#narrativa sul cibo
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pier-carlo-universe · 17 days ago
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La ragazza di Montmartre di Aimie K. Runyan: Due epoche, una città e una storia di resilienza. Recensione di Alessandria today
La ragazza di Montmartre, scritto da Aimie K. Runyan, è un'opera avvincente che ci trasporta in una Parigi dai contrasti forti, divisa tra le tensioni della guerra del 1870 e le cicatrici lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale nel 1946.
Un romanzo che intreccia passione, coraggio e tradizione culinaria La ragazza di Montmartre, scritto da Aimie K. Runyan, è un’opera avvincente che ci trasporta in una Parigi dai contrasti forti, divisa tra le tensioni della guerra del 1870 e le cicatrici lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale nel 1946. Con un abile intreccio narrativo, l’autrice ci racconta le vite di due donne straordinarie,…
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multiverseofseries · 3 days ago
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Never Let Go: Halle Barry e un horror dalla prevedibilità disarmante
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I riverberi del lockdown come ispirazione per il nuovo film di Alexandre Aja: se il tono e la location funzionano, la lettura finale è fin troppo esplicita. Facendo perdere attenzione.
Le vibrazioni ci sarebbero pure, così come ci sarebbe l'atmosfera. Niente di nuovo all'orizzonte, sia chiaro, ma l'idea di una casa nel bosco, sperduta e impolverata, in fin dei conti funziona sempre. Dal canto suo, Never Let Go - A un passo dal male, diretto da Alexandre Aja, rispecchia totalmente la nuova onda di quegli horror che si miscelano al thriller, ibridando in essi un tocco survival, senza rinunciare al misticismo e all'allegoria.
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Haller Berry e un'inquietante presenza
Tant'è, che Never Let Go, in parte, sembra figlio di un'inflessione narrativa legata alle restrizioni da Covid, e di quanto le mura casalinghe siano spunto su cui riflettere e, perché no, organizzare un film dell'orrore. Del resto, lo script firmato da Kevin Coughlin e Ryan Grassby (poi prodotto da Shawn Levy) risale all'agosto del 2020, in piena pandemia. Va da sé che il parallelo tracciato è abbastanza palese, anche considerando la perplessità suscitata da uno script che, però, diventa fin troppo prevedibile nelle svolte e nelle operazioni, facendo perdere l'attenzione e, quindi, smarrendo le ottime infatuazioni originali.
Never Let Go, oppure #IoRestoACasa
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Halle Berry insieme a Percy Daggs IV e Anthony B. Jenkins
Perché parliamo di Covid, confinamento, e del restare in casa, costi quel che costi. Fuori, nel mondo di Nolan e Samuel (Percy Daggs IV e Anthony B. Jenkins), che vivono con la loro mamma (Halle Berry) il loro cagnolino Koda (tranquilli, la malsana idea di mamma di ucciderlo per farne del cibo è scongiurata), pare ci sia il Male. Un Male trasfigurato in presenze malefiche, viste però solo dalla mamma. Un evento non meglio specificato ha, infatti, scatenato una pestilenza apocalittica, facendo sì che il Male diventi in qualche modo infettivo. Reclusi in casa, in mezzo ad un bosco delle Smoky Mountain (da sempre luogo mistico e misterioso) possono uscire a procacciarsi cibo solo legati a lunghe corde, restando quindi connessi con l'abitazione. La "corda è l'ancora di salvezza", ricorda la donna ai suoi due figli, comunque sempre più spinti - soprattutto Nolan verso il mondo esterno.
Un horror dal finale troppo prevedibile
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Un momento di condivisione
Una lettura abbastanza chiara, quindi, e un parallelo marcato sul Male infettivo, e sulla casa che diventa tana in cui rifugiarsi (la sindrome delle tana, su cui ci sarebbe molto da riflettere). Tutti elementi accomunati ai concetti vissuti in epoca Covid, con il lockdown, le distanza, le regole da seguire, la paura di sfiorare qualcuno al di fuori del nucleo famigliare domestico. È lampante quindi che le inflessioni siano similari, e certo ispiranti e suggestive a quello che diventa un riverbero cinematografico. Tanto che il profilo della Mamma - non sappiamo il nome - risulta ambiguo, polivalente, arcano nella caratterizzazione che, almeno teoricamente, vorrebbe sembrare sfumata. Con una domanda che aleggia: dov'è la verità? E perché questo Male invisibile si palesa solo a lei, tanto da renderla spesso crudele verso i propri figli (in particolar modo verso Nolan, l'unico lucido in famiglia), costringendoli a mangiare insetti, rane e corteccia?
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I protagonisti di Never Let Go
Purtroppo, se Never Let Go - A un Passo dal Male subisce un'assenza di picchi, procedendo senza zenit, viene meno la tensione cercata, e viene meno calcolando la palese lettura che porta ad un finale ampiamente calcolato, leggibile fin da subito. Non ve lo rivelerò di certo, ma l'ispirazione generale, che proviene da una buona scenografia e dai toni oscuri, inizia a sfilacciarsi sul più bello: quando la vicenda entra nel vivo - scatenata dalla fame dei protagonisti -, il film di Alexandre Aja scivola via via verso la canonicità, senza lasciare traccia e anzi sperperando la cornice efficace e i presupposti migliori.
Conclusioni
Una fiaba nerissima dalle sfumature in stile Fratelli Grimm (con tanto di reference ad Hansel e Gretel) per Never Let Go, che si rifà a certe inflessioni conosciute con il Covid (lockdown, distanze, confinamento) per generare un'horror di sensazioni e di apparenza. Peccato che dietro la buona trovata ci sia un film che procede spedito verso un epilogo incredibilmente annunciato, e quindi intervallando e spezzando una tensione mai del tutto risolta.
👍🏻
La location.
Le suggestioni.
👎🏻
L'epilogo telefonato.
Le corde di Halle Berry, spesso non troppo adiacenti allo script.
Poca tensione.
L'horror è solo teorico, e molto sfumato.
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agrpress-blog · 1 year ago
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Nella Giornata del Gatto - istituita nel 1990 - ricordiamo lo scrittore e giornalista Paul Gallico, autore di numerosi libri e racconti felini, fra cui Thomasina: The Cat Who Thought She Was God, da cui fu tratto il film disneyano Le tre vite della gatta Tommasina (1963) di Don Chaffey. «Sono un romanziere marcio. Non sono neppure un letterato. A me piace raccontare storie e tutti i miei libri raccontano storie. Se fossi vissuto duemila anni addietro sarei andato in giro per le grotte e avrei detto: "Posso entrare? Ho fame. Vorrei un po' di cibo. In cambio, ti racconto una storia. C'era una volta, c'erano due scimmie...", e avrei raccontato loro la storia di due cavernicoli» (Paul Gallico, «New York Magazine») Nato a New York nel luglio 1897 da madre austriaca e padre pianista e compositore triestino (nel 1868, anno di nascita di suo padre, e poi ancora per altri decenni Trieste faceva parte dell’Impero Austro-ungarico), Paul William Gallico si laurea alla Columbia University nel 1919 e, nel corso degli anni Venti, diventa giornalista sportivo scrivendo numerosi articoli sul «New York Daily News». La sua carriera decolla dopo un’intervista al pugile Jack Dempsey. In breve diventa uno fra i giornalisti sportivi più pagati degli Stati Uniti e fonda i Golden Gloves, competizione amatoriale di pugilato. Il suo libro, Lou Gehrig: idolo delle folle (1941) verrà portato al cinema con il film sportivo L’idolo delle folle (1942) di Sam Wood, con Gary Cooper e Teresa Wright. Alla fine degli anni Trenta decide di abbandonare il giornalismo sportivo per dedicarsi alla narrativa, dapprima scrivendo un saggio proprio su tale decisione - Farewell to Sport, pubblicato in un’antologia di suoi scritti di sport con il titolo Addio allo sport (1938) - e diventa scrittore di racconti per riviste, molti fra i quali appaiono nel supplemento «The Saturday Evening Post». Il suo romanzo��The Snow Goose e altre opere, è costituito proprio dalle versioni ampliate dei suoi racconti pubblicati nel supplemento settimanale. Nel ’39 pubblica The Adventures of Hiram Holliday - diventerà noto anche per via della successiva versione televisiva -, che narra delle avventure di un americano - una sorta di moderno cavaliere errante - che visita un’Europa alle soglie della Seconda guerra mondiale e si lancia in una lotta “donchisciottesca” contro i nazisti di vari Paesi. Le origini austriache di P. Gallico appaiono chiaramente nel forte tema monarchico degli Asburgo che affiora nel libro. Nel ’41 pubblica il racconto The Snow Goose sul «The Saturday Evening Post» e vince l’O. Henry Award per racconti brevi. Il critico letterario Robert Van Gelder lo definirà come «la più sentimentale storia che mai abbia raggiunto la dignità di un Borzoi» (la prestigiosa collana dell’editore Knopf). Il suo racconto, The Man Who Hated People verrà da lui stesso rielaborato nel romanzo Love of Seven Dolls, che, a sua volta, verrà portato al cinema con Lili (1953) e, otto anni dopo, trasferito nel musical Carnival! (1961). Negli anni Cinquanta vive in Liechtenstein, dove scrive Ludmila, rielaborazione di una leggenda locale. Il suo libro Mrs. ‘Arris Goes to Paris (1958) avrà un buon successo e sarà il primo di quattro libri con protagonista la Signora ‘Arris. I diritti cinematografici vengono discussi già nel ’60, quando Gallico è residente a Salcombe - sulla costa meridionale del Devon - e, oltre trent’anni dopo, diventerà un film tv - In volo per un sogno (1992) - interpretato da Angela Lansbury, la quale, in quegli stessi anni, era nota al pubblico televisivo per il ruolo di Jessica Fletcher, la scrittrice di libri gialli della serie tv La signora in giallo (1984-97). Nel ’55, sponsorizzato dal «Reader’s Digest», fa un lunghissimo viaggio in auto in giro per gli Stati Uniti, guidando per oltre quindicimila chilometri. Durante il suo soggiorno a Salcombe, scrive una serie di racconti sul naufragio della MV Principessa Vittoria - il traghetto che collegava
Larne e Stranraer -, tragico incidente in cui morirono tutte le donne e i bambini che si trovavano a bordo. The Silent Miaow (1964) nasce con l’intenzione di essere una guida scritta da un gatto («tradotta dal felino») sul come ottenere, affascinare e dominare una famiglia umana. Illustrato con fotografie di Suzanne Szasz, il libro viene a tutt’oggi considerato un “classico” per gli amanti dei gatti. Fra gli altri libri di Paul Gallico sui gatti - argomento di cui era esperto - ricordiamo The Abandoned  - Jennie (1952) -, Honorable Cat (1972), libro di saggi e poesie sui gatti, e soprattutto Thomasina: The Cat Who Thought She Was God (1957), portato al cinema con il film Disney Le tre vite della gatta Tommasina (1963) di Don Chaffey, interpretato da Patrick McGoohan - il futuro protagonista della serie tv cult Il prigioniero (1968-69), Susan Hampshire, e i bambini Karen Dotrice e Matthew Garber, i quali, l’anno seguente, saranno Jane e Michael Banks in Mary Poppins (1964) di Robert Stevenson. Thomasina, all’inizio degli anni Novanta, diventerà molto popolare nella ex Unione Sovietica, ispirando il remake russo Bezumnaya Lori. Alla fine degli anni Sessanta Il libro L’avventura del Poseidon (1969), su alcuni passeggeri che per mettersi in salvo cercano di risalire un transatlantico rovesciato da una muraglia d’acqua, non otterrà gran successo. Al contrario il film omonimo, uscito tre anni dopo (1972), diretto da Ronald Neame ed interpretato da Gene Hackman e Ernest Borgnine, è considerato - insieme a Airport (1970) di George Seaton e L’inferno di cristallo (1974) di John Guillermin - come uno fra i migliori film del filone cosiddetto “catastrofico” in voga nel cinema americano degli anni Settanta. L’avventura del Poseidon vincerà due Oscar (fra cui quello per la Miglior Musica Originale), otterrà quattro nominations, avrà un grande successo di pubblico e rimane un “cult movie”. Paul Gallico muore ad Antibes - dove aveva trascorso i suoi ultimi anni - nel luglio 1976. Dopo la sua scomparsa, sul «New York Times», Molly Ivins scriverà: «Per dire che il signor Gallico è stato prolifico basta cominciare a descrivere la sua produzione. Ha scritto quarantun libri e numerosi racconti, venti sceneggiature per film, dodici film per la televisione, e ha avuto una serie televisiva basata sul suo racconto Hiram Holliday».
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dudewayspecialfarewell · 3 years ago
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Delitto e Castigo
Posso dire di aver ceduto il difficile compito di dover intervistare persone per collaborare con me almeno per un certo tempo.
Una delle cose che più risultano evidenti quanto si interrogano le persone è il loro enorme ego. Di fronte ad errori più o meno evidenti, le persone vedono a glissare, evitare o attaccare quando la critica mossa è evidente. Se si parla di grammatica ( che poi io che parlo di grammatica fa ridere) la frase ha una sua serie di regole fisse non opinabili.
Pur evidenziando errori inoppugnabili le persone si sentono in dovere di rispondere perché si sentono attaccate dal momento che ritengono che un errore non possa fare parte del loro essere.
Queste persone rigettano l’errore, la critica, come se fosse qualcosa che non gli appartenesse, come se quello che hanno fatto fosse di proprietà di un’altra persona perché la narrativa che si sono creati è quella di essere esseri perfetti, o quasi.
Da questa idea partono stuoli di SMM che non hanno mai venduto uno ciola, scrittori madrelingua che non sanno coniugare un congiuntivo, fino ai leoni da tastiera che parlano come ingegneri e medici senza una laurea.
In economia insegnano che più un bene è scarso, e maggiore è il suo valore. Rispetto a 800, 600, 500, 400 etc. Anni fa c’è una differenza fondamentale nelle nostre vite. Soffriamo di meno e parliamo meno della morte.
Nessuno di noi si alza la mattina per andare ad arare i campi con la falce, nessuno di noi deve impastare mattoni con la calce sotto il sole, e anche chi deve farlo, lo può fare con mezzi e una sicurezza che mai nella storia dell’umanità sono stati presenti.
Abbiamo a disposizione almeno in Europa e in America, di cure, di un sistema sanitario e trasporti, di garanzie sul lavoro che ci hanno tolto di gran lunga molti dei pesi che le generazioni precedenti hanno sopportato.
E proprio perché questi temevano il dolore e la sofferenza, noi l’abbiamo temuta, ma il dolore e la sofferenza oggi sono come i lupi e gli orsi. Se una volta lambivano i centri abitati oggi li puoi trovare nei parchi, o nelle riserve, soli e in piccolo numero, tanto che basterebbe vivere un decennio di caccia del passato oggi, per sterminarli tutti.
Soffrire meno, specie da piccoli è un grosso problema. Infatti dai 0 agli 8 anni, i ragazzini sviluppano una forma interpretativa del mondo, il dolore gli serve non solo a capire cosa è male e cosa è bene ma anche per capire il valore delle cose.
Una cosa prende il valore dalla sua privazione. Il valore del cibo deriva dalla fame per inedia, il valore della salute deriva dalla morte, il valore del lavoro deriva dai risultati di esso, non dall’opinione degli altri.
Fino all’800 uno dei motivi per cui si facevano tanti figli era che la mortalità infantile era impressionante: malattie, pericoli, carestie uccidevano i bambini. Il mondo è andato avanti così per almeno 2000 anni.
Questo metteva i bambini a contatto presto con la morte. Io non sarei probabilmente sopravvissuto se fossi nato nel 1850, ma nel mondo il cui vivo oggi vedo molti che vivono come se il tempo non contasse, e non costasse, perennemente giovani, anche di fronte al tempo che passa.
Non dico che sia necessario reintrodurre il vaiolo, le carestie, e le guerre all’arma bianca per rendere le persone meno suscettibili, ma solo che c’è una lezione da imparare dal passato.
Il nostro cervello non memorizza per informazioni soltanto ma per emozioni e informazioni, non basta dare un’informazione, serve comunicarla e l’unico modo che vedo per diminuire questo senso di alienazione da sé e avere meno paura di soffrire e l’unico modo per farlo è frequentando il dolore, un’ora al giorno, tutti i giorni.
Che sia allenamento o la lettura di un testo impegnativo, misurarsi con attività difficili, e potenzialmente pericolose se non trattate con la dovuta attenzione, insegnano a noi stessi il nostro posto, cioè al di sotto del risultato, o al massimo dello sforzo per raggiungerlo.
Come dice Simon Sinek, I millennials oggi sono entitled, pigri e cercano un modo per avere un impatto sul mondo, e non esiste modo per avere un impatto sul mondo che non sia quello di caricarsi di compiti duri, sfibranti e che implicano una montagna d’errori.
Certo è che è più facile illudersi e poi allontanare sdegnosamente le prove dei propri fallimenti.
https://www.youtube.com/watch?v=715sP1vsAk4
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pangeanews · 5 years ago
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“Da bambino divoravo gli atlanti”. Fosco Maraini, dalle segrete del Tibet al mignolo mozzato
Siamo un paese di avventurieri – che trovano scrittura nell’avventatezza. Mi è capitato un libro di spudorata bellezza, Afghanistan, ultimo silenzio. Lo firma Riccardo Varvelli per De Donato nel 1966: stile schietto ma con il gusto per il dettaglio, fotografie magnetiche, il viaggio come eccidio del sé, intrusione in una saggezza pietrificata. “È l’enigma dell’alpinismo. Si soffre, si rischia la vita per un risultato di cui, appena acquisito, ci si sente incapaci di gioire”; “Se sapere di vivere è più importante che vivere bisogna ogni tanto fermarsi. Stare con il cuore seduto di fronte a un paese silenzioso per misurare se stessi in rapporto a una realtà sconosciuta. Raccogliere il nan e la luce, la fatica e la neve, il deserto e la folla, ma senza mai perdere il filo. Perché esistere vuol dire tornare”. Perché non si stampano più questi libri, che consentono alla mente – quindi, al corpo – di andare in terre incognite? La letteratura italiana nasce raccontando i viaggi di questo – Marco Polo – e altri – Dante – mondi: perché ci siamo ridotti a narrare la periferia del nostro io?
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Un giorno dovrò filare la storia di Giovanni Battista Cerruti, “l’uomo che era diventato re dei terribili Sakai”, morto nel 1914 “in un piccolo ospedale di Penang, in Malesia, per una banale appendicite… il capitano che nell’illusione di compiere l’impresa risolutiva della propria esistenza aveva solcato mari, esplorato foreste, raccolto esemplari sconosciuti di fauna e flora per i musei, fondato imprese commerciali fallimentari, scoperto miniere”, questa specie di incrocio tra il Kurtz di Conrad e il Fitzcarraldo di Herzog, di cui l’editore Ecig, tre decenni fa, ripropose il leggendario romanzo-reportage, Tra i cacciatori di teste. Ecco: tre quarti di narrativa attuale andrebbe decapitata, in virtù di questi scoordinati, scriteriati, sgrammaticati, straordinari narratori di viaggio.
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Torno in me. Nella stessa collana De Donato in cui è pubblico Varvelli, “All’insegna dell’orizzonte”, ci sono i libri di Ettore Biocca – Yonoama, sugli indios dell’Amazzonia – di Gianni Roghi – I selvaggi – di Folco Quilici – I mille fuochi, Sesto continente. Li ristamperei tutti, sono più utili di un documentario – gli occhi si accontentano di guardare ciò che trasmette la superficie dello schermo, le parole portano nella quarta dimensione dell’immaginare. De Donato – già Leonardo da Vinci – pubblicava i grandi libri di Fosco Maraini. Nel libro che possiedo ne promuovono quattro: G 4. Baltoro Karaorum, Ore giapponesi, Paropàmiso, Segreto Tibet. Nel ‘Meridiano’ Mondadori, Pellegrino in Asia (2007; a cura di Franco Marcoaldi), si riproducono i libri maggiori – Segreto Tibet, Ore giapponesi – e una manciata di “Scritti scelti”; La Nave di Teseo ha ripubblicato, lo scorso anno, Case, amori, universi e Gnosi delle fànfole. Qualche anno fa l’istrione Claudio Cardelli, presidente dell’Associazione Italia-Tibet, passionaccia per i Beatles, amico di Maraini, mi ha concesso l’edizione Dren-Giong, “il primo libro di Fosco Maraini” (il primissimo è la Guida dell’Abetone per lo sciatore del 1934), nell’edizione Corbaccio del 2012, con “i ricordi dei suoi amici”.
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Fosco Maraini unisce diversi talenti: la rapacità linguistica – pari a un Gianni Brera per estro –, l’istinto narrativo, la sapienza da “etnologo poeta”. Si diceva Clituvit, “Cittadino-Luna-Visita-Istruzione-Terra”, era qualcosa tra Indiana Jones e Jack London – in realtà, deve l’amore per l’Asia a due libri particolari: Three Years in Tibet del monaco giapponese Ekai Kawagchi e With Bayonets to Lhasa dell’ufficiale inglese Sir Francis Younghusband. Era un estraneo che incontrava dei diversi, studiandoli con il rigore dello scienziato e la curiosità dello scrittore: questo lo rende, ai miei occhi, più accattivante, più spigliato di Bruce Chatwin, impegnato nella bizantina narrazione del proprio io.
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Un paio di eventi su tutti. Il viaggio come esito del fantasticare. Il viaggio, prima di tutto, lo si custodisce, lo si prepara, lo si ama nella testa, nell’ardore metafisico dell’impossibile. “Ero un adoratore, un divoratore e naturalmente un distruttore di atlanti… Isole, penisole, continenti, laghi, bracci di mare suggerivano coi loro profili personaggi, cose, favole”, ricorda Maraini. Il mondo va divorato immaginando il seguente, incendiando mappe. Il tormento enigmatico di una carta geografica è proprio quello: alla foce di un nome si elevano fiabe, sotto una macchia marrone s’ipotizzano civiltà, lotte, eresie, si vede perfino quel piccolo volto che sporge da un castello sui giunchi.
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Secondo episodio. Fosco Maraini è in Giappone. È nata da poco l’ultima figlia, Antonella. È da poco uscito il primo studio sugli Ainu. La Seconda guerra impedisce allo studioso il ritorno in Italia; dopo l’Otto settembre, l’arresto. “Rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò, Fosco e Topazia, dopo un breve periodo di arresti domiciliari a Kyoto, vengono trasferiti insieme alle figlie nel campo di internamento Tempaku a Nagoya” (Marcoaldi). “Tolte alcune piccolezze, l’inizio parve buono”, attacca Fosco. Le cose procedettero in modo meno buono. Il 18 luglio del 1944, vista la scarsità di cibo, i prigionieri iniziano uno sciopero della fame. Il capo dei poliziotti accusa di tradimento i prigionieri. Fosco – così nel racconto della moglie, Topazia Alliata – “afferra l’accetta (della cucina), si taglia il dito mignolo della mano sinistra, lo raccatta e lo getta al terrorizzato Kasuja gridando… gli italiani non sono dei bugiardi. Tutti fuori di sé: terribile impressione”. Iosif Brodskij direbbe, “La più sicura difesa contro il Male è un individualismo estremo, l’originalità di pensiero, la bizzarria, perfino – se volete – l’eccentricità”. Cioè: sorprendere con una scelta superiore; capire il nemico, essere spietati con ciò che si ha – la presa psichica.
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L’effetto che ti fa leggere Maraini: partire! Segui il primo sfarfallio azzurro all’orizzonte, piglialo per l’Himalaya, parti! Ogni tigre, sembra dire l’infaticabile Fosco, in fondo, giace nella gabbia delle tue costole. Segreto Tibet è il suo libro più sgargiante, forse è uno dei romanzi più belli del Novecento italiano. Qui un cammeo che ritrae Giuseppe Tucci: “Non so perché, Tucci d’un tratto s’è immusonito. Ha l’aria di cercare qualcosa che non trova. Osserva, annota, torna sui suoi passi, ma non parla più… Ormai so che in simili frangenti occorre tacere, possibilmente cancellarsi per un poco dal paesaggio. Ho per compagno un uomo dalla mente eccelsa, ma dal carattere d’infinita complessità, tutto trabocchetti e botole nascoste. Del resto lo ripete sovente lui stesso: ‘Odio gli uomini, amo invece gli animali! Mi piacciono i puniti dal karma, non i premiati! Magari i Budda fanno eccezione… Ma noi li vediamo solo in arte’. Tucci ha in sé qualcosa di notturno, di felino, di tantrico della mano sinistra. Ed è gelosissimo della propria cittadella interiore!”.
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Uno dei libri remoti di Maraini: Gli ultimi pagani (l’ho in edizione Bur 2001). Raccoglie alcuni studi straordinari di Fosco: quello sugli Ainu, gli indigeni giapponesi, di cui racconta lo iyomande, l’uccisione rituale dell’orso; quello sui Cafiri, “gli infedeli, cioè non-cristiani e non-ebrei, in pratica i pagani, i primitivi rimasti ancora fuori dal campo dell’azione missionaria islamica”, tra i picchi di Pakistan e Afghanistan. Maraini sonda le stirpi estirpate, gli ultimi sussulti di culture travolte dal sopruso, dalle avversità della storia, dalla sfortuna; censisce le patrie perdute, gli dèi al tramonto, col cranio mozzo, l’eroismo degli inflessibili – altro che infedeli.
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A una delle sue spedizioni himalayane, sul Saraghrar, cima dell’Hindu Kush, fino ad allora inviolata, è il 1959, Maraini dedica Paropàmiso (1963). La spedizione, coordinata dalla sezione CAI di Roma, conta anche Franco Alletto e Giancarlo Castelli Gattinara. Quest’ultimo, nel 2007, con Marietti, pubblica la sua versione dell’impresa, Viaggio in Himalaya, che nel sottotitolo (“Un agnostico, un comunista, un cattolico discutono durante un’ascensione nelle montagne dell’Hindu Kush”) tradisce lo stile: è una specie di libro ‘platonico’, dove l’ascesa coincide con la disciplina del capire. Maraini, in questo concerto di voci, è l’agnostico; e dice, tra l’altro. “È l’uomo l’eterno soggetto, il centro da cui tutto parte e il nucleo in cui tutto si risolve. L’altro termine è il Mistero, la comoedia della vita e della morte. Le religioni sono la somma dei messaggi che l’uomo legge in questo Mistero… Le religioni servono all’uomo, non viceversa. Il cristianesimo ha percorso il suo arco naturale di secoli, forse è tempo di riporlo, con tutto il rispetto per le grandi cose del passato, in un museo. Quante religioni non ha creato e lasciato lungo la sua strada, l’uomo!”. In montagna per sfracellare le idee di Dio.
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Se nel 1937 Maraini ha il fegato e il sale di proporsi a Tucci, in preparazione per l’ennesimo viaggio verso il Tibet, “come fotografo”; se alla fine della sua vita – nel 2004 – confessa, “ho optato per la Rivelazione Perenne, cioè il regime religioso in cui Dio parla, per chi vuole ascoltarlo, non attraverso messaggi singolari concessi in punti particolari dello spazio e in momenti particolari del tempo (Rivelazione Puntuale), bensì sempre e ovunque, nella natura e nella vita umana intorno a noi”, sarà anche perché nella villa di famiglia a Poggio Imperiale passeggiavano Bernard Berenson e D.H. Lawrence, H.G. Wells e Aldous Huxley (quello della Filosofia Perenne), Ardengo Soffici e Norman Douglas. Certo, Fosco era piccino e scatenato, me certe cose restano, tra le ciglia e sotto le unghie. Tutto, d’altronde, è letteratura, parola che fonda sedie e tavoli. (d.b.)
*In copertina: una fotografia “giapponese” di Fosco Maraini
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gregor-samsung · 6 years ago
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C'era una domanda alla quale Perego, come chiunque possegga molti libri, riusciva raramente a sottrarsi. Domanda che gli sembrava un indice tra i meno conosciuti, ma tra i più inquietanti, della ottusità universale: "Li ha letti tutti?". Aveva sperimentato vari tipi di risposta, pur presago che quella quella più illuminante sarebbe stata il silenzio. Aveva provato, sfidando l'evidenza e partecipando nell'ebbrezza dell'assurdo, a rispondere: «Sì.». L'interlocutore di solito aveva un sussulto di sorpresa, i più ignari chiedevano, tra il dubbio e l'ammirazione: «Ma veramente?» E al secondo "Sì" impavido reclinavano il capo. Ad altri aveva cercato di fare capire che il libro non è un cibo che si deteriora, ma una provvista che si fa per altre stagioni, per inverni rigidi e per estati ombreggiate, e che il piacere dell'attesa non è meno intenso di quello dell'appagamento ed è, se non altro, più certo. Lo guardavano, a questa precisazione, con quella indulgenza che riserviamo a chi svela debolezze meno gravi delle nostre. Altre volte aveva paragonato il rapporto con un libro a quello con l'essere amato: molti pensano che lo si possiede in un modo solo, che chiamano "completo", ma si tratta di una immaginazione angusta e probabilmente illusoria. Che cosa vuole dire possedere? Lo si scambia con lo strappare il sì di una estasi momentanea, in un pullulare di no nascosti nell'ombra. Ma ci sono modi più durevoli di possedere: modi più delicati e allusivi, fondati sul dubbio, o più tenaci e occulti, fondati sull'odio. E poi, è così importante possedere? Ricordava il disagio che aveva provato quando la sua collega di ginnastica, al Liceo Pascoli, gli aveva offerto per la prima volta il suo corpo nel laboratorio di fisica e, ripetendogli intempestivamente "Sono tua!", gli aveva tolto ogni possibilità di ricambiare un'offerta così impegnativa. E che cosa doveva significare il possesso di un libro? Leggerlo dalla prima parola all'ultima? Non era sufficiente, o addirittura preferibile, sfogliare le poche pagine che interessavano e lasciare le altre ad amatori più costanti? Alcuni infatti concepivano la lettura - e l'amore - come un gioco di pazienza e finché non l'avevano portato a compimento, tra applicazione e noia, non desistevano, tradendo così lo scopo per cui l'avevano incominciato.
Giuseppe Pontiggia, Il raggio d'ombra, Mondadori (Oscar narrativa), 1988 [1ª ed. 1983]; pp.100-1.
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pleaseanotherbook · 3 years ago
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Sfacelo di René Barjavel
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Era un odore di mondo che nasce o che muore, un odore di stella.
“Sfacelo” di René Barjavel è una distopia francese tradotta in italiano da Orma editore. È uno di quei libri che ho recuperato durante il primo lockdown e che poi ho lasciato a sedimentare nel mio Kindle in attesa del momento buono per leggerlo. Poi un giorno sfogliando l’elenco dei libri a mia disposizione l’ho ritrovato e mi sono detta che era una buona idea iniziarlo a leggere senza avere grande prontezza della trama e devo dire che mi ha molto intrigata.
Francia, 2052. In un futuro ipertecnologico, in cui ogni aspetto dell’esistenza è governato dalle macchine, l’elettricità viene improvvisamente a mancare. Nel giro di pochi giorni incendi devastanti divampano in ogni città e un’ondata di calore senza precedenti fa evaporare le riserve d’acqua. È la Natura violata che si ribella al giogo imposto dall’uomo, non lasciando scampo né possibilità di redenzione. L’umanità si ritrova catapultata in un mondo in cui vige solo la legge della sopravvivenza. Sullo sfondo di una Parigi in balia di bande di sciacalli ed epidemie di colera, il giovane François Deschamps si mette alla guida di uno sparuto gruppo di superstiti: la loro unica speranza è raggiungere l’incontaminata Provenza e rifondare una società libera dai micidiali errori del passato. Scritto nel 1942, sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, Sfacelo è un classico della fantascienza che si è conquistato in molti Paesi una fama enorme e duratura e che è tempo di riscoprire anche in Italia. In questa parabola ecologica, sbalorditiva predizione del nostro presente, René Barjavel costruisce un perfetto congegno narrativo dal visionario taglio cinematografico, non risparmiandoci nulla dell’orrore che si sprigiona quando si toglie ogni freno agli istinti più oscuri dell’animo umano.
Tornare a leggere distopie dopo tanto che leggo principalmente narrativa è stato molto bello, un po’ come tornare a casa. So bene come ci si muove tra le pagine di libri che partono da presupposti reali, estremizzandoli fino all’eccesso e so bene che la distopia vuole interrogarsi sul futuro, avvertendo o moderando, ma senza mai dare risposte definitive. Barjavel immagina il collasso tecnologico, improvvisamente internet, l’elettricità e ogni invenzione moderna smettono di funzionare e la società così come la intendiamo ora crolla, improvvisamente e si accascia su sé stessa. La ricchezza e il potere così come si era attestato fino a quel momento non ha più significato nessuno segue più l’autorità preoccupato di recuperare la sopravvivenza minima. A Parigi, ma nelle città tutte ogni approvvigionamento è supportato da un congegno ben preciso, la scienza ha sintetizzato tutto quello che si può desiderare, cibo compreso. Quando le macchine non sono più in grado di volare e il denaro non vale più niente, conta solo l’istinto di sopravvivenza e si instaura la legge del più forte. François Deschamps, il protagonista della storia, si fa leader di una spedizione che cerca di sfuggire dalla città e di tornare verso sud dove la popolazione è rimasta ancorata ai metodi tradizionali, l’agricoltura e l’allevamento realtà ancora fortissime. Barjavel crea una realtà alimentata da contraddizioni fortissime, dicotomie che distruggono le prospettive e alimentano le lotte e ogni gesto viene valutato per quello che è. Le rivolte sono all’ordine del giorno e la contrapposizione di vedute diventa improvvisamente lampante. Non c’è salvezza istantanea, non c’è possibilità di avanzare concretamente verso esigenze puramente sentimentali, è necessario capire cosa conta e come sopravvivere allo “sfacelo”. Non c’è solo la battaglia tra ricchi e poveri, nord e sud, ma anche scienza e spiritualismo, una vita fatta di atti semplici e azioni banali e altre di elevazioni e avanzamento, l’evoluzione corre di pari passo con il pericolo di andare troppo oltre. Il progresso tecnologico che si basa su intuizioni derivanti da osservazioni e tentativi diventa necessario e quasi inevitabile, dove pure un rapporto con il nostro vero io e il nostro lato più spirituale e terreno non deve mancare. Nella società descritta da Barjavel tutti sono compressi in gabbie di vetro e metallo, in alto, sempre più in alto, in grattacieli attraversati da mezzi di trasporto ad alta velocità, ma i dimenticati, i poveri, gli indifesi si nascondono a bordo strada e addirittura sottoterra, in un metaforico nascondiglio della polvere sotto il tappeto. Perché l’importante è l’immagine stellare di una società che non si ferma, che è al passo con i tempi, che in pochissimo tempo arriva dall’altro lato del mondo. Quando tutto esplode però ciò che conta è tutt’altro. I personaggi della storia lottano per raggiungere un nuovo obiettivo, si rincorrono mentre gli incendi, la siccità e l’incertezza fanno preda dei loro spiriti e delle loro risorse. Ognuno di loro deve fare i conti con quanto è disposto a sacrificare, quanto è disposto a mettersi in gioco e quanto disposti a seguire un uomo. Perché quando l’emergenza impellente finisce la parte più difficile è ricostruire e se per distruggere tutto basta un minuto per riparare i cocci delle vite spezzate ci vogliono anni e anni.
 Il particolare da non dimenticare? Un cavallo…
 Una storia che è un monito e una speranza, il ritratto devastante di una società post-apocalittica che prova a sopravvivere alla tragedia tra compromessi, paure e violenza, che a volte basta poco per accendere la luce.
Buona lettura guys!
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staipa · 4 years ago
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Su BlackoutChallenge e su TikTok
Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/su-blackoutchallenge-e-su-tiktok/
Su BlackoutChallenge e su TikTok
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Sicuramente avrete sentito parlare del caso recente di una ragazzina che sarebbe morta per aver imitato una serie di video presenti su un social network molto usato dagli adolescenti. Il caso è ovviamente triste e ovviamente parlare di questo argomento deve essere fatto con una certa delicatezza.
Uno degli argomenti di cui mi occupo e di cui ho avuto anche modo di confrontarmi spesso con gli adolescenti è l’uso consapevole della tecnologia di cui ho avuto occasione anche di tenere una conferenza per le scuole. La prima cosa da fare quando si tratta un tema del genere, in particolare se ci si occupa di giornalismo o di sicurezza, dovrebbe essere quello di informarsi a fondo per non incorrere in grossi errori o non creare più danni che risultati. In particolare, se si è un giornalista di una testata importante o di un programma come le Iene o se ci si trova nei panni del Garante della privacy.
La mia convinzione è che la gran parte del problema sia causato da ignoranza e paura degli argomenti tecnologici. Innanzi tutto, parliamo di cosa si dice essere #BlackoutChallenge.
Cos’è #BlackoutChallenge
Secondo i giornalisti #BlackoutChallenge sarebbe una prova che verrebbe condivisa sul social TikTok e consisterebbe nell’avvolgere attorno al collo una corda o una cintura fino ad arrivare a soffocare e svenire per poi riprendersi. Il tutto filmandosi o facendosi filmare. Secondo gli stessi giornalisti questa cosiddetta challenge starebbe spopolando sul social e causando il tentativo da parte di numerosissimi adolescenti di fare cose pericolose e potenzialmente mortali.
Ma è così? Scopriamolo assieme.
Cosa dovrebbe fare un giornalista prima di condividere questa informazione?
Una cosa intelligente sarebbe quella di scaricare TikTok, cercare BlackoutChallenge e guardare i video condivisi con questo hastag, prima che la notizia diventi virale ed esploda come ad esempio dopo un servizio delle Iene. Ci siamo già passati con il BlueWhale di cui volutamente non ho mai scritto su questo blog ma che uso sempre come esempio quando parlo di uso consapevole della tecnologia. Era un challenge precedente a questo che di fatto non è mai esistito se non nella narrativa giornalistica e che da dopo il servizio con cui le Iene hanno iniziato a parlarne si è trasformato, seppure per un breve periodo, da leggenda a realtà.
Cosa c’è su TikTok cercando #BlackoutChallenge
La realtà e la può verificare chiunque abbia voglia di fare un minimo sforzo, e di non fare il boomer come direbbero appunto i veri utenti ti TikTok, è che cercando video con quel hastag si troveranno decine di migliaia di video divertenti in cui succedono cose come: ragazza sull’ellittica -schermo nero- ragazza sull’ellittica a testa in giù, ragazzo davanti a un tavolo pieno di cibo – schermo nero – ragazzo con il tavolo vuoto e a testa in giù-, in pratica video divertenti in cui improvvisamente lo schermo diventa nero e poi succede qualcosa di assurdo, generalmente a testa in giù.
Sinceramente dovendo travisarli e dargli un significato recondito li avrei interpretati più come scherzi riferiti al fascismo che al suicidio.
Ovviamente questo non significa che fra i meandri delle decine di migliaia di video non esistano video come quelli riferiti, né che non esista un challenge tra gli adolescenti che riguardi il rischiare il soffocamento, né tantomeno che la ragazzina non lo abbia fatto spinta da qualche cosa del genere.
Quindi cosa sta succedendo con #BlackoutChallenge?
Io focalizzo principalmente tre argomenti:
I giornalisti, le Iene come sempre in primis, stanno facendo scoop su una notizia presumibilmente falsa rischiando di farla diventare vera. Come un tempo il parlare di lanciare i sassi dal cavalcavia si era dimostrato essere la causa che metteva in testa ai ragazzi di lanciare i sassi dal cavalcavia oggi continuare a parlare di questo challenge dà ai ragazzi l’idea di farlo.
Il garante della Privacy ha deciso di costringere TikTok a bloccare tutti i minorenni, ma evidentemente non ha provato a iscriversi a TicTok per scoprire come venga valutata l’età, e non capisce come funzioni questa tecnologia. Il blocco non solo è inutile e non fattibile ma verrà ovviamente aggirato perché non è e non sarà mai fattibile un vero controllo dell’età che non diventi una maggior violazione appunto della privacy.
I genitori, e di conseguenza i ragazzini, non hanno una buona dimestichezza con la tecnologia e la danno in mano ai loro figli senza rendersi conto di un pericolo che in effetti c’è.
Una cosa che dovrebbe essere capita da tutte e tre le categorie è che i pericoli ci sono. Ma non sono su una singola specifica piattaforma. Ci sono decine di canali (di cui non mi dilungherò qui) dove questo genere di prove, se esistenti, possono essere veicolate e molti sono molto meno tracciabili di quanto possa esserlo una piattaforma aperta e pubblica come TikTok. La soluzione non è spaventare i genitori, e non è chiudere o limitare a caso e in maniera discutibile una piattaforma. La soluzione è parlare dell’uso consapevole delle tecnologie. Ai genitori e nelle scuole. In modo che senza allarmismi inutili tutti possano conoscere i rischi e i vantaggi di questi strumenti, e decidere consapevolmente come usarli e come farli usare ai propri figli.
Non amo fare pubblicità, e questo credo sia la prima volta che mi azzardo a farlo, ma se qualcuno fosse interessato a una conferenza su tali argomenti, con target adolescenti, con target insegnanti, o con target genitori, potete contattarmi dal sito: nella sezione Contattami (https://www.stefanogiolo.it/contattami/) o da qui sotto. La conferenza può essere realizzata anche da remoto.
Collaboro per altro anche con Cicap Scuola il quale organizza corsi per insegnanti riconosciuti dal Miur anche su questa tematica.
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liviaserpieri · 7 years ago
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1. La cosa più singolare della lettura consecutiva dei romanzi di un autore molto amato è che si crede di leggere dei libri e invece si chiacchiera con un uomo. Un uomo che spesso non c’è più. Ho amato molto Tolstoj nell’epoca della mia meglio gioventù di lettore appassionato   e un po’ rétro.  Credo di averlo letto tutto –  quello edito e in circolazione nella  metà degli anni ’70 –  eccetto “I cosacchi” e “Chadzi- Murat” e gli scritti saggistici e religiosi dell’ultimo periodo della sua vita. In cima alla mia predilezione ci sono “La morte di Ivan Il’ič ”, “La sonata a Kreutzer”  e gli immensi “Anna Karenina” e “Guerra e pace”. Ho letto la Karenina due volte e “Guerra e pace” una:   per leggerlo due volte  occorrerebbero due vite. Ho letto questo   lunghissimo romanzo  (oltre 2000 pagine nella mia edizione Garzanti Grandi Libri, trad. P. Zveteremich) in marce forzate, è il caso di dire vista la materia bellica,  in una calda estate siciliana, nel cortile di casa, con il conforto di un pacchetto di sigarette “MS” a notte, e   boccali di  una bevanda al limone ghiacciata che mi preparavo da me. Praticamente la felicità.  Devo dirlo: non avevo altri diversivi, distrazioni o divertimenti.  Mentre i miei amici si avventuravano nei primi interrail, io che ero abbastanza malestante  e lavoravo da imbianchino   per mantenermi agli studi, chiedevo alla letteratura  di espletare il suo ufficio di narcotico  per poveri, di  proiezione a poco prezzo in mondi fantastici:  il raddoppio delle sensazioni nientemeno. Quelle mediate  dalla letteratura avrebbero dovuto affiancarsi,  nelle mie intenzioni, a quelle immediate provenienti dalla vita, ma nei fatti le sostituivano. Chiedevo alla letteratura di salvarmi la vita. E ci sono riuscito. O c’è riuscita la letteratura, nel senso che ha agito con una forza tutta propria su di me. Mi sono distratto, e distraendomi dalla vita vera, proiettandomi  in quella fantastica,  prendevo le misure di quella reale. Chiedevo all’ homo fictus, al lettore qual ero, di dare una mano all’homo naturalis, di dargli la mappa della  vita – i fondamentali –   tale che al momento di vivere più che conoscerle le emozioni, le esperienze, le situazioni, io potessi ri-conoscerle. La lettura era insomma una anticipazione della vita, una gigantesca simulazione, come quella che fanno i piloti prima di saliere sui jet, un vivere preavvisato, fuori dai condizionamenti della vita vissuta. Una specie di libertà assoluta quella del lettore dunque,  se quella del vivente è una libertà vigilata.
Sia come sia, Tolstoj (insieme a Stendhal, Rousseau, Brancati, Pavese, Verga, Moravia, Flaubert, Hemingway e tanti altri) accompagnò gli anni belli e afflitti della giovinezza. Ero angosciato – dal bisogno materiale soprattutto – ma avevo questi beni spirituali in eccesso. Rischiavo:  leggevo più di quanto mi necessitasse per vivere. Una situazione di squilibrio pericolosissima, di accumulo di eccitazioni mentali , di exacerbatio cerebri, che in genere conduce gli individui senza pesi  a  librarsi nel vuoto della nevrosi, della più grande e irrimediabile infelicità, oppure andare incontro al destino tipico dell’intellettuale spiantato: trovare impiego con artifici e raggiri a  Mediaset o vagheggiare inacidito il sovvertimento violento dell’ordine esistente. Forse  vivere significa  garantire un’accettabile integrità all’io, ovvero impedirne letteralmente la   disintegrazione, porre solide basi all’arco dell’esistenza  tra progetto ed esecuzione, giovinezza e maturità, speranza e ricordo. C’era dalla mia parte tuttavia anche la nascita plebea e l’ironia popolaresca  che mi impedivano di “prendere la tangente” come avvenne a tanti  viziati borghesi della mia città. Nel dialetto del mio popolo dopotutto la parola “pensiero” coincide con il campo semantico di “preoccupazione” e suggerisce vivamente  di non averne troppi di questi “pensieri” in testa.  Mi “salvai”, se mi salvai (« Non dire che un uomo è felice se non hai visto l’ultimo dei suoi giorni», ultima battuta di “Edipo re” di Sofocle),  soprattutto grazie a Tolstoj. Cosa ho trovato in Tolstoj di tanto salutare e salvifico? Semplice: la vita.  Boom! Sì la vita etica. Non che Tolstoj mi abbia dato chissà quale formula che mondi potesse aprirmi, forse soltanto indicato una tana (la letteratura, la lettura in sé) da dove scrutare la lotta per la vita (degli altri), o forse qualche indicazione generica sui salvacondotti per superare alcune frontiere dell’essere, allo scopo di  affrontare,  anche schivandola forse, quella res severa che è la vita stessa. Che come è noto, tanto fu seria con lui da farlo deragliare  in età tardissima  poco prima della morte (a comprova che di formule facili non ce n’è proprio).  Ma solo dopo molti anni ho compreso  che Tolstoj mi aveva indicato la vita etica, ovvero la vita matrimoniale. Una cosa dopotutto  non scontata in un’epoca  (fine anni Settanta)  di attacchi all’istituzione matrimoniale,  di  “familles, je vous haie!”, di coppie aperte, di nomadismo sessuale, di “comuni “ e di Macondi.
2. Quando si  legge un’opera non abbiamo mai contezza dell’azione che essa esercita su di noi. Spesso non sappiamo neanche condurre una ricognizione ragionata della trama, figurarsi  capire il centro   profondo che l’opera ha in sé e per sé o solo per noi (non sempre i due piani infatti coincidono).  Dell’opera  perdiamo la visione nel corso del tempo, ci sfugge non solo la trama, ma anche l’impressione complessiva, restando nella nostra memoria soltanto alcuni punti luminosi, i “fosfeni “ di quell’opera, come  quando chiudiamo gli occhi e li strizziamo a palpebre chiuse. «Un nugolo di impressioni, alcuni punti chiari che emergono da un’incertezza fumosa: è tutto questo che in genere possiamo sperare di possedere di un libro» e «un libro non è una catena di fatti, è una singola immagine».  (cit. P.Lubbock – “Il mestiere della narrativa”, Sansoni 1984”). E ciò accade per i dettagli del libro e a volte del suo insieme, si tratti del viso di Natasha,   della morte di Bolkonskij, del peregrinare cogitativo di Bezukov, del saggio Kutuzov  o dell’epilogo stesso della vicenda, che tuttavia   ricordiamo benissimo:  finisce in un tranquillo tinello familiare. Relativamente alla “forma” per esempio ancora il nostro critico inglese Percy Lubbock dice che “Guerra e pace” non ne ha, come struttura forte egli intende dire, ma   è piuttosto un “flusso” inarrestabile di eventi, lungo come un grande fiume  o come un inverno russo: «Lo scorrere del tempo, l’effetto del tempo appartiene al cuore del soggetto» di questo romanzo . Probabilmente quel tipo di narrazione “fluviale” oggi non avrebbe  corso, è fuori dalla nostra stessa percezione del tempo,  la quale è accelerata e sincopata ormai come un videogioco. Alcuni critici (Italo Calvino, non ricordo più dove, forse in “Perché  leggere i classici” che  non ho sottomano) dicono che è cambiata la nostra stessa percezione del tempo: nell’Ottocento la visione della realtà era come quella osservata da un tranquillo signore sul parapetto di una nave, oggi  è  quella, accelerata e vorticosa, di chi cade nella tromba delle scale. E qui forse ha ragione  Alfred Polgar (“Piccole storie senza morale”, Adelphi 1994) quando dice: “La vita è troppo breve per la forma letteraria lunga, è troppo fuggevole perché lo scrittore possa indugiare in descrizioni e commenti, è troppo psicopatica per la psicologia, troppo romanzesca per il romanzo; la vita fermenta e si decompone troppo rapidamente per poterla conservare a lungo in libri ampi e lunghi”. Nel vortice della nostra vita sociale suggerire la lettura di “Guerra e pace”  a soggetti debilitati dagli scossoni di un assetto sociale  che ruba vita alla vita  potrebbe perciò sembrare un azzardo quando vorrebbe essere solo  una proposta aristocratica e insieme terapeutica. Se oggi  infatti si moltiplicano gli inviti a consumare  cibo,  musica, televisione  lentamente, perché non anche la narrativa lenta di Tolstoj?
3. Nel corso di una di quelle   scorribande da lettore  onnivoro e disordinato quale sono,  mi imbattei in  un illuminante passo di Remo Cantoni (“La coscienza inquieta”,  Il Saggiatore, Milano 1976, n. 18, p.55) che improvvisamente mi delineò il rapporto tra me e Tolstoj e mi mise sulle tracce di un’ interpretazione pungente dell’arte tolstojana, sul solco delle “filosofia dell’esistenza”. Interpretazione  che da allora mi accompagna.   Il libro di Cantoni è una delle più belle e penetranti disamine del pensatore danese ancora circolante in lingua italiana. Riassumiamo a grandissime linee  (e con qualche mio tradimento) questa dialettica esistenziale. Don Giovanni, l’Assessore Guglielmo e Abramo sono nel pensiero di Kierkegaard le figure emblema  dell’itinerario   fenomenologico dell’esistenza.  Vita estetica, morale e religiosa sono i tre “stadi” possibili della vita. Sono essi coincidenti con in tre stadi della vita biologica:  giovinezza, maturità e vecchiaia? No, certamente (a me è capitato il contrario: una infanzia e giovinezza religiose, una maturità etica, un inizio di  terza età estetica, speriamo!), anche se i tre stadi in genere si attraversano secondo questa sequenza e i tre personaggi portatori delle istanze sembrano ricalcare le tre età della vita. Il giovane don Giovanni, il maturo Guglielmo, il vecchio Abramo. Diciamo subito che chiunque abbia superato le rapide dello stato nascente dell’innamoramento ed è entrato nel placido stadio istituzionale del matrimonio (o della diade stabile)  sa che la nascita di un figlio immette la coppia in un universo di valori in cui l’eticità è la “dominante”. Anche se si troverà la propria personale vibrazione estetica nel cambio dei pannolini, nei fatti ,i figli,  che pur sono una nostra vena che batte fuori di noi, non sono   noi, sono altro da noi e chiedono cure indifferibili, impegno diuturno, fatica e apprensione infinite. Oltre che serietà coscienziosa. Se la giovinezza è uno stato “estetico” per definizione (da aisthesis, esperire con i sensi) visto che si hanno addosso troppo pochi giri d’esistenza per avere una dimensione più sedimentata e ragionata della vita, la nascita di un figlio pone il soggetto immediatamente nella dimensione etica. Il marito è l’eroe coniugale se, di contro, i grandi amanti sono eroi  pre-coniugali, post-coniugali o meta-coniugali.
Ora, i tre stadi vivono in maniera autonoma nelle scelte di vita di ciascuno di noi, ma c’è da aggiungere che non sono “isolati”, allo stato puro, sono misti dialetticamente e si contaminano a vicenda,  nel senso che c’è nella vita estetica una piega a volte religiosa. Don Giovanni ha il culto della donna si potrebbe dire, ma,  oltre ai  genitali di lei, da acquisire in maniera compulsiva  e seriale in una “cattiva infinità” nel tentativo, sempre fallito, di possederli per sempre,  c’è la ricerca inesausta delle infinite modalità estetiche in cui si manifesta  l’inebriante “femminile” nelle donne. Un fatto che di per sé vale la coazione a ripetere. Ma anche nella vita religiosa vi sono componenti estetiche.  Non occorre aver letto Freud per intero per capire che in alcune esperienze religiose estreme, nei cilici e nelle autofustigazioni o addirittura nella scelta finale della morte autoinflitta come quella dei  martiri qualcuno ha visto una sorta di piacere,  voluptas dolendi  estrema  fino all’amor mortis. Clemente Alessandrino lo vide negli occhi dei martiri cristiani e se ne spaventò a tal punto  da sospettare che fossero dei voluttuosi aspiranti suicidi infiltrati tra le fila dei  “veri” cristiani. “Noi per parte nostra biasimiamo coloro che si sono gettati in  braccio alla morte: giacché esistono alcuni che non sono realmente dei nostri, ma hanno in comune con noi soltanto il nome, e che ardono dal desiderio di consegnarsi, poveri miserabili innamorati della morte (grassetto mio) in odio al Creatore. Noi affermiamo che questi uomini  commettono suicidio e non sono martiri, anche se vengono ufficialmente giustiziati. “ (citato da A. Nock.  “La conversione”, Laterza, Bari, p.155).
In fondo, la scelta della vita etica è di tipo mediano, fuori dai,  e forse contro i, grandi turbamenti  e le sfide estreme della vita estetica e religiosa. L’istanza della vita etica può imporsi in due modi secondo ciò che  ho compreso provvisoriamente. A) sorgere dalla malinconia, dallo squallore, dall’autodistruzione  insita  nella vita estetica stessa. C’è un momento in cui la vita estetica appare all’esteta come insensato scialo che  brucia solo nell’attimo; la propria genialità sensibile e sensualità demoniaca  gli appaiono senza scopo se non se stesso.  Oppure B) come strategia di ritiro calcolato della “cattiva coscienza”, la quale “spontaneamente”  tenderebbe sempre e comunque alla vita estetica, approvandola nell’intimo,  ma quasi sempre negli individui medi non ha i mezzi per metterla in atto. Accade così che non potendo vivere una vita di piaceri ce ne inventiamo una di doveri.   È, infine,  anche vero che  nella vita etica  si assaporano le dolcezze dell’uno e dell’altro stadio sia estetico che religioso (per chi ha fede). Com’è vero che nell’amore coniugale si trova sia  quella Venerem facilem parabilemque  – il sesso facile e abbordabile  di cui parlava Orazio -, sia   il  culto dell’unione familiare, che era già “sacra”, signori, prima del cristianesimo. Proprio in ultimo mi occorre aggiungere che se il seduttore non ama una donna, ma la donna, l’uomo etico è tentato di amare  la donna in una donna.
4. Analogamente, nei personaggi di Tolstoj gli stadi dell’esistenza kierkegardiana appaiono misti, mai allo stato puro. Se Pierre Bezukov e Konstantin Dmitric Levin (veri e propri alter ego di Tolstoj) sembrano scolpiti nella pietra viva della vita etica (anche se bellamente  “estetica” è la scena “etica” della falciatura del grano perché è il padrone Levin che sceglie di mischiarsi a torso nudo in uno slancio etico-estetico  con i propri  contadini), se  Nechljudov di “Resurrezione” e Ivan Il’ič sembrano smarriti nella dimensione religiosa della vita, Anna Karenina  (una crasi narrativa di Madame de Rênal ed Emma Bovary) è una bella che sbanda  tragicamente dallo stadio  etico a quello estetico, presa al laccio dei  frutti sublimi e amari dell’adulterio. Immensi sommovimenti psichici e sessuali sembrerebbe destare l’amore extraconiugale che oggi  “aggredisce” (o felix culpa!)  le coppie perlopiù intorno ai quarant’anni e ai tempi di Anna ai trenta; una forza  estetica inebriante non solo per i graditi e liberatori sensi di colpa che esso genera, per quel  lato avventuroso  e teatrale di sdoppiamento della personalità  di chi giocoforza deve recitare  due parti in commedia, ma soprattutto  per la “riscoperta”  e la reviviscenza del sesso infeltrito  dalle ambagi  del coniugio e dai gravosi impegni  “etici” dell’allevamento della prole che procurano ottundimento dei sensi e la  fatale clorosi della vita “estetica” dei primi anni matrimoniali quando i sensi scattavano come levrieri all’apertura dei cancelli. L’io tolstojano  come l’io di ogni grande artista è ovviamente frantumato in tutti i suoi personaggi e in tutt’e tre gli stadi dell’esistenza.  Tolstoj è Anna Karenina, è Pierre Bezukov, Levin,  Ivan Il’ič, Nechliudov e anche  Vronskij (l’avete visto nelle foto giovanili quant’era bello?).  Ma solo Tolstoj e i grandi artisti, o anche noi, si parva licet? Non accade anche a noi, in fondo, di attraversare per avventura romanzesca della  nostra esistenza o per adesione cosciente i tre stadi dell’esistenza?  Com’è anche vero che ci può toccare di essere  classici alle nove del mattino, romantici a mezzogiorno  e barocchi   o  decadenti alle ventuno, o se volete da giovani, nella maturità e nella vecchiaia, ad libitum. “Un io è come un club dove vecchi soci si dimettono e nuovi si iscrivono” avvertiva Gadda. Il giovane Petja Rostov  vive nello stadio estetico ed estatico della vita militare,  dimensione in cui perlopiù si racchiude la vita estetica di Tolstoj  in quanto uomo e narratore, si vedano  i “Racconti di Sebastopoli”.  A noi potrà sfuggire questa dimensione estetica della vita militare. Cosa può avere di estetico l’occupazione di dare morte agli altri a colpi di cannone? Nulla, ma la vita estetica cui qui si allude è quella dell’esuberanza dei corpi, quella  dei giovani conviventi nelle caserme che hanno consuetudine con le altrui nudità  nelle camerate, quella dei giovani soldati  alle prese con bevute  colossali (com’è normale esperienza  dello zapoj, le inenarrabili ciucche russe), che scommettono sulla propria resistenza   sui davanzali  delle finestre della camerate con sotto l’abisso in cui rischiano di schiantarsi, nel gioco ferale della roulette russa, che frequentano i bordelli, esperienza quest’ultima che segnerà di interrogativi angosciosi il Tolstoj di “Sonata a Kreutzer” quando si chiede se quelle stesse mani che hanno toccato le carni guaste e viziose delle prostitute sono le stesse che dovranno sfiorare  i visi angelici di fanciulle educate tra i merletti e spinette,  intente a singhiozzare davanti ad abissali e ridicoli amori romantici e che nulla sanno degli sperdimenti della carne, della sua fosca, sporca,  inebriante fisicità “estetica”. È bene ricordare che educazione sessuale ed educazione sentimentale divergevano per tutto l’Ottocento. Che i giovani maschi apprendevano l’Ars amandi e venivano iniziati sessualmente nei bordelli. Che questo tipo di iniziazione sessuale si è protratta almeno fino agli anni ’60 del ‘900 e che forse la generazione dei nati attorno agli anni ’40-50 del secolo scorso (quella del ’68 per intenderci) è stata la prima in assoluto in Occidente in cui educazione sentimentale ed educazione sessuale coincidono e sono avvenute contestualmente con coetanei. Ma prima di allora  la vita sessuale dei giovani fino al matrimonio, e per molti  anche dopo, si svolgeva  principalmente nei postriboli.
Tolstoj è il cantore dei tre stadi dell’esistenza così  bene “isolati” e descritti da Kierkegaard in tutta la sua opera. Enten Eller, aut aut o piuttosto et et? E benché lo stadio etico-matrimoniale sembra essere il proprium di questo grande artista che secondo Isaiah Berlin era una volpe che si credeva un istrice (ne sapeva tante di cose della vita e non una sola, e inoltre era una cosa e si credeva un’altra), si falserebbe la prospettiva  nel comprenderlo appieno se ci si fermasse solo a questo stadio come abbiamo visto. Ma la vita matrimoniale, quella che Kierkegaard ha intravisto con la sua Regina Olsen, è in Tolstoj materia perenne di canto. Tutti ricordano l’incipit di Anna Karenina. “Tutte le famiglie sono felici allo stesso modo ogni famiglia è infelice a modo proprio”. Ma che dire de “La felicità domestica”? che proprio l’elemento etico ed estetico sembra già coniugare nel titolo. E la vita coniugale nella sua forma ossessiva è al centro della indimenticabile “Sonata a Kreutzer” e in “Resurrezione”.  E se si pone mente alla trama di “Guerra e pace” si ricorderà che sono scoppiate mille granate, sono state attraversate decine di fiumi, combattute battaglie eroiche  senza fine, è morto Bolkonskij  in quel modo sublime che tutti abbiamo letto, ma  sembrerebbe che le monde existe pour aboutir une … famille. Tutta la storia e tutto il mondo esistono perché la tenera  Natasha e il pacioso, pacifico e meditabondo Bezukov possano sposarsi. La pace, dopo la guerra, l’idillio domestico di questa coppia dopo lo… scoppio delle granate, sembra che l’epos di tutto il romanzo si incanali e si acquieti in questo tranquillo tinello borghese. Sembra dire Tolstoj “ I drammi ci capitano, ma le tragedie dobbiamo meritarcele, come tutto ciò che è grande”.  Ma in mezzo  o dopo  eventi così perigliosi occupiamoci delle tartine e dei  bambini, perché a  essi  si deve  tornare dopo i grandi “cannoneggiamenti” della vita.
Alfio Squillaci
La frusta letteraria
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theoldbookwormsnest · 7 years ago
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La lettrice che partì inseguendo un lieto fine, Katarina Bivald
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Scheda del libro
Titolo originale Läsarna i Broken Wheel rekommenderar
Titolo italiano La lettrice che partì inseguendo un lieto fine
Autore Katarina Bivald
1ª ed. originale 21 Agosto 2013
1ª ed. italiana 2 settembre 2014
Editore Sperling & Kupfer
Pagine 408
Genere Narrativa Rosa
Lingua originale Swedish
Sinossi Se la vita fosse un romanzo, quella di Sara non sarebbe certo una storia d'avventura. In ventotto anni non ha mai lasciato la Svezia e nessun incontro del destino le ha scompigliato l'esistenza. Timida e insicura, si sente a suo agio soltanto in compagnia di un buon libro e i suoi migliori amici sono i personaggi nati dalla fantasia degli scrittori, che le fanno vivere indirettamente sogni, viaggi e passioni. Fino al giorno in cui riceve una lettera da una piccola città dal nome bizzarro, sperduta in mezzo all'Iowa: Broken Wheel. A scriverla è una certa Amy, sessantacinquenne americana che le invia – dalla propria vastissima biblioteca personale – un romanzo richiesto da Sara su un sito web. È così che inizia tra loro una corrispondenza affettuosa e sincera, che apre a Sara una finestra sulla vita: Amy le dimostra che è possibile amare la lettura senza per questo isolarsi dal mondo, perché è bello condividere ogni piccolo momento prezioso, anche se si tratta di un romanzo. E dopo un fitto scambio di lettere e libri durato due anni, Sara stessa trova finalmente il coraggio di attraversare l'oceano per incontrare l'amica lettrice. Tuttavia, come in un inatteso capovolgimento di trama, non c'è Amy ad attenderla: il suo finale, purtroppo, è giunto prima del previsto. Ci sono però tutti gli eccentrici abitanti di cui Amy le ha tanto parlato. E mentre loro si prendono cura della spaurita turista (la prima nella storia di Broken Wheel), Sara decide di ricambiare la gentilezza iniziandoli al piacere sconosciuto della lettura. Proprio lei, che ha sempre preferito i libri alle persone, in quella città di poche anime ma dal cuore grande troverà amicizia, amore ed emozioni da vivere sulla pelle: finalmente da vera protagonista della propria vita.
Dettagli
Inizio lettura: 27 Maggio
Fine lettura: 3 Giugno
Tempo di lettura: 11h x 181 p/m
Rating: ★★★★½
I say...
Questo è un libro che ti prende piano piano, che ti cresce addosso. E’ difficile riuscire a criticare un libro così bello.
Più che una storia d’amore tra due persone, è la storia di diversi tipi di amore. L’amore per la propria città, per i libri, per le proprie radici, per sé stessi, per i tuoi amici, per Dio, e perfino per una sconosciuta. L’amore che supera tutti gli ostacoli contro l’amore che ha avuto paura di sbocciare. Mi sono piaciuti tutti i personaggi, cosa assurda, e ho amato ciascuno di loro, con i loro pregi e i loro difetti.
I miei preferiti sono stati Caroline e Josh, e George. Ho adorato la loro storia.
E poi, non è carino che da “Cordiali saluti, Amy Harris” si arriva a “Cordiali saluti, Amy”?
Citazioni
Di nuovo sua madre: «Sara! Perché non rispondi alle nostre chiamate? Amy è una serial killer? So bene come vanno le cose negli Stati Uniti. Cerca di non farti squartare, non te lo perdonerei mai. Se non ti fai sentire immediatamente, telefono alla CIA». La voce del padre borbottò qualcosa in sottofondo. «FBI. Fa lo stesso.»
«La mamma ha tentato di tutto per farsi benvolere. Ci hai mai provato?» Sara ci pensò sopra prima di rispondere. «Non lo so», disse, anche se supponeva che tutti ci avessero provato, prima o poi. «Tanto è inutile», commentò Grace. «Se segui le loro regole, ti battono sempre. Come si dice: mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza. Lo stesso vale per il modo in cui uno decide di vivere la propria vita.» Spense il mozzicone nel posacenere già stracolmo. «Mai vivere la propria vita seguendo le regole fatte dagli idioti. Ti trascinano al loro livello, vincono loro e tu hai vissuto un’esistenza noiosissima.»
Quando ero più giovane, ero convinta che tutti gli anziani avessero alle spalle un’esistenza drammatica. Forse la pensavo così perché sono cresciuta in campagna. Qui ogni famiglia sembra avere dei segreti, gravidanze inspiegabili ed episodi spiacevoli con il trattore o la mietitrebbiatrice.
Gertrude fumava come una turca. E beveva pure. Né questo né la sua cucina (era un’appassionata di alimenti sottaceto, preferibilmente grassi) erano riusciti a ucciderla, con grande disappunto dei suoi due ex mariti. Fino a quando l’alimentazione e il fumo passivo avevano invece ammazzato loro. Era vedova. «Funerale», continuò Gertrude. «È durante un funerale che una cittadina dà il meglio di sé. È sempre bello quando succede qualcosa.»
«Non andavo a vedere la scuola da dieci anni», le rivelò con un sorriso, che lei ricambiò. Era bello aver condiviso insieme quel momento. «Be’», aggiunse continuando con voce allegra, «soprattutto per via del laboratorio di metanfetamine che c’era sul retro. Brutta gente, chi le produceva e chi le comprava.»
Ho patito qualche dolore, certo, ma mai più grande di quanto fossi in grado di tollerare. A volte sono convinta che non sia la dimensione della sofferenza a essere determinante, ma la forza con cui ci attanaglia. Forse ci sono persone più ricettive di altre, ma tutti lo diventiamo a periodi.
Non riconosceva più le costellazioni. Una sensazione liberatoria. Era tragico che la gente fosse così ossessionata dai modelli da cercare di soggiogare persino le stelle. Come il Grande Carro, per esempio: da piccola le sembrava magico, il cocchio trainato da quattro cavalli, scintillante e ricoperto di gioielli come in una fiaba; quando però aveva imparato a distinguerlo, le era parso più un banale carrello della spesa. Sette stelle che si trovavano a milioni di chilometri l’una dall’altra, costrette dagli umani a diventare un carrello della spesa. O una carrozzina a buon mercato.
Sara appoggiò il volume sul tavolino. «Jane Eyre». «Mi ero completamente dimenticata dell’intensità di quest’opera. Quando l’ho letta per la prima volta, sono rimasta sveglia quasi tutta la notte, rannicchiata per terra.» Tom diede un’occhiata alla copertina, che raffigurava una donna anonima, all’antica, di profilo. Grigia e noiosa. «È da sciocchi piangere quando si sa già che tutto andrà a finire bene. Ma è tristissimo quando lei scopre che lui è già sposato e che tiene la moglie segregata in soffitta, e lei si costringe a lasciarlo, e quell’idiota di suo cugino cerca di convincerla a sposarsi con lui, anche se non la ama e sa che lei non è abbastanza forte per lavorare nella missione. E l’argomento usato da quel cristiano ipocrita! Quando è soltanto l’ambizione a spingerlo e a volerla portare con sé in India a convertire la gente.» «L’importante è il lieto fine», commentò Tom senza riuscire a trattenere un sorriso. «Sì», replicò seria Sara. «Per lei, almeno. Il suo grande amore diventa cieco e perde una mano.» Tom si agitò sulla poltrona. «Ma felice», assicurò. «Lui poi ha avuto la sua Jane.» «Oddio», sussurrò Tom.
«Cosa state combinando voi due?» domandò George. Era iperprotettivo quando si trattava di Sara. «Vogliamo vedere per quanto tempo riesce a leggere senza fermarsi», rispose il più grande. «Non ci ha neanche notato», intervenne l’altro. George sbirciò incuriosito dentro il locale. «Da quant’è che siete qui?» «Un’ora.» «E non ha mai alzato gli occhi?» «No.» Il più giovane aggiunse: «Anche se le ho fatto le boccacce». George aggrottò la fronte, poi si allontanò dalla vetrina per paura che Sara lo vedesse proprio in quel momento e pensasse che fosse in combutta con quei due. «Rimarremo qui fino a quando non alzerà la testa», continuò spavaldo il ragazzino. «E cronometriamo il tempo, vero, Steven?»
«Chi cavolo ha voglia di starsene impalato a guardare una che legge?» commentò Grace sulla soglia della tavola calda. Si era accesa una sigaretta come scusa per poter spiare cosa stavano combinando. «E che altro c’è da fare?» replicò Steven. «In effetti…» concordò lei dopo un po’. «Avrete bisogno di cibo. Aiutami a portare fuori il grill. È nel cortile sul retro. Gli hamburger li offro io.»
«Ehi!» esclamò Steven quando Sara fece capolino dal negozio. «Fanno esattamente cinque ore e trentasette minuti.» Scoppiò un applauso generale.
Questo dimostra che forse ho ragione a proposito dei libri e degli esseri umani: i libri sono fantastici e trovano piena giustizia in una capanna in mezzo ai boschi, ma che divertimento si prova a leggere un’opera meravigliosa se non puoi consigliarla ad altri, parlarne e citarla? «La maggior parte di ciò che il mio vicino chiama bene, credo nella mia anima che sia male, e se c’è alcunché di cui mi pento, è molto probabilmente la mia buona condotta. Quale demone mi ha mai posseduto per farmi comportare così bene?» Non è una citazione meravigliosa? Mi piace in particolare l’idea che la buona condotta sia dovuta a qualche demone.
«Io non posso invitarlo a uscire», protestò lei. «Perché no?» «Credo mi ritenga…» «Sì?» disse Jen speranzosa. «Bella? Misteriosa? Interessante?» «Strana.»
«Ti ritengo personalmente responsabile delle conseguenze», disse Carl. «Mi darete parte degli incassi?» «Se prendi il mio posto, avrai metà del regno e il mio primo figlio maschio.» «Sei gay», gli ricordò Sara. «Possiamo adottare.» «Non voglio bambini.» «Il mio regno?» Sara rise. «Sì, chiamatemi regina Sara.»
Decise di leggere un capitolo, soltanto per capire di che cosa si trattasse. Avrebbe potuto giurare che il libro stesse ridendo di lei quando alla fine lo afferrò. «Se gli altri libri sono insolenti come te, non mi sorprende affatto che per secoli vi abbiano messi al rogo», sbottò ad alta voce. Quelle parole fecero ammutolire l’accusato.
Ma come si faceva a diventare una persona che aveva sogni e obiettivi nella vita? Sara temeva di essersi lasciata sfuggire il momento in cui l’esistenza avrebbe dovuto cominciare per davvero. L’aveva percorsa leggendo e, fino a quando tutti erano stati adolescenti, infelici e ridicoli, non c’erano stati problemi; ma di colpo gli altri erano cresciuti, mentre lei… lei aveva continuato a leggere.
«Ci credi a quelle cose lì? A quei romanzetti rosa tutto romanticismo e scemenze del genere?» Oppure: «Perché indossa dei vestiti così stupidi? Saresti mai andata a letto con uno che ha i capelli lunghi e porta una camicia di seta viola? Viola! Di seta! Oltretutto sbottonata!»
Josh lo tranquillizzò: «Posso assicurarti che Caroline non è innamorata di me». «Ah, no?» Andy parve deluso. «No», ripeté Josh. «Mi usa solo per il sesso.»
«Lo so!» sbottò Josh, dimenticandosi per un attimo di mostrarsi pentito. «Ma mi hanno provocato», si giustificò. «Non puoi prenderlo come un complimento?» azzardò. «La donna matura che tiene i giovani in pugno?…» Notando lo sguardo di Caroline, si fermò. «Forse no.» «Forse no», ripeté lei.
Gavin Jones sollevò gli occhi dai suoi appunti. Dall’altra parte del vetro divisorio a specchio, le persone nella sala d’aspetto non potevano vederlo. Non sapeva perché chi aveva costruito quel locale si fosse permesso certe stravaganze, ma quella in particolare gli diede l’opportunità di prendersi del tempo per osservarli. Sembrava un caso semplice, ma lì fuori c’era una folla di potenziali fuori di testa che lo riempivano di orrore. Aveva il forte presentimento che nulla fosse semplice, quando si trattava di Broken Wheel. […] «Da chi iniziamo?» si informò l’agente accanto a lui. «Dal fucile? Il parroco? Il penoso abito da sposa?» Sembrava trovare la faccenda divertente. «Siamo solo amici», rispose subito Caroline, anche se la sua voce tradì un briciolo di tristezza. «Eh no, maledizione!» Caroline si voltò verso Josh. Non era da lui essere così scortese. Le sue mani cominciarono a tremare e lei fu costretta a intrecciarle sul grembo per non darlo a vedere. «Siamo amici, no?…» tentò incerta. «Ti ho detto che ho cambiato idea», sbottò lui. Mi ha detto che ha cambiato idea, pensò lei. Non che non siamo amici. Josh continuò a fissarla e lei distolse lo sguardo. Si costrinse a deglutire e replicò con più calma possibile: «Naturalmente. Forse è meglio così». «Non ho intenzione di andare a Denver e lasciarti in pace solo per facilitarti la vita», riprese lui. «Non è questo il punto dell’amore? Rendere la vita più interessante?» Caroline abbozzò un sorrisetto suo malgrado. «Più interessante, certo», annuì. Josh la guardò irritato. Era molto attraente quando era arrabbiato. «Sarà complicato, sbagliato e strano! Che gli altri ridano pure, se vogliono. Significa solo che stiamo vivendo una vita più intensa della loro.» Caroline tentò di seguire l’evoluzione inaspettata di quel discorso, ma non ci riuscì e rimase in silenzio. «Al mondo esistono due tipi di persone, Caroline: quelle che vivono e quelle che deridono. E, per quanto tu cerchi di fingere di essere triste e noiosa, non lo sei. Devi solo imparare a convivere con l’idea di essere più tenace degli altri. L’unica cosa davvero codarda che ti ho visto fare è lasciarmi.» Il suo sguardo si fece combattivo. «E non ho intenzione di permetterlo. Mi rifiuto.» «Forse», mormorò Caroline con cautela. «Forse?» le fece eco. «Non no?» «Sì.» Caroline sorrise. «Non no.»
«Credo di averti amata sin dalla prima volta che mi hai detto di preferire i libri a me.» Tom ci pensò su. «O forse da quando ti sei offerta di lavare i piatti in cambio di una birra.» «Era una proposta ragionevole!» protestò lei.
E gran parte di quella felicità sembrava provenire dalla consapevolezza di essere riusciti a imbrogliare le autorità. Come ai bei vecchi tempi, aveva detto Grace, e Jen era parsa d’accordo. A essere sinceri, più che d’accordo: il suo sguardo compiaciuto pareva dire che, quando era lei a occuparsi dell’organizzazione, nemmeno una cosuccia da niente come le leggi statunitensi sull’immigrazione poteva mandare a monte i suoi piani.
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gwamch · 5 years ago
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A ME PIACE LEGGERE LIBRI
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So di non essere originale nel dire che mi piace leggere libri. Immagino, anzi sono certo, che questa sana passione abbia tanti seguaci. Ma, ne voglio parlare lo stesso per condividere alcuni spunti ed esperienze. La voglia di leggere un libro a me sembra giusto definirla una passione, perché tale è! Anche se questo è un blog all'interno di un sito di una società finanziaria e quindi si dovrebbero trattare solo argomenti attinenti all'economia, alla finanza, alla gestione di patrimoni... mi sono chiesto: Ma perchè? Perchè parlare solo di queste cose? Lo so che chi entra in un sito tematico come il nostro lo fa per trovare argomenti o risposte su quel tema, per trovare risposte a domande tipo: Avrò diversificato bene i miei risparmi? Come si fa ad aprire un conto in Svizzera? Qual è la vostra politica e modalità di investimento? E così di seguito. Ma so anche che che colui che scrive è una Persona, un Uomo o una Donna, un essere vivente con i suoi hobby e i suoi interessi. Ecco io vorrei trovare il modo di parlare alla “persona” di altri argomenti che probabilmente ci accomunano. Per me il cliente non è un numero. Tutti i miei clienti lo sono per come faccio/facciamo il nostro lavoro, ma lo sono anche perché sono diventati “amici” con i quali condividiamo uno o più degli interessi extra-lavoro. Per questo, in aggiunta agli obbligatori argomenti finanziari, ogni tanto racconterò di cose ed esperienze e passioni ed hobby della mia vita. Se vi interessano leggeteli, se non interessano, passate oltre (tanto questo lo fate già, nel senso, che è quello che facciamo tutti: se ci interessa ci fermiamo, sennò..clic!) Oggi parliamo di alcuni libri che ho trovato particolarmente avvincenti e che di cui consiglio la lettura in particolare nel periodo che stiamo vivendo. A me piace leggere libri Si comincia a leggere, sicuramente da giovani, ai tempi della scuola, quasi per forza, come attività quindi abbinata allo studio. Ma poi, diventa una passione. Scatta quel non so che tipico delle emozioni non controllabili per cui non puoi non avere - anzi devi assolutamente avere - un libro tra le mani. È così che va. Chi lo prova lo sa. E (forse per questo che sto per scrivere rimango della vecchia guardia) deve per forza essere un libro fatto di carta. Il suo profumo, la sua foggia, la sua copertina, la sovra copertina. È bello coccolarselo prima di aprirlo. È bello sfogliarlo, riprenderlo e riporlo. Portarselo in giro, oppure sapere semplicemente che c’è e che ti aspetta a casa, in salotto o sul comodino, pronto per essere ripreso in mano e letto. So che i cultori della praticità, e forse di questi tempi anche dell’igiene, parlerebbero ore della comodità e della sostenibilità degli e-book. Ma io rimango della mia vetusta idea: contro un bel libro di carta non c’è confronto! Fin dalla gioventù, nel leggere libri ho conservato un’abitudine che non sono mai riuscito a togliermi, anche se ad onor del vero non ho fatto nulla per togliermela, anzi me la sono tenuta ben stretta. Di cosa sto parlando? Mi sono tenuto l’approccio dello studio, e quindi quando mi metto a leggere libri devo avere una matita in mano e ...sottolineo! Ebbene sì! Sottolineo! Se trovo una frase che mi colpisce e quindi degna di essere riletta o ragionata o ricordata, io la premio sottolineandola. Ma sapete che bello, dopo anni e anni riprendere dallo scaffale libreria uno qualsiasi dei libri letti anni addietro, risfogliarlo e ritrovare le frasi sottolineate? Rileggerle, ricordare, verificare se le sottolineerei ancora o sorridere a cosa davo importanza a quell’età! Bello. Tutto questo a me piace, è sempre piaciuto. Anche perché, non so voi, ma nel corso degli anni io poi ricordo spesso solo il tema e la trama delle cose lette ma perdo nella memoria tante frasi significative. Ecco, è veramente piacevole rileggerle, ritrovandole pressoché subito. Un’altra particolarità del mio stile, del mio metodo nel leggere libri, che anch’essa mi porto appresso fin dall’inizio, è che, se leggo, leggo. Cosa intendo dire? Intendo dire che non posso, o meglio, non riesco a leggere, come dire, distrattamente o talvolta qua e là. Non riesco a leggere solo due o tre pagine prima di dormire; oppure lungo i tragitti della metro; oppure nei ritagli di tempo. Se leggo, leggo! Lo devo finire! Mi prendo il tempo che serve e..leggo!! Nel mio leggere libri sono sempre stato ondivago, ma con un’accezione positiva, nel senso che ho sempre spaziato un po’ in tutti i campi. Le scelte di lettura hanno sempre coinciso con specifici periodi della vita. Ho ovviamente iniziato con i Grandi Classici, che ora mi sto ritrovando a rileggere in età adulta. Meritano assolutamente di essere riletti. Ho già capito che ci vuole più tempo a disposizione per riapprezzarli adeguatamente, per cui so che andando avanti con gli anni sarà uno dei miei principali doveri. Poi progressivamente, ho letto tanta narrativa, in particolare e di preferenza di autori italiani o nordamericani. Son passato dal periodo dei Gialli. Tutti gli Autori maestri del giallo. Imperdibili. Qualcuno talvolta prevedibile nel finale, ma sempre molto ricchi di situazioni e colpi di scena. Qua e là nel corso degli anni, collegato anche ad interessi e fatti della vita, mi sono trovato a leggere libri: leggere testi collegati all’approfondimento professionale (anche questo, seppur sia un atto dovuto, secondo me vuol dire leggere libri); leggere libri di saggistica su temi che non si potevano perdere, dai casi di attualità a specifici approfondimenti tematici. Tutti sempre molto molto utili ed interessanti; leggere libri di storia. Ma quanto insegnano i libri di storia!!; leggere libri sullo sport (quello che stavo praticando); leggere libri di argomenti collegati al cibo e all’alimentazione. Questi almeno una volta vanno letti. Per evitarli, c’è sovente l’alibi che dicano cose che sappiamo già, ma non è quasi mai così vero. Inoltre, insegnano a come darsi delle regole a tavola; leggere libri di storie vere, di biografie di personaggi anche recenti. A me ha sempre incuriosito sapere cosa c’è dietro a certe persone e soprattutto come sono diventati personaggi. In questo periodo di forzata permanenza a casa, sto per esempio leggendo quattro libri che mi ha regalato l’Autore stesso, con dedica (di cui vado orgoglioso). Si tratta di un argomento dei nostri tempi. L’esperienza diretta di un Sindaco di una grande Città. L’Autore è Gabriele Albertini, Sindaco di Milano per due mandati dal 1997 al 2006. Ho già letto: Titolo: “Sindaco senza frontiere. Fatti e idee per un condominio globale” – Autore: Gabriele Albertini Titolo: “La lezione di Milano” – Autore: Gabriele Albertini Titolo: “Nella stanza del Sindaco. Nove anni al governo di una metropoli che cambia” – Autore: Gabriele Albertini con Carlo Maria Lomartire Sto leggendo: Titolo: “L’onestà al potere. La rivoluzione del Buon Governo. Albertini, l’impolitico che ha cambiato la politica” – Autore: Roberto Gelmini Li ho praticamente “bevuti”.
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È stata una lettura che è scorsa veloce ma che mi ha preso ed appassionato pagina dopo pagina, perché parla di avvenimenti che stavano succedendo proprio dove vivevo mentre io (come qualsiasi altro cittadino normale) stavo facendo altro. Ma dove, poi, i risultati si sono visti e sono ancora visivi. Le cose vanno fatte accadere, con lungimiranza, metodo, onestà. E questo è quello che ha fatto il Sindaco Gabriele Albertini. La pacatezza unita a fermezza dei suoi giudizi sulle persone e fatti, sono stati un piacere per la lettura nonché spunto di riflessioni ed insegnamento, per analogia, sui comportamenti da adottare in situazioni in cui mi posso trovare nella mia attività professionale.   Read the full article
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bosummers · 5 years ago
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"26 DICEMBRE, si “FESTEGGIA” la nascita dell’ANTISEMITISMO CRISTIANISTA PALESTINESE!!!!
Oggi è il 26 Dicembre, ed è FESTA NAZIONALE COMANDATA, ed è una FESTA RELIGIOSA. Certo, sarà anche bello non dover andare al lavoro (per chi lavora, che non si sa più se è un bene o un male assoluto), e va bene, passi…. Ma lo sai almeno cosa stiamo “festeggiando”??
Festeggiamo “SANTO STEFANO PROTOMARTIRE”. Proto/martire, il primo martire della DITTATURA MONOTEISTA PALESTINESE che dura da poco meno di 2000 anni….
Ebbene, chi era costui???
era uno dei primi 7 diaconi definiti dagli apostoli per fare politica mascherata da “attività sociale benefica”, quella di cui Bergoglio va cianciando a favore dei “confratelli in crimine” islamisti, cioè quelli che secondo la retorica fascista ci starebbero “invadendo”.
Allora, fuori dalle favolette, facciamo un po’ di storia vera. delle tre religioni abramitiche, AV-RA-HAM, la prima ad essere stata “creata” fu quella Giudaica, circa 4mila anni fa (duemila anni prima dell’invenzione di Cristo).
Anche se la religione giudaica sostiene di esistere fin dalla “creazione”, come del resto sostengono anche le altre due, è evidente che fu creata 2000 anni prima della nascita del cristianesimo.
Ora, senza andare troppo nel dettaglio (ma lo faremo), la situazione politica della PALESTINA di duemila anni fa era molto instabile. Il territorio era occupato dalle truppe romane, che in termini religiosi sono decisamente laiche.
Quando Roma conquista un territorio, impone tasse (per costruire sovrastrutture, ma anche, logicamente, per portare ricchezza in città), ma lascia la lingua, gli usi e costumi locali in essere, e soprattutto la religione locale.
Il motivo, estremamente SAGGIO (e che non farà mai praticamente più nessun’altro dopo, il che sarebbe un motivo sufficiente per essere a favore di ROMA invece che “di sinistra o “anticapitalist*”, ma ne riparleremo) è quello di NON creare risentimento nelle popolazioni locali, che possa poi fomentare rivolte.
Motivo logico, militarmente e politicamente, ma “laico avveduto, saggio, perfino “democratico”, diremmo oggi.
I romani però non sapevano ancora di avere a che fare colla peggiore ideologia del male che sia mai sbocciata sul pianeta terra, al cui confronto il nazismo è stato solo un gioco da pallidi imitatori dilettanti.
Quindi in sostanza all’epoca la religione dominante in PALESTINA era il GIUDAISMO, cioè’ la versione ebraica del monoteismo di YHWH, di Dio insomma.
Ma all’interno del giudaismo esistevano varie sette politiche, con sfere ideologiche e di influenza diverse. Tra queste le più forti erano quelle degli ZELOTI, degli ESSENI, dei SAMARITANI, dei FARISEI..
La setta dei BATTISTI ad esempio non si ispirava purtroppo al più grande cantante della storia della musica italiana (oltre a DEMETRIO STRATOS), ma a quel GIOVANNI BATTISTA che molti storici ritengono essere il personaggio storico realmente esistito su cui poi gli “evangelisti” plasmarono l’invenzione della figura di Gesù Cristo, molto anni dopo…
Ora, anzi “allora”, queste sette andavano tutte in giro a fare opera di conversione presso i Giudei più ortodossi, e lo facevano con le tecniche ancora in uso ora, cioè distribuzione di cibo e vestiario, o altri beni, la famosa TECNICA BUONISTA DELLA SOLIDARIETA’ finalizzata politicamente a altro..
Uno di questi, probabilmente mai esistito, o meglio creato a posteriori, era, nella tradizione evangelica degli Atti degli Apostoli, un ebreo ellenico di nome Stephanos, parola che in greco significa CORONA (non la Birra, purtroppo), e che rappresenta appunto la raffigurazione del MARTIRIO (anche Cristo quando trascina la croce sul monte Golgotha infatti indossa la “corona”).
Quindi evidente dalla simbologia, è tutto inventato a posteriori.
Perciò la favola degli Atti degli Apostoli continua raccontando che costui portava cibo, aiuto e sostegni alle vedove greche in palestina, che venivano discriminatate dagli EBREI CATTIVI, a favore delle vedove ebree che ricevevano “approcci e welfare STATALE”.
Quindi un santo, una figura eccezionale, “ovviamente devoto alla causa del cristianesimo” (che peraltro ancora non era stato formulato), e pure il primo a fare MIRACOLI dopo Gesù’ Cristo.
Quindi costui facendo DEL BENE a povere donne PERSEGUITATE DAGLI EBREI CATTIVI, diventa il primo SIMBOLO VIVENTE DELL’ANTISEMITISMO.
La narrativa degli Atti degli Apostoli continua raccontando che a causa di ciò il SINEDRIO, che sarebbe “l’autorità ebraica in territorio palestinese” dell’epoca in seno al governo romano, lo accusa ingiustamente di BLASFEMIA, e lo condanna alla LAPIDAZIONE. perciò costui, probabilmente mai esistito, MUORE COME PRIMO MARTIRE CRISTIANISTA…
Ma martire di cosa??
Semplice, della lotta di questa setta, contro gli EBREI ORTODOSSI del tempo.
In pratica quindi il 26 DICEMBRE si “festeggia” la nascita del preconcetto ANTISIONISTA, della discriminazione dell’odio contro gli ebrei, che dura da duemila anni, e che crea una linea diretta che dalle SETTE CSRISTIANISTE arriva fino al NAZISMO….
E la costruzione falsificata, costruita ad arte di questa narrativa antiebraica, e’ frutto di un’altra linea diretta che da GLI ATTI DEGLI APOSTOLI arriva fino ai PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION.
Curioso notare inoltre che in questa narrativa falsificante, costruita davvero ad arte e piena di simbologie esoteriche, si racconta anche che uno dei testimoni della lapidazione del nostro futuro SANTO MARTIRE (ripeto, probabilmente inesistente) STEFANO CORONA (anche un’altro Corona, martire del berlusconismo, potrebbe essere beatificato da Bergoglio, quindi qui glielo suggeriamo ufficialmente, tanto, visto che si santifica la peggio feccia…), sia un membro della setta cristianista dei FARISEI, un certo PAOLO DI TARSO che successivamente diventerà uno dei peggiori criminali della storia del cristianismo, cioè colui che portò per primo questa dottrina TERRORISTA TEOCRATICA E TOTALITARIA di una SETTA PALESTINESE ANTIEBRAICA, proprio a ROMA, dove ci sta come FORZA DI OCCUPAZIONE COLONIALE da circa 2000 anni.
Questo con buona pace della narrativa fascista contro “l’invasione dei migranti islamici”, quando la vera invasione da parte di un corpo estraneo fu proprio quella PALESTINESE che i fascisti tanto amano, insieme in logicissimi termini (VA) ai loro falsi nemici comunisti, coi cui condividono anche L’ODIO PER GLI EBREI, opps, scusate, SIONISTI!!!
E questo perché in termini (VA), tutto esiste in funzione del suo contrario, perché tutto nel COSTRUTTO MAGICO/IDEOLOGICO è esattamente il suo contrario, anche se finge tutt’altro….
E il collante d’unione smascherato dal (VA) del falso dualismo fascismo/comunismo è proprio il terzo incomodo abramitico del GIUDAISMO, il capro espiatorio del cristianismo panarabo (e successivamente del patto dei Fratelli Musulmani tra Islam e Nazismo), rivelatosi nella creazione quindi dell’ANTISEMITISMO.
Ora io mi chiedo sinceramente come faccia la Comunità Ebraica Italiana, e Romana in particolare (e di questa centralità di Roma riparleremo molto presto), ad accettare che IL GIORNO IN CUI SI PRATICAMENTE FESTEGGIA LA NASCITA DELL’ANTISEMITISMO, sia FESTA NAZIONALE RELIGIOSA, sancita dallo Stato italiano.
Anche perché, nota bene, la Festa di Santo Stefano del 26 Dicembre non è un mito arcaico, una “tradizione millenaria” o quant’altro, ma è stata istituita nel non certo lontano 1949!!!!!
E’ necessario quindi un lavoro di decostruzione sul mito delle “radici cristiane dell’Europa”, MAI ESISTITE, perché la realtà invece è che le radici libertarie & libertine, pagane & gaudenti originali greco-romane sono state soppiantate dall’invasione e colonizzazione di una setta terroristica palestinese che nulla ha a che fare con la nostra storia e i nostri valori di vita e libertà (e anche sessualità) più profondi, decisamente anticristianisti!!!
Helena Helena
(VA) – DEE CYBORG
X B@CCO!
ascolto consigliato: Necros Christos – Necromantic Doom (2002) (blackened death doom metal tedesco)"
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thediamondage · 8 years ago
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#LoSpiegone riassunto di quel che accade in Venezuela (ok, se credete al Il Manifesto lasciate perdere)
E così in Venezuela siamo arrivati a quota 29 morti. Un dramma. Ma oltre a parlarne poco c'è una cosa che in Italia non si capisce. Perchè? Perchè in Venezuela ci sono queste proteste? Si, ormai il governo è una dittatura ed è giusto ribellarsi in nome della libertà, ma anche in altri paesi esistono dittature. Perchè qui la gente è particolarmente arrabbiata? La ragione è invero abbastanza semplice: il Venezuela chavista e anticapitalista è ridotto alla fame http://www.affaritaliani.it/esteri/venezuela-paese-alla-fame-maduro-un-presidente-fallito-475346.html Come riferiva anche radiovaticana a gennaio in Venezuela mancano i viveri di prima necessità e la gente è costretta a rovistare nella spazzatura in cerca di cibo http://it.radiovaticana.va/news/2017/01/16/venezuela_vescovi_denunciano_grave_carenza_cibo_e_farmaci/1285927 La narrativa italiana , ovvero del paese più anticapitalista d'europa e con le idee economiche più vicine a quelle praticate in Venezuela scarica la colpa sul calo del prezzo petrolio . Bisogna dirlo a chiare lettere: balle. Sono tutte balle. Come avevamo visto in passato la scarsità di cibo è iniziata almeno dal 2011-2012 , ovvero quando il prezzo del petrolio era a 120$ al barile, come mostra questo reportage del dicembre 2011 della Cnn http://edition.cnn.com/2011/12/13/world/americas/venezuela-food-shortages/ Ribadiamo : scarsità di cibo che iniziava a manifestarsi già nel 2011 col prezzo del petrolio a 120 dollari al barile. No , la colpa è unicamente della politica economica e monetaria venezuelana . Ma come riesce un governo , per quanto anticapitalista e incapace possa essere , a portare alla fame un paese nel giro di pochi anni ? Attraverso due semplici concetti : SOVRANITA' MONETARIA e DEFICIT PUBBLICO. A cui si aggiunge il blocco dei prezzi. Vediamo come , sperando possa essere in qualche modo utile al chiarimento di alcune idee : 1) Il governo sta facendo enormi deficit di bilancio , ovvero la spesa pubblica è fuori controllo . 2) Non riuscendo a coprire con le tasse questi deficit , si fa stampare gli importi necessari dalla banca centrale ( stampa di moneta ) . 3) La stampa di moneta provoca una inflazione elevatissima ( siamo oltre il 1000% annuo e a livelli presto incalcolabili ). 4) L'iperinflazione abbatte il potere d'acquisto delle classi meno abbienti impoverendole . 5) Per evitare l'impoverimento ulteriore della propria base elettorale , il governo venezuelano ha imposto il blocco dei prezzi dei beni di prima necessità per legge . 6) Ma essendo il creatore dell'inflazione il governo stesso con la stampa di moneta , abbiamo da un lato che i prezzi dei beni di produzione continuano a salire ( l'inflazione colpisce infatti ovviamente anche i costi di produzione ) , ma dall'altro i prezzi di vendita dei beni vengono bloccati , col risultato che i conti delle aziende vengono mandati sistematicamente in rosso . E' semplice : le aziende venezuelane sono costrette a produrre a costi pari a 100 e vendere a 50 . Risultato ovvio : conti in profondo rosso. 7) Con i conti in rosso le aziende falliscono e altrettanto ovviamente : smettono di produrre . 8) Se le aziende smettono di produrre beni , questi entro breve termine spariranno . Punto . Sovranità monetaria , deficit pubblico e blocco dei prezzi . Ecco a voi servita una bella carestia . E ovviamente questo processo non è una novità . Le leggi dell'economia valgono sempre , sia temporalmente che spazialmente , e pure in sistemi economici non capitalisti . Non a caso lo stesso meccanismo ha operato nella Francia rivoluzionaria del 1790 , nell'Urss del 1929-1934 e nello Zimbabwe del 2008 . L'ovvia alternativa sarebbe non bloccare i prezzi permettendo alle aziende di rimanere almeno in pareggio, ma questo sarebbe politicamente insostenibile per un regime che basa il suo consenso sull'aiuto alle classi meno abbienti, in quanto dovrebbe accettare prezzi nominali elevati dei beni di prima necessità. Ecco allora che i governi più anticapitalisti e decisamente meno intelligenti, in questa situazione, generalmente preferiscono scaricare l'inflazione che loro stessi creano dal lato dell'offerta piuttosto che della domanda. Ma come detto così facendo semplicemente condannano il paese alla carestia e quindi alla fame esattamente le classi sociali che vorrebbero difendere. Meditate gente , meditate . Che sul tema della sovranità monetaria in Italia se ne sparano di belle grosse. E il passaggio dalle belle parole alle code infinite fuori dai supermercati è molto breve. Post di Massimo Fontana
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pangeanews · 6 years ago
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Gene Wolfe, l’uomo delle Pringles che divenne “il Proust della fantascienza” (e non è una presa per i fondelli)
Una storia mi colpisce e mi pare, per così dire, pasquale. Ma tutto parte, come quasi tutto, da un effluvio narcisista.
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Intanto, il titolo. Gene Wolfe Was the Proust of Science Fiction. Faccio due constatazioni rapide. Gene Wolfe. Non lo conosco. Posso non conoscere uno che è giudicato “il Marcel Proust della fantascienza”? Secondo. Mi stanno prendendo per il culo. Leggo. Beh. L’articolo è un articolone, uscito su The New Republic, a firma di Jeet Heer. I dettagli critici intorno a uno scrittore che, come dicono, ha mescolato pulp, letteratura modernista e teologia cattolica, sono interessanti. Ingurgito a tonnellate la mia ignoranza.
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Procedo. Neil Gaiman, qualche anno fa, era il 2011, quando il Guardian gli chiese chi fosse il suo eroe e il suo maestro non ebbe timori e con micidiale tempismo disse. Gene Wolfe. “Resta il mio eroe perché continua a inventare nuovi modi e nuovi mondi per la scrittura e resta ancora così gentile e paziente con me, come quando ero ragazzo. È il migliore scrittore americano vivente di fantascienza – è, probabilmente, il migliore scrittore americano vivente in assoluto. In troppi non lo conoscono. Gene se ne frega. Continua a scrivere”.
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Poi c’è Ursula K. Le Guin, insomma, una che sa cos’è la fantascienza e ha detto, “Gene Wolfe è il nostro Melville”. Non conoscerlo, a questo punto, mi pare una offesa verso me stesso.
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In Italia non si sono strappati le vesti per la morte di Gene Wolfe, il Proust della fantascienza. Anzi. Io non ho visto paginate o paginoni. Gene Wolfe è morto mentre la cattedrale di Notre-Dame avvampava. I fan hanno trovato diverse pagine in cui, nei suoi libri, è descritta una basilica in fiamme. E hanno tracciato delle astrologiche connessioni tra la sua morte e Notre-Dame che lacrima fuoco.
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In Italia, si è potuto leggere Gene Wolfe negli anni Novanta, grazie all’Editrice Nord, e poi grazie a Fanucci, che nel 2012 pubblica i cinque libri del ciclo “Il libro del Nuovo Sole”, edito in origine tra 1980 e 1987, che ha fatto la fama di Wolfe.
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La storia di Gene Wolfe, tra l’altro, è affascinante. Nato a New York, studi in Texas, impiegato come militare in Corea, ne torna segnato assai. Per la prima parte della sua vita fa l’ingegnere – completa gli studi all’Università di Houston – e perfeziona la macchina che serve a fare le Pringles, le patatine. Se vedete la faccia impressa sul tubo delle Pringles – tonda e baffuta – pare proprio la sua. Negli anni Settanta comincia una ricerca personale acuminata, che lo porta a convertirsi al cattolicesimo. Contestualmente, a 45 anni, comincia a vincere i primi Nebula Award per il racconto e per il romanzo e decide di dedicarsi interamente alla narrativa.
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“Sensibilità letteraria, precisione e la potenza analitica di un Proust sono adagiati su cloni, robot, mostri a sei braccia e tutto l’immaginario pulp”, ha scritto un critico. “Sono uno scrittore cattolico, come molti, ma non scrivo libri cattolici”, ha detto lui.
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Il genio di Gene Wolfe è dato dal fatto che i suoi romanzi di fantascienza sono stratificati, una geologia della lettura. “La serie ‘Il libro del Nuovo Sole’ può essere letta come una semplice avventura che traccia il viaggio di Severian da apprendista torturatore a esiliato politico… ad un altro livello è il tentativo di tradurre teologia ed escatologia nel linguaggio della finzione fantascientifica”.
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Gene Wolfe traduce in pratica letteraria la statura esegetica. Il testo biblico, infatti, va colto ‘alla lettera’, ma anche perché è lettera per lo spirito. Ha un senso superficiale, ‘carnale’, e uno sottocutaneo, ‘spirituale’, e uno ancora riposto, in cui riposa la profezia.
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Ogni gesto è comunque linguistico. Anche Wolfe è un inventore di linguaggi: quello del suo mondo si chiama “Ascian”, che nell’etimologia greca presunta vuol dire “senza ombra”.
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Pratica eucaristica della letteratura: quel cibo si mangia davvero ma è davvero altra cosa dal cibo. Dici che è carne e il pane è veramente carne, così il vino riluce in sangue. Allo stesso modo, il fatto letterario: è ciò che leggi, è ciò che interpreti, è, soprattutto, un atto di ringraziamento, una grazia. Mi piace questo Gene Wolfe. I suoi libri sono belli, eucarsitici. (d.b.)
L'articolo Gene Wolfe, l’uomo delle Pringles che divenne “il Proust della fantascienza” (e non è una presa per i fondelli) proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2Xw5AML
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internazionalevitalista · 5 years ago
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Un programma rivoluzionario per la sopravvivenza
Intervista a Rent Strike 2020 e 5demands.global
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1) Parlaci dei 5 punti. Lo sciopero dell'affitto 2020 sembra esserne la logica conseguenza.
I cinque punti sono semplici. Rispondono direttamente ai bisogni delle persone per sopravvivere a questa pandemia.
Sanità gratuita. Nel nostro paese il sistema sanitario pubblico è misero se non assente. Le persone moriranno di mancanza di accesso alle cure mediche di base. Il nostro sistema privatizzato è già sovraccarico nei maggiori centri urbani. Abbiamo bisogno di test ampiamente disponibili, abbiamo bisogno di un equipaggiamento protettivo adeguato per gli operatori in prima linea, e abbiamo bisogno di una corretta informazione sul virus. In America il governo mente sul numero dei casi, perché nessuno può permettersi di sottoporsi al test.
Stop lavoro. Il nostro governo ha apertamente dichiarato che intende sacrificare le nostre vite per garantire stabilità all'economia. Questo è inaccettabile. Noi sappiamo che fermare le produzioni non essenziali può drasticamente ridurre l'espansione del contagio. Non ritorneremo al lavoro se questo significa ammalarci, o far ammalare. Non rischieremo le nostre vite per la classe capitalista.
Non pagare. Milioni di Americani hanno perso i loro posti di lavoro in queste settimane. Fin tanto che la crisi persiste, rifiutiamo di pagare l'affitto, le forniture, od ogni altra basica necessità vitale. Nessuno deve essere forzato a scegliere tra pagare l'affitto o provvedere al cibo per la propria famiglia.
Fuori tutti i prigionieri. Le prigioni sono focolai preferenziali per l'espansione del virus, e l'America ha il maggiore sistema carcerario al mondo. I prigionieri mancano persino delle cure più elementari. Rikers Island, una prigione di New York City, ha ora il più alto tasso al mondo di contagio da Covid-19 ogni 1000 persone. Il primo detenuto morto di Covid-19 negli Stati Uniti scontava una pena di anni per un reato di droga senza alcuna contestazione di atti violenti. Il Covid-19 nelle carceri è una sentenza di morte - chiediamo che i nostri amici e i nostri parenti siano liberati.  
Case per tutti. Nel nostro paese ci sono case vuote a sufficienza per dare un tetto a tutti. Le persone che dormono per le strade sono le più esposte, e le ultime a ricevere cure mediche adeguate. Ogni singola stanza di hotel vuota dovrebbe essere requisita per offrire un rifugio a chi ne ha bisogno. Se lo stato non può garantire adeguata protezione ai più vulnerabili nella nostra società, occuperemo noi stessi questi edifici, e li requisiremo per la comunità. Con questi cinque punti, mettiamo in luce con chiarezza la crudeltà del nostro governo e dell'economia, cui non interessa se viviamo o moriamo. I Cinque Punti sono un programma rivoluzionario di sopravvivenza.
2) Gli Stati Uniti sono un vasto e grande paese: che cosa significa svilupparvi un coordinamento? Emergono specificità? Che situazione c'è sul tuo territorio?
Gli Stati Uniti sono un grosso paese ma i problemi che gli Americani affrontano sono gli stessi ovunque: povertà, mancanza di accesso alle medicine, un governo che rifiuta di agire. Non è difficile coordinarsi su un territorio tanto vasto - tutto ciò di cui si ha bisogno è internet, e un linguaggio che parli alle persone. Alcuni Stati sono stati rapidi nell'imporre quarantene e congelamento delle produzioni. Dove viviamo noi - nel Sud - il governo ha rifiutato di intervenire. Molte persone moriranno, qui.
3) Come funziona la campagna? Meme, social, piattaforme, quali sono gli strumenti?
Chiunque controlla i meme controlla la narrativa. Il Canada è stato il primo paese in cui è stato lanciato lo sciopero dell'affitto e i compagni a Montreal hanno tirato fuori un bel segno comune: mettere fuori dalla finestra un lenzuolo bianco per segnalare la solidarietà con lo sciopero. Come il gilet giallo in Francia, un lenzuolo bianco è qualcosa che praticamente tutti hanno in casa. Da allora, il segnale è dilagato rapidamente per l'America. Questo è il potere di un meme. Ognuno è sui social media, e in un momento nel quale la maggior parte delle persone sono chiuse a guardare gli schermi dei loro telefoni è davvero facile raggiungere un numero vasto di individui. All'inizio, ci siamo coordinati tra compagni con un seguito largo sui social per lanciare i cinque punti nelle stesso momento, e abbiamo iniziato a usare l'hashtag #CancelRent. I punti hanno risuonato tra molte persone e sono stati rapidamente condivisi migliaia di volte. Le organizzazioni di sinistra hanno iniziato a venire a rimorchio, poi lo hanno fatto i politici di sinistra, e a fine giornata Britney Spears su Instagram chiamava a scioperare. Signal e Jitsi sono le risorse di base che usiamo per assicurare la comunicazione tra compagni. Per la comunicazione più larga vogliamo costruire piattaforme dove le persone possano autorganizzarsi. Inoltre, molti compagni sono attivi su tutte le piattaforme social. Dal momento che l'America è così vasta, abbiano bisogno di strumenti che colleghino le persone. Perciò abbiamo lanciato un sito web - https://5demands.global - per dare le informazioni fondamentali sullo sciopero dell'affitto e per iniziare a mappare dove le persone stanno scioperando e come metterci in gioco con loro. Abbiamo anche lanciato un numero verde, che le persone possono chiamare per ricevere informazioni e consigli. Stiamo vagliando l'analisi dei dati web per capire meglio come le persone si organizzano - siete con un'organizzazione d'inquilini o siete un gruppo informale, per esempio - e per creare una live map dello sciopero in tempo reale. Anche se siamo individualità autonome impegnate in differenti progetti, stiamo cercando di essere il più possibile professionali. Nessuno confida nel governo, e nessuno confida nelle notizie. Se possiamo presentarci come una risorsa credibile di una corretta informazione, ce ne avvantaggeremo.
4) Sappiamo di esperimenti mutualistici e di aiuto solidale che ad Atlanta, Los Angeles, Seattle stanno incrociandosi con lo sciopero dell'affitto... parlaci meglio di questo e se la cosa sta in qualche modo crescendo.
Siamo poveri. Abbiamo sempre saputo come prenderci cura gli uni degli altri. Dove viviamo, il nostro gruppo di mutuo aiuto è passato dall'assistere decine di famiglie ad assisterne centinaia. Il governo appare carente e negligente. Dobbiamo sostenere le persone, e le persone ci sosterranno. Dobbiamo ampliare il nostro concetto di mutuo aiuto, in modo che mutuo aiuto sia ogni volta che il cibo viene redistribuito, ogni volta che le persone accorrono a bloccare uno sfratto, ogni volta che le persone in sciopero sono sostenute dalla loro comunità. In questo momento, non vi è distinzione tra vivere e lottare.
5) Come questa situazione sta investendo le comunità? Come sta colpendo il sistema di detenzione e quello di cattura e deportazione sulle frontiere?
C'è già stata un'evasione a Washington. Molte città hanno dichiarato che non accetteranno nuovi prigionieri che sono stati arrestati per crimini minori; se vieni arrestato verrai lasciato andare e trovato in seguito. Il sistema giudiziario è sospeso. Ma lo stato non ha ancora svuotato le carceri. In America sono un grande business. A New York City i detenuti sono stati costretti a scavare fosse comuni. I prigionieri chiedono un intervento. Non dobbiamo mai smettere di lottare per i nostri amici, affetti, familiari e compagni dentro.
6) Amazon, Google, e Palantir Inc. per la sorveglianza, sembrano beneficiare di questa pandemia e sono probabilmente più organizzate del governo. Qual è la tua idea sui riassetti di potere a venire negli States?
La pandemia è un sogno per la Silicon Valley. La completa integrazione della popolazione nella vita digitale è arrivata, per restare. I liberal stanno già chiamando ad una soluzione high-tech per il virus, quale l'abbiamo vista all'opera in Israele e in Cina. Amazon diventerà sempre più centrale nell'economia, e presto lanceranno i loro droni. Sarà dato a Google un lasciapassare per il data mining (estrazione di dati) della popolazione nel nome del “tracciamento del virus”, ma in realtà tracceranno tutti noi. In questo momento, il congresso sta usando l'attenzione sulla pandemia come opportunità per fare passare nuove leggi che vietino i servizi di comunicazioni criptati. Non ci illudiamo che questi cambiamenti siano temporanei. Non esiste alcun “ritorno alla normalità”.
7) La sinofobia è un problema negli Stati Uniti? La gente considera la Cina una sorta di competitor o addirittura un nemico? La alt-right si sta muovendo in questa direzione?
Assolutamente. Il suprematismo bianco è la prima risposta dell'America a qualsivoglia crisi. Si intuisce il ritorno di una “yellow fear”. Al momento gli Stati Uniti e la Cina sono in guerra commerciale. Se l'economia americana e quella europea collasseranno la Cina diventerà la sola superpotenza globale. Ecco perché Trump insiste a chiamare il Covid-19 “il virus cinese”. Sta suonando i tamburi di guerra, una nuova guerra fredda, cavalcando i sentimenti sinofobici. La sinistra ha giustamente denunciato il razzismo, ma con tanta focalizzazione sul razzismo in America molti non sono capaci di leggere tra le righe delle questioni geopolitiche del caso. Alcuni esponenti della sinistra non sono capaci di criticare il Partito Comunista Cinese, alcuni vorrebbero addirittura che l'America emuli la risposta della Cina al virus. Il livello del discorso riguardo le relazioni Cina-Stati Uniti è molto basso. Gli americani fanno fatica a distinguere la popolazione cinese dal Partito Comunista Cinese e questo è quello che il partito vuole. Dal canto suo, l'Alt-Right non è stata in grado di consolidare una risposta univoca al virus. Tutto ciò che possono fare è diffondere la propaganda che alimenti il razzismo anticinese. Gli attacchi degli antifa, ma anche quelli del FBI, li hanno lasciati isolati e frammentati, e non sono in grado di organizzarsi pubblico. Alcuni di loro pensano che il virus non sia che un'influenza, e che il governo lo stia usando per imporre la legge marziale e impedire a Trump di essere rieletto. I più svegli credono che il virus sia molto più letale di quanto il governo ammetta, che l'America sta collassando e stanno incoraggiando i propri seguaci a far incetta di armi e spostarsi in campagna. In ogni caso, ad oggi, non sono una minaccia per il nostro movimento.
8) E le elezioni? Come si pongono i DSA rispetto ai cinque punti e allo sciopero dell'affitto? Cosa ci puoi dire a riguardo della possibilità senza precedenti di un rinvio delle presidenziali?
I Socialisti Democratici hanno l'opportunità perfetta di cogliere l'attimo sui 5 punti ma non lo faranno. Hanno paura della loro stessa forza. Non sono in grado di staccarsi dal partito democratico, che usa la paura di Trump per ricattare la sinistra a favore del suo supporto. I democratici sono compromessi con il neoliberismo che sta morendo. Molti compagni prevedono che Trump vincerà le prossime elezioni. Se i Socialisti Democratici non ottengono la nomination (di Sanders, NdT), come sembra che sia, molta gente si radicalizzerà. Se il virus farà rimandare le elezioni ci saranno disordini civili di massa.
9) Parliamo delle prospettive da un punto di vista rivoluzionario. C'è qualcosa che vorresti dire ai compagni e alle compagne in Italia?
La situazione globale è precaria, e una volta che il virus passerà assisteremo a un profondo mutamento geopolitico su larga scala. I governi useranno i poteri emergenziali assunti ora per distruggere i movimenti di quest'ultima decade. Se vogliamo sopravvivere nel ventunesimo secolo dobbiamo consolidare ciò che abbiamo ottenuto. Il primo maggio è il nostro prossimo orizzonte. E' giunto per noi il momento di ricostruire una forza proletaria internazionale. La situazione in Italia è il nostro incubo. Siamo solo qualche settimana dietro di voi. Se voi bruciate, noi bruceremo con voi. Cinque punti, non uno di meno. Solidarietà dall'altra parte dell'oceano: viviamo tutti sotto lo stesso sistema, e il virus non conosce frontiere.
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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PREFERITI DEL MESE #4: Aprile
È passato pure aprile ma come afferma De Filippo alla fine de Napoli milionaria “Adda passà 'a nuttata” della serie che prima o poi il sole sorge e questa situazione arriverà alla fine. Probabilmente non sarà immediata, ma ce la faremo torneremo a vivere la quotidianità di routine consolidate fuori dalle quattro mura di casa nostra. Non vi nego che la stanchezza c’è, le difficoltà pure, ma potevo essere in situazioni peggiori. Certo le call di lavoro mi distruggono le orecchie, le arrabbiature non mancano, sono stufa di cucinarmi più di un pasto al giorno tutti i santi giorni, ma le ossessioni delle ultime settimane, le videochiamate quotidiane con le mie amiche, la ricerca di nuove ricette per soddisfare una fame feroce che non lascia tregua, mi tengono ancora sana di mente. Aprile è stata una maratona, da più punti di vista e allo stesso tempo ho chiuso gli occhi ed era il primo maggio. Ci siamo stufati delle nostre stesse vite. Tutto sembra sospeso, tutto sembra in bilico, eppure si va avanti, rapidi, ci siamo salvati anche dal meteorite, il presidente del Nord Corea che sembrava morto è riapparso improvvisamente e io mi sono cucita una mascherina di stoffa seguendo questo tutorial (ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti). Anche io ho panificato (o meglio pizzificato), anche io ho fatto torte, anche io mi sto allenando seguendo improbabili videotutorial su Youtube, e anche io ho dato fondo alla mia pazienza fissando il soffitto nelle notti insonni. È passato anche aprile e adesso che siamo a maggio ho un solo desiderio: poter uscire a mangiare un gelato nella gelateria dietro casa mia per il mio compleanno.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, dallo scorso mese ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
A chi arriva qui aspettandosi che consigli musicali posso già dire di andare oltre. Questo mese è stato un delirio, visto che la quarantena, che mi ha bloccato in un limbo informativo nuovo, mi ha ricondotto direttamente dai BTS. #sorrynotsorry
A parte guardare tutti i video possibili del mio preferito, JIN, ho iniziato a guardare “RUN BTS” una serie di video in cui i sette ragazzi del gruppo si sfidano in giochi e competizioni di vario genere. Una follia, me ne rendo conto.
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Nel frattempo, a parte ritrovare perle di indefinibile valore, come Trouble, ho creato una playlist Jin-centrica, che prima doveva avere solo i suoi solo, poi si è allargata a tutte le canzoni in cui c’è Jin con solo una parte dei componenti dei BTS, ed è finita per accogliere tutte le mie canzoni preferite. E per finire ho scoperto questa perla, Tonight, un solo che Jin ha scritto e prodotto per l’anniversario della fondazione della band. E comunque la vera canzone di questo mese è Airplane pt. 2. Passerà, passerà spero.
LIBRI
Ho un problema. Sono in un blocco del lettore allucinante da cui non riesco ad uscire. Ho provato con libri di tutti i generi, di varie lunghezze, di autori conosciuti e sconosciuti. Ho una pila gigante di cartacei di fianco al letto, che osservo con preoccupazione per la paura che crolli tutto. Ho il Kindle pieno di ebook. Avrei quindi l'imbarazzo della scelta su cosa iniziare a leggere anche perché ho narrativa, romance, saggi, fantasy, qualsiasi cosa. Eppure niente, apro qualcosa a caso, leggo poche righe e chiudo tutto frustrata. Perché? Perché? Perché? Quindi niente, niente, niente libri.
FILM & SERIE TV
Con un gruppo di mie amiche abbiamo fondato un Drama Club e quasi ogni sera ci troviamo in video call tra mille chiacchiere a guardare drama, commentandoli insieme. È un’esperienza che ha cambiato molto la mia prospettiva sulla quarantena, mi ha regalato così tanto, che davvero non riesco a ricordare cosa facessi prima di iniziare questa cosa. Naturalmente vado anche divorando drama da sola e in questo mese MI SONO COMPLETAMENTE INNAMORATA DI SEO KANG JOON!
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Ho finito di guardare “The Third Charm”. Si tratta di una storia a tratti crudeli e incredibilmente verosimile di due persone che continuano a trovarsi e perdersi nel corso di 12 anni e in tre stagioni della loro vita cercano di capire come sopravvivere al dolore, alla morte, alle scelte sbagliate, alla solitudine. Cercano la felicità e finiscono per trovare solo altre domande. Seo Kang Joon riesce a convincermi solo con gli spettacolari occhi che si ritrova. E con i suoi jeans. Mi ha convinto talmente tanto, che anche se sta muto e cucina io lo fisso per ore, e ore e ore.
BEAUTY
Devo saltare anche questa categoria perché francamente mi sono truccata due volte questo mese e non ho usato prodotti nuovi. Sto cercando di finire tutte quelle cose che nel corso del tempo ho accumulato in maniera ossessivo compulsiva come per esempio il Blue Astringent Herbal Lotion di Khiels che uso una volta al giorno perché è a base alcolica, e ha dentro anche il mentolo, ma lascia la pelle fresca e con una sensazione bella di pulito.
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CIBO
Pasqua per me significa due cose: Pastiera e Casatiello. Se per la Pastiera quest’anno non ho potuto fare niente perché andare da Pastarell era impossibile, per il Casatiello mi sono arrangiata in casa dietro audio tutorial di mia madre.
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RANDOM
Su youtube seguo un sacco di gente a caso accumulata negli anni di frequentazioni online. Uno dei canali a cui sono affezionata è quello della Slimdogs il gruppo di ragazzi messi insieme da Matteo Bruno, in arte CaneSecco, che seguo da quando ancora faceva video con Guglielmo Scilla (Willwoosh) e Claudio di Biagio (Nonapritequestotubo) che si occupano di produzione audiovisiva. Due dei ragazzi della Slimdogs, Marco Cioni e Mauro Zingarelli, curano una rubrica che si chiama “Come CA**O hanno fatto?” in cui raccontano come vengono effettivamente girate scene particolari di film di vario genere. Scenografie, tecniche di riprese, scelte di regia che rendono possibile la realizzazione di scene che sembrerebbero allucinanti. Marco Cioni tra un “mannaggina” e l’altro ci guida nelle spiegazioni sempre accurate di Mauro Zingarelli e ho imparato un sacco di cose interessanti.
Durante la quarantena mi sono iscritta a due newsletter, quella giornaliera del Post e quella settimanale di Ester Viola. Ester Viola è un avvocato divorzista, scrittrice (qui sul blog vi avevo parlato de L’amore è eterno finché dura) e cura una rubrica su Vanity Fair, una posta del cuore in cui le sue lettrici chiedono consigli spassionati per salvarsi dalle disgrazie in amore. The Chat, la sua newsletter è un concentrato di consigli e riflessioni che fanno sorridere, sdrammatizzando una situazione che di simpatico non ha proprio nulla.
Voi cosa avete combinato questo mese?
Raccontatemelo in un commento!
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