo avrò detto mai?” Il Tasso sapeva di aver detto una cattiveria, ma era solo per ridere. “Non ho voglia di andare al campo, Tasso, non ora, almeno. Troppo caldo per i mie gusti. Non mi va di prendermi un'insolazione. Ma, a proposito del campo, devo dirvi una cosa…” Si sedette, abbassò lo sguardo, come a frugare in terra per trovare le parole, poi, quando, evidentemente la ricerca era finita, sollevò lo sguardo e ci fissò: “Devo ringraziarvi.” “Per cosa?” Non volevo essere ringraziato, ancora mi sentivo in colpa. “Lo sai bene per cosa. Lo sapete tutti. Senza il vostro aiuto, avrei dovuto passare l'estate nei campi. Mio padre me lo aveva promesso. E lui si vanta di essere uno che mantiene sempre le promesse.” “Stavolta s'è sbagliato!” Disse timidamente Sergetto. “Ci ha ripensato, non se l'è rimangiata. Lo avete sorpreso. Ieri sera era davvero commosso. Ha detto che voi avete dimostrato il valore dell'amicizia. E che io, ora, devo dimostrare di meritarmela. Ha aggiunto che avete pagato il mio debito, debito che era solo mio, causato dalla mia incapacità di tenere ferme le mani.” “Cazzate!” Urlò Tonino, alzandosi in piedi. “Tutte cazzate! Tu ci avevi salvato le chiappe, Maremmano, ficcatelo bene in quella tua zucca dura! Al campo, ti sei battuto per noi, non per te. Tu non c'entravi, quei tre coglioni ti avrebbero lasciato in pace, visto che neanche ti conoscevano. A noi, invece, avrebbero sicuramente fatto il culo, se non ci fossi stato tu ad impedirlo, naturalmente. Te lo ridico: sei stato un grande! Il debito quindi era nostro. Tu hai dato l'anticipo e noi ti abbiamo risarcito. Tutto qui. Liscio come l'olio.” “Mi dispiace dovertelo dire, amico mio, ma anche tuo padre si è dimostrato un po’ stronzo. Certo, non come quello di Bomba, ma un pochino lo è!” Disse il Tasso, appoggiando una mano sulla spalla di Pietro e guardando in faccia Bomba, da quel provocatore che era. “Mio padre non è uno stronzo!” Protestò quest'ultimo, ma con poca convinzione. “Eccome se lo è!” Rincarò la dose, Schizzo. “Perché il tuo, invece, com'è?” “Uguale! Anche il mio. Ma meno del tuo. E meno pure di quello del Tasso.” “Brutto quattrocchi bifolone! Che c'entra adesso mio padre?” “Comunque, in parte, ha ragione.” Riprese il Maremmano, alzando il tono della voce per ristabilire la calma. “E’ vero che mi viene subito da alzare le mani. L'ho fatto anche con voi, la prima volta che ci siamo incontrati.” “Quella volta, però, hai sbagliato!” Si affrettò a dire il Tasso, memore anche della figura di merda che aveva fatto.“ "Vero, avresti dovuto dargliene di più!” intervenni, infervorato, e. di seguito, rivolto al Tasso;“ Certo che quando c'è da dire stronzate, non ti fai pregare!” “Perché? Cosa ho detto?” “Te lo sei scordato come sono andate le cose? Abbiamo iniziato noi. Siamo stati noi a lanciare le pietre contro le sue mucche.” “Veramente tu non l'hai fatto.” Disse il Maremmano. “Ma non ho neanche impedito che lo facessero loro! Che cambia? La cosa non mi piaceva, ma me ne sono rimasto zitto e fermo. Pure al campo sono rimasto zitto e fermo. Ho avuto paura. Ho paura di quelli più grandi. Non volevo prenderle, ero sicuro che te le avrebbero date e non volevo farti compagnia. Ti ho lasciato solo. Ora mi dispiace. Sono stato un fifone!” Finalmente mi ero tolto quel peso dallo stomaco. “Non prendertela Pietro, sei stato saggio, come direbbe il mio vecchio.” Mi consolò. “ Il macello l'ho fatto io. Ho fatto tutto da solo. Non so cosa mi sia preso. Non so cosa mi prende tutte le volte che vedo qualcosa che, secondo me, non è giusta. Non riesco a trattenermi, poi, quando passa, quasi mi faccio paura da solo. Certe cose proprio non riesco a buttarle giù. Se vedo uno grande che picchia uno più piccolo, o tanti che se la prendono con uno solo, o con gli animali, mi succede qualcosa. Qualcosa di strano…” “Cosa?” Domandammo in coro. Ci guardò e sorrise: “Non è che, per caso, avete una caramella? Mi si è seccata la gola a forza di parlare.” “Piantala con le sciocchezze, finocchio di un Maremmano! finisci di raccontare! Quando avrai finito, te ne compro un pacchetto di caramelle, tanto i soldi me li ha dati quel cogl… quel sant’uomo di tuo padre!” Aveva fatto marcia indietro in tempo. l'ho già detto: il Tasso temeva il Maremmano e aveva paura a spingersi oltre. “Non c'è nulla da raccontare. Ve l'ho detto: non so cosa mi succeda. E come se qualcun altro entrasse dentro al mio corpo e prendesse in mano il controllo. Qualcuno che non ha paura di niente e di nessuno. Io divento un semplice spettatore. Vedo tutto, sento tutto, ma non posso farci niente. Ve l'ho detto: è strano.” “Cazzo se è strano! E’ la cosa più strana che abbia mai sentito!” Esclamò Bomba, sgranando gli occhi. “Invece non è strano affatto!” Lo contraddisse Tonino, che, naturalmente, catturò tutta la nostra attenzione. Come non era strano? Era stranissimo! “Che avete da guardarmi con quelle facce da idioti?” Proseguì, “Voi, a messa, non ci venite mai, altrimenti avreste già capito!” “Ma che cazzo vai dicendo, Toni’? Che c'entra ora la messa?” Ero sorpreso. “Già, che cazzo c'entra la messa?” Fece eco Sergetto. “Toninuccio bello sta per spararne una delle sue!” Lo prese in giro Bomba. Tonino non si curò di noi e con l'espressione che, credo, abbia avuto Colombo, quando scoprì l'uovo di Colombo, disse: Il Maremmano è posseduto! E’ posseduto dal demonio in persona! Questo spiega tutto!“ Ci aveva fulminati. Restammo per un po’ senza parole, poi partì una di quelle risate corali capaci di coprire pure il rumore delle bombe. Tonino stesso rimase contagiato e si unì al coro. Quando le acque si calmarono, Schizzo richiamò insistentemente la nostra attenzione. Era perplesso, evidente che qualcosa non gli quadrava. "Che ti prende, nasone? Anche tu sei posseduto dal demonio?” Lo stuzzicò, Tonino. “Col cazzo! E neanche il Maremmano lo è! Andrai pure a messa come un bacchettone, ma, di quello che dice il prete, non hai capito una sega!” “Hai capito tu, allora!” “Certo che ho capito! Pensateci bene: come fa ad essere posseduto dal demonio? Non è che se ne va in giro ad ammazzare, arrostire bambini, bruciare le chiese, no. Lui difende le sue mucche, noi poveracci da quelli più grandi, insomma: difende chi non si difende da solo, i deboli!” “E allora? Che vuoi dire? non ti capisco, Schizzo. Dici che non è posseduto?” “No! Cioè, si! Certo che è posseduto. Ma non dal demonio, da Dio!” “Si, adesso Dio si mette a possedere le persone!” gli rise in faccia Tonino. “Dio è Dio” E fa quel che cazzo gli pare e piace! Non solo possiede le persone, se ne ha voglia, ma, se gli girano, possiede anche il Diavolo!“ Concluse Schizzo, soddisfatto.
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Per esercitarmi nell'ascolto sto cercando di trascrivere la diretta per il compleanno di Ermal. (Solo la conversazione tra Ermal e Fabrizio, però - la cosa intera è lunghissima.) Ecco la prima parte.
Se qualcuno potrebbe fare qualsiasi correzione, o aiutarmi con i tratti che non riuscivo a distinguere, sarei molto grata! A volte parlano molto veloce e la qualità della connessione non è la migliore. A volte, anche con la velocità messa a 0.25 non riconosco le parole, o penso di capire quello che dicono, ma non come lo stiano dicendo. Presto posterò una traduzione inglese, e poi il resto. ==== ERMAL: Allora, io sto aspettando Bizio. Fabrizio Moro, ecco qua, aggiunto. In attesa di Bizio. Bizio!
FABRIZIO: Ci sei?
ERMAL: Oh la la!
FABRIZIO: Auguri!
ERMAL: Ciao, fratello, come stai?
FABRIZIO, senza pietà o considerazione per la povera trascrittrice inglese che non sa i dialetti: Ma che fatt e capill? [Cosa hai fatto ai capelli?]
ERMAL: Mi sono ... [RIDE] Tu che cazzo hai fatto? Mi sono appena fatto la doccia, non sono riuscito ad asciugarli in tempo, tu devi provar del tutto, eh? Che cazzo ridi, ingenuo sorridi che mi prendi in giro adesso, e ridi tu. Ma senti, ma ...
FABRIZIO: Ma Pasqua è passata.
ERMAL: Lo so, lo so, e c'era una bella sorpresa qui in mezzo, ma te, piuttosto, hai smesso di comprare le camicie di due taglie più piccole per esaltare il pettorale?
FABRIZIO: Ma che vuoi esalta qui io, con tutti gli stili [???] che stavo per [XXX] dentro casa, c’è poco da esaltare.
ERMAL: No, sei sempre ... guarda, ho scritto anche qualche giorno fa, sei sempre il DILF della musica italiana, proprio... io che conosco un sacco di giornaliste come anche te, però a me le cose vere vengono a dire, veramente, no che ti sentiresti interessato ...
FABRIZIO: Che dicono, che dicono?
ERMAL: Dicono [FARFUGLIA] “Guardalo, che sguardo da piacione, guardalo!” Dicono che ti spolperebbero vivo.
FABRIZIO: Ohh!
ERMAL: Sì, ma proprio tante, che tu sei proprio il sogno proibito di un sacco ... davvero. Quindi cosi ti voglio svelare questa cosa qua. Ma chi c'è la indietro, tuo figlio Libero - ciao, Libero!
LIBERO: Ciao, auguri.
ERMAL: Grazie, come stai?
LIBERO: Bene.
ERMAL: Come fai a sopportare tuo padre tutti i giorni?
LIBERO: [ROTEA GLI OCCHI]
FABRIZIO: Lo sai quanti anni fa?
LIBERO: No.
FABRIZIO: Secondo te, dei due chi è più vecchio, papà o lui?
LIBERO: Lui. È una domanda trabocchetto.
ERMAL: Gli vuoi compiacere, eh, gli vuoi compiacere.
FABRIZIO: Ha detto sei un vecchio te!
ERMAL: No, no, ma lo sai cosa l’ha ha detto prima, tuo papà? Mi ha detto "ma quanti anni fai?" "Trenta-nove." "Ma mortacci, non ci arrivi mai, eh? A quaranta mai ci arrivi, sempre là stai, sempre sui trenta."
FABRIZIO: Senti, ma … gli auguri … toglimi una curiosità?
ERMAL: Dì.
FABRIZIO: Ti ho fatto gli auguri sulla story d'instagram, no?
ERMAL: Già. [MA IN REALTÀ DICE QUALCOSA PIÙ COME “EH, JA”???]
FABRIZIO: Però poi mi hanno iniziato a scrivere tanti i tuoi fan dicendomi che non t'ho taggato.
ERMAL: Eh, infatti, io l'ho visto attraverso screenshot perché se tu non mi tagghi ...
FABRIZIO: Te ho taggato, però, perché il tag è ...
ERMAL: Che ne so. Hai visto tuo papà vecchio? non sa neanche la storia della chiocciola.
FABRIZIO: A parte gli scherzi, io ho messo la chiocciola poi scritto Ermalmetamusic...
ERMAL: Ma non mi è uscito.
FABRIZIO: E ti ho taggato sulla ...
ERMAL: Non mi è uscito. Infatti, te l'hanno detto in tanti. Vabbé, dai, ma tanto sappiamo che non è che tu sei molto tecnologico. Come va la quarantena, fratello?
FABRIZIO: Bene. Bene.
LIBERO: Io ce l’ho Play.
ERMAL: Tu giochi a Play, eppure io. Sai che anch’io, ogni tanto. A cosa giochi, tu, Libero?
LIBERO: Io Fortnite
ERMAL: Che cos'è Fortnite?
FABRIZIO: Dai …
ERMAL: Non so.
FABRIZIO E LIBERO: [XXX grosso ????].
ERMAL: Fortnite è cosa, un gioco di spari - non spari a tutto?
FABRIZIO: Senti, a proposito dei giochi, a parte gli scherzi, come stai?
ERMAL: Bene, bene. Chiuso qua, come tutti. Si va avanti in scrittura, ma molto molto a rilento, veramente molto a rilento, perché, non so, mi sembra un periodo assurdo, perché è come se le cose che mi vengono da scrivere adesso, è come se non avessi qualcuno a cui rivolgermi, capito, perché comunque l'attenzione di tutte le persone, ovviamente, giustamente va in un'altra direzione, capito
FABRIZIO: Lo sai che sto facendo fatica anch'io.
ERMAL: Eh, ma ho visto che c'è ... ho visto in giro che più persone insomma ...
FABRIZIO: Io dicevo sempre a tutti i colleghi che abbiamo che ho sentito in questi giorni, a tutti quasi appunto la stessa cosa, che è un conto poi è decidere di stare a casa per scrivere e un conto è che invece [XXX ??? !!!] in posto, no
ERMAL: No, ma infatti, questa è quasi un’imposizione, tutti pensano, o magari si immagina come diceva anche Barico, qualche giorno fa, ho visto il suo video e mi trovo assolutamente d’accordo. Molta gente pensa che chi è creativo in un momento così possa comunque sfruttarlo per dare libero sfogo alla creatività, però la creatività, secondo me, in questo momento non viene nutrita, perché comunque, quella parte di te che tira fuori cose, e temo, [???] sai bene, è un po’ come un mostro vorace, ha bisogna di vita, bisogna di nutrirsi di un sacco di cose, no?
FABRIZIO: Devo dire, su un punto di vista dei testi è cosi, no?
ERMAL: Si. FABRIZIO: Poi, da punto di vista musicale perdo un sacco di tempo in camera qui … a un certo punto ho [XXX] tutto, ho acceso tutto, ho portato tutta la roba che avevo in cantina ... ho il mio preferito basso, la mia preferita chitarra, [QUALCOSA DEL GENERE MA CHE DICE, AIUTATEMI???] la batteria, tutto quanto, tutto qui, facendo casini, proprio.
ERMAL: Ma riesci a registrare qualcosa, hai buttato giù della roba?
FABRIZIO: Si, si, butto giù delle robe, però ti ho detto testi ancora, un po’
ERMAL: Guarda, io per fortuna ho scritto tanto prima, dico per fortuna, dal punto di vista del dirompere [???] creativo, cioè, dal periodo di ottobre più o meno fino a… anche da settembre, proprio da ottobre, fino poi a quando non ci siamo rinchiusi, avevo scritto tantissimo, ce ne avrò, oh 26, 27 di pezzi, però te mi conosci, lo sai, non sono mai contento poi alla fine. Solo che poi anche gli stessi pezzi che ascoltavo prima e mi cassavano [???] dicevo, “cazzo, che figata [???], mi piace ‘sta roba” adesso li ascolto e non li ascolto più con le stesse orecchie di prima. Non so se riesco a spiegarti questa cosa qua
.FABRIZIO: Infatti per me è sempre così. Infatti io sono … ho bisogno spesso io, di un produttore, voglio dire un confronto, no?
ERMAL: Ah, ti produco io, tranquillo.
FABRIZIO: Capita spesso pure a me ma penso capiti a tanti, ’sta cosa.
ERMAL: Si, si, capita con tanti nostri amici, colleghi insomma, è capitato di parlarne…
FABRIZIO: A te è capitato…devi ascoltare … dicevo, per scritto il pezzo della vita, bellissimo, poi dopo una settimana…?
ERMAL: Dopo una settimana ti viene da prender e buttar via tutto, cancelli tutte le tracce e lo rifai. Io, adesso, come ti dicevo, stavo scrivendo un libro. Però mi sono arenato. Mi sono arenato in un punto, e non riesco a sbrogliare … un momento, che è un momento fatidico nella storia. [LEGENDO I COMMENTI] Dicono: “Moro, cambiati gli orecchini.” Ma che c’avete contro gli orecchini di Moro? Ragazzi, ma voi lo avete capito che Bizio è bono, qualsiasi cosa si metta, qualsiasi cosa faccia?
LIBERO: Altro che Fabrizio Moro, qui abbiamo Libero Mobrici.
ERMAL: Ah, che bello, bellissimo! Ma da chi hai preso, Libero? Perché da papà no.
FABRIZIO, [dietro la foto da Libero da bimbo]: Le creme per la vecchiaia che mi metto, che effetto fanno?
ERMAL: Sei un [XXX] pazzesco.
ERMAL: Ma che stai a fumar? L’albus. [???] Ma tu la accorgi della puzza di calzini sporchi che hanno quelle sigarette lì?
FABRIZIO: No ma il loro fumo non si sente.
ERMAL: No, non a te, ma tutti gli altri lo sentano, però.
FABRIZIO: Sto fumando di meno, però.
ERMAL: Bravo. Ma, per la voce, com’è? Tutto a posto, perché hai avuto quel calo lì… ti sei ripreso alla grande?
FABRIZIO: Si, mi sono ripreso, mi sono ripreso grazie a Dottore … come-si-chiama Dottore …
ERMAL: Fussi, Fussi. Ah, ma anch’io ci sono andato. Quando … due o tre anni fa, non ricordo, ebbi un calo pazzesco. Fu l’estate di 2017, tra altro mi fu costretto [XXX] ad annullare una data, perché proprio non riuscivo… [XXX]
FABRIZIO: Io ho posticipato tre concerti, mi sembra.
ERMAL: Si, si.
FABRIZIO: Poi ho smesso di fumare perché, in pratica, ho l’asma. Non potevo fumare.
ERMAL: Anch’io sono un po’ asmatico. Però la mia asma è determinata dalla polvere. C’è la polvere, mi fa scattare ‘sta roba qua, c’è una sorta di allergia misto asma, un casino. Però ultimamente, devo dire che stanno un po’ meglio.
FABRIZIO: Senti, ci dobbiamo vedere. Porco giuda, non ce la faccio più.
ERMAL: Non ce la fai più senza di me, vuoi dire? Ti capisco, ti capisco.
FABRIZIO: Anche. Anche.
ERMAL: Appena ci vediamo la prima cosa che facciamo è scrivere un pezzo, va bene?
FABRIZIO: La cosa più … aldilà del pezzo, si.
ERMAL: La prima cosa, senza neanche parlare, senza salutarci. Arriviamo con le chitarre e scriviamo, dopodiché ci diciamo tutto quello che abbiamo da dire. Dai. Dobbiamo fare un pezzo insieme di nuovo. Urge per esorcizzare quest’altra paura. Perché noi ci incontriamo nei momenti in cui la gente ha paura. In questo momento la gente ha paura, quindi probabilmente dovremmo fare qualcosa del genere. Ma senza arrogarci nessun tipo di diritto, per il puro gusto di … scacciare questa sensazione. Lo stiamo dicendo davanti ai 5856 persone, qual è la tua risposta definitiva, l’accendiamo? [ACCORDO DRAMATICO.]
FABRIZIO: Scriviamolo, scriviamo...
ERMAL: Scriviamolo?
FABRIZIO: Ma a casa.
ERMAL: A distanza, dici? Certo.
FABRIZIO: A distanza, lo scriviamo a distanza e...
ERMAL: Mettiamo su Skype?
FABRIZIO: Ci mettiamo su Skype, dai.
ERMAL: Ci mettiamo su Skype, e lo scriviamo su Skype.
FABRIZIO: Guarda, davvero sto dicendo.
ERMAL: Anch’io lo sto dicendo davvero, te l’ho detto io.
FABRIZIO: Creiamo una bella canzone … beh, che la riusciamo a scriverla bella, vuoi. Scriviamo che vuoi tu. [XXX] canzone [XXX] che vuoi.
ERMAL: Stavolta, partiamo dal titolo: “Qualcosa Me L’Avete Fatta.”
FABRIZIO: “Qualcosa Me…” [RIDE] No. Non c’hanno fatto niente.
ERMAL: Continuerebbe … stavolta, sai. Con tutta la gente che soffre, sai che quel pezzo, cantarlo in un momento così… non lo so. Non Mi Avete Fatto Niente era ... è un bellissimo inno legato a quella cosa lì e sono estremamente fiero e orgoglioso di aver fatto questa cosa insieme a te, perché sei fra quelli che stimo assolutamente di più e lo sai. Non è perché … sei qui adesso, lo sai quello che penso di te. Però questo momento in cui… non me la sentirei di cantarla, sai, con un sacco di gente che soffre.
FABRIZIO: Lo spirito deve rimanere vivo. Sempre.
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“Ci risiamo. Non è mia abitudine farmi dei selfie, né tantomeno pubblicarli su Facebook. Questo l'ho fatto questa sera alle 22 circa, al lavoro. Non è una foto di marzo o di aprile. In reparto abbiamo ricominciato a ricoverare pazienti COVID con gravi insufficienze respiratorie. Per ora la cosa è limitata, non come a febbraio o marzo o l'inizio di aprile, quando i COVID erano 30 su 30 in reparto più altrettanti ricoverati in altri reparti, quando su 30 pazienti 26 erano ventilati. Ma il Coronavirus non si è dimenticato di fare il suo lavoro, e da bravo virus fa quello che deve :infetta nuovi ospiti per sopravvivere. Niente di più e niente di meno. Noi esseri umani, invece, dall'alto della nostra intelligenza ed evoluzione tecnologica e scientifica, facciamo finta che non esista, qualcuno pensa non sia mai esistito, altri che sia un 'invenzione delle case farmaceutiche o di qualche altra fantomatica lobby segreta. Niente di tutto ciò. Il virus esiste, non è magicamente sparito, e sta mietendo ancora vittime in altre parti del mondo. Da noi ha già dato, ma non sta scritto da nessuna parte che non possa ricominciare a farsi vivo, e, cosa più importante, il virus non lo sa che noi infermieri, medici, oss ed il resto del personale sanitario siamo distrutti da 3 mesi di lavoro intenso, fatto di paura, tensione, preoccupazioni, emozioni intense e continuo contatto con la morte. E non gliene frega un cazzo, al Coronavirus, di tutto ciò. La maggior parte delle persone ormai pensa al mare, alla montagna, all'aperitivo con gli amici, alla gita del week end. Se qualcuno conosce una persona che ha perso uno dei suoi cari a causa del virus, provate a chiedere cosa ne pensa di tutto ciò, delle ferie, del fatto che ci sono dei forsennati che insistono nel continuare a dire di tenere la mascherina. Provate a chiedere e sentite cosa ne pensano. Nel frattempo, noi continuiamo a fare quello che facciamo sempre, anche se adesso non siamo più eroi, angeli o qualunque altro titolo onorifico. L'ultimo paziente della prima ondata è stato dimesso, dal nostro reparto, il 30 giugno. Sono passati 8 giorni. Non siamo più COVID free ma poco importa. Spero che tutto ciò che è stato non si ripeta, ovviamente, ma nessuno ne può avere la certezza, e chi afferma il contrario a mio parere è un bugiardo clamoroso. Su questo virus si sa molto poco, quel poco che sappiamo lo abbiamo imparato strada facendo e lo abbiamo pagato 35000 (trentacinquemila) morti o giù di lì. Col senno di poi è facile parlare, soprattutto da parte di chi non era nei reparti a febbraio, marzo ed aprile. Ciò che abbiamo visto e vissuto in quel periodo non è spiegabile a parole. Solo chi c'era può capire:prima di tutto i pazienti (quelli che sono riusciti a sopravvivere), poi gli operatori sanitari e i parenti dei pazienti per quello che hanno passato, i lunghi periodi senza vedere i loro cari, le attese notturne di una telefonata che, per fortuna, nella maggior parte dei casi non è avvenuta. Solo questi possono capire cosa è stato il COVID, tutti gli altri parlano per sentito dire o ripetono quello che stava scritto sui giornali o che ha ripetuto fino alla noia la TV. Mi fa tristezza e rabbia allo stesso tempo che persone che non hanno la minima cognizione di causa si mettano a pontificare, a esprimere giudizi, a incolpare questo o quell'altro di crimini non meglio precisati. Tali personaggi farebbero meglio a tacere,a mio modo di vedere. La stragrande maggioranza delle persone non si rende conto che il mondo sta vivendo un evento che resterà nei libri di storia, nel bene e nel male. Essere qui a scrivere questo pistolotto per me significa che sono riuscito a sopravvivere per raccontarlo, e per me è un fatto che a marzo non era scontato per niente. Ah, per informazione, io il COVID l'ho beccato (come molti altri colleghi), ho gli anticorpi ma non ho mai avuto sintomi. Ma, a dirla tutta, non mi sento affatto tranquillo anche se gli esami dicono che in teoria sarei immune. Proprio per il fatto che non sappiamo nulla su questo simpatico esserino, e non ci sarà nessun professore che mi farà cambiare idea.” Luca Alini (Luca è un infermiere di Cremona)
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Attesa
Mi sveglio, e non so come ma sono qui.
Mi ritrovo, all'improvviso, al centro di questa stanza.
Mi stropiccio gli occhi, e scopro che è la mia vecchia classe delle superiori.
Lurida e lercia, proprio come me la ricordavo.
Ma non sono adolescente, anzi: mi sento più vecchio, in qualche modo.
Nel fisico, nei pensieri, nelle esperienze.
Sono più vecchio, ma non mi sono mai sentito meglio.
In pace, incredibilmente, coi miei pensieri.
Con le mie esperienze.
Con il mio corpo.
Mi guardo attorno e noto che c'è una marea di gente.
L'unico che riconosco è Gabriele.
Mi sorride.
Trepidante.
Come se stesse attendendo qualcosa da me.
E vedo che i banchi, di quell'aula, sono tutti messi attorno al palco.
A questo palco.
Minuscolo, probabilmente.
Devo salire su questo palco?
Non lo so, cosa dovrei salirci a fare?
Dietro al palco un'insegnante.
Che mi guarda.
Nel suo vestito a fiori, largo sulle gambe e stretto in petto.
Mi sorride.
E mi basta questo per convincermi a salire.
Lo faccio.
Diventa tutto buio.
E le poche luci presenti in stanza puntano a me.
Tutto è puntato su di me.
Come se fossi la cosa più importante in quel preciso momento.
Non so cosa ci faccio qui, ma incomincio a parlare.
Forse è una delle cose che più mi riesce bene.
E lo faccio, anche se non so bene cosa sto dicendo.
Ma sto bene qui, sento come se non fosse la prima volta ad essere qui.
Tutte le attenzioni sono su di me, ma sento come se non potessi mai deludere queste persone.
Forse ho faticato tanto per essere qui.
Mi sento gratificato.
Mentre parlo quasi non mi guardo attorno.
Per quanto la stanza sia piena di gente non ho voglia di guardare nessuno.
Anche perché non riesco, è tutto così buio.
Tranne che per un angolo, proprio quello dove sei seduta tu.
È bastato un attimo per notarti.
Seduta lì, con un bellissimo vestito e il timore che ti scoprissi.
Stupenda, come il tuo solito.
È bastato un attimo.
Il mio cuore si è fermato, perché non mi aspettavo di vederti lì.
La stanza è piccola, ma sei così distante che non sarei mai riuscito a raggiungerti.
Forse perché non mi merito di farlo, o tantomeno provarci.
Siamo distanti km, quando in realtà sei qui.
Ma non ho coraggio, ho sbagliato troppo con te.
Mi sento così in colpa che mi vergogno, ora, ad essere su questo palco.
Davanti a te, con il tuo sguardo dolce e fiero che mi fissa e non mi toglie lo sguardo di dosso.
Mi sento in colpa, perché non volevo.
Mai avrei voluto sbagliare così tanto con te.
Sei così distante ma il tuo dolore lo percepisco benissimo.
Mi penetra nelle ossa, destabilizzandomi.
Ingoio il rospo, chiedendomi cosa ci fai lì.
Sei l'ultima persona che mi aspettavo qui, con me.
Non posso fare altro che continuare, chiedendomi perché sei lì, così lontana ma così vicina a me.
Non riesco a reggere il tuo sguardo, anche se vorrei guardarti ancora e ancora.
Ti ho fatto davvero male.
Mi dispiace.
La stanza diventa di nuovo luminosa.
È finito lo spettacolo?
Non so, so solo che non riesco ad avvicinarmi a te.
E anche se potessi non potrei, non ci sono sedie accanto a te.
Niente di niente.
Inavvicinabile, in tutti i senti.
Tocca ritornare in scena?
Mi chiamano.
Salgo di nuovo.
Mi inchino, e ringrazio tutti i presenti.
Tutto finito.
Se ne vanno tutti.
Io invece rimango qui.
Non me ne voglio andare.
Ma vedo che nemmeno tu vuoi.
Sono qui, su questo palco.
Ed adesso tu sei lì, ed io qui per te.
Ma cosa fare? Mi sento di troppo.
Ho così paura di te.
Ma tu sei ferma, non ti muovi di un millimetro.
E mi guardi, perché sono l'unica cosa viva qui.
Forse la cosa più importante per te.
Anche se il dolore che ti ho causato è immenso.
Infinito.
E ci sto male per questo.
Ma non posso stare qui a guardare.
Mi avvicino.
Adesso sei molto più vicina a me.
Così tanto che quasi potrei stringerti e fare finta che sia tutto a posto.
Toccarti i capelli, accarezzarti il viso e osservare le microreazioni del tuo viso.
E questo mi sarebbe bastato, perché avrei di nuovo avuto la confidenza per scatenare in te qualcosa di bello.
Avrei, forse, visto il tuo viso sorridente, il tuo splendido viso sorridente.
Ma non lo merito, non ho il coraggio di farlo.
Ma eccomi.
Eccomi qui da te.
Sono qui, sono da te.
Non so nemmeno perché l'ho fatto, ma spero solo che tu mi possa perdonare.
Come se fosse facile farlo, dopo tutto quello che t'ho fatto.
Mi sono inginocchiato, per non farti alzare.
Per guardarti negli occhi, forse, per l'ultima volta.
Avrei voluto rimanere lì per sempre, fermo, ad osservarti.
Ammirarti, forse.
Ma hai preferito rompere l'oblio di quel momento accarezzandomi.
La tua mano, con la tua semplice dolcezza, si è poggiata sul mio viso.
Si è poggiata e mi ha accarezzato, mentre il tuo viso si rattristava.
E io con lui.
Ma, prima di staccare la mano, hai preferito dirmi una cosa.
"Aspettami."
Stai per scoppiare a piangere.
Ma non potrei mai vederti in quello stato.
Non potrei consolarti, e questo mi farebbe male.
Perché quel dolore te l'ho causato io.
Decido di andarmene.
Mi alzo e ti do le spalle.
Forse per permetterti di piangere.
E lo fai, ti sento.
Sento addirittura una lacrima scendere e sbattere a terra.
Non posso fare che piangere anch'io.
Piango a dirotto, forse come mai prima d'ora.
Ma mentre mi asciugo le lacrime decido che ti aspetterò.
Ti aspetterò.
Perché, aspettarti, è l'unica cosa che mi è rimasta da fare.
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Dreamland
<Sei di nuovo qui, Stark?> <Sempre, dottore>, disse, e si portò due dita alla tempia sorridendo. <Chi ti terrebbe compagnia altrimenti?> <I miei pensieri>, rispose l'altro, e la familiarità di quel tono gli scaldò il petto. <Pensieri che il tuo arrivo disturba sempre> <Oh andiamo, non è che io possa smettere di dormire. Devo essere in forma per il lavoro. Sono un uomo impegnato, sai?> Un rapido movimento delle labbra e una lieve contrazione delle sopracciglia fu tutto ciò che l'uomo offrì in risposta. <Mmh... Fammi indovinare, doc. Neanche oggi sai come liberarci della nostra reciproca presenza? Non puoi, non so, tirare fuori una bacchetta, agitare un po' le mani e restituirmi il mio sonno?> L'altro sbuffò. <Lo farei se fosse così semplice, Stark, ma purtroppo non è così. E poi smettila di alludere a bacchette inesistenti, te l'ho già detto che non mi serve nulla del genere> <Come posso saperlo se fin'ora non mi hai mai mostrato nessun incantesimo? Sono curioso, doc. Oggi farai una magia per me? Va bene anche una piccola, come far sbocciare un fiore dalle...uhm, nuvole? Non ho davvero idea di cosa ci sia sotto i nostri piedi, ma non è importante. Oh oh! Ho trovato!> L'uomo lo guardò inarcando un sopracciglio, le braccia conserte e le gambe accavallate. <Fatti crescere i capelli e falli biondi!> La risposta fu immediata e molto più divertente di quanto Tony aveva sperato. <Assolutamente no!>, esclamò il dottore, alzandosi di scatto dal mucchio di nebbiolina su cui si era inspiegabilmente poggiato. <Vuoi vedere un incantesimo? Bene!> Alzò le mani davanti a sé, mosse la destra per formare un'ellisse verso l'alto e mentre scintille di un caldo arancione andavano a formare figure complesse davanti a sé, fece lo stesso con l'altra mano. Poi batté le mani tra di loro con aria abbastanza seccata e fissò Tony, in attesa. L'ospite indesiderato stava quasi per ridere a quel piccolo gioco di prestigio, ma il pelo che sentì sotto le dita quando si toccò il lato della testa lo fece fermare, impietrito. Quasi gridò quando, toccandosi le orecchie, le trovò sostituite da quelle lunghe e morbide degli asini. <Stop, stop, stop! Annulla tutto!>, gridò, ma l'altro lo guardò semplicemente sorridendo e lo indicò con un dito. <Sicuro? Ti donano particolarmente> <Non scherzare, Strange. Non dirmi che sono permanenti, perché nel caso la prossima volta troverò il modo di portare qui con me un lanciafiamme!> <Ehi, ehi, tranquillo. Non sono permanenti, scompariranno quando ti sveglierai. E per tua informazione è impossibile per noi mortali portare oggetti qui dentro. La dimensione dei sogni è-> <Totalmente indipendente da tutte le altre, sì. Lo ripeti sempre> Strange fece una smorfia e tornò a sedersi nel solito punto, ma toccò lo spazio accanto a sé, invitando Tony a sedere lì. Un grande cambiamento, si ritrovò a pensare quello mentre si avvicinava, rispetto alle prime volte. Rimasero in silenzio per un po', poi Strange sembrò ricordare qualcosa di buffo perché rise leggermente e parlò guardando da tutt'altra parte. <Quindi, sei soddisfatto adesso? Hai visto la mia magia> Anche Tony rise, ma le orecchie si piegarono di lato, esprimendo un certo fastidio. <Oh sì, ricordami di non chiedertelo mai più> <Non mi sembri molto sorpreso all'idea> <Be', sai com'è, quando ti ritrovi a condividere una sorta di sogno lucido con la stessa persona per quasi una settimana e quella è anche uno sconosciuto, tendi a non sorprenderti molto per delle lucine arancioni e un paio di orecchie da asino> Strange tacque per alcuni istanti e poi annuì, accarezzandosi il mento con due dita. <Mi sembra giusto> <E poi credo sinceramente che un sogno non possa sorprendermi più di un'invasione aliena da parte di un dio del male mutaforma> L'altro alzò la testa e spostò lo sguardo dalle sue mani tremanti in grembo alla volta stellata che brillava tenue e dolce sopra di loro. <Ah Stark, non hai idea di quanto ancora ci sia in questo e in altri mondi di più sorprendente> Parlò così e per la prima volta Tony pensò di aver sentito della vera malinconia filtrare tra le crepe di quella maschera fredda e indifferente, che portava forse senza neanche accorgersene. Quando lo guardò, tuttavia, l'espressione era quella di sempre: calma e imperturbabile. Tornò a giocherellare con le mani sulle ginocchia e si chiese come fosse la sua di maschera. Che colori avesse, se fosse rigida o morbida, di stoffa o di cartone; aveva delle piume? Un disegno? Si chiese se lo coprisse abbastanza, se riuscisse a celare bene quanto faceva quella del dottore accanto a lui. Lo domandò a se stesso e non ottenne risposta, quindi rispose al suo compagno. <Sempre così malinconico, doc? Ti verranno le rughe se non impari a rilassarti un po'> Strage sorrise e i suoi occhi si addolcirono mentre lo sguardo si posava sul suo polso. <Me lo dicono spesso> Per un po' i due rimasero in silenzio, Strange semplicemente fissando le stelle e guardandosi ogni tanto intorno, Tony ora studiando le soffici nuvole su cui erano seduti e, stranamente, il gradevole profilo del dottore, ora toccandosi le orecchie. In fondo probabilmente non ci sarebbe mai stata un'occasione migliore per studiare le orecchie di un asino, non che gli sarebbe mai servito a qualcosa, ma tant'è. Poi sbadigliò e seppe che la loro compagnia era giunta al termine. Anche Strange si girò verso di lui. <Be', dottore. Sembra che per stanotte io abbia finito qui. Come al solito ti lascio indietro... Sicuro che non sentirai la mia mancanza? Già ti immagino, qui, solo soletto, a disperarti per-> <Stark>, tuonò l'altro, <Vai e spera di non tornare domani> Tony sorrise e si alzò in piedi, si stiracchiò e sbadigliò di nuovo. Quando riaprì gli occhi la fredda luce dell'alba stava facendo capolino dal monotono orizzonte di una New York già sveglia da tempo.
•~•~•~•
<Ehilà doc>, salutò. <Quali buone nuove oggi?> Strange interruppe i suoi rapidi movimenti e si voltò verso Tony, agitando una mano in segno di saluto. <Sei arrivato prima stasera, Stark> <Sì be', diciamo che ultimamente il sonno sembra non bastare. Sarà perché mi ritrovo ogni notte in un'altra dimensione a parlare con uno sconosciuto? Chissà> Si aspettava che lo stregone alzasse gli occhi al cielo o facesse un commento tanto tagliente quando per Tony assolutamente irrinunciabile, ma invece il dottore inarcò solo un sopracciglio e unì le mani sotto al mento, un gesto che le prime volte aveva indotto Tony a pensare che fosse in preghiera, ma che poi aveva appreso essere la posizione più apprezzata per meditare su questioni di una certa importanza. <Non ti senti riposato quando ti svegli?>, chiese, osservandolo con quei suoi begli occhi chiari come il ghiaccio scintillante sotto il sole estivo. Ne seguì una subitanea sensazione di smarrimento, di cui Tony si liberò rapidamente sbattendo più volte le palpebre. <Così ho detto> <Capisco... È peggio di quanto pensassi>, mormorò l'altro tra sé e sé, considerando di portare con sé il Mantello la volta successiva. Un alleato in più poteva far comodo. Poi la sua attenzione fu attratta dai movimenti dell'altro e decise di destinare alla veglia quei ragionamenti. Si avvicinò come Stark gli aveva indicato di fare ed entrambi sedettero come al solito su un soffice ammasso di vapore, stavolta più simile a un letto che a una poltrona. Per cui non passò molto tempo per entrambi prima di decidere di stendersi. Parlarono a lungo di banalità e aspetti delle loro vite poco importanti, come era consuetudine. Nessuno dei due aveva trovato poco difficile da superare il muro che impediva loro di accettare l'altro nella propria sfera privata, e così, un po' in attesa di capire come fare, un po' forse sperando di non essere quello che avrebbe dovuto farlo per primo, le loro conversazioni rimasero confinate al livello di chiacchiere poco costruttive. Almeno fino a quando non arrivarono a parlare di affetti e in particolare della famiglia, l'argomento più privato di cui avessero mai discusso. <C'è...questo ragazzo che-> <Ti piacciono i ragazzini, Stark? Non ti facevo tipo da minorenni> Se Tony avesse avuto una bevanda, l'avrebbe sicuramente sputata, premurandosi anche di mirare esattamente al viso dell'altro. Invece scattò seduto, guardando il dottore con occhi sgranati e tossicchiando perché la saliva gli era andata di traverso. <Cosa? No! Certo che no! Peter è come un fiii- è solo il mio apprendista, e io sono il suo mentore. Punto> Strange sorrise e si stese più comodamente. <Va bene, ti credo...papà> Tony pensò di potersi soffocare con l'aria. Saltò un po' e arrossì, sperando che le poche stelle attorno a loro non bastassero perché Strange lo notasse. Quindi rispose con un certo imbarazzo. <Smettila di prendermi in giro. Potrei anche chiederti perché la tua prima domanda sia stata se mi piacessero i ragazzini e non gli uomini in generale. Insomma, non credo che sia tanto evidente> Seguì il silenzio e Tony guardò lo stregone con preoccupazione. <È evidente?> Strange sorrise di nuovo, cosa rara e molto gradita, se il miliardario avesse avuto il coraggio di ammetterlo. <Se ti può consolare, sono un buon osservatore. O almeno questo è quello che mi ha sempre detto Christine> <Ooh, finalmente un po' di backstory del misterioso dottor Stephen Strange>, fece Tony stendendosi si nuovo. <Chi è Christine? La tua ragazza?> Lo sguardo dello stregone si perse un po' nella volta scura, ma rispose ugualmente. La nostalgia pesava su ogni sua parola. <Avrebbe potuto esserlo, ma diciamo semplicemente che abbiamo preso strade diverse senza più ritrovarci. Immagino tu sappia di cosa parlo, signor Stark> Ah, pensò Tony, davvero un buon osservatore. <Tony, puoi chiamarmi Tony. Se non ci riesci va bene anche solo Stark, ma togli il "signore", fa sembrare tutto questo professionale> <Quindi immagino di doverti concedere la stessa possibilità, Stark. Anche se nel mio caso il "dottore" è sempre ben accetto> <Ma certo>, esclamò il miliardario. <Non mi sarei aspettato nulla di meno dal celeberrimo dottore, prodigio della chirurgia. C'è da essere orgogliosi dei tuoi meriti> A quelle parole gli occhi di Stephen si adombrarono e Tony desiderò poterle ritirare immediatamente. <Vedo che ti sei informato> <Solo per capire se tu fossi un fantasma o meno, giuro> Stephen rise un po'. <Immagino possa avere senso. Comunque credo di essere molto cambiato da quei tempi. Ciò che posso fare, i modi in cui posso aiutare sono drasticamente diminuiti. Non riesco nemmeno a reggere bene un bisturi, figurarsi operare> Tony rimase in silenzio, deciso a non perdersi una sola parola di quell'inaspettata confessione. Perciò il suo disappunto fu grande quando la voce profonda dello stregone smise di deliziare il suo udito e le sue speranze di individuare in lui una possibile apertura scomparvero come neve al sole. Vide il modo in cui le mani del dottore si strofinavano contro la stoffa, a scatti, e decise rapidamente di cambiare argomento. <Aaw, doc, allora hai anche un lato umano. Non mi eri sembrato così la prima volta che ci siamo incontrati. Eri tutto "non dovresti essere qui" e "sparisci!". Hai anche cercato di tirarmi un pugno> <Perché ti eri messo a gridare, idiota> L'orgoglio di Tony ne risultò lievemente ferito, ma per un bene superiore decise di ignorarlo. <Ed eri tutto in vena di filosofeggiare, coi discorsi sulle dimensioni e la realtà. Per l'amor del cielo, sicuramente non era quello ciò che avrei voluto sentirmi dire> Questo fu ciò che disse, ma in realtà serbava il ricordo di quelle poche prime ore con tenera cura. Lui, che dal sonno era passato ad un sogno lucido così reale da fare paura, scosso e del tutto disorientato, e Stephen, sorpreso, sì, e all'inizio anche molto fastidioso, ma incontestabilmente sicuro. Stargli vicino era stata una delle prime tattiche che il suo istinto di sopravvivenza gli aveva suggerito. Dopo che era riuscito ad evitare il pugno e smettere di gridare come l'uomo nel panico che era, ovviamente. Da qual momento in poi la conversazione era stata abbastanza civile, anche se terribilmente breve. Poche, semplici parole erano bastate perché Tony giungesse alla conclusione di aver sentito abbastanza per un sogno solo e si rinchiudesse in un silenzio meditativo il più lontano possibile dall'altro. Ma non troppo lontano, non sia mai. Tutto era iniziato con una domanda, seguita da un'affermazione che lì per lì lo turbò profondamente. <Tutto questo esiste realmente?> <
No, certo che no. O almeno non esiste nella sua realtà, signor Stark. Nella mia questa situazione è piuttosto normale> Solo in un secondo momento era riuscito ad analizzare la situazione con la mente di qualcuno che aveva visto e combattuto contro alieni e divinità e sì, a quel punto non era sembrata così strana. Spaventosa e fonte di disagio, certamente, ma non interamente negativa. Dopotutto aveva conosciuto uno splendido uomo dalla personalità intrigante, una fortuna del genere non capita spesso nella vita! Un uomo orgoglioso e pignolo, arrogante e serio al punto che Tony all'inizio aveva pensato pensato non sapesse sorridere. Ma anche intelligente, arguto, educato, curioso e altruista. Se quella non era la persona giusta per lui, allora non ne avrebbe mai trovata una, perché era sicuro che non ne esistesse per lui una migliore. E, ma questo era solo un piccolo sospetto per cui urgeva una verifica, probabilmente condivideva i suoi stessi gusti in fatto di amanti. Solo che forse non lo sapeva ancora. In fondo anche lui aveva immaginato di trascorrere il resto della sua vita con Pepper prima di intravedere un'altra strada. C'era la possibilità e Tony aveva intenzione di afferrarla con entrambe le mani. Ora, come verificare un'ipotesi del genere? Approccio diretto? No, la chiusura dell'altro sarebbe stata immediata e Dio solo sa quando sarebbe riuscito a rimettere in mezzo l'argomento! Doppi sensi? Insinuazioni innocenti? No, capirebbe subito. Lui è perspicace. Una prova più...pratica? Forse? Mentre analizzava le sue opzioni come se da questo dipendesse l'intero suo futuro - e un po' sperava fosse così - non si accorse che lo stregone aveva lasciato il suo fianco, alzandosi in piedi e allontanandosi un po', come se stesse cercando qualcosa nell'oscurità. Se ne rese conto solo quando sentì la sua voce richiamare la sua attenzione. <Stark, penso che dovresti andare per stanotte. Non dovrebbe essere troppo tardi, tornando ora potresti dormire bene per qualche ora> Tony si mise a sedere, guardando l'altro in preda alla confusione. Lo stava cacciando? Aveva fatto qualcosa di male? Aveva già bruciato tutte le sue chance senza neanche sapere come? <Ehi, frena lì>, disse il dottore mentre agitava una mano davanti a sé. <Uh?> <Non so a cosa tu stia pensando, ma non fare quella faccia. Non ti sto cacciando, se il problema è questo> Normalmente Tony avrebbe risposto con una battuta, un sorriso accattivante e via, ma questa volta decise di essere onesto nel suo turbamento. <Ho fatto qualcosa di sbagliato?> Stephen si sorprese per quella domanda, in tutta onestà non si aspettava che l'altro fosse tormentato da un pensiero del genere. Era inaspettato e...tenero. Il suo sguardo si addolcì e l'espressione tesa si ammorbidì, la tensione nelle spalle cedette lievemente. <No, non hai fatto nulla> Non gli sfuggì il modo in cui Tony si rilassò nel sentire quelle parole. <Sono vicino a trovare un modo per liberarci da questi sogni, ma per verificarlo ho bisogno che tu lasci questa dimensione prima stanotte. Ho trovato un metodo per farti svegliare> <Grande, doc! Sapevo che ci saresti riuscito prima o poi> Tony sorrise e si alzò in piedi, fermandosi davanti all'altro. <Bene, quindi, cosa devo fare? Agitare le mani e creare un cerchio arancione come fai tu? Recitare uno strano canto antico mentre danzo intorno a un mucchietto di nuvole convincendomi che sia un fuoco?> L'angolo della bocca di Stephen si sollevò e una luce preoccupante gli animò gli occhi. Uh oh. <Niente di così complicato, Stark, anzi, qualcosa di così semplice che è strano che non ci abbia pensato prima, questo devo ammetterlo> Tony deglutì. Non si fidava, affatto. <E cosa sarebbe?> <Questo> Allungò una mano rapidamente e strinse tra le dita un punto del braccio del miliardario, stringendo così forte da fargli vedere le stelle, poco importa che fossero già tutto intorno a loro. Tony si lasciò sfuggire un gridolino in preda al dolore improvviso e proprio in quel momento poté sentire la sua coscienza assopirsi velocemente. <Un...pizzicotto?>, mormorò. L'ultima cosa che vide prima dell'oscurità fu il sorriso compiaciuto dello stregone e la sua mano che ondeggiava mentre lo salutava. <Bastardo...>
Poi si svegliò ed era nel cuore della notte. Per qualche motivo il braccio gli faceva male.
•~•~•~•
Tony seppe di aver aperto gli occhi solo ed esclusivamente per la leggerissima brezza fresca che glieli seccò quasi immediatamente. Li richiuse e poi li riaprì. Niente, solo buio. Per un minuto buono si chiese se fosse effettivamente nello stesso posto in cui andava a finire tutte le notti oppure no. Il respiro si bloccò al pensiero di essere finito da qualche parte tra le dimensioni. Se così fosse stato, Stephen lo avrebbe trovato? Dov'era Stephen? Si guardò intorno, o meglio, girò il capo, strizzando gli occhi per vedere qualcosa in quell'oscurità disarmante, solo per giungere alla conclusione di non riuscire a vedere niente di niente. Alzò lo sguardo verso quel cielo che fino a poche notti notti prima era pieno zeppo di stelle brillanti. Il sangue gli si gelò nelle vene quando i suoi occhi si posarono sul lieve bagliore di un'unica, minuscola stellina. Ora che ci pensava, all'inizio tutto l'ambiente era illuminato da raggi di sole dorati e rosati, come fossero immersi nella rinfrescante luce dell'alba. Poi col passare del tempo l'alba era diventata tramonto, poi sera e infine notte, ma la luna e le stelle avevano sempre riempito di una luce delicata le loro notti passate insieme. Ma quell'oscurità... Le stelle erano diminuite drasticamente negli ultimi giorni, ora poteva vederlo chiaramente nella sua memoria. Come aveva fatto a non accorgersene? Stephen lo aveva notato? Per quello era distratto e vagabondava? Perché non era lì? Un orribile pensiero gli invase la mente con inaudita prepotenza e ci mise radici. Gli è successo qualcosa? Un brivido gelido gli percorse la schiena mentre la preoccupazione e la paura divampavano e lambivano la sua anima, riempiendo la sua mente di fumo. Non riusciva a pensare chiaramente. Stephen era in pericolo? No, era lo Stregone Supremo per diamine! E se avesse avuto bisogno di aiuto? E se effettivamente fosse in pericolo? La sua armatura. Dov'era la sua armatura?! Non c'era. In sogno non si possono portare oggetti materiali. Era, per la prima volta dopo troppo tempo, davvero impotente. Non aveva la sua armatura, nessuna geniale invenzione a disposizione e né il materiale per crearne una. Aveva solo se stesso, la sua mente e i suoi pugni. E anche nessuna idea di dove iniziare per cercare Stephen. Per sua fortuna lo Stregone Supremo era tale perché meritevole del titolo e ci sarebbe voluto ben altro per metterlo fuori gioco. Così, animato dalle più nobili intenzioni, Stephen emerse dall'oscurità e poggiò una mano sulla spalla dell'altro. Tony fu pochi battiti lontano dall'avere un infarto quando una mano fredda e tremante gli afferrò la spalla da dietro. Sentì letteralmente la vita abbandonarlo in un soffio e si chiese se non fosse quella una delle tanto famose esperienze pre mortem. Quasi svenne. Invece si girò appena, con gli occhi così spalancati da fare male. Si sentì inondare dal sollievo vedendo i familiari occhi azzurri. Una sottile verga arancione brillava nell'altra mano dello stregone, illuminando dal basso entrambi i loro visi. <Sei in ritardo, Stark>, disse lo stregone con calma, come se non avesse appena rischiato di uccidere Tony nel sonno. Il miliardario deglutì e costrinse la sua voce a risultare rilassata, anche se probabilmente tutto il suo corpo gridava il contrario. <Sì be', ho un lavoro a tempo pieno, lo sai> Si guardò brevemente intorno e poi tornò a rivolgersi all'altro. <Quindi, uhm... Cosa è successo qui? Un guasto al quadro elettrico o...> <Sarebbe molto più facile se fosse così semplice, ma purtroppo non è così> <Cosa intendi?> <Quale vuoi sentire prima, la buona o la cattiva notizia?> <La buona> <Stiamo per liberarci da questi sogni e riacquistare il nostro sonno. O be', il tuo sonno più che altro. Non è che io dorma così tanto solitamente> <Bene, e la cattiva?> <Dobbiamo prima scovare e scacciare l'entità responsabile di tutto questo> Tony esitò, non essendo sicuro di volerlo davvero sapere. Ma la sua curiosità ebbe la meglio e domandò comunque. <...sarebbe?> Stephen lo guardò con preoccupazione. <Il Tapiro dei sogni, una creatura della mitologia orientale. Normalmente si nutre degli incubi delle persone, ma molto raramente può capitare che inizi a divorare i sogni, svuotando una persona da tutte le sue fantasie e aspirazioni. È un essere molto antico e per questo difficile da individuare, ma ho letto che dovrebbe mostrarsi alla fine, quando ha intenzione di passare ad un altro ospite> <Vuoi dire che...> <Esattamente. Le stelle sono quasi tutte scomparse, dopo quest'ultima il Tapiro avrà completato il suo pasto. Dovremo affrontarlo allora, anche se sarà al massimo della sua potenza. Non è una creatura di indole aggressiva, ma con così tanti sogni per sé potrebbe diventarlo> Tony ascoltò in silenzio e poi, quasi sussurrando, esprimette a parole la domanda che lo stava tormentando. <Cosa... Cosa succederebbe se riuscisse a scappare?> Stephen lo fissò per alcuni istanti, poi strinse la mano, ancora sulla sua spalla, in maniera rassicurante. <Non succederà. Lo prometto> Sorrise e Tony ci credette davvero. Oh quanto ci credette.
Fu solo in quel momento che notò un particolare interessante: Stephen stava volando. O meglio, fluttuando a poco meno di un piede da terra, proprio di fronte a lui. Si allontanò leggermente per avere una visione d'insieme dell'altro e non fu poi così sorpreso per quello che vide, stranamente. Lo stregone notò il suo sguardo e lasciò che i suoi piedi toccassero terra, slacciando il fermaglio che teneva chiuso alla base del collo. Subito la reliquia scattò verso Tony e l'uomo indietreggiò, preso alla sprovvista. <Stark, ti presento il Mantello della Levitazione. Saluta Levi> <Uh... Levi?> <Nome scontato, non è vero? Ho detto a Wong che non era adatto per una reliquia, ma lui non ne ha voluto sapere di cambiarlo> <Non è- Il mantello sta fluttuando!> Stephen lo guardò con incredulità. <Ed è la cosa che ti colpisce di più in questa situazione?> Tony non rispose, rimanendo in silenzio. Poi si passò una mano sul viso, ridacchiò e allungò un braccio verso il Mantello, che gli si avvolse felicemente attorno. <Hai un punto, doc. Ma in mia difesa posso dire che tutti gli oggetti animati che io abbia mai visto contenevano fili e processori, non magia> Uno strattone improvviso lo fece inciampare in avanti e Tony si aggrappò di riflesso alla prima cosa che gli passò sotto mano: le spalle di Stephen. I due rimasero immobili, fissandosi negli occhi per un tempo che sembrò infinito. Non erano mai stati tanti vicini. Il respiro dello stregone si fece sottile e gli occhi dell'altro si allargarono leggermente, mentre entrambi giungevano ad una realizzazione inevitabile. Solo un po', solo un pochino più in alto e Tony avrebbe potuto finalmente baciare quelle labbra. La presa delle sue dita sulle spalle dello stregone si strinse. Ci pensò il Mantello ad infrangere quel momento di tensione e desiderio, gettando i due uomini nell'imbarazzo totale e portandoli a scattare verso direzioni diverse, arrossiti in volto. O meglio, tentarono di scattare, ma della fine stoffa rossa era arrotolata attorno ai loro polsi ora giunti. Stephen, realizzando, rivolse un cipiglio alla reliquia, aprendo la bocca per rimproverarla, ma il Mantello li aveva separati per un motivo. Era un peccato, la reliquia aveva sperato che lo strattone avrebbe fatto di più, ma al momento c'era un problema più serio di cui occuparsi. Si agitò, lasciando i polsi e svolazzando dietro le spalle dello stregone. Quello si girò, guardando nel buio di quella notte senza stelle, e poi lo vide, il Tapiro. Incombeva su di loro con la sua ragguardevole stazza, conseguenza di ognuna delle stelle scomparse. La luce fioca dell'unica superstite ne rendeva visibili i contorni sfumati e Stephen si rese rapidamente conto di quanto fosse effettivamente vicino. Non si vedeva nulla, solo il profilo lucente di una folta pelliccia simile a nuvola e un paio di luminosi e sottili occhi color porpora. I due uomini capirono che si era mosso quando sentirono il sottile suono di una campanella in quel silenzio di tomba, per il resto la creatura non emetteva un solo rumore. Sembrava fatta d'ombra e fondersi con le tenebre, un vero incubo vivente. Non c'era luce che potesse rischiarare quella notte infinita. Il mantello tornò al suo posto sulle spalle dello stregone con un click del fermaglio, poi Stephen afferrò la mano dell'altro e si spostò di lato, mettendo tra loro e la creatura una giusta distanza. Tony non trovava le parole e rincorreva senza speranza i propri pensieri, mentre il peso quasi tangibile di quella presenza così antica e potente gli schiacciava la mente e l'anima. Era sinceramente terrorizzato, pietrificato dalla paura e dall'impotenza. Una vocina nella sua mente continuava a ricordargli che la sua armatura non sarebbe arrivata. Tentò di parlare, ma ne venne fuori un suono strozzato, mentre tutto quello che poteva fare era fissare quell'enorme sagoma dagli occhi di fiamme e tremare per l'aria gelida che li avvolse come una coperta. Costrinse le sue ginocchia a sostenerlo. In nessun modo si sarebbe abbandonato alla paura, men che meno in una situazione in cui non era il mondo a essere in pericolo. Per non parlare di Stephen; mai davanti a lui. Per fortuna, mentre lui tremava lo stregone sembrava essere ancora in possesso di tutte le sue facoltà. Si girò verso di lui e con espressione seria gli disse: <Tienila stretta e non lasciarla mai andare> Tony avrebbe chiesto cosa intendeva con quello, ma non ne ebbe il tempo, non quando il Mantello si strinse improvvisamente attorno alle sue spalle, sollevandolo in aria. Gridò per cercare di tornare giù, di stare accanto a Stephen e sostenerlo, ma senza successo. Vide che il dottore lo stava guardando, c'era tensione nel suo sguardo, ma anche speranza e soddisfazione. Sembrava contento. Ormai erano lì, la luce si faceva sempre più vicina ed intensa. Tony non aveva bisogno di alzare lo sguardo per vedere l'ultima stella sopra di lui. Preferiva guardare giù, verso quella distesa di nulla in cui gli occhi glaciali dello stregone brillavano di determinazione. Che sfortuna... Avrebbe voluto almeno stringergli le mani. Erano lì, c'erano, avrebbe potuto alzare una mano e l'avrebbe toccata, la luce. Proprio in quel momento vide Stephen muoversi e improvvisamente decine di cerchi luminosi comparvero tutto intorno a loro, vicini e vibranti di potenza. Tony capì perché il dottore aveva vagato così tanto in giro negli ultimi giorni, finalmente tutti i tasselli si unirono in posizione. L'immagine che ne ricavò fece contrarre il suo cuore per la tenerezza. Era lui, era sempre stato lui il primo pensiero del dottor Strange. Lui e come liberarlo dai suoi stessi sogni. Si era sempre preoccupato per Tony, uno sconosciuto. Sentì l'urgente bisogno di gridare qualcosa, qualsiasi cosa, ma l'altro lo batté sul tempo. <È stato un piacere, Stark, ma vedi di non tornare più qui, intesi?> I cerchi divennero più luminosi, la creatura emise un profondo e gutturale lamento. Tony non poté non sorridere, anche se il suo cuore piangeva e il petto era stretto in una morsa. <È Tony, non Stark>, gridò, cercando di sovrastare il rumore crescente. Stephen rise, per la prima volta rise davvero. Tony lo registrò immediatamente nella propria mente, pregando tutti gli dei esistenti di ricordarlo una volta sveglio. <Bene, Stark>, sorrise e il miliardario alzò gli occhi al cielo. <Spero che la prossima volta ci incontreremo in circostanze migliori> Si udì un tonfo e la creatura caricò, la furia ardeva nei suoi occhi. <Quando accadrà, accetteresti di uscire a cena con me?>, ora Tony stava gridando a pieni polmoni, in qualche modo si era alzato il vento e il suo ululato riempiva le orecchie. Giurò di aver visto Stephen sorridere. <Non te la caverai con così poco, sappilo> Sorrise anche lui. <Amo le sfide> Una barriera arancione quasi invisibile si materializzò tra lo stregone e il Tapiro quando questo vi andò a sbattere duramente contro. Cadde di lato barcollando e una nuvola di farfalle sostituì la barriera frantumata. <Stephen!>, Tony gridò, incurante del fatto che avesse effettivamente appena usato il nome dell'altro. Quello lo guardò sorpreso per un breve istante, poi fece un cenno col capo e il Mantello schizzò verso l'alto. La luce più bianca che avesse mai visto inghiottì Tony immediatamente e l'ultima cosa che vide fu un'intensa esplosione dorata, accompagnata da un grido ben distinto. <Alla prossima, Tony!>
L'uomo si svegliò di soprassalto quella notte. Non chiuse occhio. Non sognò più il dottore per molto, molto tempo, ma la stanchezza svanì e il sonno tornò ad essere pacifico, quindi si convinse che fosse andato tutto bene. Ci volle un po' perché iniziasse a crederci davvero. Cercò quell'uomo nella vita reale, ma di lui non c'erano più tracce, o almeno del suo vecchio lui. Scomparso nel nulla. Il nuovo non esisteva neanche. Per molto tempo sperò di addormentarsi e trovarsi di nuovo tra le nuvole, una voce profonda e un mantello rosso lì con lui. Non accadde mai.
Poi il mondo fu di nuovo minacciato e un uomo aprì un portale proprio accanto a lui, comparendo dal nulla. Purtroppo la cena avrebbe dovuto aspettare: le circostanze, sfortunatamente, non erano migliorate.
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Sacrifice, Chapter 37
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
La cena proseguiva a gonfie vele e Wanda non se lo sarebbe mai aspettato visto che non aveva mai avuto occasione di poter invitare a cena un ragazzo. Aspettate, chiariamo... invitato a cena è esagerato, piuttosto è stata sua madre a costringere James a rimanere ma in fondo l'ha fatto per una buona causa. Non aveva smesso di piovere e se James se ne sarebbe andato, sicuramente sarebbe tornato a casa completamente bagnato per colpa della pioggia. La tavola era completamente imbandita di cose buone, cose che a pensarci bene la mamma di Wanda non aveva mai cucinato prima.
Clint era seduto a capotavola, la mamma di Wanda alla sua destra e di fianco a lei c'era il piccolo Pietro. Mentre di fronte a loro c'erano Wanda e James. Una perfetta cena di famiglia, se non fosse per il fatto che era ancora troppo presto e che per entrambi sarebbe stato troppo imbarazzante lo stesso. Il vassoio e la pirofila andavano avanti e indietro mentre ognuno prendeva la propria porzione di cibo e intanto si scambiavano chiacchiere e aneddoti.
"Tu James come vorresti proseguire una volta finito il liceo?"chiese la mamma di Wanda rivolgendosi al ragazzo di fronte a sé.
Sua figlia la guardò, non voleva che gli facesse delle domande scomode perché se l'avrebbe fatte sicuramente si sarebbe vergognata ma a James non pesava tanto.
"Pensavo all'Harvard, c'è fisica lì..."
"Oh, bene! Farai solo i tre anni oppure continuerai con altri due? Insomma è un po' lontano da qui"
"Credo che per ora mi concentrerò su ciò che ho scelto, poi deciderò se continuerò o meno...tu Wanda?"chiese lui.
Ma la ragazza non aveva sentito nulla di ciò che era stato dato detto, era davvero contenta per James certa che avrebbe potuto continuare i suoi studi anche lontano dalla città di New York. Ma il solo pensiero che magari lei non sarebbe riuscita a scegliere se continuare con l'università o meno la spaventava così tanto da non pensarci nemmeno ad essa.
"Wanda?"la richiamò di nuovo il ragazzo affianco a sé.
"Cosa?"
"Chiedevo solo quale università vorresti frequentare..."chiese lui guardandola con ancora la forchetta in mano.
Wanda si riprese un secondo poi iniziò a parlare anche lei.
"Credo...credo che andrò alla Juilliard"
"Alla Juilliard?"chiesero tutti e tre sorpresi.
Clint era sorpreso, sua madre lo era anche lei ma non sapeva di questa decisione improvvisata della figlia e James, diversamente da tutti e tre, la guardò con un sorriso di orgoglio.
"Si...alla Juilliard, è quella più vicino casa e..."disse lei iniziando a spiegare perché di questa scelta presa improvvisamente.
"Non me ne avevi parlato, come mai?"chiese invece sua madre curiosa.
"Beh...era perché...ci stavo pensando, solo che poi è successo quella cosa e..."
"Quindi studierai arte, musica e spettacolo?"
"Si, quello...sempre se ne avrò possibilità"disse lei abbassando la voce alla fine ma James la sentì lo stesso.
"Ehm...Clint, mi passi il sale?"continuò lei non badando al fatto che ora tre quarti delle persone sedute a tavola erano in silenzio. Tranne per Pietro, che era concentrato a guardare la TV.
"Si..."
La cena da quel momento proseguì e nessuno dei quattro ritornò sull'argomento consapevoli del fatto che a Wanda poteva dare fastidio. Ma più che fastidio era rabbia. Rabbia perché sapeva che, forse, non avrebbe potuto continuare i suoi studi come voleva e come aveva sempre desiderato.
"Magda, la prego si faccia aiutare..."disse James vedendo che la mamma di Wanda si era caricata di stoviglie.
"No, James faccio io...e poi dammi del tu"disse lei facendolo ridere.
"Veramente mamma, va a riposarti è stata una giornata pesante per te..."
"Ne sei sicura?"le chiese sua madre e lei annuì.
Vedendo che sua madre si andò a sedere sul divano insieme al piccolo Pietro ed a Clint lei andò in cucina iniziando a riempire il lavello da solo un lato con dell'acqua e del sapone per i piatti. Si alzò le maniche della sua maglia e prese il grembiule intrecciandolo dietro per poi fare un fiocco sul davanti. Quando vide che l'acqua era a metà decise di chiuderla e iniziò a lavare i piatti ma fu presto interrotta.
"Lascia che ti dia una mano..."disse la voce di James dietro di lei.
Si girò e vide che lui si stava alzando le maniche della sua felpa e che si stava avvicinando arrivando proprio di fianco a lei.
"James, non preoccuparti faccio da sola..."
"Voglio solo ricambiare il favore di avermi invitato a cena"
"Frena, frena, frena... tecnicamente non sei stato invitato, mia madre ti ha costretto solo perché non voleva che tornassi a casa con l'influenza e se le dicevi di no, non so come sarebbe andata a finire..."
"Mi avrebbe chiesto altre dieci volte di rimanere?"
"Chiedertelo? Lei non la conosce quella parola...ti avrebbe supplicato fino a quando non avresti detto di sì"
"Testarda, capisco da chi hai preso"
"Si...ma se fossi stata io ad invitarti certamente non ti avrei fatto lavare i piatti"
"E cosa mi avresti fatto fare?"
"James che domande! Ti avrei fatto cucinare...cosi avrei potuto vedere in anteprima se sei capace di fare una torta"
"Mancano solo due settimane al tuo compleanno, lo sai? Poi quando bisogna fare qualcosa e vuoi che sia fatta bene non c'è bisogno di pressare"
"Io sto solo cercando di farti superare le tue paure"
"La paura di cucinare non è una vera paura"
"Allora di cosa hai paura?"
"Beh...ce ne sono tante ma potrei dire quella di non realizzarmi, vedere che quelli che sono stati i sacrifici di una vita non verranno mai ripagati"
"È bello sapere che ci tieni così tanto, a qualsiasi cosa in modo che tutto sia perfetto proprio come lo vuoi tu"disse lei sinceramente guardandolo e lui sorrise con lo sguardo abbassato.
"Tu, invece? Non hai paure?"chiese lui.
"Beh, dire la paura di morire è quasi scontato nel mio caso..."
"Non è scontato"disse lui guardandola in modo serio.
E Wanda non osò contraddirlo, vedendo per la prima volta che quello che lui stava dicendo era la verità e sentendo che a lei ci teneva davvero.
"...ho paura dell'acqua. Anche se è una paura che è uscita fuori da poco...quando ero piccola, ero solita andare al lago, non ricordo neanche dov'era ma so solo che nuotavo così tanto che mia madre doveva prendermi con la forza per farmi uscire dall'acqua. Ora...ora quasi ogni notte ho lo stesso incubo, sogno di stare su una scogliera così alta e di buttarmi ma non riesco a risalire in superficie perché non riesco a muovere gambe e braccia...e per questo che..."
"Non c'è bisogno veramente, non mi va di vederti stare male"
"No, no sto bene...solo...voglio trovare un modo per sconfiggere le mie paure ma non riesco neanche a pensare che possa esserci"disse lei tirando su col naso.
"Vedrai che ci sarà"disse lui e mise la sua mano sulla sua.
Erano bagnate entrambe ma comunque sentirono insieme una strana sensazione. Strana ma bella.
Finirono di lavare i piatti e vedendo l'orologio appeso in cucina James si rese conto che era tardi quindi prese il suo zaino e la sua giacca e insieme a Wanda si diresse alla porta di casa.
"Grazie per essere venuto"disse lei.
"È stato un piacere davvero, certo non mi aspettavo di restare così tanto e neanche di cenare qui ma...è stato bello"disse alla fine guardandola.
"È stato bello anche per me"
Era proprio vero che gli sguardi potevano dire molto di più delle parole, che gli occhi erano lo specchio dell'anima. In questo momento sembrava che tutti e due stessero comunicando qualcosa che nessun'altro sapeva.
"Ci...ci vediamo domani?"chiese lei titubante mentre giocava con gli anelli fra le sue dita.
"Si"
"Ti prego fa che questo duri per sempre"pensò lei.
"Vuoi aprirmi la porta o..."
"Si, scusa è che ehm...ero sovrappensiero"
"Hai pensato per un nanomillessimo di secondo a come salutarmi?"
"...si, okay? Si...ho pensato a quanto è imbarazzante per me perché...non sono abituata a questo tipo di situazioni, non ho mai avuto un ragazzo come te qui a casa mia. Non che mi dispiace...solo che tu ecco..."
James neanche troppo stanco delle mille parole che stavano uscendo dalla bocca della castana, si avvicinò a lei e le baciò l'angolo della bocca. Lo guardò scioccata e non ebbe il coraggio di fare altro oppure di ricambiare. Ricambiare lei? Ci sarebbe voluto un po' di tempo...
"Allora a domani..."disse lei aprendogli la porta e vedendo che lui stava uscendo.
"A domani"disse lui, stava per chiudere la porta quando però uscì con solo la testa al di fuori e gli urlò dietro qualcosa.
"James...quando torni a casa, mandami un messaggio"
"Non dovrebbe essere il contrario?"chiese lui appena la vide fuori la porta preoccupata.
"No, è uguale, fallo e basta...buonanotte"gridò lei e chiuse la porta di casa alle sue spalle facendo ridere James.
Salì le scale per dirigersi in camera sua come una furia e appena chiuse anche quella porta, si poggiò con le spalle su di essa chiudendo gli occhi.
"Oh mio Dio. Non ci credo!"disse ad alta voce ma senza farsi sentire troppo.
"Non è possibile, ho baciato James Barnes...cioè non l'ho baciato, lui mi ha baciato ma non è stato neanche un bacio. Okay, calma Wanda, calma...respira perché sennò finisce male..."disse lei parlando da sola e così si sedette su letto ma finì col stendersi sopra.
"Oddio non ci posso credere! Non ci posso credere!"disse lei alzandosi dalla felicità dal letto per poi sedersi di nuovo sulla sedia della sua scrivania.
"Non ci posso credere"disse di nuovo lei ma stavolta con un tono sorpreso.
Aveva appena notato che sulla sua scrivania c'era il libro che James portava con sé ogni volta che dovevano incontrarsi e anche se da un lato poteva servirle dall'altro non poteva toglierlo a lui. Decise di chiamarlo, anche se pensava che se ne sarebbe pentita poi visto che non avrebbe azzeccato neanche una parola dopo quello che era appena successo.
"Ciao, James senti...sono Wanda ovviamente, hai dimenticato il tuo libro di fisica qui da me, ora non so se sei già tornato a casa ma...credo di si, visto che ha iniziato di nuovo a piovere. In ogni caso te lo porto domani a scuola, così potremo metterci d'accordo quando dobbiamo vederci la prossima volta, fammi sapere e...buonanotte"
"Okay...ho il diritto di avere una doccia"disse lei staccando e poggiò il suo telefono sulla scrivania.
Sarebbe servita più a chi, come sua madre, aveva trascorso una giornata pesante ma non a Wanda cui il ricordo di pochi minuti prima, se non un'ora fa, ancora si rifletteva nella sua testa. Nulla sarebbe servito per farle dimenticare quel bellissimo ricordo che ora faceva parte di sé, anche perché non avrebbe voluto dimenticare, piuttosto ricordare senza andare in escandescenze. Ma purtroppo o per fortuna andava sempre peggio, questo dipende dai punti di vista. Uscì dalla doccia e asciugò il suo corpo con l'asciugamano, si vestì col suo pigiama e iniziò a spazzolare i suoi capelli poi spense la luce e uscì dal bagno chiudendo la porta dinanzi a sé.
"Vedo che sono molto lunghi" e subito scattò per colpa della voce alle sue spalle che si rivelò essere quella di James, ovviamente.
"Oh mio Dio"disse lei mettendosi una mano sul petto.
"Non volevo spaventarti!"
"Era ovvio che lo facessi. Cosa ci fai qui?"
"Ero venuto a prendere il mio libro di fisica... me l'ero dimenticato"
"Ti avevo chiamato chiedendoti se avrei potuto tenerlo io così da dartelo domani a scuola...dove l'hai cacciato quel cellulare?"
"Batteria scarica"disse lui e lei sbuffò.
"Essere inutile..."
"Ehi, guarda che mi offendi"
"Prenditi questo e ora vai via, ci vediamo domani a scuola e buonanotte"disse lei alzandolo con un braccio e buttandogli addosso il libro.
"Come vuoi che me ne vada se c'è in corso la tempesta di Zeus e Thor insieme?"chiese lui indicando la finestra mezza aperta dove si sentivano i tuoni.
"Beh, te ne torni come sei arrivato"
"Prima non volevi che me ne andassi!"disse lui mentre lei lo spingeva.
"Prima era prima ed ora è ora"
"Che significa?"
"Wanda tutto a posto?"la voce di sua mamma fece girare tutti e due di scatto verso la porta.
"Non osare parlare, non voglio sentire neanche il tuo respiro"disse lei puntandogli un dito contro e lui come risposta fece il segno della zip sulle sue labbra.
"Si, tutto a posto...perché?"
"Abbiamo sentito dei rumori strani, va tutto bene?"
"Si, era solo...era solo un rospo"e a quell'affermazione James rise.
"Un rospo? Perché dovrebbe esserci un rospo in camera tua?"
"Ho aperto un po' la finestra ed è entrato uno..."
"Perché hai aperto la finestra?"
"Avevo leggermente caldo..."
"Ma è dicembre"
"Si, lo so che è dicembre...mamma veramente è tutto okay...ora è morto"
James non finiva di trattenere le lacrime dalle risate ma non doveva scoppiare, non in questo momento.
"Okay...buonanotte"
"Notte..."disse Wanda e prima ancora di avvicinarsi a James aspettò che sua madre si allontanasse del tutto.
"Cosi io sarei il tuo rospo?"chiese lui mentre lei lo continuava a guardare male.
"Devi andartene James, non posso permettere che mia madre ti veda qui"
"Ma già mi ha visto"
"James, sono seria!"
"Va bene, me ne vado...ma se avrò l'influenza sarà per colpa tua e voglio solo che tu lo sappia, non ero venuto qui solo per il libro di fisica"disse lui mentre prendeva la via per tornare passando però dalla finestra.
"E allora per cosa?"chiese lei.
Lui senza troppe esitazioni si avvicinò a lei e le prese il viso con entrambe le mani. E per una seconda volta nell'arco di una sola serata Wanda riuscì a toccare il cielo con un dito, riuscì a sentirsi viva solo con un suo bacio.
"Va bene, va bene..."disse lei staccandosi ma James non gli diede peso.
"...resterai qui, ma all'alba ti voglio fuori dalla mia stanza"
"All'alba? Per chi mi hai preso? Per un gallo? Prima il rospo poi il gallo, la tua camera è una fattoria e non lo sapevo?"
"James non ti conviene vedere la faccia di mia mamma appena svegliata e incazzata"
"Okay...afferrato, all'alba"
"Chissà perché ma se faccio subito il nome di mia madre, ti spaventi. Come mai?"
"Non lo so dimmelo tu..."
"Che forse mia madre ti ama e che sono io quella che continua a minacciarti?"
"Le minacce sono più intriganti"
"Scordatelo che ti faccia minacce intriganti stavolta"disse lei andando a chiudere la finestra.
Appena finì lo trovò già steso sul letto, con una gamba stesa su di esso e l'altra poggiata sul pavimento. Fece un respiro profondo pensando che questa sarebbe stata la prima volta con cui avrebbe dormito con un ragazzo. E per quanto si sentisse a disagio, con James pensava e credeva di non poterlo essere, visto che sì non era la prima volta. Si avvicinò al suo letto e ci salì sopra a cavalcioni, mettendosi poi sotto le coperte subito dopo. Si girò verso di lui e lo guardò.
"Non hai freddo?"chiese lei e contemporaneamente spense anche le luci.
"No, non tanto"
Lei si rigirò dal lato del muro e mise un braccio sotto il cuscino e con l'altro teneva stretta a sé la coperta. Solo dopo anche James si stese e se in un primo momento le rivolse le spalle subito dopo si girò anche lui. Riuscì a sentire l'odore dei suoi capelli e senza accorgersene, anche se aveva tutte le buone intenzioni per farlo, poggiò una mano sul fianco di Wanda che a quel gesto spalancò gli occhi. Le piaceva sentire la sicurezza che gli trasmetteva James, perché solo con lui si sarebbe sentita al sicuro. Si alzò prendendo il plaid che aveva ai piedi del copriletto e lo aprì in modo che anche James stesse al caldo durante la notte. E poi, contro le sue aspettative, prese la mano che James aveva poggiato sul suo fianco e la portò vicino a lei in modo che l'avesse stretta e lui si avvicinò di più a lei, per quanto le coperte glielo potevano permettere, mettendo inoltre il suo viso più vicino al collo di lei, invaso dal profumo del bagnoschiuma e dai lunghi capelli.
Sarebbe stata la prima notte dove entrambi erano privi di incubi, ma solo di sogni che presto sarebbero diventati realtà
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13 gennaio 2020
Io sono così spaventata dalle parole che sto per scrivere; sono così spaventata da quello che sto per raccontare; vorrei tanto poter utilizzare un linguaggio meno difficile, meno doloroso, che faccia meno male alla mia pelle ogni volta che provo ad utilizzarlo.
Vorrei che i giorni che ho trascorso non fossero passati, vorrei che il tempo fosse andato a ritroso, vorrei che la mia disperazione si fosse affievolita piano piano, invece che accrescere sempre di più, fino a quella notte in cui non sono più riuscita a sopportarla.
Vorrei che le mie parole risuonassero come musica nella mente di chi legge, invece di sembrare un puro lamento di terrore di una ragazza che non ci è riuscita, e che ancora non ci riesce, e che forse non ci riuscirà mai; vorrei che queste frasi rimanessero impresse nella vostra testa, perché nella mia hanno già fatto il loro dovere, marchiandomi a fuoco, lasciandomi segni che mai più sarò in grado di cancellare. Vi prego, non scordatele mai. Non scordatevi mai che io ho pregato, che io ho chiesto aiuto.
Che io ho pianto. Che io ho gridato. Che io non sono mai stata ascoltata.
Non scordatevi mai che quel grido per me era un urlo senza una voce, la melodia di uno strumento scordato, rotto, irreparabile. Io ci ho provato, ve lo giuro.
Ora proverò a raccontare, ma le parole mi feriscono, fanno male ad ogni singola cellula del mio corpo, perché sono reali, io lo so che sono reali. Non mi sono mai inventata niente, non ho mai detto bugie, e ciò che qualcuno chiamava imprecisione, in realtà non era altro che bisogno disperato di essere ascoltata.
Nessuno lo ha fatto.
Nessuno mi ha mai ascoltata.
Dio, mi sento come un compositore adesso. Sto scrivendo la mia musica, la mia melodia, la mia armonia spettrale che voi purtroppo siete obbligati a sentire, lasciandovi trasportare dai pensieri che questa vi evoca; perché io so che state pensando, e a volte pensare non è un male.
A volte pensare può salvarvi la vita.
A volte pensare può portare voi stessi a rendervi conto di essere persone.
Racconterò la mia storia, la mia musica, la mia armonia, i miei segreti di questi pochi giorni, sperando di essere ascoltata non per noia, e nemmeno per curiosità, ma per il puro e semplice desiderio di capire. Per il desiderio di voler sentire questa musica così nascosta e così lieve che fino a ora non ha fatto altro che rimanere nascosta nella brulicante orchestra di voci troppo forti, troppo impetuose, per una tiepida e flebile come lei.
Dopo essere stata al pronto soccorso, dopo aver visto la mia vita scendere giù, goccia dopo goccia, da quella flebo, ho iniziato a credere che fosse la solitudine a voler stare con me, e non io con lei. Quelle gocce che scendevano mi ricordavano le mie lacrime; dio, ho 20 anni, e mi sembra di aver pianto talmente tanto, da non aver più spazio per nessun altro tipo di dolore. Ho provato la sensazione di dolore. Quella morse che attanaglia il petto, lo stringe, e poi ti prende lo stomaco, le gambe, la testa, e improvvisamente desideri scomparire. Se resisti al vero dolore sei forte, ma se lo accetti, se lasci che lui si insidi dentro di te, allora è proprio lì che sta la grande debolezza.
Tornata a casa dall'ospedale mi sono seduta sul divano; mi hanno aumentato le medicine, hanno aggiunto i sonniferi -come se quelli fossero davvero in grado di poter fermare il diavolo- , e mi hanno tenuta sotto stretta sorveglianza. Io non volevo parlare con nessuno, non volevo che nessuno mi toccasse, perché mi sentivo tradita da tutti. Io avevo gridato, avevo chiesto aiuto, ma il mio grido era stato ignorato, o meglio lo avevano trattato con la superficialità di chi crede che queste cose non siano altro che mali passeggeri, cose che si possano curare.
Nessuno sospetta che questo dolore, queste grida, io le porto dentro da anni, da quando avevo 11 anni più o meno, da quando per la prima volta mi hanno dato della cicciona, da quando mi hanno detto che ero talmente balena che la sedia si sarebbe rotta se mi fossi seduta. Loro non lo sanno. Loro pensano che io sia peggiorata ora. E per che cosa? Per una relazione?
La relazione poi, è stato il più grande sbaglio che potessi fare. Ho detto che lo amavo, ci credevo con tutta me stessa. Ma lui non amava me; lui amava semplicemente la versione di me che voleva lui; desiderava cambiarmi, desiderava che io crescessi, che io maturassi, che io frequentassi amicizie diverse, o meglio, che non ne frequentassi, desiderava cheio mi staccassi dalla mia famiglia, desiderava che io fossi più precisa nelle cose, che non mi confondessi.
Agli inizi della relazione mi aveva persino detto che con le altre non aveva funzionato perché lui avevano cercato di cambiarlo e poi si erano stufate di come lui era diventato per loro; nemmeno si è accorto che, involontariamente, ha fatto in modo che io cambiassi per lui. Ho rinunciato a tante amicizie, ho smesso di pubblicare foto senza il suo consenso, non mi sono nemmeno resa conto di essermi chiusa da sola in una gabbia. Io mi ci trovavo bene, finchè non litigavo con la mano che mi dava da mangiare. E ormai ero arrivata a litigarcci troppo spesso. Litigavamo perché non rispondevo subito al telefono, perché mi sbagliavo a dire una parola, perché non sapevo cosa dire durante un discorso... non mi rendevo conto che stavo scomparendo, la mia dignità stava scomparendo, e con lei io, e tutti i miei sogni, e le mie speranze, e le gioie che provavo nell'essere innamorata di una persona.
Non voglio specificare le date di quando sono successe queste cose; spero possiate perdonarmi; sappiate che la nostra relazione si è ufficialmente conclusa il 7 gennaio 2020, nella notte in cui io ho tentato di uccidermi.
No, parlare di suicidio non è una cosa semplice, e io sto già piangendo mentre scrivo, perché ci sto ripensando, e mi fa male.
Io e il mio attuale ex ragazzo abbiamo avuto una discussione quella notte, e lui ha detto testualmente che era terrorizzato all'idea di avermi come ragazza, e di dover avere a che fare con una famiglia come la mia. Ha detto che se volevo mi sarebbe stato vicino, ma non come ragazzo. Ha detto che avrebbe avuto rapporti con altre donne, e non mi avrebbe detto niente per non farmi male. Ma che ci sarebbe stato, per me. Tutto questo mentre io ero da sola, sul divano, a piangere, perché lui non è venuto con me in ospedale. Non è rimasto con me a contare quelle gocce che scendevano dal tubetto della flebo, non mi ha nemmeno scritto un messaggio. E non era lì nemmeno in quel momento, mentre per telefon mi diceva che voleva tagliarsi fuori dalla mia vita.
Ed è qui, che la mia musica ha un taglio repentino, qui di colpo si ha un crescendo, il mio cervello cambia, i miei occhi cambiano colore, e io non ci vedo più, non ragiono più, e non ricordo assolutamente più nulla di quello che ho fatto. Perciò ora la mia musica diventerà di qualcun'altro, mia madre, anche se lei non sa che sto suonando per lei, ma è da lei che ho ricevuto i dettagli di ciò che ho fatto quella notte, e di ciò che ha fatto Emanuele.
Dopo il suo messaggio, gli ho detto che a quel punto il fondo lo avevo proprio toccato con la faccia, e che non avrei proprio più visto possibilità di risalità; successivamente l'ho bloccato; ho bloccato lui e ogni numero con cui tentava di scrivermi, priva della lucidità e della ragione che fino ad un momento prima avevo, quando le lacrime avevano ancora un significato. Sono andata in camera di mia madre e ho bloccato i numeri anche a lei, in modo che non potesse ricevere niente; lei era arrabbiata con me, non ricordo per cosa, ma nonostante questo le ho dato un bacio della buonanotte, pensando che fosse l'ultimo.
Con una tranquillità che non sentivo mia, e dei passi che mi sembravano a dir poco innaturali, sono andata in frigo e ho preso una bottiglia di birra, sgolandola tutta di colpo. Successivamente mi sono avvicinata al cassetto dei medicinali e ho preso dello xanax, mandando giù due pastiglie, stupidamente credendo che così la mia vita sarebbe finita.
Non ragionavo, non capivo. Volevo solamente sdraiarmi sul divano, abbracciare il mio gatto e aspettare finchè il mio respiro non si fosse fatto più debole, e i miei occhi si fossero rifiutati di aprirsi. Nella mia mente tutto ciò in quel momento era giusto, aveva senso. Ma io non stato ragionando. Io stavo sognando di scappare via da un mondo che mi stava fancendo troppo male perché io potessi tollerarlo ancora. Mia madre che non mi parlava, il mio ragazzo che mi lasciava perché era terrorizzato da me.
Mi sentivo una bestia. E che fine farebbe la bestia nella realtà? Morirebbe.
Io volevo solo scappare via.
Il mio ragazzo da torino ha chiamato il 118 e i carabinieri, e poi è scomparso, non si è più assolutamente fatto sentire; mia madre mi ha riferito che durante la visita del 118 io non sembravo io. I miei occhi erano neri come la pece, e dicevo parole molto dure contro mia madre, che purtroppo non mi ricordo; mi ha riferito che la guaravo con odio, che guardavo in cagnesco chiunque osasse avvicinarsi a me.
Tutti tranne Sonia. Sonia era una dottoressa venuta lì per soccorrermi, e non so come ma ha capito; ha capito che il mio non era un suicidio. Il mio era un bisogno di affetto, una disperata ricerca di un abbraccio mai ricevuto; lei ha capito che non avevo bisogno di essere portata via in ospedale, ma avevo bisogno che qualcuno mi stesse vicino, e mi ascoltasse, ascoltasse la mia musica, la mia melodia, tutto ciò che avevo da dire.
Ho sempre paura di dire troppo quando parlo, di sbagliare, e questo è perché non ho mai avuto nessuno che apprezzasse davvero ciò che avevo da dire. Ogni volta che mi sono sentita dire da una persona “ l'hai già detto”, per me era peggio che un insulto. Se ti importa di me, lo riascolti. Io ho riascoltato tante cose che avevo già sentito, perché le persone sono felici quando parlano di ciò che le rende felici. Allora perché io non posso?
Quando il 118 è andato via, sono stata obbligata ad andare a dormire con mia madre, perché non voleva lasciarmi da sola, perché aveva paura che volessi farlo di nuovo; io volevo semplicemente essere ascoltata. Ma lei non voleva parlare con me.
Il giorno dopo, sono stata scossa a forza da mia nonna, la quale aveva “ricevuto l'ordine” dalla dottoressa di dirmi tutto quello che pensava in merito a ciò che avevo fatto; ogni singola parola che mi è stata rivolta ora è impressa nella mia mente come fuoco, e dubito che se ne andrà con tanta facilità.
Un buon compositore non vuole annoiare il proprio pubblico ripetendo le stesse tonalità di una melodia spenta, per cui mi limiterò a citare solamente qualcosa della valanga di insulti che mi sono stati rivolti quella mattina, mattina nella quale io volevo semplicemente sparire.
“Sei solo una bugiarda di merda!”
“Hai rovinato la vita ai tuoi genitori!”
“Tu fai solamente soffrire tutti”
“Avresti meritato più botte da piccola, più calci in culo, magari da tuo padre!”
“Dopo ti tirerò addosso l'acqua santa, perché tu hai il demonio dentro!”
“Tu ci godi a far star male gli altri, ti diverti!”
“Io dovrei andare a fare la spesa invece per colpa tua e del tuo egoismo io non ci posso andare”
“ Tu sei il male di questo mondo”
“Sei convinta che il mondo giri intorno a te?”
Mentre prendevo le pastiglie che sono obbligata a prendere per prescrizione psichiatrica, lei me le ha tolte di mano e ha detto: “Vuoi anche una birra per buttarle giù?” mettendosi immediatamente a ridere.
Dentro di me sentivo solamente il vuoto; mi sentivo lacerata, abbandonata da qualunque cosa potesse anche soltanto donarmi quel briciolo di affetto che chiedevo tanto disperatamente. Il mio ragazzo non mi voleva più, per mia nonna ero satana, mia mamma non si fidava più di me.
Avessi potuto esplodere in quel momento, lo avrei fatto.
E invece sono rimasta zitta, ho lasciato che mia nonna mi urlasse contro, che mi facesse male, che mi scuotesse con forza quando non reagivo ai suoi insulti, che mi lanciasse addosso l'acqua. Mi sono rifiutata di bere e di mangiare, sono rimasta ferma immobile, con le orecchie tappate, chiusa nella mia prigione di dolore, dove almeno il male lo conoscevo, dove almeno sapevo di cosa soffrivo. Gli insulti lì non potevano sfiorarmi, potevano solo scivolarmi addosso, perché erano già tutte cose che pensavo. Ho lasciato che il dolore mi assorbisse, che mi facesse sua, e che mi tormentasse nell'unico modo in cui poteva fare: ho pianto, pianto tra me e me, senza farmi sentire, sentento quella morsa stringermi tutti gli organi, appropriandosi della mia ragione, fino a non farmi sentire più nulla. A quel punto, di nuovo, non ero più io. Ero solo lo spettro di me, quello stanco, quello pronto ad offendere perché già offeso, quello pronto ad uccidere perché già morto; ho iniziato a dire a mia nonna di piantarla, di stare zitta, con tono neutro, senza voce, come se fossi una macchina. Come se non avessi più emozioni. Ho iniziato a dirle che non mi importava, nulla di ciò che diceva era importante. Anche quando parlavo con mia mamma durante quella sera sembravo una macchina, mi è stato riferito.
Che ci sia qualcun'altro dentro di me? Qualcuno stanco di soffrire così? Qualcuno che si ribella alle situazioni in cui non può avere il controllo?
Quanto vorrei che la mia melodia fosse finita qua.
Quanto vorrei poter concludere con una frase d'effetto per lasciarvi la possibilità di riflettere su ciò che avete sentito; ma purtroppo... ho ancora un'altro atto, più orribile e raccapricciante, che non so ancora come raccontare. Una parola per volta, Giulia. Sei sempre stata brava a scrivere, e anche se ti scapperà qualche errore grammaticale, questa volta te lo perdonerai, perché questa è la tua melodia, questo è il tuo pezzo di storia, e merita davvero tutti gli errori che puoi dargli.
Due notti dopo quella del suicidio, stavoun po' meglio, ho chiacchierato con la mia psicologa, le ho consegnato i testi del diario che sto scrivendo, ho cercato di far pace con mia madre, ho anche ristabilito con fatica il rapporto con mia nonna, e ho fatto in modo di recuperare una sorta di equilibrio.
Avevo paura, ho ancora paura adesso, ma dettagli.
Non avevo nulla che mi preoccupasse, a parte la solita ansia, con cui ormai convivo; non sentivo il mio ragazzo da due giorni.
Quella notte, verso le 2, suonano a casa nostra i carabinieri, mentre io stavo ovviamente dormendo. Mia madre si sveglia e va ad aprire, e questi enunciano la fantastica notizia: il mio ragazzo ha telefonato ai carabinieri perché una sua amica dalla Polonia le ha detto che “Giulia era morta”. Questo “Giulia era morta” è arrivato per messaggio a lei, e loro hanno fatto arrivare i carabinieri a casa mia, sostenendo che questo esatto messaggio fosse partito dal mio telefono. Ovviamente i due uomini hanno perquisito il mio cellulare alla ricerca del messaggio, o almeno di un contatto corrispondente a quanto riferitogli, non trovando assolutamente nulla.
Come se non bastasse, anche il padre del mio ragazzo ha scritto a mia madre, dicendo che questo messaggio sarebbe partito da me.
Quello che nessuno ha messo in conto però, è che io per prescrizione psichiatrica ad una certa ora, ovvero le 21 e 45 devo predere un sonnifero, che mi porta ad addormentarmi intorno alle 22 e 10. il messaggio in questione è stato mandato alle 22 e 35.
Quella notte, i carabinieri si sono scusati, sia con me, che con mia madre, ma io praticamente non stavo ascoltando. Io ero semplicemnte sconvolta; ho amato una persona per 8 mesi, ho dato me stessa, tutta me stessa, per otto lunghissimi mesi, per finire con i carabinieri a casa mia a chiedermi scusa.
O meglio, vorrei fosse finita così.
Oggi, 13 gennaio 2020 ho denunciato il mio ragazzo per molestie. Ho denunciato una persona che per otto mesi, piano piano, si è infilata nella mia vita e mi ha portato via tutto ciò che avevo, dalle amicizie, alla mia identità, alla mia libertà, alla mia personalità. Oggi, scrivendo queste parole, ho composto il primo pezzo della nuova melodia della mia vita, dove non voglio più cadere in stonature, dove non voglio più perdere me stessa a causa di qualcuno.
Il problema ero io, io mi sono lasciata trascinare da qualcuno che era convinto di fare ciò che era più giusto per me, quando in reatà, ciò che è più giusto per me lo dovrei decidere io.
È questo il mio gran finale, è questo il mio assolo.
Io sono arte, e mi amo.
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L'hai reso più facile, non avrei mai preso l'iniziativa
Non avrei mai avuto il coraggio di allontanarmi veramente
Tante volte ho pensato basta ma non l'ho mai considerato un'opzione vera
Tante volte ho pensato questa è la mia vita, un po' fa ridere e mi scredita il fatto che io sia sempre e comunque qui ad accoglierti a braccia aperte qualsiasi cosa tu faccia
Fa un po' pena ma è così, e non lo dico come resa ma quasi contenta, come una che guardandosi indietro dice "doveva andare così"
Perché la storia si ripete da 8 anni, te l'ho già detto, se dovevamo separarci succedeva prima, no? L'ho sempre vista così, due rette parallele
Perché poi potevamo stare mesi senza parlare ma la naturalezza era sempre la stessa, come se non avessimo mai smesso, come se ci conoscessimo da sempre
E ci ho sempre sperato, ci ho visto del bello, metti che ci si perde col tempo, capita, e dopo anni comunque ritrovarsi gli stessi di sempre
Vuoi che nel bene e nel male non sia stato una parte fondamentale?
Nel male perché ho passato troppe volte a chiedermi se mi facessi più male che bene
Eri un freno sotto tanti aspetti, a livello inconscio ma sotto lo sapevo, sei sempre alla base di tutto, gira e rigira sei sempre in mezzo
Perché mattia di qua
Perché mattia di là
Ho fatto taanti passi avanti, certi giorni più convinta e contenta, altri meno, mentivo più a me stessa che agli altri, ci hanno sempre visto giusto
Da fuori è sempre più facile
Lo sapevo cosa dovevo fare, tante volte me l'ha ripetuto chiunque, tanti viaggi su cosa sarebbe cambiato, ho provato a prepararmi, adesso lo faccio, è ora
Ma poi quarantena
Ma poi tra un po' è estate
Miao
Per tanti motivi e per tante volte fa avrei dovuto chiudere ma non l'ho mai fatto, mai avrei buttato via il nostro rapporto, mi sono sempre messa da parte, ho sempre scavalcato le tue cazzate ma soprattutto il mio bene
Ma poi mi hai spiazzato
È venuta fuori tutta la tua immaturità in un modo che non mi permetteva di passarci sopra come al solito, o forse ho aperto gli occhi veramente? Finalmente? Bo?
Fatto sta che non sei riuscito a mettere da parte il tuo orgoglio, anche sto giro,
e sentivo la tua voce che dice "conosco la tua psicologia, ormai lo so come ragioni" e tutte le volte che ti vantavi di conoscermi
E in quel momento? Non lo hai sentito cosa pensavo?
Nel giro di un minuto, bastava una parola e non ci sarebbero state neanche conseguenze
E più il tempo passava e più le tue parole pesavano
Perché se mi conosci come dici lo sai quanto mi possono pesare le parole
E io lo so che hai esagerato? Che eri arrabbiato? E quindi cosa ti devo dire?
Ma se davvero non le pensavi non potevi chiedere scusa subito?
No
Mi son sentita cadere addosso tutte le possibilità che ti ho dato, tutte le scuse che mi sono inventata per non cedere, tutte le volte che ci sono rimasta male e ti ho giustificato senza che te neanche te ne accorgessi
Ho sentito tutte le cose che te non hai sentito
Quello che non ti ho mai detto e che mi sono tenuta dentro
Come entrare in una stanza e vedersi materializzare tutto e non potermi più muovere perché adesso cosa faccio con tutta sta roba? Cianfrusaglie inutili, non si salva niente, non cerchi neanche di sistemare. Esci dalla stanza e lasci tutto lì, arresa
Mi sono sentita così
Arresa
Perché non hai avuto il minimo senso di colpa
Quando contro di me è la tua prima arma e la usi ancora e funziona: non sto bene, ma non faccio nulla
Non hai avuto la minima intenzione di preoccuparti, di chiederti come l'avessi presa io, non lo sai? Non dicevi di conoscermi?
Non ti sei chiesto io dalla mia come stavo? Quando mi hai insultato per? Quale motivo? Ma qualsiasi motivo non sarebbe valido quindi amen
Mi son sentita sfinita, stanca
Non ho più voglia di starti dietro
Una che lascia cadere le braccia lungo i fianchi
Perché basta
Sto giro veramente
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