#morte del padre
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La cavalla storna: il dolore e il mistero in versi di Giovanni Pascoli. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella memoria e nella tragedia familiare
Un viaggio nella memoria e nella tragedia familiare Giovanni Pascoli, con “La cavalla storna”, offre uno dei componimenti più iconici della sua raccolta “Canti di Castelvecchio”. Pubblicata nel 1903, questa poesia rappresenta un commovente racconto autobiografico che fonde dolore personale, lirismo e tensione narrativa. Il ricordo della morte del padre, ucciso in circostanze misteriose, viene…
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Libri: K.O. Knausgård, La morte del padre, Feltrinelli
Annamaria Migliore durante una chiacchiera estiva mi racconta d’essere rimasta affascinata e avvinta a questo tomo di 512 pagine. Sulla rete ne leggo meraviglie. L’inizio è shock. Eccone un breve estratto: Dalla presentazione dell’editore: “Quando si sa troppo poco, è come se questo poco non esistesse, ma anche quando si sa troppo, è come se questo troppo non ci fosse. Scrivere significa…
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità,
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà.
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice.
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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Se avete due minuti, leggetela è bellissima!❤️😘❤️
Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le dissi:
«voglio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente:
«perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa, per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa, l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare i’indomani:
«devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa».
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii…
Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo:
«grande papà, ha preso la mamma in braccio!»
il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco.
Ii quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi: questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più.
Ogni giorno era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente.
Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo, ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:
«papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio».
Per lui era diventato un momento basilare della sua vita.
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo… la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata… mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse:
«che cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi:
«ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma…
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma. Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero I dettagli, I semplici dettagli, che contano in una relazione. Non sono la casa, la macchina, I soldi… queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.
A volte non diamo il giusto valore a ció che abbiamo fino a quando non lo perdiamo.
Autore sconosciuto
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Prólogo - Ensejo de Paixão
Sabe quando sua vida perde todo sentido pela falta de uma pessoa? Bem, foi isso que aconteceu com Enzo, depois da morte de sua esposa Carol, ele ficou sem foco algum.
Ele desistiu do maior clube do mundo, o Real Madrid, onde se sagrou campeão de três campeonatos importantes como Mundial de Clubes da FIFA, Champions League e Copa Rei para voltar para a América do Sul com sua filha e sogra.
De forma alguma abrir mão do contrato bilionário com o maior clube do planeta o prejudicou, Enzo possui a própria marca e próprio negócio, ele nunca passaria por dificuldades financeiras mesmo que desistisse da carreira, ele sabe como gerir empresas, foi ensinado a comandar grandes corporações pelos pais ainda na infância, pois seus pais são donos do maior polo de telecomunicações do Uruguai.
Ao contrário de muitos jogadores de futebol, Enzo nasceu em berço de ouro e escolheu a profissão de futebolista por puro amor ao esporte, o jogador nunca passou dificuldades financeiras e sempre foi atrás das suas oportunidades sem precisar se submeter a situações precárias como muitos garotos, ele chegou a jogar no Brasil aos 18 anos, mais especificamente no Cruzeiro, foi onde acabou conhecendo Carol e se apaixonando perdidamente.
Carol era uma mulher negra retinta e os pais de Enzo nunca aceitaram bem o casamento dos dois ou o nascimento da neta e para proteger as duas, ele não hesitou em se afastar dos pais, tudo estava perfeito até o dia em que houve uma tempestade fora do normal na cidade de Madri e ele estava dirigindo para casa, como a pista estava escorregadia, um outro carro conduzido por um jovem alcoolizado bateu no veículo dele ocasionando o acidente que tirou a vida da esposa.
Mesmo usando a raiva de perder a esposa como motivação para entrar em campo e dá o seu melhor, o mesmo estava em luto, pois não estava aguentando mais ficar na cidade que o amor de sua vida faleceu, ele acabou voltando para o Brasil.
Enzo decidiu no dia do funeral da esposa que jamais iria se apaixonar por outra mulher novamente, nem mesmo se casar, ele morreria sendo um pai solo e que não teria nenhuma mulher mais em sua vida, ele detestava que falassem para ele seguir em frente.
Atualmente ele mora em São Paulo, sempre teve estabilidade financeira porque além do futebol investiu em outras áreas, como a de modelo, ele é uma febre entre as mulheres e homens, possui milhões de seguidores nas redes sociais.
Enzo é um dos nomes do futebol que mesmo com pouco tempo de carreira construiu uma fortuna bilionária graças a visão para os negócios.
— Sospecharía del intento de tus padres de acercarse a ti y a Luna. — Giorgian De Arrascaeta, um dos melhores amigos de Enzo comenta pensativo.
Os dois eram da mesma categoria de base no Uruguai e até jogaram um tempo juntos no Cruzeiro antes de Enzo ser vendido para o Real Madrid. Eles sempre conversam por videoconferência, principalmente agora que um está em Minas Gerais e o outro em São Paulo.
— Sé que no lo haré, nunca olvidaré las cosas horribles que le dijeron a Carol el día que la presenté como mi novia. — Enzo murmurou preocupado.
— Pero estuvo bien que vinieras a Brasil, las personas que se preocupan podrían ayudarte más fácilmente, Luna necesita crecer rodeada de todos, mi única preocupación es su padre.
— Lo sé, este intento de acercarlos también me preocupa, algo están tramando y son poderosos, Gio. — engoliu em seco.
— Son poderosos en Uruguay, aquí en Brasil las cosas son muy diferentes. — relembrou tentando tranquilizar o amigo. — Pero ya te estás Tratando de encontrar a alguien con quien sali por ahí?
— No y no lo haré. — disse sisudo.
— Sé que es difícil, pero tener al menos una aventura sin condiciones no te matará y salir con alguien sería bueno para ti en lo que respecta a Luna, ella necesita una figura materna.
— Luna no necesita una figura materna, ya tiene a su abuela.
A lógica de Arrascaeta fazia sentido, mas Enzo era cabeça dura, isso sem contar que mesmo sabendo que sua sogra estava doente devido a um câncer de mama, ele não cedia nem mesmo a ideia de contratar uma babá para cuidar de Luna, ele tinha medo que alguém pudesse machucar.
— La señora Marilene no se encuentra bien, cuidar a Luna la mayor parte del tiempo debe ser agotador, incluso si no vas a tener una cita, busca a alguien en quien confíes.
— ¿Y cómo haría eso?
— Debe haber una mujer en el edificio donde trabajas que conozca a una niñera.
— No confío en nadie para que cuide a mi abejita, no es como si confiara en alguien para que se quede a dormir en mi casa con mi hija mientras estoy fuera por trabajo.
Enzo largou o futebol para cuidar da sogra doente, mas ele sempre precisa viajar por causa dos eventos ou das empresas.
— Tu necesidad no te da opciones. — o moreno deu de ombros. — Piense conmigo, la Sra. Marilene se desmaya durante la noche debido a los medicamentos fuertes, alguien necesita vigilar a Luna al menos en las primeras horas de la mañana.
— ¿Y a quién contrataría para que hiciera esto por mí?
— Ya dije esta parte, lamentablemente eso depende de ti, lo que sea, haz un período de prueba con alguien, estás en São Paulo, la gente dice que es fácil encontrar gente dispuesta a trabajar allí. — o homem riu concordando com o amigo, minutos depois eles desligaram a ligação.
— Papá, faz pipoca doce pra mim. — Luna apareceu na sala e pulou direto no colo do homem.
Enzo falava um "portunhol" quando não estava conversando com seus amigos do Uruguai, mas no normal ele precisa sempre falar em português, já que todos à sua volta só falam a língua oficial brasileira.
— A senhorita precisa ir dormir, não é hora de pipoca não, abejita. — ele sorriu acariciando o rosto da pequena.
Enzo ama os traços da filha, ela é bem parecida com a mãe,a única diferença é o tom de pele de Luna que é mais claro, mas os cabelos crespos cacheados castanho claro, olhos castanhos escuros, lábios carnudos e boca grande, nariz grande, ele acha a filha uma boneca de porcelana e é um pai coruja.
— Mas eu queria tanto.
— Luna, a vovó já tinha colocado você na cama para dormir. — Marilene, a sogra de Enzo, apareceu na sala atrás da neta. — Eu achei que a senhorita estivesse dormindo.
— Minha barriguinha tá querendo "mimida", abuela. — a pequena fez uma careta manhosa. — Queria pipoca doce.
— Isso mesmo, queria, agora não quer mais e você já escovou os dentinhos. — ele abraçou a pequena três anos de idade.
— Eu posso escovar de novo. — argumentou.
— Está tarde para você ficar acordada e comendo besteira, minha princesa.
— Olha, amanhã o papai faz pipoca e assiste A Princesa e o Sapo com você quando voltar do hospital com a vovó, está bem? — a pequena assentiu se empolgando.
Ela deu um beijo no rosto do pai, saiu da sala e voltou para o quarto, a sogra de Enzo sentou-se no sofá e o analisou rapidamente.
— Temos que conversar.
— Se for sobre a enfermeira, eu não abro mão, você vai ter alguém cuidando de você o tempo inteiro e eu matriculei a Luna no ballet, minha filha ficará bem e com a mente ocupada. — ele garantiu, suspirando pesadamente.
— Não é sobre a Luna, confio em você inteiramente, você é um bom pai, quero tratar sobre alguém para poder me ajudar aqui em casa com Luninha e sobre você começar a ver uma forma de seguir em frente…
— Eu estou seguindo em frente, não preciso de ninguém.
Enzo suspirou pesadamente, era um assunto que não poderia fugir, apesar de contratar uma cozinheira e uma faxineira, ainda tinha alguém para poder ajudar com Luna, mas esse assunto era delicado.
Sua sogra estava fazendo tratamento contra o câncer, prestes a fazer uma cirurgia na mama, não consegue fazer muitas atividades domésticas, tendo dificuldade até de fazer coisas básicas, ela precisa de alguém para cuidar da neta.
— Veja com suas amigas do prédio se tem alguém para indicar. Eu pago o que for preciso.
— Tem uma menina chamada Bianca, Isabel a indicou, ela faz faxina na casa desde os 16 anos, é muito dedicada e se dá bem com crianças, posso pedir para ela vir aqui amanhã conversar com você?
Marilene já tinha combinado tudo com Bianca anteriormente, ela viu muito de sua filha e dela mesmo na garota, adorou saber que ela também é baiana, mas precisava convencer Enzo a concordar com a ideia. Bianca foi aprovada na faculdade há poucos dias, mas está procurando um emprego para poder ter estabilidade e alugar um local para morar sozinha durante o curso.
Pelo que ela percebeu ao conversar com a garota, ela é muito doce, mas tem personalidade forte e sempre está disposta a aprender.
— Está bem, pode falar para ela vir aqui. — cedeu suspirando pesadamente.
— É só até eu vencer essa doença maldita, só quero que minha neta seja protegida e cuidada.
— Eu sei, Mari. Eu sei.
Enzo saiu e foi para o quarto da filha, Luna estava sentada na cama brincando com seu ursinho favorito.
— Achei que a abuela tinha sido clara sobre você ir dormir. — ele se aproximou da pequena e deitou na caminha da mesma.
— O Fulipeco queria brincar comigo. — contou se referindo ao amigo imaginário.
Luna começou ir para escola tem apenas uma semana e não tem amigos ainda, para suprir essa solidão, a menina criou esse amigo imaginário.
— Diga a ele que você precisa dormir para ir para escolinha amanhã.
— Está bem. Boa noite, Fuli. Boa noite, Papá.
Ela deitou a cabeça no peitoral do mais e o abraçou apertado, Luna não sabe o que é amor materno desde os 9 meses quando a mãe morreu. Além disso, o próprio Enzo reconhecia que ele entendia muito pouco sobre as experiências da filha sendo uma menina negra.
Na zona norte da capital, em uma realidade totalmente diferente das casas luxuosas de Moema, Bianca, a jovem indicada ao emprego na casa estava chegando em casa após um dia de trabalho fazendo faxina em apartamentos de luxo, já sabendo o que enfrentaria ao chegar na residência suspirou pesadamente e se forçou a pensar que logo as coisas melhorariam para ela, pois logo ela sairia daquela casa para morar na própria casa.
— Isso lá são horas de chegar em casa? — Carlos, esposo da tia de Bianca, perguntou mais uma vez implicando com a garota.
— Eu estava trabalhando, a casa da dona Isabel é longe. — respondeu revirando os olhos internamente e tentando manter o tom cordial para não apanhar dele ou da tia.
— E isso é motivo para chegar às nove horas da noite? — Juliane, prima de Bianca, lhe indagou querendo levianamente que a prima apanhasse dos pais.
— É um apartamento na região do Ibirapuera, hoje o trânsito estava um caos por causa daquele acidente na marginal Tietê, por isso cheguei agora. — explicou, olhando para os próprios pés e rezando para que isso não fosse motivo de implicância e posteriormente uma surra.
— Nossa, nem precisava falar desse jeito ignorante com ela. — Juliano, primo de Bianca, comentou tentando fazer com que a garota entrasse em problemas.
— Se você falar assim com minha novamente quebro sua cara, Bianca. — Janaína, tia dela, ameaçou.
— Desculpa. — pediu já acostumada com o tratamento injusto e hostil.
Janaína apenas brigou pela guarda de Bianca porque tinha interesse na pensão que a previdência social daria para ela devido a morte da mãe, mas ela nunca gostou da sobrinha, a mesma tem ciúmes, especialmente porque o marido não a procura mais porque encontrou o alvo perfeito para os seus abusos, na cabeça doente e retrógrada da mulher, Bianca tem seu corpo violentado porque quer, ela nem mesmo ver a situação como estupro.
A vida de Bianca se enquadra perfeitamente no que o mundo conhece como violência doméstica e abuso sexual de vulnerável, desde a morte de sua mãe quando a garota tinha 10 anos de idade, ela passou a ser "cuidada" pela tia, irmã de sua mãe, já que seu padrasto a quem a mesma via como um pai não pode ficar com a guarda dela, o mesmo só conseguiu a guarda dos dois irmãos dela que são filhos biológicos dele.
O marido de sua tia é um homem extremamente violento, sua tia mesmo é uma vítima dos abusos constantes dele, embora ele seja o típico retrato do cidadão de bem, que trabalha, vai a igreja e é o chefe de família, em casa ele é um monstro horrível. Bianca é tratada pior que um animal dentro de casa e serve de saco de pancadas de todos dentro da residência, ela não tem vida desde os 11 anos, nunca pôde experimentar nada que uma adolescente poderia viver.
O máximo que Bianca sabe sobre festas e danças se dá porque ela ia catar latinha para vender e conseguir alguns trocados em bailes funks, festas da terceira idade com samba e algumas festas com tema envolvendo baile charme e forró, ela via os movimentos e imitava de longe até se aperfeiçoar, mas nunca pôde dançar.
Até os namoradinhos eram proibidos para ela, mas isso nunca a impediu, mas depois de ter sido ameaçada de morte pelo tio misógino por namorar escondido um rapaz da escola, ela nunca mais ficou com ninguém ou se permitiu se apaixonar.
— Tia, a senhora assinou as declarações pra enviar na faculdade? — Bianca questionou esperançosa.
— É para quando?
— O último dia de prazo é sexta-feira agora.
A semana estava apenas começando, mas a burocracia de documentação da Pontifícia Universidade Católica para o programa do governo federal ProUni era complicada e a única coisa que faltava para a garota que acabou de fazer 18 anos eram as declarações assinadas pela tia.
— Não sei porque esse negócio de faculdade, você não vai conseguir ser aprovada mesmo. — Carlos murmurou con segundas intenções, ele não queria isso para que Bianca não mudasse de vida e ficasse sempre sendo abusada por ele.— Você deveria era pensar em trabalhar ao invés de estudar.
— Pensar em trabalhar para ser igual o senhor? — perguntou não aguentando.
Às vezes, Bianca respondia não por malcriação, mas por raiva de ser colocada para baixo o tempo inteiro.
— O que você falou, sua rampeira? — o homem levantou e foi na direção dela. — Você me respeite e procure seu lugar! — ele deu um tapa em seu rosto, isso fez a garota cair no chão com o lábio cortado. — Culpa sua que essa mal agradecida é respondona assim.
A tia, vendo uma oportunidade de descontar sua raiva do dia, foi até o quartinho no quintal que a jovem dormia, pegou os documentos que faltavam levar para universidade e rasgou, após isso voltou com uma bainha de facão e avançou contra a sobrinha.
A pobre garota só pôde gritar pedindo socorro enquanto ninguém ousava interferir, seja dentro de casa, seja fora de casa, nenhum vizinho interferia, embora discordasse do que faziam com a garota.
— Só porque você foi malcriada, não vou assinar porra nenhuma, sua mal agradecida. — a mulher disse parando de bater na menina finalmente. — E vai lavar a louça logo antes que eu meta a porrada em você novamente, sua preguiçosa.
A garota levantou com dificuldade e assentiu, ela sabia que após todos dormirem, seria pior, pois ela acordaria no meio da noite com o tio fazendo o que não deveria em seu corpo.
No meio desse caos, Bianca se lembrou que Edilene, a mulher que era empregada doméstica há décadas em um condomínio de luxo no bairro de Moema e que era um anjo na vida da garota, uma viúva que batalhou muito para criar filhos e netos que hoje estão todos formados na universidade e com bom emprego, a mulher trabalhava com Isabel que gostava muito de Bianca também.
Bianca fazia companhia de segunda-feira a sexta-feira desde que tinha 15 anos para a patroa de Edilene e ajudava a mulher a limpar a casa e fazer comida, Edilene disse que se a tia não desse as declarações, ela mesma faria isso pela garota e deixaria a mesma morar na casa dela uns tempos até ela conseguir um cantinho.
Isabel era uma mulher de 75 anos que vivia com o neto em um apartamento, ela foi ajudada casualmente por Bianca quando a mesma passou mal na rua, logo ela quis recompensar a garota que explicou que seus tios queriam que ela arranjasse um trabalho, então ela fez a proposta da mesma fazer companhia e ajudar a empregada da casa que já é uma de idade também a limpar o apartamento.
Dona Isabel e dona Edeline, a empregada da casa, logo gostaram de Bianca e viram futuro da menina, então Isabel começou a presentear a garota com livros e ao ver que a menina realmente estava lendo e se interessando pelas histórias, passou a lhe ensinar etiqueta, postura, línguas estrangeiras como inglês, francês e espanhol, a entender sobre cultura erudita e moda.
Enquanto Edilene ajudava a garota a ter o que comer, a conseguir as coisas no mundo quando ela se visse totalmente sozinha, Edilene era única que tinha uma mínima noção de como a vida da menina era complicada e sempre a ajudava como podia para fugir da família abusiva, ela chegou até a denunciar, mas como Carlos tinha contatos por causa de membros da igreja que ele frequenta, nada foi feito.
Nos dias seguintes, Enzo continuou pensando sobre os conselhos de Giorgian, especialmente no dia em que foi conversar com o advogado sobre a liminar que obriga o plano de saúde a cobrir a cirurgia e todo tratamento de câncer da sogra.
— O que eu quero unicamente é que minha sogra faça o tratamento, não existe justiça nesse país? — Enzo esbravejou para o advogado.
— Eles não podem negar, o código de defesa do consumidor proíbe, mas para ser mais incisivo, vou entrar com uma liminar. — o advogado explicou.
— E por que isso não foi feito antes? — Enzo murmurou impaciente. — Cada dia é precioso para saúde da minha sogra.
— Já foi feito. — o mais velho disse calmo. — Mas o juiz não decidiu ainda, infelizmente não controlamos os juízes.
Enzo acabou tendo uma ideia, um de seus amigos aqui no Brasil era desembargador, como um homem criado para ser poderoso, ele sabia que sempre é preciso ser amigo de juízes e desembargadores, ele irá entrar em contato com esse amigo.
Depois da reunião com o advogado, Enzo ligou para esse amigo, que disse que iria conversar com o juiz do caso para agilizar o processo. Ele poderia jantar com o homem, mas preferiu usar o horário de almoço para poder evitar conversar com a babá que seria contratada.
Enquanto isso, Bianca comemorava com Edilene e Isabel a sua aprovação na faculdade, ela era a primeira de sua família a conseguir ingressar no ensino superior, o curso escolhido era Direito, desde criança todos a achavam bem incisiva quando o assunto eram injustiças.
— Eu sabia que você iria conseguir, Bibi. — Edilene abraçou a garota de lado.
— Eu não conseguiria se a senhora não me ajudasse e se a dona Isabel não me desse os livros para estudar para o Enem. — a garota sorriu.
— O esforço não foi nosso, foi todo seu, o mérito da conquista é todo seu, Bi. — Isabel murmurou orgulhosa.
— Mas assim não é porque você conseguiu passar na faculdade que é para nos abandonar, viu, mocinha?
— Oh, dona Edilene, eu nunca vou abandonar vocês, sempre serei extremamente grata e vou vim aqui todos os dias pra te ajudar e fazer companhia para dona Isabel antes de ir para faculdade, quando eu me formar eu quero as duas indo pegar o diploma comigo e quando eu me tornar uma advogada quero mostrar a carteirinha da ordem primeiro para as duas. — a garota murmurou sincera.
— Me deixa tão feliz sabendo que você não vai esquecer de nós, minha filha. — Isabel a abraçou apertado.
— Bem, o que eu perdi? — João Victor, o neto de Isabel chegou em casa depois de passar dias fora de casa indo para festas da atlética da faculdade.
Ele também é um estudante de direito, mas ele já está no terceiro semestre e tem 19 anos, ele está segurando o notebook formatado que será doado a Bianca para que ela possa estudar, desde os 16 anos ele nutre uma paixão secreta por Bianca, mas nunca se aproximou da garota e a mesma nunca o olhou com outros olhos, na verdade, ela nunca teve interesse em ninguém.
— Oi, meu neto. — Isabel disse, se afastando o abraço. — Trouxe o que eu te pedi?
— Trouxe sim. — falou, entregando a caixa com o eletrônico para a mais velha. — Saiu a lista dos calouros das turmas de direito, você passou?
— Sim, meu primeiro dia na faculdade será amanhã.
— Estamos comemorando isso, Bibi passou e vai para a faculdade. — Edilene respondeu orgulhosa.
— Eu sabia que você iria conseguir, sua cara de CDF nunca me enganou. — o garoto disse sincero. — Parabéns, Bi.
A garota estranhou seu comportamento, ele nunca a chamou pelo apelido, mas apenas agradeceu as congratulações.
— Você já tem um vade?
— Ah, ainda não, eu vi que está bem caro, vou juntar dinheiro até conseguir comprar. — respondeu suspirando pesadamente.
— Eu tenho dois um desse ano, posso te dar um, eu nem uso um deles.
— Sério? — o garoto assentiu. — Obrigada mesmo, seu João. Que Deus te abençoe grandemente.
Edilene percebeu mais uma vez que o olhar de João era diferente, um olhar apaixonado e Isabel notou também, a avó do rapaz não aprovava, pois sabia que João não era homem de namorar e iria machucar Bianca.
— Ah, eu tenho um presente para você. — Isabel entregou o caixa com o notebook para Bianca.
Bianca pegou a caixa e abriu vendo o notebook, os olhos da garota brilharam, ela estava querendo comprar um notebook para ajudar nos estudos, mas nunca conseguiu porque o dinheiro que ganha vai todo para a família.
Ela abraçou a mais velha apertado e sorriu.
— Muito obrigada! — ela exclamou. — Eu nem sei como agradecer, Deus te abençoe, dona Isabel. — agradeceu sincera.
— Não é novo, mas por enquanto vai te ajudar. — ela concordou.
— Você tem carona para faculdade hoje? — João perguntou, tentando se aproximar.
— Eu vou de ônibus e metrô.
— Eu te levo de carro.
— Não precisa se preocupar, seu João.
— Eu insisto. — ele sorriu. — Pode ir descendo, eu te vejo na entrada do prédio, vou só trocar de roupa. — ela assentiu.
— Eu tenho que ir, mas amanhã estou de volta para contar tudo. — disse abraçando as duas. — Muito obrigada por serem uns anjos na minha vida.
Ela organizou o que ganhou na mochila e saiu do apartamento, ela pegou o elevador e foi para o térreo, mas acabou sentindo falta do celular e das chaves de casa, então foi procurando na mochila e nem se atentou direito ao caminho.
Nesse momento Enzo estava trocando mensagens com o advogado e também não prestou atenção no caminho enquanto estava caminhando para o elevador.
A desatenção dos dois fez ambos se chocarem, o impacto fez com que Bianca quase caísse no chão, mas Enzo a segurou com firmeza.
Enzo sentiu como se uma corrente elétrica passasse pelo seu corpo, uma energia surreal estava em suas articulações, ele encarou a mulher a sua frente e sentiu seu coração acelerando freneticamente, uma sensação que ele não tinha desde a morte de sua esposa.
Bianca teve uma sensação diferente, medo e dor. Como ele segurou seu braço machucado pela surra que ganhou de seus tios, isso fez a mesma soltar um gemido de dor e o medo da jovem estava atrelado ao fato de que ela tinha medo de toque físico vindo de homens.
— ¿Estás bien? — perguntou preocupado quebrando o silêncio. — ¿Se lesionó? — ele percebeu a inquietude da garota com o seu toque e notou um certo medo.
— Yo estoy bien… — Bia respondeu, soltando o ar dos pulmões que ela nem havia percebido que estava prendendo. — Lo siento, estaba distraída buscando algo en mi bolso. — ela explicou, voltando a procurar o celular e a chave, finalmente achando no meio das nécessaires.
— Yo también estuve desatento, no te preocupes.. — o homem sorriu gentil.— ¿Habla español? — Enzo indagou empolgado.
— Sí, quiero decir, mato mi lengua más de lo que hablo. — ele riu da resposta descontraída dela.
— Se sentir mais confortável, pode falar em português comigo, é que eu fiquei tão preocupado pelo susto que acabei falando espanhol no automático. — explicou, fazendo Bia sorrir timidamente, olhando para os pés. — Eu me chamo Enzo. — Bianca o encarou novamente.
— Eu me chamo Bianca.
— Espera, eu iria fazer uma entrevista de emprego com você hoje. — ele sorriu empolgado, de repente ele quis muito está próximo a ela e ir conversar.
Aquele sorriso fez a garota sentir uma corrente elétrica pelo corpo, dessa vez não tinha medo e sim conforto.
— A dona Marilene falou que o senhor teve um imprevisto hoje e não poderia me entrevistar, aí eu já ia embora.
— Você está disponível agora?
— Não exatamente, eu vou precisar ir para minha faculdade resolver algumas burocracias.
Enzo queria misteriosamente ficar perto da garota, como se seu corpo fosse metal e ela o ímã, algo dentro dele implorava para que ele a protegesse de alguma forma.
— Se você não ver problema, eu posso te levar na faculdade e nós vamos conversando no caminho.
Bianca ponderou muito, ela estava com medo de ficar num carro sozinha com um homem desconhecido, mas infelizmente ela precisava passar nessa entrevista com esse homem desconhecido para poder finalmente sair da casa dos tios.
— Tudo bem…se isso não for atrapalhar o senhor.
— Bi, eu estou te esperando um tempão. — João se aproximou e abraçou a garota de lado marcando território. — O CAA só fica aberto até às 19:30, está trânsito e você vai acabar se atrasando. — o garoto acariciou o rosto de Bianca propositalmente, ela se sentiu desconfortável e o afastou.
João percebeu o olhar de interesse e encantamento vindo de Enzo e o mais velho ficou incomodado com a atitude de João.
"Que desgraçado de sorte, ele namora com ela. " Pensou o homem, encarando fixamente o outro. Enzo não entendia esse sentimento parecido com ciúmes, muito menos a inveja que sentiu ao deduzir isso, ele não poderia sentir isso por ninguém, ele havia prometido a Carol.
— Seu namorado?
— Não. — Bianca respondeu prontamente.
Enzo ficou mais aliviado em escutar isso, enquanto João não gostou muito.
— Seu João, eu vou fazer a entrevista com o seu Enzo, vejo o senhor depois, combinado?
Enzo sorriu inconscientemente ao notar que a relação dos dois era puramente profissional.
— Se você for fazer a entrevista não vai conseguir fazer a carteirinha pra entrar na faculdade e vai perder o primeiro dia de aula amanhã.
— Eu vou levá-la, não se preocupe, Seu João. — Enzo murmurou com um leve tom de deboche.
Internamente ele não entendia porque estava se comportando de uma forma tão infantil por alguém que acabou de conhecer.
João olhou para Bianca pedindo a confirmação e ela assentiu.
— Você vai ficar bem? — ela assentiu. — Te vejo amanhã no campus então. — deu um beijo em sua bochecha. — Cuidado no caminho, Bibi. — ele saiu.
Enzo sentiu uma raiva tão grande vendo a cena, ele realmente não estava entendendo como uma desconhecida estava fazendo ele ter comportamentos de um homem atraído ou apaixonado por alguém e o pior, ele não entendia o fato de ter inveja de um homem que estava tocando uma mulher que ele está encontrando a primeira vez na vida dele.
Algo que ele não entendia de forma alguma era como ele estava sentindo isso por outra mulher após prometer a si mesmo que nunca mais se sentiria atraído, apaixonado ou encantado como nenhuma outra mulher que não fosse sua falecida esposa.
Bianca, por outro lado, estava se sentindo mal, pois a pequena disputa de ego entre Enzo e João fez com que ela se sentisse como se fosse um objeto prestes a ser leiloado, ela não gostou do comportamento dos dois e via um perigo muito grande no futuro chefe claramente tendo interesse nela.
Enzo não tinha maldade dentro de si, ele não via Bianca com desejo sexual embora achasse a jovem muito bonita, ele sentiu mais um sentimento de proteção, cuidado e amor, ele estava com desejo de viver algo romântico e nada sexual com ela, era um desejo subconsciente, mas que a garota de sorriso acolhedor lhe despertou.
Bianca havia sido a razão pela qual ele sabia que claramente não iria conseguir cumprir a promessa que fez a esposa, isso fazia ele se sentir culpado e um ser humano horrível.
A jovem passou a ter medo de que o homem propusesse algo sexual em troca da oportunidade de trabalho, isso fez a mesma ter se arrependido de ter aceitado fazer a entrevista com ele, mas na situação em que estava, ela não tinha muito escolha, era isso ou aguentar mais tempo dentro de um lar tóxico e abusivo.
Ambos estavam em conflito, mas por motivos diferentes.
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Dopo aver postato i miei addii alla chihuahua Minù e al gatto Alvin, scomparsi davvero troppo presto e a distanza di trentasei ore tra di loro, ho potuto constatare quanto la presunzione di superiorità dell'essere umano sia di quanto più lontano dall'essere davvero umani.
Semmai disumani.
Per molti lo strazio che alcuni esseri umani provano per la scomparsa di un animale domestico è una deriva.
Una preoccupante deriva, dove si pongono sullo stesso piano i nostri amici a quattro zampe con la vita di un altro essere umano.
Non credo che una persona psicologicamente equilibrata voglia mai paragonare la perdita di un cane o di un gatto con quella di un genitore, di un amico o un altro parente.
Ma resta sempre un dolore comunque, che può essere molto profondo se per la persona colpita dal lutto, l'animale, era tutta la sua famiglia. Nessun altro.
Un vuoto resta un vuoto.
A prescindere da tutto questo mio preambolo, per esperienza personale, posso dire che il vedere morire un essere umano e vedere morire un animale che ha condiviso la sua vita con te ha dei punti in comune.
Lo sguardo. Ti cercano come per avere la conferma che non saranno soli, in quel momento, che qualcuno a cui hanno voluto bene sia lì con loro.
Ho visto morire mio padre, mi ha guardato e poi con un sorriso ha guardato in alto ed è spirato.
La mattina che Alvin è morto ero uscito per un appuntamento di lavoro, dovevo portarlo al mio rientro dal veterinario eppure prima di uscire, mentre mi ero chinato su di lui per confortarlo, mi ha guardato e con la zampa mi tratteneva il braccio. Usando gli artigli.
Ho interpretato dopo, quando rientrando di corsa l'ho trovato riverso a terra, che probabilmente mi stava chiedendo di non andarmene. Di restare lì con lui.
Ho letto un post recente dove un veterinario affermava che 9 su 10 i proprietari di cani o gatti non vogliono assistere al trapasso dell'animale.
Che questi prima di essere sedati per il trapasso cercano con lo sguardo colui, o colei, per cui è valsa la pena vivere scodinzolando o facendo le fusa.
Molti credono che gli animali non abbiano un'anima, eppure animale è una parola che viene dal latino "animalis" che vuol dire "animato" o qualcosa che crea la vita. Affine al greco "anemos" (vento, soffio) e al sanscrito "atman", di uguale significato.
Anche mio padre cercò qualcuno e c'ero solo io. Altri erano usciti dalla stanza. Qualcuno addirittura se n'era andato, con una scusa.
Eppure l'essenza della riconoscenza verso un'anima sta proprio nello stargli vicino, quando quell'anima lascerà il suo corpo terreno.
Non si dovrebbe privare nessuno di questo riconoscimento, a meno che la morte non giunga inaspettata e all'improvviso sia chiaro.
Nel corso della propria esistenza le persone hanno svariati interessi e priorità. Ma per gli animali, quello che noi definiamo il loro padrone, è la cosa più importante di tutto. Di tutti.
Lo sguardo degli umani, durante l'esistenza, cambia a seconda dei sentimenti. Che sia amore o rabbia, a volte anche odio.
Ma nel momento in cui una persona capisce che è giunta la sua ora cerca il perdono, oppure di perdonare.
Un cane o un gatto non si devono far perdonare nulla da chi li ha amati. Ti guarderanno con lo stesso sguardo del primo giorno che li avrete visti. Con amore incondizionato.
Perché nell'attimo in cui se ne vanno, inizia il ricordo e l'amore si consolida nel cuore. Per alcuni umani invece rimane anche una parte di rabbia e di cose incompiute.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Prologo
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
La luce della luna brillava attraverso le meravigliose vetrate colorate, facendo sembrare la tempestosa notte invernale ancora più scura.
“Amen! Questo pasto che ho preparato è il mio nutrimento. In questa Santa Notte io dico grazie”. La voce del vecchio, prostrato in segno di reverenza, risuonò dolcemente all’interno della cappella. Sembrava quasi piena di compassione.
Ma gli occhi della suora - le cui braccia e gambe erano legate all’altare e la cui bocca era stata imbavagliata - erano spalancati per la paura.
Forse non sarebbe stata tanto spaventata se si fosse trovata davanti un semplice assassino. Dopotutto, un assassino l’avrebbe solamente uccisa. Un assassino almeno sarebbe stato umano.
“Grazie per la tua pazienza Suor Angelina. Ora è il momento della Sacra Comunione.”
La suora sussultò.
Quando il vecchio si voltò, la luce della luna si riflettè sulla lama argentata stretta nella sua mano rugosa. Aveva usato quella lama innumerevoli volte per tagliare le ostie da dare ai devoti, quando ancora era un mortale. Era una lama sacra. Ma ora essa aveva assunto un sinistro colore marrone ed emanava uno sgradevole odore di ruggine.
“Mangiate questo pane, poiché esso é il mio corpo”
Nel silenzio risuonò il suono della veste della giovane suora che veniva strappata. I seni ancora poco sviluppati e una semplice biancheria intima rimasero esposti.
“Bevete questo vino, poichè esso è il mio sangue��� Ah, Angelina! Voi diventerete una parte di me. Dentro di me vivremo insieme in una notte eterna”.
Dalle labbra scolpite in un sorriso malvagio, apparvero zanne troppo lunghe per essere semplici denti. Incapace di tenere a freno la sua sete di sangue, il vecchio puntò la lama sacra contro il petto candido di Angelina, facendo agitare il suo cuore con un unico respiro—
Dall’oscurità si udì un sussurro. “Ita missa est. La messa é finita, Padre Scott”
“Cosa?!”
A lato di un crocefisso congelato che emetteva un bagliore bluastro stava una figura avvolta nell’ombra. Il suo volto, rivolto verso il basso, era nascosto nell’oscurità e non era possibile vederlo, ma era chiaro che si trattava di un uomo piuttosto alto.
“Reverendo Alxander Scott, ex Vescovo di Londinium… nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo la dichiaro in arresto con l’accusa di sette omicidi e furto di sangue.”
“Ma chi saresti tu in nome di Dio?!”
“Mi scusi, non mi sono presentato a dovere. Vengo da Roma—“
Fu un errore accordare al vampiro una qualche cortesia. Istantaneamente, il coltello attraversó la distanza tra i due con una velocità al limite dell’impossibile. La mira era perfetta, e la lama andò a conficcarsi esattamente nel petto dello sconosciuto.
“Ah! Non so chi tu sia ma non ti permetterò di interferire con questo sacro rito!”
Il vecchio vampiro, vestito con l’abito sacerdotale, rise sarcastico con le zanne che scintillavano nell’oscurità, proprio davanti all’altare da dove aveva prestato servizio come Vescovo fino al mese prima.
“A causa della tua ignoranza sarai punito con la morte…”
“Non le sembra terribilmente maleducato interrompere una conversazione in questo modo?”
“Ma cos…” Padre Scott non poteva credere ai suoi occhi. Il coltello si era conficcato a fondo nel cuore dell’uomo nell’ombra, eppure lui rimaneva in piedi come se niente fosse.
“Ho ascoltato uno dei suoi sermoni una volta… Predicava che gli esseri umani fossero le uniche creature capaci di credere in loro stesse. Avrei voluto poterle mostrare compassione, ma…”
“Im…impossibile!” Il vecchio prete, che aveva barattato la sua morale e la luce del sole con la forza e il potere datogli dal male immortale, ora indietreggiò, in preda al panico. “Sei un vampiro anche tu?”
“No. Io sono…”
Questa volta la voce fu interrotta dal suono del metallo in frantumi. La lama sacra che era rimasta conficcata nel petto dell’uomo, emise uno strano suono ed si andò ad affondare tra le vesti dell’ex Vescovo.
Il vampiro gemette. “Ho sentito parlare della tua specie, quando ancora ero umano. Si dice che a Roma, nel quartier generale del Vaticano, ci sia una setta di preti che custodiscono un mostro. E quando il Vaticano ha problemi che vanno oltre le capacità umane, mandano lui a risolvere la situazione. Sei tu quel mostro?”
“AX—per la precisione. Sta per Arcanum Cella ex Dono Dei. Sono del Dipartimento Segreto della Segreteria di Stato Vaticana. Vede, al mio capo non piacciono gli scandali. Non le farebbe per nulla piacere che si spargesse la voce che un prete si sia ‘trasformato’”.
Dal nulla l’uomo avvolto nell’ombra sollevò in aria una enorme falce dalla doppia lama.
Quando Padre Scott vide la falce urlò di terrore. “Maledetto! Sei il cane da guardia di Caterina, il suo boia ufficiale!”
Il suo urlo fu inghiottito da una folata di vento invernale.
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Amici:
Ismail Haniyeh e Yasser Arafat
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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Giovanni Pascoli: "Zvanì" - Un dialogo tra memoria e rimorso. L’anima fragile e tormentata del poeta emerge in una struggente evocazione del passato e dei legami perduti. Recensione di Alessandria today
La poesia "Zvanì" di Giovanni Pascoli, tratta dai Canti di Castelvecchio (1903), è un’opera densa di malinconia e riflessione esistenziale
La poesia “Zvanì” di Giovanni Pascoli, tratta dai Canti di Castelvecchio (1903), è un’opera densa di malinconia e riflessione esistenziale. Qui, il poeta intreccia un dialogo intimo con la figura del padre, brutalmente ucciso, che riaffiora come una voce nella memoria e nel cuore. Zvanì, diminutivo affettuoso di Giovanni in dialetto romagnolo, diventa il filo conduttore di un monologo interiore…
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(episodi biblici: Giuda si unisce carnalmente con Tamar, sua nuora)
Genesi 38, 6; da una storia vera. Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, dà in sposa la bella Tamar a suo figlio Er, ma Er si rende odioso agli occhi del Signore e il Signore lo fa morire. A questo punto, per la legge del levirato (tutto attaccato), Giuda consegna Tamar al secondogenito Onan, affinché egli abbia un figlio legittimo con lei, che verrà considerato a tutti gli effetti figlio di Er, in sua assenza.
Allora Giuda disse a Onan: "Va' con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello".
Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata considerata come sua, disperde per terra il seme alla fine di ogni rapporto.
Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello.
Ciò che egli fa è male per il Signore e il Signore lo fa morire (sentenza immediata di morte per non aver proceduto a inseminare la cognata). Giuda a questo punto si fa due conti: avanti così e non mi resteranno più figli, meglio far ritornare Tamar dal padre, a Tinma, giusto per precauzione. Passa il tempo e, dopo un grave lutto in famiglia, Giuda si reca a Timna per far tosare le pecore. Tamar viene avvertita: "Guarda che sta arrivando tuo suocero". A questo punto Tamar, visto che il figlio superstite di Giuda, seppur cresciuto e nel pieno delle sue capacità riproduttive, non le era stato concesso per inseminarla e garantirle così il giusto diritto di darle una prole, s'inventa uno stratagemma:
Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all'ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna.
Giuda vede la graziosa ragazza e la scambia per una prostituta:
Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: "Lascia che io venga con te!". Non sapeva infatti che era sua nuora. "Lascia che io venga con te!". Tamar risponde: "va bene, ma in cambio che cosa mi dai?". "Un capretto," dice Giuda. "Va bene," dice Tamar, "ma lasciami almeno una caparra". "Va bene," dice Giuda, "cosa vuoi?". "Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano" dice Tamar. Detto fatto: Giuda le consegna carta d'identità e codice fiscale e si unisce carnalmente alla nuora completamente ignaro della sua identità. Quando Giuda va per consegnarle il capretto, della bella prostituta si sono perse le trecce, per cui domanda in giro: "Avete per caso visto una prostituta?". "Quale prostituta?" Gli rispondono indignati gli abitanti del luogo, "Qui da noi non ci sono prostitute!". Giuda torna quindi a casa un po' perplesso, e senza documenti. Passano tre mesi e qualcuno viene a dire a Giuda che sua nuora si è prostituita ed è rimasta incinta. Indignato, Giuda tuona: "Sia tratta fuori dalla città e bruciata!". Allora Tamar, mentre viene condotta al rogo, dice:
"Io sono incinta dell'uomo a cui appartengono questi oggetti". E aggiunse: "Per favore, verifica di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone".
Giuda li vede ed esclama: porco Giuda! Ma è giusto così, giusto così: non le ho dato il mio ultimo figlio e lei si è servita di me.
Tamar diede alla luce due gemelli: Zerach e Peres, antenati di Gesù, discendente di truffaldina - ma giusta, secondo legge - copula.
[L'incontro di Tamar e Giuda, Tintoretto]
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"Quell'ultima mattina, mio padre, mentre faceva colazione, aveva letto il giornale che portava in prima pagina la notizia della dichiarazione di guerra del Montenegro alla Turchia; egli sapeva che in seguito a ciò la guerra si sarebbe estesa a tutti i Balcani e che molte persone sarebbero morte, e questa notizia lo aveva ucciso. Rammentai di aver visto per terra accanto a mio padre il «Manchester Guardian». Quando in casa trovavo da qualche parte un giornale, proprio lui mi permetteva di leggere i titoli ad alta voce, e di tanto in tanto, purché non si trattasse di cose troppo difficili, me ne spiegava il significato. Il signor Florentin mi disse che non c'era nulla di più terribile della guerra e che di questo lui e mio padre avevano parlato spesso, trovandosi perfettamente d'accordo. In Inghilterra tutti erano contrari alla guerra e qui di guerre non ce ne sarebbero state mai più.
Le sue parole penetrarono in me profondamente, come se le avesse pronunciate mio padre in persona. Le tenni per me, così come mi erano state dette in confidenza, quasi si trattasse di un pericoloso segreto. Quando negli anni che seguirono si continuava a ripetere che il mio papà era morto giovanissimo, mentre era in perfetta salute e senza ombra di malattia, colpito all'improvviso da una specie di folgore, allora io sapevo - e nessuno avrebbe potuto togliermi questa certezza - che la folgore era stata la terribile notizia dello scoppio della guerra. Da allora ce ne sono state di guerre nel mondo, e ogni guerra, ovunque si svolgesse, anche se talvolta veniva percepita appena nell'ambiente in cui vivevo, mi ha colpito con tutta la violenza di quella perdita prematura e mi ha coinvolto profondamente, come la cosa più personale che mi potesse succedere."
In Elias Canetti, "La lingua salvata", 1977, ed. Adelphi 1980, pp.84-85
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Dopo 21 anni di matrimonio, mia moglie mi prese da parte per dirmi qualcosa di importante. Voleva che passassi del tempo con un’altra donna, la portassi al ristorante e poi al cinema. Mia moglie mi disse: “Ti amo, ma so che anche quest’altra donna ti ama, e voglio che tu trascorra del tempo con lei”.
Quest’altra donna era mia madre. Viveva da sola da 19 anni, dopo la morte di mio padre e a causa del mio lavoro e dei miei tre figli, potevo farle visita solo occasionalmente.
Così quella sera stessa ho fatto quello che mia moglie mi aveva chiesto. Ho invitato mia madre al ristorante e poi al cinema.
“Cosa sta succedendo?”, mi chiese la mamma: “Sei sicuro che vada tutto bene?”
“Ho pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere del tempo con te”, ho risposto. “Solo io e te”.
Mia madre, al telefono, restò in silenzio un momento, poi finalmente disse: “Mi piacerebbe davvero tanto”.
Poi il venerdì seguente, dopo il lavoro, sono andato a prenderla a casa. Ero un po’ nervoso, era passato tanto tempo… Si era fatta i capelli e indossava lo stesso vestito del suo ultimo anniversario di matrimonio. Il suo sorriso, raggiante di felicità, la faceva sembrare un piccolo angelo.
“Ho detto alle mie amiche che uscivo con mio figlio stasera e sono rimaste tutte molto colpite”, ha detto entrando in macchina. “Non vedono l’ora che racconti loro della nostra serata!”
Così siamo andati in un ristorante, non troppo elegante, ma abasstanza intimo e confortevole. Mia madre mi ha preso il braccio come se fosse la First Lady. Ci siamo seduti e le ho dovuto leggere il menù, dal momento che i suoi occhi riuscivano a leggere solo i caratteri più grandi. Appena finito di leggere le portate, ho girato gli occhi e ho visto che lei mi guardava con un sorriso carico di nostalgia. “Quando eri piccolo, ero io che dovevo leggerti il menù”, mi ha detto con semplicità. “Allora, è tempo che tu ti riposi un po’ e mi lasci restituire il favore”, ho risposto.
Abbiamo cenato e abbiamo parlato, niente di straordinario, abbiamo solo parlato delle novità nelle nostre rispettive vite. Alla fine, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del film. Ma in realtà, non ci è dispiaciuto averlo perso. Quando l’ho riaccompagnata a casa, mi ha detto che voleva uscire di nuovo, ma solo se le promettevo che l’avrei lasciata invitare me la prossima volta. Ho accettato.
“Come è andato il tuo appuntamento?”, mi chiese mia moglie quando rientrai a casa. “È andato davvero bene. Ancora meglio di come avrei mai immaginato”.
Non sono però stato in grado di mantenere la mia promessa e farmi invitare al ristorante. Pochi giorni dopo, mia madre è morta a causa di un problema cardiaco. È successo così velocemente che nessuno ha potuto fare niente per lei.
Sono passate alcune settimane e poi ho ricevuto una busta con una copia di un conto di un ristorante, lo stesso ristorante dove avevo portato mia madre. Insieme alla ricevuta, c’era una piccola nota che diceva: “Ho pagato questo conto in anticipo. Non ero sicura se avrei potuto esserci, ma in ogni caso, ho già pagato per due, per te e per tua moglie. Non sai quanto questa serata abbia significato per me. Ti amo, figlio mio”.
Quel giorno ho capito l’importanza di dire “ti amo”, e l’importanza di trascorrere del tempo con la propria famiglia e le persone che ci sono care. Niente, in verità, è più importante di quest’amore ❤️
Autore sconosciuto
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IL MANDATO FAMILIARE: QUANDO GETTARE LA SPUGNA VA PIÙ CHE BENE.
Nessuno di noi sfugge al mandato familiare, quella missione che implicitamente e tacitamente viene assegnata dal sistema familiare senza che tu te ne accorga.
A volte è davvero tardi per accorgersene, ma i più “connessi” alla propria coscienza, non cedono facilmente al risucchio e si dibattono come pesci nelle reti, fino ad ottenere la libertà.
Una libertà che di solito si ottiene a caro prezzo e quel pagamento spesso avviene sotto forma di perdite, traumi, shock o eventi di vita che ti schioccano un voltaggio impressionante di energia che ti rende estremamente lucido per qualche giorno.
Una donna che intraprende ad esempio una carriera tipicamente maschile, pericolosa, violenta e dice di farlo “per il padre” di gareggiare per lui, che è stato sempre lui a dargli la forza, la spinta, la cazzimma…. Vittorie, sudore, fatica ma anche incertezze.
Quella figlia sta vivendo il ruolo che gli ha dato il padre, molto probabilmente: certo io non posso saperlo, parto da un caso singolo per espandere il pensiero anche ad altri.
Poi il padre muore e l’energia del sistema inizia a cambiare: quella promessa inizia a non gravare più come un macigno, quel contratto firmato chissà dove e chissà quando, diventa “carta straccia”.
Ed ecco che questa figlia inizia a non farcela più, inizia a perdere colpi, a fare improvvisi retromarcia, ad allontanarsi dal personaggio pensato per lei;
fino al ritiro repentino e definitivo: il mandato è stato strappato.
In questi casi la coscienza è abbastanza desta ed evidentemente la fame di vita “propria” è urgente: la decisione sembra il frutto di eventi circostanziali ma io, credo, sia il risultato di un lungo rimuginio, e non la reazione scomposta ad una sconfitta.
Le urla di rabbia e dispiacere sono dedicate al padre, all’averlo deluso, scontentato, non “onorato”.
E meno male, dico io.
Ma la liberazione è inevitabile, il richiamo alla vita è troppo forte.
Conosco molte persone che hanno trovato la via soltanto dopo la morte di un genitore ingombrante che aveva incasellato il figlio/figlia in un ruolo predeterminato, posando una greve scure sulle sue ali e instradandolo verso percorsi alieni alla sua essenza.
Io penso che tutto sommato, questa donna, come molti altri, ora inizierà la sua vita.
Queste sono mie interpretazioni non hanno alcuna pretesa di verità.
Sono mie sensazioni che nascono spontaneamente osservando delle dinamiche che ho osservato per 15 anni ogni giorno.
Gli eventi di massa li osservo per comprenderne le dinamiche profonde e per cercare di entrare in contatto con le forme che assume la vita quando tentandi farsi largo.
La vita per rompere gli argini e ricondurti a se, trova i modi più strani la cui logica sfugge ad occhi inesperti.
Credo che tutto sommato, nulla sia accaduto per caso, la sua rivale, la perdita del padre, la sconfitta, l’attenzione su di lei.
E alla fine, sorpresa: le viene riconosciuto comunque un premio in denaro pari a quello che ricevono le medaglie d’oro e questo accade sempre per motivi legati alle leggi universali, cioè perché la vita premia la vita.
La vita l’ha premiata lo stesso perché la resa era la cosa giusta.
Cambiare strada.
Rinnovarsi.
Abbattere la scure.
E tutto questo è davvero meraviglioso se guardato cogli occhi di un ricercatore.
Nulla accade per caso, soprattutto quando strappi il foglio del mandato familiare ( anche senza rendertene conto come in questo caso, o forse sì chi lo sa ) e inizi a disegnare su un foglio bianco la tua vita.
Dedico questo post a chiunque senta di aver fatto a pezzi questo mandato e anche a chi ne sente il peso senza riuscire ancora a volare.
Noi siamo i figli che per volare devono “pagare le ali”.
Auguri a tutti noi.
ClaudiaCrispolti
( lo sport non mi interessa, non seguo le olimpiadi, non sono un’esperta di sport, mi reputo una ricercatrice nel campo della crescita e dell’evoluzione e amo osservare la realtà come se fosse un grande laboratorio. I grandi eventi di massa sono una ghiotta occasione di studio e riflessione per me.
Queste sono SOLTANTO mie interpretazioni lo ripeto.
Niente polemiche, niente tifo pro e contro. Qualsiasi commento inadeguato per tono o contenuto verrà eliminato e la persona bloccata.
Ho molto da fare, ma scrivere fa parte del da fare.)
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Sono sempre più consapevole del fatto che la morte di mio padre mi abbia prosciugato da ogni sentimento di lutto. Che sia un cantante o attore che seguivo o mi piaceva, un semplice conoscente o addirittura un parente, non riesco più a soffrire per la perdita. Mi dispiace, sì, ma niente a che vedere con il dolore che ho provato quando è stato lui ad andarsene.
Ho paura che dentro di me si sia rotto qualcosa, e che non si riparerà mai più.
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Quel garofano rosso infilato nell’occhiello
Nel maggio del 1945, quando nel mondo intero, nelle strade e nelle piazze di tutte le città liberate, si festeggiava la fine della guerra e si esultava per la Liberazione, ho vissuto i momenti più tragici e dolorosi della mia adolescenza. Avevo 14 anni.
Una cappa di terrore e di angoscia era calata sulla mia italianissima città e sulla sua italianissima gente. Ho visto colonne di finanzieri, carabinieri, soldati di tutte le armi, uomini e donne, transitare laceri, sporchi, affamati e assetati, avviati verso chissà quale destino. Erano scortati da soldataglia rozza e ignorante, con la stella rossa sul berretto e armata fino ai denti che sbraitava urlando in una lingua che non conoscevo, ma sapevo essere slava. Erano le avanguardie dell’esercito di Tito che, a marce forzate, avevano raggiunto Fiume combattendo. Tito aveva spinto le sue truppe a occupare il più presto possibile quanto più territorio italiano possibile, in quanto le sue mire espansionistiche ipotizzavano il confine tra l’Italia e la sua Jugoslavia, sull’Isonzo. Voleva Trieste, Udine, Gorizia e tutta quella parte di Venezia Giulia che lui definiva impropriamente “Slavia veneta”.
Ho saputo di “giudici popolari” semi-analfabeti che decidevano, a guerra finita, della vita e della morte di persone il cui unico delitto, molto spesso, era solo quello d’essere italiani. Condannati da tribunali del popolo costituiti in fretta e furia e composti da gente qualsiasi, purché di provata fede comunista.
I primi giorni dopo l’occupazione della mia città (il 2 maggio del 1945) con le liste di proscrizione già preparate, iniziava il calvario degli italiani. Arresti, deportazioni, infoibamenti. Anche nella mia famiglia si piange uno scomparso, prelevato la mattina del 4 maggio da casa e di cui non si è saputo più nulla. Probabilmente, come tanti altri infelici, avrà vissuto gli ultimi istanti della sua vita soffocato dall’angoscia sull’orlo di una foiba.
La guerra era finita, ma vivevamo ancora nella ristrettezza e nel terrore: parlare, lamentarsi era pericoloso, criticare il regime poteva costare la vita o la deportazione. Essere italiano era una colpa e molti, anche da me conosciuti, amici di mio padre, vicini di casa, ex questurini, impiegati pubblici, professionisti, insegnanti, vigili urbani, dipendenti comunali ecc., erano considerati èlite e quindi fascisti e nemici del popolo.
Il 1.mo maggio del 1948 mio padre decise di scendere al bar sotto casa, per trascorrere qualche momento di svago. Fu avvicinato da un individuo, palesemente ubriaco e conosciuto da tutti come uno sbandato, che gli infilò un garofano rosso nell’occhiello. Mio padre (che non volle mai iscriversi al partito fascista) non gradì il gesto di quell’individuo che fino a pochi giorni prima aveva scondinzolato dietro ai tedeschi, raccattando i loro avanzi e facendo il buffone, qual’era. Si tolse, quasi di nascosto il garofano e lo appoggiò sul tavolo. Questo gesto gli costò una denuncia e un mese di lavori forzati (denominati “lavoro rieducativo”) che scontò nel carcere cittadino, segando legna da ardere in coppia con un altro detenuto, muniti di un segaccio da boscaiolo di grandi dimensioni per dieci ore al giorno. Seppe dopo, da un vicino di casa, ufficiale della milizia popolare in quanto studente di scuola superiore, che il tribunale lo aveva accusato di “scarsa simpatia per il partito”. Se l’accusa fosse stata “nemico del popolo” avrebbe corso il rischio di finire in una foiba.
A settembre riaprirono le scuole. Avevo finito in modo fortunoso la terza d’avviamento commerciale e non potevo continuare la scuola in lingua croata. L’autorità cittadina escogitò, per noi italiani, una forma insolita: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica a lavorare. Fui mandato al Siluruficio Witheead, (vanto della mia città e del mio paese) al reparto meccanici, aggiustaggio, revisione motori, fonderia e torneria. Alla fine dell’anno 1947/48, non ebbi documento ufficiale. Solo un libro il cui retro di copertina riportava una semplice dichiarazione di frequenza.
Nevio Milinovich, esule da Fiume
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Non vedevo più niente, gli occhi nemmeno a piangere erano più buoni.
Poi tu, un "tu" chiunque,
che sia padre, madre, o uno sconosciuto volto,
mi hai prestato gli occhi, e sono tornato a vedere.
Ma sempre attraverso il velo del dolore.
Anche quando anche la fame e la sete...
sorde alla speranza,
La fame e la sete sono morte,
sei accorso tu, straniero in mezzo alla strada,
a ricordarmi come si fa a mangiare e a bere,
a respirare quasi per forza.
Eppure, anche allora, la sofferenza restava.
E tu, ombra sconosciuta dentro un ospedale,
o nell’oscuro profondo del mare, mi hai insegnato a odiare, senza nessuno ad abbracciare la mia rabbia.
Così, ho odiato, ma non ho mai smesso di sperare.
E infine tu, di carne e sangue, vestita di una bellezza,
Una bellezza che a guardarla mi trema la voce, insieme alle gambe, dammi la tua bocca per baciarti, e l’anima intera da abitare,
per rimanerci dentro.
Per sempre.
Nel lento cammino,
nella lunga risalita.
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