#narrativa per riflettere
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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“Il Gioco della Manipolazione” di Attilio Giampaoli: un thriller psicologico che esplora il lato oscuro del potere. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nei meandri della manipolazione, del controllo e della resistenza. Attilio Giampaoli costruisce un racconto avvincente e inquietante che lascia il lettore a riflettere sulle fragilità umane e sui pericoli del potere invisibile.
Un viaggio nei meandri della manipolazione, del controllo e della resistenza. Attilio Giampaoli costruisce un racconto avvincente e inquietante che lascia il lettore a riflettere sulle fragilità umane e sui pericoli del potere invisibile. La trama: una scoperta inquietante Francesca, giornalista ormai disillusa dal sistema, si imbatte in un misterioso manoscritto intitolato “Se fossi il…
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ladyswartzrot · 2 years ago
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Oggi afronteremo un mattone di ben 2238 pagine di puro divertimento ( io personalmente me la sono presa comoda e ci ho messo circa 3 mesi anche perché sono tutti racconti autoconclusivi).
La raccolta di racconti di Harlan Ellison intitolata Visioni ed edita da Urania Mondadori contiene ben 67 racconti celebri dell'autore che vi darà un pugno se lo chiamate fantascientifico ( o gli rubate le idee).
Per Harlan Ellison la categoria della narrativa fantascientifica è riduttiva e richiama i temi triti e ritriti degli anni 50 mentre lui usava il futuro come un contorno alle tematiche importanti come il disagio di un diverso in una società conformista dal punto di vista religioso sessuale e morale.
I  racconti che ho amato sono:
- Il Tempo dell'Occhio
- Dolorama
- Gli Scarti
- "Peniti, Arlecchino!" Disse il Tictacchiere
- Battaglia senza bandiere
- La voce nel giarlino
- Lo faaresti per un penny?
- Noi piangiamo per tutti...
- Non ho bocca, e devo urlare.
- Soldato
- Il morso della seggiola
- Fenice
- La regione intermedia
- 480 secondi, o la città condannata
- Il guaito dei cani battuti
- L' amica fredda
- Il gatto
- Spaccabato
- Jefty ha cinque anni
- L'uomo ossessionato dalla vendetta
- Sudore da Flop
- L'uomo che mise in banca i ricordi più brutti
- Il paladino dell'ora perduta
- Dura da scontare
Lo consiglio non solo agli appassionati della fantascienza ma anche agli amanti dei racconti che fanno riflettere e lasciano il vuoto della domanda dentro, la lettura e scorrevole e i temi e ambienti dei racconti sono talmente vari che si possono leggere uno dopo l'altro senza avere la pesante sensazione di leggere sempre la stessa cosa.
Ciò che mi è piaciuto di più è il fatto che la fantascienza non è onnipresente con i paroloni che ti fanno venire il mal di testa ma agisce da materia che trasmette il messaggio dell'autore.
P.S. Questo libro mi è stato consigliato dal mio ragazzo appassionato di fantascienza e se volete più info su questo libro vi consiglio il video di Broken Stories su youtube.
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kneedeepincynade · 2 years ago
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Nato, a rotting relic of the Cold War, today exist only to inflict suffering and steal resources while it inevitably rots away, and now it's almost its time, it's scared and lashes in anger, but the world endures and prepares the final blow, for the rotting monster is almost dead
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⚠️ MAO NING: LA NATO DOVREBBE RIFLETTERE SUL TIPO DI RUOLO SVOLTO NELLA STABILITÀ EUROPEA E GLOBALE, PIUTTOSTO CHE ALIMENTARE LA TENSIONE IN TUTTO IL MONDO E PROMUOVERE LA NARRATIVA DELLA "MINACCIA CINESE" ⚠️
🇨🇳 Oggi, 9 febbraio, un giornalista di RIA Novosti ha chiesto a Mao Ning - Portavoce del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese - un commento sulle dichiarazioni di Jens Stoltenberg (NATO) sul fatto che "ciò che accade oggi in Europa riguarda al Conflitto Ucraino potrebbe influenzare le azioni della Cina in Asia", e che la Cina "sta aumentando la sua attività di raccolta di informazioni in Europa" 🤪
⭐️ La risposta di Mao Ning:
💬 "La NATO ha continuato ad andare ben oltre la sua tradizionale Area di Difesa e ha chiesto ai suoi membri di aumentare le spese militari e di espandere le attività militari, e ora muove accuse e critiche contro la Cina. Questo è un doppio standard da manuale" 📖
💬 "La Cina è impegnata sulla Via dello Sviluppo Pacifico e ha un track-record migliore di qualsiasi altro grande paese nel sostenere la Pace e la Sicurezza. Non abbiamo mai invaso nessun paese, non abbiamo mai iniziato alcuna guerra per procura. Non ci siamo mai impegnati in operazioni militari globali o minacciato altri paesi con la forza" 🕊
💬 "Ciò che la NATO dovrebbe fare è abbandonare la mentalità della Guerra Fredda e il pregiudizio ideologico, e riflettere su che tipo di ruolo abbia svolto nella stabilità europea e globale, piuttosto che alimentare la tensione in tutto il mondo e promuovere la narrativa della "Minaccia Cinese" 😵‍💫
🔍 Per chi volesse approfondire questo tema, può rifarsi a questi post del Collettivo Shaoshan:
🔺Zhao Lijian: "La NATO si è ridotta ad essere uno strumento di egemonia. [...] Pur affermando di essere un'organizzazione difensiva, la NATO ha costantemente creato scontri e problemi. Mentre chiedeva a paesi terzi di attenersi alle basilari norme che regolano le relazioni internazionali, la NATO ha condotto guerre contro paesi sovrani e ha sparato i suoi proiettili indiscriminatamente portando alla morte di civili e allo sfollamento" - post completo 📄
🔺Zuo Dapei: "La NATO è un'alleanza di aggressione militare imperialista formata da paesi capitalisti sviluppati in Europa e Nord America. Le azioni militare condotte dalla NATO dimostrano che essa non è un'alleanza militare atta alla protezione della sicurezza degli Stati membri, ma una macchina da guerra aggressiva dei paesi imperialisti europei e americani" | serie di post: I, II, III, IV, V, VI 📄
🔺Li Zhanshu: "Loro [Paesi NATO] stanno mettendo insieme strutture a blocchi ristretti e stanno anche perseguendo una strategia indo-pacifica proprio per frenare il nostro sviluppo attraverso due oceani: Pacifico e Indiano. [...] Combatteremo insieme alla Russia contro la loro egemonia e la loro politica di potere" - post completo 📄
🔺China Daily: "La NATO è un relitto della Guerra Fredda e il Conflitto Russo-Ucraino è colpa della NATO" ⚔️
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⚠️ MAO NING: NATO SHOULD REFLECT ON KIND OF ROLE IT PLAYS IN EUROPEAN AND GLOBAL STABILITY, RATHER THAN FEEDING WORLDWIDE TENSION AND PROMOTING THE “CHINESE THREAT” NARRATIVE ⚠️
🇨🇳 Today, February 9, a journalist from RIA Novosti asked Mao Ning - Spokesman of the Ministry of Foreign Affairs of the People's Republic of China - for a comment on Jens Stoltenberg's (NATO) statements that "what is happening in Europe today concerns conflict could affect China's actions in Asia", and that China "is increasing its intelligence-gathering activity in Europe" 🤪
⭐️ Mao Ning's answer:
💬 “NATO has continued to go far beyond its traditional Defense Area and has asked its members to increase military spending and expand military activities, and is now leveling accusations and criticisms against China. This is a double standard from manual" 📖
💬 “China is committed to the Way of Pacific Development and has a better track record than any other major country in supporting Peace and Security. We have never invaded any country, we have never started any proxy war. never engaged in global military operations or threatened other countries with force" 🕊
💬 "What NATO should do is abandon the Cold War mentality and ideological bias, and reflect on what kind of role it has played in European and global stability, rather than fueling tension around the world and promoting the narrative of " Chinese threat" 😵‍💫
🔍 For those wishing to learn more about this topic, they can refer to these posts from the Shaoshan Collective:
🔺Zhao Lijian: "NATO has reduced itself to being an instrument of hegemony. [...] While claiming to be a defensive organization, NATO has constantly created confrontations and problems. While asking third countries to abide by the basic rules that regulate international relations, NATO has waged wars against sovereign countries and fired its projectiles indiscriminately leading to civilian deaths and displacement" - full post 📄
🔺Zuo Dapei: "NATO is an alliance of imperialist military aggression formed by developed capitalist countries in Europe and North America. The military actions conducted by NATO demonstrate that it is not a military alliance fit to protect the security of member states, but an aggressive war machine of the European and American imperialist countries" | series of posts: I, II, III, IV, V, VI 📄
🔺Li Zhanshu: “They [NATO countries] are putting together small block structures and are also pursuing an Indo-Pacific strategy precisely to curb our development across two oceans: Pacific and Indian. [...] We will fight together with Russia against their hegemony and power politics" - full post 📄
🔺China Daily: "NATO is a relict of the Cold War and the Russo-Ukrainian conflict is NATO's fault" ⚔️
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pleaseanotherbook · 2 years ago
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Membrana di Chi Ta-wei
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«"Godersi la pesca" è un modo di dire cinese che viene da una storia molto antica. Indica un'amicizia speciale tra due persone, che soltanto loro possono capire. Dai, spartiamocela, metà ciascuna, come pegno d'amore!»
“Membrana” di Chi Ta-wei edito in italiano da Add Editore è una distopia taiwanese che è capitata tra le mie cose da leggere perché mi sono innamorata della copertina mentre la osservavo dalla vetrina della Libreria Bodoni di Torino. E devo dire che mi ha molto colpito, perché non me lo ero minimamente immaginato così.
Siamo nel 2100, nella città sommersa di T. L’umanità è migrata in fondo al mare per sfuggire ai devastanti cambiamenti climatici e il mondo, dominato da potenti conglomerati mediatici, si basa sullo sfruttamento del lavoro degli androidi. Momo, famosa estetista della pelle, conduce una vita introversa e nostalgica. Ha una ferita con cui fare i conti: la madre, da cui è separata da oltre vent’anni, si ripresenta nella sua vita innescando un percorso di esplorazione di sé che metterà in dubbio la sua stessa esistenza, la natura del proprio corpo e la sua identità di genere. Il processo di trasformazione, mutamento e reinvenzione che investe Momo pone questioni radicali, al punto da chiedersi se gli esseri umani siano ancora padroni della propria memoria e del proprio futuro. Pubblicato a Taiwan nel 1995, Membrana è un classico della narrativa speculativa in cinese. Chi Ta-wei, con talento predittivo, immagina la saturazione provocata dai social media e il monitoraggio corporeo, intrecciandoli a temi distopici come il dominio della tecnologia e dei regimi capitalisti.
Adoro leggere distopie fin da ragazzina quando mi è capitato per le mani per la prima volta “1984” un po’ perché mi piace immaginare il futuro e un po’ perché mi rendo conto che abbiamo bisogno di moniti, di esperienze che ci fanno riflettere, di possibilità. Restiamo a guardare inerti noi che ci complichiamo la vita ma non siamo capaci di riconoscere i segnali di pericolo. Chi Ta-wei immagina un mondo che si sviluppa sotto il mare perché l’atmosfera terreste è diventata irrespirabile e fa parlare Momo, una estetista famosissima che cura la pelle nel suo centro estetico esclusivo e conduce una vita ritirata ed esclusiva che indulge il suo essere timida ed introversa. Tutta la sua vita è una risposta incredula e brutale ai comportamenti della madre. Dai suoi primi ricordi alla sua vita adulta da venticinquenne, tutta la sua esistenza è una domanda, un dubbio, una esplorazione. Momo si interroga, ogni volta che ha un momento per riflettere. Che cosa è successo? Che cosa c’è dietro il suo lavoro? Dove è sua madre? I suoi successi sono solo i passi per liberarsi dall’interesse morboso della sua genitrice o un modo per attirare la sua attenzione. Momo è una ragazza che ha successo, che ha studiato con impegno, che ha superato una fase difficile della sua infanzia e ne è uscita più forte. Momo esplora la sua natura e la sua solitudine, rapportandosi anche a una delle sue clienti, una giornalista che le racconta che cosa succede nel mondo, che la interroga e le offre gli strumenti per darsi delle risposte. Ogni episodio che le torna in mente rappresenta un aspetto da studiare. Ricorda la madre e scopre sé stessa. Ha paura di essere abbandonata, ha paura di non riconoscersi, ma allo stesso tempo ha paura di mischiarsi con gli altri, ha paura di prendersi cura di qualcun altro che non sia se stessa. Momo è fragile ma allo stesso tempo capace, è inquieta, ma piena di sollievo. Non c’è solo il lavoro e il rapporto un po’ antagonista con la madre, ma questo libro è anche pieno di amore, quello della madre per la figlia, quello tra due innamorati, quello di amicizia, quello che devasta ogni prospettiva. E se di Momo veniamo a conoscenza di mille sfumature non sappiamo molto della città sommersa di T, non sappiamo molto di questo 2100 confezionato per noi. I dettagli non sono molto importanti, ma le domande si affastellano durante la lettura per essere tutte risolte nel finale. È come se mano a mano che la lettura procede, la spirale in cui cade Momo avvolga anche il lettore. I confini si fanno labili e le accuse rivolte allo spazio ristretto in cui si muove la ragazza si fanno anche di chi guarda impotente. È di fatto un racconto molto intimo, nutrito della realizzazione che non serve inventarsi che atmosfere per interrogarsi su se stessi. Ma le domande non bastano e le fasi di stallo vanno risolte e il confronto non sempre porta le risposte che vogliamo e ci immaginiamo.
Il particolare da non dimenticare? Un cagnolino…
Una membrana è un involucro e una protezione e la storia di Chi Ta-wei esplora entrambe le accezioni della parola, Momo è protezione e contenimento, è una forza dirompente e una serie di riflessioni ben calibrate, calate in una atmosfera incerta e oscura che rendono la lettura ancora più interessante e unica.
Buona lettura guys!
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daimonclub · 4 months ago
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Amori, lettura e scrittura in estate al lago
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Estate al lago Amori, lettura e scrittura in estate al lago, un articolo che analizza il romanzo Estate al lago di Alberto Vigevani, con un estratto di alcune pagine del testo. Attorno agli anni '90 avevo trovato allegato ad una rivista, in omaggio, il libro Estate al lago di Alberto Vigevani e benché non fossi un grande amante dei romanzi, visto che non potevo andare in vacanza e poiché in gioventù avevo trascorso spesso delle giornate estive sul lago di Garda, benché in questo caso si trattasse del lago di Como, memore di qualche rifermento ai Promessi Sposi del Manzoni, decisi di leggerlo.  Il lago in ogni caso ha comunque un fascino particolare, e come dicevo anch'io ho trascorso in questi ambienti un bel po' di giornate, prima con mia mamma che mi accompagnava per andare a pescare attorno ai 12-13 anni, nelle acque di Salò, Maderno, Desenzano, poi con i miei amici negli anni turbolenti della mia adolescenza, principalmente a Toscolano Maderno, Manerba, Padenghe, e poi ancora sul Lago d'Idro, e infine ancora con mia mamma alle terme di Sirmione. Ora a distanza di più di trent'anni da quel periodo e a ben 66 anni dalla pubblicazione del libro avvenuta nel 1958, ho deciso di dedicargli questo articolo, anche perché, visto che siamo in estate e la gente in genere legge sempre meno, mi sento di affermare che leggere "Un'estate al lago" di Alberto Vigevani è come concedersi una vacanza letteraria, ricca di emozioni, riflessioni e bellezza. Direi per prima cosa che consigliare questo romanzo, snello ma succulento, significa suggerire un viaggio emozionante nella nostalgia e nella bellezza del passato. Ed ora vi elencherò diversi punti per cercare di convincere qualcuno a non perdere questa occasione letteraria. 1) Vigevani è un maestro nel creare atmosfere che trasportano il lettore direttamente nelle calde estati italiane, tra paesaggi lacustri incantevoli e la quiete della natura. 2) I protagonisti del romanzo sono descritti con una profondità psicologica che permette al lettore di immedesimarsi nelle loro vite e nei loro sentimenti. Le loro storie e interazioni sono il cuore pulsante del libro. 3) La prosa di Vigevani è elegante e poetica, rendendo la lettura un'esperienza estetica oltre che narrativa. La sua capacità di descrivere i dettagli con delicatezza e precisione arricchisce ogni pagina. 4) Il romanzo esplora temi come l'amore, la memoria, la perdita e la ricerca di sé, offrendo spunti di riflessione che risuonano profondamente con i lettori di ogni età. 5) Ambientato negli anni '30, "Un'estate al lago" offre un affascinante spaccato di un'epoca passata. Vigevani riesce a catturare l'essenza del tempo e del luogo, permettendo al lettore di vivere un pezzo di storia italiana attraverso gli occhi dei suoi personaggi. 6) Il libro è pervaso da una dolce nostalgia, che invita il lettore a riflettere sulla propria infanzia e sui ricordi estivi. Questa introspezione rende la lettura profondamente personale e toccante. 7) "Un'estate al lago" è stato accolto favorevolmente dalla critica, che ne ha lodato la qualità narrativa e la profondità emotiva. È un'opera apprezzata sia dai lettori che dagli esperti letterari. 8) La descrizione dei paesaggi, delle giornate estive, e delle piccole gioie quotidiane crea un'esperienza immersiva che consente al lettore di "vivere" l'estate al lago insieme ai personaggi.
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Alberto Vigevani Alberto Vigevani (1918-1999) è stato uno scrittore, poeta ed editore italiano. Nato a Milano, si distinse per la sua produzione letteraria caratterizzata da una prosa elegante e malinconica. Oltre a numerosi romanzi e racconti, Vigevani pubblicò poesie e si dedicò all'editoria, fondando la casa editrice Il Polifilo, specializzata in libri d'arte e di alta qualità tipografica. Le sue opere riflettono spesso la nostalgia per un mondo perduto e la complessità delle relazioni umane. Vigevani è ricordato come una figura importante nel panorama culturale italiano del XX secolo. Oltre a Estate al lago ha pubblicato Un’educazione borghese; La casa perduta; L'abbandono; La breve passeggiata. Ha ottenuto, tra altri, il Premio Bagutta. Estate al lago. L'estate era stata diversa da quelle passate: le ultime vacanze dell'infanzia. Era maturata per Giacomo una nuova età: dalla suggestione dei sensi alle delicate immagini del suo amore puerile. Tutto si poteva dire in silenzio e tutto si scioglieva in contemplazione. Come ha scritto Geno Pampaloni nell'introduzione al testo, la verità del libro è in questo attimo di sospensione vitale, in questo (doloroso e insieme corroborante) diritto al segreto di fronte alla violenza della realtà. E, la sua, una sospensione magica, illusa e labile com'è proprio dell’adolescenza. Ma non è solo sua: è anche l’illusione ansiosa del silenzio e della contemplazione, quella lieve vertigine fatta di insicurezza, di angoscia e di nostalgia che caratterizzò la cultura europea tra le due guerre al cospetto delle dittature e nell’imminenza della tragedia. Pampaloni spiega molto bene la natura del romanzo e tutti i suoi risvolti, come si evince da queste sue riflessioni. " Intendiamoci. La qualità poetica del racconto del Vigevani attinge a una cultura riflessa. Tutto è già alle sue spalle. «Tutto è accaduto», come dice un titolo di Corrado Alvaro, che sentì come pochi altri scrittori, con intelligenza amara, la transizione esistenziale propria del nostro tempo. Non per nulla Alberto Vigevani è libraio antiquario, ed è editore di testi preziosi e dimenticati della più raffinata tradizione, quasi che la sua vocazione di uomo sia dedicata al recupero, all’assaporamento di valori non mercificabili, alla fedeltà della memoria. Dietro di lui scrittore si staglia la grande ombra di Proust, il fascino della grande borghesia colta, intenta a cogliere l’ultima essenza di un mondo stremato dai suoi stessi valori... Perciò, contrariamente allo schema usuale, per cui l'adolescente passa dalla innocenza alla torbida scoperta del sesso, egli supera abbastanza rapidamente l’accensione sensuale, e sublima la sua ricchezza affettiva in un amore impossibile per la bionda e gentile madre del suo compagno di giuochi. Ma ecco che qui racconto d’amore e storia di un’educazione sentimentale si saldano.
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Lago di Como in estate Che cosa rivela a Giacomo l’incontro con la giovane donna e il suo figliolo malato e ardente? 1. La forza della passione, così profonda e coinvolgente da risultare rasserenante anche se dolorosa; 2. L’« armonia e tenerezza» che unisce madre e figlio in un legame meraviglioso, compatto, inscindibile; 3. L'ambiguità della figura materna, ove si mescolano la dolcezza sensuale e il tepore protettivo, oscuro modello e | presagio di un’ambiguità esistenziale che accompagna l’intera vita; 4. La gioia pura e malinconica della bellezza, che invita al silenzio e alla contemplazione; 5. Gli rivela infine la possibilità stessa della rivelazione dell’io profondo, vertiginosa «come se si trovasse sull’orlo della propria vita ». Tutto questo lo prepara all’intuizione finale: «com'era complesso l’amore; non solo desiderio d’armonia, di bellezza, ma anche aspirazione a non esistere più, ad annientarsi. E ancora: vi era qualcosa di crudele, d’irrimediabile, qualcosa che non si sarebbe nemmeno potuto confessare, anche se lo avesse veramente compreso ». Questo è, mi pare, il tratto originale del personaggio (e del libro): la perdita dell’innocenza, momento fatale di ogni adolescenza, si trasforma, come in dissolvenza, nella consapevolezza della complessità dell'amore, con tutto ciò che di ambiguo, di doloroso, ma anche di certo e, in qualche senso, di supremo, tale consapevolezza porta con sé. Mentre si chiudono, tra le prime piogge e i colori spenti dell'autunno, le «ultime vacanze dell’infanzia », l'educazione sentimentale di Giacomo può dirsi compiuta, ma nel senso che il velo d’ombra di un’incompiutezza infinita si proietta a occupare ogni possibile futuro. Il crepuscolo di adolescenza, la lacerazione tra innocenza e maturità, che egli ha vissuto nell’estate al lago, è destinata a durare per sempre. Ma si capisce che, avviandosi ignaro verso i tempi della violenza e della devastazione che si affacceranno alla storia, egli entrerà nella vita non sotto il segno della conquista ma sotto il segno della poesia." Ma ora lasciamo lo spazio ad alcune pagine del libro. I primi giorni di vacanza seguirono rapidi, come una febbre che accalori le guance e svanisca lasciando una stanchezza, un senso di sonnolenza, e ancora fame di nuova stanchezza e di sonno. I cugini erano arrivati: l’Elisa, gentile e non bella, dal corpo pesante, la fronte a bauletto sporgente sopra gli occhi; Aldo, che aveva l’età di Stefano e dipingeva all’acquarello; Mario, un ragazzo calmo, maggiore di Giacomo di due anni. Stavano sempre insieme: nuotavano, andavano in barca, a volte salivano sulla strada di Porlezza, dov'era una valle segnata da un fiumiciattolo incassato, il Senagra. Altre partivano per Cadenabbia o, dalla parte opposta, per Acquaseria e Gravedona, in bicicletta, con la merenda al sacco, e dopo aver fatto il bagno si riposavano sui prati. Formavano una compagnia allegra, con altri giovani che s'erano aggiunti: la bruna che Stefano aveva conosciuto al Lido, Elsa, figlia del padrone dell’albergo Victoria, e il fratello, un giovane basso, il tuffatore migliore della spiaggia, che anche fuori portava una calottina rossa sui capelli impomatati. Poi le due ragazze Lanfranchi, già da Milano amiche dei cugini: la maggiore slanciata, con occhi verdi luminosi; la minore, grassottella e addormentata, con gli stessi occhi, ma sbiaditi e gonfi, che le davano l’espressione attonita di un pesce... Giacomo aveva scoperto per conto suo che l’Elsa non era tutta muscoli, ma d’una bellezza così piena e persuasiva che se ne sentiva attirato. Tuttavia la sua inclinazione non andava oltre il piacere degli occhi e quel senso di vergogna che lo istupidiva se gli capitava di rimanere solo con lei. La presenza di Clara, d’altra parte, riusciva a rendere leggera l’aria che li avvolgeva, nulla in essa s’incideva con troppa asprezza, appena vi si accennavano le amicizie ancora incerte. L’Elisa e la minore delle Lanfranchi divennero inseparabili, Mario stava insieme con Giacomo che era il più giovane ma non stonava in mezzo agli altri, in quei primi giorni in cui tutto scaturiva con spontaneità, come se per le vacanze fossero tornati ragazzi anche i grandi. Forse non badavano alla differenza di età, o lo ammettevano perché li faceva ridere con uscite in cui, incitato dal desiderio di farsi notare, caricava il suo senso dell'umorismo di una capacità d’invenzione che si smentiva di rado. Le zitelle che aveva spaventato in bicicletta erano divenute dei personaggi, così Antonio, il custode, di cui rifaceva la voce e imitava i discorsi farciti d’interiezioni, di proverbi detti a sproposito. Ma forse erano gli altri, a completare o ad accrescere il ridicolo dei suoi accostamenti, delle trovate che gli nascevano spontanee dal troppo parlare, quando si eccitava: la verità era che avevano voglia di ridere, di sentirsi disinvolti e spensierati prima d’addentrarsi nel terreno sfuggente e sconosciuto delle nuove amicizie.
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Cartina del lago di Como Finirono anche quei giorni d’attesa: Stefano ora lo respingeva, se gli andava vicino mentre aveva al braccio l’Elsa; rispondeva a monosillabi. Durante le gite Giacomo e Mario restavano indietro. Prima, avevano tutti riso delle sue immagini, si era sentito ammirato dalle ragazze, invidiato da Mario, in brevi momenti di esaltazione che lasciavano adesso il posto a un risentimento. Supponeva d’essere condannato a portare i calzoni corti in eterno, come un segno d'’inferiorità. Tra loro due e i grandi duravano lunghi silenzi, le parole di Giacomo cadevano senza che nessuno le raccogliesse, e a un tratto s'’accorgevano che i giovani camminavano avanti, sulla mulattiera lungo il monte, o rimanevano solo loro sulla spiaggia, mentre gli altri se n'erano andati in barca senza chiamarli. Li ritrovavano poi che ballavano nella sala a pianterreno della villa o all’albergo Victoria... Presto arrivò luglio. Negli alberghi si davano i primi balli: la stagione vera sarebbe venuta a settembre. Clara si metteva in abito lungo e veniva a farsi ammirare prima di uscire. Stefano vestiva lo smoking e Giacomo gli faceva compagnia mentre si preparava in bagno e annodava la cravatta davanti allo specchio. Forte e giovane, le sopracciglia folte, gli occhi vellutati e scuri uguali a quelli del padre, pareva lontano come mai, e proprio nel momento in cui gli offriva maggiore confidenza. Delle feste parlavano a tavola, il giorno dopo. Gli rimanevano nella mente episodi e nomi di persone, uditi nei discorsi dei fratelli, con il prestigio delle cose inaccessibili. Se la festa era a Menaggio, andava con le domestiche a vedere l’entrata dai cancelli. L’Emilia gli metteva una mano sulla spalla; diceva: «Ti piacerebbe vestirti da sera, ballare anche tu? »... A metà d’agosto il padre tornò per fermarsi una settimana. Giacomo quasi non s’accorgeva di lui. Gli era toccato ancora deluderlo: non aveva mai adoperato gli attrezzi e aveva fatto pochi progressi nello studio. Si sentiva in colpa, guardandolo: come provasse il sentimento che il padre fosse, senza sospettarlo, esposto a subire le conseguenze di ciò che a un tratto poteva insorgere nel suo animo. Gli appariva incapace di difendersi, nell’abito di tela un po’ ottocentesco, con la camicia di seta cruda aperta sul collo e il leggero copricapo di panama che sbiancavano ancor più la sua carnagione cittadina. Del resto non stavano mai insieme: usciva con la madre a visitare parenti o conoscenti che poi venivano a prendere il tè in giardino. A Giacomo sembrava che tra loro due qualcosa fosse già cambiato. Forse temeva per il suo segreto, quando gli occhi del padre si posavano sopra di lui, schiariti da un’ironia dolce e penetrante che avrebbe voluto sfuggire. Eppure, durante il giorno, tra Giacomo e l’Emilia tutto si svolgeva come prima, di nuovo non c'era che la carezza più ardita, le poche sere, ormai, che andavano a passeggio insieme. Spesso lei voleva uscire con l’Elvira, dicendo che si recavano al cinema, dove lui non poteva seguirla. Incontrandolo, sorrideva sempre, lo sfiorava col fianco come per scherzo, forse per vedergli in faccia il turbamento che non riusciva a nascondere. Era come fosse per abbandonarsi a piangere, e non potesse trovare comprensione se non in lei che già mostrava di evitarlo. Ma la notte, prima di addormentarsi, era diverso: come un appuntamento, ogni volta si ripeteva il lungo istante in cui, col respiro disordinato, il capo fitto nel guanciale, brancolava sopra un’immagine di lei oscura e avvincente. Se la raffigurava nuda, nella sua ricchezza segreta, lambita dal buio, le spalle e il petto candidi in luce, il ventre affondato in una macchia. Confusa e incerta ossessione, come confuse e incerte le reminiscenze, il negativo del nudo tra le rocce finte, i corpi femminili alla spiaggia, ogni nutrimento anonimo e frammentario della sua fantasia. A sfiorare quella immagine con una carezza, qualcosa entro di lui si rompeva in una breve liberazione che lo lasciava intontito e vergognoso. Infine una sera, appena partito il padre, che tutti erano usciti - l’Elvira aveva voluto andare al cinema da sola -, udì il passo dell'Emilia nella stanza che occupava all’ultimo piano, sopra la sua. Giacomo aveva già un poco dormito e quei passi gl’illuminarono d’improvviso la figura di lei, i suoi gesti mentre andava spogliandosi. Gli pulsavano le tempie; senz’accorgersene si trovò fuori della porta. Salì le scale nell’oscurità, cercando di non far rumore. Si sentiva un ladro, temeva che qualcuno potesse sorprenderlo. Una striscia di luce bagnava il pianerottolo, da sotto la porta. Non udiva nemmeno più il passo della donna. S’appoggiò alla maniglia, la porta cedette. Dalla finestra ovale entrava la luna e illuminava il letto. Il suo volto era quasi al buio: pareva ancora più pallido. Vide che i suoi occhi lo fissavano. « Giacomo », disse a bassa voce, « sei tu? ». Siccome non si muoveva, rigido contro la porta, il cuore che gli batteva di furia, lei riprese, con una voce alterata che sembrò una carezza: «Vieni qua». Andò verso il letto in punta di piedi. Si muoveva in quella luce quasi irreale come in una delle apparizioni che venivano a sorprenderlo la notte, quando non riusciva a dormire. Lei gli prese i polsi, l’attirò a sé. Piegando le ginocchia contro la sponda del letto, premette la guancia sulla spalla nuda. Il suo profumo lo confondeva. Dietro la testa di lei, sopra il candore del guanciale colpito dalla luce, i capelli sciolti addensavano un bosco oscuro e segreto da cui si staccava il suo volto smorto, senza più quel sorriso che sempre lo pungeva, sulle labbra adesso aride e schiuse. Gli occhi, scintillanti, sembravano vetri in cui la luce acquistasse profondità.
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Grand Hotel Victoria Liberò le mani per cercarle il seno: annaspavano contro la tela un po’ ruvida della camicia. Fu lei a offrirglielo, scostando la spalla, e gli sembrò che bruciasse; poi quel fuoco gli entrò nella pelle. Lo palpava intero senza sapere dove indugiare. Si riempiva le mani della ricchezza che lei gli aveva ‘nascosto, e non cedeva alla carezza ripetuta ma la chiamava ancora, rinnovandogli come uno spasimo. Era entro un sentiero buio che lo faceva trasalire, e morbido, in cui ritrovava pungente l’odore dei capelli che gli coprivano le guance, la fronte. Un alito resinoso di terra e di donna che pareva quello del suo sangue. «Giacomo », aveva detto, due, tre volte, irosamente, gli era sembrato, muovendo il petto per svincolarsi. Ma s’avvinghiava a lei come se dovesse spremere, succhiare tutto il profumo e il calore che emanava. Poi gli si abbandonò, ansimante. Gli aveva cercato la bocca, la mano, ma appena raggiunte si era scossa, l’aveva allontanato con violenza, accendendo la piccola lampada sul tavolino. Era rimasto in fondo al letto. La fissava, nella debole luce elettrica, i capelli e la camicia in disordine, il volto quasi cattivo, mutato, con le labbra tremanti e tumide. La sua bellezza pareva a un tratto non più lontana, ossessiva, ma come rozza e affranta. Il torpore lo avvolgeva, allontanando ogni cosa nel tempo: si sentiva quasi spettatore di quel suo risveglio. Vide il seno scomparire nello scollo e gli parve una macchia, un fiore raggrinzito, la punta violacea che esitò un istante sull’orlo della camicia. Contrastando con la pelle chiara del petto somigliava a un oggetto immaginato nel sogno, che alla luce reale stupisca. Anche i suoi occhi erano diversi: lo sfuggivano come fosse lei, ora, a provare vergogna e a temere il suo riso. Gli pareva anche un'illusione il sussurro, quasi un gemito, che aveva colto sulle sue labbra. Si era seduta e aveva preso il pettine. Mentre ravviava i capelli si tolse la forcina dalle labbra e disse, a bassa voce: «Ti voglio bene, però sei un bambino ». Parole così fragili gli avevano fatto l’effetto che le avesse pensate, più che dette. Non capiva perché tornava ora un bambino, quando per un lungo momento era stata lei a soffrire sotto il suo abbraccio, e le sue labbra avevano perduto ogni voglia di sorriso. Read the full article
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antennaweb · 5 months ago
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cinquecolonnemagazine · 6 months ago
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La parola al diabete: convegno con lo scrittore Marco Zenone
Non ti voglio di Marco Zenone edito da Effedì è stata un’occasione per affrontare il tema del diabete alla luce dei cambiamenti repentini a cui è sottoposta la nostra società. In occasione del XII Convegno di Fondazione AMD che si è tenuto a Roma dal 16-18 maggio, Fondazione AMD - Associazione Medici Diabetologi Italiana ha invitato l’autore novarese per portare la proprie testimonianza. Nel pomeriggio di venerdì 17, infatti, Marco ha preso parte, come relatore della faculty, a una tavola rotonda sulla patologia diabetica, dal titolo “LA PAROLA AL DIABETE - CONFRONTARSI CON GLI ALTRI: LO SCRITTORE, L’INFLUENCER, LE ASSOCIAZIONI”.  Durante il dibattito si è affrontato il tema della comunicazione legata al diabete declinata in diverse forme: quella degli influencer mediante i canali social, quella delle associazioni e anche quella attraverso le pagine di un testo letterario di narrativa, come è avvenuto nel caso di Marco Zenone, che nel 2020 ha pubblicato il romanzo "Non ti voglio" con la casa editrice Effedì Edizioni. Marco Zenone Non ti voglio di Marco Zenone Si tratta di un romanzo di autofiction che, prendendo spunto da alcuni accadimenti personali, con ironia e leggerezza, affronta il tema del diabete tipo 1, patologia di cui Zenone soffre dall’infanzia. Il libro racconta la bizzarra storia d’amore tra il giovane Enzo, un alter ego dell’autore (anch’esso diabetico dalla tenera età), e Arianna. Per quest’ultima, il diabete tipo 1 è una realtà conosciuta solo attraverso i tanti luoghi comuni che accompagnano ancora questa malattia e che andranno a dilatare la distanza tra i due innamorati.  Non ti voglio di Marco Zenone, che tocca l’aspetto spesso trascurato della discriminazione e dello stigma sociale a cui, in alcune circostanze, è soggetto chi soffre di diabete tipo 1, ha suscitato molto interesse sia nell’ambito medico sia in quello letterario. L'autore in passato ha già avuto modo di collaborare con la Fondazione AMD; ricordiamo, infatti, che un estratto di “Non ti voglio”, intitolato "Maracana 1984", è stato pubblicato sul volume 23, n°4, 2020 di JAMD, periodico di approfondimento scientifico e formazione della Fondazione stessa  (il testo è disponibile e scaricabile dal web per chi fosse interessato). «Ringrazio Fondazione AMD per questa straordinaria opportunità di condivisione e divulgazione; per me è stata una nuova occasione di arricchimento personale che spero si possa ripetere in futuro», queste le parole dell'autore sull'esperienza romana. XII Convegno di Fondazione AMD Il convegno è stato un incontro prezioso che ha permesso il confronto sulle più̀ recenti innovazioni in ambito clinico-terapeutico e di ricerca scientifica grazie alla presenza di relatori di spicco nazionali ed internazionali. Durante la tre giorni di Roma, è stato possibile dialogare con le Istituzioni, gli Specialisti e le persone con diabete su temi quali l’assistenza e la prevenzione.  Ampio spazio è stato dedicato alla gestione del rischio cardiovascolare nel diabete, le emergenze del piede diabetico, il diabete gestazionale, la Nutrizione e il diabete e tanti altri argomenti di grande interesse sociale e clinico. Nell’ambito del convegno, Non ti voglio di Marco Zenone, è stato un ulteriore spunto di confronto su cui riflettere, una testimonianza che affronta il tema del diabete di tipo 1 nell’ambito dei rapporti interpersonali. Read the full article
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vorticimagazine · 7 months ago
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Naomi Campbell è La "Venere Nera"
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Il Victoria & Albert Museum di Londra dimostra (ancora una volta), di essere una delle poche realtà museali attente a raccontare la moda con un linguaggio e una narrativa contemporanea attraverso mostre pionieristiche. Non solo nella scelta di tematiche davvero originali, ma anche con le personali dedicate a figure non convenzionali a tal proposito ricordiamo quella dedicata a David Bowie, che è diventata una mostra permanente.
Per la prima volta il V&A dedica a Naomi Campbell, una delle modelle più iconiche, una mostra che vuole celebrare i suoi 40 anni nella moda.
Tutto parte proprio dalle strade di Londra, circa 40 anni fa, quando Naomi Campbell fu notata da un’agente mentre camminava a Covent Garden, all’età di 15 anni. Poco dopo Naomi entra nella storia come la prima modella nera, a comparire sulla copertina di Vogue Paris a 18 anni. Insieme a Cindy Crawford, Helena Christensen, Claudia Schiffer, Carla Bruni è una delle 5 top model degli anni ’90 lanciate come fenomeno da Gianni Versace e che la stessa Donatella ha riunito a Settembre 2017.
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Naomi Campbell al Festival di Cannes 2018 La mostra “Naomi: In Fashion”, aprirà al pubblico il 22 Giugno 2024 e resterà aperta fino al 6 Aprile 2025, un evento che saprà attirare l’attenzione di un pubblico davvero ampio, che va ben oltre i soli addetti ai lavori ed è una sfida importante per un museo dinamico come il V&A. Un primo sguardo agli abiti La mostra al Victoria&Albert Museum esplorerà l’impatto dell’indossatrice - che negli anni Ottanta si guadagnò il soprannome di “Venere Nera”- non solo nel fashion. Forgiando nuovi canoni della moda e della bellezza, infatti, Naomi Campbell ha creato un impatto sociale più vasto, aprendo gli occhi alla diversità. Il percorso illustrerà anche le molteplici attività filantropiche e da attivista della top model, che non a caso fu adottata da Nelson Mandela come “nipote ad honorem”, in riconoscimento del suo impegno. La straordinaria carriera della leggendaria top model sarà celebrata come mai prima d’ora durante un’exhibition epocale. Sarà un vero e proprio viaggio attraverso il racconto della straordinaria carriera di una tra le figure più iconiche del fashion system.
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Naomi Campbell al Festival di Cannes 2008 La mostra è un’ode alle collaborazioni della modella con i principali designer e fotografi globali. Attraverso una selezione curata di circa 100 look e accessori iconici delle migliori Maison. I visitatori avranno l’opportunità di immergersi nel magico mondo di Naomi. Si va dal corsetto futuristico di Thierry Mugler di fine Anni ‘80, all’abito da sogno di Valentino sfoggiato al Met Gala del 2019, passando per le vertiginosissime scarpe di Vivienne Westwood indossate durante l’iconica caduta della modella nel 1993. E non finisce qui, potremo ammirare anche l’abito di Dolce & Gabbana indossato durante l’ultimo giorno di Community Service nel 2007. Attraverso sezioni come “Supermodel”, che ci riporterà all’epoca d’oro degli Anni ‘90 quando Naomi regnava sulle passerelle,(tra queste naturalmente, si annovera New York), si esplorerà il suo impatto culturale e il suo impegno sociale. I visitatori saranno invitati a riflettere sul suo ruolo non solo come modella, ma anche come icona di cambiamento sociale e culturale.“Naomi: In Fashion” si preannuncia come un appuntamento imperdibile per gli amanti della moda, gli appassionati di cultura e tutti coloro che avranno voglia di celebrare il talento straordinario di una delle icone più affascinanti della nostra epoca. La mostra sarà curata da Sonnet Stanfill, Senior Curator moda al V&A, che ha dichiarato: “Naomi è riconosciuta in tutto il mondo come top model, attivista, filantropa e mente creativa, una delle personalità più prolifiche e influenti nella cultura contemporanea. Siamo lieti di lavorare con lei a questo progetto e di celebrare la sua carriera con il nostro pubblico”.Per approfondire: - VANITY FAIR - VOGUE ITALIA - ELLE Scoprite anche la nostra rubrica Lifestyle   Immagine di copertina e altre immagini : Wikipedia Read the full article
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spazioinformazionelibera · 10 months ago
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Oggi voglio condividere con voi un'esperienza importante nella mia passione per la scrittura: la creazione della mia ultima raccolta di racconti, "Brivido infinito". Quest'opera è il risultato di anni di riflessioni, scritti e connessioni narrative che si sono intrecciati in un tessuto unico, rappresentativo della complessità della vita umana.
In "Brivido infinito", ho esplorato temi universali quali l'amore, il sacrificio e la lotta per gli ideali. Ho cercato di rappresentare la ricerca di significato di fronte alle avversità, inserendo anche riferimenti storici a tragici eventi che hanno segnato il nostro passato.
Ho dato vita a personaggi la cui ordinarietà è resa straordinaria dalle loro esperienze. Credo che ogni persona porti in sé un universo di storie e emozioni, e questo è ciò che ho cercato di catturare nei miei racconti.
Nel mio stile di scrittura, ho cercato di mantenere un equilibrio tra la delicatezza dei sentimenti e la crudezza della realtà. Questo approccio mira a riflettere la dualità della vita umana, dove bellezza e dolore si intrecciano in modo inestricabile.
"Brivido infinito" è più di una raccolta di storie; è un viaggio emotivo che invita i lettori a esplorare la complessità e la fatalità della vita umana. Ogni scelta, ogni percorso intrapreso dai personaggi, si intreccia con gli altri, creando una narrativa che celebra l'interconnessione della vita.
Vi invito a unirvi a me in questo viaggio narrativo, un'esplorazione che spero vi tocchi profondamente e vi offra nuove prospettive sul mondo che ci circonda.
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lamilanomagazine · 1 year ago
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DONARTE 2023: il nobile gesto della donazione degli Organi raccontato con la scienza e l'arte
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DONARTE 2023: il nobile gesto della donazione degli Organi raccontato con la scienza e l'arte. Messina, si è conclusa ieri, domenica 1 ottobre, la seconda edizione di Donarte. La II International Conference che ha visto il comune di Messina insieme alle Unità Operative Servizio di Anestesia e Rianimazione con Terapia Intensiva dell’AOU “G. Martino” di Messina, impegnati in una campagna di sensibilizzazione sociale sul tema della donazione di organi e tessuti. All’iniziativa, promossa dall’Istituto Italiano della Donazione (IID) e patrocinata dall'ANCI, il Comune di Messina ha aderito con Delibera di Giunta, quale testimonianza concreta dell'attenzione rivolta ad una tematica importante. Infatti, l’evento DONARTE è stato inserito nell’ambito del progetto "InStradaME", fortemente sostenuto dall’Amministrazione comunale, finalizzato alla promozione, prevenzione e contrasto all’incidentalità stradale. “Un evento significativo - ha commentato il sindaco Federico Basile - per riflettere sull’importanza della vita e come proteggerla, ma pensare anche sull’importanza del dono, perchè donare agli altri attraverso i nostri organi significa riaccendere la vita a chi ha bisogno”. “Una sinergia sviluppata con l’Università e AOU G. Martino per lavorare in rete – ha aggiunto l’assessora Alessandra Calafiore - con l’obiettivo di sviluppare un'adeguata campagna di sensibilizzazione sociale”. Il programmma dell’evento, avviatosi lo scorso venerdì 29 settembre, con un incontro organizzato a palazzo Zanca, è stato occasione grazie alla presenza di simulatori in 3D sviluppati dall’Università di Messina per diffondere la conoscenza dei rischi e fare apprendere cosa significa guidare in stato di ebrezza. Un tema, quello della prevenzione agli incidenti stradali, su cui accendere i riflettori anche affrontando gli argomenti connessi all’emergenza urgenza e alla gestione del percorso assistenziale di un potenziale donatore di organi. Sabato 30 settembre, in occasione del Gran Gala’ DONARTE 2023, svoltosi al Palacultura, sono state numerose le testimonianze che si sono susseguite prima della cerimonia di premiazione Bando Arte. I vincitori sono stati: Sezione Opere pittoriche: Rigenerazione di Sebastiano Miduri, premio in memoria di Gaetano Alessandro, a consegnarlo la sorella Anna Alessandro; Sezione Opere scultoree: Sun rising in a bowl di Iolanda Russo Menna, premio in memoria di Rukmani Devi Gupta, consegnato dal figlio, prof. Deepak Gupta; Sezione Fotografia: Donare un atto di cuore di Grazia Teresa Fresco, premio in memoria del prof. Angelo Ugo Sinardi, consegnato dalla famiglia; Sezione Narrativa per adulti: A story of resilience di Nada Mohamed Saad, premio in memoria di Nicholas Green, consegnato dal prof. Franco Servadei, past President della World Federation of Neurological Societies; Sezione Poesia per adulti: Eri fiore di primavera di Carmela Anna Rossello, premio in memoria di Rolly Prajapati, a consegnarlo il prof. Sunil Shroff, Presidente della Mohan Foundation India. Componenti della giuria: Giuseppe Giordano, Caterina Di Giacomo, Richard B. Woodward, Simone Caliò (Arti Figurative), Maria Florinda Minniti, Maria Francesca Tommasini, Flavia Vizzari (Opere letterarie).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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pier-carlo-universe · 4 days ago
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Una Famiglia Bellissima di Antonella Di Martino: Nei Sotterranei Respira il Segreto. Recensione di Alessanria today
Un romanzo che esplora il lato oscuro delle apparenze perfette
Un romanzo che esplora il lato oscuro delle apparenze perfette “Una Famiglia Bellissima: nei sotterranei respira il segreto”, scritto da Antonella Di Martino, è il primo volume della serie “Legami di sangue, legami d’amore”. Pubblicato in formato Kindle, il libro si immerge nei segreti più inquietanti di una famiglia apparentemente perfetta, rivelando come le apparenze possano celare tormenti…
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cdgruppo3 · 2 years ago
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MEME 1
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Il meme in questione appartiene alla categoria di meme chiamata "immagini macro", la quale utilizza immagini in grande formato per creare un effetto umoristico e/o satirico. In particolare, il meme rappresenta un'esperienza negativa dei social media, dove molte persone, soprattutto giovani, tendono a perdere ore di sonno scorrendo i contenuti dei social media, come ad esempio quelli offerti da TikTok.
Nonostante l'argomento sia serio e preoccupante, il meme riesce a far ridere perché molti possono riconoscersi nella situazione rappresentata dalla bambina che fugge dalla scimmia (ovvero TikTok) che la insegue. In questo modo, il meme utilizza l'auto-ironia come strumento per far riflettere sull'uso eccessivo dei social media e la dipendenza ad essi.
Per quanto riguarda il livello di intertestualità del meme, è necessario conoscere TikTok e l'esperienza di trascorrere ore a guardare i video sulle piattaforme social. Non sono presenti riferimenti ad altri meme specifici, ma il meme utilizza la metafora della scimmia insegue la bambina come simbolo della dipendenza dai social media.
Il livello di indicizzazione del meme è alto, poiché può essere utilizzato in molti contesti differenti. Ad esempio, potrebbe essere utilizzato per parlare dell'uso eccessivo dei social media, del tempo che viene perso mentre se ne fa uso, ma anche come strumento di auto-riflessione per coloro che si riconoscono nella situazione rappresentata.
Infine, il livello di replicabilità del meme è elevato. Per creare una variazione del meme, sarebbe sufficiente cambiare le scritte o le immagini utilizzate, mantenendo la stessa struttura e la stessa metafora della scimmia che insegue la bambina. Ci sono numerosi siti e strumenti online che possono essere utilizzati per creare e modificare i meme, rendendolo quindi facile da replicare e condividere su molteplici piattaforme social.
Questo meme in specifico non è un meme che abbiamo incontrato in precedenza. Lo abbiamo trovato su Pinterest, in una bacheca chiamata “ALPHA MALE”; il luogo in sé non è considerato problematico; tuttavia, il poco controllo dei contenuti fa si che si possano creare dei luoghi all’interno di Pinterest con contenuti/memes controversi, di stampo sessista. 
A creare la bacheca è stato un’utente chiamato RobWest.TV, il quale si definisce come “Vlogger, blogger, (…) funny husband, and father of three.” Oltre ad aver creato la prima bacheca ne abbiamo notata un’altra intitolata “Make America Funny Again” nella quale si trovano memes che possiamo definire come black humor. Anche per la bacheca presa da noi in analisi, notiamo sulla sinistra dei tag che descrivono il contenuto come “Humor divertente” “Umorismo sarcastico”. �� abbastanza evidente che l’utente in questione ha creato la bacheca con l’intenzione di far ridere e di condividere il proprio umorismo che va a toccare argomenti polemici.
Questo genere di memes rimane tuttavia controverso perché va ad alimentare una narrativa sessista: alimenta degli stereotipi e la disparità di genere tipici della cultura patriarcale, andando ad urtate la sensibilità di chi subisce i danni di questo retaggio. 
In contrapposizione alla cultura patriarcale c’è la discussione della mascolinità tossica: si potrebbe utilizzare questa posizione per andare a contrastare il discorso sessista mosso dal primo meme, sfruttando sempre i tag di Pinterest in modo da renderlo visibile a chi ricerca tali contenuti e ne fa usi errati per alimentare la propria visione sessista. La nostra idea è dunque utilizzare lo stesso template con scritte diverse, gettato nuovamente questi temi sull’umorismo per mostrare la ridicolezza di certe visioni, pubblicando le immagine su Pinterest sotto gli stessi tag come “Umorismo sarcastico” “Humor divertente” ecc.
MEME 2: Counter-meming
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Questo meme in specifico non è un meme che abbiamo incontrato in precedenza. Lo abbiamo trovato su Pinterest, in una bacheca chiamata “ALPHA MALE”; il luogo in sé non è considerato problematico; tuttavia, il poco controllo dei contenuti fa si che si possano creare dei luoghi all’interno di Pinterest con contenuti/memes controversi, di stampo sessista. 
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A creare la bacheca è stato un’utente chiamato RobWest.TV, il quale si definisce come “Vlogger, blogger, (…) funny husband, and father of three.” Oltre ad aver creato la prima bacheca ne abbiamo notata un’altra intitolata “Make America Funny Again” nella quale si trovano memes che possiamo definire come black humor. Anche per la bacheca presa da noi in analisi, notiamo sulla sinistra dei tag che descrivono il contenuto come “Humor divertente” “Umorismo sarcastico”. È abbastanza evidente che l’utente in questione ha creato la bacheca con l’intenzione di far ridere e di condividere il proprio umorismo che va a toccare argomenti polemici.
Questo genere di memes rimane tuttavia controverso perché va ad alimentare una narrativa sessista: alimenta degli stereotipi e la disparità di genere tipici della cultura patriarcale, andando ad urtate la sensibilità di chi subisce i danni di questo retaggio. 
In contrapposizione alla cultura patriarcale c’è la discussione della mascolinità tossica: si potrebbe utilizzare questa posizione per andare a contrastare il discorso sessista mosso dal primo meme, sfruttando sempre i tag di Pinterest in modo da renderlo visibile a chi ricerca tali contenuti e ne fa usi errati per alimentare la propria visione sessista. La nostra idea è dunque utilizzare lo stesso template con scritte diverse, gettato nuovamente questi temi sull’umorismo per mostrare la ridicolezza di certe visioni, pubblicando le immagine su Pinterest sotto gli stessi tag come “Umorismo sarcastico” “Humor divertente” ecc.
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...un classico senza tempo...un passaggio obbligatorio per ogni buon lettore...Introdurre piano una storia, creare i personaggi, dar loro una voce, un carattere, un aspetto senza limitarsi a una descrizione ma dando un afflato e lentamente descrivere un'epoca, mentalità, tradizioni, paure, cambiamenti... Harper Lee crea e dà corpo a una vicenda cruda e reale attraverso la voce narrante di una ragazzina che si ritrova ad assistere a eventi più grandi di lei, che però affronta con la saggezza semplice e innocente che solo un bambino può avere. E così un episodio di razzismo degli anni trenta, un razzismo che era ancora una triste realtà al tempo della stesura del romanzo e che purtroppo in parte lo è ancora al giorno d’oggi, diventa l’occasione per ritrarre uno spaccato del sud degli Stati Uniti, in cui le cose avvengono come tutti si aspettano che debbano avvenire e in cui la piccola luce di un gesto quasi eroico sul finire del romanzo illumina un po’ una realtà rassegnata e disillusa...Stupisce che un libro di oltre sessant'anni anni fa “suoni” così moderno durante la lettura...Consiglio a chi è scettico ancora oggi su cosa sia la diversità o la superiorità di uomo su un altro di leggere questo libro e riflettere sulle proprie scelte...#ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #narrativa #harperlee (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/CpehsbAIL93/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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thegianpieromennitipolis · 2 years ago
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SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti 
IL DOMINIO DELLO STILE
Quello di "El Greco", al secolo Domínikos Theotokópoulos, è un frammento singolare e grandioso della storia dell'arte europea. Una mostra al Kunstmuseum di Basilea, nel 2022, ha proposto l'apparentemente ardita comparazione tra l'artista d'origine cretese e Pablo Picasso. E' plausibile. Ed è offerta da alcuni riscontri. Eppure, è più interessante riflettere oltre questa suggestione. Vissuto tra il secondo quarto del '500 e il primo ventennio del '600, El Greco esordì come pittore di icone costantinopolitane: origine stilistica non comune. In seguito, soggiornando prima a Venezia e poi Roma, assorbì nuovi modelli formali: come Picasso, fu una "spugna" di straordinario talento. Infine, si trasferì a Toledo, la sua ultima dimora. Lasciò tracce indelebili ovunque abbia vissuto. Contemporaneo dei grandi artisti veneziani del secondo '500, lo fu anche di Caravaggio. Ma rimase, sempre, intimamente restio a prediligere uno stile: preferì piuttosto la ricerca, la sperimentazione, la genialità creativa, la forma narrativa originale. Così, la sua pittura non stanca mai: è sempre una scoperta, l'effetto di un desiderio di libertà al quale già la "Maniera" aveva dato la stura. Eppure, ancora non mi è sufficiente: per comprendere El Greco, la riflessione mi conduce verso il tema dello stile, quel particolare tratto estetico dal quale passa l'interpretazione dello sguardo e non dell'oggetto. Come accade nell'immagine iconica e nella pittura del vicino Oriente, le figure, i paesaggi, i colori, i racconti, formano una traccia riconoscibile, declinata per modelli simbolici, segni che rimandano a percezioni, a stati d'animo, a riflessi dello spirito. Questo segno stilistico che giace nel profondo, segue El Greco in tutti i suoi testi pittorici, coraggiosi, a volte stupefacenti, indifferenti al reale della "rappresentazione", distanti dall'irreale della "presentazione" astratta. Domina il gusto per la forma piegata dai meandri mai percorsi della mente. Che è sovvertimento dello sguardo. Che vorrebbe giungere fino all'estremo, impenetrabile sogno dell'arte: la fonte della creatività. Forse, a stupirsi di quelle immagini pittoriche fu proprio lui, l'autore, il primo osservatore dell'opera conclusa. La meraviglia divenne piacere eccentrico capace di sollevare l'animo, di spingere la fatica oltre se stesso, oltre l'abitudine della maestria, verso quel confine affascinante che lascia intravedere un'accesso impossibile: l'origine del primo segno, la ragione del primo gesto.  L'arte. Che prima di esistere, è bagliore di ombra. 
Domínikos Theotokópoulos detto "El Greco" (1541 - 1614): "Ragazzo che soffia su un tizzone acceso", "El soplón", 1570 - 1575, Museo di Capodimonte, Napoli
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Libri sotto l’albero
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https://chemiguardo.it/cartoline-di-natale-vittoriane/
Grande romanziere mai sufficientemente ricordato, Marco Denevi sa mutare con estrema versatilità lo stile a seconda del personaggio, con umorismo, maestria, opulenza verbale, calibrato dosaggio di citazioni. Non solo. Lo scrittore argentino ha saputo creare un proprio modus operandi: in maniera simile a Rashomon di Kurosawa, in cui ogni attore fornisce una versione diversa dell’accaduto, nelle storie di Denevi, sempre a metà tra narrativa e giallo (ammesso che al giorno d’oggi sia ancora possibile e consentito operare una simile distinzione, e su questo tema rinviamo al prezioso e sintetico saggio di Camilleri), gli eventi sono esposti dai personaggi sulla base del loro singolare punto di vista. La Verità, ovviamente, sarà svelata solo nel finale e apparirà, secondo le migliori regole del giallo, inaspettata e sorprendente. Fino a metà circa del libro, la trama si snoda con tranquillo fluire, anche se l’autore lascia sapientemente cadere indizi sempre più evidenti di una imminente catastrofe. A questo punto la catastrofe temuta si verifica e la seconda parte si dipana in modo diverso: in Rosaura alle dieci ognuno racconta la sua verità in prima persona e con uno stile caratteristico, dalla proprietaria della pensione, donna di mezza età, ciarliera ed emotiva, che si lascia guidare nei suoi giudizi da sentimentalismi, proverbi e luoghi comuni, al coltissimo avvocato che srotola a perdifiato la sua interpretazione dei fatti diametralmente opposta rispetto a quella della locandiera, fino alla ‘confessione’ del presunto assassino sotto forma di dialogo teatrale.
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Nella seconda parte di Musica di amor perduto vengono introdotti nuovi, curiosissimi personaggi: un procuratore cripto-omosessuale e un avvocato particolarmente avvenente. La tragedia prenderà, allo stesso tempo, l’aspetto di un noir (un po’ macabro) alla Edgar Allan Poe e di un cold case. Cambiano quindi le figure che si muovono nelle due metà del racconto (il loro legame con la trama sarà svelato a poco a poco), l’intreccio è abilmente elaborato e il finale scaturisce del tutto inaspettato. Originale, coinvolgente e scritto con particolare maestria.
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Cerimonia segreta: ricorda, come ha detto Fernando Sorrentino, La caduta della casa Usher di Poe. Nel 1968 Joseph Losey ne ha tratto un film con Mia Farrow, Robert Mitchum e una intensissima Elizabeth Taylor.
Assassini dei giorni di festa (dove giorni è genitivo oggettivo) ci presenta una “molteplice mistificazione”: sei fratelli decidono, per noia o per pura crudeltà, di frequentare le veglie funebri di persone sconosciute “finché si imbattono in un morto senza parenti, in una ricca casa che conserva cimeli di ogni tipo e rinserra il segreto di un morboso amore. E il piano, che quasi automaticamente escogitano per impadronirsi di quelle ricchezze, li costringe a recitare se stessi di fronte a se stessi, a inscenare la loro stessa irredimibile aridità, in una drammatizzazione del cui umor nero, macabro e cattivo, non si rendono conto ma che li trascina in una specie di espiazione che non li illumina e non li emenda”. Umorismo, mistero e tragedia finale compresi in un perfetto meccanismo narrativo.
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Sono recentissime pubblicazioni di Adelphi tre libri di Simenon: La mano e due raccolte di racconti. Il giallo è ambientato nel Connecticut e fa vibrare tutte le corde cui l’autore ci ha abituati: lettura a perdifiato e profondo scavo psicologico, al punto che non si ha mai la certezza su chi sia il vero colpevole. L’ambiguità dei personaggi, forse anche nell’autocoscienza, la mancanza di un autentico rapporto partecipativo sia in famiglia sia con gli amici d’infanzia, un sistema di valori basato esclusivamente sul successo non possono che portare all’inesorabile dramma. Una narrazione stringente, priva della stucchevole retorica dei legami affettivi e, finalmente, politicamente scorretta, una storia che fa riflettere sui rischi che si possono correre, Bergman docet, all’interno di un nucleo familiare in assenza di sincerità e condivisione, quando la base dell’unione non è solidificata da sentimenti forti: la mancanza di comunicazione genera pericolosi fraintendimenti dalle conseguenze irreparabili.
Lo scialle di Marie Dudon: dieci racconti, otto dei quali inediti in Italia. Il processo di identificazione nei  personaggi instancabilmente cercato da Simenon in tutta la sua sconfinata opera narrativa, nel racconto che dà il titolo alla raccolta trova il suo obiettivo in una lavandaia stanca, con il mal di schiena e le mani terree e squamose a forza di stare immerse nell’acqua. Ma, improvvisamente, le cose cambiano: guardando fuori dalla finestra, ha forse assistito a un omicidio, proprio come Miss Marple dal finestrino del treno in Istantanea di un delitto?
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Annette e la signora bionda: inaspettatamente un lieto fine nel racconto che dà il titolo alla raccolta, un “tono lieve e scanzonato, simile a quello di una commedia sofisticata” non frequente in Simenon e che incuriosisce ancora di più il lettore appassionato dell’instancabile inventore del commissario Jules Maigret.
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Rex Stout  Il guanto: un altro grande giallista che esce dai ranghi. Questa volta è il padre del pantagruelico Nero Wolfe a tradire la sua creatura per dedicarsi a una investigatrice in gonnella, la giovane Theodolinda (alias Dol) Bonner, figlia di un finanziere vittima del crollo di Wall Street, alle prese con un mistero più grande di lei. Sapiente intreccio poliziesco e severa analisi sociale in questo godibilissimo libretto che vi consigliamo insieme al suo ‘parallelo’ Due rampe per l’abisso: uno dei primi lavori, ingiustamente bocciato dalla critica, in realtà si tratta di una costruzione originalissima. La vicenda viene ripensata dal protagonista mentre sale le scale che inesorabilmente lo porteranno alla conclusione della vicenda.
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A 18 anni dalla scomparsa, gli editori stanno pescando nel preziosissimo barile degli inediti di Manuel Vázquez Montalbán: Assassinio a Prado del Rey è una delle ultime pubblicazioni, che ci fa rimpiangere la mancanza dell’infallibile, anomalo detective privato Pepe Carvalho. In questa raccolta le qualità dell’ombroso investigatore catalano si dispiegano in tutto il loro repertorio, comprese le grandi abbuffate favorite da vini e liquori di pregio in compagnia del vecchio amico Fuster nella villetta di Vallvidrera. A tal punto incolmabile è il vuoto lasciato da Pepe, che si è pensato di incaricare lo scrittore Carlos Zanón di farlo rivivere: è nato così Problemi di identità, in cui Carvalho si esprime in prima persona (un trucco, spiega l’autore in un’intervista, “per farlo sentire più mio”) e si cimenta in vari filoni di indagine.
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E ancora, la raccolta (non-Rocco Schiavone) Ogni riferimento è puramente casuale di Antonio Manzini: lettura estemporanea, divertente e autoreferenziale (il tema è lo stesso di Sull’orlo del precipizio: “una satira spietata … Una distopia alla Fahrenheit 451, dove è il mondo dei libri a bruciare se stesso”), perché certo ci deve essere qualcosa di autobiografico in questi sette racconti ambientati nel mondo dell’editoria (lo si intuisce anche dal titolo). La morale? Vendere l’anima al diavolo e sacrificare l’amore per la letteratura alla squallida legge del profitto forse non conviene. Una struttura ad anello collega la prima all’ultima novella, ma da un punto di vista speculare e con finale rovesciato. La chiusa (L’arringa finale) è un crescendo rossiniano e sigilla questi racconti che con disinvolta originalità passano dal grottesco (Lost in presentation), al thriller macabro (Racconto andino), al paranormale (È tardi), attraverso la rivisitazione dei tradizionali Ringraziamenti, lo studio degli effetti del feng shui applicato ad una libreria (La parete azzurra) e l’invenzione di un acrostico per cavarsi da un impasse piuttosto imbarazzante (Critica della ragione). Inventiva, sfoggio mai pedantesco di erudizione, fantasia lessicale, grande ironia.
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È composta da agili libretti la ‘quadrilogia della famiglia’ (a tutt’oggi ancora una trilogia) di Fabio Bartolomei che comprende: Morti ma senza esagerare, che ci farà riabbracciare i nostri genitori con rinnovato affetto, Diciotto anni e dieci giorni, un romanzo di formazione al femminile, e Tutto perfetto tranne la madre, una vicenda drammatica raccontata con ironia e intelligenza.
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Chi meglio di Alice Basso, scrittrice e redattrice milanese, ora trapiantata in un borgo medievale del Piemonte, può parlarci con competenza e precisione storica della situazione femminile nell’Italia fascista degli anni ’30? Con questi due recenti lavori, Il morso della vipera e Il grido della rosa, l’autrice inaugura una nuova serie (dopo quella fortunata della ghostwriter Vani Sarca) che ha come protagonista Anita Bo, intelligente dattilografa alle prese con romanzi gialli d’autore, lavoro difficilissimo in un periodo che vedrà presto il Minculpop proibire questo genere letterario, inviso a Mussolini e al fascismo.
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Vi consigliamo, infine, l’ultimo libro di Sacha  Naspini, La voce di Robert Wright, storia di un doppiatore rimasto improvvisamente orfano del suo alter ego sullo schermo. “Un thriller psicologico sulla disgregazione dell’identità che guarda alla tragedia classica e al teatro dell’assurdo”. L’autore di Nives e Le case del malcontento “con una scrittura che si riconferma ancora una volta densa e avvincente … ci lascia penetrare nella psiche contorta e morbosa di un personaggio espressamente pirandelliano, arricchendo il suo repertorio di figure sempre in bilico tra l’iconico e il grottesco e sempre, in un modo ogni volta diverso, troppo umane”.
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tma-traduzioni · 3 years ago
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MAG110 - Caso #0121403 - “Film di mostri”
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MARTIN
Martin Blackwood, assistente d’archivio all’Istituto Magnus, registra la dichiarazione numero 0121403. Dichiarazione di Alexia Crawley, rilasciata il 14 marzo 2012.
Inizio della dichiarazione.
MARTIN (DICHIARAZIONE)
È difficile descrivere a parole il mio rapporto con Dexter Banks. Era una cosa complicata, costruita su ben più di un decennio di disprezzo e interdipendenza. Per molti versi ero più vicina a lui di sua moglie - non che io abbia mai toccato quell’odioso stramboide. E sebbene quegli ossessionati di cinema che insistono che io abbia praticamente diretto tutti i suoi film fanno un torto a entrambi, è vero che senza di me lui non avrebbe raggiunto la fama e l’alta considerazione di cui gode. Godeva.
“Cineoperatore.” Un termine tanto forbito quanto vago. Spesso mi chiedo se sia per quello che siamo una professione tanto sottovalutata. O ancora peggio, quel freddo titolo “Direttore della Fotografia”. Ma siamo noi i veri artisti. Un regista potrà anche letteralmente dare gli ordini per le riprese, ma è il cineoperatore che le realizza. Noi scegliamo le angolazioni, l’illuminazione, praticamente tutto ciò che si vede sullo schermo. La macchina da presa è un pennello, e noi siamo la mano, il braccio, l’occhio. Il regista è praticamente solo la bocca, che emette rumori inutili mentre la mano fa il vero lavoro. Quasi ogni famoso regista si conosca che abbia uno stile visuale distintivo è semplicemente riuscito ad accaparrarsi un direttore della fotografia di talento.
Lavorai per la prima volta con Dexter nel 1997, lavorando come cineoperatrice in Red Ronin. Sembra strano dirlo ora, ma ero onestamente emozionata all’idea di lavorare con lui al tempo. Avevo visto alcuni dei suoi lavori precedenti - Wasteland 7, Dolores, forse un paio di cortometraggi, e ricordo che pensavo sarebbe stato rinvigorente lavorare con un regista che davvero capiva il cinema. Che era immerso in quella storia, e traeva ispirazione da angoli dimenticati del medium. Anche alcuni angoli che sarebbero dovuti rimanere dimenticati.
Sfortunatamente, è venuto fuori che quella era l’unica cosa che capiva. Vedete, Dexter Banks viveva di film. Da quanto potevo dire, ogni singolo aspetto della sua vita girava intorno a essi. Suo padre era stato il proprietario di un piccolo cinema vicino a Fairfax Avenue, e da adolescente lui rimbalzava tra il lavorare lì e in un piccolo noleggio specializzato in film stranieri - soprattutto horror italiani e film est-asiatici di arti marziali. Non ho mai conosciuto qualcuno che sapesse così tanto di cinema, e così poco di qualsiasi altra cosa.
Lavorando con lui, divenne presto evidente che tutto ciò che gli interessava fare era ricreare cose che aveva visto. Prendere scene e musiche che amava da quei vecchi, oscuri angoli del cinema e poi costruire qualunque narrativa rappezzata gli permettesse di girarne una sua versione. Qualunque dialogo non fosse riutilizzato ma scritto da lui in persona era lento e pomposo. Un tentativo di riflettere lo stile di ciò che lo circondava, che falliva miseramente. Una volta gli accennai l’idea di lavorare con uno scrittore. Non lo feci di nuovo.
Red Ronin, per esempio, era basato su un film giapponese dei primi anni ‘70 chiamato La lama del vendicatore. Seguiva la stessa dinamica e le stesse scene dell’originale, ma era ambientato nell’Arizona dei giorni nostri e seguiva un ex marine nichilista nella cittadina fittizia di Funnel. Non era proprio un remake, però. Perché Dexter mi chiamava sempre nella sala di proiezione per mostrarmi qualche altro western o film di samurai di cui non avevo mai sentito parlare, prima di saltare alla scena adatta e gridare, “era quello, lo facciamo così.”
E io lo facevo. Sono molto brava nel mio lavoro. Lo faccio da quasi trent’anni ormai - cinque alla BBC prima di attraversare l’Atlantico - e so con esattezza cosa sto facendo. Si direbbe che ho un talento per il catturare l’atmosfera dei vecchi film, riflettendoli utilizzando comunque inquadrature nuove. A chi importa se annoia a morte da un punto di vista creativo - era esattamente il tipo di roba che i critici amavano, e Red Ronin fu il primo dei film di Dexter a essere nominati per un Oscar. Anche se alla fine perse contro Il paziente inglese. Non fu davvero una sorpresa, era comunque troppo di genere per l’Academy.
Non me ne ero resa conto, ma a quel punto ero già in trappola con Dexter. Avevo ancora l’ambizione di essere io stessa regista un giorno, ma presto divenne evidente che quello non sarebbe accaduto. Forse se avessi avuto un lungometraggio all’attivo prima che rivelassero senza il mio consenso che sono trans le cose avrebbero potuto essere diverse, ma per come andò, quella rivelazione aveva bruciato troppi ponti. E quando le acque si calmarono, mi fu fatto capire chiaramente che non avrei mai ottenuto un mio film, e dovevo scegliere tra fotografia cinematografica o niente.
Così rimasi. Passai un brutto periodo per un paio di anni, e accettai ciecamente la posizione di Direttrice della Fotografia in altri due film di Dexter: Hell’s Company e Leroy Slate. Entrambi furono grandi successi, e quando ricominciai a sentirmi davvero bene con me stessa, ormai mi ritrovavo con la carriera legata così strettamente a quella di Dexter che cercare altri impieghi non era davvero un’opzione. Ancora non ho idea di quanto intenzionale questo sia stato da parte sua, ma era sicuramente cosciente del fatto che era il mio lavoro a elevare i suoi film oltre il semplice omaggio. I suoi periodici attacchi di futile gelosia e sprezzante rancore lo rendevano assolutamente chiaro. Dopo cinque anni e tre film, fu chiaro che ci servivamo a vicenda quasi quanto ci odiavamo a vicenda.
Non so quando abbia nominato per la prima volta il suo film del ragno. Non emerse come vera e propria ossessione fino a due anni fa, ma so che ne aveva parlato molto prima di allora. Ogni qualvolta una discussione su un progetto durava fino a tarda notte, e se era molto ubriaco, si faceva un po’ silenzioso, e poi mi chiedeva, di nuovo, se avessi mai visto Kumo Ga Tabeteiru.
Penso che fosse quello il titolo, comunque - qualcosa del genere. Normalmente sbiascicava molto quando lo diceva. Pensava che si traducesse come “I Ragni Che Divorano”, ma un amico giapponese una volta mi disse che in realtà si avvicina di più a “ragni stanno mangiando”.
Secondo Dexter, Kuno era un vecchio film tokusatsu, che secondo lui era uscito all’incirca nella seconda metà degli anni ‘60. Parlava di un ragno - solo uno, nonostante il titolo - che cresceva fino a una dimensione colossale e terrorizzava una piccola isola senza nome al largo di Kagoshima. Ciò che lo colpiva in quello, però, era la totale assenza di qualcosa anche solo vicino a un eroe o un protagonista. Nessuno combatteva contro il mostro. E anche se c’erano dei siparietti sulla vita di quelli che si trovavano all’ombra del ragno, tutte finivano allo stesso modo: con il personaggio in questione che marciava lentamente e con calma nelle sue fauci in attesa.
Ogni volta che Dexter descriveva questo, i suoi occhi si spalancavano e lui cominciava a cercare di riprodurre il suono che facevano mentre venivano mangiati. Diceva sempre che non lo stava facendo bene, ma i suoi che finiva per fare erano sufficientemente disturbanti.
Da quanto noi siamo riusciti a determinare, il film non è mai esistito. Almeno, non in una forma che abbia lasciato una qualche traccia registrata. Dexter fece ricerche molto più dettagliate al riguardo di quanto io mi sia mai scomodata a fare, e si confrontò con collezionisti di oggettistica di film sconosciuti e con studi di produzione giapponesi da tempo defunti. In effetti mostrò una predisposizione davvero sorprendente alla lingua. Ma furono solo vicoli ciechi su vicoli ciechi. Io finii per guardare una mezza dozzina di diversi film con ragni giganti insieme a lui durante il nostro tempo insieme, e nessuno era giusto. Li guardava mormorando sottovoce “no, no, no,” e masticandosi l’unghia del pollice.
Non mi ha mai davvero dato fastidio. Tra tutte le molte e svariate stranezze di Dexter Banks, la sua leggera ossessione per un film giapponese con un ragno che potrebbe essere o non essere esistito era una delle meno spiacevoli. Almeno, finché non ricevetti la chiamata riguardo al suo ultimo progetto. Mi disse al telefono che stava producendo un nuovo film, che sarebbe stato un capolavoro. Poi cominciò a descriverlo, e non so quanto di quello che provai fosse sensazione di déjà vu, e quanto fosse solo terrore.
Chiesi se avesse trovato una copia del film, o la sceneggiatura, ma lui rise solo. “Meglio,” disse. “Ho trovato il libro su cui era basato.”
Poi riattaccò, e io rimasi a sedere lì, a sentire questa lanciante apprensione che non riuscivo a individuare. Capii cosa mi aveva turbato più tardi. Era una cosa così piccola, ma mi stava davvero assillando. Era l’idea che Dexter potesse mai descrivere un libro come migliore di un film. Così sembra che io lo stia insultando, ma dovreste conoscerlo per capire. Il cinema era tutto per lui. Gli altri media avrebbero anche potuto non esistere.
In ogni caso, andò in produzione. Lo chiamò L’Intreccio della Vedova, e mentre le pagine di copione che portò erano apparentemente basate su questo suo libro senza nome, le inquadrature erano prese dai suoi ricordi della prima versione del film. Ammesso che esistesse da qualche parte che non fosse la sua testa, certo. Parte di me supponeva in segreto che Dexter avesse semplicemente sognato il film e questo libro fosse… eh, non importava. Non davvero. Non c’era dubbio riguardo a se io ci avrei lavorato o no. Era un film di Dexter Banks! E il mio nome era praticamente già nei titoli di coda.
Nella troupe c’erano principalmente i soliti con cui lui aveva lavorato in passato, ma cosa strana per lui, sembrava non avere assolutamente alcun interesse per il casting. Chiese a Debbie Connor, la nostra direttrice del casting, di trovare tanti aspiranti attori sconosciuti e non collaudati quanti fossero necessari per la sceneggiatura. Tenete in mente che a questo punto, qualsiasi attore di serie A avrebbe ucciso per essere in un film di Dexter Banks. Ma a lui non importava. Per quanto continuasse a dirmi che quello era il suo progetto da sogno che era elettrizzato di fare finalmente, sembrava essersi quasi completamente escluso dal vero processo di realizzazione.
C’era un’eccezione a questo. Disse che stava lavorando con Neil Lagorio per fare il ragno. Ora, voi potreste non aver mai sentito prima questo nome, ma posso assicurarvi che avete visto il suo lavoro. Dalla metà degli anni ‘70 fino al CGI, Lagorio era il nome più conosciuto per le creature degli effetti meccanici. Effetti prostetici, stop-motion, animatronic - qualunque fosse il metodo, lui ne era un maestro. Se avete visto un qualsiasi film di genere prima del 2005, praticamente non c’è modo che non abbiate visto una delle sue creature.
I suoi primi lavori erano strettamente horror, ma nei suoi anni migliori ha lavorato praticamente su ogni film campione di incassi che usasse effetti meccanici per mostri e alieni. Ebbi il piacere di lavorare con lui nel 1989 per Orbit, film fantascientifico a medio budget pensato per una qualche star del cinema d’azione avanti con gli anni. Neil lavorava a un robot animatronico alto 12 piedi che appariva molto nel climax. Il film fu, senza sorpresa, un flop, ma ricordo ancora il suo lavoro. Come aveva dato vita a un blocco di legno e metallo, gli enormi meccanismi intricati che permettevano alla sua troupe di muoverlo come un burattino con un movimento così naturale che ci si poteva dimenticare che la sua parte posteriore era completamente vuota.
Tra tutti i cambiamenti nel comportamento di Dexter, il suo entusiasmo all’idea di lavorare con Neil Lagorio era l’unica cosa che anch’io condividevo. Non che abbia avuto modo di fare nulla con quell’entusiasmo. Quando la produzione cominciò, Dexter divenne teso e riservato. Ci disse che aveva predisposto un laboratorio per Lagorio e il suo team in uno dei più grandi spazi vuoti del set. Ma nessuno tranne lui aveva il permesso di entrare, o di avere alcun contatto con il dipartimento di effetti meccanici.
Era strano, ma a nessuno venne in mente di protestare. Una volta che Dexter aveva un’idea in testa, ti avrebbe sbattuto fuori dal set se avessi cercato di cambiarla. Quando c’era davvero bisogno che questo accadesse, in genere la gente si rivolgeva a me perché lo facessi, visto che ero l’unica che loro considerassero non licenziabile. E questa volta lo feci, dicendo che avevo lavorato con Neil in passato e avrei davvero voluto avere l’opportunità di rivederlo. Dexter spiegò seccamente che negli anni della pensione Neil era diventato solitario, e aveva accettato di lavorare a questo film solo in condizioni di privacy assoluta. Non insistetti. Non sembrava il genere di battaglia in cui sprecare la mia energia.
E ci furono sicuramente molte altre battaglie quando cominciarono le riprese. Se vi state chiedendo quanto facile sia ricreare inquadrature che esistono solo nella memoria annebbiata di un eccentrico, o comporre delle scene per cui hai ricevuto il copione pieno di errori solo la mattina precedente, posso dirvi: non �� facile. Non è per niente facile. E le continue sfuriate di di Dexter non aiutavano. Sbatteva gente fuori dal set per le minime offese immaginate, o gettava via un intero giorno di riprese perché “semplicemente non sembrava giusto.” Stavamo esaurendo i soldi e la volontà più velocemente di quanto io avessi mai visto, anche nel più raffazzonato dei suoi progetti più vecchi.
Il cast mi sorprese davvero, però. La maggior parte era appena uscita da una scuola di recitazione, con forse un paio di pubblicità all’attivo, e alcune facce più vecchie avevano chiaramente passato la maggior parte della loro vita a farsi sbattere porte in faccia fino a quel momento. Il più notevole per me, però, era un tizio di nome Brandon Omar. Interpretava la cosa più simile a un protagonista ci fosse nel film, un ex ministro metodista senzatetto che si ritrovava sull’isola per caso, e fungeva da filo conduttore, vagando tra le scene e i siparietti degli abitanti dopo che ognuno finiva con la loro marcia nel ragno.
Brandon entrò immediatamente nella parte, con una serietà e una stanchezza che non penso potesse stare fingendo completamente. Era l’unico che non sembrasse entusiasta del film, e passava le sue ore libere a fumare e leggere in silenzio in una delle roulotte. Era un peccato, perché per qualche ragione, sembrava anche essere l’unico che Dexter ascoltava. Li vidi parlare solo una o due volte, ma ogni volta, Dexter era assorto, e annuiva a qualunque cosa Brandon avesse da dire.
Ovviamente, non avevo mai davvero il tempo di pensarci. Ottenere anche le inquadrature più semplici si rivelava essere un compito quasi impossibile, con Dexter che pretendeva continuamente di cambiare l’intera impostazione senza alcun motivo. Come ho detto, sono eccellente al mio lavoro, ma per dargli ciò che voleva dalle riprese avrebbe dovuto effettivamente sapere lui cosa fosse. Le sue istruzioni avevano un che di energia nervosa e frenetica, e se non lo avessi conosciuto, avrei anche potuto dire che non aveva solo paura che le inquadrature potessero non funzionare, aveva paura dell’idea.
E quindi andò così, per le prime settimane. Dexter chiaramente non dormiva. Insisteva sull’utilizzare strumenti vecchi, ed evitava il digitale quasi completamente, al punto che molti membri della troupe usavano strumenti che non avevano mai visto prima. Questo significava che si doveva stampare manualmente la versione per i dailies, cosa che lui si rifiutava di lasciar fare a qualcun altro. Quando le riprese terminavano, rimaneva in cabina di montaggio per ore, a preparare i dailies, anche se per questi non sarebbe dovuto servire alcun montaggio. E quando li guardavamo, spesso notavo che mancavano alcune riprese, cose che ero sicura avevamo filmato. Gliene parlai una volta, e lui mi diede in faccia della bugiarda.
Lo interruppi mentre preparava i dalies solo una volta. Un’attrice che da programma avrebbe dovuto girare il giorno successivo si era ammalata improvvisamente. La troupe aveva bisogno del suo via libera per cambiare la pianificazione. Nessun altro osava entrare, quindi nuovamente toccò a me avventurarmi da sola in quella stanza minuscola.
L’interno era buio, illuminato solo dalla luce che entrava dalla porta aperta. Sentivo un suono come il ruotare di una vecchia bobina, ma non riuscivo a capire da dove venisse. Restai lì in piedi, incapace di entrare, non per la paura, ma perché in tutta la stanza si intrecciavano strisce di pellicola cinematografica. Su e giù, da un lato all’altro, avvolgendosi e arrotolandosi l’una all’altra. Allungai cautamente una mano e ne toccai una. E quando lo feci, Dexter sembrò emergere dall’oscurità. All’inizio pensai che fosse più alto del solito, ma poi mi accorsi che era leggermente sospeso dalle strisce di pellicola, i suoi piedi a due pollici buoni dal pavimento.
Fu molto calmo mentre mi chiedeva cosa volessi, e quando spiegai balbettando la situazione, semplicemente annuì e disse che ci saremmo dovuti sentire liberi di riorganizzare come preferivamo. Poi chiuse la porta, e io me ne andai. Cercando in tutti i modi di convincermi che avesse solo due braccia.
Le riprese continuarono, ma c’era una crescente consapevolenza in tutta la troupe che non avevamo ancora avuto notizie di Neil Lagorio. Nessuno l’aveva incontrato sul set, o aveva visto lui o il suo team entrare o uscire dal laboratorio dove teoricamente si stava costruendo il ragno. Nessuno aveva sentito suoni di lavoro provenire da lì dentro, e girava voce che Dexter fosse finalmente andato fuori di testa, e che il laboratorio fosse vuoto. Avevamo girato tutte le scene che potevano essere fatte senza di quello, e tutti stavano diventando davvero impazienti.
Finalmente, Dexter annunciò che era tempo per lo svelamento. Perché il ragno, kumo, facesse la sua apparizione. Eravamo tutti emozionati mentre ci assembravamo fuori dal laboratorio, ma c’era un’energia nervosa nell’aria quel giorno. Faceva quanto più freddo possa fare a Los Angeles, ma il brivido che ci attraversò quando lui ci disse che era il momento fu causato da qualcosa di completamente diverso.  
Dexter ci disse che gli attori l’avrebbero visto per primi. Non diede alcuna motivazione per questo, e zittì le proteste di un paio di membri della troupe con un’occhiataccia crudele. Poi radunò il cast e, con Brandon davanti a tutti, li portò attraverso una piccola porta sul lato del laboratorio. E sparirono all’interno.
Ho ripensato così tante volte a quei minuti, cercando di decidere se io abbia sentito o visto qualcosa che potrebbe spiegare ciò che successe dentro a quell’edificio. Ma alla fine, devo ammettere che non fu così. Passarono dei minuti, poi mezz’ora, mentre aspettavamo con impazienza che Dexter o gli altri tornassero.
Sembra un macabro scherzo cosmico il fatto che quello fu il giorno in cui la stampa diede la notizia della morte di Neil Lagorio. Mezz’ora dopo che il cast era entrato in quell’edificio, uno dei macchinisti si imbatté nella notizia mentre guardava oziosamente il telefono. Lagorio aveva sofferto in privato di Parkinson per quasi un decennio, ed era rimasto confinato a letto nella sua casa in Connecticut per l’ultimo anno.
A quel punto capimmo che, qualunque cosa stesse succedendo in quell’edificio, non era Neil Lagorio che presentava una nuova creazione animatronic. Ancora una volta, tutti gli occhi si rivolsero verso di me.
Non sono ancora sicura di cosa vidi dall’altro lato di quella porta. Probabilmente non vidi
nulla, come i poliziotti che arrivarono poco dopo. Il posto era completamente vuoto dopo tutto, proprio come le voci avevano sempre detto. Ma non sarei qui a parlare con voi se pensassi che questo sia vero, giusto?
Perché ricordo quel primo momento - quell’istante in cui guardai in su appena entrai. Lo vidi, perfettamente intrecciato con un centinaio di bozzoli, che si contorcevano e dondolavano, allungandosi sopra di me. E al centro, quegli occhi neri e scintillanti che osservavano la mia entrata. Le zampe che si muovevano così velocemente che le vedevo sfocate. Le zanne che facevano gocciolare il loro veleno su Dexter Banks. Poi, in un momento, quello sparì - scappando nel nulla, tirandosi dietro la sua tela impossibile.
Non ho mai saputo descrivere il mio rapporto con Dexter, e ancora non so farlo. Come fosse coinvolto, e quanto restò semplicemente impigliato nelle sue nevrosi e le sue paure, non lo so. So che non meritava ciò che gli è accaduto.
Ho trovato il libro, comunque. E gli ho dato fuoco. Se mai dovessi rintracciare l’uomo che prima lo possedeva, potrei dare fuoco anche a lui.  
MARTIN
Fine della dichiarazione.
Penso che Alexia possa essere un po’ in ritardo su questo fronte. Voglio dire, penso sembri un libro di Jurgen Leitner. Sui ragni. Hm. È un bene che Jon non abbia dovuto leggere questa, comunque. So che non è un fan. Anche se questa non era così male a dire il vero! Io- già. Comunque.
Questa è, suppongo, una spiegazione della scomparsa di Dexter Banks, insieme a circa cento membri del cast, nel 2012. Non c’è molto che io possa davvero aggiungere che non sia stato già sviscerato da un centinaio di diverse riviste scandalistiche e programmi di misteri. Anche l’angolo, um, aracnide è stato coperto, visto che sembra che quando noi non siamo stati molto d’aiuto, Alexia Crawley abbia raccontato l’intera storia alla stampa. Non fu trattata con gentilezza, e rifiuta di discutere ulteriormente gli eventi. Poverina.
Già, ma Basira è riuscita a ottenere alcune cose da recenti documenti della Polizia di Los Angeles che ancora non sono stati rilasciati al pubblico. Anche se è un po’ evasiva riguardo a come li abbia ottenuti.
A quanto pare, nel corso degli ultimi cinque anni, ogni febbraio un cadavere viene ritrovato arenato a Redondo Beach. Sono gusci svuotati, a cui sono stati apparentemente rimossi tutti i liquidi e gli organi interni. Solitamente i cadaveri non sono identificabili, ma quello che si è arenato l’anno scorso è stato confermato essere Chadwick Frazier, un aspirante attore che era scomparso nel 2012, e la cui pagina IMDB indica un’ultima apparizione in L’intreccio della Vedova.
Um. Qu-questo è quanto.
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MARTIN
-no, questo non ha senso! Può farlo?
BASIRA
Non lo so. Immagino di sì.
MARTIN
Quindi cosa, può semplicemente entrarti nella testa e metterci dentro qualcosa?!
BASIRA
Non lo so. Immagino di sì.
MARTIN
Voglio dire. Almeno deve essere una cosa vera? Sappiamo, sappiamo di per certo che non stia mentendo, tipo, tipo mentendo magicamente?
BASIRA
Non lo so.
MARTIN
Giusto, giusto, giusto. Scusa. È solo - è molto da metabolizzare, sai.
BASIRA
Soprattutto per Melanie, già.
MARTIN
Oh, certo, sì. Scusa.
BASIRA
Senti, non è con me che devi - [sospira].
Non possiamo semplicemente ignorarlo.
MARTIN
Beh, già, ma cosa - neanche sapevamo che potesse fare una cosa del genere! E se c’è dell’altro che potrebbe farci?
BASIRA
Non gliela faremo passare liscia.
MARTIN
Non è quello che ho detto.
BASIRA
Senti, Martin. So che ti preoccupi. Lo so. Ma preoccuparsi non è abbastanza. Non puoi semplicemente startene vicino a qualcuno con una tazza di tè e sperare che tutto vada bene.
MARTIN
Questo. Non è. Giusto. Neanche mi conosci.
BASIRA
Provalo. Ci serve qualcosa. Perché se semplicemente gli lasciamo -
MARTIN
Oh, ci-ciao! Hey, hey Melanie, ug, posso prendertiii - una… tazza… di… tè?
MELANIE
Quindi te l’ha detto?
BASIRA
Abbiamo bisogno di tutti, se vogliamo avere una possibilità.
MELANIE
Giusto.
MARTIN
Che mi dite di Tim?
MELANIE
Tim è…
BASIRA
Elias lo tiene d’occhio troppo attentamente.
MELANIE
Probabilmente tiene d’occhio anche me.
MARTIN
Potremmo, uh, potremmo provare nei tunnel! Jon dice che potrebbero essere d’aiuto!
MELANIE
Giusto.
BASIRA
O forse… quando non sto prestando attenzione. Distratto, come durante la tua, um, la tua valutazione delle prestazioni.
MELANIE
Aspetta, cosa intendi?
MARTIN
Sì, cosa?
BASIRA
Beh, stavo uscendo, e Martin, ti ricordi che hai fatto cadere quell’enorme pila di fogli?
MARTIN
Io, io, non sarebbero proprio dovuti essere lì! In più, io li ho sistemati!
BASIRA
Ma non nell’ordine giusto. E quando li ho portati su a Elias ieri, lui ha chiesto perché fossero in disordine.
MARTIN
N… Non gli hai detto che ero stato io…?
BASIRA
Non è quello il punto, Martin. Il punto è -
MELANIE
Non ti stava guardando. Era occupato.
BASIRA
Già.
MARTIN
Aspetta…
BASIRA
Non qui. Nei tunnel.
MARTIN
Giusto, giusto, giusto.
[PAUSA]
MARTIN
[voce che riecheggia nei tunnel] Melanie, mi, mi dispiace davvero che tu… mi dispiace.
MELANIE
[voce che riecheggia nei tunnel] Sì…
[CLICK]
[Traduzione di: Silvia]
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