#natura e mistero.
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La discesa infinita - Enrico Camanni: Un mistero per Nanni Settembrini tra le montagne e i segreti
Un noir avvincente che mescola indagine, natura e introspezione
Un noir avvincente che mescola indagine, natura e introspezione Recensione: La discesa infinita di Enrico Camanni è un romanzo che intreccia il mistero e l’amore per la montagna con maestria, dando vita a un giallo che esplora il lato più oscuro della natura umana e l’inesorabile bellezza delle Alpi. Il protagonista, Nanni Settembrini, è un alpinista e una guida di montagna, ma anche un uomo…
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Cosa si può imparare dalla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi del 26 luglio 2024?
Sono sempre stato riluttante a criticare l'Occidente "da fuori".
Credevo, e lo credo, che la maggioranza delle critiche all'Occidente, o all'Europa, provengano da criteri o valori di natura occidentale.
L'Occidente è cioè per sua natura autocritica, e messa in discussione.
Tuttavia, credo che negli ultimi dieci anni qualcosa in più sia accaduto.
Vedo la dissoluzione di una intera civiltà come neve al sole.
Vedo il dominio del brutto, dell'osceno, del cattivo gusto.
Vedo la tracotanza estetica del male.
E la vedo esprimersi senza pudore, senza vergogna, a cielo aperto, dinanzi a capi di stato - che non dicono nulla - a vescovi - che in pochi dicono qualcosa - a giornalisti - che dicono tutto per il potere.
In confronto alla presentazione di ieri, Hunger games sembra un'esibizione di misura e di umanità.
Una società che profana il bello, che educa all'osceno, non può che essere una civiltà di guerra, di nichilismo, di ingiustizia.
Una civiltà di odio.
Quanto odio c'era ieri sera?
Quanto odio si voleva diffondere ai miliardi di persone che guardavano quella "cerimonia".
Ci sarebbero molte domande da fare.
Se una civiltà crolla in così poco tempo, significa che aveva dei problemi strutturali.
E poi ci sarebbe da interrogare la storia e il destino della Francia.
Sul piano culturale, il loro continuo voler scandalizzare, essere originali, spararla grossa, decostruire e poi post-decostruire, ha fatto danni immensi, non tanto alla cultura tradizionalista ma al filone critico.
Lo ha sottratto dalla realtà.
Un continuo "Épater la bourgeoisie", che oramai non scandalizza se non gli ultimi, i poveri, i bambini.
Cosa è che oggi realmente scandalizza? Lucio Dalla scriveva che oggi è difficile essere normali.
A me non piace il termine normale. Diciamo che oggi scandalizza la potente realtà dell'umano, il suo mistero abissale e semplice, l'umiltà di un fiore, l'esistenza di una donna e di un uomo, la verità ferita della nostra anima.
Insomma, scandalizza la bellezza, che non è che lo sprigionarsi della verità. Ecco, questo realmente scandalizza il potere, non quella buffonata oscena.
Quella di ieri è una cerimonia reazionaria, un rito di difesa dello status quo.
L'anticonformismo delle oligarchie, questo è stato. Il vero anticonformismo siamo noi.
Ecco, verrà un tempo, in cui si stabiliranno nuovi criteri di giudizio, severissimi, in cui ci sarà un esercito della bellezza, totalmente non violento, ma che manifesterà civilmente contro episodi del genere.
Perché non c'è nulla di più antidemocratico che la bruttezza diffusa come strumento pedagogico. Non c'è niente di più antisociale, e antirepubblicano di quella "cosa" che abbiamo visto ieri.
Non è una questione di estetismo ma di difesa dei diritti dell'uomo e del cittadino.
Ma in quella patria se ne sono dimenticati, sommersi da un cumulo di pseudoprogressismo e laicismo instupidito.
Gabriele Guzzi
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La leggenda dell’albero della vita
Un bel giorno, un giovane ragazzo, mentre camminava, vide un albero, completamente isolato. Ripensò allora a ciò che aveva appreso lungo il suo cammino, ovvero che esisteva una connessione tra lui e il resto del mondo, e che per questo doveva essere in grado di comunicare anche con gli alberi.
Decise allora di rivolgersi proprio a quell’albero che se ne stava solitario su quel campo. Gli si avvicinò, e cominciò a parlargli, chiedendogli il permesso di avvicinarsi ancor di più, per condividere con lui il proprio campo di energia.
L’albero acconsentì con gioia. “Sono venuto a condividere le mie esperienze con te”, gli disse. “Vuoi vedere quello che ho visto nella mia vita?” “Certo, sono felice di questo dono.”
Il corpo del ragazzo si avvicinò e abbracciò l’albero. Non appena a suo agio, il ragazzo iniziò a portare alla sua mente tutte le immagini più amate nella sua vita. Il mare e le onde, le montagne e la neve, gli estesi campi che attraversano i paesi, le grandi città affollate da persone che corrono frettolose verso nessun luogo, gli animali liberi e quelli in cattività, i libri, la televisione. Il giovane mostrò all’albero i suoi percorsi di vita ed esperienze, accompagnate da intensi sentimenti, come amore, odio, paura, speranza, amicizia, condivisione e solitudine.
Improvvisamente il ragazzo si sentì in colpa: stava mostrando all’albero tutto ciò che è in grado di muoversi, di poter vedere altri paesaggi, altre parti del pianeta, mentre invece l’albero non poteva spostarsi da quel punto della terra, costretto a rimanere nel mezzo di un campo vuoto.
“Oh, mi dispiace albero, non volevo renderti triste!” “Triste? Oh, piccolo uomo, l’unico modo che ho di sperimentare la tristezza è attraverso i vostri sentimenti. Tutto ciò che hai condiviso con me, quello che hai visto e sentito con il cuore, non era affatto nuovo per me. Le mie radici sono nella terra e i miei rami nel cielo, il mondo non è un mistero, né lo sono i suoi mari e monti, le sue valli e i suoi cieli.
Le persone hanno pensieri e pensano molto. E grazie a questi pensieri, noi riusciamo a sentire. Noi sentiamo tutto ciò che viene da un uomo o un animale, da un vegetale o dal cielo. Piccolo uomo, tu hai bisogno di viaggiare per vedere il mondo, noi abbiamo bisogno di toccare solo la brezza. Quello che non si vede, in realtà esiste Tutto ciò che esiste, esiste ovunque. Non abbiamo bisogno di andare da nessuna parte per essere ovunque. Noi alberi siamo benedetti. Vai in pace giovane uomo e vieni da noi, se ti senti solo di nuovo”.
Il ragazzo, in soggezione, si scostò di qualche metro dall’albero. Quello che avrebbe dovuto rattristare l’albero in verità aveva reso triste lui. Quello che non conosceva prima, il bisogno di poter credere, la necessità di toccare, annusare, parlare, sentire … improvvisamente si rese conto che tutto quello che pensava di aver raggiunto, di fatto già esisteva nella natura di tutte le cose. Essere connessi non è un obiettivo da raggiungere, è sufficiente ricordare la natura di ognuno. L’albero della vita è uno dei simboli cabalistici più antichi ed importanti.
L’albero stabilisce la comunicazione fra i tre livelli dell’universo: la terra, tramite le sueradici; la superficie, tramite il tronco, ed il cielo, attraverso i propri rami. L’albero è quindi l’epicentro del mondo, che stabilisce la relazione tra terra e cielo. L’albero della vita sorge da un insieme che simboleggia la madre terra, dalla quale nasce la vita
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Dov'è andata tutta l'acqua che c'è nel cielo? Ce n'è così tanta che potrebbe annaffiare tutta la terra e invece qui se n'è fuita su Urano, forse s'è messa a cadere all'incontrario, da sotto all'insù, come in un film di Christopher Nolan. C'è posti che si muore annegati e altri che si muore seccati. Ci era rimasto un solo lupino, è morto anche quello, resistono le begonie che sono cammelli, le belle di notte che non si sa come campano, forse degli avanzi dei gatti. La natura per me rimane un mistero: pianti delle cose e ti muoiono, non le pianti e ti entrano in casa. Sai che ti dico? Fate un po' come vi pare, io non annaffio più un cazzo.
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Una delle più note leggende greche ci rivela la più oscura natura dell’amore, e lo fa tramite il racconto di una fanciulla di nome Psiche, talmente bella da far ingelosire Venere stessa, che ordinò a suo figlio Cupido, il dio dell’amore, di scoccare una delle sue frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.
Cupido però sbagliò mira e si colpì un piede, avvampando subito d’amore per la bella Psiche. Per non incorrere nelle ire della madre, non gli restò che incontrarla in segreto, al buio, senza che lei potesse riconoscerlo.
La fanciulla però cominciò a essere curiosa e avrebbe voluto vedere in volto il suo amante, quindi, una notte, mentre Cupido le dormiva accanto, accese una lampada, scorgendo i lineamenti perfetti di Amore in persona. Sussultò per l’emozione e una goccia d’olio schizzò via, colpendo il dio e scottandolo. Svegliatosi e compreso che Psiche aveva trasgredito al divieto, Cupido dovette andarsene.
Psiche però non si diede per vinta, e affrontò le dure prove a cui Venere la sottopose, suddividendo una gran quantità di semi in una singola notte, portando alla dea il mitico Vello d'Oro e recuperando persino in uno scrigno un frammento della bellezza della dea infera Proserpina, dopo una lunga e complessa discesa nell'oltretomba.
Infine, stanca e afflitta, decise di aprire lo scrigno per recuperare un poco della bellezza che aveva perduto affrontando tutte quelle ardue imprese, ma nello scrigno non vi era ciò che si aspettava, bensì il terribile sonno dello Stige.
Psiche cadde in un sonno profondo, e non si sarebbe più ridestata, se solo Cupido non avesse avuto pietà di lei. Colpito dalle prove che aveva affrontato pur di ritrovarlo, comprese che il suo amore era sincero e le offrì dell'ambrosia, il nettare degli dèi, rendendola immortale.
I greci sono famosi per la loro capacità di trasporre il pensiero sotto forma di immagini, infatti questo mito ha un significato molto profondo: l’amore è un sentimento ammantato di mistero, e colui che cerca di analizzarlo e imbrigliarlo entro i lacci della razionalità, finirà solo con il farlo volare via.
Alla favola si è ispirato Antonio Canova nella creazione del gruppo scultoreo"Amore e Psiche
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Storia Di Musica #309 - Led Zeppelin, Led Zeppelin, 1969
Come iniziare un nuovo anno di storie musicali? Si inizia con la scelta di 4 dischi che portano lo stesso nome dei loro autori, 4 band molto differenti tra loro, alcune famosissime, altre molto di meno (la scoperta di grandi dischi da artisti sconosciuti vorrei fosse una sorta di cardine di tutte le scelte del 2024). La Storia di Musica della prima domenica di gennaio 2024 parte con un modo di dire inglese: Go over like a lead ballon, che significa “è fallito del tutto” perché un lead ballon è un palloncino di piombo che ovviamente non può volare. Leggenda vuole che fu questo detto ad ispirare Keith Moon e John Entwistle, che suggerirono a Jimmy Page il nome per quella che diventerà una delle più formidabili formazioni di sempre: i Led Zeppelin. La storia è piuttosto nota: Page entra nel 1966 negli Yardbirds (già di Eric Clapton) come seconda chitarra di Jeff Beck. La band era già allo sfascio, e Page aveva intenzione di formare una nuova band con Moon ed Entewinstle. I tre con Jeff Beck registrano la storica Beck’s Bolero, registrata nel Maggio del 1966 ma pubblicata come singolo solo mesi più tardi, nel Marzo del 1967, brano fenomenale ma dalla storia travagliatissima, tra cui una intricata questione di diritti d’autore. Page, titolare del nome Yardbirds, prende accordi come leader degli Yardbirds per un mini tour in Scandinavia, ma nessuno dei suoi compagni accetta. Ne trova di altri: convince un session man mago delle tastiere, John Paul Jones, nel progetto, e tramite l’ex cantante degli Yardbirds Chris Dreja (che nel frattempo si è dato alla fotografia) assolda un biondo cantante, Robert Plant, che si porta con sé un batterista un po’ pazzo, John Bonham. È il 1968. Nascono così i Led Zeppelin (scritto così per non confondere il lead “piombo” con il lead “guidare”).
Senza nemmeno un po’ di gavetta registrano in 36 ore, sotto la guida del grande ingegnere del suono e produttore Glys Johns per poco più di 1700 sterline il loro primo, omonimo album per la Atlantic Records (fa più impressione il dato temporale che quello economico, 1700 sterline del 1968 sono 35 mila di adesso). E bastano: Led Zeppelin esce il 12 gennaio 1969 e diviene uno dei 10 album di debutto più belli ed importanti della musica rock. Venderà decine di milioni di dischi e manda in orbita, forse quasi troppo velocemente, il dirigibile più famoso del rock. In copertina mettono l’incidente del dirigibile Zeppelin LZ 129 Hindenburg avvenuto il 6 maggio 1937 nel New Jersey (vicenda leggendaria, su cui aleggia un complotto internazionale e non l’ufficiale incidente aereo). I 4 partono dal furente suono del british blues, ma arrivano dove nessuno si era mai spinto: rifanno due classici del blues, I Can’t Quit You Baby (eccezionale, caldissima e stupenda) e You Shook Me di Willie Dixon, e prendono da Jack Holmes Dazed And Confused (che nei live diverrà infinita con medley di altri classici della Musica del Delta). Per capire il suono Zeppelin e la sua travolgente natura, basta capire come strutturano il suono di una canzone tutto sommato banale come Good Times Bad Times. Your Time Is Gonna Come è quasi corale, come la veloce How Many More Times. Black Mountain Side è uno strumentale acustico in cui Page rincorre la maestria del fingerpicking di Bert Jansch, allora in auge con i superbi Pentagle. Communication Breakdown diviene un altro classico, con il suo stile particolare: parte blues, poi sale con l’intensità della voce di Plant e diviene furiosa ed accesa, e per molti è la nascita dell’hard rock. Gemma dell’album è però Babe I’m Gonna Leave You: presa da Joan Baez, in realtà la canzone, accreditata come traditional, è dalla folksinger inglese Anne Bredon (che fu ricompensata con un cospicuo assegno dalla band una volta risolto il mistero). Plant canta babe come mai nessuno più farà, la canzone ha un intro acustico ma poi esplode nel nuovo suono elettrico e potente, diviene struggente, torbida, assolutamente memorabile.
Questo fu il primo episodio di un modo di “gestire” le ispirazioni da altre canzoni che fece scuola, e si potrebbe aprire un dibattito infinito sulla loro musica. Per alcuni (pochini, va sottolineato) il loro rock blues portato all'estremo, con la chitarra rivoluzionaria di Page (che influenzerà 3 generazioni di chitarristi), il bombardamento ritmico di Bohnam (davvero feroce), l’elegante e mai invasivo tessuto sonoro di Jones (che suona basso e tastiere) e la voce, straordinaria e incantatrice di Plant, non è niente di così innovativo. Per altri (la stragrande maggioranza degli appassionati) il loro suono, le idee, la maestria tecnica dei musicisti e l’alone leggendario che la band riesce a costruire su di sé, li pongono ai vertici assoluti della storia del rock, ne fanno i padri putativi dell’Hard Rock (con i coevi Deep Purple), e la loro genialità è dimostrata dalle future evoluzioni stilistiche e musicali. È innegabile però che per farlo saccheggiarono un po’ dovunque, dal blues del Delta a quello urbano di Chicago, spesso non accreditandolo sui dischi, con picchi assoluti di sorrisetti ironici (tipo il caso di Stairway To Heaven per l’intro uguale ad una canzone degli Spirit, Taurus, caso che finirà addirittura in tribunale con la vittoria di Page e Plant, sebbene lo stesso tribunale ne riconosce le somiglianze). All’epoca era prassi comune raccogliere i semi del blues e riadattarli nel suono, un po’ per convenienze e un po’ perché non esistevano le normative precise e puntuali che esistono oggi sui diritti d’autore (molti altri, tra cui i Rolling Stones, furono protagonisti di episodi analoghi). Il successo dei Led Zeppelin amplificò la questione: il problema fu molte volte la paternità delle musiche, spesso passate come traditional (vedi il caso della canzone della Bredon) e quindi non riconducibili ad un artista detentore dei diritti. In tutti i casi di presunta usurpazione di diritti altrui, hanno sempre pagato i richiedenti ufficiali. Quelli che li accusano di scarsa inventiva, sinceramente non li hanno mai ascoltati: nessuno prima di loro suonava così, probabilmente sono tra le band più imitate in assoluto, saranno centinaia quelli che dopo vorranno suonare come loro. E rivoluzionarono anche altri aspetti del mondo del rock: l'andare in tour, i rapporti con le case discografiche, con i promoter, persino con le radio: ruolo centrale lo ebbe in ciò il loro manager Peter Grant, un gigante di stazza e di potere, passato alla storia anche per i modi tutt'altro che amichevoli con cui convinceva i gestori dei locali o chiunque potesse danneggiare il gruppo a farla finita. Un’ultima curiosità: con il crescente successo, una discendente dei Von Zeppelin citò la band per uso improprio del nome, e per un unico, storico concerto a Copenaghen la band si presentò come The Nobs. Poi però tornarono ad essere quel dirigibile di piombo che volava altissimo.
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Mi sono trovata volentieri e con piacere nella
natura di ogni cosa: altre persone, alberi,
nuvole. E questo è ciò che ho imparato,
che l'alterità del mondo è l'antidoto alla
confusione - che stare all'interno di questa
alterità - la bellezza e il mistero del mondo,
nei campi o nelle profondità dei libri - può
nobilitare il cuore più ferito.
Mary Oliver, da Sopravvivere
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PERCHÉ NON CREDO IN DIO
di Carlo Rovelli:
“Diverse persone mi hanno chiesto perché dico che non credo in Dio. Ecco la mia risposta.
A me non piacciono quelli che si comportano bene per paura di finire all’inferno. Preferisco quelli che si comportano bene perché amano comportarsi bene.
Non mi piacciono quelli che sono buoni per piacere a Dio. Preferisco quelli che sono buoni perché sono buoni.
Non mi piace rispettare i miei simili perché sono figli di Dio. Mi piace rispettarli perché sono esseri che sentono e che soffrono.
Non mi piace chi si dedica al prossimo e coltiva la giustizia pensando in questo modo di piacere a Dio. Mi piace chi si dedica al prossimo perché sente amore e compassione per le persone.
A me non piace sentirmi in comunione con un gruppo di persone stando zitto dentro una chiesa ascoltando una funzione. Mi piace sentirmi in comunione con un gruppo di persone guardando i miei amici negli occhi, parlando con loro, e guardando il loro sorriso.
Non mi piace emozionarmi davanti alla natura perché Dio l’ha creata così bella. Mi piace emozionarmi perché è così bella.
Non mi piace consolarmi della morte pensando che Dio mi accoglierà. Mi piace guardare in faccia la limitatezza della nostra vita e imparare a sorridere con affetto a sorella morte.
Non mi piace chiudermi nel silenzio e pregare Dio. Mi piace chiudermi nel silenzio e ascoltare le profondità infinite del silenzio.
Non mi piace ringraziare Dio: mi piace svegliarmi al mattino, guardare il mare e ringraziare il vento, le onde, il cielo e il profumo delle piante, la vita che mi fa vivere, e il sole che si alza.
A me non piacciono quelli che mi spiegano che il mondo l’ha creato Dio, perché penso che non lo sappia nessuno di noi da dove viene il mondo; penso che chi dice di saperlo si illude; preferisco guardare in faccia il mistero, sentirne l’emozione tremenda, piuttosto che cercare di spegnerla con delle favole.
A me non piacciono coloro che credono in Dio e così sanno dove sta la Verità, perché penso che in realtà siano ignoranti quanto me. Penso che il mondo è per noi ancora uno sterminato mistero. A me non piacciono quelli che conoscono le risposte. Mi piacciono di più quelli che le risposte le cercano, e dicono «non so».
Non mi piace chi dice di sapere cosa è bene e cosa è male, perché sta in una chiesa che ha il monopolio di Dio, e non vede quante diverse chiese esistono al mondo. Quante morali diverse, e ciascuna sincera, esistono al mondo.
Non mi piace chi dice a tutti cosa tutti devono fare, perché si sente forte grazie al suo Dio. Mi piace chi mi dà suggerimenti sommessi, chi vive in un modo che mi stupisce e ammiro, chi fa scelte che mi emozionano e mi fanno pensare.
Mi piace parlare agli amici, provare a consolarli se soffrono. Mi piace parlare alle piante, dare loro da bere se hanno sete. Mi piace amare. Mi piace guardare il cielo in silenzio. Mi piacciono le stelle. Mi piacciono infinitamente le stelle.
Non mi piace chi si rifugia nelle braccia di una religione quando è sperso, quando soffre; preferisco chi accetta il vento della vita, e sa che gli uccelli dell’aria hanno il loro nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il suo capo.
E siccome vorrei essere simile alle persone che mi piacciono, e non a quelli che non mi piacciono, non credo in Dio.”
Carlo Rovelli,
fisico e saggista
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l'Eterno e il Tempo
Uno sguardo sul futuro non può prescindere da una riflessione sul tempo. Nella Grecia antica, ad esempio, ci sono tre figure che rappresentano il tempo:
una è Aion, l’eone, il tempo eterno;
l’altra è Chronos, il tempo che scorre, misurato, che divora l’esistenza.
e poi c’è il Kairos, l’opportunità.
Aiòn, "tempo" in greco antico connesso etimologicamente con l’avverbio aèi "sempre”. Un tempo inteso come eternità, come "sempre essente", distinto dal tempo "chrònos" e dal tempo "kairòs".
Rappresentato nelle fonti antiche, letterarie e iconografiche, come un fanciullo o un ragazzo, con il cerchio dello zodiaco (o un serpente) avvolto intorno al corpo. Eraclito scrive: "Aiòn è un bambino che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bambino è il regno del mondo". Con Aiòn si allude alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. Si tratta di una distinzione in parte assimilabile a quella introdotta da Henri Bergson tra tempo della fisica, quantitativo e calcolabile, e durata, dimensione della coscienza irriducibile a qualsiasi logica sommativa e lineare.
Chrònos "tempo" in greco antico inteso come successione di istanti, di ore, di giorni, tempo che rovina e distrugge.
Già nelle fonti letterarie e iconografiche ellenistiche gli attributi mortiferi e distruttivi del tempo-chronos, vengono confusi con gli attributi del dio Kronos, che nel mito divora i suoi figli, ma viene poi ingannato ed evirato dal figlio Zeus. In particolare l’attributo del falcetto, strumento della mietitura e metafora della ciclica rinascita delle messi, passa dalla divinità sincretica Saturno-Kronos al Tempo-Chronos, la cui iconografia andrà sempre più identificandosi con quella della Morte. Kaìros in greco significa "momento opportuno". Questa parola si riferisce al tempo e in special modo intende al "momento fra", cioè quel determinato periodo di tempo in cui interverrà qualcosa che cambierà lo stato attuale delle cose. Si può tradurre come momento propizio, opportunità.
Da notare che su una delle colonne di Delfi, i sette sapienti avevano fatto incidere la massima “kairòn gnôthi" riconosci il momento giusto. Kairos, l’Opportunità, viene interpretato come un fanciullo alato con i capelli lunghi caduti sulle spalle davanti, ma calvo dietro, come a dire che quando il momento favorevole è passato, esso non può essere preso all’ultimo istante per i capelli. Che ora è? Che anno è? L’orologio e il calendario indicano un tempo che ci domina. Egli è Chronos, che ci dà una cifra convenzionale, senza comunicazione con le leggi della natura.
Ma se ci chiediamo: -Che cosa avviene?- ci interroghiamo e scopriamo se è " il tempo opportuno " dei rapporti continui, seppure inavvertiti dalla maggioranza degli uomini, che intercorrono tra il microcosmo e il macrocosmo. Kairos è un tempo rivelatore, ci svela il senso, l’importanza dell’ora che volge, ci suggerisce il mistero della reazione a catena che collega le cause agli effetti, il prima al dopo, che immette l’uomo nel cosmo ed il cosmo nell’uomo, ci rende consapevoli del fatto che tutto è interconnesso. Nel tempo di Kaìros occorre essere aperti per poter cogliere un momento di rottura che precipita la possibilità di mettere in atto ciò che si è preparato. Sta a noi lavorare per cogliere quell'attimo. Carpe diem, direbbe Orazio. Lo stesso fa la cuoca, se sa cogliere l'attimo in cui i suoi piatti, nel forno, son cotti a puntino; lo stesso fa chi governa una barca, se vira al momento opportuno e nel senso giusto e alza o ammaina le vele, lo stesso il pilota che deve sapere quali comandi e in che momento usarli per decollare sollevarsi accelerare, atterrare; l'atleta, se a tempo debito e con la dovuta forza lancia il disco, scocca la freccia, incalza o molla l'avversario, lo stesso il medico, se dosa il farmaco e il punto e la profondità dell'incisione che va praticando.
E il politico che deve conoscere quali provvedimenti faranno il bene del Paese in quel momento storico- economico; l’insegnante che sa quali saperi al momento opportuno e quali competenze sviluppare nel discente con una progettazione adeguata e misurata sull’allievo. Non per caso la più bella immagine di Kairòs, l'istante topico, l'occasione, o l'attimo fortunato, trovata a Traù, nell'attuale Croazia, era forse posta all'ingresso d'uno stadio. Il bassorilievo raffigura un giovane con le ali ai piedi, recante in mano una bilancia posta in equilibrio su un rasoio e, soprattutto, con un gran ciuffo di capelli sulla fronte, ma la nuca rasata. Se sarà passato oltre non sarà più possibile afferrarlo. Sta a noi prevenirne i movimenti e la fuga, sta a noi, in una serie di attimi, scovare, cogliere, afferrare quell'unico frammento di tempo in cui saremo a tempo perfetto con l'armonia cosmica. Comprendere, agire ed operare bene, godere, essere felici: sforzarci e faticare per tutto questo e poi, con semplicità e facilità inattese, riuscire ed uscire dal tempo, dall'indifferenza infinita e divorante di Chrònos, guadagnare, sia pur solo per quell'attimo, il tempo adatto a noi, nella perfezione di ciò che la nostra natura poteva compiere e che di fatto ha saputo compiere.
Così Rainer Maria Rilke dice dell Kairòs greco antico: “E a un tratto, in questo faticoso nessun dove, a un tratto, / l'indicibile punto, dove quel ch'era sempre troppo poco, / inconcepibilmente si trasmuta, salta / in un troppo, vuoto. Dove il conto a tante poste / si chiude senza numeri”.
Dentro un Chrònos infinito e inesorabile, un Kairòs unico, capace dunque, se colto opportunamente, di renderci, per quell'attimo e per sempre, eterni.
-C. D'Eramo
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Scritto da una pensatrice e parlamentare tedesca.
E HO DOVUTO ACCETTARE...
Che non so nulla
Del Tempo…
Che è un mistero
Per me
E che non comprendo
L'Eternità.
Ho dovuto accettare,
Che il mio corpo
Non sarebbe stato immortale,
Che sarebbe invecchiato
E un giorno si sarebbe consumato.
Che siamo fatti di,
Ricordi e oblii;
Desideri, Memorie,
Residui, rumori,
Sussurri, silenzi,
Giorni e notti,
Piccole storie
E sottili dettagli.
Ho dovuto accettare che,
Tutto è passeggero
Transitorio.
E ho dovuto accettare,
Che sono venuto al mondo
Per fare qualcosa per esso,
Per cercare di dare
Il meglio di me
Per lasciare
Tracce positive
Dei miei passi
Prima di partire.
Ho dovuto accettare,
Che i miei genitori
Non sarebbero durati per sempre
E che i miei figli,
Poco a poco,
Avrebbero scelto la loro strada e
L'avrebbero seguita
Senza di me.
E ho dovuto accettare,
Che non mi appartenevano,
Come supponevo, e che
La libertà di andare e venire
È anche
Un loro diritto.
Ho dovuto accettare,
Che tutti i miei beni
Mi sono stati
Affidati in prestito,
Che non mi appartenevano
E che erano fugaci
Quanto fugace era
La mia stessa esistenza
Sulla Terra.
E ho dovuto accettare che,
I beni sarebbero rimasti
Per l'uso di
Altre persone
Quando io,
Non sarò più qui.
Ho dovuto accettare,
Che spazzare il mio marciapiede
Ogni giorno
Non mi garantiva
Che fosse
Proprietà mia
E che spazzarlo
Con tanta costanza
Era solo un'illusione
Futile di possederlo.
Ho dovuto accettare,
Che ciò che chiamavo
“La mia casa” era solo
Un tetto temporaneo
Che un giorno, più o meno,
Sarebbe stato il rifugio terrestre
Di un'altra famiglia.
E ho dovuto accettare che,
Il mio attaccamento alle cose,
Avrebbe solo reso più doloroso
Il mio addio
E la mia partenza.
Ho dovuto accettare,
Che gli animali
Che amo e
Gli alberi che ho piantato,
I miei fiori e i miei uccelli
Erano mortali.
Essi,
Non mi appartenevano
È stato difficile, ma
Ho dovuto accettarlo.
Ho dovuto accettare,
Le mie fragilità,
Le mie limitazioni e
La mia condizione
Di essere mortale,
Di essere effimero.
Ho dovuto accettare,
Che la vita
Sarebbe continuata senza di me
E che,
Dopo un po' di tempo,
Mi avrebbero dimenticato.
Umilmente confesso,
Che ho dovuto combattere
Molte battaglie
Per accettarlo.
E ho dovuto accettare che,
Non so nulla del Tempo,
Che è
Un mistero per me.
Che non comprendo,
L'Eternità e che
Non sappiamo nulla
Su di essa.
Tante,
Parole scritte,
Tanto bisogno di
Spiegare,
Capire e
Comprendere questo
Mondo e la vita
Che viviamo in esso!
Ma,
Mi sono arreso e
Ho accettato ciò che dovevo
Accettare,
E così ho smesso di soffrire.
Ho scartato,
Il mio orgoglio e
La mia arroganza,
E ho ammesso che
La Natura
Tratta tutti
Allo stesso modo,
Senza favoritismi.
Ho dovuto,
Disarmarmi
E aprire le braccia
Per riconoscere
La vita com'è.
Riconoscere che,
Tutto è transitorio
E che funziona
Mentre siamo
Qui sulla Terra.
Questo mi ha fatto
Riflettere
E accettare,
E così raggiungere
La pace tanto desiderata!
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Ghiaccio e Argento: Un viaggio nelle ombre del nord nel romanzo di Stina Jackson. Recensione di Alessandria today
Un thriller che attraversa paesaggi freddi e misteriosi, alla ricerca della verità nascosta nella natura selvaggia svedese
Un thriller che attraversa paesaggi freddi e misteriosi, alla ricerca della verità nascosta nella natura selvaggia svedese. Ghiaccio e Argento di Stina Jackson è un thriller avvincente che trasporta il lettore nei paesaggi freddi e desolati del nord della Svezia, dove il silenzio della neve e l’oscurità dell’inverno amplificano l’intensità della trama. La storia si concentra su Liv, una giovane…
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C'è qualcosa nell'arte, come nella natura del resto
Che ci rassicura, e qualcosa che invece, ci tormenta, ci turba
Due sentimenti eterni in perenne lotta
La ricerca dell'ordine e il fascino del caos
Dentro questa lotta abita l'uomo, e ci siamo noi, tutti
Ordine e disordine
Cerchiamo regole, forme, canoni, ma non cogliamo mai il reale funzionamento del mondo
È per gli uomini un eterno mistero
L'incapacità di risolvere questo mistero ci terrorizza
Ci costringe a oscillare tra la ricerca di un'armonia impossibile
E l'abbandono al caos
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In questa Notte delle Streghe confesso apertamente di essere una di Loro. Non sono Strega da quando sono venuta al Mondo ma da molto più tempo. Dai tempi dei tempi quando erano considerate vere e proprie minacce e per questo venivano messe al rogo. Anch’io sono stata messa al rogo e uso questa Vita per trovare il Mio sacrosanto diritto di riscatto.
Sono una Strega che sta ancora imparando i trucchi del mestiere per resistere alle intemperie di quest’Esistenza di certo non facile, data la complessità che la rappresenta, affinando le proprie armi come la sensitività per tenere testa al Mistero che l’avvolge.
Sentire tutto e prima di tutti è una condanna, insieme alla sensibilità che mai abbandona. Eppure alle volte è capace di donare gioie inaspettate capaci di farmi rinascere. Sono poteri forti per i quali bisogna fare molta attenzione, perché se lasciati andare possono recare danni imponenti a Me Stessa e non solo. A causa di questa condizione, non è facile farmi accettare dagli altri. Nonostante la modernità dell’epoca moderna nella quale si vive, le poche Streghe rimaste come Me fanno tantissima fatica a farsi comprendere.
Mi chiamano strana ed Io ne vado fiera! Ad alcuni poi dò veramente un sacco di fastidio, forse a causa dell’invidia che involontariamente innesco per questo Mio modo d’essere unico e quindi diverso, fatto sta che alle volte purtroppo finisco per sentirmi piuttosto perseguitata. Sto pagando a caro prezzo colpe che non ho giacché addossate da altri. Mi è stato fatto moltissimo male per il quale sto pagando ancora il conto insomma. Ho fatto un mucchio di errori certo, non li rinnego e di questi me ne assumo le responsabilità.
Fortuna che non sono sola, posso contare infatti sulla forza straordinaria di Madre Natura e dell’Amata Luna, da sempre la Mia alleata più importante insieme alla Notte. E poi con Me vi è anche Il Prezioso Fedele Corvo, che è come un Fratello, condividendo qualsiasi sacrilegio.
Tutto quello che chiedo è un buon antidoto di tranquillità unita a qualche buona dose di conquista che credo di meritarmi, per lo scotto che sto continuando tutt’ora a pagare solo e soltanto per essere la Strega che sono.
@elenascrive
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Questa immagine mostra un fenomeno che può sembrare quasi magico: un’infiorescenza che assomiglia a piccoli volti con espressioni stupite e occhioni grandi, come minuscoli “spiriti della natura” che sbocciano tra le foglie. Anche se il loro aspetto ricorda piccole creature animate, in realtà potrebbe trattarsi di una specie vegetale o una curiosa illusione creata dalla natura stessa, che spesso gioca con le forme e i colori per stupire l’occhio umano.
“Gli Spiriti del Bosco - Piccoli Fiori di Meraviglia”
🌿✨ La natura è davvero meravigliosa! Chi non è mai rimasto affascinato dai misteri che nasconde il mondo naturale? A volte, in un angolo remoto di una foresta, tra le felci ombrose e i raggi di sole che filtrano tra gli alberi, capita di imbattersi in visioni che sembrano provenire da una favola. È il caso di questi piccoli “spiriti” vegetali, con le loro sembianze curiose e i dettagli quasi umani, come se fossero i guardiani silenziosi dei segreti della natura.
Un Fiore che Diventa un Racconto
Questi piccoli fiori, con le loro “espressioni” singolari, sembrano usciti da un racconto incantato. Le loro forme sembrano plasmate dalle mani di un artista invisibile, con dettagli che ricordano occhi e bocche spalancate in un’espressione di pura meraviglia. Ci si potrebbe chiedere: è solo una coincidenza o la natura ha voluto lasciarci un messaggio? Di certo, osservare da vicino queste forme viventi ci riporta a una dimensione in cui ogni pianta e ogni fiore custodiscono un mistero da scoprire.
Curiosità Botaniche: Natura e Fantasia
Anche se questi “spiriti” del bosco potrebbero non essere creature magiche nel vero senso della parola, il loro aspetto ci spinge a riflettere sul potere della natura di creare forme che risvegliano la nostra immaginazione. Molte piante sviluppano forme insolite, sia per adattamento che per attrarre specifici insetti impollinatori. Ma ci sono anche quelle che, per una fortunata coincidenza, assumono sembianze che risvegliano la fantasia umana, come queste piccole “creature” che sembrano vive e animate.
Un Inno alla Biodiversità
Questi fiori speciali ci ricordano quanto sia importante preservare gli ecosistemi naturali e la biodiversità. Ogni specie vegetale, per quanto piccola e sconosciuta, può nascondere un mondo di meraviglie. Lasciare intatti i luoghi selvaggi, dove queste meraviglie possono prosperare, significa garantire che le generazioni future possano continuare a stupirsi davanti alla bellezza infinita del regno vegetale.
La Magia del Bosco nei Nostri Giardini
Per chi desidera portare un po’ di questa magia nei propri spazi verdi, potrebbe pensare a creare un angolo del giardino ispirato al sottobosco, con piante e fiori dall’aspetto curioso. La scelta di specie che evocano forme e colori insoliti può trasformare il giardino in un luogo incantato, dove la fantasia prende vita ogni volta che si osserva una nuova fioritura.
🌸🌳 Conclusione: La natura è una vera e propria artista, capace di combinare forme e colori in modi che toccano il cuore e l’immaginazione. Osservare queste meraviglie ci invita a rispettare e proteggere il nostro pianeta, così da preservare intatta la magia di cui è capace. Non c’è bisogno di cercare molto lontano: la bellezza è lì, nei fiori che sbocciano, nei colori che esplodono in ogni stagione, e nei piccoli “spiriti” del bosco che sembrano far capolino dai fiori.
Il testo è Scritto per te da A.C con supporto AI 🌱la foto è della pagina National Geographic
Fonte fb "il piacere della scoperta"
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Nome: Luminectra Aquilis
Descrizione:
La Luminectra Aquilis è una creatura maestosa che abita le profondità inesplorate del pianeta Acquilis.
Questo essere, simile nella forma a una balenottera terrestre, sfoggia un corpo allungato e flessuoso che può raggiungere lunghezze impressionanti fino a 30 metri.
La sua pelle, di un blu profondo e ricoperta da sottili strisce argenteo-luminose, è tanto liscia quanto resistente, adattata per navigare con grazia attraverso le correnti acquee più tumultuose.
Una delle caratteristiche più affascinanti della Luminectra Aquilis è la sua capacità di rilasciare, tramite trasudazione, migliaia di minuscole particelle bioluminescenti quando si sente minacciata.
Questo spettacolo di luce, che varia nei toni del blu e del verde, non solo serve come meccanismo di difesa per disorientare i predatori, ma è anche uno spettacolo mozzafiato per qualsiasi osservatore fortunato.
Le particelle bioluminescenti, una volta rilasciate, rimangono sospese nell'acqua per diversi minuti, creando un'aura incantata attorno alla creatura.La dieta della Luminectra Aquilis è principalmente composta da piccoli organismi acquatici e plancton, che filtra attraverso le sue enormi fauci in un processo simile a quello delle balenottere del nostro pianeta.
Nonostante le sue dimensioni imponenti, questa creatura si muove con una grazia sorprendente, ondeggiando lentamente attraverso gli abissi scuri del suo mondo acquatico.Il comportamento sociale della Luminectra Aquilis rimane in gran parte un mistero, sebbene siano stati osservati gruppi, o "pod", che sembrano comunicare attraverso complessi modelli di bioluminescenza. Questa comunicazione luminosa, unita alla loro natura pacifica, fa della Luminectra Aquilis uno degli esseri più affascinanti e misteriosi del pianeta Acquilis.
Restate connessi 🚀
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Storia Di Musica #305 - Robert Johnson, King Of The Delta Blues Singers Vol.1, 1961
Riparto da quel tavolino della copertina di Bringing It All Back Home. Su quel tavolino c'è anche questo disco, che probabilmente non dirà moltissimo ai più, ma è uno dei dischi fondamentali della musica occidentale del '900, e sta lì per svariati motivi. Il re dei cantati del Blues del Delta (è quello del fiume Mississippi) è Robert Leroy Johnson, una delle figura più misteriose, carismatiche e leggendarie di tutte. Intorno alla sua figura, alla sua musica, alla sua vita breve e di cui si sa pochissimo c'è un alone quasi mistico e fu questo disco, una compilation delle sue maggiori registrazioni degli anni '30. Di Johnson si sa pochissimo: non è sicura la data di nascita del maggio 1911, nemmeno i genitori, la tesi più accreditata afferma che nacque una relazione extraconiugale della madre Julia Dodds con Noah Johnson, dopo che il marito di Julia, Charles Dodds Jr., l'aveva abbandonata per un'altra donna e la sua infanzia e adolescenza è avvolta in misteri e leggende, aiutati dal fatto che nel Mississippi di quei tempi i documenti per una famiglia nera non fossero la prima preoccupazione ad Hazlehurst della Contea di Copiah. Sta di fatto che all'inizio, aiutato da uno dei figli di Noah, impara a suonare l'armonica a bocca, e poi la chitarra, ma all'inizio è tutt'altro che appassionato allo strumento. Si sposa due volta, nel 1929 con Virginia Travis, che muore di parto l'anno successivo a 16 anni con la bimba neonata, e nel 1931 con Calletta Craft. Secondo la leggenda, da lui stesso raccontata e accresciuta, lascia la seconda moglie per seguire la sua passione per la musica e, nel vagabondare, all'incrocio più profondo e sperduto nelle terre del Delta, fa un patto con il Diavolo, a cui vende l'anima in cambio dell'arte di saper suonare la chitarra. Secondo molti che ne alimentano il mito, davvero d'un tratto Johnson ebbe un miglioramento colossale nel suonare, e secondo alcuni biografi, fu suo maestro un misterioso bluesman di nome Ike Zimmerman, altra figura avvolga nel mistero: Johnson sfruttò alla grande queste storie, a cui lui aggiunse una particolare vocazione nel suonare nei cimiteri, tra le tombe, nota al punto da venire additato quale emissario del demonio. Se il patto è vero, funzionò: Johnson, dopo aver registrato la sua musica in modi e tempi che vi dirò a breve, morì a 27 anni, nel'Agosto del 1938, primo nome di quel futuro Club dei 27, che comprende i grandi della musica morti a quell'età. Anche sulla morte ci sono numerose leggende, ma la tesi più accreditata è che fu avvelenato dal barman del locale dove lui, Sonny Boy Williamson II e David Honeyboy Edwards erano la resident band, nei pressi di Greenboro, contea di Jackson: Johnson divenne l'amante della moglie del proprietario, che lo avvelenò versando un veleno nella sua bottiglia di whisky. A rendere tutto ancora più iconico, nessuno sa dove sia sepolto, dato che nella contea di Jackson, dove fu scritto il certificato di morte, esistono tre tombe di Robert Johnson, e nessuno sa con certezza quale delle tre sia autentica.
Oltre il mito, Johnson fu rivoluzionario per tre motivi: il suo fingerpicking, divenuto iconico e all'epoca del tutto prorompente, il suo modo di cantare, che abbandonava i toni bassi per una voce squillante e lamentosa, che sprigionava tutta la dolorosa natura del blues, e il fatto che fu il primo che in pratica sviluppò i racconti musicali di quei periodi nelle strutture del blues. È certo che non scrisse mai propriamente una canzone, ma rielaborava al momento motivi conosciuti o inventati su cui improvvisava dei testi, i quali sprigionano una così forte carica evocativa e spirituale che non passarono inosservati. Inoltre molti dei suoi alimentavano le leggende oscure e diaboliche che lo riguardavano.
Johnson registrò solo 29 canzoni: per 13 di esse è stato possibile rinvenire anche le rispettive alternate take – all'epoca scartate in quanto giudicate meno brillanti delle versioni poi pubblicate su 78 giri – per un totale di 42 registrazioni complessivamente note. Tutte registrate tra il 1936 e il 1937, probabilmente a Dallas, ma anche su questo ci sono leggende infinite, e molti sostengono che le registrazioni che abbiamo siano velocizzate, fatto che conferirebbe il particolare tono acuto alla voce di Johnson.
Tutte le sue canzoni sono degli standard, e dopo che la Columbia iniziò, con il disco di oggi, The King Of The Delta Blues Singers Vol. 1 (che esce nel 1961, il Vol.2 uscirà nel 1970, quando era super conosciuto) a riproporle, diventeranno il trampolino di lancio per la rinascita del blues in tutto il mondo. Questo del 1961 fu il primo tentativo di riportare le registrazioni degli originali 78 giri, della etichetta Vocalion, al suono mono di un Lp. Le note di copertina dell'epoca erano del tutto inventate, nell'impossibilità di risalire all'epoca a notizie "certe" su Johnson, e furono del tutto riscritte negli anni '90 con la pubblicazione in CD. In scaletta, classici ripresi da centinaia di artisti: Cross Road Blues, 32-20 Blues (32.20 è il calibro delle munizioni Winchester), Ramblin' On My Mind per citare solo i più conosciuti, sono standard nel repertorio di migliaia di artisti, e sono stati i testi basi su cui gente del calibro di Eric Clapton, Jimmy Page, Jimi Hendrix, i Rolling Stones hanno sviluppato la loro sensazionale musica. E Bob Dylan? il disco è lì per due motivi: uno, piuttosto estetico, è che sebbene non ebbe all'inizio nessun successo commerciale, l'album divenne una sorta di distintivo su che musica si ascoltava, era per usare un termine di quegli anni decisamente hip. E poi c'è un motivo più profondo, e uso le parole dello stesso Dylan: Quando Johnson ha iniziato a cantare, sembrava un ragazzo che sarebbe potuto balzare dalla testa di Zeus in armatura completa. Ho subito differenziato tra lui e chiunque altro avessi mai sentito. Le canzoni non erano solite canzoni blues. Erano così fluide. All'inizio passavano veloci, anche troppo veloci per arrivarci. Sono saltati dappertutto per portata e argomento, brevi versi incisivi che hanno portato ad alcuni fuochi panoramici della storia dell'umanità che esplodevano sulla superficie di questo pezzo di plastica rotante (da Chronicles, Volume 1).
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