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titosfriends4life · 10 months ago
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PARASONNIA: COME LIBERARTI DALLA PARALISI DEL SONNO❗️
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Cos'è la paralisi del sonno❓
La paralisi del sonno è un fenomeno che si verifica quando una persona, durante il passaggio tra il sonno e la veglia o viceversa, si trova temporaneamente incapace di muovere il corpo o parlare. In altre parole, la persona è cosciente dell'ambiente circostante ma non può muovere volontariamente i muscoli del corpo. Questo stato può essere accompagnato da sensazioni di pressione sul petto, ansia e allucinazioni visive o uditive.
La paralisi del sonno si verifica tipicamente durante le fasi di transizione del sonno, come il sonno REM (movimento rapido degli occhi), ed è associata a un temporaneo blocco della capacità di muoversi. Questo fenomeno può durare da pochi secondi a diversi minuti e può provocare ansia o paura nelle persone che ne sono affette.
È importante notare che la paralisi del sonno non è dannosa di per sé e non causa danni fisici. Tuttavia, può essere un'esperienza spaventosa per chi la vive. In molti casi, la condizione non richiede trattamento, ma è consigliabile rivolgersi a un professionista della salute se la paralisi del sonno diventa frequente o disturba significativamente il sonno e il benessere generale.
Cause e Origini della Paralisi del Sonno
Le paralisi del sonno possono avere diverse origini e cause, e la loro comprensione è spesso legata a fattori fisiologici e psicologici. Ecco alcune delle possibili origini e cause:
1. Fase di transizione del sonno: Le paralisi del sonno si verificano spesso durante le fasi di transizione tra il sonno e la veglia, in particolare durante il sonno REM (movimento rapido degli occhi). Durante questa fase, il corpo può naturalmente paralizzarsi per prevenire il movimento durante i sogni.
2. Disturbi del sonno: Individui con disturbi del sonno, come l'apnea notturna o l'insonnia, possono essere più suscettibili alle paralisi del sonno.
3. Isonnia e privazione del sonno: La mancanza di sonno regolare o la privazione del sonno possono aumentare il rischio di sperimentare paralisi del sonno.
4. Disordini psicologici: Ansia, stress e altri disordini psicologici possono contribuire alle paralisi del sonno. Alcune persone possono sperimentare questi episodi in concomitanza con situazioni di stress emotivo.
5. Narcolessia: Le paralisi del sonno possono essere associate alla narcolessia, un disturbo del sonno caratterizzato dalla sonnolenza diurna e dagli attacchi improvvisi di sonno.
6. Fattori genetici: Esiste una componente genetica nelle paralisi del sonno, e la condizione può verificarsi più frequentemente in individui con una storia familiare di episodi simili.
7. Interruzioni del ritmo sonno-veglia: Cambiamenti nei pattern del sonno-veglia, come il lavoro a turni o gli orari irregolari di sonno, possono contribuire alle paralisi del sonno.
8. Consumo di sostanze: L'abuso di sostanze come alcol o droghe può influenzare il sonno e contribuire alle paralisi del sonno.
È importante sottolineare che molte persone possono sperimentare occasionalmente la paralisi del sonno senza che ciò indichi la presenza di un disturbo sottostante. Tuttavia, se le paralisi del sonno diventano frequenti o causano notevoli disturbi, è consigliabile consultare un professionista della salute per una valutazione più approfondita.
Come si manifesta la Paralisi del Sonno❓
Le paralisi del sonno si manifestano con esperienze disturbanti che coinvolgono una temporanea incapacità di muoversi o parlare durante il passaggio tra lo stato di sonno e veglia. Ecco come solitamente si manifestano le paralisi del sonno:
1. Immobilità: La persona si rende conto di essere sveglia, ma non riesce a muoversi o parlare. Questa sensazione di immobilizzazione può durare da pochi secondi a diversi minuti.
2. Sensazioni di pressione sul petto: Molte persone riferiscono di avvertire una sensazione di peso o pressione sul petto durante le paralisi del sonno. Questa sensazione può contribuire a una sensazione di ansia.
3. Sensazioni di presenze o allucinazioni: Alcune persone possono sperimentare sensazioni di presenze o percepire figure o ombre intorno a loro. Queste possono essere allucinazioni legate allo stato di transizione tra sonno e veglia.
4. Ansia e paura: Le paralisi del sonno sono spesso accompagnate da un senso di ansia o paura. La persona può sentirsi impotente e provare una forte sensazione di disagio.
5. Difficoltà a respirare: Alcune persone riportano difficoltà a respirare durante le paralisi del sonno, contribuendo al senso di angoscia.
6. Incubi ricorrenti: Le paralisi del sonno possono essere associate a incubi ricorrenti o a sogni vividi, creando un'esperienza complessa e spesso spaventosa.
7. Sforzi per muoversi: Durante l'episodio, la persona può percepire un forte desiderio di muoversi o cercare di urlare, ma trova difficoltà nell'eseguire questi movimenti.
È importante notare che, mentre queste esperienze possono essere intense e spaventose, le paralisi del sonno non sono dannose di per sé e raramente provocano conseguenze fisiche. Tuttavia, possono avere un impatto significativo sul benessere emotivo e sul sonno. Se le paralisi del sonno diventano frequenti o causano disagio significativo, è consigliabile consultare un professionista della salute per una valutazione e discutere delle opzioni di gestione.
Paralisi del Sonno: Come Superarla
Superare le paralisi del sonno può richiedere diverse strategie e approcci. Ecco alcuni suggerimenti che potrebbero aiutare:
1. Gestione dello stress: Ridurre lo stress può contribuire a migliorare la qualità del sonno. Pratiche come la meditazione, lo yoga o la respirazione profonda possono essere utili per rilassarsi prima di andare a letto.
2. Stabilire una routine del sonno: Mantenere una routine regolare prima di andare a letto può segnalare al corpo l'arrivo del sonno. Ciò potrebbe includere attività tranquille come leggere un libro o fare un bagno caldo.
3. Creare un ambiente di sonno confortevole: Assicurarsi che la camera da letto sia oscura, silenziosa e fresca può migliorare la qualità del sonno. Utilizzare tende oscuranti, tappi per le orecchie o altri dispositivi se necessario.
4. Evitare stimolanti prima di dormire: Ridurre o evitare l'assunzione di caffeina, nicotina o altri stimolanti nelle ore precedenti al riposo notturno.
5. Limitare l'uso di dispositivi elettronici: Schermi luminosi di dispositivi come telefoni, tablet e computer possono interferire con la produzione di melatonina, un ormone che regola il sonno. Evitare l'uso di tali dispositivi almeno un'ora prima di coricarsi.
6. Consultare un professionista della salute: Se le paralisi del sonno persistono o causano disagio significativo, consultare un professionista della salute, come uno psicologo o uno specialista del sonno. Possono essere raccomandate terapie cognitive-comportamentali (CBT) o altre forme di intervento.
7. Mantenere un diario del sonno: Tenere traccia dei modelli di sonno e degli episodi di paralisi del sonno può essere utile per identificare eventuali fattori scatenanti o modelli ricorrenti.
8. Regolare gli orari di sonno: Mantenere un programma di sonno regolare, cercando di andare a letto e svegliarsi alla stessa ora ogni giorno, può aiutare a stabilizzare il ritmo circadiano.
9. Praticare tecniche di rilassamento: L'apprendimento di tecniche di rilassamento, come la visualizzazione guidata o il rilassamento muscolare progressivo, può contribuire a ridurre l'ansia e migliorare la gestione dello stress.
10. Farmaci e consulenza medica: In alcuni casi, il professionista della salute può raccomandare farmaci o altre forme di terapia. Tuttavia, questi dovrebbero essere presi solo sotto la supervisione di un medico.
È importante sottolineare che, sebbene queste strategie possano essere utili per molte persone, ognuno è unico, e ciò che funziona per una persona potrebbe non funzionare per un'altra. Se le paralisi del sonno persistono o peggiorano, la consulenza professionale è essenziale per una valutazione più approfondita e la pianificazione di un intervento mirato.
In conclusione, la paralisi del sonno è un fenomeno intrigante e spesso spaventoso che può influenzare la qualità del sonno e il benessere complessivo di un individuo. Esplorare le cause, i sintomi e le possibili strategie di gestione è fondamentale per affrontare questa condizione in modo efficace.
Mentre le paralisi del sonno possono essere spaventose, è incoraggiante notare che esistono molti approcci e strategie che possono contribuire a superarle. La gestione dello stress, la creazione di una routine del sonno salutare, l'adozione di pratiche di rilassamento e l'eventuale consultazione con professionisti della salute sono passi cruciali per affrontare questo fenomeno.
Ricordiamoci che l'individuo è unico, e ciò che funziona per uno potrebbe non essere altrettanto efficace per un altro. La consapevolezza e la comprensione di questa condizione possono svolgere un ruolo chiave nel promuovere un sonno riposante e una salute mentale positiva. Se le paralisi del sonno persistono o causano significativo disagio, è consigliabile ricorrere alla consulenza di professionisti esperti nel campo della salute mentale o della medicina del sonno. Un sonno sereno e rigenerante è essenziale per il nostro benessere, e affrontare la paralisi del sonno è un passo importante verso questo obiettivo.
"Se vuoi dire addio alle notti agitate e vivere un sonno ristoratore, inizia oggi il tuo percorso per superare la paralisi del sonno. Scopri come liberarti da questa esperienza spaventosa e riconquistare il tuo riposo notturno❗️"
Tito Bisson
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decadentsuperstar · 2 years ago
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Giusto x soddisfare le mie necesità narcisiste
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m2024a · 8 months ago
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/03/i-guai-col-podcast-lex-fidanzata-e-il.html I guai col podcast, l'ex fidanzata e il centro sociale: così Fedez "dimentica" Ferragni Non è un periodo facile per Fedez. O meglio, da quasi due anni il rapper è entrato in un tunnel nero, iniziato con la scoperta del tumore al pancreas nell'aprile 2022. Da quel momento si sono succeduti una serie di eventi, più o meno importanti, che hanno senz'altro influito sulla sua vita, tanto che ora sembra voler ritrovare se stesso ripartendo dalle origini. Il periodo a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno ha senz'altro segnato uno spartiacque definitivo nella sua vita, con l'allontanamento definitivo da Chiara Ferragni che è culminato con l'andata via di casa di febbraio. E Fedez, adesso, riparte proprio da qui, da una casa molto più modesta rispetto all'attico opulento, tutto marmi e rifiniture dorate, in cui continua a vivere sua moglie. "Ti vorrei dire che va tutto bene", scrive Fedez, condividendo nelle sue storie uno dei suoi primi videoclip, riferendosi al sé 22enne che cantava circondato dai palazzi della periferia milanese. Era il 2011 e il rapper stava muovendo i suoi primi passi nella musica. Figlio dell'hinterland della metropoli, Fedez è stato uno dei fenomeni del rap italiano che in quegli anni nascevano su YouTube, dove poi venivano notati dalle case discografiche. "Più chiedi aiuto e più non arriva nessuno, mi sa che sei spacciato come un tocco di fumo", cantava Fedez in "Ti vorrei dire", canzone che ha scelto di condividere nel suo profilo per fare un salto nel passato a quando tutto ha avuto origine. Qualcuno ci legge un riferimento alla sua vita attuale, perché quando iniziano i problemi in tanti poi si defilano. E di problemi, il rapper, ne ha. A partire dalla separazione dalla moglie, con quello sfogo, sempre in musica, affidato ai social appena pochi giorni fa. E poi la chiusura di Muschio Selvaggio per le acredini con Luis Sal, che l'ha portato in tribunale. Per non parlare di una produzione musicale di livello che latita da tempo, se si escludono i soliti tormentoni estivi in featuring. Da quando la sua vita si è legata a quella di Ferragni, accantonando l'idea di essere un rapper anti-sistema per entrare a far parte del quel sistema, Fedez ha perso la sua connotazione originaria. Diventato a sua volta influencer, da molti considerato solo come il "marito di", ora vuole forse ritrovare la sua natura, che è quella del cantante di provincia che canta nei centri sociali. Ed è proprio a questo che fa riferimento e guarda con nostalgia, quando in un video pubblicato questa mattina ricorda il primo concerto al Leoncavallo, uno dei centri sociali storici di Milano, "mia mamma e mio papà vendeva i cd e le magliette con un baracchino. Fu un concerto vermente fico". La sua voce sembra incrinarsi quando ricorda quel periodo, così distante da ciò che poi è diventato negli anni successivi. "Avevo speso tutti i soldi che avevo per registrare il disco e non ne avevo più per girare dei video. Quindi mi sono comprato una telecamerina, risparmiando soldi, e ho imparato a montare video. Imparai a farlo per necesità e i primi video che uscirono erano girati e montati da me. Girati no, perché li girava la mia ex fidanzata, che taggo e saluto, Silvia", scrive il rapper taggando Silvia Brigatti, tatuatrice nota di Milano. Un dettaglio che non è sfuggito ai più e che allontana Fedez dalla moglie, che continua a condividere contenuti patinati dal suo viaggio a New York.
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parolerandagie · 4 years ago
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Questo “caffe’” ti piace proprio....
Sì, caro Anon, certo. Ma quasi più come strumento diagnostico per capire il mio umore (o, per applicazione di ugual logica, l’umore di chi lo condivide con me) che come bevanda: perché se del caffè non se ne fa solo un’abitudine, da sbrigare veloce e sovrapensiero, ma gli si dedica un poco più di tempo, nel sceglierlo in termini di tipologia, lunghezza, aroma, gusto, allora ecco che subito emerge come ci si sente, quale sarà l’approccio alle cose, alla giornata...la scelta ricade su di un espresso veloce, corto, rapido, intenso? ed allora ci si preannuncia un giorno in prima linea, ad uscir dalla trincea con pistola e bombe a mano, ad attaccare i problemi come se fossero nemici...meglio un espresso doppio, più lungo nel prepararsi ma anche nell’essere consumato? è un poco come confessare che si avverte la necesità di un tesoretto di energia in più, che la giornata ce la si aspetta come il tappone pirenaico del Tour de France: lunga, impegnativa, selettiva, infinita...una mug, piena, profumata, di tradizione centro-sud americana? il giorno permette riflessioni, permette momenti di astrazione strategica, permette di osservare la battaglia dall’altura, come facevano i generali d’epoca napoleonica, senza parteciparvi direttamente...se poi si opta per un caffè americano, lungo, un poco slavato, che siederà lì, nella tazza, per una mezz’ora buona, mentre in sottofondo suona Berlioz, allora probabilmente è un giorno del weekend, in cui si è padroni del proprio tempo, un giorno di tregua, insomma...il caffè, per concludere, è una metafora, un rito, una parte integrante della cultura collettiva e personale in cui mi sento di vivere, e come tale lo uso, ne scrivo, lo consumo...quella stessa cultura personale e collettiva, tra l’altro, che non va ad attribuire chi sa quali grandi qualità a chi non ha la cortesia di identificarsi, a chi non è uso alla gentilezza di mostrare la propria faccia.
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cuoredicarta · 3 years ago
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Nella vita, credo che siano i dettagli a fare la differenza e la forza che essi hanno. 
I dettagli sono importanti così come lo sono i cambiamenti. 
Quelli che quando capitano, ti travolgono e, peggio, ti stravolgono. 
Come quel pugno nello stomaco che ti toglie il respiro e ti lascia lì, a fissare il cielo e a correre tra tutti i pensieri che si scontrano nella testa, aspettando che tu, con pazienza e coraggio provi a trovar loro la giusta posizione. 
Ed è proprio in quei momenti che io, provo un'infinita voglia di mettermi in viaggio o forse di perdermi e basta. 
Quasi come se fosse una necessità. Come quella necesità che ho di guardare, di guardarmi dentro, di trovare qualcuno e di scoprirlo simile. 
Qualcuno con cui ridere, senza mai riuscire a fermarsi anche se ne avresti voglia. 
Quando vorresti fermarti mentre tutto intorno a te cambia, troppo velocemente. 
Quando non hai niente ma senti già tutto. 
Qualcuno con il quale non hai niente da dire, tanto da dirvelo di continuo. Ancora e ancora. 
Qualcuno con cui ridere di cuore e non sapere dire basta. 
Che ti porta ad ignorare lo schermo del telefono che resta spento. 
Con cui ignorare lo scorrere inesorabile del tempo. 
Qualcuno con cui il cuore si sente più libero. 
Qualcuno che mi voglia prendere per mano e che voglio prendere per mano per poi portarsi altrove. 
Sentire tutto, sentirsi tutto. 
Qualcuno che mi faccia superare i giorni difficili quando le mancanze si fanno tangibili. 
Che non abbia paura delle mie frasi non finite per necessità o esigenza. 
Qualcuno che scopro inaspettatmente ma si rivela amica o forse di più. 
Chi asseconda senza lasciarmelo veramente fare, la voglia che mi prende di scappare quando davanti a me ho cose troppo grandi, tipo il mare o i suoi occhi. 
Qualcuno che mi sappia prendere per mano due volte perchè, la prima è facile ma è la seconda che mi rende felice. Felice davvero. 
Qualcuno che sappia fare i conti con la mia forte instabilità. 
Qualcuno che abbia la testa piena ma che riesca, nonostante tutto, a fare un po' di spazio anche per me. 
Qualcuno che abbia il cuore grande come il mio ma che, proprio come me, non riesce a dimostrarlo.
Qualcuno con cui cercarsi, trovarsi ed incazzarsi, il resto conta poco.
Ho solo bisogno di trovare qualcuno che sia in grado di darmi la stessa quantità di cuore che metto in gioco io, ogni volta. 
Perchè credo che nella vita, in fondo, duri solo quello che veramente è reciproco.
Di qualcuno che magari, domani o tra vent'anni, chiunque legga la nostra storia non riesca a trattenere il sorriso e che si senta meno fortunato di noi, di me ad averci accanto. 
Perchè trovarsi pretende il presupposto di cercarsi e volersi, troppo spesso, è dato per scontato oggi.
Se non puoi essere una persona positiva nella mia vita, non entrarci. Non venire a giudicarmi. Non venirmi a dire cosa posso e cosa non posso vivere. Non dirmi cosa posso provare emotivamente. Quali rapporti posso o non posso coltivare. 
Se non sei una persona positiva, traccia un confine nei miei confronti e impegnati a non superarlo.
Questa è la mia vita e, fino a quando sarò su questa Terra, la mia persona necessita di essere preservata.  
Ecco perchè credo che siano i dettagli a fare la differenza.   
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ladyferater · 7 years ago
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1filorosso · 8 years ago
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Libertà di pensiero. Se si sente la necesità di ricordarlo, allora in questo Paese c'è un problema.
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frugiperda · 8 years ago
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Sazio di me stesso ed affamato d'altri mi allontanai.
Franz Werfel, Il segreto di un uomo
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titosfriends4life · 1 year ago
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COMUNICAZIONE DI COPPIA: STRUMENTI PER MIGLIORARE IL BENESSERE RELAZIONALE
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Comunicazione di coppia e crisi
Nella società odierna, le relazioni, se da una parte sono caratterizzate dal bisogno e dal sostegno dell’altro, è anche vero che si caratterizzano per una sempre più grande paura, fobia del mostrarsi, di perdere libertà e indipendenza. Questo, a sua volta, rende difficile l’instaurarsi di rapporti di coppia stabili e continui nel tempo.
In questo panorama, la “crisi” della coppia non viene più vista come una occasione di crescita e cambiamento, ma come motivo di rottura: c’è, quindi, bisogno di dare un nuovo significato a tale concetto e farlo rientrare in un meccanismo sano e fisiologico che, se accettato, porta ad un rafforzamento della coppia e alla sua rinascita.
In questo passaggio dalla crisi alla costituzione della nuova coppia, giocano un ruolo fondamentale nella rottura o meno della relazione, le aspettative, ossia quei pensieri rigidi secondo cui nella coppia non vi saranno mai momenti di crisi e che tutto andrà sempre bene: questo comporterà un senso di colpa e frustrazione in uno dei due partner, per non essere riuscito a salvare la storia d’amore.
L’importanza della comunicazione di coppia per il benessere del rapporto
Una volta che la relazione ha preso corpo, la sua qualità e continuità nel tempo, dipenderà dal tipo di comunicazione di coppia che verrà utilizzato.
Ognuno di noi ha un proprio stile comunicativo che è stato interiorizzato a partire dalle prime interazioni con le figure di riferimento, quelle genitoriali, per tutto il periodo dello sviluppo.
In una relazione, è necessario considerare alcuni aspetti della comunicazione che vanno ad influenzare la qualità della relazione stessa.
Comunicazione non verbale: è la più sviluppata perché più arcaica ed è quella che arriva immediatamente all’interlocutore. Il tono di voce, la mimica facciale, la postura etc., sono tutti elementi che contribuiscono a definire il tipo di messaggio che arriva all’interlocutore e anche la sua reazione. Ad esempio, se in una conversazione o in un litigio, il mittente incrocia le braccia, le gambe e assume una mimica del viso rigida, è possibile che all’interlocutore arrivi un messaggio “di chiusura” (“non mi interessa cosa stai dicendo, mi sto annoiando, sono irritato”)
Comunicazione rappresentativa (o messaggio IO): il mittente esprime in prima persona il proprio vissuto, le proprie emozioni senza emettere alcun giudizio nei confronti dell’altro. Questo tipo di messaggio si differenza dal messaggio TU, che, esprimendo un giudizio sull’altro, ha come risultato quello di bloccare la comunicazione in quanto viene percepito come un attacco e quindi ci si mette in posizione difensiva. Ad esempio, poniamo una situazione in cui uno dei due partner, durante gli eventi in pubblico, tende a considerare poco l’altro partner il quale si sente trascurato. In questo caso, questo ultimo, potrebbe dire:
“mi sento trascurata quando fai così” (messaggio io)
“tu mi trascuri” (messaggio tu)
In questo senso, è importante introdurre il concetto di indice referenziale che permette di delineare “quando” io mi sento in un determinato modo: serve, cioè, a contestualizzare il mio stato d’animo, a facilitare la comprensione del messaggio affinché non si inneschi il conflitto all’interno della coppia. Criticare, valutare, ridicolizzare, accusare, generalizzare, cambiare argomento, minimizzare, sdrammatizzare, dare consigli, discutere, analizzare etc. son tutti errori comunicativi che vanno a bloccare o attaccare il vissuto dell’altro.
     3. Ascolto attivo: è un concetto molto importante per una comunicazione di coppia efficace e può essere attuato attraverso due strumenti senza i quali vengono messi in atto comportamenti che bloccano la comunicazione:
a) Riformulazione: ha lo scopo di comprendere se il messaggio dell’altro è stato ricevuto correttamente (“se non sbaglio”, “mi pare di capire”). Esistono diversi modi per riformulare un messaggio:
Parafrasi: l’interlocutore dice, in altro modo, ciò che ha appena ascoltato. Lo scopo è quello di spingere l’altro ad approfondire il discorso
Riepilogo: viene fatto un riassunto di un messaggio che è stato prolisso. Anche in questo caso lo scopo è quello di permettere all’altro di continuare il suo discorso
Correttiva: aiuta l’interlocutore attraverso l’espressione di stati emotivi e ha lo scopo di completare la comunicazione
Critica: serve a far emergere un aspetto latente del messaggio o poco accennato (“da quanto hai detto si deduce che”)
Delucidazione: viene utilizzata quando la comunicazione è confusa e ha lo scopo di riordinarla per favorire la consapevolezza dell’emittente che sarà in grado di continuare il suo discorso
Figura sfondo: mette in luce un aspetto o degli aspetti della comunicazione che sono stati posti come secondari ed ha lo scopo di ribaltare la percezione dell’emittente
Sottolineatura: vengono enfatizzati alcune parole o concetti importanti e quindi viene introdotto, all’interno della comunicazione, l’aspetto emotivo
b) Verbalizzazioni degli stati emotivi: all’interno della comunicazione di coppia, hanno lo scopo di mettere in luce l’aspetto emotivo del discorso dell’altro, facilitando la sua espressione e favorendo quindi la continuazione della comunicazione (“dalle parole che hai detto ho sentito tanta paura”). In questo modo, il mittente tenderà a concentrarsi sulla sua paura e si sentirà accolto e capito rispetto a ciò che ha detto.
Come si può osservare, una buona comunicazione si basa su strategie che possono essere apprese e che devono considerarsi  ottime alternative a tutte quelle strategie disfunzionali che vanno a mirare la qualità e la continuità della relazione.
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titosfriends4life · 1 year ago
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ALLORGASMIA: ECCITARSI PENSANDO AGLI ALTRI
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L’allorgasmia è quell’abitudine che ci porta a raggiungere l’eccitazione, immaginando qualcuno che non è con noi, durante l’atto sessuale, qualcuno che non è il nostro partner: insomma, si pensa ad un’altra persona, mentre si sta vivendo un attimo di passione con il proprio partner, per sentirsi eccitati o per provare desiderio.
Per alcuni di voi questa magari è solo pura follia, ma in molti “sono abituati” a fare questo.
Allorgasmia: cos’è
Innanzitutto, è bene sottolineare come l’allorgasmia non sia un disturbo: questa pratica non è infatti presente all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.
L’immaginazione in questo fenomeno, fa da grande protagonista delle fantasie erotiche. Un’immaginazione che permette di raggiungere l’eccitazione, pensando ad un’altra persona, mentre si fa sesso con la propria partner.
Allorgasmia: cosa comporta, cosa non è, cosa dicono gli esperti❓
Sicuramente fantasie di questo tipo possono aiutarci a comprendere meglio noi stessi e le nostre preferenze sessuali che, in realtà, sono dei processi mentali che ci rivelano i nostri desideri più intimi.
Attraverso queste pratiche si cerca di dare una scossa simbolica al proprio rapporto: è per questo che non ci si deve sentire in colpa ad avere tali fantasie; non c’è alcun motivo per considerare tale pratica come una forma di infedeltà, anche se la maggior parte di noi potrebbe pensarla così: fantasticare su un’altra persona non significa smettere di amare il proprio partner.
Gli esperti, a tal proposito, sembrano essere certi: questa pratica può essere una valida alternativa per uscire dalla propria routine sessuale, al fine di ravvivare il desiderio sessuale; ovviamente non deve essere prolungata nel tempo, altrimenti finisce per dividere la coppia.
Quando fantasticare su un altro diviene una salvezza❓
Se partiamo dal presupposto che sono davvero tante le coppie insoddisfatte della loro vita sessuale, la risposta potrebbe essere quasi scontata e ovvia: a quante coppie capita di perdere quell’ardore sessuale che caratterizzava il loro amore❓
Questo avviene perché, a lungo andare, il sesso viene messo in secondo piano: è qui che l’allorgasmia può poter essere utile a far  riaccendere quella fiamma sessuale spenta.
Come una finestra di vita che si apre per far capire che c’è ancora tanto da fare e sperimentare. Questa è solo una delle tante opzioni che si possono prendere in considerazione. Chi è in crisi, non deve necessariamente ricorrere a queste fantasie, ma farlo non sarebbe certo una cosa orrenda o spaventosa, come si potrebbe pensare.
Secondo la dottoressa Carolina Schwengel, esperta in sessualità, l’allorgasmia può essere usata in piena libertà, poiché aiuta ad eccitarsi all’inizio del rapporto sessuale a patto, ovviamente, che non diventi patologica e non si debba ricorrere continuamente ad essa rendendola l’unica forma di eccitazione.
In questi casi, più che avvicinarci al nostro partner, non faremmo altro che allontanarci. Non solo da un punto di vista sessuale, ma anche emotivo.
A chi si pensa in queste occasioni❓
Beh si può poter pensare ad artisti o persone famose, ma anche a persone comuni, come i propri colleghi: a prescindere da questo, però, non dobbiamo sentirci in colpa, nemmeno se pensiamo a quel ragazzo o a quella ragazza che lavora con noi… la pratica dell’allorgasmia è simbolica.
Queste fantasie sono inoffensive, purché non si ecceda e si inizi ad abusarne. Questo potrebbe far rivelare l’altra faccia della medaglia, rendendo l’allorgasmia l’unica via sessuale a nostra disposizione per eccitarci facendoci allontanare dal nostro partner che, a sua volta, potrebbe sentirsi ferito, svalutato e umiliato.
Consigli per l’allorgasmia
Ci troviamo in coppia e non facciamo altro che pensare alla nostra vicina, mentre abbiamo dei rapporti con la nostra compagna❓
Questo avviene frequentemente ed è l’unico modo che permette di eccitarci e ci sta allontanando dal nostro partner❓In tal caso sarebbe utile richiedere un aiuto professionale, individuale e/o di coppia al fine di ritrovare quell’ardore perduto. Chiedete aiuto ad uno psicologo o uno psicoterapeuta e non ve ne pentirete.
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titosfriends4life · 1 year ago
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HIKIKOMORI: QUANDO CI SI RITIRA DAL MONDO
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Con “Hikikomori” si intende descrivere sia la condizione, che il soggetto che soffre di ritiro sociale acuto.
Il termine fu coniato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito nel 1998, e da lui reso famoso attraverso interviste televisive e articoli di giornale. Si potrebbe tradurre con “ritiro sociale”, ma si è preferito non tradurre il termine ed usare la parola giapponese per identificare questa particolare forma di ritiro sociale. Il suo uso e significato si è esteso anche in America e ad oggi il numero di articoli che prendono in considerazione il fenomeno è in continua crescita in tutto il mondo, suscitando l’attenzione di ricercatori e esperti psicologi e antropologi.
Lo stile di vita dell’Hikikomori
La prima immagine che viene in mente è quella di un giovane uomo giapponese, isolato nella sua stanza all’interno della casa di famiglia per anni e anni, rifiutandosi di parlare, interagire o essere visto da chiunque, a volte persino dalla sua propria famiglia: i genitori lasciano cibo al di fuori della sua porta e lui fa lo stesso con i rifiuti che produce.
In passato potrebbe aver trascorso il suo tempo giocando a videogiochi o su chat-room, ma queste attività non lo entusiasmano più. Adesso lui non fa altro che fissare il muro.
Hikikomori - Il mondo del perfetto isolamento
Seppur questa descrizione di hikikomori non è di per sé scorretta, è però limitata in quanto descrive solo un piccolo campione di individui. E’ stato quindi necessario pensare ad una definizione che rendesse giustizia delle molteplici caratteristiche e dei diversi tratti degli hikikomori.
Nel libro in cui per primo parla del problema (cit) Saito descrive il ritiro sociale come il disturbo e ogni altro sintomo psichiatrico associato come espressione di questo disturbo. Psichiatra di formazione psicanalitica, Saito considera l’hikikomori come un problema dell’adolescenza, e lo collega allo slittamento del periodo adolescenziale fino ai trenta anni di vita se non oltre. L’unica cura in questa ottica è lo sviluppo di un ruolo sociale che porti verso la maturità.
In realtà sono stati fatti diversi tentativi per definire a livello comportamentale la condizione di hikikomori, alcuni in apparenza in contrasto con l’eziologia primariamente proposta e la definizione.
L’Hikikomori è una patologia❓
La migliore definizione comportamentale è attualmente quella proposta da Teo e Gaw (2010) che include i costrutti centrali del disturbo in sei criteri:
Trascorrere quasi tutto il giorno a casa, quasi ogni giorno.
Ostinato evitamento delle situazioni sociali.
Ostinato evitamento delle relazioni sociali.
Provare stress o difficoltà nello svolgere attività quotidiane.
Durata di almeno sei mesi.
Il disturbo non è meglio spiegato da altri disturbi come ansia sociale, disturbo depressivo maggiore, schizofrenia o disturbo evitante di personalità.
Il punto 6, ovvero l’assenza di altre patologie psichiatriche è il punto più controverso. Infatti dalle ricerche emergono evidenze che collocano la presenza di altri disturbi in persone che soddisfano i primi 5 punti, in percentuali spesso più del 50%.
Uno studio su 337 pazienti “hikikomori” ha trovato addirittura il 99,7% di comorbilità.
Questo spiega perché l’evitamento e la reclusione volontaria sono sintomi presenti in molti disturbi già ampiamente studiati quali i disturbi ansiosi, depressivi, psicotici e di personalità.
La domanda quindi é se abbia un senso clinico o meno identificare hikikomori come una patologia a se stante oppure collocarla all’interno di altre patologie più ampiamente studiate.
Perché prestare attenzione al fenomeno
Non ci dobbiamo dimenticare che ogni etichetta non è altro che un termine coniato da clinici e ricercatori che deve servire due obiettivi principali:
Descrivere la condizione, quindi avere un buon potere discriminatorio rispetto ad altre.
Individuare il trattamento che più di altri può portare ad un successo terapeutico.
Appare evidente come risulti necessario continuare a svolgere una accurata ricerca e empirica per fornire validità e utilità clinica a questa etichetta diagnostica.
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titosfriends4life · 1 year ago
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DEPRESSIONE DA SOCIAL NETWORK
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Depressione da social network: quando se ne può parlare❓
Ormai i social media sono diventati parte integrante della vita di tutti noi al punto di diventare un chiodo fisso nelle nostre giornate.
Li usiamo per passare il tempo, per condividere informazioni, per “chattare". Insomma, risultano mezzi espressivi e attraenti e ci si sente addirittura gratificati se si hanno rapporti sociali di alto livello.
Questo fa capire quanto sia grande l’impatto che questi mezzi hanno su chi li utilizza. A prova di ciò riporteremo, qui di seguito, i risultati di alcuni studi che dimostrano quanto la depressione possa essere associata all’uso dei social network.
Correlazione social network e depressione
La depressione è un disturbo del tono dell’umore: se gli individui vivono situazioni piacevoli, questo flette verso l’alto, al contrario, flette verso il basso in situazioni negative. Chi ne soffre, però, non mostra questa flessibilità e il suo umore è costantemente flesso verso il basso.
Quali sono i sintomi della depressione❓
Sicuramente frequenti, e intensi, stati di insoddisfazione e tristezza, una condizione di costante malumore e pensieri negativi circa sé stessi, gli altri e il proprio futuro.
Ma esiste una correlazione tra i social media e la depressione❓
Uno studio pubblicato sulla rivista Depression and Anxiety dimostra come un uso prolungato dei social possa causare la depressione.
Da questo studio, che ha preso in esame 1787 americani con una fascia d’età tra i 19 e 32 anni (tenendo conto anche di altri elementi, come sesso, etnia, relazioni), si è evinto come questi mediamente utilizzino i social network, come Facebook, Instagram, Twitter, Pinterest e Snapchat, circa 61 minuti al giorno. In aggiunta si è osservato come più di un quarto degli individui sia stato classificato ad alto rischio di depressione da social network.
Un’altra ricerca, che ha coinvolto alcuni studenti universitari, sembra essere coerente con i risultati dello studio presentato precedentemente. Da questa si è evinto come un minor utilizzo dei social riesca ad aumentare il benessere individuale e riduca stati come ansia e depressione.
Dunque più tempo si spende sui social network, più si hanno possibilità di soffrire di depressione dato che l’esporsi a modelli idealizzati può portare alcuni soggetti a manifestare sentimenti negativi, come l’invidia. Pensiamo a quelle fotografie in cui gli altri sembrano essere sempre più in forma di noi: questo continuo paragone può innescare sentimenti di gelosia e abbassamento dell’autostima.
A tal proposito si è espresso anche il professor Luigi Janiri, docente di psichiatria e psicologia alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha dato la sua opinione in merito e ha riferito testuali parole: “quella proposta dal mondo dei social network è una socializzazione virtuale, non reale. La possibile origine di una depressione risiederebbe nel fatto che esiste un’illusione di stringere delle relazioni interpersonali che però sono assolutamente non complete, sono per l’appunto virtuali, nel senso vero, reale, concreto e simbolico del termine. Mancano le caratteristiche umane del contatto interpersonale della relazione, la quale si basa su altri principi: quello dell’incontro, del dialogo, del contatto sensoriale. Venendo a mancare questa dimensione e alimentandosi solo di un’illusione, chiaramente il tutto alla fine risulta insoddisfacente, non gratificante. Quello di cui hanno bisogno le persone, in generale, è il contatto sociale, uno dei più importanti antidepressivi. I rapporti che vengono stretti attraverso la rete e i social, possono sfuggire al controllo e questo, può causare problemi importanti a chi ha particolari vulnerabilità”.
Insomma un’opinione coerente con quanto detto sin’ora.
Depressione: prima o dopo❓
L’utilizzo dei social media può provocare depressione o amplifica semplicemente i sintomi di una patologia già esistente❓
Secondo alcuni ricercatori, chi è già affetto da depressione, può scegliere di utilizzare i social media per fuggire dal proprio vuoto.
Dunque, chi ha già i sintomi di una depressione, potrebbe scegliere un’alternativa per alleviare il suo malessere, ovvero i social. Paradossalmente, però, più si utilizzano i social, maggiore è la probabilità che la depressione si manifesti.
Dunque, ci si ritrova alla fine in un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire.
Quali sono i sintomi della depressione da social network❓
Come ci si accorge che una persona sta scivolando verso la depressione da social❓A tal proposito si esprime sempre il professor Luigi Janiri, che afferma: “Uno dei segnali è l’aumentare del numero delle ore dedicato alla connessione online per cercare di avere contatti, reperire notizie sugli altri, di avere questa sorta di pseudo-socialità, nel tentativo di ottenere una gratificazione che non è disponibile. La frequentazione dei social diventa un’attività esclusiva che quindi comincia, come per le dipendenze, a rubare il tempo ad altre attività importanti, comprese le relazioni umane: la persona diventa sempre più chiusa, sempre meno disponibile a uscire, a vedere e incontrare gli altri, e si rinchiude in questa sorta di mondo quasi autistico.”
Insomma, dalle sue parole si evince come siano questi i primi segnali a cui possono seguirne altri, tra cui l’abbassamento del tono dell’umore, la caduta dell’autostima, i pensieri autolesionistici, l’apatia ed i disturbi del ritmo sonno-veglia.
Consiglio contro la depressione da social network
Importante cercare, a livello razionale, di diminuire il tempo che trascorriamo sui social e rivalutare l’importanza di quelle che sono le relazioni sociali reali. La perfezione che esiste sui social, ricordiamocelo, non esiste nella vita reale: non ha quindi senso fare dei paragoni con qualcosa, che nella realtà, non esiste.
Cerchiamo di nutrire la nostra autostima, facendo quello che più ci piace fare: questo dobbiamo fare❗️È l’unica vera gratificazione che possiamo, e dobbiamo, permetterci.
Riguardo i più piccoli, i genitori dovrebbero:
essere molto attenti a identificare i primi segnali, al fine di cercare di prevenire dei veri e propri disturbi;
dialogare il più possibile con loro, informandoli sui possibili rischi legati ad un uso prolungato dei social network.
E se invece fossimo già nel circolo vizioso di cui abbiamo parlato prima❓Allora, meglio chiedere aiuto ad un professionista: ci aiuterà a riprendere in mano la nostra vita.
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titosfriends4life · 1 year ago
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ESSERE FRAGILI PUÒ RENDERCI PIÙ FORTI❓
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Fin da piccolo ho sempre evitato in tutti i modi di mostrare il mio essere fragile, cercando di mostrare il mio lato forte. Ricordo di quando mi vantavo con un mio amico di quante volte ho avuto l’opportunità di piangere e non l’ho fatto.
La frase che risuonava attorno a me era: ”su, fai l’uomo, gli uomini non piangono”.
Penso che questa frase abbia generato in molte persone l’idea che, per diventare uomo, bisognava essere dei duri, e per essere dei duri, non bisognava piangere. Non c’è solo l’atto in sé, ovvero piangere, che ci porta in una dimensione di persona debole che ricordo, ma anche condividere le proprie emozioni e le proprie paure.
Questo concetto di uomo forte e invincibile risuonava anche nelle prime cotte adolescenziali: le ragazzine ammiravano i ragazzi impavidi ed intraprendenti. Come potevo, io adolescente, essere considerato un figo se provavo paura nelle cose❓Sarei riuscito a fidanzarmi se mi fossi mostrato fragile❓
Cosa vuol dire essere fragili❓
La parola fragile proviene dal latino ed è un derivato di frangere: “rompere", che si rompe facilmente, frangibile.
In questo periodo sto leggendo l’arte di essere fragile. Mi ha impressionato la capacità dello scrittore di cambiare prospettiva, guardare un altro punto di vista e ribaltare quel concetto che fin da piccolo abitava in me.
Famiglia: è la culla dell’educazione e fin da piccoli siamo esposti a molti stimoli che influenzano il nostro modo di pensare e di agire.
Società: costruisce in noi un pensiero o vari pensieri che influenzano il nostro modo di essere.
Perché essere fragili❓
Essere fragili ti espone alla sofferenza, al giudizio, al confronto. Sia chiaro, non è semplice esserlo, ma è un percorso arduo e complicato.
Le caratteristiche per essere fragili possono essere poche, ma efficaci:
Essere trasparenti: presuppone una condizione necessaria: bisogna essere trasparenti prima di tutto con se stessi. Osservare le proprie emozioni senza giudicarle è essenziale. Spesso il giudizio modifica la nostra percezione.
Condividere le emozioni: può essere l’azione più semplice da fare ma, a volte, per qualcun altro proprio non lo è. Spesso, è la parte maschile che fa fatica ad esprimere le emozioni, ma anche molte donne si trovano nelle medesime problematiche. Con un buon lavoro su se stessi, si possono ottenere enormi vantaggi che vanno poi a migliorare tutti gli aspetti della persona. Condividere con la famiglia, il partner o gli amici può essere l’inizio di un percorso che porta alla serenità.
Avere coraggio. La paura è un’emozione primitiva. Un’emozione che ti blocca, che ti fa scappare o che ti fa reagire. Quando reagisci subentra il coraggio: l’unica arma che può sconfiggere la paura.
La fragilità come strategia per il benessere
Come possiamo utilizzare la fragilità come strategia per il nostro benessere❓La fragilità, come abbiamo visto, presuppone il coraggio di mostrarsi come si è, senza maschere. Nel caso in cui ci ritrovassimo in una situazione di grande disagio, sarebbe opportuno contattare un professionista, ricordando che il vero lavoro parte da noi.
Siamo in grado di toglierci tutte le maschere❓Siamo in grado di riuscire a guardarci senza giudizio❓Siamo in grado di parlarci e accettare che magari non siamo così infallibili, che non siamo così perfetti❓
Una buona strategia è quella di legittimarsi. Riconoscersi senza giudizio.
Fragilità uguale forza
Il risultato di questo percorso verso la fragilità potrebbe avere risultati inaspettati. Essere fragile, capirete in seguito, non coincide con l’essere debole: essere fragile vuol dire avere piena coscienza delle proprie emozioni, positive e negative, senza nascondere una parte di sé, ma con trasparenza e coraggio mostrarsi come si è.
Ho riflettuto sull’essere fragile e quell’aspetto di noi esseri umani così fragili, ma così forti, mi conduce alla ricerca del capire perché siamo al mondo, al nostro compito, a capire qual è la nostra dimensione e quale la nostra paura, perché è quella l’emozione che spesso ci blocca davanti agli ostacoli.
E voi❓Siete fragili❓
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titosfriends4life · 1 year ago
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PENSIERO PARANOIDE: RICONOSCERLO, PER GESTIRLO
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Quante volte ci è capitato di sentir parlare di “paranoia” o di pensiero paranoide❓Probabilmente tantissime volte, dato che è una terminologia ormai utilizzata nel gergo comune. Ma cos’è realmente❓
Cos’è la paranoia❓
Il termine paranoia deriva dal greco “παράνοια” che, letteralmente, significa follia o insensatezza e ci aiuta già a comprendere cosa si nasconde dietro la paranoia stessa. Tale termine, infatti, indica la presenza di un disturbo mentale.
Ciò che caratterizza il soggetto che ne è affetto consiste in una convinzione delirante molto precisa: quella di essere perseguitato o, più dettagliatamente, che qualcuno o qualcosa possa fargli del male. Molte volte, tale disturbo emerge da una degenerazione patologica di alcuni tratti caratteriali come diffidenza, inclinazione al pregiudizio o insicurezza.
Inoltre, ciò che sembra caratterizzare questo disturbo è la presenza di tutto un sistema di credenze, di tipo persecutorio, che l’individuo crea e da cui, poi, è perseguitato.
Visto così, potrebbe essere associato ad una sensazione di ansia o di paura. In realtà la paranoia nasce da un disturbo del pensiero di cui il soggetto non ha piena consapevolezza: il disturbo paranoide di personalità.
Il disturbo paranoide di personalità è alquanto diffuso. Si stima, infatti, che dal 2,3 al 4,4% della popolazione generale degli Stati Uniti ne sia affetta.
Esordio della paranoia
L’età di esordio sembra essere alquanto precoce: nella maggior parte dei casi in età adolescenziale o, comunque, non oltre la prima fase dell’età adulta, quindi nella giovinezza. La maggior parte dei soggetti che ne soffre, però, si rivolge ad uno specialista intorno all’età di 35-40 anni.
I sintomi della paranoia
 Chi soffre di questo disturbo tende a percepire un forte ed intenso senso di minaccia per la propria incolumità:
ritiene che gli altri gli faranno del male, che si approfitteranno di lui/lei o che lo/a umilieranno in qualche modo;
si impegna molto, al fine di proteggersi e mantenere la distanza dagli altri;
attacca preventivamente gli altri, quando avverte una minaccia;
tende a portare rancore, è litigioso/a e mostra una gelosia patologica;
presenta una modalità di pensiero evidentemente distorta che si manifesta con la tendenza a leggere negativamente commenti o comportamenti innocui e a soffermarsi molto su offese passate;
a causa delle distorsioni del pensiero, non riesce a fidarsi degli altri e non riesce a sviluppare rapporti stretti;
ha una vita emotiva dominata da sfiducia e ostilità;
si percepisce come altamente vulnerabile rispetto al maltrattamento che potrebbe subire dagli altri;
vede gli altri essenzialmente come subdoli, ingannevoli, sleali e segretamente manipolativi;
crede che gli altri desiderino interferire con le sue attività, sminuirla/o, discriminarla/o.
Tutto ciò, spesso, viene però camuffato e non mostrato palesemente.
Quali sono le cause di un pensiero paranoide❓
Le cause non sono ancora del tutto chiare o comunque definibili. A tal proposito però, sono state proposte diverse ipotesi in relazione ai fattori coinvolti nel disturbo, che possono essere:
genetici;
sociali (si ritiene abbiano rilevanza le prime interazioni nella fase di sviluppo, ovvero quelle con i genitori, ma non solo). Anche le prime interazioni con il “mondo sociale” sembrano avere un peso: parliamo delle interazioni con i pari. Probabilmente esperienze di interazioni non positive, o dettate dall’impossibilità di potersi “fidare” e “affidare” all’altro, potrebbero generare un tale disturbo;
psicologici tra cui temperamento, tratti di personalità e abilità di coping;
traumi precoci nell’infanzia che hanno contribuito allo sviluppo di questo tipo di personalità;
provenienza da famiglie con storie precedenti di schizofrenia e disturbo delirante.
Diagnosi della paranoia
Per quanto riguarda la diagnosi, per poter accertare che un soggetto abbia un disturbo paranoide di personalità deve essere presente una persistente sfiducia e sospettosità verso gli altri.
Devono essere presenti almeno quattro segnali, o anche di più, tra:
sospetto ingiustificato che altre persone li stiano sfruttando, ferendo o ingannando;
preoccupazione, con dubbi ingiustificati, circa l’affidabilità dei loro amici e colleghi;
riluttanza a confidarsi con gli altri per timore che le informazioni siano utilizzate contro di loro;
errata interpretazione di osservazioni benevole o di eventi come denigrazioni nascoste, ostili, o dal significato minaccioso;
rancore per insulti, ferite o offese;
disponibilità a pensare che il loro carattere o la loro reputazione siano stati attaccati e rapidità nel reagire con rabbia, nel contrattaccare;
sospetti ricorrenti e ingiustificati sull’infedeltà del partner.
Trattamento della paranoia
Per quanto concerne il trattamento, la terapia più utilizzata e considerata più efficace, è la Terapia cognitivo-comportamentale. Il primo passo consiste nell’educare il soggetto rispetto al disturbo stesso: vengono mostrate le caratteristiche del disturbo ma, soprattutto, vengono mostrate le conseguenze negative del disturbo, sia a livello personale, che sociale.
L’intervento mira, poi, a costruire fiducia tra terapeuta e paziente: si cerca, quindi di esplorare insieme l’ambivalenza del paziente ma, soprattutto, si rispetta l’autonomia del soggetto e lo si invita a non essere sempre sulla difensiva.
Si cerca, quindi, di lavorare in modo collaborativo, al fine di sviluppare convinzioni alternative e più funzionali, provando a ridurre il bisogno di vigilanza e guidando il paziente verso una percezione più realistica, con una maggiore consapevolezza del punto di vista delle altre persone.
Infine, si guida il paziente nella sperimentazione di comportamenti sociali più adattivi e si promuovono abilità che supportano le credenze più funzionali per ridurre la sospettosità e la diffidenza verso gli altri.
Consigli pratici contro il pensiero paranoide
Cerca di capire e gestire i tuoi pensieri: se si è all’inizio, o se ci si accorge di avere pensieri disturbanti o una diffidenza generale verso gli altri, potrebbe essere utile migliorare la consapevolezza rispetto ad essi ed alla loro frequenza. Pensa a qualcosa di positivo e sforzati di farlo frequentemente: col tempo, in modo graduale, riuscirai ad avere sempre più capacità di gestire questi pensieri.
Scrivi su un diario quante volte ti capita. Essere diffidenti❓Capita a tutti di esserlo: ci sono persone che lo sono più di altre, ma le caratteristiche di personalità hanno una propria rilevanza. Tieni conto della frequenza di questi pensieri e delle motivazioni che ti portano a farli, ti aiuterà anche questo a sviluppare una maggiore consapevolezza di te. Per questo, è molto utile segnare quando ti capita, scrivere anche la motivazione del pensiero paranoide. Rianalizzando il tutto, potrai capire se era davvero giustificato oppure no.
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titosfriends4life · 1 year ago
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LA PAURA DI DELUDERE I PROPRI GENITORI
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Quante volte abbiamo avuto paura di deludere i nostri genitori❓ Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo nutrito questa paura, d’altronde sono tante le persone che reputano come fondamentale il giudizio degli altri: un giudizio che può influenzarci e influenzare la nostra autostima.
Spesso dietro l’espressione “altri”, però, ci sono proprio i nostri genitori. Per evitare di deluderli, arriviamo anche a mettere da parte i nostri sogni. Ma perché questo timore può essere così forte❓E a cosa può portare tutto questo❓
Deludere i propri genitori: cosa vogliono per noi e per la nostra vita
L’opinione dei nostri genitori è importante, ma quando ci rendiamo conto che ciò che vogliono per noi, non corrisponde a ciò che noi stessi vogliamo, la situazione si complica e ci ritroviamo ad essere “vittime” di questa divergenza di pensiero.
A tal proposito, è importante dire come questa “divergenza” possa essere la causa di differenti modi di pensare associati, a loro volta, a stili di vita diversi: questo, a lungo andare, non può che essere motivo di conflitto tra genitori e figli.
Eppure, se ci basiamo sull’amore incondizionato che ogni genitore dovrebbe provare per i propri figli, questo quesito non dovrebbe avere davvero ragione d’esistere.
Insomma, ogni genitore dovrebbe volere il bene dei propri figli ma, spesso, le cose non sono così lineari come sembrano.
Alcuni genitori assumono dei comportamenti che non capiamo e si esprimono in un modo così “strano” da farci intendere che possiamo contare su di loro solo se facciamo quello che loro desiderano per noi.
Qui la domanda sorge spontanea: ma cosa vorrebbero per noi, i nostri genitori❓
Secondo la psicologa Isabel Menéndez Benavente, i genitori desiderano per i loro figli:
una buona formazione;
una buona dose di competitività;
dei buoni voti scolastici.
Spesso pretendono tutto questo, senza chiedersi se, e quanto, i propri figli ne siano realmente in grado o interessati.
Conseguenze della paura di deludere i propri genitori
L’idea di poter perdere il sostegno, la stima e l’affetto dei propri genitori a causa di scelte “sbagliate”, impedisce di seguire la propria strada e l’avverarsi dei nostri sogni.
Per evitare di deludere i genitori, capita di intraprendere strade, lavorativamente parlando, che magari non ci interessano, ma che pensiamo possano essere ben viste da loro, poiché offrono una maggior stabilità.
Lo stesso timore può anche avere ripercussioni anche a livello affettivo: si può arrivare ad evitare di creare legami affettivi, o sessuali, con una determinata persona che potrebbe non piacere a nostra madre o a nostro padre.
Così, alla fine, finiamo per vivere la vita che vorrebbero i nostri genitori per noi, e non quella che vogliamo davvero.
Quando deludere la propria famiglia è indice di libertà
E’ proprio in questi casi che occorre prendere consapevolezza di come a volte, deluderli sia necessario per poter essere liberi di essere se stessi e smettere di essere “figli accondiscendenti”. In questo modo sarà possibile riaffermarsi come individui, padroni della propria vita, senza essere modellati da credenze che abbiamo interiorizzato nel rapporto con i nostri genitori.
Uno studio condotto presso l’Università dello Utah, ha individuato le migliori strategie per gestire queste situazioni:
percepirsi come persone capaci di reagire alle avversità, senza dimenticare ciò che abbiamo imparato;
trovare sostegno fuori dalla cerchia familiare, al fine di poter avere altre prospettive;
essere assertivi nei confronti della nostra famiglia, al fine di esprimere le nostre necessità e desideri, ma con rispetto e maturità.
Come contrastare questa paura di deludere i nostri genitori❓
Ascoltatevi: la consapevolezza di poter deludere i vostri genitori è qualcosa che non vi può far piacere; non ascoltare voi stessi è, sicuramente, peggio, sapete❓Non è né giusto, né benefico, evitare di soddisfare le vostre aspettative.
L’unica persona che può decidere per la vostra vita siete proprio voi.
E’ naturale avere opinioni diverse: spesso i nostri genitori, pur con le migliori intenzioni, non sanno cosa sia realmente giusto per noi; questo può dipendere da diversi modi di pensare, spesso frutto di cambiamenti sociali di cui siamo parte integrante. Prima riuscirete ad  avere consapevolezza di questo e prima riuscirete a far valere la vostra volontà.
Confrontatevi con loro: se avete deciso di vivere come desiderate, parlatene e mettetevi nei loro panni, senza però abbandonare i vostri. Utilizzate una comunicazione persuasiva ed efficace, che non tenda ad attaccare l’altro.
La comprensione deve essere alla base.
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titosfriends4life · 1 year ago
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IL PROCESSO DI CAMBIAMENTO: COME AGISCE IN PSICOTERAPIA
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Ognuno di noi, nella propria vita, ha sperimentato, o desiderato con tutte le forze un processo di cambiamento: pensiamo a tutte quelle fasi della vita che ci pongono, o ci hanno posto, di fronte ad un cambiamento “costretto”: il passaggio dall’infanzia all’adolescenza ma, più doloroso, il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta.
Il cambiamento ha vantaggi e svantaggi: può essere una delle risorse più grandi della nostra vita ma, allo stesso tempo, può essere fonte di paure e frustrazioni.
Il cambiamento utile contro il malessere
E tutto ciò si amplifica se viene inserito nel contesto di un “malessere individuale”: quante volte il cambiamento è stato dettato da un malessere interiore❓Per esempio, dopo la rottura di una relazione amorosa oppure dopo un fallimento lavorativo.
Come fa una persona a modificare ciò che di sé, o della sua vita, ritiene “problematico”❓La psicoterapia aiuta proprio il soggetto in questo processo.
Nonostante sia vista da molti come qualcosa da “pazzi”, o da “persone problematiche”, in realtà è un processo ad hoc che aiuta nel superamento di problemi, nel processo di consapevolezza di Sè e della propria vita e, quindi, nel cambiamento.
Cos’è la psicoterapia❓A cosa serve❓
La psicoterapia riguarda qualcosa di molto delicato: l’Uomo. È proprio il soggetto ad essere al centro di questo percorso e, per questo, è ancor più difficile mettere d’accordo tutti.
Insomma, di cosa si tratta❓
“La psicoterapia è un percorso di trattamento dei disturbi psicologici che si realizza in una serie di incontri con un professionista psicoterapeuta. Lo scopo della psicoterapia è promuovere un cambiamento tale da alleviare in modo stabile alcune forme di sofferenza emotiva. La psicoterapia aiuta la persona a vivere meglio.” (State of Mind)
La stessa definizione di psicoterapia fa balzare agli occhi le sue caratteristiche peculiari. Quali❓
Prima di tutto la tecnica: essa consiste in una serie di incontri tra professionista e paziente; quindi la relazione diventa l’aspetto cruciale e necessario affinché si possa parlare di psicoterapia. Inoltre, ci fa capire qual è lo scopo: il cambiamento, appunto, col fine ultimo di alleviare e superare una sofferenza emotiva.
Queste sono, quindi, le caratteristiche fondanti questa tecnica di trattamento e intervento. Ovviamente, nel panorama terapeutico ci sono differenti tipologie di orientamento, ognuno con assunti di base più o meno differenti.
La psicoterapia e la relazione terapeutica
“L’alleanza terapeutica è costituita da tre componenti: l’esplicita condivisione di obiettivi da parte di paziente e terapeuta, la chiara definizione di compiti reciproci all’inizio del trattamento e il tipo di legame affettivo che si costituisce fra i due, caratterizzato da fiducia e rispetto.” (Bordin, 1979)
Da ciò, quindi, emerge con forza che il processo di costruzione dell’alleanza terapeutica e, poi, del rapporto terapeutico, è efficace e ben riuscito quando entrambi i soggetti sono attivi nella costruzione di questo rapporto e, quindi, desiderosi di farlo.
Insomma, diviene un lavoro di vera collaborazione: entrambi i soggetti costruiscono una relazione che è necessaria nel processo di psicoterapia. Solo creando un rapporto intimo, caratterizzato da estrema fiducia reciproca, ma soprattutto in cui il paziente si senta accettato.
Quindi, tramite questa relazione, il paziente riesce a conoscersi meglio, conosce meglio il modo in cui funziona e conosce approfonditamente i suoi desideri. Tutto ciò col fine ultimo di cambiare ciò che crea malessere.
E’ stato dimostrato che “L’alleanza terapeutica è un potente fattore predittivo dell’esito del trattamento psicoterapeutico.” (Horvath, Del Re, Flückiger et al., 2011)
Importanza del terapeuta
Sicuramente la relazione terapeutica nella psicoterapia è al centro ed è ciò che rende efficace il percorso psicoterapeutico.
Ma, oltre alla relazione, molta importanza hanno anche i singoli soggetti, quindi sia il terapeuta che il paziente.
Il terapeuta, sicuramente, ha un ruolo importante in quanto è chiamato ad “accogliere” il paziente e supportarlo in un processo che è tutt’altro che semplice: è necessario, quindi, che sappia ascoltare empaticamente, che riesca ad accogliere il paziente e lo faccia sentire accettato, soprattutto per le sue vulnerabilità.
Deve essere presente, costante, disponibile, facendo sentire al paziente la presenza e supporto costanti; insomma, deve diventare una figura di riferimento.
Molto importante è anche il vissuto del terapeuta che, spesso, può diventare d’intralcio alla terapia stessa. Non parliamo di una macchina: il terapeuta è una persona in carne ed ossa che, quindi, ha dei propri vissuti e delle proprie emozioni.
E’ necessario che tutto questo sia tenuto “a bada”, ma soprattutto è necessario che il terapeuta lo analizzi, che ne tenga conto per poterlo superare e per dedicarsi alla terapia.
Il paziente
Questo processo ha al centro il paziente: è fatto ad hoc per lui e per le sue esigenze e, soprattutto, ha uno scopo ben preciso: cambiare e stare meglio. La psicoterapia richiede un grosso sforzo personale ed individuale, in cui il terapeuta fornisce gli strumenti ma, poi, è compito del paziente utilizzarli al meglio.
Ed infatti, per quanto un terapeuta possa impegnarsi nell’aiutare il paziente, la responsabilità del cambiamento, così come la decisione di cambiare, è solo e soltanto del paziente.
Il processo psicoterapeutico è tutt’altro che semplice: richiede uno sforzo continuativo e, soprattutto, la capacità di analizzare il proprio essere a fondo, affrontando anche ciò che può risultare difficile e doloroso. In questo, molto utile è la voglia che l’individuo ha di cambiare e quanto è davvero disposto al cambiamento.
Non abbiate paura del cambiamento
Non abbiate paura. Il cambiamento, di per sé, può essere terrificante, ma lo diventa ancor di più se siete voi a dargli questo potere.
Ricordate che la psicoterapia aiuta, non è un qualcosa che va bene per i “pazzi”: non esistono pazzi e chiunque può fruirne.
L’importante è che voi siate consapevoli di quello che volete raggiungere: solo così non vi farete scoraggiare dalle difficoltà❗️
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