#narrativa polacca
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Adam Zagajewski ~ Un piccolo popolo scrive a Dio
Barnett Newman, Untitled ( The Cry ) , 1946 , ink on paper 91.4 x 61 cm © 2013 Barnett Newman FoundationArtists Rights Society (ARS), New York UN PICCOLO POPOLO SCRIVE A DIO Adam Zagajewski Traduzione di Antoni Zakrzewski Pregiatissimo e venerabile Signore, la lettera che indirizziamo a Te sarà un po’ maldestra perché coloro che potrebbero comporre una bella lettera o una poesia, o un…
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Wszystko mija, nawet najdłuższa żmija. Tutto passa, anche la più lunga delle vipere.
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Festival della Letteratura 2023 a Mantova
Dal 6 al 10 settembre sarà il momento del Festival della letteratura di Mantova che nella sua 27esima edizione, si appresta ad accogliere oltre 350 autori provenienti da tutto il mondo, protagonisti di un programma denso di iniziative e sempre in linea con i temi più urgenti della contemporaneità. Quest’anno l'appuntamento tocca la storia recente e i cambiamenti sociali in atto, aprendo anche alle arti e coinvolgendo musei e centri di formazione e trovare le parole, più che un orizzonte tematico, quello scelto come asse portante dal festival sembra assumere quasi i connotati di una sfida. Dopo la scomparsa della scrittrice Michela Murgia, che sarebbe dovuta essere presente a Mantova sabato 9 settembre, nella cornice di Piazza Castello, quell'appuntamento cambia forma e diventa l'occasione celebrare il suo profondo contributo alla letteratura italiana, con Marcello Fois, Alessandro Giammei e Bianca Pitzorno. Dal fitto calendario di Mantova emergono le proposte legate alla narrativa estera, dalla partecipazione dello scrittore srilankese Shehan Karunatilaka, vincitore del Man Booker Prize 2022, a quella della scrittrice polacca Olga Tokarczuk, autrice di I Vagabondi e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 2018. Sono attesi anche Guadalupe Nettel, con il suo nuovo libro in anteprima mondiale, Jonathan Coe, Mircea Cărtărescu e molti altri autori, con particolare riguardo per quelli attivi nel subcontinente indiano, olre al pressante dibattito sull’intelligenza artificiale con l’incontro con il neuroscienziato Gerd Gigerenzer, l’esperto di IA Nello Cristianini e lo scrittore e artista James Bridle. Invece l'autrice italiana Chiara Valerio affronta invece il tema della necessità di coltivare un atteggiamento consapevole nei confronti della tecnologia. Da non perdere il tributo a Italo Calvino, nel centenario della nascita, infatti per ricordarlo i game designer di We Are Muësli, hanno progettato Ludmilla, l'escape room ispirata a Se una notte d’inverno un viaggiatore. Un’attenzione particolare è dedicata all’opera della storica dell’arte e militante femminista Carla Lonzi, ma le arti visive arrivano al festival anche come pratica con Michelangelo Pistoletto, che cucirà un grande stendardo per la pace nel Tempio di San Sebastiano, sancendo il suo ritorno in città dopo due decenni. Alla Casa del Mantegna ci sarà lo spazio dedicato ai bambini fino ai 12 anni con la grande giostra di Girotondo, il percorso-museo realizzato dai dipartimenti didattici di Collezione Peggy Guggenheim, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Palazzo delle Esposizioni e Triennale Milano. Read the full article
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L'Invincibile di Stanisław Lem
L’Invincibile di Stanisław Lem
L’Invincibile è un romanzo di Stanisław Lem, autore, per chi non lo ricordasse, di Solaris, uno testo magistrale dal quale sono stati tratti due film, il primo, di Andrei Tarkovskij, a mio parere assolutamente inimitabile. Il testo originale di Lem è del 1964 e l’edizione Nord, rigorosamente tradotta dal polacco da Renato Prinzhofer, è del 1974. Il testo, ripescato nella mia seminesplorata…
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#evoluzione#Fantascienza#Intelligenza artificiale#istantanee#narrativa polacca#Recensioni#Stanislaw Lem
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Personalmente, ho preso l'abitudine di sottopormi a una specie di test, che consiste nel rileggere quelli, tra i miei lavori, che ritengo i migliori. Se vi scopro passi falsi o lacune, se mi accorgo che la cosa poteva essere fatta meglio, il risultato del test è positivo. Se invece, nel farlo, provo un senso di ammirazione, significa che le cose vanno male.
Stanisław Lem, La voce del padrone, (traduzione di Vera Verdiani; 1ª ed.ne: Głos Plana, Czytelnik, 1968), Bollati Boringhieri, 2010
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Grazie di esistere
Massimo Giannini, direttore di Radio Capital mecojoni ed editorialista di Repubblica esticazzi, nonché sguardo da gallina (”non è un animale intelligente, lo si capisce da come guarda la gente”, cit.), lunedì sera ospite di Lilli Gruber negli studi di Otto e mezzo si è scagliato contro il centrodestra vittorioso nelle regionali in Umbria: "Ha vinto una delle peggiori destre europee, xenofoba, intollerante e nazionalista”.
Codesto provinciale non ha idea di cosa sia la vera ultra-destra, quella tetesca svedese olandese o polacca, spero per lui che non la debba incrociare mai. E’ lunare affermare che lo sia il partito che governa l’unica parte europea d’Italì da decenni. E’ approssimazione ignorante da cretino collettivo peninsulare, è da tribù primitiva che considera gli avversari non umani per poter giustificare le peggio cose immorali e violente contro: dai voltagabbana giù fino ai duomi di marmo in faccia.
Non pago, Giannini sguardo-da-gallina aggiunge la sua “anal-isi” della sconfitta: non è il Pd che anche lì ha dimostrato di essere il solito partito di loschi unfit to lead e l’operazione Renzi/m5s giudicata merda dall’elettorato, pas de tout !
Dice stentoreo: “Matteo Salvini sa fare questo mestiere infinitamente meglio di tutti gli altri. Il numero di comizi fatti in Umbria prima di votare: Salvini 53, Di Maio 8, Zingaretti 15. In questi numeri c'è l'enorme distanza e gli altri partiti". Cioè hai capito, sta tutto nel “mestiere”: la politica è banco al mercato, chi urla di più vende più pesce. L’intento sarebbe richiamare i suoi piddini all’azione novecentesca: fuori i megafoni e i pullman di pensionati sindacali ma senza volerlo questo perdente fa capire come il Partito delle Ztl consideri laggente: loro credono la si convinca non coi fatti ma con la NARRATIVA, con gli imbonitori porta a porta virtuali e non.
Se non ci fossero ‘sti poveretti dallo sguardo di gallina qui, Lilligrubber inclusa, sarebbe molto più difficile vincere. Quindi grazie di esistere.
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..."Transatlantico è l'opera più patriottica e più coraggiosa che io abbia mai scritto, diceva Gombrowicz nel suo Diario del 1954, e aggiungeva :"Ed è proprio quest'opera che mi procura il marchio disonorante di codardo e di pessimo polacco.» Transatlantico è un attacco, un'aggressione feroce e spietata a tutto l'insieme dei complessi nazionalistici e ciascuno di quei complessi separatamente considerati. Quali armi poteva scegliere per la sua battaglia, lui, un esule osteggiato dagli emigrati politici perché troppo iconoclasta e dalla letteratura ufficiale perché un emigrato? L'ironia. La risata. "Quando le circostanze schiaccianti ci costringono alla trasformazione integrale del nostro intimo, la nostra salvezza è nella risata. E' la risata che ci tira fuori di noi stessi e consente alla nostra umanità di sopravvivere indipendentemente dai dolorosi mutamenti che subisce il nostro involucro esteriore. Gombrowicz compie dunque, in Transatlantico, un impietoso tentativo di "psicoanalisi nazionale." Egli sviscera con mezzi spesso poco ortodossi l'anima polacca mostrandole la sua immagine ridicolizzata, goffa , meschina :"Rendiamo palese, legalizziamo quell'altro polo delle perfezioni che costringono l'individuo all'atteggiamento difensivo nei confronti della nazione, come accade nel caso di una qualsiasi violenza collettiva..." Per quanto spietato e crudo, il discorso di Gombrowicz è stato ascoltato, se non dalla "Polonia ufficiale", perlomeno dall'individuo, al quale egli si rivolgeva soprattutto. Transatlantico resta una testimonianza singolarmente attuale, l'avvincente ricordo di una battaglia per europeizzare l'anima e la letteratura di un paese dell'Est di cui molto oggi si parla...#instabook #igersravenna #ig_books #libri #instaravenna #consiglidilettura #bookstagram #booklovers #domenicaaperto #narrativa #booktubers #witoldgombrowicz (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/Cf0b3XPo8un/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#instabook#igersravenna#ig_books#libri#instaravenna#consiglidilettura#bookstagram#booklovers#domenicaaperto#narrativa#booktubers#witoldgombrowicz
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Nobel per letteratura a Olga Tokarczuk e Peter Handke, 11 ottobre 2019
Nobel per letteratura a Olga Tokarczuk e Peter Handke, 11 ottobre 2019
Sono stati due i premi Nobel per la Letteratura assegnati ieri. Quello per il 2018 è andato alla polacca Olga Tokarczuk «per la sua immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta il superamento dei confini come una forma di vita». Quello per il 2019 all’austriaco Peter Handke «per il suo lavoro influente che con abilità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità…
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Nobel per la Letteratura: vincono Peter Handke e Olga Tokarczuk
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/nobel-per-la-letteratura-vincono-peter-handke-e-olga-tokarczuk/
Nobel per la Letteratura: vincono Peter Handke e Olga Tokarczuk
Nobel per la Letteratura: vincono Peter Handke e Olga Tokarczuk
Nell’anno del doppio Nobel sono due insospettabili a vincere il riconoscimento massimo per la loro opera letteraria. A trionfare, rispettivamente per il 2018 e il 2019, sono la scrittrice polacca Olga Tokarczuk e l’austriaco Peter Handke.
Austriaco, classe 1942, Peter Handke è poeta, narratore e reporter di viaggio. Il suo esordio letterario avviene nel 1966 con il romanzo “I calabroni”, che in Italia viene pubblicato da Mondadori, al quale seguono numerose opere per il teatro come “La cavalcata sul lago di Costanza” nel 1971 e “L’ora in cui non sapevamo niente l’uno dell’altro” del 1992. Definito dall’Accademia svedese per il Nobel “uno dei più influenti scrittori in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”, Handke è stato premiato per “la straordinaria attenzione ai paesaggi e alla presenza materiale del mondo, che ha reso il cinema e la pittura due delle sue maggiori fonti di ispirazione”.
La scrittrice polacca Olga Tokarczuk è stata invece premiata con il Nobel 2018 per la sua “immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita”. Tokarczuk è una delle scrittrici più apprezzate del momento, già vincitrice del Man Booker International Prize nel 2018 per il suo capolavoro “I vagabondi” (Bompiani).
La decisione di assegnare due Nobel in un solo anno (unico precedente nel 1950) è arrivata dopo lo scandalo per molestie che nel 2018 colpì il marito di una giurata dell’Accademia di Svezia, il fotografo e regista Jean Claude Arnault. Il riconoscimento perciò lo scorso anno fu sospeso e rimandato a quest’anno.
Nell’anno del doppio Nobel sono due insospettabili a vincere il riconoscimento massimo per la loro opera letteraria. A trionfare, rispettivamente per il 2018 e il 2019, sono la scrittrice polacca Olga Tokarczuk e l’austriaco Peter Handke. Austriaco, classe 1942, Peter Handke è poeta, nar…
Luisa Ginetti
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Vita e morte in Tadeusz Kantor: intervista a Luigi Marinelli, Simone Fraschetti e Adriano Marenco in occasione de La casta morta al Teatro Trastevere.
La casta morta è andata di nuovo in scena al Teatro Trastevere di Roma, dal 28 febbraio al 5 marzo 2017, occasione per noi di Persinsala di ripercorrere quello che è stato un evento per il panorama teatrale romano, cioè il debutto di questa pièce nel 2015 (in memoria del centenario della nascita di Tadeusz Kantor), e insieme del lavoro che l’ha ispirata: La classe morta. Parleremo del maestro polacco con Luigi Marinelli, Professore ordinario di Lingua e Letteratura Polacca all’Università di Roma (nonché autore del soggetto e collaboratore di Kantor negli ultimi anni della sua vita), Simone Fraschetti (regista), e Adriano Marenco, drammaturgo e autore del testo.
Come è nata l’idea de La casta morta? Luigi Marinelli: «Il titolo è nato con Michele Sganga, coautore del soggetto e delle musiche di scena. È un gioco di parole tra classe e casta, banale ma che funzionava. I vecchietti de La classe morta non potrebbero, invece che sedere in una classe, sedere in parlamento?».
Riteneva che lo stile di scrittura di Adriano Marenco fosse consono all’operazione? LM: «Ho pensato che il suo stile, che si muove continuamente tra il tragico e il grottesco, tra la farsa e il volgare, fosse adeguato all’idea di rappresentare la volgarità del potere. Adriano capta la realtà e riesce a scriverla in modi imprevisti, perfino profetici. Certe sue intuizioni nel testo hanno precorso quesa “fascistizzazione” della politica, ora in atto nel mondo».
Nel vostro lavoro non c’è una linearità narrativa. Gli attori sono usati come oggetti, anche il testo è un oggetto tra gli altri, come i suoni, o la musica. Dà un senso di spaesamento estremo, insieme ad una grande fascinazione. Era questo un effetto cercato? Simone Fraschetti: «Il testo di Adriano è deliberatamente frammentario nel senso stilistico. Lo spettatore non ha la sensazione di una trama nel senso classico. Ha delle immagini, delle presenze che guadagnano il loro turno e si esprimono. Questi parlamentari si comportano come un branco di predatori, disposti a tutto, anche ad azzannarsi tra di loro». Adriano Marenco: «Kantor ha scritto La classe morta basandosi su un testo di Stanisław Witkiewicz: Neoplasio cervelli . Ho scritto il testo lavorando sia su Kantor che su Witkiewicz, come una sorta di superfetazione di un testo originario. Non credo sia necessario cercare una trama precisa, un climax che porti all’happy ending. Si tratta piuttosto di fotografie interiori della realtà al rango più basso; sono flash della “banalità del male”». LM: «Un climax forse c’è, ed è la scena corale in cui questi individui cominciano a navigare nello Stige, accompagnati da un testo di Kantor tratto dal suo scritto Salvare dall’oblio, nel quale individua cosa ci sia da salvare nella Storia, ossia la storia con la “s” minuscola, le storie individuali dei piccoli individui. Ci si chiede: qual è il senso della politica? Qual è il senso della Storia? È una bellissima scena onirica».
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Luigi Marinelli
Adriano Marenco
Simone Fraschetti
Vita e morte per Kantor viaggiano e si toccano? LM: «C’è un gioco sulla morte che, in realtà, se ripensata dal punto di vista del suo contrario, cioè della vita, può dare il senso alla vita: la morte fa parte della vita, come Kantor pensava profondamente».
Quanto è politico in questo senso La casta morta? AM: «Il teatro se non è politica non è. Noi insegnamo, scriviamo, traduciamo, facciamo teatro perché vogliamo renderci migliori, e rendere migliori le persone, quindi fare politica». LM: «Si tratta di un’idea nobile della politica, intesa come il nostro agire quotidiano, non quella del nostro parlamento. È la polis. Simone diceva che abbiamo un branco di predatori. giustificati dalla loro stessa fame. È un giudizio definitivo su quella che è la politica oggi nel mondo, non solo in Italia».
Kantor ha iniziato il suo lavoro artistico durante il nazismo, creando un teatro clandestino. Il concetto di teatro clandestino è valido ancora oggi, nelle nostre faticose democrazie? SF: «Kantor riusciva a fare teatro malgrado la Polonia occupata. Andavano clandestinamente in scena in appartamenti o in cantine, rischiando insieme al loro pubblico. Oggi il teatro è clandestino sì, ma in un altro senso, quello di un’operazione culturale seguita da pochi. Ci viene da chiederci: per chi lo stiamo facendo, oltre che per noi?». LM: «In Kantor c’era l’oppressione nazista, e dopo quella comunista, tanto che ha lavorato fino al 1975 in una cantina con cinquanta posti. Era malvisto. Certo, oggi emergere è difficile in maniera diversa, perché diventi un numero in una massa non qualificata. Però si parte oggi da una contraddizione profonda, cioè tra il fare arte e l’aver successo, che sono due cose completamente diverse. Nel momento in cui queste cose si uniscono per un puro caso, va bene, ma nel momento in cui non si uniranno mai, mi permetto di dire da non artista: chi se ne frega! Il fine resta quello di comunicare, foss’anche a due persone, un messaggio che cambia l’esistenza».
Kantor diceva che l’opera d’arte è un contenuto che dovrebbe scoppiare. LM: ««Questa cosa nel teatro di oggi la incontro veramente poco, perché tutti pensano a quella cosa maledetta che è la morte dell’arte, cioè il successo. A me pare sipossa dire che un pioniere (involontario?) della confusione attuale tra il concetto di “arte”e quello di “successo” sia stato Andy Warhol con la pop-art (che non a caso Kantor non sopportava). Di lì ai talent shows il passo forse era inevitabile».
Lo slogan era: «Tutti possiamo essere famosi per cinque minuti». LM: ««Ha falsamente massificato le possibilità dell’arte. Mentre l’arte è e resta un fatto d’èlite, nel senso che non cerca un riconoscimento di massa, non si rivolge a “tutti”, ma a “ciascuno”». AM: «Il potere è diventato talmente scaltro, che ha smesso di essere un nemico, sopratutto nell’arte. Oggi uno può dire qualsiasi cosa, nessuno ti censurerà, e tu finirai nel dimenticatoio. Dovremmo essere liberi ma abbiamo perso l’afflato a cercare di esserlo veramente». SF: «Forse per gli artisti oggi non c’è un’oppressione diretta, forse c’è un’idea che coltivi insieme ad altri quattro gatti, e tenti di comunicare col teatro ad altre persone, che semplicemente non rispondono più. Perché? Forse il pubblico ha smesso di desiderare, sentono di avere tutto, quindi si sentono a posto. Ma quanto si è disposti come artisti a soffrire per mantenere questa condizione?».
È a tale proposito che avete messo queste parole di Kantor nel testo? L’artista «è un uomo povero senza armi e senza difese, che ha scelto il suo posto faccia a faccia con la paura» LM: «La paura è anche riferita al fatto che l’attore deve impersonare per necessità un “morto”. Il testo per esempio: è morto in sé se tu non lo vivifichi attraverso la rappresentazione. C’è questo rapporto continuo tra la vita e la morte che oggi è negato da un tipo di arte vitalistica, quella che va per la maggiore. Il mestiere dell’attore è principalmente questo, come dice Marenco citando Kantor, cioè “traghettare da una zona morta all’altra”. Se tu non vivifichi la tua vita con un pensiero di tipo artistico, il vero morto sei te».
I personaggi di potere de La casta morta, come Neoplasio, non sanno incarnare la propria mancanza, tanto da tenere sempre in moto una macchina di linguaggio notarile che paventa onnipotenze illusorie. Qual è il rapporto tra arte, vita e mancanza in Kantor? LM: «Il discorso sulla mancanza è fondamentale sia sul piano politico che artistico. Era Kantor stesso a dire che l’arte nasce da una mancanza. Da bambino – diceva – si rese conto di cosa fosse l’arte quando ebbe modo di ritagliare delle torte di carta. Queste torte non si potevano mangiare, ed erano arte proprio perché mancava loro qualche cosa rispetto alla vita».
«È a prezzo dell’estraneità della morte che un oggetto d’arte può diventare tale» diceva Kantor. LM: «Sì, perché la vita la puoi rappresentare solo attraverso il suo contrario, attraverso cioè la mancanza di vita, cioè la morte. La mancanza che viene sentita come qualcosa di negativo, è il senso dell’arte. In una società del benessere può risultare provocatorio dire certe cose. Oggi i più grandi artisti sono coloro che mettono in scena quella che Kantor chiamava la condizione del “rango più basso”: l’immigrazione, l’emarginazione…». SF: «La paura di un parlamentare è quella di perdere il potere. Lo difendo, lo cavalco e mi ripropongo di restare dove sono. Nell’arte invece c’è il discorso della mancanza e del disagio. Si inizia a scrivere quando si percepisce questa mancanza. Un nostro collega attore diceva che “un giorno di felicità uccide una poesia”». AM: «Quello che mi spinge a scrivere è la mancanza di giustizia, che mi viene da un senso politico e dell’arte molto radicato, cioè combattere per un bene superiore. Spero che nell’opera siamo riusciti a restituire questa tensione».
Credo vi siano ragioni bastevoli per accendere curiosità su un classico che continua a rappresentare quanto di profondamente umano vi sia in noi, oppresso dallo scorrere del tempo, da una continua esperienza di perdita, contro la quale credere di poter afferrare ogni oggetto e dominarlo. Il senso vivifico della morte, come Kantor ci ha insegnato, è costruire una fedeltà a se stessi intesi come “povera cosa”, fatta solo della nostra memoria, e della nostra paura. Tutto il resto è rissa nazionalpopolare, di cui il pubblico non troverà eco alcuna nel lavoro di questi artisti e studiosi di teatro.
Luigi Marinelli, Simone Fraschetti e Adriano Marenco Vita e morte in Tadeusz Kantor: intervista a Luigi Marinelli, Simone Fraschetti e Adriano Marenco in occasione de…
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Non sono mai stato capace di superare la distanza tra le persone. Gli animali sono inchiodati con tutti i sensi al loro 'hic et nunc', mentre l'uomo riesce a staccarsi, a ricordare, a compatire gli altri, a immaginarne gli stati d'animo e i sentimenti… cosa per fortuna non vera. In questi tentativi di pseudoimmedesimazione e di transfert riusciamo a intravedere in modo vago e imperfetto solo noi stessi. Che ne sarebbe di noi se davvero riuscissimo a provare compassione per gli altri, a condividere i loro sentimenti e a soffrire per loro? Il fatto che i dolori, le paure, le sofferenze degli uomini si dissolvano con la morte individuale e che niente sopravviva dei passati slanci, cadute, orgasmi e torture è un pregevole dono dell'evoluzione che ci ha fatto simili agli animali. Se a ogni infelice, a ogni torturato sopravvivesse un solo atomo dei suoi sentimenti, se questa eredità generazionale si accumulasse, se anche una sola scintilla dovesse trasmigrare da un uomo all'altro, il mondo risuonerebbe da cima a fondo di un urlo estorto a viva forza dalle viscere. Siamo come lumache, attaccate ognuna alla propria foglia.
Stanisław Lem, La voce del padrone, (traduzione di Vera Verdiani) (1ª ed.ne: Głos Plana, Czytelnik, 1968), Bollati Boringhieri, 2010
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La follia, miei cari signori, non è un contenitore di comodo dove infilare tutte le azioni umane di cui non comprendiamo i moventi. La follia ha una sua struttura, una sua logica interna.
Stanisław Lem, L'indagine del tenente Gregory, Bollati Boringhieri, 2007 (Traduzione dal polacco di Vera Verdiani; 1ª pubblicazione 1959)
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L'adattamento psicologico è un meccanismo inesorabile. Se qualcuno avesse detto a Marie Curie che, dopo cinquant'anni, la sua radioattività avrebbe dato origine ai gigatoni e all''overkill, forse non avrebbe avuto il coraggio di procedere oltre né, comunque, avrebbe più ritrovato la serenità che aveva prima di un annuncio così minaccioso. Noi invece ci abbiamo fatto l'abitudine e nessuno prende per pazzi coloro che calcolano i chilocadaveri e le megaspoglie. La nostra capacità di adattamento, con la conseguente capacità di accettare tutto quanto ne derivi, è uno dei più gravi rischi che ci minacciano. Creature abbastanza elastiche da adattarsi a qualsiasi cosa non possono avere una moralità irreprensibile.
Stanisław Lem, La voce del padrone, (traduzione di Vera Verdiani) (1ª ed.ne: Głos Plana, Czytelnik, 1968), Bollati Boringhieri, 2010
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- Forse anche Dio esiste solo di tanto in tanto? - disse sottovoce l'ispettore capo. Chino in avanti, la faccia nascosta, ascoltava quello che Gregory tirava fuori a fatica senza osare guardarlo. - Forse - rispose Gregory con indifferenza. - Ma le interruzioni nella sua esistenza si protraggono piuttosto a lungo. Si alzò, si avvicinò alla parete e fissò senza vederla una delle fotografie. - Forse anche noi... - cominciò, esitando - anche noi esistiamo solo in modo sporadico. Nel senso che a volte esistiamo con minore intensità, certe altre ci dissolviamo e non ci siamo quasi per niente. Poi, reintegrando con uno scatto improvviso il brulichio scompaginato della memoria torniamo a esistere per lo spazio di un giorno...
Stanisław Lem, L'indagine del tenente Gregory, Bollati Boringhieri, 2007 (Traduzione dal polacco di Vera Verdiani; 1ª pubblicazione 1959)
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L'umanità, che non aveva cessato di prendersi per la gola e per i capelli da quando aveva sostituito i cammelli e i muli con le bighe, i carri e le carrozze e poi, giù giù, con le automobili, le macchine a vapore e i carri armati, poteva sperare di sopravvivere solo a patto di spezzare le catene di quella gara. A metà secolo il terrore totale aveva paralizzato la politica senza tuttavia cambiarla. La strategia era rimasta la stessa, nel senso che si era continuato ad anteporre i giorni ai mesi e gli anni ai secoli, mentre si sarebbe dovuto fare il contrario: sventolare bandiere con slogan inneggianti al principio della salvezza della specie e imbrigliare il volo tecnologico perché non si trasformasse in caduta.
Stanisław Lem, La voce del padrone, (traduzione di Vera Verdiani) (1ª ed.ne: Głos Plana, Czytelnik, 1968), Bollati Boringhieri, 2010
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