#musica dell’Ottocento
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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"Natale al Museo" inaugura la XIII edizione con un omaggio a Napoleone. Musica, storia e cultura al Museo Civico di Casale Monferrato
Domenica 8 dicembre 2024, alle ore 16:00, prenderà il via la XIII edizione di Natale al Museo, una rassegna musicale organizzata dall’Associazione Gli Invaghiti ETS in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e il Museo Civico - Gipsoteca Bistolfi di
Domenica 8 dicembre 2024, alle ore 16:00, prenderà il via la XIII edizione di Natale al Museo, una rassegna musicale organizzata dall’Associazione Gli Invaghiti ETS in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e il Museo Civico – Gipsoteca Bistolfi di Casale Monferrato. La manifestazione, ideata da Fabio Furnari, celebra il patrimonio artistico e culturale della città attraverso tre concerti…
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gregor-samsung · 3 months ago
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" Una tribù odia la tribù vicina da cui si sente minacciata, e quindi razionalizza le sue paure rappresentandola come malvagia o inferiore, o in qualche modo assurda o spregevole. Eppure accade talvolta che questi stereotipi mutino con grande rapidità. Consideriamo il caso dell’Ottocento: nel 1840, più o meno, si pensa ai francesi come a sgargianti spacconi, immorali e bellicosi, uomini con i baffi arricciati pericolosi per le donne, che probabilmente invaderanno l’Inghilterra per vendicarsi di Waterloo, mentre i tedeschi sono bevitori di birra, provinciali un po’ ridicoli che amano la musica e le fumisterie metafisiche, innocui ma abbastanza assurdi. Ebbene, nel 1871 i tedeschi sono diventati gli ulani che irrompono in Francia incitati dal terribile Bismarck – spaventosi militaristi prussiani ebbri di orgoglio nazionale, ecc. ecc. La Francia è un povero, civile Paese annientato che ha bisogno della protezione di tutti gli uomini onesti per evitare che la sua arte e la sua letteratura vengano schiacciate dal tallone degli spaventevoli invasori.
Nell’Ottocento i russi sono stremati servi della gleba, + mistici slavi semireligiosi che rimuginano cose oscure e scrivono romanzi profondi, + una gigantesca orda di cosacchi fedeli allo zar che cantano meravigliosamente. Nella nostra epoca, tutto questo è radicalmente cambiato: c’è sempre la popolazione stremata, ma ci sono anche la tecnologia, i carri armati, il materialismo ateo, la crociata contro il capitalismo, ecc. ecc. Quanto agli inglesi, sono dapprima spietati imperialisti che tiranneggiano popoli negroidi e che al di sopra dei loro lunghi nasi guardano dall’alto in basso il resto del mondo, ma poi diventano brava gente impoverita che nutre convinzioni liberali, vive di assistenza statale e ha bisogno di alleati. E così via. Tutti questi stereotipi sono surrogati della conoscenza autentica, che non è mai, neppure lontanamente, così semplice o immutabile come una certa immagine generalizzata di un popolo straniero; non solo, ma stimolano l’auto-compiacimento nazionale e il disprezzo per le altre nazioni. Sono un puntello del nazionalismo. "
Isaiah Berlin, Appunti sul pregiudizio [1981], Traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Adelphiana, 28 gennaio 2002.
NOTA: Gli appunti provengono da una lettera indirizzata ad un amico che il giorno seguente avrebbe dovuto tenere una conferenza sul tema del pregiudizio.
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letteratitudine · 2 months ago
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DOMANI - martedì 5 novembre, ore 18.30 - ANDREA DE CARLO presenta LA GEOGRAFIA DEL DANNO - La nave di Teseo - Mondadori Duomo, MILANO
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Andrea De Carlo
La geografia del danno
La nave di Teseo
dal 5 novembre in libreria
Un giorno di parecchi anni fa mio padre ha invitato a pranzo me e mia sorella, e quando abbiamo finito di mangiare si è alzato da tavola e ha detto «Volevo dirvi che vostra nonna è morta».
«Quale nonna?»
Il mistero di una donna la cui esistenza viene nascosta per decenni.
La geografia del danno è una storia vera che rivela quanto chi ci ha preceduti determini in parte chi siamo oggi.
Da questo libro un podcast dell’autore – il primo di una serie prodotta da La nave di Teseo �� ogni giovedì a partire dal 7 novembre.
Questa è la storia di un segreto di famiglia che ne contiene altri. Di una traversata oceanica dall’Italia al Cile in cerca di fortuna. Di un’emigrazione dalla Sicilia alla Tunisia per le stesse ragioni. Di una ragazza cilena che arriva a Genova all’alba della prima guerra mondiale. Di un giovane ingegnere navale che perde la testa per un’attrice di teatro. Di una compagnia di commedianti sudamericani che cela talenti straordinari. Di una coltellata che sfigura un uomo e distrugge una famiglia. Andrea De Carlo parte da una rivelazione sconvolgente per inoltrarsi in un’indagine che lo porta ai primi decenni del secolo scorso e poi ancora più indietro, alla fine dell’Ottocento. Poco alla volta, grazie a vecchie fotografie ritrovate, scritti, incontri e un ostinato lavoro di osservazione e deduzione, l’autore ricostruisce le vicende avventurose e drammatiche della sua famiglia. La geografia del danno è una storia vera raccontata come un romanzo, che pagina dopo pagina rivela quanto chi ci ha preceduti determini in parte chi siamo oggi.
Andrea De Carlo è nato a Milano, dove si è laureato in Storia contemporanea. Ha vissuto negli Stati Uniti e in Australia, dedicandosi alla musica e alla fotografia. È stato assistente alla regia di Federico Fellini, co-sceneggiatore con Michelangelo Antonioni, e regista del cortometraggio Le facce di Fellini e del film Treno di panna. Ha scritto con Ludovico Einaudi i balletti Time Out e Salgari. Ha registrato i CD di sue musiche Alcuni nomi e Dentro Giro di vento. È autore di ventidue romanzi, tradotti in ventisei paesi e venduti in milioni di copie. Con la figlia Malina ha scritto il libro per bambini I vestiti di Batuc (La nave di Teseo 2023).
Collana: Oceani
Pagine: 176
Prezzo: 18 euro
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londranotizie24 · 4 months ago
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barbaragronchi · 6 months ago
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Per l'Estate Fiorentina 2024 il “Glass Sound Festival” presenta mercoledì 10 luglio alle ore 21 Gregorio Nardi in concerto al Tepidarium del Roster, la splendida serra in stile liberty nel Giardino dell’Orticultura, Via Bolognese, 17A.
La valorizzazione della musica popolare ad opera dei Romantici ha portato alla realizzazione di molte fra le più alte realizzazioni artistiche – non solo dell’Ottocento ma anche di tutto il Novecento.
I più grandi compositori si sono interrogati sulle possibilità di includere nei propri capolavori alcuni temi, procedimenti, tipici della musica che oggi definiamo Folk.
Le scuole nazionali si sono così nutrite delle versatilità offerte dalla musica tradizionale polacca, ungherese, irlandese, russa, norvegese, boema, spagnola, rumena e così via.
Nel programma, Gregorio Nardi esplorerà un minuscolo frammento di un tale poliedrico universo musicale.
Dalle mazurche di Chopin ai ritmi complessi di Ligeti, dall’asprezza melancolica di Liszt agli slanci irrefrenabili di Bartok, dall’eclettismo di Busoni alle intense riflessioni di Kurtag:
lo spirito della musica popolare rivivrà in queste pagine (alcune assai rare), col gusto esuberante di un pianismo vigoroso e spettacolare.
Musiche di: F. Chopin. F. Liszt, F. Busoni, B. Bartok, G. Maglioni, L. C. Figueroa, G. Ligeti, G. Kurtag
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jacopocioni · 1 year ago
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Birreria Cornelio
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Ogni volta che mi trovo a passare da Via de’ Pecori, non posso evitare di immaginare come fosse lo stesso luogo prima della distruzione dell’Arco, prima delle spregiudicate operazioni edilizie effettuate nel centro. Confesso, non mi è mai piaciuta e non mi piacerà mai l’attuale sistemazione di quel tratto stradale, e sono sempre stata affascinata dalle immagini d’epoca che testimoniano il “com’era”.
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Negli anni Sessanta dell’Ottocento a Firenze si cominciano ad aprire i primi locali che servono birra e, in quello che era il giardino del Palazzo Orlandini del Beccuto, Paolo Cornelio avvia la sua “Brasserie Cornelio”. Il locale era adibito anche a caffè, buffet e rivendita di gelati; oltre a questo, ogni giorno era possibile consultare la stampa europea ed un paio di volte a settimana assistere a concerti musicali.
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Essendo stato aperto in un giardino, inizialmente vennero costruiti tre chioschi con struttura in legno e vetro; il giardino era adornato con fiori, una statua in argilla di una figura femminile e da una fonte. Con il tempo si aggiunsero altre costruzioni, costituite da una veranda, dalla parte di Via dei Naccaioli, con struttura sempre in legno e chiusa da vetrate con dettagli neogotici, che si affacciava sul giardino e che dava su un’altra sala, destinata al biliardo e al gioco delle carte. La veranda terminava in una grande sala, che comunicava con una saletta più piccola. Accanto alla cucina c’era una stanza di piccole dimensioni che, tramite una scala, conduceva al palco destinato all’orchestra.
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Il locale era molto frequentato, come si evince da un quadro di Riccardo Nobili, dove appaiono soldati, damigelle ed eleganti coppiette allegramente e comodamente seduti attorno a dei tavolini di ferro con piano in marmo, chi intento leggere il giornale, chi ad intrattenere amabili conversazioni e tutti con la finalità di godersi bevande e la piacevolezza del luogo. La Birreria Cornelio fu il primo locale di Firenze a dotarsi di impianto di luce elettrica. Nel 1865 il consiglio municipale fissò un orario di chiusura per pensioni, alberghi, caffè e rivendite di birra; questo orario era stabilito alle ore 24:00, tra settembre e marzo, e alle ore 1:00 da aprile ad agosto, soprattutto per un discorso di sicurezza pubblica. Fino a quel momento, la Birreria Cornelio aveva fissato il suo orario di chiusura alle ore 3:00 (le ore piccole venivano fatte anche all’epoca!). La Birreria Cornelio era frequentata da Giosuè Carducci, prima di trasferirsi definitivamente a Bologna per l���insegnamento universitario; qui incontrava la brigata dei suoi “amici pedanti”, Ottavio Targioni Tozzetti, Giuseppe Chiarini, Enrico Nencioni e Giuseppe Torquato Gargani.
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La Birreria Cornelio era pubblicizzata anche su “La Nazione”: BIRRARIA CORNELIO con Caffè, Buffet e Gelati Questa BIRRARIA di recente aperta nel Giardino del Signor Conte Orlandini, situato in via dei Boni, a pochi passi dalla Piazza del Duomo e della Via Cerretani, offre ai concorrenti tutte le comodità di uno stabilimento di questo genere, unico in Firenze. Essa è ridotta sul gusto del Gran Caffè d’Italia, all’Acquasola in Genova.
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Sfarzosa illuminazione di più di 150 fiamme, fontana, statue, fiori naturali ed artificiali, riverberi e scherzi fatti col gas, concorrono a rendere questo giardino un luogo veramente delizioso. Tutti i giovedì e le domeniche, dalle ore 8 e mezzo alle 11 lo Stabilimento è rallegrato da scelto corpo di musica.  Oltre a tutte le qualità di Birra Nazionale ed Estera, trovasi un grande assortimento di Vini e Liquori, ed havvi una cucina sempre provvista per colazioni e digiunè, e mediante preavviso si darà anche qualunque pranzo.  Paolo Cornelio aveva aperto, nel 1865, anche un altro locale, al Canto dei Nelli n. 8, la “Birreria di Chiavenna”, che rimase attivo fino al 1872.
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La Birreria Cornelio invece continuò la propria attività fino al 1° novembre 1894, quando venne distrutta da un devastante incendio che venne ritenuto di origine dolosa e del quale venne accusato il proprietario, Paolo Cornelio, che venne rinchiuso alle Murate. L’allarme dell’incendio venne dato da un fiaccheraio che si trovava a passare di lì e che corse subito alla Caserma dei Pompieri ad avvisare di quanto stava accadendo, ma era ormai troppo tardi. Nell’incendio vi fu una vittima, un cane bulldog di proprietà dello stesso Cornelio. Venne in seguito dichiarato il non luogo a procedere ed il Cornelio venne rimesso in libertà.
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Dopo circa tre anni da questi accadimenti, Paolo Cornelio si tolse la vita. Al posto della Birreria Cornelio venne in seguito costruito un basso edificio adibito a “latrine pubbliche e private, bagni ed altri locali per comodo del pubblico”. Attualmente, in quell’isolato si trova un Self-Service. Ecco, questa è tutta la storia della Birreria Cornelio (forse la più dettagliata pubblicata finora), della quale ci restano pochissime immagini.
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Gabriella Bazzani Read the full article
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agrpress-blog · 1 year ago
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Riconoscimenti meritati per il sempre più affermato scrittore e letterato siciliano, a cui è stato consegnato il Premio “Filippo Reale”. Dopo il primo posto della sezione Narrativa Saggio di Etnabook con i racconti del suo Riscatto (alcuni erano già apparsi su antologie e concorsi nazionali), per i tipi di Felici Editore, Federico Bianca continua a ricevere innumerevoli consensi professionali. Lo scorso 5 novembre, all’interno del Castello Normanno di Adrano (CT), si è svolta la premiazione della VI edizione del Premio “Filippo Reale”. Il riconoscimento è intitolato a Filippo Reale, poeta e drammaturgo dell'Adrano dell’Ottocento. Nato nel 1809 e morto nel 1877, Reale fece parte delle più prestigiose accademie di cultura, siciliane e non. Socio fondatore dell'Accademia Gioienia di Catania, fu fra i principali animatori delle Accademie di Stesicorea di Catania e Zelantea di Acireale. Scrisse la tragedia Maria Stuarda e il poema epico Costantino. Questo premio viene assegnato ogni anno, su segnalazione di una giuria qualificata, a personaggi siciliani che si sono distinti in ambiti quali Storia, Letteratura, Musica, Teatro, Medicina, Scienza, Giornalismo.  Federico Bianca è stato insignito del premio per la sezione narrativa, «visti i suoi studi e i suoi meriti», si legge nella motivazione del Consiglio Direttivo e della Presidenza del Comitato per la Cultura. A consegnargli materialmente l’onorificenza sono stati il presidente del Premio, il Dott. Filippo Marotta Rizzo, e l’avvocato Massimo Mallucci, presidente nazionale di “Italia Reale”, alla presenza del Dott. Giuseppe D’Urso nelle vesti di Direttore del Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell'Aci, che ha patrocinato la manifestazione. «È un grande onore ricevere tale riconoscimento. Il Premio Reale si è sempre contraddistinto per la sua ricerca di talenti siciliani, in un’ottica che riunisce l’amore per le radici della nostra terra e il gusto per la novità e l’originalità degli interessi culturali e artistici», ha dichiarato Bianca nell’occasione. Ha poi proseguito, felice: «Nel mio caso, la grande tradizione letteraria siciliana - mi riferisco a Verga, Pirandello, Ercole Patti, Rosso di San Secondo, Nino Savarese, Brancati, Sciascia - si amalgama con la mia passione per il cinema, il fumetto, il mondo di Hollywood e la grande letteratura europea. Il Castello Normanno, con il suo bellissimo museo, è una splendida cornice, ideale per sintetizzare tradizione e contemporaneità». A conclusione dell’evento, Bianca ha sottolineato: «Dopo le presentazioni a Castel Ursino, Etnacomics, la Società Storica Catanese, il Battiati Jazz Festival, Pisa e Carrara (dove sono stato ospite del mio editore, Fabrizio Felici), il Salone del Libro di Torino, la Fiera Internazionale del Libro di Brindisi e la vittoria di Settembre dell’Etna Book Festival, sono felice che la mia opera ‘Riscatto’ abbia potuto trovare qui ospitalità e apprezzamenti. Colgo infine l’occasione per ringraziare gi amici più stretti che mi hanno da sempre aiutato con questo libro, tra cui Sissi Sardo, Marilina Giaquinta, Antonio Celano, Fabrizio Felici, Simone Taormina, Federica Giovannone, Alfio D’Agata, Daniele Gangemi». Federico Bianca (classe 1982) si avvicina al mondo della letteratura, dei fumetti e del cinema fin da bambino. Diploma di Maturità Classica, e poi Laurea triennale in Lettere moderne. A seguire, la Laurea specialistica in Filologia me un Dottorato di ricerca in Italianistica. Da siciliano innamorato della sua terra, continua a viverci, specializzato nell’insegnamento della lingua italiana agli stranieri. Tutor esterno alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania, nonché docente di ruolo di materie letterarie negli istituti secondari di secondo grado. Oltre a Riscatto, finora ha pubblicato tre monografie per Convivio Editore: Lolita, un mito euramericano tra romanzo e sceneggiatura; Carlo Alianello nella cultura italiana e europea; Giovanni Papini: la vita, le opere, la poetica.
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personal-reporter · 1 year ago
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Caorle Street Piano Festival 2023
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Dal 25 al 29 agosto il  centro storico di Caorle proporrà Street Piano Festival, manifestazione musicale giunta alla settima edizione. Diversi pianoforti, sparsi tra le caratteristiche calli della cittadella marina, saranno pronti a creare un’atmosfera unica e un momento all’insegna di musica, cultura e divertimento. Nella prima parte della serata l’evento si svolgerà in modalità free-playing, quando chiunque lo desideri potrà accomodarsi a un pianoforte e suonare, poi la serata si accenderà con la musica  di pianisti professionisti, per concludersi  davanti al Duomo. In caso di maltempo la manifestazione verrà posticipata o si svolgerà al chiuso. A pochi passi dal confine del Friuli, Caorle racconta una storia al tempo stesso antica e moderna. La storia della città inizia sotto il dominio di Augusto, quando le popolazioni locali decisero di fondare una nuova colonia tra il porto di Falconara e Concordia Sagittaria, allora due dei poli più importanti per il commercio romano in terra veneta. Con la caduta dell’impero, il piccolo porto divenne un punto di riferimento per gli abitanti dell’entroterra, che nel VI secolo iniziarono a fortificarlo per difendersi dagli attacchi dei Goti e dei Longobardi. Essendo la cittadina diventata un’importante sede vescovile, nel XI secolo gli abitanti di Caorle iniziarono la costruzione della Cattedrale, dove si trovava una precedente basilica paleocristiana. Agli inizi del XII secolo Caorle divenne parte del Dogado della repubblica di Venezia, oltre ad avere un proprio governo guidato da un reggente locale. Dalla fine del Trecento, con il trasferimento di gran parte della nobiltà locale a Venezia, per la cittadina cominciò un lungo periodo di declino, che si aggravò nel 1379 dopo un saccheggio da parte dei rivali della Repubblica di Genova. Nel XVII secolo Caorle tornò a essere uno dei porti più importanti del Veneto, ma tutto questo fin con l’arrivo delle truppe di Napoleone e il trattato di Campoformio. Con gli Austriaci, nel 1818 la cittadina cessò di essere una sede vescovile e venne annessa al patriarcato di Venezia. Dopo essere diventata parte del Regno d’Italia, nel 1918 Caorle ebbe un ruolo importante nelle ultime offensive della prima guerra mondiale e nel 1944 rischiò di rimanere vittima di gravi bombardamenti da parte dell’esercito tedesco. Sicuramente una chiesa decisamente suggestiva per gli amanti della storia antica è il medievale Duomo, che conserva al suo interno una quattrocentesca Pala d’Oro, donata da Caterina Cornaro, regina di Cipro, mentre al suo fianco si erge un singolare campanile eretto alla fine del X secolo. Molto noto è anche il santuario della Madonna dell’Angelo, che secondo la leggenda fu la prima chiesa eretta a Caorle, oppure la chiesa della Madonna del Rosario di Pompei, edificata alla fine dell’Ottocento. Famosa è anche la chiesa di San Giovanni Battista, costruita negli anni Venti del Novecento, oppure la settecentesca chiesa della Resurrezione. Molte sono le zone che, tra queste la piazzetta medievale, cuore della città, le splendide spiagge, che si estendono per chilometri fino ad arrivare ai confini del Friuli, con suggestive scogliere aperte sull’Adriatico, la diga di Caorle, una passeggiata che protegge il vecchio villaggio di pescatori dall’inizio dell’Ottocento fino ad oggi, e il porto, che tra passato e presente sono da sempre il simbolo dell’attività economica del borgo. Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years ago
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"Città di Macerata in Festa": successo per la seconda edizione
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"Città di Macerata in Festa": successo per la seconda edizione Si sono conclusi i due giorni di appuntamenti di Città di Macerata in Festa – II edizione all’interno dei quali è stato firmato il patto di gemellaggio con la città di Lanciano. La cerimonia della firma, accompagnata dalla musica dell’Orchestra Fiati “Insieme per gli Altri”, si è svolta lo scorso 3 giugno, alla presenza del sindaco di Macerata Sandro Parcaroli, del sindaco di Lanciano Filippo Paolini e dei rispettivi presidenti del Consiglio comunale Francesco Luciani e Gemma Sciarretta, presso il cortile di Palazzo Buonaccorsi. “Un ringraziamento al sindaco Filippo Paolini e a tutta l’Amministrazione comunale di Lanciano per la partecipazione sentita ai due giorni di Città di Macerata in Festa – II edizione che è stata aperta con il grande successo della firma del patto di gemellaggio tra le due città. Grazie, inoltre, ai rispettivi Consigli comunali che hanno reso possibile il gemellaggio con l’approvazione delle due delibere – ha detto il presidente del Consiglio comunale Francesco Luciani, organizzatore dell’evento -. Una festa che ha coinvolto istituzioni, associazioni e cittadini nell’organizzazione dei vari momenti che sono stati ideati e pensati, grazie al grande lavoro e supporto degli Uffici comunali, per far conoscere le tradizioni delle due rispettive città come è nell’animo del gemellaggio”. Nel pomeriggio del 3 giugno, spazio alla mostra mariana Civitas Mariae presso gli Antichi Forni realizzata in collaborazione con l’Istituto San Giuseppe e al Gran Ballo dell’Ottocento, a Palazzo Buonaccorsi, a cura dell’Accademia Danze Ottocentesche. La splendida cornice di piazza della Libertà ha invece ospitato il concerto delle scuole civiche di musica "Fenaroli" di Lanciano e "Scodanibbio" di Macerata che hanno, a loro volta, firmato un patto di collaborazione a seguito del gemellaggio tra le due città. In piazza della Libertà si è svolto anche il concerto conclusivo della giornata di festeggiamenti del gruppo Route 77. Domenica 25 giugno, è andata in scena la giornata conclusiva di Città di Macerata in Festa – II edizione (prevista inizialmente per il 4 giugno ma rimandata a causa del maltempo) che è stata aperta dalla suggestiva sfilata per le vie del centro storico organizzata dall’associazione Sbandieratori e Musici di Lanciano, dai tamburi In Nomine Anxa, dall’associazione Mastrogiurato di Lanciano e con la presenza del falconiere Davide Manzi. Un momento storico per la città di Macerata che ha visto sfilare oltre 70 figurati in abiti medievali e che ha portato in piazza della Libertà lo spettacolo degli sbandieratori e dei tamburi di Lanciano. In serata, dopo il concerto dell’Orchestra Fiati Insieme per gli Altri in piazza Vittorio Veneto, grande partecipazione in piazza Mazzini che ha ospitato la sfilata di moda Miss Blumare e Mister of the Year – ad aggiudicarsi il titolo Alessia Settimi e Assane Cisse - e la premiazione di Aperitivo Macerata organizzata da Tipicità che ha incoronato l’aperitivo di DiGusto.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Nasce a Bologna il nuovo museo sulla pittura dell'800
(ANSA) – BOLOGNA, 29 MAR – Nasce un nuovo museo a Bologna, che racchiude opere della pittura dell’Ottocento e del Novecento. Il 20 aprile alle 18 sarà inaugurato il “Museo Ottocento Bologna”, in piazza San Michele 4/c, davanti a Corte Isolani, su Strada Maggiore, asse che collega il Museo internazionale e biblioteca della Musica, il Museo Davia Bargellini, Casa Morandi e il Museo Civico del…
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aki1975 · 3 years ago
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Vincenzo Bellini - Norna - Overture -1832 
Lo sviluppo che aveva condotto dall’Opera seria, seicentesca, mitologica ed eroica, all’Opera buffa attraverso gli Intermezzi e il successo della scuola napoletana con Paisiello e Cimarosa giunse al suo compimento con Mozart e, in Italia, con Gioacchino Rossini. Come il Don Giovanni, Le Nozze di Figaro, Così fan tutte, il Barbiere di Siviglia, del 1816, apre al nuovo secolo.
Accanto a Rossini, il melodramma di inizio Ottocento in Italia è dominato da Vincenzo Bellini e dal primato assegnato da quest’ultimo alla melodia e da  Gaetano Donizetti in cui l’Opera seria ha ancora un peso e, che per questo prelude, al primato nazionale di Giuseppe Verdi.
Sarà Verdi a fondere compiutamente la musica, il dramma, i personaggi e i loro dialoghi, l’impegno civile in un’opera risorgimentale tipica dell’Ottocento.
Terminato il Risorgimento, non poteva poi che emergere con Puccini un dramma fatto del primato di amore e morte, delle donne eroine e del lirismo del privato.
Era il Decadentismo che, in Europa, prendeva le forme del dramma romantico di Wagner, di ambientazione mitologica e medioevale a superamento delle forme chiuse del teatro precedente.
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tartagliaarte · 3 years ago
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A Roma Palazzo Brancaccio rinasce con un grande polo culturale per la Capitale
A Roma Palazzo Brancaccio rinasce con un grande polo culturale per la Capitale
ARTE, DESIGN, EDITORIA, MUSICA, EVENTI, ALTA RISTORAZIONE: SONO NUMEROSISSIME LE REALTÀ PRESENTI ALL’INTERNO DI QUESTO NUOVO AMBIZIOSO PROGETTO, NATA DAL SODALIZIO TRA CONTEMPORARY CLUSTER DI GIACOMO GUIDI E GIORGIA CERULLI E SPAZIO FIELD DI ANDREA AZZARONE Palazzo Brancaccio, Roma È uno dei più importanti palazzi romani dell’Ottocento, collocato sul Colle Oppio, nel cuore della Capitale. Dopo di…
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diceriadelluntore · 5 years ago
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Storia Di Musica #122 - Nuova Compagnia Di canto Popolare, La Gatta Cenerentola, 1976
Poche città posso vantare un legame alla musica come Napoli. Vuoi per il fascino misterioso e incredibile della città, vuoi per il mito esotico che da sempre la segue, essendo stata per secoli fulcro culturale europeo e del Mediterraneo, la musica napoletana rappresenta un unicum. Come altre cime della cultura partenopea, anche la musica vive del miscuglio tra colto e popolare, tra accademico e farsesco, tra saloni di balli e danze di strada. Tra l’altro la storiografia della musica individua proprio nella nuova canzone napoletana dell’Ottocento uno dei primi movimenti di musica “pop” in senso avanguardista, aiutato anche dall'incredibile fortuna degli spartiti prima e delle prime incisioni poi, che renderanno i classici della canzone napoletana dei veri e propri successi internazionali, cantati e suonati in tutto il mondo. Accanto a questi però, esisteva una tradizione di musica folk incredibilmente variegata e interessante, che prendeva spunto non solo dalla commistione di cui sopra, ma anche dalle tradizioni delle dominazioni storiche e culturali che si erano sedimentate a Napoli in secoli di regni e protettorati stranieri. A questo fine nacque nel 1967 un gruppo musicale su iniziativa di Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello, a cui si unirono Lucia Bruno, Mario Malavenda, Claudio Mendella e Carlo D’Angiò, che propose il nome di Nuova Compagnia Di Canto Popolare (anche in acronimo NCCP). I primi progetti prendono però forma vera e compiuta solo qualche anno più tardi, all’inizio del 1970, quando nella formazione arrivano le voci di Peppe Barra e Fausta Vetere e la consulenza e l’organizzazione di Roberto De Simone, musicologo, compositore, studioso della musica popolare del Sud Italia. Inizia così una delle avventure musicali e discografiche più significative di quello che sarà il “folk italiano”, che avrà seguito inaspettato, tanto che persino Canzonissima in quegli anni aveva uno spazio per le canzoni della tradizione popolare. Nel 1971 danno alle stampe Nuova Compagnia Di Canto Popolare: in repertorio la reinterpretazione di musiche del ‘500, le famose villanelle, che riporteranno in auge dopo secoli di oblio, le tarantelle che proprio in quegli anni si stavano riscoprendo anche grazie agli studi di Ernesto De Martino sui “tarantolati” e un brano, Lo Guarracino, canzone d’amore del ‘700 che parla di un pesce innamorato (il guarracino è un piccolo pesce di colore scuro tipico dei bassi fondali campani) diventerà famoso e darà il nuovo nome alla ristampa dell’album per la Ricordi (con bellissima copertina). Inizia qui un periodo di intentissima attività: non solo dischi, tra cui nel 1974 il meraviglioso Li Sarracini Adorano Lu Sole che contiene le splendide In Galera Li Panettieri, Ricciulina ma soprattutto Tammuriata Nera, ma anche teatro, con la grande affermazione di critica e di pubblico con la messa in scena de La Cantata Dei Pastori, e concerti che li porteranno in tutto il mondo (testimonianza ne è il disco che raccoglie esibizioni dal vivo del 1978 Aggio Girato Lu Munno). E proprio verso il teatro che, spinti da De Simone, il gruppo si muove, e il loro capolavoro fu pubblicato nel 1976 come disco, e prodotto come opera teatrale con prima al Festival Dei Due Mondi di Spoleto. La Gatta Cenerentola è un’opera in tre atti che si basa sul racconto contenuto ne Lo Cunto de li Cunti overo lo trattenemiento de peccerille, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. L'opera, nota anche con il titolo di Pentamerone (cinque giornate), è costituita da 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni, in omaggio al Decameron boccaccesco, e nonostante il titolo le tematiche non sono affatto infantili, sia per la complessità dei temi sia per il linguaggio schietto e allusivo dei testi. De Simone aggiunge personaggi, “attualizza” alcune tematiche pur restando nell’ambito di una Napoli barocca, caravaggesca nei luoghi e nelle situazioni, dove si spiega al massimo quella commistione alto basso dei temi, delle musiche, dei personaggi. In scaletta 20 pezzi, spesso dialoghi cantati dei personaggi, che variano tra le famose villanelle, qui affiancate da moresche ( forma di pantomima mascherata, probabilmente dal nome di origine crociata o quantomeno del basso mediterraneo), e le famose tammuritate (la più famosa espressione musico-coreutica della Campania). Alcuni brani, come Jesce Sole, sono riprese da lavori precedenti e rielaborati anche nella lingua napoletana usata per l’opera, un mix magico e particolarissimo di lingua dell’epoca con elementi modernissimi, che mostrano in maniera definitiva l’incredibile capacità del napoletano (inteso come lingua) e dei suoi parlanti a prendere termini e suoni dalle altre lingue. La prima dell’opera al Festival di Spoleto, diretta da Domenico Virgili, divenne un successo, con 175 repliche nei primi anni: da allora è un classico, con produzioni in tutto il mondo. Quest’opera centrale e magnifica fu però il canto del cigno del gruppo storico: De Simone e Barra si allontanano per dedicarsi al teatro, Bennato, che al teatro non vuole guardare, continuerà il recupero musicale e la rielaborazione delle musiche popolari del Sud con i Musicanova: ma gli NCCP non scompaiono, anzi hanno un nuovo vigore tra fine anni ‘80 e ‘90, con una nuova ondata di interesse per la musica popolare, e pubblicano uno splendido disco, Medina (1992) con il perno della voce di Fausta Vetere, che diventerà uno dei più bei dischi europei di “world music”. Oltre il pittoresco e la gioia “manualistica” dello spirito partenopeo, questo disco rimane uno dei più importanti esempi di ricerca, di rielaborazione, di rispetto per una tradizione immensa e inestimabile, che vive nelle tradizioni delle nostre regioni, e che aspettano solo di essere conosciute.
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pangeanews · 4 years ago
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“Sono attratto dal caos”. Dialogo con Rudy Wurlitzer. Benedetto da Thomas Pynchon, ha scritto per Sam Peckinpah e Bernardo Bertolucci
Quando chiedo di intervistarlo, mi dicono che è on the road. Sulla strada. Fuori dal mondo. Dal tempo. Poi. Riemerge. Avete presente Johnny Depp che in Dead Man si fa chiamare William Blake e naviga su una canoa, al margine del regno dei morti, stordito, in un Far West di desolante nitore? Beh, alle spalle del più bel film di Jim Jarmush c’è lui.
C’è lui, in effetti, anche nella pellicola epica di Sam Peckinpah, Pat Garrett & Billy the Kid; ed è sempre lui che scrive Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci e aggiusta il testo di Dune, griffa David Lynch. Solo che a Rudolph ‘Rudy’ Wurlitzer, classe 1937, tra gli scrittori più originali degli States, nato alla letteratura con Nog, nel 1968, battezzato da uno come Thomas Pynchon («Speriamo che il Romanzo delle Cretinate sia morto, speriamo che una nuova luce sia sorta, perché Wurlitzer è uno bravo, bravo davvero»), le etichette non piacciono. Fugge a tutti. Resiste tra gli inafferrabili. Così, svezzato alla sapienza narrativa a Maiorca, da un maestro come Robert Graves, scrive libretti per Philip Glass e quando, dopo troppi anni – l’ultimo romanzo, Slow Fade, è del 1984 –, nel 2008, per la casa editrice indipendente Two Dollar Radio, se ne esce con The Drop Edge of Yonder, è una ovazione generale, ne scrivono come del «più allucinato dei western, che mescola furiosamente il Sutra del Cuore a Meridiano di sangue». Dieci anni dopo, come Zebulon, il nome del protagonista, un Don Chisciotte screziato dai morti in un West dilaniato dagli enigmi, il romanzo di Wurlitzer arriva in Italia (Fandango/Playground, 2018). Un libro di corrotta bellezza, di «coscienza dissolta in ombre sognanti e apparizioni su cui non aveva alcun controllo». Dell’esito delle sue creazioni, gusci di notte istoriati con parole di salvezza e anatemi, d’altronde, Rudolph non si cura, è uno che corre. D’altronde, «il destino… è una specie di schiavitù», dice uno dei suoi controeroi, a precipizio nel grido.
Zebulon è un western mistico, che fonde l’etica buddhista all’epica violenta di Peckinpah… è così?
«Mi sono sempre occupato di Far West e mi ha sempre appassionato il tema di quel che resta della nostra natura selvaggia, provando a separare l’essenza del sé dalle abitudini culturali. Dal momento che sono nato e cresciuto a New York, in un ambiente musicale (mio padre era un esperto di vecchi strumenti a corda con tastiera), in qualche modo i miei viaggi solitari verso l’Ovest degli Stati Uniti hanno rappresentato la mia iniziazione all’esperienza dell’esplorazione, che è a sua volta una specie di musica interiore. Quando mi hanno presentato a Sam Peckinpah, vivevo nel New Mexico e mi stavo appassionando alla storia del vecchio West. Leggevo molti libri sulla vita nel vecchio West e anche le lettere vergate a mano dagli esploratori, e quelle letture hanno influenzato alcuni dei miei personaggi cinematografici così come la loro lingua ossessiva e informale. Mi affascina da sempre, inoltre, la letteratura taoista e buddista e le sue relazioni con la forma e con il vuoto. A Bertolucci hanno fatto il mio nome, presentandomi come uno degli sceneggiatori in grado di scrivere Piccolo Buddha perché legato in più modi al tema e perché avevo vissuto in India e in Nepal».
Come le è venuto in mente il personaggio di Zebulon Shook e questo romanzo lisergico, che sta tra Cormac McCarthy e Philip K. Dick? Insomma, cosa le piace leggere?
«Ho letto pochissimo di Cormac McCarthy e di Philip K. Dick. Ho letto soprattutto romanzi dell’Ottocento alternandoli a Samuel Beckett e James Joyce. Sono stato influenzato anche da Gabriel García Márquez, Genet, Nabokov, Rimbaud, Hermann Hesse e i russi: Tolstoj e Dostoevskij, ma anche Camus, Kafka e Nietzsche. E naturalmente anche da Hemingway – il suo stile intenso e criptico ha influenzato le mie sceneggiature – e poi ci sono le avventure di Proust e Melville, che non ho mai smesso di leggere».
So che è stato per un periodo il segretario di Robert Graves: come è accaduto? Graves ha influito sulla sua scrittura?
«Non ho mai lavorato direttamente per Robert Graves: eravamo vicini di casa a Maiorca, dove andavo quando avevo vent’anni. Mi ha influenzato nelle letture, incoraggiandomi a scrivere frasi brevi e chiare, un consiglio che mi è stato utile quando è arrivato il momento di scrivere sceneggiature. Mi sono dedicato al cinema per potermi permettere di continuare a scrivere romanzi sperimentali, eccentrici, lontanissimi dal mainstream, che all’epoca scrivevo e che ancora scrivo nella solitudine di Cape Breton, in Nuova Scozia dove ho un capanno che si affaccia sulla solitudine dello Stretto di Northumberland».
Che rapporti ha con la letteratura statunitense contemporanea? La legge, le interessa, intrattiene dei rapporti di amicizia con gli scrittori di oggi?
«Ho parlato spesso di narrativa americana contemporanea con due vecchi amici, che però sono morti: Mike Herr, l’autore di Dispacci, e Sam Shepard con cui ho condiviso alcune esperienze cinematografiche e anche la frequentazione degli ambienti newyorkesi quando era ancora possibile conversare con artisti del calibro di Claes Oldenburg, Philip Glass e Robert Frank, un vecchio amico che cercava anche lui di forzare le convenzioni artistiche e con cui ho lavorato a molti film, compreso Candy Mountain, che abbiamo codiretto, insieme ad altri corti cinematografici improvvisati».
In un momento del romanzo, Delilah dice, «Siamo tenuti insieme da un destino sul quale non abbiamo alcun potere». Lei la pensa così? Che senso ha, per lei, la vita? Cos’è il destino? È più forte la furia del caos o esiste un ordine nel mondo?
«Sono attratto dalla letteratura e dall’arte che affrontano l’impermanenza, il caos, così come la forma legata al vuoto e viceversa, in particolare in questi tempi frenetici in cui il mondo sembra avviato verso un’apocalisse globale. Anche da bambino, quando vivevo in un ambiente sicuro, sorretto da una famiglia generosa, ero interessato a sabotare le forme accademiche, contemplando e accogliendo l’impermanenza e le illusioni della permanenza. Pronti o meno, tutto scorre. Anche la vita».
Davide Brullo
*In origine, l’intervista è uscita in forma leggermente diversa su “il Giornale” del 26 novembre 2018
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freedomtripitaly · 5 years ago
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Nei musei del nostro paese è concentrato un numero incredibile di opere d’arte, testimonianze storiche di un passato illustre, o di più passati, che va preservato e costantemente protetto, ammirato e anche riscoperto. Di seguito segnaliamo i principali musei italiani che custodiscono le opere d’arte più importanti del nostro paese, ma anche alcune piccole grandi esposizioni significative. Un’eredità non solo italiana, ma anche mondiale. La galleria degli Uffizi di Firenze La galleria degli Uffizi, detta anche galleria delle Statue e delle Pitture, è il fiore all’occhiello del patrimonio museale di Firenze, il museo più visitato d’Italia, nonché uno dei più famosi del mondo. Il percorso museale, oltre a conservare nelle sue sale le più famose opere di Giotto, Raffaello, Tiziano, Botticelli, Caravaggio, Dürer, Rubens e molti altri, comprende anche il corridoio Vasariano, le collezioni di palazzo Pitti e il giardino dei Boboli. Si consiglia, data la forte affluenza, di munirsi di un biglietto salta fila o prenotare un tour con ingresso prioritario. La galleria dell’Accademia di Firenze Il percorso museale conserva tra altre mirabili opere il celebre David (1501-1504) di Michelangelo e altre sei grandi sculture dell’artista, nonché una vasta esposizione, tra le prime al mondo, di opere pittoriche a fondo oro (Giotto, Masolino, Cimabue, Leonardo Da Vinci e altri ancora) e, infine, una pregevole collezione di antichi strumenti musicali. Per evitare che qualcosa sfugga all’attenzione, una buona idea è quella di farsi guidare nelle stanze della galleria da una guida esperta. Il museo Nazionale del Bargello di Firenze Dedicate essenzialmente alla scultura medievale e rinascimentale, le sale del Bargello ospitano alcuni capolavori di Michelangelo, Donatello, Benvenuto Cellini, mentre il complesso comprende anche le pregevoli cappelle Medicee, la chiesa di Orsanmichele, palazzo Davanzati e casa Martelli. Vista la vastità dell’esposizione, anche qui è consigliata una visita guidata. Galata, il museo del Mare di Genova Il Galata di Genova è il percorso museale più grande dell’area del Mediterraneo dedicato al mare e uno dei più moderni d’Italia. Nelle sue sale è illustrata la storia di Genova, del suo legame indissolubile con il mare e delle mille sfaccettature che questo legame porta con sé: dalle galee agli atlanti e ai globi, dai viaggi come quello di Cristoforo Colombo alla vita dei marinai fino allo sviluppo del porto di Genova dal Medioevo ai giorni nostri. Il museo Egizio di Torino Il museo Egizio di Torino è il più antico al mondo dedicato alla cultura egizia e secondo per importanza soltanto a quello del Cairo. Le sale, suddivise in cinque livelli, permettono di ammirare alcuni tra i reperti archeologici più importanti mai ritrovati come il libro dei Morti di Luefankh (332-320 a.C.), la mummia risalente al periodo Predinastico (3500 a.C.), la coeva e rarissima pittura di Gebelein, la tomba degli Ignoti, il pregevole ostrakon (frammento di ceramica) della Ballerina, le pitture a tempera ritrovate nella cappella di Maia, le statue della galleria dei Re, quella di Uahka (1760 a.C.) e infine la tomba di Kha e Merit, risalente a 3400 anni fa. Al fine di godersi al meglio la visita, potrebbe essere una buona idea acquistare un accesso prioritario o meglio ancora prenotare un tour guidato. Il museo Nazionale del Cinema di Torino Ospitato dal 1996 all’interno dell’inconfondibile e bizzarro edificio della mole Antonelliana, il museo del Cinema di Torino è uno dei più visitati d’Italia e raccoglie numerose macchine pre-cinematografiche e altrettanti oggetti provenienti dal mondo del cinema (film, libri, manifesti, stampe, locandine ecc.). I musei Reali di Torino Il circuito dei musei Reali di Torino comprende la visita al palazzo e ai giardini Reali, alla biblioteca e all’armeria Reale, alla galleria Sabauda, al museo Archeologico, a palazzo Chiablese e infine alla cappella della sacra Sindone. Da non perdere all’interno di palazzo Reale la sfarzosità tutta intagli, stucchi, dorature e affreschi della sala da Ballo e quella del Trono, il salone degli Svizzeri e la splendida scala delle Forbici. Il Cenacolo Vinciano a Milano La straordinaria Ultima Cena detta anche Cenacolo (1494-1498) di Leonardo da Vinci è oggi conservata nell’ex refettorio rinascimentale adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie di Milano. La sala, esclusivamente dedicato alla fruizione del capolavoro vinciano, è assolutamente necessaria non solo per la scoperta dell’opera ma anche per la sua precaria conservazione. Le vicissitudini e le curiosità legate all’opera meritano forse la presenza di una guida in grado di poter illustrare i tanti aspetti legati all’Ultima Cena di Leonardo e un ingresso prioritario, anche in tarda serata, per avere la sicurezza di poter accedere. La pinacoteca di Brera a Milano La galleria Nazionale d’arte Antica e Moderna ospitata presso il palazzo Brera di Milano è un complesso museale vastissimo che custodisce una delle più celebri raccolte di pittura del nostro paese, con opere appartenenti a specifiche scuole artistiche come quella lombarda, veneta, toscana, dell’Italia centrale e, inoltre, della scuola fiamminga. Il palazzo di Brera ospita inoltre numerose istituzioni artistiche note in tutto il mondo: la biblioteca Nazionale Braidense, l’osservatorio, l’orto Botanico, l’istituto Lombardo di Scienze e Lettere e infine la celebre accademia di Belle Arti di Brera. Un’esperienza guidata all’interno delle suggestive sale dell’accademia potrebbe essere davvero un’ottima idea. Il museo del palazzo Ducale di Mantova Le sale della reggia dei Gonzaga di Mantova custodiscono alcune delle opere migliori di Mantegna, tra cui i meravigliosi affreschi della camera degli Sposi (1464-1475), Rubens, Palma il Giovane, Daniel van den Dyck, tanto da meritarsi un posto all’interno dei musei più importanti del nostro paese. Il complesso museale comprende la corte Vecchia, la domus Nova, la corte Nuova, la basilica Palatina di Santa Barbara e il quattrocentesco castello di San Giorgio. Il museo Archeologico di Venezia Il museo, sito in piazza San Marco presso le procuratie Nuove, dalla fine del Cinquecento raccoglie numerose collezioni private veneziane comprendenti antichissime opere risalenti al periodo greco e romano. Le gallerie dell’Accademia di Venezia Ai piedi del ponte dell’Accademia, l’antico complesso un tempo formato dalla chiesa di Santa Maria della Carità, il convento dei Lateranensi e la scuola Grande, dall’inizio dell’Ottocento ospita l’accademia di Belle Arti della città lagunare, nonché la più importante collezione di arte veneziana e veneta del mondo, con dipinti databili dal XIV al XVIII secolo. Tra gli artisti esposti si segnalano Piero della Francesco, Giovanni Bellini, Leonardo da Vinci con il suo Uomo Vitruviano, Andrea Mantegna, Giorgione, Cosmé Tura, Palma il Vecchio, Giambattista Tiepolo, Giorgio Vasari e Francesco Hayez. Il museo Storico del castello di Miramare Il museo allestito all’interno del castello di Miramare a Trieste, eretto intorno alla metà dell’Ottocento per volere di Massimiliano d’Asburgo-Lorena arciduca d’Austria, è uno dei musei più visitati d’Italia. L’elegante e suggestiva struttura in pietra chiara affacciata sul golfo di Trieste conserva ancora gli arredi originali dell’epoca e numerose testimonianze della vita dei proprietari, l’arciduca Massimiliano e sua moglie Carlotta del Belgio, prima di diventare la residenza del duca Amedeo d’Aosta. All’interno sono da segnalare la sfarzosa sala dei Regnanti, la bella sala della Musica e la sala ispirata all’arredamento navale della fregata Novara sulla quale Massimiliano aveva prestato servizio nella Marina Austriaca, mentre all’esterno il parco circostante il castello e il superbo giardino all’inglese permettono di effettuare piacevoli passeggiate di fronte al mare. Il castello è visitabile in completa autonomia o con tour privato. La galleria Nazionale delle Marche Ospitata nelle sale del palazzo Ducale di Urbino, questa interessante collezione comprende le opere più importanti del Rinascimento urbinate promosso alla corte di Federico da Montefeltro, tra cui alcuni capolavori di Raffaello, Piero della Francesca e Federico Barocci. Il museo nazionale di castel Sant’Angelo a Roma Il percorso museale allestito all’interno dell’imponente castel Sant’Angelo si sviluppa in 7 livelli che illustrano in maniera approfondita la storia, le modifiche architettoniche e gli usi ai quali la fortezza fu adibita durante i secoli, sin dal 135 d.C., ovvero quando in questo luogo l’imperatore Adriano fece costruire il mausoleo funebre per sé e la sua famiglia fino alla riorganizzazione voluta da papa Farnese nel Settecento, quando qui fu imprigionato, tra gli altri, il conte di Cagliostro. La galleria Borghese di Roma Sita all’interno della magnifica villa Borghese Pinciana, il percorso museale espone molte impareggiabili sculture di Gian Lorenzo Bernini, numerose tele del Caravaggio e pregevoli opere del Bronzino, Antonio Canova, Raffaello, Perugino, Lorenzo Lotto, Antonello da Messina, Rubens, Bellini, Correggio, Parmigianino, Pinturicchio e Tiziano. All’interno delle sale della villa è possibile muoversi in autonomia, oppure in alternativa con un tour privato. I musei Vaticani e la cappella Sistina La grande stagione di fervore artistico promossa da papa Giulio II all’inizio del Cinquecento che ha impreziosito la basilica di San Pietro, ha dato inoltre vita alle stupende collezioni dei musei Vaticani, con gli affreschi e le opere di Giotto, le stanze papali dipinte da Michelangelo e Raffaello, la galleria Lapidaria, quella delle carte Geografiche, l’appartamento Borgia e il giardino con il celebre gruppo statuario del Laocoonte. Lo straordinario patrimonio, tutto italiano, che adorna gli spazi dei musei vaticani si condensa infine nella superba cappella Sistina con il Giudizio Universale (1508-1512) e gli affreschi della volta (1535-1541) realizzati da Michelangelo. Le pareti della cappella non sono di certo da meno, impreziosite da un ciclo di affreschi realizzati dai massimi artisti italiani della seconda metà del Quattrocento: da Botticelli al Perugino, dal Pinturicchio al Ghirlandaio. Vista l’elevata affluenza si consiglia di dotarsi preventivamente di un biglietto con ingresso prioritario. Il museo Archeologico Nazionale di Napoli Il museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) vanta forse il più ricco patrimonio archeologico d’Italia. Esso comprende infatti i reperti dell’antica Neapolis, la collezione Farnese con pregevoli reperti provenienti dall’antica Roma, le collezioni Borboniche con i reperti provenienti da Pompei, la collezione Egizia e altre importanti collezioni private (Borgia, Santagelo, Stevens e Spinelli). Vista la grande quantità di reperti e opere degne di interesse, un tour guidato è l’ideale per poter comprendere appieno il valore di quanto esposto. Il museo Civico Archeologico “Giovanni Marongiu” di Cabras Il piccolo museo di Cabras, in Sardegna, custodisce gli importanti reperti archeologici ritrovati nella suggestiva penisola del Sinis, sul golfo di Oristano, colonizzato in epoche antichissime. Il percorso museale custodisce e continua a raccogliere ancora oggi quanto ritrovato nel insediamento neolitico di Cuccuru is Arrius, in quello nuragico di Sa Osa, nel sito archeologico di Tharros (età fenicio-punica), nonché i resti del relitto romano dell’isola di Mal di Ventre. Pezzo forte del museo, davvero da non perdere, sono i resti del complesso statuario dei giganti di Mont’e Prama. Il museo dell’ex Stabilimento Florio e delle tonnare di Favignana e Formica Concludiamo questo excursus sui musei più importanti d’Italia con un piccolo e suggestivo museo sito sulla splendida isola di Favignana, ovvero quello ospitato nello storica tonnara appartenuta alla famiglia Florio per oltre un secolo tra Ottocento e Novecento. Splendido esempio di archeologia industriale, perfettamente recuperato e conservato, la tonnara ospita al suo interno un innovativo museo, con sale multimediali che ripercorrono la storia della mattanza, la cruenta pesca del tonno, e della tonnara, e un interessante Antiquarium con reperti archeologici ritrovati nell’arcipelago siciliano delle isole Egadi e risalenti alla prima guerra Punica (III secolo a.C.). https://ift.tt/2O9d5Xc I 20 musei più visitati d’Italia Nei musei del nostro paese è concentrato un numero incredibile di opere d’arte, testimonianze storiche di un passato illustre, o di più passati, che va preservato e costantemente protetto, ammirato e anche riscoperto. Di seguito segnaliamo i principali musei italiani che custodiscono le opere d’arte più importanti del nostro paese, ma anche alcune piccole grandi esposizioni significative. Un’eredità non solo italiana, ma anche mondiale. La galleria degli Uffizi di Firenze La galleria degli Uffizi, detta anche galleria delle Statue e delle Pitture, è il fiore all’occhiello del patrimonio museale di Firenze, il museo più visitato d’Italia, nonché uno dei più famosi del mondo. Il percorso museale, oltre a conservare nelle sue sale le più famose opere di Giotto, Raffaello, Tiziano, Botticelli, Caravaggio, Dürer, Rubens e molti altri, comprende anche il corridoio Vasariano, le collezioni di palazzo Pitti e il giardino dei Boboli. Si consiglia, data la forte affluenza, di munirsi di un biglietto salta fila o prenotare un tour con ingresso prioritario. La galleria dell’Accademia di Firenze Il percorso museale conserva tra altre mirabili opere il celebre David (1501-1504) di Michelangelo e altre sei grandi sculture dell’artista, nonché una vasta esposizione, tra le prime al mondo, di opere pittoriche a fondo oro (Giotto, Masolino, Cimabue, Leonardo Da Vinci e altri ancora) e, infine, una pregevole collezione di antichi strumenti musicali. Per evitare che qualcosa sfugga all’attenzione, una buona idea è quella di farsi guidare nelle stanze della galleria da una guida esperta. Il museo Nazionale del Bargello di Firenze Dedicate essenzialmente alla scultura medievale e rinascimentale, le sale del Bargello ospitano alcuni capolavori di Michelangelo, Donatello, Benvenuto Cellini, mentre il complesso comprende anche le pregevoli cappelle Medicee, la chiesa di Orsanmichele, palazzo Davanzati e casa Martelli. Vista la vastità dell’esposizione, anche qui è consigliata una visita guidata. Galata, il museo del Mare di Genova Il Galata di Genova è il percorso museale più grande dell’area del Mediterraneo dedicato al mare e uno dei più moderni d’Italia. Nelle sue sale è illustrata la storia di Genova, del suo legame indissolubile con il mare e delle mille sfaccettature che questo legame porta con sé: dalle galee agli atlanti e ai globi, dai viaggi come quello di Cristoforo Colombo alla vita dei marinai fino allo sviluppo del porto di Genova dal Medioevo ai giorni nostri. Il museo Egizio di Torino Il museo Egizio di Torino è il più antico al mondo dedicato alla cultura egizia e secondo per importanza soltanto a quello del Cairo. Le sale, suddivise in cinque livelli, permettono di ammirare alcuni tra i reperti archeologici più importanti mai ritrovati come il libro dei Morti di Luefankh (332-320 a.C.), la mummia risalente al periodo Predinastico (3500 a.C.), la coeva e rarissima pittura di Gebelein, la tomba degli Ignoti, il pregevole ostrakon (frammento di ceramica) della Ballerina, le pitture a tempera ritrovate nella cappella di Maia, le statue della galleria dei Re, quella di Uahka (1760 a.C.) e infine la tomba di Kha e Merit, risalente a 3400 anni fa. Al fine di godersi al meglio la visita, potrebbe essere una buona idea acquistare un accesso prioritario o meglio ancora prenotare un tour guidato. Il museo Nazionale del Cinema di Torino Ospitato dal 1996 all’interno dell’inconfondibile e bizzarro edificio della mole Antonelliana, il museo del Cinema di Torino è uno dei più visitati d’Italia e raccoglie numerose macchine pre-cinematografiche e altrettanti oggetti provenienti dal mondo del cinema (film, libri, manifesti, stampe, locandine ecc.). I musei Reali di Torino Il circuito dei musei Reali di Torino comprende la visita al palazzo e ai giardini Reali, alla biblioteca e all’armeria Reale, alla galleria Sabauda, al museo Archeologico, a palazzo Chiablese e infine alla cappella della sacra Sindone. Da non perdere all’interno di palazzo Reale la sfarzosità tutta intagli, stucchi, dorature e affreschi della sala da Ballo e quella del Trono, il salone degli Svizzeri e la splendida scala delle Forbici. Il Cenacolo Vinciano a Milano La straordinaria Ultima Cena detta anche Cenacolo (1494-1498) di Leonardo da Vinci è oggi conservata nell’ex refettorio rinascimentale adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie di Milano. La sala, esclusivamente dedicato alla fruizione del capolavoro vinciano, è assolutamente necessaria non solo per la scoperta dell’opera ma anche per la sua precaria conservazione. Le vicissitudini e le curiosità legate all’opera meritano forse la presenza di una guida in grado di poter illustrare i tanti aspetti legati all’Ultima Cena di Leonardo e un ingresso prioritario, anche in tarda serata, per avere la sicurezza di poter accedere. La pinacoteca di Brera a Milano La galleria Nazionale d’arte Antica e Moderna ospitata presso il palazzo Brera di Milano è un complesso museale vastissimo che custodisce una delle più celebri raccolte di pittura del nostro paese, con opere appartenenti a specifiche scuole artistiche come quella lombarda, veneta, toscana, dell’Italia centrale e, inoltre, della scuola fiamminga. Il palazzo di Brera ospita inoltre numerose istituzioni artistiche note in tutto il mondo: la biblioteca Nazionale Braidense, l’osservatorio, l’orto Botanico, l’istituto Lombardo di Scienze e Lettere e infine la celebre accademia di Belle Arti di Brera. Un’esperienza guidata all’interno delle suggestive sale dell’accademia potrebbe essere davvero un’ottima idea. Il museo del palazzo Ducale di Mantova Le sale della reggia dei Gonzaga di Mantova custodiscono alcune delle opere migliori di Mantegna, tra cui i meravigliosi affreschi della camera degli Sposi (1464-1475), Rubens, Palma il Giovane, Daniel van den Dyck, tanto da meritarsi un posto all’interno dei musei più importanti del nostro paese. Il complesso museale comprende la corte Vecchia, la domus Nova, la corte Nuova, la basilica Palatina di Santa Barbara e il quattrocentesco castello di San Giorgio. Il museo Archeologico di Venezia Il museo, sito in piazza San Marco presso le procuratie Nuove, dalla fine del Cinquecento raccoglie numerose collezioni private veneziane comprendenti antichissime opere risalenti al periodo greco e romano. Le gallerie dell’Accademia di Venezia Ai piedi del ponte dell’Accademia, l’antico complesso un tempo formato dalla chiesa di Santa Maria della Carità, il convento dei Lateranensi e la scuola Grande, dall’inizio dell’Ottocento ospita l’accademia di Belle Arti della città lagunare, nonché la più importante collezione di arte veneziana e veneta del mondo, con dipinti databili dal XIV al XVIII secolo. Tra gli artisti esposti si segnalano Piero della Francesco, Giovanni Bellini, Leonardo da Vinci con il suo Uomo Vitruviano, Andrea Mantegna, Giorgione, Cosmé Tura, Palma il Vecchio, Giambattista Tiepolo, Giorgio Vasari e Francesco Hayez. Il museo Storico del castello di Miramare Il museo allestito all’interno del castello di Miramare a Trieste, eretto intorno alla metà dell’Ottocento per volere di Massimiliano d’Asburgo-Lorena arciduca d’Austria, è uno dei musei più visitati d’Italia. L’elegante e suggestiva struttura in pietra chiara affacciata sul golfo di Trieste conserva ancora gli arredi originali dell’epoca e numerose testimonianze della vita dei proprietari, l’arciduca Massimiliano e sua moglie Carlotta del Belgio, prima di diventare la residenza del duca Amedeo d’Aosta. All’interno sono da segnalare la sfarzosa sala dei Regnanti, la bella sala della Musica e la sala ispirata all’arredamento navale della fregata Novara sulla quale Massimiliano aveva prestato servizio nella Marina Austriaca, mentre all’esterno il parco circostante il castello e il superbo giardino all’inglese permettono di effettuare piacevoli passeggiate di fronte al mare. Il castello è visitabile in completa autonomia o con tour privato. La galleria Nazionale delle Marche Ospitata nelle sale del palazzo Ducale di Urbino, questa interessante collezione comprende le opere più importanti del Rinascimento urbinate promosso alla corte di Federico da Montefeltro, tra cui alcuni capolavori di Raffaello, Piero della Francesca e Federico Barocci. Il museo nazionale di castel Sant’Angelo a Roma Il percorso museale allestito all’interno dell’imponente castel Sant’Angelo si sviluppa in 7 livelli che illustrano in maniera approfondita la storia, le modifiche architettoniche e gli usi ai quali la fortezza fu adibita durante i secoli, sin dal 135 d.C., ovvero quando in questo luogo l’imperatore Adriano fece costruire il mausoleo funebre per sé e la sua famiglia fino alla riorganizzazione voluta da papa Farnese nel Settecento, quando qui fu imprigionato, tra gli altri, il conte di Cagliostro. La galleria Borghese di Roma Sita all’interno della magnifica villa Borghese Pinciana, il percorso museale espone molte impareggiabili sculture di Gian Lorenzo Bernini, numerose tele del Caravaggio e pregevoli opere del Bronzino, Antonio Canova, Raffaello, Perugino, Lorenzo Lotto, Antonello da Messina, Rubens, Bellini, Correggio, Parmigianino, Pinturicchio e Tiziano. All’interno delle sale della villa è possibile muoversi in autonomia, oppure in alternativa con un tour privato. I musei Vaticani e la cappella Sistina La grande stagione di fervore artistico promossa da papa Giulio II all’inizio del Cinquecento che ha impreziosito la basilica di San Pietro, ha dato inoltre vita alle stupende collezioni dei musei Vaticani, con gli affreschi e le opere di Giotto, le stanze papali dipinte da Michelangelo e Raffaello, la galleria Lapidaria, quella delle carte Geografiche, l’appartamento Borgia e il giardino con il celebre gruppo statuario del Laocoonte. Lo straordinario patrimonio, tutto italiano, che adorna gli spazi dei musei vaticani si condensa infine nella superba cappella Sistina con il Giudizio Universale (1508-1512) e gli affreschi della volta (1535-1541) realizzati da Michelangelo. Le pareti della cappella non sono di certo da meno, impreziosite da un ciclo di affreschi realizzati dai massimi artisti italiani della seconda metà del Quattrocento: da Botticelli al Perugino, dal Pinturicchio al Ghirlandaio. Vista l’elevata affluenza si consiglia di dotarsi preventivamente di un biglietto con ingresso prioritario. Il museo Archeologico Nazionale di Napoli Il museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) vanta forse il più ricco patrimonio archeologico d’Italia. Esso comprende infatti i reperti dell’antica Neapolis, la collezione Farnese con pregevoli reperti provenienti dall’antica Roma, le collezioni Borboniche con i reperti provenienti da Pompei, la collezione Egizia e altre importanti collezioni private (Borgia, Santagelo, Stevens e Spinelli). Vista la grande quantità di reperti e opere degne di interesse, un tour guidato è l’ideale per poter comprendere appieno il valore di quanto esposto. Il museo Civico Archeologico “Giovanni Marongiu” di Cabras Il piccolo museo di Cabras, in Sardegna, custodisce gli importanti reperti archeologici ritrovati nella suggestiva penisola del Sinis, sul golfo di Oristano, colonizzato in epoche antichissime. Il percorso museale custodisce e continua a raccogliere ancora oggi quanto ritrovato nel insediamento neolitico di Cuccuru is Arrius, in quello nuragico di Sa Osa, nel sito archeologico di Tharros (età fenicio-punica), nonché i resti del relitto romano dell’isola di Mal di Ventre. Pezzo forte del museo, davvero da non perdere, sono i resti del complesso statuario dei giganti di Mont’e Prama. Il museo dell’ex Stabilimento Florio e delle tonnare di Favignana e Formica Concludiamo questo excursus sui musei più importanti d’Italia con un piccolo e suggestivo museo sito sulla splendida isola di Favignana, ovvero quello ospitato nello storica tonnara appartenuta alla famiglia Florio per oltre un secolo tra Ottocento e Novecento. Splendido esempio di archeologia industriale, perfettamente recuperato e conservato, la tonnara ospita al suo interno un innovativo museo, con sale multimediali che ripercorrono la storia della mattanza, la cruenta pesca del tonno, e della tonnara, e un interessante Antiquarium con reperti archeologici ritrovati nell’arcipelago siciliano delle isole Egadi e risalenti alla prima guerra Punica (III secolo a.C.). I musei italiani da visitare sono davvero moltissimi e dislocati in quasi tutte le città del nostro Paese, da Torino a Roma, da Napoli alle Trieste.
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paolosalvati · 5 years ago
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La pittura di PAOLO SALVATI
Un caso particolare della storia artistica di Roma è quello di Paolo Salvati (1939-2014), superficialmente connotato pittore di strada, senza avere l’accortezza, prima di adeguarsi a giudizi del volgo, di approfondirne la pittura.
In effetti affiancò alla ricerca pittorica, principalmente paesaggistica, l’attività di ritrattista a piazza Navona per qualche decennio finché lo storico dell’arte e collezionista, il principe Agostino Chigi Albani della Rovere rinverdendo il mecenatismo degli antenati lo sottrasse alla strada. Pittore autodidatta abbandonò all’inizio degli anni settanta la professione di geometra per dedicarsi interamente alla pittura tanto impellente sentiva il richiamo dell’arte. Nel 1973, appartato come un monaco medievale, Salvati con grande coraggio, sebbene assillato da difficoltà economiche, inizia un personale percorso artistico a partire  dal quadro Albero blu.
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Albero blu, 1973
L’aspro paesaggio dell’interno sardo, rimasto nella memoria - la figlia Francesca ricorda che il padre era stato suggestionato  da un sughereto vicino Tempio Pausania -, riaffiora a distanza di anni: un albero secco e isolato si erge in una desolata radura dove non compare figura umana, caratteristica questa per lo più ricorrente nei paesaggi. Il colore dell’albero non è naturalistico, come anche i colori del pianoro: sono astratti, sono colori dell’animo. L’albero tende i rami secchi e  spigolosi verso il cielo prefigurando un uomo che implora e lotta con indicibili forze. Alla drammaticità dell’allusa lotta si contrappongono i colori caldi, gai e vivaci della spianata denotanti la luce della speranza, in lui fervente cattolico sempre viva. Lo anticipa una piccola tela del 1970, intitolata semplicemente Albero, che dimostra, non solo nel tocco, la comprensione della pittura di fine Ottocento.
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Albero, 1970
Il tema è ripreso, di lì a pochi mesi, in un dipinto, di maggior formato, dal medesimo titolo (Albero blu 1973) : un albero ora più imponente e articolato, anch’esso senza foglie, e con radici emergenti si staglia nel lato sinistro della tela mentre dall’altro si vede una roccia azzurra con una cavità, forse riferimento alla caverna di un san Girolamo quattrocentesco; i blu anche qui, come in tutte le successive versioni di questo soggetto, hanno per contrappunto nella distesa di terreno squillanti colori caldi e solari, mediterranei, fino alle azzurrognole montagne che la delimitano. In questo dipinto ad una attenta lettura si intuisce la caparbia ricerca di un accordo cromatico o un tono che, ne sono testimone, impegnava l’artista per lungo tempo. Una tonalità azzurra tendente al viola il giorno dopo, o a distanza di tempo, era modificata; a volte, addirittura, i ripensamenti erano stati talmente numerosi da costringerlo a ripianare per mezzo di spatole e bisturi la superficie del dipinto. Fino a che non era soddisfatto non desisteva, anche a distanza di anni, dal ritornare su un’opera: atteggiamento questo di antica moralità intellettuale in un periodo di superficialità e sciattezza. Per il lungo lavorio questa opera diviene sommamente cara a Salvati, come lo è alla madre il figlio che ansia e sofferenza maggiore le procurò nel parto, tanto da identificarsi in essa e a riformularne l’immagine in altre versioni e tecniche artistiche. L’albero e il blu vengono, così, a caratterizzare lo stile dell’artista, ne sono l’icona; essi sono la “costituzione d’oggetto”, come le boccette di Giorgio Morandi sempre riformulate, e come il celeberrimo bolognese sempre in novellate immagini.
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Albero blu, 1973
Il colore blu scrive Andrea De Liberis: << è il colore della calma, della tranquillità e dell’equilibrio ovvero proprio  il carattere del Maestro>>. Di questi sofferti e duri anni di vita, ma artisticamente fecondi, è Pietra blu (1973 – 74) : una massiccia pietra  è collocata nel centro del quadro sotto un cielo leggermente infiammato verso l’alto. Il soggetto è una pietra – montagna che si stacca, venendo in avanti, da una catena montuosa azzurra; si tratta di una pietra, caduta forse dal cielo, non completamente greggia che si presenta  con un piano inclinato, fra due strapiombi, alludente a una possibilità di ascesa o riuscita. Di nuovo la parte inferiore del dipinto contrasta con la superiore e con la pietra blu per i gialli, i rossi e gli arancioni risplendenti del terreno pianeggiante, colori, come sempre caldi, di tanto in tanto intervallati da piccoli inserti azzurri. Vedendo i colori della spianata il pensiero va alla pittura dei Fauves, ma a meditare un poco e approfondendo l’analisi non individuandovi una linea contornante alla Gauguin, ci si rende conto che l’artista ha visto con profitto la stesura impressionista.
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Pietra blu, 1973-74
Tralasciando per il momento analisi iconologiche ed esistenziali, entrambe sostenibili, risulta immediatamente evidente che si tratta di paesaggi di fantasia in cui, seppure si palesi lo studio approfondito dei valori pittorici di grandi artisti, Cézanne, Monet, Turner, Van Gogh, il periodo blu di Picasso e i Macchiaioli,  l’elemento  qualificante lo stile dell’artista risiede nella visione incantata che in questi dipinti aleggia. Salvati, attento osservatore della pittura francese di fine Ottocento e lettore di poesia, non ne replica sterilmente la lezione, la comprende, la interiorizza giungendo a una personale espressione artistica di cui l’assoluto protagonista è il colore. L’artista fa sua la lezione cromatica degli impressionisti, i bruni e i grigi sono banditi dalla tavolozza, ma la gamma cromatica non è al servizio del positivismo dei francesi va nella direzione espressiva indicata da Van Gogh, di cui non accetta però il tratto nervoso, preferendo il tocco morbido e soffuso. I colori dell’arcobaleno cantano, così, una visione interiore che si formalizza in immagine. Differentemente dagli impressionisti i colori esprimono sentimenti, stati d’animo soggettivi, da ciò il suo definirsi pittore espressionista. Mentre per gli impressionisti il colore è un elemento, un mezzo che, in concorrenza con la scienza, vuole cogliere, fermare sulla tela un momento di luce, il fenomeno di un repentino passaggio di nuvole occludente il sole, e quindi esterno all’artista; per Salvati il colore è espressione della luce interiore dell’artista.
Il quadro impressionista rappresenta un fenomeno luminoso, il quadro del Nostro emana luce spirituale: è esso fenomeno che si dà in “astanza”, realtà pura. Un colore spirituale come quello di Kandinskij che non veste forme astratte essendo ancora sussistente la riconoscibilità degli elementi rappresentati. Né ci si appelli per sminuire questa pittura che le composizioni sono semplici, direi banali; è una scelta necessaria per dare maggiore rilevanza al colore e alla profonda poesia delle piccole cose, del sentimento: nelle manifestazioni della natura, muta, che si trasforma si nascondono grandi verità, questo il senso di questa profonda arte. Senso dell’esistere, trovato dall’artista nelle piccole cose e nel rito della pittura, lentezza e sapienza artigianale sono al fondo di questa arte in controtendenza e ultima testimonianza di umanità in una società che non la considera. Artista colto Salvati, il cui stile, oltre alla comprensione della pittura dei maestri dell’Ottocento, soprattutto francesi, è il risultato di una fusione in crogiolo di tante assimilazioni culturali: ascolto di musica classica sinfonica e lirica, buone letture di poesia e conoscenza delle sacre scritture.
Non è da dimenticare il suo amore per la Natura che concepisce, non so se avesse letto Goethe, come una totalità dinamica, vivente e divina; nella sua prassi artistica, a mio avviso, si rispecchia l’azione organica della natura: il suo dipingere è un fare che in continuazione inventa il modo di fare.
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Sogno di primavera d’alta montagna, 1974
Salvati, che spesso citava Benedetto Croce, è fautore di un’arte pura e umana imperniata sulla natura, ma non completamente mimetica e realistica, e sul sentimento, elemento questo centrale nella sua pittura che insieme all’intuizione permette l’espressione lirica di uno stato d’animo. Splendido esempio di questo modo di concepire la pittura è il quadro del 1974 Sogno di primavera d’alta montagna, il paesaggio si presenta semplicemente con una spianata, alcuni cespugli e montagne che si con-fondono con il cielo; gli elementi figurativi rappresentati sono evanescenti a segnalare lo stato del sogno e la visione che in esso nasce. Talmente soffusi, ovattati, sono i passaggi da un elemento all’altro del paesaggio che a malapena li si possono individuare tanto da lasciar pensare che lo sviluppo più prossimo da questa opera si potrebbe dirigere verso l’astrazione totale.
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Sogno d’estate, 1975
Dell’anno successivo è il simile Sogno d’estate: una nostalgica visione di un giardino d’infanzia perduta, un rifugio dalle asprezze  della vita, dai rimproveri che la società disumana rivolge a chi non si allinea. Come intendere altrimenti le parole dell’artista:<<  i colori non mi rimproverano mai>> se non come consolazione e salvezza in essi! Tornando all’analisi del dipinto, l’immagine interiore è espressa con colori tenui. L’estate è suggerita tramite il cenno di un barlume di luce che dal centro della tela si irradia e si riflette su alcune pozze azzurrognole; così con estrema semplicità nel dipinto l’artista presenta l’atmosfera estiva colta nella sua essenza come sa fare solo la pura poesia. Con questi dipinti Salvati è pervenuto a uno stile inconfondibile rimanendo fedele a valori tradizionali e senza farsi ammaliare dalle sirene dell’originalità a tutti i costi; le immagini, che ci dona, pur portando le stimmate del soggetto si oggettivano  e testimoniano un’arte mossa da una grande speranzosa fiducia cattolica e da un profondo sentimento che allontana ogni intellettualismo. L’immagine è il portato di una trama sentimentale, legata a ricordi, a condizioni emotive, momentanei stati d’animo sempre relazionati al mondo naturale a cui l’artista si sente intimamente legato. L’artista è in sintonia con la natura e agendo come essa formalizza paesaggi intuiti attraverso il suo terzo occhio sicché si tratta di un’arte visionaria che in parte debitrice della lezione impressionista ne rifiuta però la percezione ottica.
Cesare Sarzini
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